malattie neuro-degenerative avanzate inguaribili

Università degli Studi di Milano
Centro Universitario Interdipartimentale per le Cure palliative
Gruppo di lavoro “Malattie neurologiche avanzate inguaribili”
Documento di sintesi, Versione 3.0, aggiornato al 18-10-2012
Il 19-7-2012 si è riunito, presso la Casa della Carità e alla presenza del Prof. Andreoni, il
gruppo di lavoro “Malattie neurologiche avanzate non guaribili”. Per il gruppo di lavoro
erano presenti Fabrizio Giunco e Christian Lunetta, che si sono impegnati a riassumere
alcune indicazioni della discussione in fase di avvio e suggerire alcune indicazioni
preliminari di scenario.
Il gruppo si muove in linea con la griglia proposta dal Gruppo di lavoro “trasversale” nella
riunione del 12-7-2012, che hanno come riferimento:
• i bisogni di un approccio palliativo in persone con malattie avanzate, oncologiche e
non oncologiche, includendo in questo ambito anche i portatori di gravi fragilità;
• i criteri di accesso alla Rete di cure palliative.
Il gruppo trasversale ha proposto agli altri gruppi alcuni argomenti meritevoli di riflessione
e sui i gruppi a tema possono proporre risposte, approfondimenti, indicazioni di merito. I
temi indicati dal gruppo trasversale sono:
a) Indicatori misurabili per definire la prognosi nelle diverse malattie croniche avanzate
(oncologiche e non oncologiche). Indicatori di terminalità (prognosi infausta a breve
termine).
b) Criteri e parametri misurabili per valutare il bisognonelle varie fasi della storia
naturale della malattiae la qualità di vita del Paziente con malattia cronica avanzata
e della Persona con grave fragilità fisica e/o psichica.
c) Criteri di accesso alla rete locale delle Cure palliative (in fase di realizzazione grazie
alla legge 38/2010) e alla rete degli Hospice (operativa nella città di Milano solo per
i pazienti oncologici).
d) Griglia di parametri per definire con adeguati punteggi la “graduatoria” della lista di
attesa dei Pazienti con le varie patologie per lʼaccesso agli Hospice (graduatoria in
rapporto ai bisogni).
e) Quando considerare per ogni patologia prioritarie le Cure palliative per il controllo
dei sintomi rispetto alla Cure specifiche.
f) Per ogni patologia (oncologica e non oncologica), quali farmaci specifici devono
essere mantenuti e quali possono essere sospesi nella fase terminale quando la
prognosi è infausta a breve termine. Quando e come sospendere trattamenti
“specifici” (nella scelta è giusto considerare anche il costo economico e il costo
sociale ?).
g) Per ogni patologia (oncologico, grave cardiopatico, grave insufficienza respiratoria
cronica, grave insufficienza renale cronica, grave malattia infettiva cronica) e per le
gravi fragilità fisiche e/o psichiche, definizione non solo teorica ma soprattutto
pratica di “simultaneous care”, di “continuous care” e di “ supportive care”.
h) Nelle diverse patologie nella fase “terminale”, chi deve fare, come e in quale setting
che sia adeguato al bisogno del paziente.
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i) Quale ruolo del MMG nelle fasi avanzate e nella fase terminale ? Chi si prende in
carico il Paziente e quale potrebbe essere il ruolo della nuova figura del Case
manager ?
j) Chi deve farsi carico nelle varie patologie del Paziente quando compaiono sintomi
complessi poco trattabili (in particolare dolore, ma non solo): il Medico specialista, il
Medico di Medicina Generale, il Medico palliativista, i Servizi della Rete ?
k) Quando, dove, come e chi deve gestire una sedazione palliativa nelle diverse
patologie avanzate ?
l) Quando la nutrizione artificiale (enterale e parenterale) può essere sospesa nelle
diverse patologie gravi avanzate anche se non terminali (es. grave demenza, stato
vegetativo) e nelle fasi terminali delle diverse patologie.
m) Quali sono le problematiche bioetiche, giuridiche e sociali più rilevanti nelle diverse
patologie croniche nelle fasi avanzate.
n) Quale dovrebbe essere il ruolo dello Specialista (cardiologo, neurologo,
infettivologo, oncologo, nefrologo, pneumologo) nella fase a prognosi rapidamente
infausta, a domicilio, in RSA, in Hospice ?
o) Nelle diverse patologie a prognosi infausta, sino a che punto informare il Paziente
rendendolo consapevole e sino a che punto rispettare il principio di sua
autodeterminazione.
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Cure palliative e malattie neurologiche di lunga durata, inguaribili e a prognosi
infausta
1.0
Aree di interesse e obiettivi generali
La riflessione dei gruppi di lavoro a tema deve essere comunque coerente con gli obiettivi
del Centro interdipartimentale di ricerca, che sono fondamentalmente riassumibili in tre
aree distinte ma complementari:
1.1 Formazione: come proporre cambiamenti ai diversi livelli del percorso formativo delle
figure professionali sanitarie o complementari (psicologi, assistenti sociali, educatori,
ASA/OSS, altri) perché i temi trattati e le indicazioni suggerite possano trovare
accoglienza nei diversi ambiti formativi, a partire dai diversi livelli dellʼinsegnamento
universitario. Quindi, restando nel tema delle malattie neurologiche non guaribili e
nello specifico delle cure palliative:
a) Quali contenuti vanno diffusi?
b) Quali certezze sono oggi ricavabili dalla letteratura scientifica e dai modelli di
buona pratica?
c) Quali correzioni possono essere proposte rispetto ai principali contenuti
dellʼinsegnamento tradizionale?
d) Quali priorità e per quali figure?
e) Quali strumenti (insegnamento di base, insegnamenti elettivi, corsi di
perfezionamento, corsi Master di primo e di secondo livello)?
f) In quale inquadramento normativo e con quale riconoscimento professionale e
professionalizzate rispetto allʼevoluzione delle Rete di cura?
1.2 Ricerca: quali aree e quali contenuti sono oggi poveri di certezze o, al contrario, quali
certezze vanno sviluppate per dare forza ad un approccio palliativo basato non su
abitudini o su applicazioni per analogia di certezze acquisite su altre popolazioni. A
solo titolo esemplificativo:
a) Esistono delle differenze - ad esempio in tema di rilevazione dei sintomi, utilizzo
dei principi attivi e delle terapie non farmacologiche – fra popolazioni con malattie
oncologiche e i diversi sottogruppi di popolazione con malattie non oncologiche, di
lunga durata e a prognosi infausta e, nello specifico, delle malattie neurologiche?
b) Lʼidentificazione della fase terminale fa riferimento nelle diverse popolazioni a
criteri simili o richiede adattamenti? E se si, quali?
c) Esiste un timing condiviso nel passaggio da terapie farmacologiche orientate alla
guarigione o alla prevenzione dei fattori di rischio (fra le più semplici, il trattamento
dellʼipertensione arteriosa e del diabete mellito) alla loro sospensione e passaggio
prevalente a trattamenti orientati al controllo dei sintomi?
d) Esistono criteri condivisi per considerare nelle fasi avanzate delle malattie
neurologiche a prognosi infausta, un trattamento farmacologico sempre
inappropriato, spesso inappropriato, probabilmente inappropriato o, al contrario
inappropriato?
Si potrebbero fare altri esempi, ma è evidente che lʼarea delle cure palliative – e
quella propria dellʼapproccio palliativo alle malattie di lunga durata a prognosi infausta
- è spesso orfana di letteratura o, al contrario, ha già prodotto buone indicazioni che
però faticano a diventare buona e diffusa pratica clinica. Unʼarea del tutto particolare
è quella della riflessione bioetica, che propone oggi riflessioni anche di livello
sperimentale, chiamate a confrontarsi con scuole di pensiero e sistemi di valore non
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semplici da far confluire in certezze di comportamento, in principi deontologici
condivisi, in produzione legislativa chiara e applicabile.
1.3 Organizzazione dei servizi: si tratta di un tema centrale per tradurre le conoscenze
e la formazione in una pratica reale che raggiunga le popolazioni oggetto di questa
riflessione. I modelli di rete (ad esempio, la Rete oncologica o la Rete delle cure
palliative) hanno prodotto ottimi risultati, che vanno probabilmente trasferiti ad altre
popolazioni con i dovuti adattamenti. Ma si tratta di ripensare lʼintegrazione di servizi
che hanno storie e culture diverse e che sono più o meno vicini alla cultura delle cure
palliative. Eʼ necessario anche confrontarsi con la diversa consistenza quantitativa
delle popolazioni oggetto di questo documento, che potrebbero impegnare risorse
superiori alla possibilità attuali del sistema e per le quali le conoscenze non sono
sempre adeguate a garantire risultati certi. Ma il tema è centrale. Qual è il modello
migliore o ragionevolmente più efficace e efficiente per garantire anche alle
popolazioni di persone affette da malattie non oncologiche non guaribili – e nello
specifico a quelle con malattie neurologiche – una ragionevole sicurezza di ricevere
cure proporzionate in contesti di qualità e ridurre lʼeterogeneità applicativa, territoriale,
culturale?
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2.0 Dimensioni del problema
Le malattie non oncologiche, e quelle neurologiche in particolare, stanno assumendo una
rilevanza crescente nel dibattito sulle conoscenze e sullʼimplementazione di buone
pratiche di cure palliative. Alcune aree di malattia – come la demenza, i disturbi cronici di
coscienza successivi a gravi lesioni cerebrali acquisite (GCA) o le malattie neuromuscolari
sono da tempo aree paradigmatiche di riflessione.
La demenza nei suoi diversi sottotipi, ad esempio, rappresenta negli Stati Uniti la 5a causa
di morte fra gli anziani, la 7 a nella popolazione generale. Si tratta di un dato ampiamente
sottostimato, essendo nota la tendenza al ritardo nella diagnosi della sindrome, ma anche
alla sua totale mancanza in una quota consistente di anziani che intercettano il sistema di
cura. Una diagnosi corretta viene spesso ancora sostituita con categorizzazioni
diagnostiche non appropriate, incomplete o francamente fuorvianti. Il dato trova il suo
maggiore risalto negli studi che derivano dalle dichiarazione di causa di morte Istat, nella
quale la demenza è raramente indicata o individuata come prima causa di morte e come
concausa determinante.
Gli studi britannici collegati o preliminari al Gold Standards Framework, suggeriscono
come lʼ1% della popolazione in carico alla rete dei Medici di medicina generale/General
Practitioners in Inghilterra e Gallese vada incontro a morte nel corso di ogni anno di
attività. Il 15% di queste morti è attribuibile a malattia oncologica e lʼ1-2% a morte
improvvisa o inaspettata nelle sue diverse caratterizzazioni. I restanti si distribuiscono in
modo sostanzialmente equivalente nelle due aree della demenza/fragilità e delle
insufficienze dʼorgano. Si tratta di numeri importanti, utili a rimarcare la consistenza
quantitativa delle morti per causa non oncologica, la loro rilevanza nellʼambito dei sistemi
di cure primarie e, soprattutto, a sottolineare come la gran parte di questi decessi non
venga intercettata dai servizi di cure palliative e dalle reti di cura collegate. Sono quindi da
affrontare aree di assoluta centralità per la progettazione di piani di cura adeguati e globali:
diagnosi tempestiva, comunicazione della diagnosi, trasferimento di informazioni sulla
storia naturale e sulla prognosi, condivisione con le persone e le famiglie delle scelte di
cura, individuazione e gestione proporzionata delle terapie nella
fase avanzata,
individuazione e sostegno alla fase del morire e della morte imminente,
accompagnamento nella fase del lutto.
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3.0 Dati di prevalenza e di incidenza
3.1
Demenza
La demenza è una malattia altamente invalidante e di lunga durata. Il numero di persone
con demenza raddoppierà nei prossimi 20 anni fino a raggiungere, nel mondo, gli 81
milioni, con 4,6 milioni di nuovi casi ogni anno (Ferri CP, 2005). In Gran Bretagna,
unʼultra65enne ogni 14 ha una o lʼaltra forma di demenza, e questa proporzione sale a 1
ogni 6 dopo gli 85 anni (World Health Organization, 2003). In Italia lʼepidemiologia della
demenza è simile a quella di altri paesi ad economia avanzata; la sua incidenza è in
aumento; a partire dal 2020 si stimano circa 213.000 nuovi casi per anno, con un aumento
del 40% rispetto al 2000 (Di Carlo A, 2002). La durata della malattia è ancora dibattuta,
secondo alcuni studi compresa in un range fra i 3 e i 16 anni (Wolfson C, 2001; Xie J,
2008). La stima dellʼaspettativa di vita è spesso condizionata dal ritardo nella diagnosi. Le
analisi che cercano di ridurre questo errore si confrontano con altre difficoltà che rendono
difficile la stima dellʼeffettiva insorgenza della malattia (comparsa dei primi sintomi, data
della prima consultazione, data della prima diagnosi formalizzata, stima dellʼevoluzione
della gravità fra due interviste successive). Pochi studi hanno analizzato la differenza
effettiva della durata presumibile rispetto alla metodologia adottata: 5.7 anni di
sopravvivenza media se la stima della sopravvivenza viene calcolata a partire dalla data
della diagnosi, 10.5 se derivata dalla stima dellʼeffettiva comparsa dei sintomi (Waring SC,
2005). Anche per questo motivo, il dato di incidenza calcolato rispetto a una data sicura e
affidabile (data della diagnosi, data della prima consultazione, comparsa sicura dei sintomi
maggiori) viene ritenuto più affidabile di quello di prevalenza, condizionato maggiormente
dalla sottostima della popolazione effettivamente affetta dalla malattia e riconoscibile come
tale. In Italia si stimano comunque non meno di 1.5 milioni complessivi di persone affette
dalla malattia e una quota ancora meno sicura di persone con Mild Cognitive Impairment,
una quota parte dei quali è destinata a evolvere negli anni verso una demenza. La
prognosi della demenza è invariabilmente infausta, anche se questa dimensione è
ampiamente sottostimata dalle professioni e organizzazioni sanitarie (Mc Clendon MJ,
2004; Davies E, 2004). Durante la malattia le persone sperimentano una progressiva
perdita dellʼautonomia e delle capacità cognitive, fino alla completa dipendenza. Il
processo è graduale e la rapidità e le caratteristiche della sua progressione dipendono dal
tipo di demenza e da altre variabili: età, comorbidità, trattamenti, qualità delle cure e
consistenza delle resti sociali e familiari di supporto (Ferri CP, 2005). Il lento e progressivo
decadimento funzionale può essere complicato nelle fasi avanzate da eventi correlati
(disabilità, infezioni, problemi di deglutizione e di nutrizione) così come da complicazioni
acute tipiche della fragilità o collegate al peggioramento delle comorbidità. Anche nelle fasi
avanzate, la stima dellʼaspettativa di vita residua è difficile, ritardando il ricorso a efficaci
cure palliative (Volicer BJ, 1993; Hanrahan P, 1995; Luchins DJ, 1997; Volicer BJ, 1997).
Alcuni studi hanno cercato di stimare la probabilità di morte a 6 mesi in presenza di
diagnosi di demenza (Hanrahan P, 1995; Volicer BJ, 1997). Negli Stati Uniti, la scala
FAST è lo strumento adottato dalle linee guida della National Hospice Organization per
lʼeleggibilità ad un programma hospice di un paziente con demenza in fase avanzata
(NHO, 1996; Reisberg B, 1988), ma lʼaffidabilità di questo strumento per la stima della
prognosi a 6 mesi è stata oggetto di critiche, soprattutto quando la malattia non
progredisce in modo lineare, come nella più tipica malattia di Alzheimer (Volicer BJ, 1993;
Volicer BJ 1997). Studi condotti in RSA su pazienti con demenza grave (FAST 7c ed oltre),
segnalano come almeno il 54.8% dei residenti decede entro 18 mesi. In questo intervallo,
le polmoniti coinvolgono il 41,1% di questa popolazione, eventi febbrili il 52% e problemi di
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deglutizione e alimentazione lʼ85,8% (Mitchell SL, 2009). Una volta corretti per età, sesso
e durata della malattia, la probabilità di morire entro 6 mesi è del 46,7% nei pazienti con
demenza grave che hanno già sperimentato un polmonite, del 44,5% dopo il primo
episodio febbrile e del 38.8% dopo la comparsa di disturbi dellʼalimentazione.
3. Altre malattie neurologiche: incidenza e prevalenza
3.1. lo studio italiano basato sui dati raccolti dal registro Piemonte Valle dʼAosta per la
SLA (PARALS) ha evidenziato unʼincidenza media di 2.9 casi/100.000 ab. ed un
tasso di prevalenza di 7.9 casi/100.000 ab. (Chiò A et al., Neurology 2009; 72:725731)
3.2. lo studio statunitense ha evidenziato una prevalenza alla nascita per Distrofia
muscolare di Duchenne di 1 caso su 3.500 (2.9 per 10.000) maschi nati e per la
Becker di 1 caso su 18.518 (0.5 per 10.000) maschi nati. Inoltre la prevalenza
generale al Gennaio 2007 è risultata pari a 1.3–1.8 per 10.000 maschi tra i 5 e i 24
anni (Morbidity and Mortality Weekly Report - www.cdc.gov/mmwr - 2009;58: 40)
3.3. lo studio italiano sulla Provincia di Bologna ha evidenziato unʼincidenza media per
lʼAtrofia Muscolare Spinale (SMA) di 11.2 casi/100.000 ab. ed una prevalenza di
6.5 casi /100.000 ab. (Merlini L et al., Neuromuscul Disord. 1992;2:197-200). La
forma più severa e frequente (50% dei pazienti) è rappresentata dalla SMA tipo 1,
che ha un esordio entro i sei mesi dalla nascita ed una sopravvivenza che
raramente supera i 2 anni di età.
3.4. lo studio europeo sulla Sclerosi Multipla ha evidenziato unʼincidenza media di 6.8
casi/100.000 ab. ed un tasso di prevalenza per lʼItalia compreso tra 40 e 70 casi /
100.000 ab. (Pugliatti M et al., Eur J Neurol 2006, 13: 700–722)
Considerando la popolazione italiana al 1° gennaio 2012 60.835.752 ab. (Dati ISTAT) il
numero di pazienti prevalenti attesi in questi sottogruppi di malattia sono
rispettivamente:
a) SLA: 4.806 ab.
b) Distrofia Muscolare di Duchenne: 8.560 ab.; Distrofia Muscolare di Becker:
1.476 ab.
c) Atrofia Muscolare Spinale: 3.954 ab.
d) Sclerosi Multipla: 31.634 ab.
4. Altre malattie neurologiche e speranza di vita: dati affidabili
4.1. SLA: attualmente l'unico farmaco approvato per il trattamento della malattia è
rappresentato dal riluzolo. Recentemente è stata pubblicata una revisione
Cochrane che ha permesso di definire che la probabilità di sopravvivenza al primo
anno di malattia è del 58% nei pazienti trattati con riluzolo e del 49% nei pazienti
non trattati. La mediana della sopravvivenza è di 2–3 anni (Kiernan et al., 2011).
4.2. DMD: la probabilità di sopravvivenza all'età di 30 anni è circa dell'85%
(sopravvivenza mediana: 35 anni) (Kohler et al., 2009).
4.3. SMA: la sopravvivenza dei pazienti con la forma tipo I a 1, 2 e 5 anni è 44.9%,
38.1%, and 29.3%, rispettivamente; per la forma tipo II la probabilità di
sopravvivenza a 1, 2 e 5 anni è 100%, 100%, and 97%, rispettivamente (Ge et al.,
2012).
5. Storia naturale e sistemi di stadiazione delle principali malattie neurologiche di
lunga durata
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5.1. SLA: recentemente è stata proposta la seguente stadiazione (Roche et al., 2012):
a) Stadio 1 = esordio;
b) Stadio 2A = diagnosi;
c) Stadio 2B = coinvolgimento della seconda regione;
d) Stadio 3 = coinvolgimento della terza regione;
e) Stadio 4A = necessità della gastrostomia;
f) Stadio 4B = necessità di supporto respiratorio
5.2 .DMD: la classificazione proposta sulle relative fasi della malattia comprende
(Bushby et al., 2011):
a) fase asintomatica (fino a circa 3 anni)
b) primi disturbi della deambulazione (dai 3 ai 5 anni)
c) fase del declino funzionale (dai 6 ai 10 anni)
d) perdita della deambulazione (dai 10 ai 16 anni)
e) necessità di supporto ventilatorio (dai 18 anni)
f) morte (dai 24 anni)
4. Consistenza quantitativa del numero di morti attese
4.5. SLA: uno studio italiano ha evidenziato un tasso medio di mortalità 1.69/100.000
ab. (Mandrioli et al., 2003).
4.6. Distrofia muscolare di Duchenne e di Becker: dati scarsi
4.7. SMA: dati scarsi
4.8. SM: il tasso medio di mortalità varia da 0.55/100.000 ab. a 2.04/100.000 (Govoni et
al., 1993; Boström et al., 2012).
7.
fasi
Indicatori per stimare la prognosi e stimare i cut-off di passaggio alle diverse
Nella SLA diversi studi hanno evidenziato che i fattori prognostici di lunga durata
significativi sono (Del Aguila et al., 2003, Turner et al., 2002,; Turner et al., 2003; Tartaglia
et al., 2007; Traynor et al., 2000; Zoccolella et al., 2008):
a) La giovane età alla diagnosi (<45 anni),
b) Un più lungo intervallo tra esordio e diagnosi (>9 mesi)
c) La predominanza di segni di interessamento del primo motoneurone
Le categorie diagnostiche di El Escorial/Airlie House (Definita, probabile, possibile, etc.)
non si correlano alla sopravvivenza (Traynor et al., 2000).
Nella SM i fattori prognostici individuati sono:
a) Età avanzata (Scalfari et al., 2011)
b) Intervallo di tempo tra esordio e raggiungimento dei punteggi alla EDSS di 3 e 4
(Debouverie et al., 2009)
c) Intervallo di tempo tra esordio e raggiungimento del punteggio alla EDSS di 6
(Hurwitz BJ et al., 2011)
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8. Ritardi e incertezze nelle pratiche di cura
Nel solo contesto delle demenze e senza pretesa di completezza, i limiti più frequenti
segnalati dalla letteratura sono:
• il ritardo nella diagnosi, che impedisce una buona informazione alla persone
(possibile nelle fasi iniziali della malattia) e alle famiglie e, quindi, una progettazione
efficace del proprio futuro;
• la cattiva qualità delle informazioni; ad esempio, come in altre malattie di lunga
durata, raramente la persona e la famiglia vengono informate del fatto che si tratta
di una malattia non guaribile e a prognosi infausta;
• la difficoltà a definire la prognosi, con particolare riferimento allʼindividuazione delle
fasi avanzate della malattia se non addirittura della fase del morire;
• come per altre malattie di lunga durata inguaribili e prognosi infausta, è poco diffusa
la lettura della situazione funzionale complessiva della persona e delle sue
condizioni cliniche, rispetto alla più frequente abitudine a descrivere queste come
semplice somma di diagnosi cliniche o di eventi patologici intercorrenti. Così, alla
persona viene raramente attribuito:
a) uno stadio funzionale generale (indice di Karnofsky o analoghi);
b) uno stadio specifico di malattia (classificazione NYHA per lo scompenso
cardiaco cronico, Gold per la BPCO, FAST per la demenza, UPCD per la
malattia di Parkinson, Child per lʼinsufficienza epatica cronica, EDSS per la
Sclerosi Multipla, ALSFRS-r per la SLA, etc.);
c) unʼindicatore di outcome (POS o analoghi).
• insieme a poche altre informazioni (lʼevoluzione dello stato nutrizionale, ad
esempio), una maggiore diffusione della lettura funzionale sembra oggi la più
affidabile per descrivere lʼarco temporale di evoluzione della malattia e orientare le
scelte di cura delle famiglie e degli operatori sanitari, riducendo gli errori per
eccesso o per timing inappropriato di molte decisioni di cura nelle fasi avanzate;
• la difficoltà conseguente a modificare nel tempo lʼintensità e la qualità degli
interventi diagnostici e terapeutici in modo proporzionato ai benefici attesi e alla
stima della vita residua: indagini invasive, interventi chirurgici, manovre rianimatorie,
ricoveri ospedalieri inappropriati, attivazione non coerente con le indicazioni di
letteratura delle diverse forme di nutrizione artificiale, eccesso di terapie
farmacologiche non appropriate;
• non raramente, in contesti assistenziali e nelle cure di comunità, lo stesso luogo
della morte non è coerente con i desideri delle persone e della famiglie, ma
piuttosto condizionato dalla ridotta preparazione del sistema di cure a prevedere e
preparare lʼevento morte (decesso in ambulanza, in pronto soccorso o in reparti
ospedalieri per acuti collegati a eventi indice prevedibili e normalmente gestibili in
un contesto anche domestico, se preparato in modo appropriato e tempestivo e
sostenuto da buoni modelli di cura);
• sottostima o cattivo trattamento di alcuni sintomi: dolore, delirium, discomfort,
irrequietezza motoria, resistenza alle cure, disturbi della deglutizione.
• così, persone e famiglie, per la ridotta qualità o tempestività delle informazioni
ricevute, vengono raramente messe in grado di esprimere direttive anticipate o un
consenso informato sostenuto da informazioni di buona qualità e coerenti con
lʼeffettivo stadio della malattia.
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9.
Malattie neurologiche e servizi di cure palliative
In molti sistemi è è noto il ridotto utilizzo dei servizi di cure palliative, anche laddove essi
esistano e siano di buona qualità. I motivi sono diversi. Alcuni sono direttamente collegati
alle osservazioni già espresse: il ritardo nella identificazione della malattia e della
definizione del suo livello funzionale, ad esempio, determina un ritardo sistematico nella
sospensione di terapie o di provvedimenti orientati alla guarigione rispetto allʼattivazione di
servizi e protocolli orientati al controllo dei sintomi, al comfort, allʼaccompagnamento nelle
decisioni, alla scelta condivisa del luogo di cura. Altre cause sono di tipo culturale,
economico o organizzativo. Medici e operatori sanitari sembrano in ritardo nella
comprensione dellʼefficacia di un approccio palliativo, ma lo stesso ritardo si registra nello
sviluppo di scelte politiche sanitarie e sociali e nella previsione di budget economici
coerenti con lʼentità e la qualità delle patologie correlate con lʼetà anziana o con il
miglioramento dei sistemi di cura. Ad esempio, la speranza di vita delle persone che vanno
incontro a gravi cerebro-lesioni acquisite (GCA), traumatiche o non traumatiche, è tale da
determinare un aumento progressivo delle persone che superano le fasi iperacuta e acuta
dellʼevento indice, ma che esitano in unʼalterazione cronica della coscienza (stato
vegetativo o stato di minima coscienza). Oppure, le malattie neuromuscolari vedono
mutata la propria storia naturale grazie alle possibilità delle diverse forme di nutrizione e
ventilazione artificiale. In tutti e tre i casi (aumento delle demenze collegato
allʼinvecchiamento delle popolazioni, crescita del numero di persone con GCA che
arrivano alla fase degli esiti, prolungamento della speranza di vita collegata a tecnologie di
supporto vitale) le reti di cura di comunità e le reti di cure palliative non sono state
adeguate alla prevedibile crescita della domanda. Per lo stesso motivo, in tutti i paesi ad
economia avanzata si registrano ritardi e incertezze nelle possibilità di accogliere nei
sistemi formalizzati di cure palliative persone con malattie non oncologiche. Alcuni di
questi ritardi sono collegati alla limitatezza delle risorse e dei servizi, che evocano
comprensibili resistenze da parte degli attori principali a farsi carico di popolazioni più
numerose di quelle portatrici di malattie oncologiche, ma che esprimono anche sintomi e
bisogni con caratteristiche diverse rispetto a quelle a cui i sistemi sono adattati e formati:
più lunga durata della fase avanzata, maggiore difficoltà a identificare la fase terminale,
diversa espressione dei sintomi prevalenti, concomitanza di terapie di supporto vitale
artificiale.
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10.
La formazione universitaria
Altri ritardi sono collegati allʼinadeguata formazione degli operatori e dei sistemi di cure.
Anche in ambito universitario, ad esempio, sono poco diffusi insegnamenti specificamente
orientati ad accompagnare gli operatori sanitari in formazione verso lʼacquisizione di
conoscenze, competenze e pratiche che accolgano le riflessioni precedenti e le diffondano
in modo proporzionale sia allʼintensità degli insegnamenti tradizionali che dellʼentità dei
sottogruppi di popolazione che saranno poi intercettati nel corso dellʼeffettiva pratica
professionale. Anche il normale nucleo di insegnamento delle professioni sanitarie o
collegate con la presa in carico delle persone con malattie non guaribili trasmette spesso
informazioni non adeguate a far fronte ai cambiamenti in atto e ad integrare la propria
formazione con lʼesistenza e i principi base di un buon approccio palliativo, da interpretare
come complementare e altrettanto importante di un approccio orientato alla guarigione.
11. Ulteriori ambiti di riflessione
11.1.
Queste e altre considerazioni, senza pretesa di completezza, trovano
riscontro in altri contesti di malattia neurologica a prognosi infausta. Rispetto alle
indicazioni del gruppo trasversale, possono essere proposte alcune aree di
riflessione per il nostro gruppo di lavoro, arricchibili e modificabili in base alle
specifiche competenze di ogni componente:
11.2.
La quantificazione del fenomeno è incompleta. Non si tratta solo di
identificare dati di prevalenza e di incidenza delle principali malattia di riferimento –
più facilmente ricavabili dalla letteratura e dagli studi già citati in precedenza - ma
anche di disporre di dati affidabili rispetto alla speranza di vita, ai descrittori della
storia naturale e alla consistenza quantitativa del numero di morti attese. Va anche
osservato come la diffusione di terapie di supporto vitale – come la nutrizione e
ventilazione artificiali – abbia introdotto variabili ulteriori nella stima della speranza
di vita. Ad esempio, una persona affetta da SLA può andare a morte per paralisi
respiratoria progressiva entro alcuni anni dalla diagnosi, ma non sono omogenei né
sicuri i dati che descrivono la speranza di vita dopo lʼattivazione di una ventilazione
artificiale non invasiva o invasiva o, come negli stati vegetativo, la durata di vita
libera da complicanze successiva allʼavvio della nutrizione artificiale enterale. In
ugual modo, solo da pochi anni sono diffusi modelli di cura di buona qualità che si
estendano alla fase degli esiti o comunque extraospedaliera, e non sono disponibili
correlazioni sicure fra la speranza di vita e la qualità del percorso di cura e delle
variabili con questo collegate;
11.3.
alcune malattie neurologiche sono più vicine per tradizione alla cultura delle
cure palliative, altre meno; ad esempio, la sclerosi multipla o le distrofie muscolari
ricevono unʼattenzione forse inferiore rispetto ad altri sottogruppi di malattia;
11.4.
in ognuna di queste condizioni, la ricerca rispetto agli indicatori di prognosi è
ancora iniziale a ancora povera di evidenze. Nel caso della Demenza, Karnofsky e
FAST hanno dimostrato una certa correlazione con la speranza di vita o, meglio,
con la lettura della storia naturale della sindrome. Collegare questa ad una scala
graduale di crescente compromissione funzionale può sostenere il giudizio degli
attori della rete di cura rispetto alla rapidità dellʼevoluzione e alla stima
approssimata della speranza di vita residua, ma sempre con una approssimazione
notevole. Eʼ dimostrato che la comparsa di segni di malnutrizione e la ricorrenza di
eventi infettivi e respiratori entro i confini di questa evoluzione correlano con la
riduzione proporzionale dellʼaspettativa di vita. Nella SLA la comparsa di
insufficienza respiratoria e la sua evoluzione sono segnali sicuri di fase avanzata,
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ma le scelte di cura (ventilazione meccanica) possono modificare il quadro
complessivo e i criteri di monitoraggio e stadiazione successivi sono incerti o più
collegati alle complicazioni specifiche della procedura di supporto. In generale,
come per tutte le malattie di lunga durata, lʼevoluzione della disabilità e
dellʼaggravamento funzionale della malattie di base (funzioni mentali superiori,
funzioni motorie, deglutizione, funzione respiratoria e efficacia della tosse) possono
fornire una indicazione di base al clinico. La letteratura suggerisce di dare più
importanza alla pendenza complessiva e alla lettura dinamica nel tempo della
curva di decadimento che alla lettura puntuale e episodica di singoli indicatori; ad
esempio, più che il peso assoluto, conta la rapidità e intensità di un eventuale
riduzione nel tempo. Nelle demenze, lo stadio FAST 7c è stato per lungo tempo
considerato suggestivo per una speranza di vita di 6-12 mesi, al punto da essere
adottato negli Stati Uniti come criterio possibile di accesso ai programmi Hospice,
ma questa durata di vita non sembra confermata da molte osservazioni
successive, peraltro non conclusive. Può anche essere ipotizzabile che non sia
particolarmente importante la stima della durata di vita residua in sé per
lʼattivazione di un approccio palliativo, che può e deve essere contemporaneo alla
gran parte della storia di malattia. La scala FAST o lʼindice di Karnofski
rappresentano però indici di buona qualità e rapida utilizzazione per accompagnare
il clinico ma anche i familiari, nel processo di consapevolezza della natura
progressiva e non arrestabile della malattia e dei suoi sintomi prevalenti,
soprattutto funzionali. Questo, soprattutto come guida a scelte di cura
proporzionate, soprattutto quando siano in gioco procedure invasive. Ad esempio,
le linee guida ESPEN sulla nutrizione artificiale in geriatria, escludono lʼutilità
dellʼattivazione di una nutrizione artificiale enterale nelle fasi avanzate della
demenza, e lʼabitudine e diffusione di metodi di stadiazione potrebbero forse ad
contribuire alla riduzione di programmi di nutrizione artificiali inappropriati su
anziani con demenza in FAST 7d o 7e. Al contrario, gli indicatori prognostici
sviluppati per stimare il rischio di morte su periodi più brevi (giorni o settimane) si
sono ad oggi dimostrati poco affidabili e meno informativi.
11.5.
Tutti i sintomi delle malattie di lunga durata sono probabilmente gestibili con
scelte proporzionate ad un tempo terapeutiche e palliative. Alcuni (dolore, disagio
emotivo, delirium, difficoltà respiratorie) sono indicati dalla letteratura in modo univo
come obiettivi prioritari di trattamento, con indicazioni di trattamento farmacologico
e non farmacologico sufficientemente condivise e sostenute da prove di efficacia.
Altri sintomi meritano una riflessione più specifica e offrono ancora margini di
incertezza rispetto allʼapproccio migliore:
a) la cura delle infezioni ha in sé si colloca su una pino sia palliativo che curativo.
Studi recenti hanno rivalutato, anche se con alcune incertezze, lʼutilizzo degli
antibiotici nella cura delle polmoniti della fase avanzata di molte malattie e, nello
specifico, della demenza. La polmonite determina febbre e difficoltà respiratorie,
e gli antibiotici sembrano dimostrati utili a ridurre e abbreviare lʼintensità di
entrambi i sintomi con ricadute dirette sulla qualità di vita della persona, anche
morente. Anche nelle infezioni delle vie urinarie, una terapia antibatterica
tempestiva ha una sicura azione sintomatica e può ridurre il rischio di sintomi
collegati al coinvolgimento progressivo pielico e sistemico, entrambi causa di
sofferenze ulteriori di livello anche elevato. Così, il giudizio di appropriateza delle
terapie antibiotiche sembra in corso di revisione, anche in un orizzonte palliativo;
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b) più attuale è il dibattito sullʼutilizzo proporzionato delle restanti terapie
farmacologiche nella cura della malattia primaria e delle comorbilità di persone
con malattie neurologiche di lunga durata ma a prognosi infausta. La maggior
parte delle linee guida sul trattamento delle malattie di più ampia diffusione è
particolarmente puntuale nella definizione dei criteri per avviare una terapia
successivamente alla diagnosi e per titolarla e modificarla gradualmente rispetto
allo stadio. Al contrario, sono poco diffusi criteri condivisi di sospensione degli
stessi trattamenti quando, prevedibilmente, cessano i motivi stessi di utilizzo. Ad
esempio, una persona di 90 anni con demenza avanzata trae ancora beneficio
dal trattamento di fattori di rischio cardiovascolare come lʼipertensione arteriosa,
il diabete o lʼalterazione del quadro lipidico? In altre parole, è ancora razionale
mantenere o attivare un trattamento antiipertensivo o con statine quando la
speranza di vita residua è già prevedibilmente di pochi anni? Alcuni lavori
(Holmes, 2008 e 2009) propongono riclassificazioni dei principali principi attivi
rispetto alla loro adeguatezza dʼuso nelle fasi avanzate della demenza. In
analogia, una riflessione simile potrebbe essere avviata anche in altre malattie
degenerative del SNC (Parkinson, malattia cerebrovascolare cronica, altre),
quando la storia naturale e la lettura funzionale di stadio della malattia
suggeriscano una ridotta speranza di vita residua. Ma la ricerca dovrebbe
garantire risposte adeguate.
c) Lo stato nutrizionale condiziona la qualità di vita e lo stadio della malattia
neurologica, quando questa condiziona lo sviluppo precoce o tardivo di
alterazioni della deglutizione, disattenzione e malnutrizione, deve guidare scelte
proporzionate nella somministrazione di alimenti. Nelle fasi più precoci della
demenza, il sostegno alla nutrizione è dimostrato avere ricadute efficaci sulla
qualità di vita, il rischio di cadute, la prevenzione di lesioni da decubito, il tono
dellʼumore, la frequenza e resistenza alle infezioni. Gli strumenti adottabili sono
lʼattenzione al comfort ambientale, il tempo a disposizione, lʼaddestramento dei
familiari e degli operatori, la qualità del cibo e della sua presentazione. Nelle fasi
successive, lʼutilizzo di liquidi addensati e di cibi omogeneizzati e di consistenza
e temperatura adeguate. La scelta della nutrizione artificiale si colloca entro
questi confini, potendo rappresentare una scelta coerente quando i disturbi della
deglutizione siano precoci, una scelta non desiderabile e non proporzionata
nelle fasi avanzate. Ma in entrambi i casi, vanno tenuti presenti gli aspetti
decisionali. Lʼattivazione di una procedura artificiale e invasiva, in tutti gli ambiti
di malattia, richiede il consenso informato della persona o del suo
rappresentante legale, che deve ricevere le informazioni necessarie a decidere
consapevolmente: prognosi, stadio, speranza di vita residua, effetti indesiderati,
complicanze possibili. Nella demenza o in altre malattie neurologiche che
condizionano una riduzione delle capacità di giudizio, astrazione e
conservazione delle informazioni, anche lʼimpatto del mezzo artificiale (SNG o
PEG) sulla persona e il rischio di dover ricorrere a mezzi contenitivi e coercitivi
per imporli alla sua accettazione. Anche la sospensione completa
dellʼalimentazione orale, di ogni tipo e in ogni quantità, può non essere coerente
con un orizzonte palliativo. Anche nelle fasi avanzatissime una nutrizione di
conforto (comfort feeding) può essere tollerata e sufficiente a mantenere il senso
dellʼattenzione di cura e sensazioni (gusto, olfatto) apprezzabili anche per
persone in condizioni globali gravi.
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12.0 Conclusioni
Nel complesso, quindi, si tratta di uno scenario ancora che popone molti spunti di
riflessione, ma anche unʼestrema attualità. Si tratta di temi che impongono unʼanalisi
condivisa, che riunisca competenze e esperienze diverse. Non ultimo, si tratta di
progettare percorsi che integrino sia le competenze specialistiche che quelle derivanti da
buone pratiche, sia in ambito sociale che socio-sanitario e nei diversi contesti di presa in
carico: domiciliare, semi-residenziale e residenziale.
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