IL RISCHIO DI LIQUIDITA` E L`ACCORDO DI BASILEA III: LA

Dipartimento di Impresa e Management
Cattedra in Economia dei Mercati e degli
Intermediari finanziari
IL RISCHIO DI LIQUIDITA’ E L’ACCORDO DI BASILEA III:
LA REAZIONE ALLA CRISI
RELATORE
CANDIDATO
Prof. Francesco Cerri
Michele Leone
161671
ANNO ACCADEMICO
2012-2013
2
INDICE
INTRODUZIONE……………………………………………………………………………………7
I.
RISCHIO DI LIQUIDITA’…………………………………………………………………..12
1. Natura e cause del rischio di liquidità………………………………………………12
2. Il Funding liquidity risk.……………………………………………………………………14
2.1
L’approccio degli stock……………………………………………………………….14
2.2
L’approccio dei flussi di cassa…………………………………………………….16
2.3
L’approccio ibrido………………………………………………………………………17
2.4
Prove di carico e Contingency funding plan……………………………….18
3. Il Market liquidity risk……………………………………………………………………..21
4. Misurazione dell’esposizione al rischio……………………………………………22
II.
4.1
Cash flow statement………………………………………………………………….22
4.2
Indice di liquidità……………………………………………………………………….23
4.3
Indici di bilancio…………………………………………………………………………24
4.4
Financing gap…………………………………………………………………………….26
4.5
Maturity laddering…………………………………………………………………….26
LA CRISI FINANZIARIA E IL RISCHIO DI LIQUIDITA’………………………….29
1. Liquidity Management prima della crisi…………………………………………..29
2. La crisi finanziaria e il ruolo del rischio di liquidità…………………………..32
3
3. La regolamentazione al tempo della crisi…………………………………………37
III.
3.1
La disciplina internazionale……………………………………………………….37
3.2
La normativa nazionale…………………………………………………………….41
UNA RISPOSTA ALLA CRISI: BASILEA III…………………………………………..47
1. Basel III: International framework for liquidity risk measurement,
standards and monitoring ………………………………………………………………47
1.1
Il passaggio da Basilea II a Basilea III……………………………………….47
1.2
Obiettivi della nuova disciplina………………………………………………..49
2. Nuovi profili regolamentari……………………………………………………………..51
2.1
Regole, standard e requisiti……………………………………………………..51
2.2
Riforme di carattere microprudenziale…………………………………….56
2.2.1 Patrimonio………………………………………………………………………….56
2.2.2 Rischio………………………………………………………………………………..58
2.2.3 Liquidità……………………………………………………………………………..59
2.3
Riforme di carattere macroprudenziale……………………………………59
3. Gli indicatori di liquidità………………………………………………………………….60
3.1
Liquidity coverage ratio (LCR)………………………………………………….61
3.1.1 Stock di attività di qualità elevata………………………………………….61
3.1.2 Totale dei deflussi di cassa netti……………………………………………..63
3.2
Net stable funding ratio (NSFR)……………………………………………….64
4. Critiche a Basilea III…………………………………………………………………………66
4
IV.
L’APPLICAZIONE DELL’ACCORDO DI BASILEA IN ITALIA…………………..71
1. Il recepimento delle nuove disposizioni…………………………………………..71
1.1
Il ruolo degli organi aziendali…………………………………………………….72
1.2
Il processo di gestione del rischio di liquidità……………………………..73
2. Effetti della nuova disciplina in Italia……………………………………………….81
2.1
Un ambiente in continuo mutamento……………………………………….81
2.2
L’impatto dei nuovi standard sul sistema bancario…..................83
2.3
Nuovi scenari finanziari…………………………………………………………….85
3. Quali aspetti è necessario implementare in futuro?..........................86
3.1
Trasparenza e imparzialità………………………………………………………..86
3.2
Procedure di misurazione, gestione e controllo…………………………88
CONCLUSIONI…………………………………………………………………………………………93
BIBLIOGRAFIA…………………………………………………………………………………………99
SITOGRAFIA………………………………………………………………………………………….104
5
6
INTRODUZIONE
La recente crisi finanziaria che, a partire dall’estate del 2007, ha investito i mercati
internazionali del credito, generando una situazione di straordinaria tensione monetaria, ha
portato alla luce l’importanza assunta dalla gestione del rischio di liquidità nell’ambito dello
svolgimento dell’attività di intermediazione.
Il presente lavoro si pone l’obiettivo di illustrare gli effetti dell’introduzione di Basilea III sul
tessuto finanziario mondiale dissestato dalla crisi, con particolare riguardo agli effetti previsti
sul sistema di gestione della liquidità bancaria.
La gestione della liquidità ha suscitato scarso interesse fin dalle prime forme di
regolamentazione internazionale, nelle quali non era preso adeguatamente in considerazione
a causa della limitata rilevanza attribuita al rischio di liquidità e alle conseguenze di eventuali
shock monetari.
Con l’evoluzione del sistema finanziario e l’entrata in scena degli strumenti di finanza
innovativa, la gestione delle risorse liquide ha assunto inevitabilmente un ruolo di crescente
importanza. Solamente con lo scoppio della crisi dei mutui subprime e il conseguente crollo
del sistema economico, tuttavia, la questione della liquidità ha finalmente ricevuto
un’appropriata e specifica regolamentazione.
Sull’argomento si sono espresse le maggiori Autorità nazionali e internazionali, e in
particolare il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria, autore, tra l’altro, di numerosi
studi d’impatto quantitativo per il monitoraggio della situazione degli operatori del mercato.
Il Comitato per la vigilanza bancaria ha pubblicato una serie di documenti a carattere
divulgativo destinati alla diffusione delle “best practices” internazionali sulla gestione della
liquidità. L’obiettivo è stato quello di migliorare il processo di misurazione e governo del
rischio di liquidità delle istituzioni e allontanare il pericolo che si ripetano eventi catastrofici
sui mercati.
Il maggiore contributo in materia è rappresentato dall’Accordo di Basilea III, il framework
regolamentare pubblicato in risposta alla crisi finanziaria cui sono affidate le speranze di
7
restituire fiducia e stabilità a un sistema economico che si è rivelato eccessivamente fragile e
vulnerabile.
“Basilea III” aspira a uniformare la disciplina dei mercati finanziari internazionali all’interno di
un quadro regolamentare capace di normalizzare l’attività delle istituzioni in un’ottica di
maggiore prudenza e sicurezza dell’attività di intermediazione.
In questa trattazione, l’attenzione si concentra sull’atteggiamento adottato dalle banche in
seguito alla pubblicazione del nuovo corpus normativo, mediante l’analisi delle misure
implementate per soddisfare i nuovi requisiti.
Particolare importanza è attribuita al metodo di gestione della liquidità e alle tecniche di
misurazione e monitoraggio del relativo rischio, determinanti principali della recente crisi
finanziaria e argomenti centrali dell’intenso dibattito che ne è derivato. La liquidità ha, infatti,
ricoperto un ruolo di grande rilievo nello scoppio della recente crisi finanziaria, generando la
situazione iniziale di tensione monetaria da cui è scaturita la successiva recessione
economica e mostrando gli effetti devastanti che una gestione non equilibrata delle risorse
finanziarie aziendali e un’errata valutazione del rischio di liquidità possono produrre sul
sistema finanziario mondiale.
Attraverso il confronto tra i sistemi di gestione della liquidità delle banche risalenti agli anni
antecedenti la crisi finanziaria e quelli impiegati immediatamente dopo e attraverso l’analisi
delle differenze riscontrate nello spazio dedicato al problema della liquidità all’interno dei
vecchi ordinamenti regolamentari rispetto a quelli attuali, sono illustrate le fasi principali del
processo di transizione ed evoluzione a cui le banche stanno prendendo parte.
Lo sviluppo del tema in esame prevede una fase iniziale in cui sono esposti gli aspetti
principali del rischio di liquidità, con particolare riferimento alla natura e all’origine dello
stesso, da ricondurre all’essenza propria della funzione di intermediazione svolta dalle
banche.
Il rischio di liquidità è poi scomposto nelle due fondamentali tipologie di manifestazione, il
funding liquidity risk e il market liquidity risk, indicando per ognuna i tratti tipici e le tecniche
appropriate di valutazione.
8
Successivamente sono presentate le metodologie principali con cui gli intermediari finanziari
misurano la propria esposizione al rischio di liquidità.
Il capitolo secondo analizza in dettaglio la situazione delineata sui mercati finanziari a partire
dalla crisi del 2007, individuando le relazioni tra le cause del financial turmoil e la gestione
della liquidità.
L’attenzione si concentra sulla funzione del rischio di liquidità, prendendo in esame il ruolo
ricoperto nella fase iniziale della tensione monetaria e nei suoi successivi sviluppi.
Il piano del discorso si sposta poi sulla questione fondamentale della regolamentazione
vigente al tempo della crisi, illustrando com’era strutturata in ambito sia nazionale sia
sovranazionale.
Sono passati in rassegna i passaggi essenziali del processo di implementazione del quadro
normativo internazionale, a partire dalle prime manifestazioni disciplinari fino alle più
recenti, specialmente con particolare riguardo all’’opera del Comitato di Basilea per la
vigilanza bancaria.
A prosecuzione logica dell’esposizione, il capitolo successivo tratta in modo approfondito
l’Accordo di Basilea III nei suoi aspetti dominanti: l’evoluzione intervenuta all’interno del
quadro regolamentare, mediante il passaggio da Basilea II alla nuova disciplina, è seguita
dall’indicazione degli obiettivi perseguiti dal Comitato per la vigilanza bancaria con la sua
opera normativa e da una completa argomentazione riguardo agli standard introdotti, sia dal
punto di vista microeconomico sia da quello macroeconomico, con una descrizione
dettagliata degli adempimenti aggiuntivi richiesti alle banche per soddisfare i più stringenti
requisiti in materia di liquidità.
L’ultima parte è dedicata all’enunciazione delle numerose critiche rivolte a Basilea III, alla
luce degli scenari di rigidità e restrizione prospettati in relazione allo svolgimento dell’attività
di intermediazione: per ognuna di esse sono fornite le risposte pratiche e teoriche formulate
dal Comitato di Basilea in merito agli obiettivi e alle motivazioni di base delle scelte
effettuate.
Il capitolo quarto rivolge lo sguardo alla situazione italiana e a quella delle banche operanti
sul nostro territorio: inizialmente si presta attenzione alle modalità con cui le Autorità
9
nazionali, in particolare la Banca d’Italia, hanno recepito e formalizzato le istruzioni impartite
dal Comitato per la vigilanza bancaria con l’Accordo di Basilea III riguardo alla gestione della
liquidità, adeguandole alla realtà propria del nostro Paese e alle caratteristiche del sistema
bancario in esso operante. La seconda parte svolge una funzione essenziale nell’esaminare gli
effetti prodotti dai nuovi provvedimenti, abbassandosi al livello di operatività delle singole
istituzioni e analizzando in concreto le disposizioni adottate per imboccare la strada
dell’adeguamento agli standard di Basilea III.
La parte finale si occupa di formulare previsioni riguardo agli scenari futuri sui mercati
finanziari e considera gli aspetti del nuovo Accordo che necessitano di essere migliorati e
implementati.
10
11
CAPITOLO UNO
RISCHIO DI LIQUIDITA’
1.
Natura e cause del rischio di liquidità
Nello svolgimento della sua attività, la banca, trasferisce le risorse finanziarie da soggetti in
surplus (i risparmiatori) a soggetti in deficit di risorse (gli investitori), reperendo tipicamente i
capitali attraverso l’indebitamento a breve termine e impiegando tali risorse in attività a
medio e lungo termine.
La
trasformazione
di
liquidità
è
dunque
intrinseca
alla
funzione
economica
dell’intermediazione creditizia e genera una serie di rischi che necessitano un monitoraggio
costante e una gestione finalizzata alla loro copertura e alla creazione di valore. Il rischio di
interesse e il rischio di liquidità per gli intermediari bancari sono originati proprio dal
mismatch temporale esistente tra le attività e le passività del bilancio bancario.
Nel contesto di “gap” temporale esistente tra attività e passività, una variazione del livello
dei tassi di interesse può generare un rischio di rifinanziamento o di reinvestimento dei
capitali bancari, sia una variazione del valore di mercato o attuale delle poste presenti in
bilancio con conseguente esposizione dell’intermediario a potenziali cadute di redditività del
suo portafoglio titoli.
L’espressione “rischio di liquidità”, oggetto della presente trattazione, mostra invece la
possibilità che la banca possa rivelarsi incapace di far fronte puntualmente agli obblighi di
pagamento assunti nei tempi contrattualmente previsti e in modo da non pregiudicare il
normale andamento della sua attività economica e il suo equilibrio finanziario1; tale
incapacità può derivare sia del manifestarsi del funding liquidity risk, ossia della difficoltà
dell’impresa di reperire tempestivamente ed economicamente nuovi fondi, sia a causa del
1
A. Resti, A. Sironi: Rischio e valore nelle banche - Misura, regolamentazione, gestione. Milano, EGEA, gennaio
2008 (1^ ed. 2005).
12
market liquidity risk, e cioè dell’impossibilità di convertire in denaro un’esposizione su una
determinata attività finanziaria senza incorrere in perdite di valore che si riflettano in una
diminuzione del prezzo a causa dell’insufficiente liquidità del mercato nel quale l’attività è
negoziata oppure di un temporaneo malfunzionamento dello stesso2.
Il rischio di liquidità è quindi connaturato all’attività bancaria in senso stretto; tuttavia,
esistono altri elementi che concorrono alla sua formazione o all’accentuazione: fattori
tecnici, fattori specifici relativi alla singola istituzione e fattori di natura sistemica.
La comparsa di strumenti finanziari con strutture temporali eterogenee dei flussi di cassa,
l’esistenza di ampia discrezionalità in molte forme di raccolta e di impiego, l’impostazione di
un sistema che prevede il ricorso a mezzi di reperimento della liquidità nelle operazioni di
cartolarizzazione e l’impiego di sistemi di pagamento operanti in tempo reale e su base
multilaterale comportano senza dubbio un incremento del rischio di liquidità per le imprese
di intermediazione, ossia per quelle imprese che forniscono l’insieme di servizi volti a favorire
l’incontro sul mercato tra la domanda e l’offerta di moneta e di servizi finanziari. Per
intermediazione finanziaria s’intende, dunque, l’attività di trasferimento di capitale da
soggetti che presentano un surplus di risorse ad altri che si trovano in una situazione di
fabbisogno, attraverso l’acquisto e la vendita di titoli e strumenti finanziari.
Fattori specifici sono quelli inerenti alla singola istituzione finanziaria, quali fenomeni di
downgrade o altri eventi in grado di intaccare il capitale reputazionale della banca
riconducibili a lesioni d’immagine o perdita di fiducia da parte del pubblico; fenomeni legati
alla tipicità di alcuni strumenti finanziari che potrebbero originare circostanze impreviste di
fabbisogno di liquidità all’interno di mercati particolarmente volatili; e infine fenomeni
generati dalle posizioni fuori bilancio e dagli impegni a erogare fondi.
Per quanto attiene ai fattori sistemici, si tratta di problemi generalizzati di funding ed
eventuali difficoltà di smobilizzo di attività finanziarie derivanti in larga misura da eventi che
cadono completamente al di fuori della possibilità di controllo da parte della banca come, ad
esempio, crisi dei mercati finanziari, crisi politiche o economiche, catastrofi naturali, eventi
terroristici e altro ancora.
2
A. Resti, A. Sironi: Rischio e valore nelle banche. Misura, regolamentazione, gestione. Milano, EGEA, gennaio
2008 (1^ ed. 2005).
13
La probabilità che si generino crisi di liquidità, connessa all’esistenza di questi fattori e al loro
operato, singolo o congiunto, da vita a due tipologie di rischio, a seconda che essi presentino
natura interna o esterna alla banca: nel primo caso si parla di corporate liquidity risk; nel
secondo di systemic liquidity risk legato a eventi congiunturali. Nella sua accezione tecnica, il
rischio di liquidità si presenta distinto nelle due macro-categorie di funding liquidity risk e
market liquidity risk.
2.
Il Funding liquidity risk
Il funding liquidity risk, inteso come il rischio che la banca si trovi nelle condizioni di non
essere in grado di far fronte ai propri impegni di pagamento nel momento in cui essi
giungono a scadenza, può essere misurato utilizzando tre tipi di modelli: i modelli basati sugli
stock, i modelli basati sui flussi di cassa e quelli di tipo ibrido.
Elemento comune alle tre categorie è rappresentato dalla tipologia di cash flows presi in
considerazione per la costruzione del modello: è necessario considerare non soltanto i flussi
di cassa contrattuali, bensì anche quei flussi che avranno luogo in previsione del
comportamento delle controparti, dell’istituto di credito e della strategia posta in atto nel
gestire le proprie relazioni d’affari.
2.1
L’approccio degli stock
Obiettivo di questo modello è una riclassificazione del bilancio della banca al fine di
individuare l’insieme delle componenti suscettibili di generare il funding liquidity risk e
simultaneamente le poste in grado di fornire un’adeguata copertura in caso di
manifestazione effettiva del rischio.
Per questo motivo si andranno a ricercare nell’attivo del bilancio tutti quegli elementi
rapidamente convertibili in denaro contante e definiti come attività monetizzabili (AM): esse
14
sono rappresentate sostanzialmente, in aggiunta al contante vero e proprio e alle poste a
esso assimilabili, dagli impieghi a vista, come quelli overnight e quelli a breve e brevissimo
termine, che possono essere prontamente resi liquidi evitando la compromissione
dell’ordinaria attività finanziaria della banca e la possibilità di deterioramento delle relazioni
con la clientela; e dai titoli unencumbered detenuti dall’istituto, ossia titoli considerati
eleggibili perché facilmente liquidabili e non stanziati in garanzia per prestiti o contratti
derivati.
L’analisi avviene dunque avendo considerazione dell’effettiva liquidabilità delle poste e non
della loro scadenza contrattuale.
Il valore complessivo delle attività monetizzabili deve essere poi diminuito di uno scarto di
sicurezza (haircut): esso può rappresentare sia l’eventuale minusvalenza che la banca realizza
in caso di vendita immediata delle attività monetizzabili sul mercato, sia il ridotto valore del
prestito a breve termine che otterrebbe costituendo a garanzia le medesime attività.
Il valore haircut ha ovviamente dimensione crescente all’aumentare della scadenza dei titoli:
il suo importo aumenta o diminuisce a seconda del rischio percepito associato alla
detenzione dell’asset e scadenze maggiori sono associate a rischi maggiori.
Per quanto riguarda il passivo del bilancio, al contrario, bisogna rintracciare il valore di quelle
passività, indicate come volatili, il cui rinnovo presenta un certo grado di aleatorietà: in
genere si tratta di finanziamenti a vista a breve e brevissimo termine aventi controparti
istituzionali, quali la provvista interbancaria overnight e le operazioni pronti contro termine a
brevissima scadenza, e la percentuale di depositi della clientela ritenuta instabile. Il criterio di
valutazione adottato prende in considerazione il comportamento effettivo e previsionale dei
clienti e tralascia la scadenza contrattuale.
Nell’attività di riclassificazione bisogna, inoltre, tener conto degli impegni a erogare assunti
dall’intermediario e non figuranti in bilancio, oltre che delle linee di credito stabilmente
disponibili concesse da agenti istituzionali.
L’eccedenza delle attività monetizzabili sulle passività volatili pone in evidenza la cash capital
position (CCP = AM – PV), indicatore dell’efficienza della banca di resistere a tensioni di
liquidità che si propagano oltre la normale soglia di tolleranza garantita dal buffer posto a
15
copertura. Nel calcolo della cash capital position, al fine di una maggiore precisione, si può
includere la quota di impegni a erogare prevista; lo stesso non avviene per le linee di credito
disponibili che, anche essendo obblighi di finanziamento verso la banca contrattualmente
assunti da parte di terzi, presentano la probabilità di una mancata corresponsione: questi
soggetti, in situazioni di prestito giudicato difficilmente recuperabile, potrebbero ritenere
preferibile incorrere in sanzioni giuridiche piuttosto che ottemperare ai propri impegni.
Un altro indicatore è dato dal long term funding ratio, che rappresenta la quota di attività a
lungo termine coperta da passività durevoli, ossia anch’esse a lungo termine.
In formule:
à
à
Esempi di passività consolidate sono prestiti obbligazionari, debiti di natura commerciale a
lungo termine, altri debiti a lunga scadenza, fondo TFR e altri fondi durevoli; nelle attività a
medio e lungo termine includiamo invece gli impieghi di capitale della banca destinati a
perdurare nel bilancio per un periodo prolungato: di queste fanno parte le immobilizzazioni
materiali, le immobilizzazioni immateriali e quelle finanziarie, in aggiunta alle altre attività
non correnti.
Nelle banche, proprio per la loro funzione di trasformazione delle scadenze, questo valore è
naturalmente poco elevato, ma può essere utile per segnalare livelli particolarmente bassi
rispetto alla media.
2.2
L’approccio dei flussi di cassa
La debolezza propria del metodo degli stock, rappresentata dall’ordinamento delle poste di
bilancio nelle due sole classi di attività monetizzabili e passività volatili, è superata con
l’attuazione del metodo dei flussi di cassa: esso permette la classificazione dei flussi
16
monetari, comprensivi dell’eventuale quota interessi, all’interno di una più ampia scala di
scadenze (maturity ladder) in cui figurano fasce di liquidità (gradi di liquidità) che si
sviluppano da una prospettiva annuale fino a una decennale.
Le poste a vista vengono dunque valutate non secondo il criterio contrattuale bensì
attraverso l’intervento di un modello comportamentale che tiene conto dell’esperienza
passata della banca.
Ogni fascia di scadenza evidenzia i flussi netti (liquidity gap) e i flussi netti cumulati (liquidity
gap cumulato), e cioè il saldo relativo alla fascia in questione e il saldo totale di tutte le fasce
precedenti.
Qualora risultassero valori negativi dei liquidity gap, ciò denoterebbe una situazione in cui si
prevedono maggiori deflussi di cassa attesi rispetto agli afflussi: pertanto, in assenza di
adeguate misure correttive, la banca potrebbe incorrere in una crisi di liquidità.
L’unico limite del metodo consiste nella valutazione dei titoli unencumbered in base alla
scadenza, senza tener conto della loro utilità in sede di costituzione a garanzia in cambio
dell’ottenimento di finanziamenti a breve e brevissimo termine.
L’approccio ibrido, descritto qui di seguito, attraverso l’integrazione tra l’approccio dei flussi
di cassa e l’approccio degli stock permette di giungere a un metodo più efficace per il
monitoraggio del rischio di liquidità.
2.3
L’approccio ibrido
Questo modello presenta le stesse caratteristiche dell’approccio degli stock, con una sola
variante: è inclusa la possibilità che, in caso di tensioni di liquidità, i titoli posseduti dalla
banca siano posti a costituzione di garanzia per ottenere credito attraverso un’operazione di
repurchase agreement o, ancora, possano essere ceduti sul mercato dei titoli.
L’importo ottenuto da queste operazioni sarà imputato alle fasce a più breve termine della
maturity ladder e lo scarto di sicurezza (haircut) e le quote interessi saranno da attribuire alle
fasce corrispondenti alle rispettive scadenze.
17
In questo modo si è in grado di ottenere una stima più accurata dell’abilità della banca di far
fronte a tensioni di liquidità nel breve e brevissimo periodo.
Bisogna prestare attenzione alle caratteristiche dei titoli in portafoglio; potrebbero
contenere elementi di incertezza nella scadenza, nell’ammontare o in entrambi. Esempi sono
i titoli a tasso variabile o gli interest rate swap, aventi scadenza certa e ammontare incerto;
mutui e titoli callable, certi nell’entità, ma incerti termine nelle scadenze; depositi a vista,
linee di credito e opzioni americane, incerte nell’importo e nel timing.
Questi fattori circoscrivono l’ambito delle determinazioni inattese del rischio di liquidità:
l’intermediario deve testare la capacità della sua struttura di liquidity gap di resistere a
situazioni di stress in condizioni di rischio atteso e in contesti sfavorevoli, in cui si
determinano flussi di cassa inattesi dovuti a prodotti a scadenza e/o entità incerta.
2.4
Prove di carico e Contingency funding plan
Gli strumenti atti alla stima del rischio inatteso di liquidità sono la modellizzazione
dell’incertezza e le prove di stress. Nell’ambito della modellizzazione dell’incertezza si
possono distinguere i modelli basati sui portafogli di replica e i modelli basati sulla teoria
delle opzioni.
Ambedue gli approcci mirano a quantificare e riprodurre correttamente gli effetti derivanti
dalle opzioni implicite presenti all’interno dei prodotti aventi scadenza indeterminata, sia che
si tratti di attività sia di passività.
Il modello dei portafogli di replica consiste nel replicare un prodotto a scadenza non
determinata attraverso un portafoglio di strumenti elementari che si comporti allo stesso
modo in presenza di variazioni dei tassi di interesse di mercato.
I due portafogli sono simili perché producono flussi e rendimenti simili: ad esempio, nel caso
di un deposito in conto corrente che non presenti scadenza, il corrispondente portafoglio di
replica può essere formato da dodici depositi a termine associati a istanti successivi. Il
numero dei depositi a termine è calcolato sulla base di periodi convenzionali che, in questo
caso, corrispondono alle dodici mensilità di cui è composto l’anno: in questo modo è
18
possibile suddividere il deposito a scadenza non determinata in una serie di strumenti a
scadenza certa che permettono di valutare il rischio di liquidità associato al titolo originario in
un definito orizzonte temporale tramite una misurazione disgiunta effettuata a intervalli
regolari.
L’ammontare dei depositi a scadenza sarà determinato sulla base di stime econometriche
relative al rapporto tra i prelievi sui depositi in conto corrente e lo sviluppo dei tassi di
interesse storici.
L’approccio della teoria delle opzioni consente, invece, di ricavare il valore delle opzioni
implicite nei prodotti a scadenza incerta mediante una stima dell’evoluzione dei tassi di
interesse di mercato. Il valore dell’opzione in oggetto è ricavato, secondo il modello Option
adjusted spread (OAS), dalla differenza esistente tra il rendimento proprio del detentore di
un titolo callable e un analogo bond non in possesso di tale opzione.
Le analisi di scenario mirano invece alla simulazione di un insieme di circostanze di
particolare e inatteso stress da cui ricavare l’idoneità della banca a far fronte a crisi di
liquidità senza intaccare la sua normale operatività e senza pregiudicare la sua struttura
finanziaria.
Al fine di verificare la solidità del proprio assetto di liquidità, le banche realizzano una serie di
prove di stress: con questo termine s’intende la realizzazione di una simulazione concernente
una situazione di particolare avversità in cui l’intermediario può incorrere.
Tre sono i metodi in base ai quali si possono realizzare previsioni dell’andamento dei flussi di
cassa in condizioni sfavorevoli:
1) L’approccio storico, fondato sull’analisi di eventi passati che hanno colpito l’istituzione
specifica, altri intermediari oppure l’intero mercato;
2) L’approccio statistico, incentrato sull’utilizzo di serie storiche di dati in ottica
prospettica al fine della costruzione di stime dei fenomeni di rischio e della loro
portata;
3) L’approccio judgement-based, attuato in conformità a ipotesi previsionali e soggettive
formulate dal top management dell’impresa.
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In questo modo è possibile analizzare l’incidenza di singoli fattori di rischio oppure
sperimentare scenari worst-case in cui più elementi concorrono a inasprire la crisi di liquidità
della banca.
Esempi a riguardo possono essere forniti dalle circostanze di ritiri anticipati dei depositi da
parte della clientela oppure dal verificarsi di shock improvvisi che colpiscono i mercati
finanziari riducendo la possibilità e la capacità dell’intermediario di ottenere finanziamenti a
breve e brevissimo termine.
Bisogna tenere presente che gli effetti del verificarsi di questi eventi possono avere natura
indiretta oltre che diretta, come la modificazione di alcune poste del bilancio altrimenti
intatte: ad esempio, in caso di crisi generale del mercato, il pubblico di investitori e
risparmiatori potrebbe mostrare avversione nei confronti di investimenti futuri e quindi
incanalare le proprie risorse nei depositi bancari determinandone un accrescimento.
Proprio la predisposizione di provvedimenti specifici da adottare nei casi in cui il rischio di
liquidità si renda noto nei modi previsti dalle analisi degli scenari di stress, costituisce
l’essenza dei piani di emergenza redatti dalla banca.
Il Contingency funding plan (CFP), infatti, ha il compito di prevedere ed elencare le fonti
straordinarie di liquidità cui la banca può attingere in casi di crisi (mobilizzazione temporanea
delle riserve obbligatorie, repurchase agreement con la Banca Centrale, finanziamenti da
altre istituzioni, ecc.) e l’ordine di priorità con cui dovranno essere attivate, in dipendenza del
costo, della disponibilità e flessibilità delle fonti e del tipo di shock che si sta fronteggiando.
Il CFP precisa, inoltre, quali sono i soggetti e gli organi incaricati dell’attivazione delle
politiche di funding in caso di emergenza e quelle responsabili della comunicazione e
illustrazione tecnica della situazione di stress in cui la banca si trova e delle soluzioni che
s’intende adottare per superarla.
Esso dunque ha effetti non solo in sede di contrasto di gravi crisi di liquidità, ma presenta
anche una funzione preventiva di attenuazione per quanto riguarda l’ampiezza e gli esiti della
situazione di stress3.
3
Deutsche Bundesbank: Liquidity Risk Management at Credit Institutions, Deutsche Bundesbank, Monthly
Report, September 2008.
20
Infatti, un adeguato CFP permette alla banca di adempiere regolarmente le sue funzioni
ordinarie impedendo possibili crisi di panico da parte dei clienti che provocherebbero
l’immediato ritiro dei depositi; e, inoltre, qualora prevedesse una strategia di funding
articolata su un complesso di fonti abbastanza diversificato dal punto di vista geografico e
valutario, consentirebbe all’intermediario di superare in modo non eccessivamente
difficoltoso le proprie tensioni di liquidità e allo stesso tempo fungere da stabilizzatore
dell’intero sistema. Il monitoraggio costante del grado di concentrazione delle fonti di
finanziamento permette, infatti, di ridurre sensibilmente il rischio che il venir meno di un
determinato canale di liquidità possa arrecare danni all’attività economica e finanziaria
dell’impresa, con ripercussioni notevoli sulla situazione di liquidità dell’intero sistema
finanziario.
3.
Il Market liquidity risk
La seconda forma in cui si manifesta il rischio di liquidità è rappresentato dal Market liquidity
risk, inteso come il rischio per una banca di non riuscire a smobilizzare una consistente
posizione in asset senza incorrere in una significativa perdita di valore dell’attività, con
ripercussioni sul prezzo di vendita, per motivi quali l’insufficiente profondità del mercato o
l’ingente mole posta in liquidazione4.
Elemento essenziale in quest’ambito è il bid-ask spread, ossia il differenziale tra il miglior
prezzo a cui un soggetto è disposto a vendere un titolo e il miglior prezzo a cui un altro
soggetto è disposto ad acquistarlo su un determinato mercato finanziario in condizioni
normali.
Le condizioni di vendita dipendono, dunque, dalle caratteristiche del mercato: in un
ambiente sufficientemente ampio, spesso e liquido, l’intermediario sarà in grado di
smobilizzare la propria posizione a un prezzo che non si discosterà eccessivamente dal valore
4
A. Resti, A. Sironi, Rischio e valore nelle banche. Misura, regolamentazione, gestione. Milano, EGEA, gennaio
2008 (1^ ed. 2005).
21
relativo; qualora non fossero verificate queste condizioni, risulterà più difficoltoso liquidare
quantitativi notevoli di attività senza andare incontro a un ampliamento del bid-ask spread.
Naturalmente risulta assai gravoso cercare di formulare ipotesi concernenti l’entità futura del
bid-ask spread in quanto esso si rende sostanzialmente dipendente in maniera crescente
dalla dimensione della posizione da dismettere e in maniera decrescente dalla profondità del
mercato.
Influiscono sulla sua formazione anche le preferenze dei consumatori e le relative variazioni,
le regole del mercato, le modalità di scambio con cui sono effettuate le compravendite.
4.
Misurazione dell’esposizione al rischio
Per definire con precisione il grado di esposizione dell’azienda nei confronti del rischio di
liquidità con riferimento alle posizioni detenute, esiste una serie di tecniche, ognuna delle
quali presenta la peculiarità di analizzare il rischio da uno specifico punto di vista. Le tecniche
in esame costituiscono modelli standard di misurazione del livello di rischio assunto e sono
utilizzate dalle imprese a fini puramente contabili e gestionali. Precedono, dunque,
l’intervento formale dell’Autorità di vigilanza, incaricata di determinare ufficialmente la
misura dell’esposizione al rischio di liquidità della banca.
4.1
Cash flow statement
Il Cash flow statement (rendiconto finanziario delle variazioni previste di liquidità) è un
documento finanziario allegato al bilancio d’esercizio che ha come obiettivo l’identificazione
delle variazioni intervenute nel corso dell’esercizio, tra stato patrimoniale iniziale e finale, al
fine di valutare l’andamento finanziario della gestione in termini di liquidità.
22
L’analisi investe dunque l’area operativa, di investimento e di finanziamento e prende in
considerazione gli ingressi e gli esborsi di liquidità e le loro cause, Il Cash flow statement è un
prospetto di enorme importanza poiché accresce la capacità informativa del bilancio,
determina la redditività a breve termine della società e ne evidenzia la situazione di solvibilità
e liquidità.
È regolato dall’International Accounting Standard 7.
4.2
Indice di liquidità
Il secondo metodo di valutazione dell’esposizione bancaria al rischio di liquidità è costituito
da un indice realizzato in modo da esprimere il gap esistente tra il valore degli asset in fase di
smobilizzo e le perdite potenziali derivanti dai limiti intrinseci a quest’operazione e cioè
l’entità del market liquidity risk. Definiamo l’indice di liquidità L:
dove:
L = indice di liquidità;
wi = peso in percentuale di ciascun asset sul portafoglio;
Pi* = prezzo ottenibile dalla banca alla fine del mese per la liquidazione sul mercato;
Pi = prezzo ottenibile immediatamente sul mercato.
L’indice è costruito sulla base di previsioni effettuate dalla banca e dunque presenta
affidabilità non assoluta.
23
4.3
Indici di bilancio
Gli indici di bilancio rappresentano strumenti essenziali per l’analisi finanziaria di un’impresa
e consentono di estrarre un flusso sintetico di informazioni che, collegate in modo razionale e
sistematico, permettono di interpretare accuratamente il bilancio.
Ai fini della nostra esposizione, assumono grande importanza gli indici di liquidità, che
illustrano la posizione della banca nei confronti di determinati fattori di rischio e il loro grado
di sensibilità al rischio di liquidità. Essi, inoltre, forniscono informazioni sulla capacità
dell’istituzione di adempiere agli obblighi contrattualmente assunti nei tempi previsti,
evitando di compromettere la propria struttura finanziaria mediante la realizzazione di nuovi
interventi sul mercato.
Di seguito sono forniti alcuni esempi.

Quick ratio
à
à
Questo indice consente di valutare il grado di liquidità di un’azienda in rapporto ai suoi
debiti correnti e deve assumere un valore prossimo all’unità. Le attività disponibili, infatti,
dovrebbero essere coperte da passività correnti per evitare situazioni quali: difficoltà di
rimborso dei debiti a breve termine; condizione di liquidità insufficiente; problemi di
reperimento di nuovi finanziamenti. Se il rapporto si allontana dall’unità, diminuisce la
garanzia quantitativa offerta dalle poste attive della banca ai crediti concessi da
finanziatori esterni.
24

Acid test
à
à
L’Acid test, aggiungendo i crediti commerciali al numeratore del Quick ratio, fornisce un
parametro di liquidità differita, così da prendere in considerazione i problemi di scarsa
liquidabilità del magazzino e la possibilità di incorrere in eventuali perdite.

Grado di dipendenza delle rimanenze
à
à
Con questo quoziente è possibile calcolare la quantità di rimanenze che risulta
indirettamente vincolata per la garanzia delle passività a breve termine non coperte
dalle attività definite sullo stesso orizzonte temporale.

Quoziente di copertura bancaria
Il rapporto individua la capacità della banca di rimborsare il capitale preso a prestito e
di pagare gli interessi maturati sullo stesso attraverso le risorse finanziarie generate
durante l’esercizio corrente, corrispondenti al margine operativo netto e alla quota di
ammortamenti di riferimento.
25
4.4
Financing gap
Il quarto metodo, chiamato Financing gap, presuppone alla sua base l’idea dell’esistenza di
una solida e costante componente di depositi bancari a copertura degli impieghi di capitale e
specialmente dei prestiti. Il Financing gap deriva dall’ammontare medio dei prestiti in
eccedenza rispetto all’importo medio dei depositi destinati:
Financing gap = prestiti medi - depositi medi
Un valore positivo rivelerebbe la presenza di un gap di liquidità da colmare attraverso
operazioni di funding.
Da ciò si deduce:
Financing gap = fondi presi a prestito – liquidità
In conclusione:
Financing gap + liquidità = fabbisogno di finanziamento
Valori elevati di gap finanziario implicano maggiore urgenza di rivolgersi al mercato dei
capitali per il reperimento di risorse finanziarie.
4.5
Maturity laddering
Il metodo chiamato Maturity laddering funge quale impostazione di calcolo della situazione
di liquidità della banca seguendo uno schema scadenzato su orizzonti temporali di ampiezza
diversa in modo da tracciare con precisione gli squilibri periodali dei flussi di cassa per ogni
fase e permettere alla banca di adottare i provvedimenti opportuni.
26
L’utilizzo di questo procedimento presuppone di individuare le scadenze di riferimento e le
poste molto liquide che, in caso di necessità, si prestano bene a essere smobilizzate sul
mercato in cambio di risorse finanziarie.
27
28
CAPITOLO DUE
LA CRISI FINANZIARIA E IL RISCHIO DI LIQUIDITA’
1.
Liquidity Management prima della crisi
La banca è sottoposta a un vincolo irrinunciabile di liquidità: deve essere in grado, in
qualunque momento, di far fronte agli obblighi di pagamento assunti, in modo tempestivo ed
economico; in altri termini, non deve essere compromessa in alcun modo la normale
operatività della sua struttura economica e finanziaria.
Per questo motivo è necessario che la banca mantenga una costante disponibilità di risorse
liquide destinate al bilanciamento dei flussi monetari in entrata e in uscita attraverso la
gestione corrente. La ricerca e il mantenimento di un’ordinata successione di movimenti
monetari rappresenta un obiettivo fondamentale dell’istituzione finanziaria e il motivo
principale dell’importanza attribuita alla gestione della liquidità.
Tuttavia, la condizione di liquidità deve essere garantita congiuntamente ad altre, a essa
complementari, rappresentate dallo stato di solvibilità e dal conseguimento di una redditività
soddisfacente. È richiesta dunque la capacità dell’intermediario di perseguire un determinato
equilibrio che investa l’area monetaria, l’area finanziaria e quella patrimoniale attraverso lo
sfruttamento del trade-off offerto dalle tre condizioni di operatività: il mantenimento di un
adeguato livello di liquidità; la capacità di essere solvibile in ogni momento sulla base agli
impegni assunti; l’ottenimento di una redditività appropriata in relazione all’attività svolta.
A questo proposito, la gestione monetaria si articola in due sezioni: la gestione della liquidità
ha il compito di apportare modifiche alla composizione degli elementi attivi e passivi figuranti
in bilancio, con lo scopo di raggiungere una stabilità di medio e lungo periodo; la gestione
della tesoreria, orientata al breve termine, si occupa di realizzare una compensazione
continua e istantanea dei flussi monetari in un’ottica di rapidità ed economicità.
29
Il processo di gestione della liquidità, prima dell’avvento della crisi finanziaria scoppiata nel
2007, era tradizionalmente svolto in base a due modalità, a seconda che si trattasse di gruppi
bancari operanti a livello nazionale, oppure di intermediari con rilevanza internazionale e
multi - valutaria e quindi con attività estesa a un gran numero di Paesi.
Nel primo caso vigeva il principio dell’accentramento operativo: l’impresa capogruppo
stabiliva le direttive in base a cui selezionare e applicare i criteri di misurazione del rischio di
liquidità, i provvedimenti atti a contrastarlo, i piani di emergenza, la struttura operativa di
medio e lungo periodo e le destinava alle singole unità da essa dipendenti.
Nel secondo caso si applicava un vero e proprio decentramento operativo: era attuato,
infatti, un processo di completa responsabilizzazione delle istituzioni del gruppo con l’intento
di renderle autonome e competenti a fronteggiare il rischio di liquidità.
Il quadro delineato contemplava livelli ridotti di complessità gestionale del rischio di liquidità,
particolarmente in ambito consolidato, analisi poco approfondite del rischio, tecniche di
misurazione non adeguate e ancorate a schemi di tipo stock-based, maggiore costo della
provvista a causa della mancata ottimizzazione delle risorse e dei cash flows interni. Inoltre,
vi era scarsa interazione tra le unità preposte alla gestione della tesoreria e quelle
responsabili della gestione della liquidità a più lungo termine, con conseguente mancato
sfruttamento delle sinergie positive tra le funzioni e perdite di efficienza e redditività.
Il sistema di svolgimento dell’attività d’intermediazione era basato sostanzialmente sul
modello tradizionale Originate to hold (Oth): le banche concedevano prestiti e mantenevano
il titolo in portafoglio fino alla scadenza; non esisteva un mercato in cui fosse possibile
negoziare il titolo.
Nel corso degli ultimi anni dal modello tradizionale Originate to hold (Oth) si è riscontrata
un’evoluzione a favore del modello Originate to distribute (Otd): ora le banche accordano
prestiti e hanno la possibilità di vendere successivamente l’attività sul mercato finanziario ad
altre istituzioni o investitori; la maggior parte di esse non è più disposta ad aspettare che il
titolo giunga a scadenza.
Nasce in questo modo il sistema di cartolarizzazione secondo cui le attività di un’impresa
sono cedute mediante l’emissione e il collocamento di obbligazioni: il credito è trasferito a
30
terzi e il suo rimborso dovrebbe garantire la restituzione del capitale e delle quote interessi
relative all’obbligazione. In caso di inesigibilità del credito, il compratore di titoli cartolarizzati
perde sia gli interessi sia il capitale versato.
Tuttavia, i mercati finanziari sono stati caratterizzati da un continuo progresso, culminato,
negli anni strettamente antecedenti la crisi, con la comparsa di strumenti finanziari nuovi e
sempre più sofisticati sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo, rendendo più
complessa l’attività operativa degli intermediari finanziari.
La costante evoluzione ha generato la compromissione del processo di percezione dei rischi
intrinseci all’attività finanziaria da parte delle istituzioni, con effetti negativi sulla natura e
sulla stima dell’esposizione al rischio di liquidità: le tecniche di misurazione e gestione si
presentavano superate e quindi non idonee all’impatto con i nuovi strumenti finanziari.
La crisi ha portato alla luce le debolezze di un sistema apparentemente solido e incrollabile:
non era diffusa una cultura di prevenzione del rischio da attuare mediante presidi qualitativi
a protezione del patrimonio bancario; erano assenti metodi adeguati alle complesse strutture
dei flussi di cassa dei nuovi strumenti, che non hanno ricevuto la considerazione e
l’attenzione necessarie; la transizione dal modello d’intermediazione Originate to hold (Oth)
al modello Originate to distribute (Otd), insieme al sorgere delle pratiche di securitization, ha
fatto in modo di focalizzare l’attenzione esclusivamente sull’aspetto del rischio di liquidità
attinente il market liquidity risk, tralasciando l’ambito essenziale del funding liquidity risk, a
causa dell’eccessiva fiducia nell’abbondante liquidità di cui godeva il mercato in quegli anni.
La crisi ha contribuito a enfatizzare l’esigenza di rinnovamento nell’implementazione dei
metodi di misurazione e gestione del rischio e a stimolare un nuovo approccio nei confronti
di strumenti finanziari complessi, nell’ottica di una diffusione più razionale ed equilibrata.
Il fattore che ha maggiormente contribuito al crollo del sistema finanziario è individuato nel
fallimento delle procedure d’implementazione degli stress test, utilizzati per la formulazione
di stime e previsioni circa l’impatto di future situazioni di tensione sull’intermediario. Le
simulazioni si sono rivelate incomplete e poco aderenti alla realtà dei fatti, come dimostrato
dalla crisi. Le cause sono da ricercare nell’utilizzo di dati storici e non aggiornati, nell’impiego
31
di ipotesi di scenari futuri non idonee, nella scelta ampiamente discrezionale dei fattori di
rischio da includere nelle prove di carico.
I grandi gruppi finanziari erano contrassegnati da grande eterogeneità e scarso
coordinamento per quanto riguarda il processo di effettuazione dei test ed era assente
qualsiasi operazione di controllo e supervisione da parte della capogruppo sui risultati e sulla
loro attuazione. I piani di emergenza non erano predisposti per affrontare situazioni di
tensione che si propagassero oltre le attese, a causa delle deficienze delle analisi di scenario
che non prendevano in considerazione orizzonti temporali sufficientemente lunghi nel
processo di simulazione. I risultati dei test non ricevevano adeguata attenzione e non veniva
dato loro seguito in termini di adozione di provvedimenti opportuni, come, ad esempio,
creazione di liquidity buffer prudenziali o processi di revisione dei limiti interni alla banca.
2.
La crisi finanziaria e il ruolo del rischio di liquidità
La crisi ha avuto origine negli Stati Uniti nel settore dei mutui subprime alla fine del 2006, ed
ha costituito il preludio alla fase di profonda tensione monetaria che ha investito il sistema
finanziario nella sua interezza.
L’economia statunitense aveva conosciuto un periodo di abbondante liquidità sui mercati e
tassi di interesse a livelli particolarmente bassi. A queste condizioni, e nella prospettiva
favorevole di una crescita costante dell’economia, le famiglie si mostrarono disposte a
indebitarsi oltre la loro capacità di rimborso. Nascono così i mutui subprime, finanziamenti
per l’acquisto di immobili concessi a soggetti che presentano scarse garanzie di rimborso.
L’elevato rischio circa la possibilità di recuperare l’importo del prestito è compensato da tassi
di interesse molto elevati.
Il ciclo economico procede apparentemente bene: le famiglie possono permettersi una casa
e le banche sottoscrivono contratti molto redditizi. Il sistema si autoalimenta attraverso la
richiesta continua di liquidità e la finanza trova il modo di reperirla con il sistema delle
cartolarizzazioni: le banche collocano sul mercato obbligazioni il cui rimborso è garantito
32
dagli stessi titoli sottostanti, i subprime. Da questa operazione hanno origine gli strumenti
ABS (Asset Backed Securities), CDO (Collateralized Debt Obligation) e CDS (Credit Default
Swap), che permettono alla banca di spacchettare i rischi e proporre sul mercato strumenti di
investimento a rendimento molto elevato.
La situazione non desta preoccupazione fino a quando le famiglie pagano regolarmente le
rate dei mutui. Ma la tendenza crescente dei tassi di interesse e le clausole aggiuntive
inserite successivamente nei mutui iniziano a generare problemi, cui fanno seguito le prime
manifestazioni di insolvenza: esplode la crisi, facendo crollare il castello di sabbia costruito
sull’accumulazione smisurata di rischi. La bolla immobiliare si sgonfia e i maggiori istituti
finanziari statunitensi si trovano alle prese con situazioni drammatiche: gli acquirenti delle
case non riescono a far fronte agli impegni di pagamento assunti e, costretti a vendere, non
recuperano quanto speso a causa della repentina caduta dei prezzi degli immobili.
La liquidità evapora improvvisamente dal mercato generando una diffusa crisi di fiducia delle
banche, che bloccano la corresponsione dei prestiti e paralizzano il mercato interbancario. La
situazione di tensione cresce in modo vertiginoso e si verificano i primi fallimenti eccellenti e
i primi episodi di salvataggio di compagnie finanziarie da parte delle Banche Centrali. La
carenza di liquidità si estende all’intero sistema finanziario e si trasferisce dalla finanza
all’economia reale, colpendo in modo particolare i consumatori finali dei servizi bancari, le
famiglie, e dando avvio alla fase di profonda recessione da cui il sistema finanziario ed
economico, al giorno d’oggi, ancora non riesce a risollevarsi del tutto5.
La crisi in questione presenta tutti gli aspetti tipici che gli economisti associano a una
circostanza di stress finanziario, intendendo per crisi “uno stato di profonda alterazione degli
equilibri economici, finanziari e patrimoniali, il cui superamento richiede interventi tempestivi
e mirati, correlati alle cause e alle forme della manifestazione”6.
Alcuni di questi elementi sono comuni a contesti di tensione finanziaria in generale; altri sono
correlati alla specificità della crisi degli ultimi anni.
Un segnale caratteristico di stress può essere rappresentato dall’aumento dell’incertezza tra
finanziatori e investitori sul valore fondamentale delle attività. Il valore effettivo di un asset
5
6
G. Chiellino, La crisi dei mercati dai mutui subprime al debito pubblico, in “Il Sole24Ore”, marzo 2009.
G. Boccuzzi: La crisi dell'impresa bancaria. Profili economici e giuridici, Giuffrè editore, 1998 - pag. 30.
33
coincide con il valore attuale dei flussi di cassa attesi futuri, quali quote interessi e dividendi:
incertezze a riguardo potrebbero causare oscillazioni circa il prezzo di mercato delle attività
in questione. Questo processo, a volte, si trasmette all’intero sistema finanziario provocando
perplessità in merito alle prospettive future dell’economia e spingendo gli investitori a essere
maggiormente insicuri circa le possibilità di liquidare il proprio asset sul mercato.
Altro indicatore di stress è ravvisato nella diminuzione di disponibilità, da parte degli agenti
economici, a detenere attività rischiose. Come diretta conseguenza, si verifica un improvviso
incremento del rendimento atteso da finanziatori e risparmiatori per acquistare attività
rischiose e diminuisce il premio atteso per il rischio delle attività sicure (flight-to-quality). Lo
spread tra questi due tipi di attività si stabilizza su valori superiori alla media rendendo più
dispendiosa la provvista di risorse liquide per i soggetti a maggior grado di rischio.
Gli operatori del mercato, in condizioni d’instabilità finanziaria, tendono, inoltre, a essere
meno disposti a trattenere o entrare in possesso di attività illiquide e si orientano all’acquisto
di attività maggiormente negoziabili (flight-to-liquidity), con l’effetto di aumentare il costo
del finanziamento per i soggetti emittenti attività illiquide. Le ragioni del fenomeno sono da
ricercare nella percezione di minore liquidità nei confronti di determinati asset oppure in una
richiesta eccezionale di risorse monetarie sul mercato da parte di alcune istituzioni.
Elementi peculiari della crisi finanziaria, iniziata dalla seconda metà del 2007, sono
individuabili nei seguenti fattori:

La grande quantità di liquidità presente sui mercati già da qualche anno, frutto della
politica monetaria espansiva portata avanti dalle banche centrali delle maggiori aree
economiche del mondo;

La propensione di alcuni grandi gruppi bancari internazionali a mantenere livelli di
leverage eccessivamente elevati;

La caratteristica di pro-ciclicità intrinseca al sistema finanziario, per cui la stretta
connessione intervenuta tra mercati finanziari ed economia reale fa in modo che le
fluttuazioni e i riflessi della finanza ne risultino amplificate.
34
A ciò contribuisce l’insieme di norme e regolamenti in materia d’intermediazione finanziaria
che impedisce l’accesso al finanziamento alle istituzioni richiedenti proprio nei momenti di
maggior fabbisogno.
Un altro fattore critico si è rivelato l’atteggiamento di Basilea II nei confronti dei rischi
sistemici che le banche sostengono nello svolgimento della loro attività: il regolamento
conduce nella direzione di una stabilità finanziaria applicata a livello di singola istituzione,
relegando a condizione riflessa la garanzia di robustezza e solidità del sistema nel
complesso7.
Per quanto attiene strettamente al rischio di liquidità, i mercati erano caratterizzati da una
costante sottovalutazione della loro determinazione effettiva e un gran numero di
intermediari fondava la propria operatività su un elevato disallineamento temporale tra
attività e passività, nella fiducia che l’enorme quantità di risorse liquide presente sui mercati
internazionali sarebbe stata sufficiente a coprire ogni tipo di fabbisogno monetario, anche in
situazioni di stress.
La crisi ha avuto l’effetto di demolire un sistema ricco di fragilità e di prospettare un nuovo
schema di orientamento nei confronti dei rischi insiti nell’attività bancaria, e in più presenta il
merito di aver indirizzato le pratiche di governo dei capitali finanziari in direzione di una
maggiore semplicità amministrativa e gestionale, oltre che di una trasparenza più accentuata
a vantaggio dei consumatori finali.
Tutto ciò ha un costo: aumenta il prezzo da pagare per ottenere capitali sul mercato e
diminuisce sensibilmente la capacità reddituale degli intermediari.
La nuova regolamentazione mira al raggiungimento di un più solido equilibrio patrimoniale
della struttura bancaria, in termini di composizione tra attivo e passivo, alla diminuzione del
mismatch temporale esistente tra passività e attività nei bilanci delle istituzioni e ad
abbassare il costo dei depositi in relazione alla provvista sul mercato.
Il ruolo assunto dalla crisi di liquidità ha confermato l’importanza acquisita dal sistema
finanziario all’interno dell’economia nel suo complesso.
7
cfr “Impatto della crisi e riflessioni sul futuro del sistema bancario italiano”, Dott. Fabio Panetta, in “Quale
banca dopo la crisi”, M. Lossani ‐ A. Baglioni ‐ E. Beccalli ‐ P. Bongini ‐ F. Panetta ‐ A. Sironi, Seminario “Bankin’ in
the rain, il sistema bancario in un mondo che cambia”, ASSB, 12 marzo 2009.
35
La semplice funzione di redistribuzione monetaria e compensazione di shock di liquidità tra
gli agenti economici è evoluta nel senso di una connessione profonda tra mercati finanziari
ed economia reale, nella realizzazione di un canale diretto di trasmissione e amplificazione
delle crisi finanziarie.
Nel contesto attuale, riveste grandissima considerazione il grado di rischiosità di un
investimento: un titolo rischioso sarà difficilmente liquidabile sul mercato; al contrario le
possibilità di vendere a condizioni normali un titolo sicuro saranno sicuramente maggiori.
Attraverso questo processo, un’economia può sperimentare fasi di forte scarsità di risorse
finanziarie e le imprese potrebbero trovarsi in condizione tali da non riuscire a fornire
l’adeguato supporto finanziario alle imprese e ai soggetti in deficit finanziario.
Le conseguenze principali di questo fenomeno sono da individuare nel credit crunch, ossia
nella tendenza delle banche a limitare la fuoriuscita di denaro contante nei confronti del
settore industriale e dei consumatori, per cui aumenta la richiesta di garanzie a fronte
dell’ottenimento di risorse liquide e sale il tasso di interesse sui prestiti; ciò induce il sistema
economico reale a una paralisi pressoché totale che coinvolge, in particolar modo, imprese e
famiglie.
È questa la situazione verificatasi agli albori della crisi finanziaria, quando una serie di
insolvenze nel settore immobiliare dei mutui subprime, insieme all’incertezza e alle difficoltà
nella definizione del valore dei nuovi strumenti derivati, ha dato il via a un problema
generalizzato di informazione asimmetrica.
Le banche non sono state più in grado di valutare il rischio di controparte di investitori e
risparmiatori, a causa della bassa qualità delle informazioni a disposizione e
dell’inadeguatezza delle loro strutture di risk measurement ad affrontare strumenti con
configurazioni dei flussi di cassa complesse, caratterizzati da poca trasparenza e scambiati su
mercati over the counter.
La carenza di informazioni affidabili ha fatto in modo che le istituzioni presenti sui mercati
internazionali cambiassero atteggiamento nei confronti dei soggetti con cui svolgevano le
loro transazioni, spostandosi da un equilibrio di tipo “normale” a uno con “inter-bank run”:
ogni banca, nel timore di non avere indietro il proprio denaro, rifiutava di prestare liquidità
36
ad altri intermediari e innescava la stessa reazione nelle controparti, determinando di fatto
una situazione di stallo.
Il prezzo del capitale era salito a livelli notevoli e rifletteva il merito dei soggetti peggiori,
penalizzando le istituzioni più virtuose e spingendole ad abbandonare il mercato 8.
È chiaro, dunque, come il sistema interbancario di depositi rappresenti una grande possibilità
di provvista per le istituzioni in fabbisogno di liquidità e allo stesso tempo un canale di
trasmissione diretta degli shock finanziari dal sistema finanziario all’economia reale.
3.
3.1
La regolamentazione al tempo della crisi
La disciplina internazionale
I frequenti episodi di tensione e stress finanziario che hanno colpito i mercati dei capitali
hanno posto l’accento sulla stringente necessità di una gestione oculata ed efficiente del
rischio di liquidità, al fine di garantire la solidità dei singoli intermediari e del sistema
finanziario ed economico in generale.
Numerosi organismi internazionali, già molti anni prima dell’inizio della recente crisi
finanziaria, hanno affrontato il problema attraverso la realizzazione di indagini sulle cause del
rischio di liquidità, le manifestazioni e le modalità di gestione, senza però giungere alla
formulazione di una normativa comune, fino ad allora demandata alla competenza delle
singole autorità nazionali.
Il primo documento a carattere collettivo, l’Accordo internazionale sul capitale delle banche
del 1988, non prendeva in considerazione il rischio di liquidità inerente l’attività bancaria.
8
Intervento Prof. Angelo Baglioni in “ Quale banca dopo la crisi”, M. Lossani ‐ A. Baglioni ‐ E. Beccalli ‐ P. Bongini
‐ F. Panetta ‐ A. Sironi, Seminario “Bankin’ in the rain, il sistema bancario in un mondo che cambia”, ASSB, 12
marzo 2009.
37
Nel 1992, il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria ha pubblicato un nuovo documento
in cui spiega come, nella sua attività di supervisione, grande attenzione è stata posta su una
migliore comprensione delle modalità con cui le maggiori banche affrontano il rischio di
liquidità a livello globale, nella convinzione che il controllo della liquidità sia più efficace se
basato su un dialogo continuo tra banca e autorità9.
Il documento ha valore di pura condivisone delle best practices internazionali e si propone di
assicurare standard minimi di gestione del rischio di liquidità nei principali gruppi bancari; è
prevista inoltre la possibilità che le Autorità di vigilanza di ogni Paese forniscano il loro
contributo a questo progetto.
Il Comitato di Basilea sottolinea l’importanza, per le banche, della definizione di una chiara e
articolata politica di funding, dell’implementazione di una valida struttura di liquidity
reporting e dell’utilizzo di sistemi informatici di ultima generazione adeguati alla mole di dati
da trattare. Raccomandazioni sono fornite anche in merito all’assetto di gestione del rischio,
alla strategia da applicare relativamente alle transazioni in valuta nazionale e in valuta estera,
alle pratiche di misurazione del fabbisogno di liquidità, alle tecniche di accesso al mercato e
di formulazione dei piani di emergenza con esplicito riferimento alle analisi di scenario.
Il documento ha ricevuto un aggiornamento nel 2000 attraverso la pubblicazione di 14
principi, con lo scopo di riqualificare le tecniche di gestione del rischio di liquidità in seguito
all’evoluzione nel frattempo intervenuta sui mercati finanziari in termini di strumenti e
norme.
Il regolamento presenta carattere divulgativo e rafforza il contenuto delle precedenti
disposizioni, con l’aggiunta di una sezione riguardante le norme in materia di informativa al
pubblico sulla situazione di liquidità dell’intermediario e sul ruolo dell’autorità di vigilanza,
nell’idea di una gestione più trasparente del rischio10.
9
Basel Committee on Banking Supervision: A Framework for Measuring and Managing Bank Liquidity, Bank for
International Settlement, Basel, 1992.
10
Basel Committee on Banking Supervision: Sound Practices for Managing Liquidity in Banking Organisations,
Bank for International Settlements, Basel, 2000.
38
Qualche anno più tardi, nel mese di Aprile 2003, il Comitato di Basilea per la vigilanza
bancaria emana un nuovo documento: The New Basel Capital Accord11, noto anche con
l’espressione “Basilea II”.
L’impianto regolamentare persegue l’obiettivo di innovare lo schema di calcolo dei requisiti
patrimoniali minimi, attraverso un più adatto ed efficace sistema di ponderazione, e si divide
in tre pilastri, con lo scopo di garantire la stabilità dei mercati finanziari.
Il primo pilastro contiene le istruzioni in materia di adeguatezza patrimoniale delle banche a
fronte dei rischi assunti nello svolgimento della loro attività. È introdotto un nuovo
coefficiente di solvibilità, comprensivo di rischio di credito, rischio di mercato e rischio
operativo.
Altra novità è rappresentata dall’introduzione di schemi di calcolo dei requisiti patrimoniali
basati fattori di ponderazione più sensibili ai rischi specifici presi in considerazione.
Il secondo pilastro è incentrato sulla funzione di controllo svolta dalle autorità di supervisione
in merito all’adeguatezza patrimoniale, in aggiunta ai requisiti minimi di capitale richiesti.
La disciplina prevede, in ottemperanza al principio per cui la liquidità è condizione essenziale
per l’esercizio dell’attività bancaria, l’adozione di adeguati sistemi di misurazione,
monitoraggio e controllo del rischio di liquidità da parte degli intermediari stessi. L’idoneità
del capitale della banca in relazione alla sua situazione di liquidità, e a quella del mercato in
generale, è analizzata dalle autorità di vigilanza alla luce della maggiore discrezionalità di
valutazione loro concessa dal nuovo accordo.
Il terzo pilastro si occupa di disciplina di mercato e trasparenza informativa: è richiesto alle
banche di rendere noti, per ciascun ambito di rischio, gli obiettivi perseguiti congiuntamente
ai processi strategici posti in atto, alla struttura organizzativa predisposta, ai metodi di
segnalazione e misurazione del rischio approntati e alle politiche di copertura dello stesso,
senza però obbligo di fornire informazioni dettagliate sul rischio di liquidità; è assegnata
infatti alle autorità di vigilanza la facoltà di esigere eventuali ulteriori informazioni12.
11
Basel Committee on Banking Supervision: The New Basel Capital Accord, Bank for International Settlements,
Basel, 2003.
12
A. Saunders - M. Millon Cornett - M. Anolli - B. Alemanni, Regolamentazione delle Banche, Economia degli
intermediari finanziari, McGraw-Hill, 2011.
39
Nel 2006 sono stati diffusi i risultati di uno studio condotto in modo congiunto dal Comitato
di Basilea per la vigilanza bancaria, IAIS (International Association of Insurance Supervisors) e
IOSCO (International Organisation of Securities Commissions), sul problema del Liquidity Risk
Management approfondito nell’ambito dei gruppi finanziari che svolgono prevalentemente
attività bancaria, assicurativa o di intermediazione.
Il rapporto, dal titolo “La gestione del rischio di liquidità nei gruppi finanziari”, ha lo scopo di
proporre norme non prescrittive e, quindi, senza obbligo di applicazione nell’ambito dei
contesti nazionali13.
Nello stesso anno, è intervenuta la direttiva europea 2006/48/CE in regolamentazione dei
requisiti patrimoniali delle banche, stabilendo l’obbligo, in armonia con Basilea II, di precisare
procedure e strategie di gestione del rischio di liquidità. Il legislatore si è soffermato sulle
tecniche di monitoraggio e sull’obbligo di predisporre piani di emergenza adeguati alle
situazioni di stress.
Un anno più tardi, il CEBS (Committee of European Banking Supervisors) è stato impegnato
nell’elaborazione di un parere tecnico, su indicazione della Commissione Europea, in merito
al grado di armonizzazione delle norme di vigilanza attinenti il rischio di liquidità nei vari
Paesi membri dell’Unione14.
I punti di interesse sono notevoli, tra cui ricordiamo i fattori che possono influenzare la
gestione del rischio, la connessione tra funding liquidity risk e market liquidity risk, il ruolo
dei sistemi di pagamento in tempo reale sulla generazione del rischio, l’utilizzo di sistemi
interni di misurazione da parte delle banche, le procedure di valutazione e assegnazione di
rating da parte delle agenzie specializzate.
Ne è derivato un quadro molto articolato: non sono presenti standard comuni nelle varie
realtà economiche, con particolare riferimento ai Paesi di recente ingresso nell’Unione
Europea. Alcune autorità di vigilanza utilizzano metodi quantitativi a presidio del rischio di
13
The Joint Forum – Basel Committee on Banking Supervision, International Organisation of Securities
Commissions e International Association of Insurance Supervisors: The Management of Liquidity Risk in
Financial Groups, Bank for International Settlements, Basel, 2006.
14
Committee of European Banking Supervisors: First Part of CEBS’S Technical Advice to the European
Commission on Liquidity Risk Management, August, 2007. Committee of European Banking Supervisors: Second
Part of CEBS’S Technical Advice to the European Commission on Liquidity Risk Management, September, 2008.
40
liquidità, mentre altre si affidano a buffer di tipo qualitativo, nella convinzione, sempre più
diffusa nel panorama internazionale, che questo rischio non possa essere coperto da requisiti
patrimoniali, in quanto impatta su tali equilibri esclusivamente in via indiretta15.
Il concetto è stato ribadito e confermato da una verifica del Comitato di Basilea per la
vigilanza bancaria del 2008, in cui si raccomanda alle autorità nazionali di prescrivere l’utilizzo
di metodi di misurazione e controllo efficaci contro il rischio di liquidità, in modo da
mantenere un cuscinetto di asset liquidi di alta qualità a garanzia di situazioni di stress
contingenti16.
La crisi ha infine mostrato la totale inadeguatezza di dotazioni patrimoniali o incrementi di
capitale nella risposta al suddetto rischio: il funding liquidity risk, infatti, si differenzia dalle
altre tipologie di rischio proprie dell’attività bancaria per la sua caratteristica di manifestarsi
non attraverso la generazione di perdite economiche per l’impresa, bensì provocando uno
squilibrio temporaneo nella successione prevista dei cash flow in entrata e in uscita. Per
questa ragione, non è possibile fronteggiarlo mediante l’apporto di capitale da parte degli
azionisti, come avviene nei tradizionali casi di perdite, e l’unica soluzione valida è
rappresentata dalla disponibilità di attività liquide o facilmente liquidabili sul mercato, in
attuazione delle disposizioni di un efficiente piano di emergenza.
3.2
La normativa nazionale
All’interno dei confini nazionali, il recepimento delle disposizioni emanate a livello europeo è
affidato al lavoro delle autorità di vigilanza, cui compete di adattare la materia alla specifica
realtà economica e finanziaria attraverso l’imposizione di norme regolamentari dirette alle
istituzioni finanziarie.
15
A.M. Tarantola: Crisi di liquidità e futuro dei mercati. Aspetti operativi e regolamentari, Congresso Aiaf,
Assiom, Atic Forex, Bari, 18 gennaio 2008.
16
Basel Committee on Banking Supervision: Liquidity Risk. Management and Supervisory Challenges, Bank for
International Settlements, Basel, 2008.
41
Nel nostro paese, la Banca d’Italia ha provveduto alla pubblicazione di un documento,
“Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche”, in attuazione della direttiva
europea 2006/48/CE, con cui s’individua il rischio di liquidità nell’ambito del secondo pilastro
di Basilea II, senza che venga menzionato in sede di calcolo dei requisiti patrimoniali17.
Il secondo pilastro dell’accordo, come già riferito nel paragrafo precedente, attiene il
processo di controllo prudenziale e presenta una suddivisione in due fasi, tra loro
strettamente correlate: la prima va sotto il nome di ICAAP (Internal Capital Adequacy
Assessment Process) e concerne la valutazione, in ottica presente e futura, dell’intermediario
sulla sua adeguatezza patrimoniale, quale risulta dai metodi applicati alla sua struttura in
relazione ai rischi e alla strategia applicata. Il processo si compone di quattro punti:
1) Individuazione dei rischi da sottoporre a valutazione;
2) Misurazione e valutazione dei singoli rischi e definizione del capitale interno a
garanzia;
3) Misurazione del capitale interno totale in relazione alla generalità dei rischi
sopportati;
4) Determinazione del capitale complessivo e riconciliazione con il patrimonio di
vigilanza18.
Le banche sono, dunque, tenute a prendere in considerazione non solo i rischi necessari al
calcolo dei requisiti patrimoniali, bensì anche quelli non contemplati in tale calcolo: tra questi
grande importanza riveste il rischio di liquidità.
La seconda fase del controllo prudenziale è costituita dalla procedura di revisione e
valutazione prudenziale o SREP (Supervisory Review and Evaluation Process), con cui si
conferisce alle autorità di controllo il potere di analizzare il sistema interno di valutazione
delle banche ed eventualmente adottare misure correttive, qualora fossero riscontrate
irregolarità o imprecisioni.
17
Banca d’Italia: Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche, Circolare n. 263 del 27 dicembre
2006, 2° aggiornamento del 17 marzo 2008, Roma, 2008.
18
R. Ruozi - P. Ferrari, Il rischio di liquidità nelle banche: aspetti economici e profili regolamentari, Università
degli Studi di Brescia, febbraio 2009.
42
La normativa in oggetto prevede la distinzione degli intermediari finanziari in tre classi, nel
rispetto di un principio di proporzionalità, in base al quale la regolamentazione è applicata in
base alle caratteristiche proprie delle imprese, quali dimensione, complessità organizzativa,
capitale proprio.
La “classe 1” include banche e gruppi bancari in possesso dell’autorizzazione a impiegare
sistemi di valutazione basati su metodi interni per quanto riguarda la definizione dei requisiti
patrimoniali; nella “classe 2” sono inclusi i soggetti che applicano metodologie standardizzate
con un totale dell’attivo, individuale o consolidato, superiore a 3,5 miliardi di euro; la “classe
3” contempla banche e gruppi bancari presso cui sono utilizzate metodologie standardizzate
con un totale dell’attivo, rispettivamente individuale o consolidato, inferiore o pari a 3,5
miliardi di euro.
Le disposizioni della Banca d’Italia, riguardanti il rischio di liquidità e le misure da predisporre
per affrontarlo e monitorarlo, sono comuni alle tre classi; cambiamenti intervengono in
merito al livello di dettaglio delle tecniche applicate da ciascuna classe di intermediari per la
valutazione del rischio, alle modalità di allestimento delle analisi di scenario, all’assetto
organizzativo dei sistemi di controllo e alla tipologia di rendicontazione richiesta19.
Le banche, cui si fa riferimento nella “classe 1”, sono tenute a utilizzare modelli di
misurazione e controllo del rischio di liquidità che vadano oltre le linee guida emanate
dall’autorità di vigilanza: a esse è concessa la possibilità di sperimentare modelli costruiti
internamente da migliorare nel tempo.
Per i soggetti menzionati nella “classe 2”, la normativa richiede semplicemente la naturale
applicazione delle direttive alla propria operatività finanziaria. Per quelli della “classe 3”, è
prevista l’osservanza elementare dei principi dettati.
La normativa dettata dalla Banca d’Italia si fonda su un presidio di tipo qualitativo a
protezione del capitale e prevede l’implementazione di una serie di misure.
Come prima cosa la banca deve sviluppare una matrice di scadenze, più propriamente detta
“maturity ladder”, in base alla quale delineare lo scenario dei flussi di cassa attesi. Lo schema,
già illustrato nel capitolo uno, permette di evidenziare il mismatch temporale tra flussi
19
Banca d’Italia: Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche, Circolare n. 263 del 27 dicembre
2006, 2° aggiornamento del 17 marzo 2008, Roma, 2008, allegato D.
43
monetari in uscita e flussi monetari in entrata, e quindi di calcolare il gap finanziario
periodale e quello cumulato, in modo che la banca riconosca la sua situazione di fabbisogno
finanziario e sia in grado di adottare tempestivamente i provvedimenti necessari.
Nell’utilizzo del metodo, ogni istituzione sarà tenuta a definire l’orizzonte temporale di
riferimento prescelto, le poste molto liquide, presenti nel suo bilancio, facilmente utilizzabili
in casi di emergenza e i flussi derivanti dagli impegni fuori bilancio da sottoporre a
modellizzazione.
In secondo luogo, è prevista la realizzazione di analisi di scenario, che simulano il verificarsi di
determinati contesti di tensione finanziaria e ne quantificano l’impatto sulla banca, tenendo
anche conto della operatività multi valutaria dell’intermediario.
Scopo dei test è l’implementazione del contingency funding plan: esso dovrà contenere tutte
le misure da applicare in caso di crisi di liquidità e le fonti cui rivolgersi per reperire capitale;
rappresenta dunque lo strumento di protezione della banca nei confronti di difficoltà
monetarie in situazioni di normale operatività, di tensione di liquidità specifica
dell’intermediario e di crisi generalizzata del sistema.
Il processo è rafforzato dall’analisi effettuata dall’autorità di vigilanza sul sistema di controllo
interno della banca (SREP), come riportato dalle disposizioni contenute nel “secondo
pilastro” dell’accordo di Basilea II. L’esame della liquidità è effettuato attraverso la
comparazione delle poste attive e passive del bilancio bancario, a partire da quelle con
scadenza a vista fino a giungere a quelle con termine annuale, con l’intento di valutare
l’equilibrio dei cash flows attesi della struttura bancaria e la sua idoneità a prevenire crisi di
liquidità.
La normativa applicata in Italia comprende anche una parte aggiuntiva rispetto a quella
europea, prevedendo degli obblighi di disclosure da parte degli intermediari sulla propria
situazione di liquidità. In sostanza, siamo di fronte ad un’estensione delle disposizioni dettate
dal “terzo pilastro” di Basilea II, integrate dalla richiesta di schemi di riassunto in cui le
banche forniscono un maggior numero di informazioni di carattere sia qualitativo sia
quantitativo sul rischio di liquidità, con lo scopo di rendere edotti gli operatori economici in
44
sede di valutazione della solidità patrimoniale e dell’esposizione ai rischi delle istituzioni
finanziarie.
La disciplina emanata dalla Banca d’Italia coinvolge i bilanci bancari e contempla
l’inserimento, nella nota integrativa, di una parte aggiuntiva (parte E) dedicata alle
“Informazioni sui rischi e sulle relative politiche di copertura”, la cui “sezione 3” tratta
specificamente informazioni quali - quantitative dedicate al rischio di liquidità. Le
informazioni qualitative illustrano le maggiori fonti di rischio, la politica di gestione attuata
dalla banca e l’assetto organizzativo predisposto al controllo, oltre che i sistemi di
misurazione impiegati. I dati quantitativi riguardano aspetti peculiari delle poste di bilancio di
grande interesse nella generazione del rischio.
45
46
CAPITOLO TRE
UNA RISPOSTA ALLA CRISI: BASILEA III
1.
Basel III: International framework for liquidity risk measurement,
standards and monitoring
1.1
Il passaggio da Basilea II a Basilea III
La profonda crisi, scoppiata nell’estate del 2007, che ha colpito in modo devastante i mercati
finanziari internazionali e l’economia reale, ha posto in evidenza la stringente necessità di
una completa revisione del sistema di regolamentazione.
A livello globale, il sistema regolamentare inerente l’attività bancaria e la gestione dei rischi
non è stato in grado di scongiurare il pericolo di crisi sistemiche né di attenuare, almeno
parzialmente, gli effetti da queste derivanti. In particolare, la normativa di vigilanza
prudenziale allora vigente, conosciuta come Basilea II è stata identificata come una della
cause principali che hanno portato allo scoppio della crisi e al propagarsi dei suoi effetti
all’economia reale.
In realtà, Basilea II e il suo sistema di requisiti patrimoniali imposti alle banche costituiva un
valido impianto regolamentare e ha prodotto effetti positivi fino allo scoppio della crisi. La
ragione per cui ci troviamo nella situazione attuale è da ricercare in una serie di fattori
intervenuti sul mercato finanziario negli anni immediatamente precedenti la crisi finanziaria.
Essi possono essere individuati nell’eccessiva fiducia delle banche circa il buon andamento
del mercato, nella smisurata assunzione di rischi derivanti dall’operatività nel settore dei
mutui subprime e nella valutazione errata della rischiosità delle attività in portafoglio. Inoltre,
47
le Autorità di vigilanza statunitensi non esercitavano un controllo severo ed efficace
sull’attività finanziaria condotta dagli intermediari operanti sotto la loro giurisdizione.
La normativa di Basilea II, dunque, non può essere considerata responsabile della recente
crisi finanziaria: se non ci fosse stata le istituzioni bancarie sarebbero fallite molto tempo
prima e le dimensioni della tensione monetaria sarebbero state maggiori. Al contrario, il
requisito patrimoniale imposto dall’Accordo si è rivelato troppo sottile per salvaguardare un
sistema finanziario in rapida espansione.
L’Accordo, approvato nel giugno 2004 ed entrato definitivamente a regime dal gennaio 2008,
era stato concepito con l’intento di non discostarsi troppo dalle precedenti disposizioni e
prevedeva un esteso periodo di uniformazione fra i Paesi firmatari.
Per di più, la sua applicazione non aveva ricevuto la necessaria omogeneità: gli Stati Uniti,
origine della crisi e centro di propagazione degli effetti recessivi, si sono mostrati alquanto
riluttanti verso una disciplina molto più rigorosa del tradizionale ordinamento riservato agli
intermediari finanziari operanti nel loro territorio, e hanno limitato l’adozione dei nuovi
provvedimenti a un ambito ristretto del settore. Non a caso, tre dei più eloquenti episodi di
dissesto bancario, verificatisi a monte della crisi, hanno riguardato istituzioni finanziarie di
grande rilievo internazionale, quali Lehman Brothers, Northern Rock e Bear Stearns, che non
facevano uso dei principi regolatori di Basilea II.
Potrebbe, dunque, risultare assai semplicistico imputare a un impianto normativo in via di
sviluppo, e ancora in fase di applicazione, le responsabilità di un evento dalla genesi molto
più complessa.
Le uniche mancanze, eventualmente riconducibili all’operato del Comitato per la vigilanza
bancaria e al risultato del suo lavoro, potrebbero essere rintracciate nella tempistica di
produzione e pubblicazione dell’Accordo di Basilea II, che poteva essere approvato e reso
operativo con largo anticipo rispetto a quanto avvenuto, anche alla luce dell’accresciuta
complessità dei mercati finanziari, dovuta alla comparsa di nuovi e articolati strumenti
finanziari.
48
In questo modo gli operatori finanziari avrebbero dovuto dotarsi tempestivamente di
tecniche efficaci di misurazione e monitoraggio del rischio, con cui contrastare a monte
l’insorgere di situazioni di difficoltà soggettive e sistemiche.
In aggiunta, Basilea II limita la trattazione di alcuni rischi bancari, tra cui il rischio di liquidità,
a un livello meramente qualitativo, senza giungere a prescrizioni regolamentari di tipo
quantitativo.
Il Comitato per la vigilanza bancaria, preso atto del problematico contesto di difficoltà e
incertezza, ha provveduto, attraverso l’intensificazione della sua continua attività di
consultazione ed elaborazione di proposte, alla stipulazione di un nuovo Accordo
regolamentare, nell’ottica di un incremento dell’affidabilità delle singole banche e dell’intero
sistema, e della promozione di un equilibrio solido tra progresso finanziario e crescita
sostenibile. Basilea III, approvato il 12 settembre 2010 dal Comitato ei Governatori delle
Banche Centrali ed entrato in vigore l’1 gennaio 2013, si propone, in seguito al
sopraggiungere della crisi, di ridefinire gli aspetti fondamentali della struttura normativa
vigente e di sviluppare un sistema finanziario più prudente, capace ad affrontare le crisi da
una posizione di maggiore solidità20.
1.2
Obiettivi della nuova disciplina
Il nuovo accordo sul capitale, conosciuto con il nome di Basilea III, costituisce un contributo
fondamentale in direzione di una maggiore stabilità del mercato, da conseguire mediante la
prescrizione di più severi requisiti patrimoniali.
Il tema centrale affrontato dall’impianto regolamentare è quello trattato anche nelle
precedenti convenzioni, ovvero la quantificazione di un livello minimo di patrimonio che le
banche devono detenere a fronte dei rischi assunti. Alle banche viene richiesto di soddisfare
20
Carosio G.: La riforma delle regole prudenziali, Associazione Bancaria Italiana, in “Basilea 3: Banche e imprese
verso il 2012”, intervento del 4 maggio 2010, Roma.
49
un requisito patrimoniale a fronte delle perdite inattese che possono sorgere dall’attività
finanziaria.
Il Comitato per la vigilanza bancaria ha lavorato alla ricerca di una soluzione ai diffusi
problemi interpretativi e valutativi dei rischi, arrivando a deliberare norme più stringenti per
la definizione del “patrimonio di vigilanza”: il presidio patrimoniale dovrà essere realmente
solido e gli intermediari saranno tenuti a utilizzare maggiore prudenza nelle operazioni di
previsione di perdite future attese e inattese, da realizzare mediante tecniche rinnovate e più
efficienti.
Le autorità di supervisione saranno dotate di maggiori poteri, in termini di controllo e
monitoraggio del rischio e della sua gestione da parte dei soggetti in esame, con facoltà di
intervenire qualora la situazione patrimoniale di questi ultimi lo richiedesse.
Basilea III riserva particolare attenzione al rischio di liquidità, identificato come una delle
maggiori cause dell’attuale condizione di stress finanziario, alla luce della grave tensione di
liquidità sui mercati internazionali che, a partire dall’estate del 2007, ha costituito la prima
fase di quella crisi, poi allargatasi fino a coinvolgere l’economia reale.
Con l’intenzione di evitare che le Banche Centrali siano di nuovo costrette a immettere
grandi volumi di risorse monetarie nel sistema, agli intermediari finanziari sarà richiesto di
osservare nuove condizioni di equilibrio patrimoniale e finanziario, sia di breve sia di medio
termine; dovranno, inoltre, fare in modo di accantonare maggiori quantità di capitale nei
periodi di espansione, da utilizzare in caso di futuri fabbisogni di liquidità.
Ciò potrebbe contribuire a mitigare la pro – ciclicità del sistema regolamentare che
rappresenta la tendenza del mercato ad accentuare gli effetti negativi delle dinamiche
contingenti21.
La normativa prudenziale presenta, dunque, l’obiettivo principale di perseguire la stabilità
dell’intero sistema finanziario e di migliorare la gestione del rischio da parte delle banche,
21
Banca dei Regolamenti Internazionali: Basilea 3: schema internazionale per la misurazione, la
regolamentazione e il monitoraggio del rischio di liquidità, Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria dicembre 2010.
50
nell’ottica di scongiurare il pericolo di nuove crisi sistemiche, attraverso l’armonizzazione
della vigilanza bancaria internazionale22.
Basilea III prevede un lungo periodo di armonizzazione, che si estende dalla data di entrata in
vigore, 1 gennaio 2013, fino alla data di applicazione completa ed effettiva, 1 gennaio 2019.
Ciò dovrebbe permettere agli intermediari finanziari di assimilare gradualmente le nuove
disposizioni regolamentari, senza che sia pregiudicata la loro normale attività operativa, e di
fungere da mediatori tra il corpus di norme e il sistema finanziario ed economico in generale,
rappresentato da unità familiari e soggetti imprenditoriali.
2.
2.1
Nuovi profili regolamentari
Regole, standard e requisiti
Il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria, stimolato dagli eventi successivi la recente
crisi finanziaria, ha accelerato la sua attività di ricerca e di elaborazione di decisioni
attraverso la realizzazione di una serie di opere consultive e a carattere quantitativo.
Infatti, a partire da aprile 2008, sono stati pubblicati, dapprima, un pacchetto di proposte di
revisione circa gli aspetti essenziali di Basilea 2, la disciplina prudenziale in vigore all’epoca; di
seguito, il Comitato ha formalizzato tali proposte in un documento consultivo, diffondendo
tra gli operatori le norme destinate a rafforzare il sistema finanziario e il trattamento
prudenziale dei rischi, oltre che a regolare alcune operazioni di finanza innovativa23.
Il Comitato per la vigilanza bancaria ha inteso, così, porre rimedio alle debolezze manifestate
da Basilea 2, riconducibili ad alcuni aspetti essenziali della regolazione del settore finanziario:
22
Capire la finanza: Gli Accordi di Basilea sulla vigilanza bancaria - Fondazione Culturale Responsabilità Etica
Onlus.
23
G. De Martino, N. di Iasio, A. Generale e A. Pilati: La riforma regolamentare proposta dal Comitato di Basilea:
una visione d’insieme - Contributi Bancaria n.2/2010.
51
Il volume richiesto di capitale di alta qualità si è rivelato insufficiente;
Le banche hanno continuato a far uso eccessivo della leva finanziaria;
La trasformazione delle scadenze si basava su gap temporali prolungati oltremisura;
La quantità di risorse liquide detenute era inadeguata ai fabbisogni di breve periodo;
I rischi propri dell’attività finanziaria erano gestiti in modo inadeguato e l’esposizione
a rischi comuni e al rischio sistemico era particolarmente alta;
Le banche effettuavano accantonamenti prudenziali non correlati alle eventuali
future manifestazioni monetarie24.
La pubblicazione di Basilea III e la sua approvazione da parte del Consiglio dei
Governatori delle Banche Centrali, nel settembre 2012, e dal vertice mondiale del G20
all’incirca due mesi dopo, nonché l’entrata in vigore, a partire dall’1 gennaio 2013,
precede la divulgazione dei risultati di uno studio a carattere quantitativo (Quantitative
Impact Study, QIS), condotto dal Comitato per la vigilanza bancaria per valutare la
portata degli effetti che l’entrata a regime effettiva di Basilea 3 produrrà sul sistema
finanziario ed economico in generale.
Il rapporto, realizzato anche grazie al contributo dei soggetti istituzionali che hanno
fornito quantità rilevanti di informazioni, ha permesso di analizzare l’impatto delle
nuove norme sui bilanci bancari e sullo svolgimento dell’ordinaria attività operativa da
parte delle banche, oltre che sulla compatibilità delle recenti disposizioni con quelle già
operanti25.
Basilea 3 presenta, inoltre, il grande vantaggio di una ratifica internazionale, come
testimonia l’approvazione da parte dei leader mondiali del G20, e quindi il beneficio di
una futura applicazione con un alto grado di uniformazione a livello globale, anche da
parte di quei Paesi che, per caratteristiche interne al proprio sistema finanziario o per
avversione a una legislazione più restrittiva, si sono mostrati riluttanti ad assimilare e
applicare i principi contenuti nei precedenti accordi formulati dal comitato.
24
Banca dei Regolamenti Internazionali: La risposta del Comitato di Basilea alla crisi finanziaria: rapporto al
G20, ottobre 2010.
25
Financial Services Authority, A regulatory response to the global banking crisis: systemically important banks
and assessing the cumulative impact, 2009, Turner Review Conference Discussion Paper, 09/4.
52
Le innovazioni apportate da Basilea 3 riguardano:
Il patrimonio di base26, richiesto dalle autorità di vigilanza, e in particolare il
“common equity”27 del Tier 1, il cui requisito minimo scorrerà dalla soglia attuale del
2% fino a un livello del 4,50%, calcolato relativamente alle attività ponderate per il
rischio28;
La porzione di Tier 1, che sale a un requisito del 6%, dal 4% precedente;
L’eliminazione del Tier 3, in precedenza composto di elementi di bassa qualità, dal
concorso alla formazione del requisito;
L’introduzione di un buffer quantitativo di capitale, con la funzione di garantire una
riserva liquida permanente cui la banca può attingere in situazioni di necessità
contingente;
L’introduzione di un buffer anticiclico patrimoniale, in modo che le banche
accumulino risorse di capitale in periodi di espansione economica e finanziaria, da
utilizzare in caso di crisi;
La limitazione nella distribuzione degli utili, da parte delle società, nei casi in cui le
quantità di capitale detenute siano prossime alle soglie richieste;
26
Il patrimonio di base (Tier 1) risulta dalla composizione di capitale azionario proprio e riserve di bilancio
costituite da utili non distribuiti al netto delle imposte.
27
Il common equity è ottenuto dalla somma di capitale sociale e riserve provenienti da utili non distribuiti.
28
Banca dei Regolamenti Internazionali: Basilea 3: schema internazionale per la misurazione, la
regolamentazione e il monitoraggio del rischio di liquidità, Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria dicembre 2010.
53
Fonte: Bank of International Settlements.
(Nella tabella è riportato lo schema di calcolo dei requisiti patrimoniali e di liquidità introdotti
dall’Accordo di Basilea III. Le aree ombreggiate sono da riferirsi a periodi di transizione
nell’applicazione della normativa)
L’incremento dei requisiti richiesti per fronteggiare il rischio di controparte,
particolarmente in operazioni di finanza innovativa, quali cartolarizzazioni,
ricartolarizzazioni e derivati OTC;
L’innalzamento dei criteri di eligibilità e dei ratios minimi di capitale;
L’istituzione di un leverage ratio, con l’intento di contenere l’utilizzo della leva
finanziaria da parte degli operatori economici e finanziari in situazioni di crescita,
determinato a prescindere dal concetto di rischio;
L’affermazione di nuovi standard di governance;
54
La notevole attenzione riservata al problema della liquidità, attraverso il
concepimento di due indicatori di importanza fondamentale per la gestione
monetaria di breve e lungo periodo29.
Gli indicatori in questione, per l’applicazione e definizione dei quali è previsto un preventivo
periodo di osservazione, prendono il nome di liquidity coverage ratio (LCR) e net stable
funding ratio (NSFR): il primo quantifica la capacità della banca di resistere a stress di
liquidità relativi al breve periodo; il secondo mira a evitare che si producano squilibri di lungo
periodo nella composizione di poste attive e passive del bilancio.
Il liquidity coverage ratio entrerà in vigore a partire dall’1 gennaio 2015, mentre il net stable
funding ratio ha possibilità di entrare in funzione entro l’1 gennaio 2018.
In sostanza, Basilea 3 si presenta come uno schema di rafforzamento dei requisiti
patrimoniali delle istituzioni finanziarie a livello globale, da realizzare mediante
l’armonizzazione delle procedure di controllo e monitoraggio dei rischi da parte delle autorità
di vigilanza.
Il documento costituisce la parte centrale di un programma di riforme molto più ampio
coordinato dal Financial Stability Board, fondato sulla creazione di requisiti di capitale,
efficaci dal punto di vista quantitativo e qualitativo.
Gli approcci di vigilanza abbracciano sia la regolamentazione microprudenziale sia quella
macroprudenziale: con la prima si fa riferimento alla disciplina da applicare in merito alle
singole istituzioni operanti sul mercato; la seconda, invece, s’innalza al livello dell’intero
sistema finanziario, con lo scopo di attenuare l’accumulazione di rischio sistemico e
rafforzare la tenuta del settore bancario30.
Per ottenere il pieno conseguimento degli obiettivi perseguiti dal Comitato per la vigilanza
bancaria con la realizzazione dell’impianto normativo, è necessario che, accanto alla corretta
applicazione delle disposizioni emanate, sia svolta un’efficiente attività di supervisione da
parte delle autorità predisposte e si realizzi una cooperazione internazionale nei settori
29
Banca dei Regolamenti Internazionali: Basilea 3: schema internazionale per la misurazione, la
regolamentazione e il monitoraggio del rischio di liquidità, Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria dicembre 2010.
30
Banca dei Regolamenti Internazionali: La risposta del Comitato di Basilea alla crisi finanziaria: rapporto al
G20; ottobre 2010.
55
dell’economia e della finanza, con l’intento comune di perseguire la stabilità finanziaria del
sistema e una crescita economica sostenibile.
2.2
Riforme di carattere microprudenziale
Le misure apportate da Basilea 3 in ambito microprudenziale sono da considerare nell’ottica
di un rafforzamento della regolamentazione prudenziale vigente in termini di patrimonio di
vigilanza, gestione del rischio e riserve di liquidità31.
2.2.1
Patrimonio
Per quanto riguarda il primo aspetto, la crisi finanziaria ha avuto la funzione di rendere
manifesta la totale inadeguatezza del volume di patrimonio di alta qualità di cui disponevano
le banche per fronteggiare i rischi dell’attività finanziaria.
Il Comitato di Basilea, nella convinzione che la disponibilità di capitale di elevata qualità
rappresenti l’unico strumento in grado di assorbire le perdite operative, ha ritenuto
necessario adottare misure più restrittive, in modo da dotare le banche di quantità maggiori
e più consistenti di patrimonio di vigilanza.
La normativa vigente in precedenza prevedeva, infatti, la suddivisione del patrimonio
regolamentare in due classi ben distinte: il “Tier 1”, comprensivo di capitale azionario proprio
e riserve di bilancio risultanti da utili non distribuiti; il “Tier 2”, o patrimonio supplementare,
composto di ulteriori elementi.
In Basilea 2, agli intermediari finanziari è fatto obbligo di detenere quantità di Tier 1 in
proporzione pari ad almeno la metà del patrimonio di vigilanza; il resto può essere costituito
31
Banca dei Regolamenti Internazionali: La risposta del Comitato di Basilea alla crisi finanziaria: rapporto al
G20; ottobre 2010.
56
anche da attività meno adatte all’assorbimento delle perdite, come, ad esempio, le riserve di
rivalutazione, gli strumenti ibridi di patrimonializzazione e il debito subordinato a termine.
All’interno del Tier 1, il volume di common equity, anche conosciuto come patrimonio core,
deve rappresentare almeno la metà del totale; la restante parte è composta di attività aventi,
allo stesso modo, elevata capacità di assorbimento delle perdite, ma con natura diversa da
azioni ordinarie e utili posti a riserva.
Basilea 3 interviene attuando un’ambiziosa opera di intensificazione delle disposizioni in
materia: come prima cosa, introduce una nuova definizione di capitale ponendo restrizioni in
termini di common equity e, dunque, rafforzando il ruolo del requisito minimo
nell’incremento della qualità del capitale regolamentare; inoltre, propone l’applicazione di
misure più severe circa il livello di standard minimi richiesti per le quantità di Tier 1 e
common equity.
Nel primo caso, il requisito da rispettare sale dal 4% al 6%; nel secondo, l’incremento è
maggiormente significativo e registra uno spread di 2,5 punti percentuali, innalzandosi dal
2% al 4,5%.
In aggiunta, come riferito in precedenza, il Comitato per la vigilanza bancaria ha inteso anche
controllare la politica di distribuzione degli utili delle istituzioni finanziarie: questo proposito
ha ricevuto attuazione attraverso la creazione di un capital conservation buffer, presidio
patrimoniale posto a garanzia di futuri deflussi di cassa inattesi, nella misura del 2,5% delle
attività ponderate per il rischio. In questo modo, le banche, nella loro attività di distribuzione
dei proventi d’esercizio, sono costrette a regolare l’elargizione di risorse in relazione al livello
della riserva liquida, incontrando un vincolo qualora non sussistesse il livello minimo.
In ultima istanza, si è ritenuto necessario inserire nel quadro regolamentare un altro
indicatore, che va sotto il nome di leverage ratio e che risulta espressione del livello di leva
finanziaria applicato dall’intermediario. Il Comitato ha cercato, così, di evitare il sorgere di
pericolose situazioni di eccessivo indebitamento delle istituzioni, di cui gli squilibri economico
– finanziari rappresentano il riflesso diretto sui mercati.
57
È di fondamentale importanza che le banche mantengano livelli di patrimonio regolamentare
adeguati alle loro caratteristiche specifiche, anche qualora ciò richiedesse l’accumulazione di
risorse in misura maggiore rispetto ai minimi prescritti.
Il mantenimento di stock patrimoniali a presidio della solidità bancaria è l’elemento
fondamentale dell’approccio prudenziale nei confronti dei rischi insiti nell’attività finanziaria.
2.2.2
Rischio
Il secondo tassello della disciplina microprudenziale è fornito dalle direttive in materia di
rischio, per cui il Comitato per la vigilanza bancaria, denotando la presenza di numerose
lacune nella metodologia di gestione dello stesso all’interno dei gruppi finanziari, ha operato
una revisione del processo di controllo prudenziale enunciato dal secondo pilastro di Basilea
II.
A tale scopo, a partire da settembre 2008, sono stati pubblicati vari documenti, che mirano a
promuovere una migliore gestione e una supervisione più attenta e approfondita del rischio.
Tra questi, due in particolare assumono grande rilevanza: Principles for sound liquidity risk
management and supervision; International framework for liquidity risk measurement,
standards and monitoring.
Con il primo, il Comitato di Basilea elenca i principi fondamentali da rispettare nella gestione
e supervisione del rischio di liquidità da parte delle banche, oltre che nella valutazione
quantitativa dello stesso. Sono riportate, inoltre, le norme principali in materia di informativa
pubblica e le disposizioni a cui devono attenersi le Autorità di vigilanza nella loro attività di
controllo.
Il secondo documento espone, invece, le modalità con cui è possibile uniformarsi alla nuova
disciplina illustrando lo schema di calcolo dei requisiti richiesti e le tecniche interne di
monitoraggio del rischio di liquidità.
58
2.2.3
Liquidità
Tuttavia, i requisiti patrimoniali non possono prescindere dal rispetto di standard in materia
di liquidità; quest’aspetto ha suscitato grande interesse subito dopo lo scoppio della crisi,
durante la quale gli operatori economici e finanziari hanno sofferto un’eccezionale carenza di
risorse liquide che ha paralizzato i mercati.
Il Comitato, nell’intento di contribuire a innalzare la capacità delle banche di assorbire le
perdite, ha ritenuto opportuno costruire degli indicatori di liquidità di breve e di lungo
periodo, utili per monitorare la situazione monetaria della gestione. Gli indicatori in
questione sono i già citati liquidity coverage ratio (LCR) e net stable funding ratio (NSFR).
2.3
Riforme di carattere macroprudenziale
L’ambito macroprudenziale della regolamentazione internazionale del Comitato di Basilea
concerne gli aspetti strutturali del sistema finanziario ed economico nel suo complesso.
Siamo di fronte ad una serie di provvedimenti che cercano una soluzione ad alcune delle
cause macroeconomiche della crisi finanziaria.
In particolare, sono affrontati i problemi della pro – ciclicità del sistema finanziario, intesa
come la tendenza del mercato a intensificare gli effetti della crisi, a causa di uno schema
normativo che penalizza i soggetti con necessità di liquidità proprio nel momento di maggior
fabbisogno; inoltre, si cerca una mitigazione alla questione del rischio sistemico, che risulta
maggiore della somma dei rischi delle singole istituzioni operanti in un determinato settore e
dipende dalle interconnessioni esistenti tra gli intermediari, grazie alle quali gli effetti del
rischio si propagano dal settore finanziario all’economia reale e si amplificano
enormemente32.
32
Banca dei Regolamenti Internazionali: La risposta del Comitato di Basilea alla crisi finanziaria: rapporto al
G20; ottobre 2010.
59
Le modalità con cui attenuare le conseguenze della manifestazione di questi fenomeni sono
ancora in fase di ideazione; nel frattempo, le banche devono predisporre, su direttiva del
comitato, ulteriori buffer di liquidità, la cui dimensione dovrebbe essere in grado, almeno, di
attenuarne le conseguenze.
3.
Gli indicatori di liquidità
A conferma dell’importanza assunta dalla liquidità nello svolgimento dell’attività operativa
degli intermediari, e dell’attenzione, a essa riservata, all’interno del nuovo documento
normativo elaborato dal Comitato per la vigilanza bancaria, Basilea 3 contempla
l’introduzione di due coefficienti, indicatori della situazione di liquidità della banca sotto
specifici aspetti.
Con il primo, che va sotto il nome di liquidity coverage ratio, il Comitato per la vigilanza
bancaria intende fornire alle autorità di supervisione uno strumento per verificare la
resilienza del profilo di rischio di liquidità delle istituzioni durante una fase di stress acuto di
durata mensile, a garanzia di una copertura effettuata attraverso attività liquide di qualità
elevata.
Il secondo indicatore, chiamato net stable funding ratio, fornisce informazioni riguardo alla
capacità della banca di far fronte a tensioni di liquidità che si protraggano lungo un arco
temporale più lungo, precisamente fino a un anno, fornendo loro maggiori incentivi a
impostare la propria attività strutturale su finanziamenti a provenienza stabile.
In conformità al principio dell’armonizzazione internazionale della disciplina, i requisiti
appena enunciati risultano fondati su parametri comuni a livello globale, anche se alcuni
aspetti sono pertinenti alle caratteristiche specifiche dei Paesi di applicazione e della loro
specifica giurisdizione; dunque, la loro delineazione è demandata alle autorità di vigilanza
interne, nel rispetto di trasparenza e chiarezza, connotati essenziali del corpus normativo di
Basilea 3.
60
3.1
Liquidity coverage ratio (LCR)
Il liquidity coverage ratio ha l’obiettivo di assicurare che la banca sia in possesso di attività
liquide di elevata qualità, non vincolate in operazioni di credit enhancement e facilmente
convertibili in denaro sul mercato, con le quali poter affrontare una crisi acuta di liquidità
della durata di un mese.
Il rispetto del requisito dovrebbe permettere alla banca di sopravvivere alla situazione di
tensione fino a trenta giorni, con la responsabilità degli organi aziendali preposti a reperire
nuove risorse liquide sul mercato per rinsaldare la posizione finanziaria.
Il requisito richiede che le banche siano in grado di soddisfarlo nel continuo ed è definito
come segue:
à
à
L’indice è composto dal rapporto di due elementi: stock di attività liquide di elevata qualità e
totale dei deflussi di cassa netti. Si presenta nella stessa forma di quegli indici di copertura
che le banche utilizzano per valutare l’esposizione al rischio di liquidità e impone la
detenzione di attività di elevata qualità in volume non inferiore al fabbisogno effettivo 33.
3.1.1
Stock di attività di qualità elevata
Il grado di liquidità di una determinata attività dipende dalla facilità con cui può essere
convertita in denaro prontamente disponibile sul mercato e si manifesta mediante alcune
caratteristiche specifiche.
33
Banca dei Regolamenti Internazionali: Basilea 3: schema internazionale per la misurazione, la
regolamentazione e il monitoraggio del rischio di liquidità, Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria dicembre 2010.
61
L’attività deve presentare:
Basso rischio di credito e di mercato: la possibilità di liquidare facilmente un’attività è
inversamente proporzionale al suo grado di rischio; l’elevata affidabilità
dell’emittente potrebbe garantire basso rischio. Altri fattori decisivi sono da
rintracciare nella bassa duration del titolo, nella ridotta volatilità e nel rischio di
inflazione contenuto, oltre che nella denominazione in una valuta con basso rischio di
cambio;
Facilità e certezza della valutazione: in presenza di certezza tra operatori nella
valutazione dell’attività, si registra un aumento della liquidità. Ciò non avviene per
titoli strutturati e per i quali la valutazione risulta complessa;
Scarsa correlazione con attività rischiose: le attività liquide non devono essere
soggette al wrong - way risk, ossia devono rivelarsi prive di elevata correlazione
avversa con la situazione finanziaria dell’emittente. Esempi di attività che possono
essere inserite nella riserva di liquidità sono il contante, le riserve detenute presso la
banca centrale, obbligazioni societarie e obbligazioni bancarie garantite; al contrario,
non possono essere incluse le attività negoziabili che rappresentano crediti nei
confronti di determinati soggetti, o risultano essere garantiti dagli stessi, con un
rating ritenuto non accettabile dalla normativa;
Quotazione in mercati sviluppati e ufficiali: la liquidità cresce se l’attività è negoziata
in mercati regolamentati di rilevanza internazionale34.
Oltre a questi, è necessario che siano rispettati alcuni requisiti attinenti strettamente al
mercato di riferimento:
34
Banca dei Regolamenti Internazionali: Basilea 3: schema internazionale per la misurazione, la
regolamentazione e il monitoraggio del rischio di liquidità, Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria dicembre 2010.
62
L’attività deve essere trattata in mercati attivi in qualunque istante, con un gran
numero di operatori disposti a comprare e a vendere e con un volume di
contrattazione elevato. Con mercato attivo per un determinato strumento finanziario
s’intende un mercato che presenti le caratteristiche di pronta e regolare disponibilità
delle quotazioni sullo strumento e di effettività, regolarità e normalità delle
operazioni rilevate sullo strumento;
Devono essere sempre disponibili le quotazioni di acquisto e vendita;
Deve dar luogo a una bassa concentrazione di mercato, intendendo con ciò la
possibilità che sia acquistata da operatori differenziati e affidabili;
Gli operatori, in situazioni di crisi, devono orientare le loro preferenze verso questo
genere di attività.
Lo stock di attività così definito è ulteriormente suddiviso in attività di primo livello, con
possibilità illimitata di inclusione e rappresentate dal contante e dalle poste a esso
assimilabili, e attività di secondo livello, accettabili fino a un margine del 40%, a cui va
applicato uno scarto di sicurezza (haircut) del 15%, costituite da attività con più basso grado
di liquidità.
3.1.2
Totale dei deflussi di cassa netti
Il denominatore della formula del liquidity coverage ratio, “totale dei deflussi di cassa netti”,
è ottenuto come totale dei deflussi di cassa attesi al netto del totale degli afflussi di cassa
attesi nell’arco temporale dei 30 giorni seguenti lo scenario di stress di riferimento.
Il totale dei deflussi di cassa attesi è calcolato moltiplicando i saldi in essere delle tipologie di
passività e impegni fuori bilancio per i tassi ai quali ci si attende che si verifichi il loro utilizzo
o prelievo.
Il totale dei cash flow attesi in entrata è ottenuto moltiplicando i saldi in essere delle varie
categorie di crediti contrattuali (operazioni pronto contro termine attive, depositi
rimborsabili a vista detenuti presso altre istituzioni, afflussi dalla clientela al dettaglio e dalle
63
piccole imprese, afflussi all’ingrosso) per i tassi ai quali ci si attende che affluiscano nello
scenario specificato, fino a un massimo del 75% del totale dei cash flow attesi in uscita.
In formule:
Totale dei deflussi di cassa netti per i 30 giorni di calendario successivi =
deflussi – Min{afflussi; 75% dei deflussi}35.
3.2
Net stable funding ratio (NSFR)
Il secondo standard introdotto dalla recente normativa è il net stable funding ratio,
indicatore della situazione di liquidità di lungo periodo delle banche, con cui il Comitato di
Basilea ha inteso imporre quantitativi minimi di raccolta stabile.
Scopo del coefficiente, infatti, è fornire informazioni riguardo il volume di attività a lungo
termine coperto dalla raccolta, anch’essa, a lungo termine, in correlazione con il grado di
rischiosità e di liquidità delle operazioni svolte dalla banca e delle attività da essa detenute.
Il NSFR è, dunque, complementare all’indicatore di breve periodo e mira a dotare le banche
di una struttura finanziaria di lungo periodo equilibrata, evitando che sia fatto uso di liquidità
a breve termine, reperita in periodi di crescita economica, per finanziare posizioni debitorie
di lungo termine.
Il requisito è calcolato come:
Le attività classificabili come provvista stabile sono definite dal Comitato per la vigilanza
bancaria attraverso l’enunciazione di cinque categorie rappresentative:
35
Banca dei Regolamenti Internazionali: Basilea 3: schema internazionale per la misurazione, la
regolamentazione e il monitoraggio del rischio di liquidità, Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria dicembre 2010.
64
a) Patrimonio;
b) Azioni privilegiate e altri strumenti di capitale eccedenti l’importo computabile nel
Tier 2 con scadenza pari o superiore a un anno;
c) Passività con scadenze effettive pari o superiori a un anno;
d) Depositi liberi e/o a termine con scadenze inferiori a un anno;
e) Provvista all’ingrosso con scadenza inferiore a un anno36.
Nelle intenzioni del Comitato per la vigilanza bancaria, la provvista stabile ha l’obiettivo di
assicurare la sopravvivenza dell’istituzione nel periodo di tensione di liquidità, con un
termine temporale corrispondente a un anno.
L’ammontare disponibile di provvista stabile si calcola, dapprima, attribuendo la specifica
posta di bilancio in una delle categorie elencate; poi applicando a essa lo specifico fattore
ASF (Available Stable Funding), fornito dalla normativa in merito a ciascuna categoria; infine,
si applica la somma algebrica delle attività e passività così ponderate.
L’ammontare obbligatorio di provvista stabile prevede, invece, la ponderazione delle attività,
preventivamente catalogate, per uno specifico fattore RSF (Required Stable Funding) in
seguito alla formulazione di ipotesi prudenziali circa il grado di liquidità delle attività
detenute dall’intermediario, il grado di rischio delle operazioni intraprese e il volume di
esposizioni fuori bilancio sussistenti.
Il fattore di ponderazione è costruito in modo da aumentare la quantità di provvista richiesta
nei casi di esposizione eccessiva; al contrario, qualora la banca presentasse un buon grado di
affidabilità, conseguirebbe vantaggi dal punto di vista di minori imposizioni in termini di
capitale e, dunque, maggiori capacità reddituali.
36
Banca dei Regolamenti Internazionali: Basilea 3: schema internazionale per la misurazione, la
regolamentazione e il monitoraggio del rischio di liquidità, Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria dicembre 2010.
65
4.
Critiche a Basilea III
L’applicazione e uniformazione di Basilea III, avvenute con l’obiettivo di rendere più stabili i
mercati in seguito alla devastante crisi finanziaria degli ultimi anni, hanno suscitato numerosi
dubbi e perplessità in merito all’effettiva capacità della nuova regolamentazione di risolvere i
problemi che hanno minato alla base il sistema finanziario internazionale.
Una prima grande preoccupazione è stata espressa dal settore bancario: le istituzioni
considerano eccessivamente severi i nuovi requisiti di capitale e di liquidità imposti dal
Comitato per la vigilanza bancaria, al punto da rendere non soddisfacente il livello di
redditività conseguibile con l’attività di intermediazione e compromettere l’essenza stessa
della banca commerciale.
Tuttavia, come si può constatare, dallo scoppio della crisi a oggi, le più grandi banche
internazionali hanno avviato autonomamente un processo interno di rafforzamento
patrimoniale e monetario e oggi la maggior parte di esse risulta in linea con le disposizioni di
Basilea III. Le ragioni sono da ricercare nei vincoli imposti in modo naturale dal mercato dei
capitali al sistema bancario sul rafforzamento della propria struttura operativa; inoltre, le
agenzie di rating hanno richiesto alle banche miglioramenti delle dotazioni patrimoniali e la
costituzione di buffer di liquidità, quali presupposti indispensabili per evitare di procedere a
un declassamento di categoria37.
Un altro argomento di rilevante importanza su cui è incentrato il dibattito riguardo a Basilea
III è l’effetto che i nuovi stringenti requisiti imposti dalla normativa produrranno in termini di
crescita economica attraverso il forte credit crunch che si sta registrando, e cioè attraverso la
notevole riduzione della capacità delle banche di concedere credito alle imprese. A soffrirne
sono soprattutto le medie e piccole imprese.
Gli studi quantitativi condotti da alcuni organismi finanziari internazionali, tra cui l’IIF
(International Institute of Finance) a cui partecipano i maggiori gruppi bancari, prevedono
una diminuzione di circa tre punti percentuali della crescita economica delle principali
37
A. Sironi: Chi ha paura di Basilea 3?, in Economia & Management, 2010.
66
economie mondiali in un arco temporale di cinque anni, a seguito dell’inasprimento dei
requisiti patrimoniali del 2% previsti per gli intermediari. In risposta, il Comitato di Basilea ha
pubblicato i risultati di una serie di analisi svolte a livello macroeconomico sull’impatto dei
nuovi standard di capitale: il rallentamento previsto nel tasso di crescita mondiale si aggira
attorno allo 0,19% per un periodo di cinque anni a partire dal momento in cui saranno
operativi i nuovi standard.
Inoltre, lo studio del Comitato per la vigilanza bancaria dimostra che, trascorsi i cinque anni, e
cioè nel lungo termine, l’economia gioverà di molteplici benefici, quali una maggiore fiducia
nel sistema bancario e la ridotta possibilità di nuove crisi, che andranno a compensare più
che adeguatamente le conseguenze negative subite in un primo periodo dalle banche a causa
dell’adozione dei minori profili di rischio richiesti dalla normativa. La cospicua differenza che
emerge dagli esiti delle due indagini va attribuita a un ipotesi fondamentale alla base
dell’analisi: lo IIF, nel suo studio, non prende in considerazione il fatto che un gran numero di
grandi banche internazionali, nella prospettiva dell’introduzione del nuovo framework
disciplinare, ha intrapreso da tempo la strada del rafforzamento patrimoniale; queste
istituzioni, dunque, al momento dell’entrata in vigore di Basilea III e, successivamente, della
sua definitiva applicazione nazionale e internazionale, risulteranno già in linea con in nuovi
principi, così da ridurre significativamente l’impatto macroeconomico delle stime
precedentemente menzionate.
Una critica è stata rivolta anche ai tempi previsti dal Comitato per la vigilanza bancaria per
l’entrata in vigore di Basilea III, giudicati troppo lunghi. L’applicazione graduale delle regole
rispecchia, però, alcuni aspetti che non possono essere tralasciati.
Innanzitutto, il tempo a disposizione dei Paesi aderenti e dei rispettivi sistemi bancari per
uniformarsi alla disciplina è necessario affinché sia garantito un buon grado di level playing
field, ossia uno schema normativo imparziale nei confronti di tutte le istituzioni, a
prescindere dal Paese di appartenenza e dalle specifiche politiche governative adottate. Le
necessità di risanamento imposte dalla crisi hanno, infatti, mostrato che alcune banche
possono tratte vantaggi rispetto ad altre in seguito a interventi economici e finanziari
favorevoli.
67
Il secondo aspetto va individuato nel periodo di particolare congiuntura negativa che gli enti
bancari stanno attraversando e che si riflette in perdite di efficienza e redditività.
L’imposizione istantanea di regole severe sul capitale e sulla liquidità troverebbe le banche
impreparate e incapaci di adeguarsi agli standard richiesti.
In ultima istanza, la tempistica delle nuove norme fa seguito ai risultati dello studio del
Comitato di Basilea prima illustrato, secondo i quali l’applicazione graduale dei principi
permetterebbe di ridurre sensibilmente le conseguenze negative dal punto di vista
macroeconomico, riducendo l’impatto sulla crescita economica38.
Nel panorama finanziario italiano, una forte opposizione al regolamento del Comitato per la
vigilanza bancaria è stata manifestata dall’ABI, l’Associazione Bancaria Italiana. Le
disposizioni introdotte da Basilea III, secondo la valutazione effettuata dall’Associazione,
penalizzano notevolmente le banche italiane e dal tentativo di creare un sistema di norme
uniformato a livello internazionale scaturiscono situazioni vantaggiose a favore delle banche
estere.
Le banche italiane risultano danneggiate in vista delle loro tradizionali abitudini in materia di
patrimonio e di liquidità e alla luce del rapporto con un sistema fiscale opprimente: i vincoli
aggiuntivi imposti sugli strumenti finanziari di raccolta hanno l’effetto di incrementare
ulteriormente il costo del funding sul mercato, già particolarmente elevato 39.
In ambito internazionale, una testimonianza di particolare rilievo riguardo al nuovo corpus
normativo di Basilea III e alla portata dei suoi effetti può essere rintracciata nel parere
autorevole di Andrew Haldane, responsabile della vigilanza della Bank of England, esposta
durante il convegno di Jackson Hole tenuto il 31 agosto 2012.
Le critiche colpiscono il continuo processo di accumulazione di norme verificatosi negli ultimi
anni, cui ha contribuito notevolmente il Comitato per la vigilanza bancaria, autore della
pubblicazione di una serie di Accordi che, a partire dal 1988, si prestano all’adozione
armonizzata a livello internazione in ambito finanziario.
L’alto funzionario britannico intende illustrare lo stato di totale inadeguatezza dei modelli di
misurazione del rischio di strumenti finanziari strutturati proposti dagli Accordi di Basilea e
38
39
A. Sironi: Chi ha paura di Basilea 3?, in Economia & Management, 2010.
R. Boc.: L’Abi: Basilea 3 penalizza l’Italia, in Il Sole24Ore, 13 aprile 2010.
68
applicati dalle banche. Le autorità hanno cercato di neutralizzare la crescente complessità del
sistema finanziario attraverso regolamentazioni sempre più articolate; ma il problema viene
dall’interno: la recente crisi finanziaria ha dimostrato come le tecniche di gestione del rischio
siano minate alla base da una fragilità strutturale.
Il punto centrale del suo discorso, intitolato “The dog and the frisbee”40, è proprio questo:
mostrare che, in casi come questo, la soluzione più efficace non è quella più complessa, bensì
quella più semplice.
Gli Accordi di Basilea nascono appositamente con l’intento di semplificare la normativa del
mercato e proporre una regola chiara per tutti. Tuttavia, negli anni il Comitato di Basilea ha
previsto una sempre maggiore complessità applicativa, a causa dell’introduzione dei modelli
interni di valutazione, nella convinzione che il mercato garantisca maggior efficienza nella
misurazione del rischio rispetto a qualsiasi regolatore.
Aumenta la complessità dei testi, aumenta la complessità dei modelli; aumentano anche la
fragilità intrinseca del sistema finanziario e l’incertezza.
Haldane rintraccia il problema nell’applicazione estremamente eterogenea della normativa
sovranazionale di Basilea, in quanto la struttura dei modelli è conformata alle caratteristiche
specifiche delle realtà nazionali dalle autorità interne. In questo modo, diventa
maggiormente difficoltoso distinguere tra soggetti solidi e soggetti a rischio e risulta inficiato
il processo di selezione da parte del pubblico nei confronti degli istituti finanziari.
Aggiungere norme al già complesso impianto disciplinare non migliora la situazione: secondo
Haldane, la solidità dei singoli intermediari e del sistema nel suo complesso non si raggiunge
con la prescrizione di buffer quantitativi di capitale di alta liquidità. La soluzione deve avere i
connotati della semplicità e provenire dai consumatori finali dei servizi finanziari, nella
richiesta di un sistema che persegua l’interesse generale.
40
Speech by Mr Andrew G Haldane, Executive Director, Financial Stability, Bank of England, and Mr Vasileios
Madouros, Economist, Bank of England, at the Federal Reserve Bank of Kansas City’s 366th economic policy
symposium, “The changing policy landscape”, Jackson Hole, Wyoming, 31 August 2012.
69
70
CAPITOLO QUATTRO
L’APPLICAZIONE DELL’ACCORDO DI BASILEA IN ITALIA
1.
Il recepimento delle nuove disposizioni
Le recenti turbolenze che hanno investito il mercato della liquidità a livello mondiale hanno
spinto le autorità nazionali a ricercare le cause della debolezza del sistema bancario italiano,
al fine di porre in atto provvedimenti disciplinari per rimediare alla situazione di emergenza
creatasi nel triennio 2007-2010 e, allo stesso tempo, attenuare la possibilità del verificarsi di
nuove crisi sistemiche.
Le maggiori lacune individuate, determinanti principali di un elevato livello di rischio di
liquidità, riguardano:
1) L’assenza di un’adeguata correlazione del sistema di gestione della liquidità con il
modello di business implementato dall’istituzione, alla luce delle innovazioni radicali
intervenute nel sistema di contrattazione dei titoli implementato a livello
internazionale (si è registrata una transizione dal tradizionale modello di business
“originate to hold” ad un modello “originate to distribute”);
2) Il basso grado di attenzione riservato alla determinazione di una ben definita
propensione al rischio di liquidità da parte degli organi di governo societario;
3) L’insufficiente livello di formazione e preparazione delle unità coinvolte nella gestione
del rischio;
4) L’inadeguatezza degli scenari utilizzati nelle simulazioni;
5) La mancata corrispondenza tra i risultati delle prove di stress e le misure adottate nei
successivi piani di emergenza.
71
Di conseguenza, la Banca d’Italia ha dato attuazione alle disposizioni ratificate in ambito
europeo sul tema della liquidità con la direttiva del 15 giugno 201041, in recepimento di due
provvedimenti fondamentali: la direttiva comunitaria 2009/111 CE 42, che introduce, per la
prima volta, il rischio di liquidità nell’ambito dei rischi inerenti l’attività bancaria contemplati
dalla disciplina internazionale e impone l’obbligo di predisporre strategie e processi per la
gestione dello stesso entro la data dell’entrata in vigore di Basilea III, o meglio entro il 31
dicembre 2012; le disposizioni contenute nel documento di consultazione dal titolo
“International framework for liquidity risk measurement, standards and monitoring 43”,
pubblicato dal Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria nel dicembre del 2009, in cui sono
definiti i due indicatori liquidity coverage ratio e net stable funding ratio posti alla base
dell’impianto normativo prudenziale in materia di liquidità.
In questo modo, la Banca d’Italia giunge a formulare una regolamentazione dettagliata per il
procedimento di gestione del rischio di liquidità e tutti gli aspetti a esso connessi.
1.1
Il ruolo degli organi aziendali
Innanzitutto, la direttiva della Banca d’Italia individua gli organi aziendali responsabili del
governo e della gestione del rischio di liquidità e indica espressamente i compiti a essi
attribuiti.
L’organo con funzione di supervisione strategica, cui sono cioè demandate le funzioni di
indirizzo della gestione dell’impresa, è responsabile del mantenimento del livello di rischio al
di sotto della soglia di tolleranza44 e della definizione delle politiche di controllo e gestione
del rischio di liquidità.
41
Banca d’Italia (2010), Disposizioni in materia di governo e gestione del rischio di liquidità delle banche e dei
gruppi bancari e degli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale, 15 Giugno 2010.
42
Direttiva 2009/111/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, 16 settembre 2009, intervenuta in modifica
delle direttive 2006/48/CE, 2006/49/CE e 2007/64/CE per quanto riguarda gli enti creditizi collegati a organismi
centrali, taluni elementi dei fondi propri, i grandi fidi, i meccanismi di vigilanza e la gestione delle crisi.
43
Banca dei Regolamenti Internazionali: International framework for liquidity risk measurement, standards and
monitoring, Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria - dicembre 2009.
44
La Banca d’Italia definisce la soglia di tolleranza come il livello massimo di esposizione al rischio di liquidità, in
relazione a un contesto di ordinario svolgimento dell’attività bancaria (going concern) integrato da situazioni di
stress (stress scenario). Ogni intermediario definisce la propria soglia di tolleranza tenendo presenti determinati
72
In tal modo, è chiamato a determinare la soglia massima di esposizione e ad approvare tutte
le fasi del processo di misurazione del rischio di liquidità, accertando l’adeguatezza delle
metodologie di valutazione utilizzate dall’intermediario, le ipotesi in base alle quali sono
realizzate le analisi di scenario, la validità degli indicatori di stress prescelti, l’efficienza del
piano di emergenza allestito e i parametri relativi alla definizione del sistema dei prezzi per il
trasferimento interno dei fondi.
Per quanto attiene l’organo con funzione di gestione, inteso come l’organo cui spetta il
compito di attuare in concreto le linee guida predisposte nell’esercizio della funzione di
supervisione strategica, a esso compete la definizione delle modalità specifiche di
svolgimento del processo di gestione del rischio nel rispetto della soglia prestabilita, facendo
in modo da assegnare le relative funzioni di gestione all’interno della struttura organizzativa
dell’impresa.
Esso è responsabile, inoltre, della determinazione della dinamica e della tempistica dei flussi
informativi interni, al fine di assicurare la piena conoscenza dei fattori di rischio a ogni livello
dell’organizzazione e permettere lo sviluppo di adeguate tecniche di controllo; gestisce la
reportistica periodica e svolge una funzione intermediaria tra le unità operative e l’organo di
supervisione strategica.
L’organo con funzione di controllo, identificato con il collegio sindacale, il consiglio di
sorveglianza o il comitato per il controllo sulla gestione, vigila sul processo di misurazione e
governo del rischio di liquidità, assicurando il rispetto dei requisiti e degli standard stabiliti
dalla normativa.
1.2
Il processo di gestione del rischio di liquidità
La Banca d’Italia, inoltre, prescrive e illustra in modo approfondito le fasi di cui si compone il
processo di gestione del rischio di liquidità45:
aspetti: la regolamentazione prudenziale vigente; il proprio modello di business; le strategie attuate; le proprie
caratteristiche operative; la capacità di reperimento dei fondi sul mercato.
45
Banca d’Italia (2010), Disposizioni in materia di governo e gestione del rischio di liquidità delle banche e dei
gruppi bancari e degli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale, 15 Giugno 2010.
73
1) Raccolta e consolidamento delle informazioni;
2) Identificazione dei fattori di rischio;
3) Misurazione dell’esposizione al rischio;
4) Predisposizione di misure per l’attenuazione del rischio;
5) Verifica del rispetto dei limiti;
6) Reporting.
Scopo della normativa è dotare le banche di liquidità sufficiente per affrontare periodi di
stress contingente oppure tensioni prolungate nel tempo, senza che ne venga pregiudicata la
struttura economica e finanziaria.
Per quanto riguarda la prima fase, l’intermediario è chiamato a predisporre un sistema
informativo adeguato all’importanza dell’attività svolta e al livello di esposizione al rischio di
liquidità registrato: si richiede l’utilizzo di strumenti informatici in grado di supportare le
procedure di archiviazione di grandi quantità di dati e circolazione delle informazioni tra le
unità preposte alla gestione del rischio e tra le stesse e la direzione centrale.
Il processo di comunicazione deve svolgersi con la rapidità e la fluidità appropriate al
contesto di operatività e ai tempi tecnici di manifestazione del rischio.
In alcuni casi, è necessario predisporre una funzione informatica, la cui attività concerne
specificamente la definizione e il monitoraggio del sistema di trasmissione delle informazioni
inerenti ai rischi dell’attività di intermediazione.
In merito alla seconda e terza fase, la Banca d’Italia richiede agli intermediari di identificare i
fattori di rischio e misurare l’esposizione in un’ottica sia attuale sia prospettica.
Nel primo caso, la banca predispone tutte le tecniche necessarie a calcolare il fabbisogno
monetario generato da un’eventuale tensione di liquidità della durata di un mese e le misure
idonee ad affrontarla; nel secondo, l’orizzonte temporale di riferimento ha durata annuale.
74
La procedura si compone di varie fasi46:
a) La banca deve innanzitutto costruire una maturity ladder, ossia una scala delle
scadenze organizzata su fasce periodali di ampiezza predeterminata;
b) In seguito, è necessario selezionare le tipologie di flussi monetari in entrata e in uscita
da prendere in considerazione;
c) Si procede, poi, alla valutazione attuale e prospettica dell’andamento futuro dei cash
flow connessi con lo svolgimento dell’attività di intermediazione da parte del
soggetto, inserendoli nella maturity ladder e giungendo a determinare i fabbisogni
periodali e quelli cumulati.
Le ipotesi alla base degli esercizi di previsione dei flussi finanziari sono quelle fornite dalla
normativa prudenziale o, in alternativa, ipotesi interne giudicate ragionevoli e prudenti da
un’apposita funzione, incaricata di valutare l’idoneità delle procedure di misurazione interna
del rischio.
Le due fasi di identificazione dei fattori di rischio e misurazione dell’esposizione sono oggetto
di una continua opera di revisione dei principi e delle metodologie su cui si basa la
quantificazione del fabbisogno di liquidità dell’intermediario; i risultati del processo sono,
poi, analizzati anche mediante tecniche retrospettive (backtesting), al fine di dare validazione
empirica alle ipotesi utilizzate nella costruzione delle simulazioni di scenario e nelle prove di
stress, fondamentali per la sopravvivenza della banca durante il periodo di tensione di
liquidità.
Gli intermediari sono, inoltre, tenuti a calcolare e monitorare una serie di indicatori di
liquidità, alcuni dei quali suggeriti dal Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria, in grado di
fornire informazioni sulla situazione economico-finanziaria della banca e di segnalare in
modo tempestivo l’insorgere di eventuali crisi di liquidità.
46
Banca d’Italia (2010), Disposizioni in materia di governo e gestione del rischio di liquidità delle banche e dei
gruppi bancari e degli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale, 15 Giugno 2010.
75
La fase successiva del processo di gestione della liquidità prevede l’applicazione di
determinati metodi di attenuazione del rischio e la direttiva della Banca d’Italia espone le
modalità con cui è possibile farlo.
Gli strumenti contemplati dalla normativa, in attuazione delle disposizioni regolamentari
emanate dal Comitato di Basilea sulla liquidità delle banche nel relativo documento 47, fanno
riferimento a:
le riserve di liquidità predisposte dalla banca e destinate esclusivamente all’utilizzo in
casi di emergenza, per far fronte a tensioni monetarie attese e inattese. Queste
riserve comprendono elementi quali: cassa, depositi non vincolati detenuti presso la
Banca Centrale, attività facilmente e prontamente liquidabili, attività ad alto grado di
liquidità da impiegare in caso di crisi prolungate;
gli indicatori liquidity coverage ratio e net stable funding ratio, introdotti da Basilea III
a garanzia della situazione di solvibilità dell’intermediario, aventi l’obiettivo di indurre
le istituzioni finanziarie a utilizzare stock di attività di elevata qualità nelle loro
operazioni e quantitativi appropriati di provvista stabile per il finanziamento a lungo
termine;
il liquidity buffer e il capital countercyclical buffer, necessari affinché siano costituiti
accantonamenti permanenti di risorse liquide, specie in situazioni di espansione
finanziaria;
la disponibilità di un adeguato livello di attività che possono essere costituite a
garanzia presso altri soggetti o presso le Banche Centrali, cui si attribuisce grande
importanza tra i presidi contro il rischio di liquidità.
I gruppi con operatività cross-border, inoltre, devono prestare particolare attenzione alla
costituzione di riserve liquide necessarie a gestire le limitazioni, di tipo legale, operativo e
regolamentare, all’utilizzo della liquidità, derivanti dallo svolgimento della loro attività in un
gran numero di Paesi.
47
Banca dei Regolamenti Internazionali: International framework for liquidity risk measurement, standards and
monitoring, Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria - dicembre 2009.
76
Al fine di valutare gli effetti di eventuali fenomeni negativi che si riflettono sul livello
dell’esposizione al rischio di liquidità e sull’adeguatezza delle riserve monetarie costituite, la
direttiva della Banca d’Italia prescrive che siano effettuate prove di carico attinenti la
situazione futura della banca, in modo da stimare le variazioni che potrebbero intervenire
nella successione prevista di flussi finanziari in entrata e in uscita.
È necessario identificare appropriati fattori di rischio e associarli agli specifici punti di
vulnerabilità della propria struttura finanziaria, sia a livello di singola unità sia a livello
consolidato.
Il processo di realizzazione delle prove di stress è tenuto a rispettare una serie di aspetti48:
deve essere chiaramente definito e formalizzato, in particolare per quanto attiene la
frequenza di svolgimento, le tecniche impiegate, gli scenari e l’orizzonte temporale
considerati;
le ipotesi utilizzate devono presentare il giusto grado di severità nella previsione
dell’intensità e della durata delle situazioni di crisi di liquidità;
gli scenari riprodotti devono tener conto delle connessioni con le altre tipologie di
rischio cui la banca è esposta;
gli esiti delle prove di stress devono ricevere adeguato seguito in termini di revisione
del processo di gestione del rischio di liquidità, incremento delle risorse liquide
detenute, eventuale potenziamento dell’esercizio di previsione, organizzazione di
misure efficaci ad affrontare situazione di tensione di liquidità nel contingency
funding plan.
La banca, inoltre, è tenuta a pianificare un articolato sistema di limiti operativi, efficaci nel
contrastare le manifestazioni del rischio di liquidità sia di breve sia di lungo periodo, tenendo
conto delle linee-guida fornite dall’organo di supervisione strategica e delle caratteristiche
della propria struttura operativa.
48
Banca d’Italia (2010), Disposizioni in materia di governo e gestione del rischio di liquidità delle banche e dei
gruppi bancari e degli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale, 15 Giugno 2010.
77
Un costante processo di validazione e revisione contribuisce a far in modo che i limiti stabiliti
siano connessi con i risultati delle prove di stress e con le misure osservate nel contingency
funding plan, oltre che conformi agli eventuali mutamenti intervenuti nell’atteggiamento
strategico e nell’operatività della banca.
Gli esempi più rilevanti di limiti operativi riguardano la relazione e il confronto tra alcune
grandezze
di
dell’istituzione:
bilancio,
tra
fondamentali
questi,
troviamo
nell’impostazione
il
rapporto
della
struttura
impieghi/depositi,
finanziaria
il
rapporto
impieghi/provvista onerosa e il coefficiente di leva finanziaria, suscettibili dell’imposizione di
livelli massimi di sfruttamento ai fini di una corretta gestione del rischio di liquidità49.
Un altro parametro da mantenere costantemente sotto controllo è rappresentato dal grado
di concentrazione delle fonti e dei canali di finanziamento.
La Banca d’Italia richiede alle istituzioni finanziarie di implementare strategie e politiche di
funding in modo da evitare che il venir meno di una determinata fonte di finanziamento o di
un canale di liquidità possano destabilizzare l’equilibrio economico e finanziario della banca.
Per quantificare il proprio grado di concentrazione finanziaria, il soggetto bancario prende in
esame una serie di parametri, quali: la dipendenza finanziaria da un unico mercato, da
un’unica controparte o da un numero eccessivamente ristretto di controparti; la
concentrazione sull’utilizzo di particolari strumenti finanziari; la mole di attività svolta in
valuta diversa da quella nazionale; la quantità di passività in scadenza alla fine del mese50.
Volumi consistenti di raccolta proveniente da fonti a grande instabilità potrebbero
comportare l’innalzamento del livello di rischio di liquidità cui la banca è esposta e, in
aggiunta, l’incremento del grado di rischiosità dell’intermediario, costringendolo a
sopportare costi maggiori per il reperimento di risorse liquide sul mercato, a meno di
interventi mirati a riequilibrare la propria struttura finanziaria.
L’intermediario è tenuto a dotarsi di un sistema efficace di misurazione e conoscenza dei
limiti operativi predisposti, diffuso tra le unità del gruppo, in modo da permettere la
49
Banca d’Italia (2010), Disposizioni in materia di governo e gestione del rischio di liquidità delle banche e dei
gruppi bancari e degli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale, 15 Giugno 2010.
50
Banca dei Regolamenti Internazionali: International framework for liquidity risk measurement, standards and
monitoring, Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria - dicembre 2009.
78
tempestiva comunicazione di situazioni di allerta alla direzione centrale, specialmente nel
caso di gruppi finanziari di grandi dimensioni e con operatività estesa a varie giurisdizioni.
Con riferimento all’ultima fase del processo di governo e quantificazione del rischio di
liquidità, la direttiva della Banca d’Italia rimanda alle disposizioni emanate in materia dal
Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria in un documento del settembre 2008, dedicato
esclusivamente alla sana e prudente gestione della liquidità, dal titolo “Principles for Sound
Liquidity Risk Management and Supervision”.
Nella sezione dedicata, il Comitato di Basilea illustra come lo scopo dell’informativa pubblica
è rendere edotti gli operatori di mercato circa l’effettiva situazione di liquidità e solvibilità
della banca, permettendo loro di giungere alla formulazione di un giudizio informato e
favorendo, così, la trasparenza e la disciplina del mercato.
Il volume e il livello di dettaglio delle informazioni da fornire risulta proporzionale alla
complessità dell’intermediario e all’ampiezza dell’attività svolta sul mercato.
La comunicazione deve rendere nota la struttura organizzativa predisposta dalla banca per la
gestione del rischio di liquidità, deve indicare i soggetti incaricati della gestione e della
supervisione e i compiti loro assegnati, deve mostrare il grado di centralizzazione o di
decentramento con il quale vengono svolte le funzioni di tesoreria e di liquidità della banca.
Nei grandi gruppi finanziari, l’informazione deve riguardare l’intensità dell’interazione tra le
singole unità, le responsabilità delle stesse in materia di gestione del rischio e le dinamiche di
trasferimento della liquidità all’interno del gruppo.
Esempi rilevanti di informazioni di tipo quantitativo divulgate dalle banche sono:
Dimensione e composizione delle riserve di liquidità;
Requisiti aggiuntivi di garanzia, richiesti a seguito di un eventuale declassamento di
rating;
Lo stato degli indicatori di liquidità prescritti dalla normativa;
La situazione prospettica prevista nella successione di flussi monetari in entrata e in
uscita.
Le informazioni qualitative concernono:
79
L’esposizione al rischio di liquidità della banca;
La diversificazione nelle fonti di finanziamento;
Le tecniche implementate per la misurazione del rischio di liquidità;
Le misure disposte per l’attenuazione del rischio;
La procedura di svolgimento degli stress test;
Gli scenari utilizzati nelle simulazioni;
L’illustrazione del contingency funding plan;
La strategia della banca in merito alla gestione delle riserve;
Le restrizioni imposte dalla normativa al trasferimento di fondi tra le unità del gruppo;
La tipologia di informativa predisposta51.
La funzione di reporting è preceduta da un’approfondita opera di rilevazione di dati riguardo
all’andamento dei flussi finanziari, provenienti dalle unità operative alla base della struttura
societaria.
Le informazioni in merito all’assetto di liquidità strutturale sono raccolte tramite l’analisi
delle poste di bilancio a medio e lungo termine; le poste a scadenza immediata vengono
prese in considerazione per l’esame dei fabbisogni immediati.
L’intera sequenza di raccolta ed elaborazione dei dati si svolge sotto l’attenta supervisione
dell’organo di controllo, procedendo secondo le disposizioni impartite dall’organo gestionale.
51
Banca dei Regolamenti Internazionali: Principles for Sound Liquidity Risk Management and Supervision,
Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria – settembre 2008.
80
2.
2.1
EFFETTI DELLA NUOVA DISCIPLINA IN ITALIA
Un ambiente in continuo mutamento
L’elaborazione dell’Accordo di Basilea III e la successiva entrata a regime all’interno delle
giurisdizioni nazionali fungono da preludio a una fase continua di sperimentazione e di analisi
dei risultati prodotti dalle nuove norme sul tessuto finanziario ed economico, nazionale e
internazionale.
Il Comitato per la vigilanza bancaria persiste nella sua opera di osservazione mediante la
realizzazione di studi a carattere quantitativo riguardo l’efficacia dei nuovi coefficienti di
liquidità, LCR e NSFR; gli enti bancari forniscono un grande contributo con la predisposizione
di relazioni da inviare alle autorità di vigilanza in merito allo stato in essere dell’adeguamento
ai nuovi standard, con l’indicazione dettagliata dei valori di riferimento.
L’applicazione di Basilea III e la definizione dei requisiti sono, dunque, in fase di adattamento
e potrebbero subire variazioni.
Al fine di esaminare la portata innovativa degli effetti del nuovo impianto disciplinare, è
necessario delineare con precisione il quadro di riferimento dei mercati finanziari al
momento della sua entrata in vigore, considerando i cambiamenti intervenuti dal momento
dello scoppio della crisi fino ad oggi.
Innanzitutto, si è verificata una tendenza generale delle istituzioni finanziarie al ritorno verso
profili di liquidità prudenti e sostenibili, rivelata dalla limitazione nell’utilizzo di strumenti di
finanza innovativa ad alto rischio e dal maggiore equilibrio tra attivo e passivo ottenuto
tramite mezzi di raccolta a lungo termine.
Le preoccupazioni dei mercati internazionali, congiuntamente alla prospettiva dell’attuazione
della nuova disciplina, hanno spinto le banche a costruire presidi di natura patrimoniale
idonei a fronteggiare tensioni di liquidità nel breve periodo, sia per rafforzare la struttura
finanziaria, in ottica di lungo termine.
81
Al centro di questa politica di gestione della liquidità, figurano il liquidity e il capital buffer,
preventivamente adottati dagli intermediari a scopo precauzionale e, successivamente,
imposti da Basilea III. Le riserve in questione, composte di contante e poste a esso
assimilabili, consentono di superare facilmente le crisi di liquidità grazie alla loro
immediatezza di utilizzo.
Il ruolo assunto dalla gestione della tesoreria, cresciuto di pari passo con l’evoluzione della
finanza registrata negli ultimi anni, ha subito un forte ridimensionamento: la sua competenza
non si estende più alla realizzazione di operazioni speculative con cui accrescere la redditività
dell’impresa; bensì torna alla sua tradizionale funzione di reperimento e gestione di risorse
liquide.
Per lungo tempo, fino alla recente crisi, i modelli di gestione della liquidità si presentavano
suddivisi in due categorie: il modello accentrato, facente capo a una holding con pieni poteri
decisionali; il modello decentrato, in cui grande autonomia era conferita alle singole
istituzioni del gruppo in materia di liquidità.
Recentemente, si è sviluppato un modello di tipo semi-centralizzato, capace di combinare
simultaneamente le prerogative dei precedenti: il connotato distintivo è fornito dal potere
demandato a una serie di sub-holding, in termini di accesso al mercato e selezione delle fonti
di finanziamento, e si rafforza il ruolo di intermediazione di questi soggetti tra l’alta direzione
e le unità finanziarie52.
Le banche hanno, altresì, aumentato la loro attenzione nei confronti delle poste prive di
scadenza contrattuale: depositi a vista e linee di credito con possibilità di rimborso anticipato
sono soggette a misurazioni molto più accurate e frequenti rispetto ai livelli ante-crisi. In
particolare, le banche stanno focalizzando la loro attenzione sullo studio della psicologia del
risparmiatore, analizzando le possibili reazioni e decisioni di quest’ultimo in situazioni di crisi
del mercato. Mediante l’impostazione di questi modelli comportamentali, si cerca di
prevedere la scadenza e le modalità con cui saranno prelevate le risorse monetarie a vista
presenti nel bilancio bancario.
52
G. Trevisan e P. La Ganga, Il rischio di liquidità dopo la crisi: verso nuove regole e nuovi modelli gestionali, in
Bancaria, n.6/2010.
82
Altro aspetto importante riguarda il forte processo di deleveraging posto in atto dalle
istituzioni, le cui conseguenze negative si riflettono con intensità sull’andamento societario e
sulla redditività conseguita53. Con questo termine s’intende il processo di riduzione del livello
di indebitamento posto in atto dalle banche; esso può avvenire sia attraverso un incremento
della quota di capitale sociale presente all’interno dell’istituzione sia attraverso una
decremento della quantità di capitale di credito preso a prestito da soggetti esterni, che
comporta una riduzione del totale delle attività detenute dalla banca.
Infine, bisogna segnalare il notevole miglioramento registrato nelle procedure di definizione
e attuazione delle analisi di scenario, corredate da ipotesi maggiormente aderenti alla realtà
e con alta possibilità di realizzazione; ciò conduce alla redazione di contingency funding plan
dotati di strumenti più adeguati alle dimensioni e alle caratteristiche delle crisi da affrontare.
2.2
L’impatto dei nuovi standard sul sistema bancario
La prospettiva della redazione di un nuovo corpus normativo ha avviato un processo di
variazione delle strategie aziendali da parte delle istituzioni finanziarie.
Le ragioni del cambiamento vanno rintracciate in un atteggiamento maggiormente
prudenziale adottato dalle istituzioni finanziarie nel periodo post crisi, attuato attraverso un
deciso ritorno allo svolgimento delle attività tipiche comprese nell’interpretazione
tradizionale della funzione bancaria e di un netto ridimensionamento dello spazio riservato al
trading.
Agli intermediari è richiesto di provvedere alla dilazione delle scadenze del passivo e alla
costituzione di riserve stabili di liquidità al proprio interno: per tale ragione, essi si sono
orientati in misura maggiore verso la raccolta diretta effettuata attraverso i depositi retail,
producendo una concorrenza agguerrita sui mercati del risparmio retail e riducendo i loro
margini di interesse sulle operazioni di raccolta e impiego.
53
P. Penza, Basilea 3 e gli impatti sulle banche: redditività, gestione del capitale e ruolo del Pillar 2, in Bancaria,
n. 11/2011.
83
In aggiunta, i requisiti di liquidità introdotti contribuiscono notevolmente all’aumento del
costo opportunità del capitale societario, a causa delle grandi quantità monetarie
immobilizzate nei bilanci54.
L’effetto comune delle disposizioni introdotte da Basilea III riguarda l’incremento dei costi da
sostenere nell’attività bancaria e l’influenza negativa esercitata sulla redditività, che
difficilmente tornerà agli elevatissimi livelli pre - crisi.
Una contraddizione sorge in merito alle prescrizioni dell’Accordo di Basilea sulle modalità di
utilizzo dei liquidity buffer predisposti dalla banca, sia in situazioni di ordinaria operatività sia
in caso di tensione dei mercati.
Infatti, in armonia con il concetto di banca intesa alla stregua di un’impresa finanziaria, lo
stanziamento di risorse monetarie in riserve di bilancio sminuirebbe l’essenza stessa
dell’attività economica, definita tale proprio per la prerogativa di utilizzare il capitale di cui
dispone al fine di generarne un quantitativo maggiore, attraverso l’impiego, nello specifico,
in una funzione produttiva di servizi.
Le disposizioni di Basilea richiedono che le risorse monetarie dei buffer detenuti siano gestite
con l’unico scopo di far fronte a crisi di liquidità di breve e lungo periodo, concedendo
esclusivamente l’investimento in titoli facilmente e prontamente liquidabili55.
Non vengono, inoltre, specificate la procedura e le modalità di utilizzo delle provviste
nell’eventualità di effettiva manifestazione di situazioni di stress finanziario sui mercati: la
lacuna può essere interpretata nell’ottica di una maggiore libertà concessa agli intermediari
sotto il punto di vista della gestione della riserva in caso di crisi.
È possibile, tuttavia, che il Comitato per la vigilanza bancaria abbia inteso demandare alle
autorità nazionali il compito di provvedere a formalizzare il procedimento di impiego della
liquidità stanziata nei momenti di reale fabbisogno.
54
P. Penza, Basilea 3 e gli impatti sulle banche: redditività, gestione del capitale e ruolo del Pillar 2, in Bancaria,
n. 11/2011.
55
G. Trevisan e P. La Ganga, Il rischio di liquidità dopo la crisi: verso nuove regole e nuovi modelli gestionali, in
Bancaria, n.6/2010.
84
2.3
Nuovi scenari finanziari
Grande importanza riveste la necessità di analizzare gli effetti prodotti dall’introduzione di
Basilea III e quelli che deriveranno gradualmente dalla completa uniformazione della
disciplina a livello globale. L’intento è quello di prevedere le reazioni degli intermediari e le
situazioni future dei mercati che da queste si prospettano.
Come si nota da un’attenta osservazione dei requisiti introdotti, l’insieme di attività di
elevata qualità, contemplate dalla formula per il calcolo del liquidity coverage ratio,
rappresenta soltanto una porzione di quelle ammesse alla realizzazione di operazioni con
controparte la Banca Centrale Europea: da questo particolare sorge il grande incentivo delle
istituzioni finanziarie a utilizzare attività di elevata qualità per soddisfare gli standard
richiesti, e impiegare le attività rimanenti, ovviamente di qualità inferiore, in operazioni con
la Banca Centrale.
Si assiste, così, a un processo di trasferimento di attività meno pregiate e più rischiose, che
parte dagli intermediari e arriva alla Banca Centrale Europea56.
Il fenomeno genera un certo grado di rischio difficilmente quantificabile, in quanto esistono
possibilità di compensazione tra i vantaggi registrati in termini di maggiore stabilità delle
banche, grazie al rispetto delle norme di Basilea, e il rischio sopportato dalla Banca Centrale
Europea per effetto della detenzione di titoli di qualità non elevata.
Richiede attenta valutazione la capacità, da parte dei soggetti sottoposti alla normativa, di
porre in atto operazioni in grado di sfruttare situazioni regolamentari di arbitraggio del
mercato, nell’intento di raggiungere l’idoneità prescritta da Basilea III sotto il punto di vista
della liquidità.
Gli operatori finanziari, poi, in seguito agli obblighi imposti alle banche a proposito di
un’attività di ristrutturazione del bilancio, si sono orientati all’acquisto di titoli sicuri con
caratteristiche di elevata liquidità e facile negoziazione.
56
G. Trevisan e P. La Ganga, Il rischio di liquidità dopo la crisi: verso nuove regole e nuovi modelli gestionali, in
Bancaria, n.6/2010.
85
I mercati hanno, dunque, assistito a una discriminazione nella selezione degli strumenti
finanziari: le preferenze hanno riguardato i titoli pubblici a svantaggio di quelli corporate;
sono diminuite anche le richieste di obbligazioni bancarie da parte di altri soggetti
istituzionali.
Quest’atteggiamento di grande rigore delle autorità sugli intermediari finanziari sta
conducendo nella direzione di un ulteriore credit crunch: le banche, dovendo sostenere
maggiori costi di provvista e registrando notevoli diminuzioni di reddito, innalzano il prezzo
del finanziamento alle imprese e applicano criteri maggiormente selettivi nella scelta dei
soggetti idonei a ricevere capitale. Ne risulterà danneggiato l’intero sistema economico e
finanziario, in particolare i consumatori finali, quali famiglie e imprese.
3.
3.1
Quali aspetti è necessario implementare in futuro?
Trasparenza e imparzialità
Fin dalle primissime disposizioni regolamentari realizzate, il Comitato di Basilea per la
vigilanza bancaria ha sempre riservato un’attenzione particolare alla questione della
trasparenza informativa sui mercati.
Le banche, infatti, sono tenute a redigere una serie di documenti relativi ai risultati conseguiti
nei vari ambiti della gestione societaria, esplicativi della situazione economica, finanziaria e
patrimoniale, al fine di rendere edotto il consumatore finale che si appresta a compiere una
scelta tra i vari operatori del mercato.
In Basilea II, il Comitato per la vigilanza bancaria dedica una sezione apposita al tema,
definendone i principi nel terzo pilastro, relativo all’informativa da fornire al pubblico e alle
autorità di vigilanza.
La recente crisi finanziaria sembrerebbe aver proclamato l’assoluta inadeguatezza del livello
di disclosure stabilito dal sistema normativo, a causa del quantitativo decisamente
86
insufficiente di informazioni rese disponibili dalle istituzioni. Al contrario, alcuni economisti e
finanzieri ritengono che sia stata la crisi a neutralizzare l’effetto discriminante del mercato:
secondo la loro opinione, la capacità di selezionare tra banche più o meno rischiose, con la
conseguenza di imporre alle prime un costo più alto del capitale e quindi sollecitarle a
diminuire il loro grado di rischio, è stata compromessa dai numerosi interventi effettuati
dalle autorità nazionali e internazionali in favore di istituzioni di dimensioni particolarmente
importanti e bisognose di sostegno, che hanno reso del tutto inefficaci le valutazioni degli
operatori.
In particolare, il potere discriminante del mercato si è rivelato efficiente e correttamente
operante in situazioni di normale operatività degli scambi; tuttavia, non c’è possibilità di
prevedere che ciò avvenga in scenari di crisi sistemiche. Nella crisi appena trascorsa, i
fenomeni di informazione asimmetrica e di moral hazard, oltre a tutte le distorsioni
intervenute in seguito, hanno accentuato l’influenza negativa della bassa trasparenza
informativa esistente.
Per questo motivo, dopo aver constatato che l’obiettivo di rafforzare il sistema finanziario
mediante la garanzia di livelli elevati di capacità discriminante del mercato è fallito, il
Comitato di Basilea sta considerando la possibilità di migliorare l’impianto di disclosure
esistente, con la prescrizione di norme più adatte a favorire la selezione degli operatori in
base al modello di gestione della liquidità, all’assetto di governance e alle politiche
economiche e finanziarie praticate.
Per ciò che concerne maggiormente gli aspetti finanziari e monetari, il Comitato per la
vigilanza bancaria ha immediatamente provveduto con l’introduzione dei coefficienti liquidity
coverage ratio e net stable funding ratio, con lo specifico obiettivo di migliorare la gestione
della liquidità e ottenere e divulgare una misura facilmente comprensibile del rischio di
liquidità cui è esposta la banca.
Livelli adeguati di trasparenza informativa risultano fondamentali anche per assicurare una
sostanziale parità di condizioni nello svolgimento dell’attività finanziaria tra operatori del
mercato che agiscono in aree economiche diverse.
87
Questa esigenza è stata accentuata in occasione dell’entrata in vigore di Basilea III, proprio a
causa della discrezionalità concessa alle autorità nazionali in merito alla definizione dei
requisiti da rispettare nello specifico contesto di competenza e, dunque, della possibilità
effettiva che si verificassero disuguaglianze tra Stati diversi nell’applicazione della normativa.
È stato accolto di buon auspicio il periodo di transizione relativo alla piena attuazione di
Basilea III: le disomogeneità sopraggiunte negli ultimi anni, in seguito alle diverse politiche
sostenute dai vari regolatori nazionali, hanno proiettato alcune istituzioni in una posizione di
ingiustificato vantaggio nei confronti di altre.
La crisi e l’attuale normativa rappresentano un nuovo punto di partenza per la creazione di
un sistema finanziario più equo e competitivo, nell’intento di conservare le peculiarità
nazionali nell’applicazione del regolamento e di uniformare il più possibile una disciplina dai
caratteri prettamente settoriali, oltre che nazionali.
3.2
Procedure di misurazione, gestione e controllo
In materia di Liquidity Risk Management, una funzione di rilevante importanza è ricoperta dal
processo di misurazione del rischio di liquidità cui è esposta l’istituzione e dalle successive
procedure di stress testing e implementazione del contingency funding plan, inteso come
l’insieme degli strumenti predisposti dalla banca per fronteggiare crisi di liquidità prolungate.
Il lavoro di analisi svolto dal Comitato per la vigilanza bancaria in questi anni e i numerosi
studi d’impatto quantitativo effettuati sui mercati finanziari e sui soggetti in esso operanti,
hanno avuto modo di rendere manifesta alle autorità la condizione di grave precarietà in cui
versavano gli adempimenti in termini di previsione del rischio e predisposizione di misure
atte a contrastarlo da parte degli intermediari.
L’attuazione della disciplina non avveniva con il necessario grado di rigore e le aspettative
sviluppate non hanno rispecchiato minimamente le circostanze effettivamente verificatesi
nel periodo di crisi.
88
Per questa ragione, il Comitato di Basilea ha ritenuto opportuno sottolineare e ribadire le
disposizioni inerenti la trattazione del rischio di liquidità: le banche sono chiamate a definire
sistemi di implementazione di stress test e piani di emergenza adeguati alle proprie
specifiche necessità.
Gli scenari contemplati dalle simulazioni effettuate devono comprendere tipi di shock con
caratteristiche sia idiosincratiche, ossia riferite a elementi tipici del soggetto, sia sistemiche,
proprie del mercato, e distribuiti su orizzonti temporali il più possibile diversificati, in modo
da catturare l’entità del rischio di breve, medio e lungo periodo.
Dalla crisi a oggi, le modalità e gli attributi degli stress test effettuati dalle banche hanno
subito profonde modifiche, che dovrebbero rendere più precisa la stima del rischio.
Precedentemente, infatti, gli intermediari simulavano situazioni di tensione idiosincratica e
sistemica in modo non congiunto; le ipotesi alla base non contenevano un adeguato livello di
criticità degli scenari e gli approcci utilizzati
nel reperimento dei dati si basavano su
metodologie statistiche o discrezionali, espressione delle valutazioni compiute dal
management sulla stabilità dell’assetto aziendale, in conseguenza della quasi totale assenza
di dati storici in merito a crisi di liquidità57.
Inoltre, emergeva una tendenza delle istituzioni a riservare enorme fiducia nelle Banche
Centrali e nelle autorità internazionali, delimitando la validità delle analisi ai confini nazionali
e, dunque, ignorando la porzione di rischio connessa agli squilibri dei mercati internazionali.
Tra i propositi del Comitato per la vigilanza bancaria rientra anche quello di estendere la
pratica di redazione del contingency funding plan alle singole unità figuranti alla base dei
grandi gruppi bancari internazionali; in questo modo, al piano di emergenza predisposto dalla
capogruppo a livello consolidato, si aggiunge quello specifico delle unità, con l’intento di
evitare il continuo ricorso al supporto di liquidità degli altri soggetti del gruppo e favorire un
adeguato livello di autonomia monetaria e gestionale.
Gli orizzonti temporali presi in considerazione si sono evoluti in direzione di una migliore e
più diversificata prospettiva periodale, rappresentativa di un’adeguata scala delle scadenze
57
G. Trevisan, Il contingency funding plan nella gestione del rischio di liquidità nelle banche, in Bancaria, n. 78/2010.
89
future; tuttavia, i processi di revisione degli scenari non sono ancora attuati con la frequenza
necessaria a prendere atto di eventuali repentini cambiamenti nelle prospettive future.
Pertanto, le misure contenute nel contingency funding plan devono rivelarsi idonee a
sostenere una crisi di liquidità prolungata che possa coinvolgere l’intermediario specifico o il
sistema finanziario nella sua interezza, come quella appena trascorsa.
Il piano di emergenza deve presentare un livello di particolarità appropriato alla struttura
specifica del soggetto e alle situazioni che, secondo le previsioni, si andrà ad affrontare,
includendo gli elementi necessari a prendere decisioni determinanti nel più breve tempo
possibile; la sequenza di azioni di emergenza deve essere chiara ed efficace per consentire al
Management di agire senza incertezze in un contesto che procede rapidamente in direzione
di un progressivo deterioramento.
La pericolosità dello stato di tensione è comunicato da una serie di indicatori, che l’azienda è
tenuta a monitorare costantemente. Essi segnalano una situazione preventiva di allerta
oppure quella più grave di crisi vera e propria58.
Gli indicatori di maggiore importanza sono i differenziali di interesse pagati dalla banca su
determinate attività a livello europeo e internazionale; è necessario considerare anche il
periodo di tempo per cui questi indicatori permangono oltre la soglia di allerta o di crisi, nel
caso in cui si rendesse necessario predisporre misure aggiuntive rispetto a quelle previste per
uno stress di durata contenuta.
Altri aspetti di cui tener conto nella definizione del contingency funding plan sono la
connessione tra le due manifestazioni principali del rischio di liquidità, market liquidity risk e
funding liquidity risk, con l’intento di ottenere una stima quantitativa dei volumi di liquidità
conseguibili mediante lo smobilizzo sul mercato delle attività prescelte; le modalità di
attivazione delle fonti contemplate secondo la rigorosa procedura di attivazione; le
prescrizioni del Comitato per la vigilanza bancaria in merito alla designazione di un organo
aziendale responsabile delle procedure di emergenza in caso di crisi e dell’opera di
divulgazione e illustrazione tecnica da diffondere all’esterno, verso quei soggetti che
richiedono garanzia di affidabilità.
58
G. Trevisan, Il contingency funding plan nella gestione del rischio di liquidità nelle banche, in Bancaria, n. 78/2010.
90
Per quanto attiene al primo punto, il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria richiede alle
banche l’implementazione di tecniche idonee alla formulazione di una valutazione
quantitativa sulla possibilità effettiva di ottenere le risorse liquide necessarie durante il
periodo di stress, nell’importo previsto dal piano di emergenza, attraverso lo smobilizzo delle
attività indicate sul mercato. Il processo di stima deve tener conto delle due tipologie
fondamentali di manifestazione del rischio di liquidità, il funding liquidity risk e il market
liquidity risk, analizzando congiuntamente l’effetto negativo sul valore delle attività liquidabili
che potrebbe derivare dalle difficoltà di reperimento di capitali sul mercato e smobilizzo
degli asset in situazioni di crisi di liquidità.
Il piano di emergenza deve, inoltre, contenere il riferimento a un determinato insieme di
fonti supplementari di liquidità a cui la banca può attingere in caso di crisi. È di importanza
fondamentale, in questa fase, delineare una ben precisa sequenza da rispettare nell’utilizzo
delle fonti: la priorità deve essere accordata a quelle che presentano una maggiore facilità e
rapidità di utilizzo; solo successivamente deve essere previsto il ricorso alle fonti difficilmente
attivabili. Esempi a riguardo possono essere forniti da operazioni pronto contro termine con
la Banca Centrale, finanziamenti garantiti verso soggetti istituzionali, riserve aziendali di
pronta liquidabilità.
In ultimo, la normativa richiede alle banche di designare l’organo aziendale competente in
materia di attivazione e coordinamento delle procedure di emergenza, oltre che dell’opera di
divulgazione tecnica dei dettagli delle operazioni poste in atto. La disposizione è motivata da
esigenze di flessibilità e prontezza di organizzazione ed esecuzione nell’affrontare la
situazione di crisi, onde evitare che incertezze, individuali e collettive, ed errori procedurali
pregiudichino la capacità della banca di superare la fase di tensione senza incorrere in
alterazioni della propria struttura economica e finanziaria. Altrettanto importante è la fase di
public disclosure, in quanto la banca deve comunicare correttamente e dettagliatamente le
modalità con cui prevede di affrontare contesti di emergenza monetaria: una serie di
soggetti, quali le Autorità monetarie e governative, le società di rating e il pubblico in
generale sono interessati a conoscere l’effettiva capacità dell’istituzione finanziaria di far
fronte a tensioni di liquidità, di diverso grado di intensità, cui la stessa può incorrere.
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CONCLUSIONI
La liquidità è intesa come la capacità di una banca di finanziare la sua attività sul mercato
attraverso l’assunzione di obbligazioni a carattere creditizio, evitando di incorrere in perdite
di efficienza che vanno a intaccare la redditività.
Il ruolo di fondamentale importanza ricoperto dalle banche nel processo di trasformazione
delle scadenze dei depositi a breve termine in prestiti a medio e lungo termine rende questi
istituti particolarmente sensibili al rischio di liquidità, sia di tipo specifico sia istituzionale:
ogni operazione finanziaria, infatti, presenta ripercussioni sul piano della liquidità.
Solamente una sana e prudente gestione della liquidità permette alla banca di assolvere gli
obblighi contrattuali nei tempi e nei modi previsti: in questo modo è possibile evitare che
situazioni di tensione dell’intermediario si propaghino agli altri soggetti finanziari, sfociando
in crisi generalizzate del mercato.
È chiaro, dunque, come il processo di gestione e monitoraggio della liquidità rientri tra le
attività essenziali della vita di una banca e trascenda caratteristiche specifiche, quali la
dimensione del soggetto intermediario, la complessità delle operazioni svolte, l’ambito di
influenza.
Elementi peculiari di una gestione solida sono rappresentati da adeguati sistemi informativi e
di controllo della liquidità, analisi e previsioni dei fabbisogni sviluppati con riferimento a un
gran numero di scenari alternativi, elevata diversificazione del funding e piani di emergenza
validi.
La recente crisi del 2007 ha mostrato, in modo inequivocabile, l’importanza assunta dalla
liquidità per il corretto funzionamento dei mercati finanziari e del sistema bancario nazionale
e internazionale, troppo a lungo sottovalutata.
Gli anni precedenti lo scoppio della crisi, infatti, sono stati caratterizzati dalla presenza di
elevate quantità di liquidità sui mercati e da una notevole facilità di funding a basso costo per
le istituzioni.
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L’inversione di tendenza ha evidenziato la velocità con cui la liquidità può scomparire dai
mercati e indurre una situazione di scarsità monetaria protratta per lunghi periodi di tempo,
costringendo le Banche Centrali a intervenire attraverso l'immissione di ingenti quantità di
risorse liquide sui mercati e attraverso il salvataggio di numerose istituzioni finanziarie.
Come esposto in questa trattazione, i numerosi studi condotti dalle Autorità europee ed
extra-europee hanno evidenziato come, negli anni strettamente antecedenti la crisi, la
maggior parte delle banche abbia prestato poca attenzione all’attuazione dei principi di base
sulla gestione della liquidità, prescritti dagli Accordi internazionali: molte di esse non erano
dotate di strutture adeguate alla misurazione e al governo del rischio, specialmente di quello
intrinseco agli strumenti di finanza innovativa, a larga diffusione in quel periodo. Molti istituti
finanziari si sono dimostrati carenti nei processi di quantificazione delle risorse liquide
necessarie per la soddisfazione delle obbligazioni assunte, di tipo sia contrattuale sia extracontrattuale, oltre che carenti nella predisposizione di stress test e piani di emergenza idonei
per affrontare le manifestazioni del rischio di liquidità e le sue conseguenze su prolungati
intervalli temporali.
Da quel momento, l’opera delle Autorità internazionali e del Comitato di Basilea per la
vigilanza bancaria, in un costante sforzo di armonizzazione disciplinare a livello mondiale, che
si estende con continuità e vigore, è rivolta a conferire maggiore stabilità a un sistema
finanziario eccessivamente fragile attraverso una serie di misure con alto grado di severità: il
mantenimento di un adeguato livello di liquidità delle banche, anche attraverso buffer di
attività liquide, la prescrizione di stress test conformi a situazioni di tensione realmente
concretizzabili e piani di emergenza efficienti, la diffusione pubblica delle informazioni
inerenti alla gestione della liquidità.
Il Comitato per la vigilanza bancaria, con l’emanazione dell’ultimo Accordo (Basilea III),
procede nella direzione di un marcato rafforzamento dei poteri conferiti alle Autorità di
vigilanza in sede di supervisione e intervento nei confronti delle istituzioni la cui situazione
finanziaria e di liquidità si presenta non conforme ai nuovi principi normativi.
Il Comitato di Basilea incentiva e prescrive la cooperazione tra le Autorità di controllo
nazionali e internazionali, accresce la loro capacità di intervenire tempestivamente nei
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confronti di soggetti con carenze nell’assetto di gestione della liquidità e favorisce l’attività di
vigilanza introducendo gli indici di liquidità per le banche (liquidity coverage ratio e net stable
funding ratio) e le riserve obbligatorie di risorse monetarie (capital countercyclical buffer e
liquidity capital buffer).
Queste misure facilitano anche il monitoraggio interno del rischio, permettendo alla banca di
essere continuamente al corrente della propria situazione di liquidità.
Svolgendo un’analisi in merito alla prospettiva di applicazione delle nuove disposizioni in
Italia, emerge la difficoltà, riscontrata anche in ambito internazionale, con cui le banche
italiane si apprestano al rispetto del requisito di liquidità a breve termine: la severità e la
precisione con cui sono state articolate le nuove regole circa gli attributi dei flussi di cassa in
entrata e in uscita da includere nella formula per il calcolo del liquidity coverage ratio
lasciano ben poco spazio all’interpretazione e alla libera iniziativa delle istituzioni.
L’atteggiamento delle banche italiane, infatti, ha registrato una decisa virata nei confronti
della raccolta proveniente da clientela retail, diminuendo la quantità di risorse liquide
provenienti dal mercato interbancario e dalle Banche Centrali.
Per quanto riguarda l’indicatore di liquidità a lungo termine, la situazione finanziaria
nazionale sembra presagire un adeguamento privo di particolari difficoltà operative, in virtù
della consolidata tradizione bancaria italiana, da sempre contraddistinta per la grande
rilevanza, nelle poste passive dei bilanci, di risorse monetarie reperite da fonti finanziamento
retail e l’attitudine diffusa a concedere prestiti alle piccole e medie imprese.
Focalizzando l’attenzione sul piano più generale della gestione e misurazione del rischio di
liquidità, gli intermediari italiani ed esteri stanno manifestando una soddisfacente capacità di
applicazione delle disposizioni emanate, in termini di adeguate tecniche di valutazione,
governo e monitoraggio del rischio di liquidità, accumulazione di risorse monetarie destinate
a soddisfare i requisiti regolamentari ed equa ripartizione dei compiti di gestione del rischio
all’interno della struttura organizzativa.
In compenso, la maggiori carenze nelle metodologie di gestione della liquidità adottate dalle
banche italiane sono apparse in merito alla predisposizione degli stress test e dei contingency
funding plan: questi processi non sono ancora eseguiti al livello di singola istituzione del
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gruppo, bensì coinvolgono soltanto il soggetto finanziario nel suo complesso; i piani di
emergenza, inoltre, concedono poco spazio all’illustrazione dell’organizzazione incaricata del
governo e della valutazione del rischio di liquidità.
È stata riscontrata, inoltre, la tendenza generale degli intermediari a diffondere una quantità
decisamente insufficiente di informazioni riguardo alla struttura predisposta per affrontare il
rischio di liquidità nelle sue molteplici manifestazioni: la comunicazione non presenta il
necessario grado di profondità; le misure adottate e le tecniche utilizzate sono esposte in
modo da non soddisfare gli standard richiesti dalla disciplina internazionale in merito alla
corretta diffusione delle informazioni accessibili agli investitori e ai risparmiatori. Si può,
dunque, concludere affermando che lo stato di avanzamento del lavoro per il rafforzamento
del sistema finanziario mondiale, portato avanti dal Comitato di Basilea per la vigilanza
bancaria e dalle Autorità monetarie e finanziarie internazionali, procede celermente in
direzione di un quadro regolamentare notevolmente più severo, cercando di pervenire alla
concretizzazione di quegli aspetti fondamentali di integrazione e coordinamento della
disciplina tra i vari Paesi, tasselli indispensabili per il conseguimento dell’uniformità
normativa e della stabilità finanziaria.
Per quanto riguarda il sistema bancario italiano, la recente crisi finanziaria ha rappresentato
un duro colpo per le singole istituzioni, a cui bisogna aggiungere il carico ulteriore apportato
dall’introduzione del nuovo sistema regolamentare di Basilea III. La situazione non è delle
migliori e le indagini più recenti confermano le tendenze negative degli ultimi anni:
incremento della patrimonializzazione societaria, svalutazioni dei crediti in costante
aumento, crollo della redditività. La difficile ripresa nel settore industriale italiano e il costo
elevato del debito pubblico hanno determinato un peggioramento della qualità negli attivi
dei bilanci bancari.
Tuttavia, le banche italiane hanno intrapreso la strada giusta per uscire dalla profonda fase di
recessione e le prospettive sono incoraggianti. Il settore bancario italiano ha le carte in regola
per ripartire e poggia la sua struttura su solide fondamenta: i suoi punti di forza sono
rappresentati dalla consistente quantità di risparmio privato presente tra le sue attività,
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dall’elevato livello di credito destinato alle imprese e, dunque, all’economia reale, dalla
valida infrastruttura del suo settore industriale.
Puntando, dunque, sulle caratteristiche che, da sempre, lo contraddistinguono, il sistema
bancario nazionale, anche attraverso lo sviluppo di una cooperazione diffusa con imprese e
famiglie, si avvia a superare una delle più gravi crisi finanziarie ed economiche della storia
recente.
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