RASSEGNA Fisiopatologia dell’esercizio fisico Moghetti P Unità di Endocrinologia, Diabetologia e Malattie del Metabolismo, Università di Verona e Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona, Verona RIASSUNTO L’esercizio fisico rappresenta un potente fattore di perturbazione dell’equilibrio omeostatico dell’organismo, con numerosi effetti favorevoli e alcuni potenziali inconvenienti sullo stato di salute. Fra gli effetti più rilevanti ci sono quelli sul metabolismo glucidico e lipidico. Una singola sessione di esercizio determina vari effetti insulino-simili, anche se questi derivano in gran parte dall’attivazione di processi che non sono insulino-mediati. Il training cronico induce invece modificazioni che incrementano la sensibilità tessutale all’insulina, attraverso processi che differiscono, almeno in parte, in base alla specifica tipologia di training adottata. L’attività aerobica induce in particolare modifiche nel fenotipo delle fibre muscolari, nella capacità mitocondriale e nella capillarizzazione muscolare. L’attivazione di PGC-1 alfa rappresenta il fenomeno chiave in questo adattamento. L’attività di forza stimola invece la sintesi proteica e l’ipertrofia muscolare e il meccanismo molecolare principale sembra rappresentato dall’attivazione di mTOR. Per i suoi rilevanti effetti metabolici l’attività fisica regolare rappresenta un importante strumento sia nella prevenzione sia nella cura del diabete di tipo 2. Tuttavia, occorre tenere presente che le alterazioni metaboliche e la terapia farmacologica possono alterare la capacità di adattamento all’esercizio del paziente diabetico. SUMMARY Pathophysiology of physical exercise Exercise has a powerful action on the body’s homeostasis, with a number of favorable effects and some potential adverse effects. Its main effects are on glucose and lipid metabolism. A single bout of exercise induces several insulin-like effects, although they are mostly due to insulin-independent mechanisms. However, regular exercise induces chronic adaptations that boost tissue sensitivity to insulin, through molecular mechanisms which are at least partly related to the specific mode of muscle activation. Aerobic training affects fiber phenotype, mitochondrial capacity and muscle capillarity, mainly due to PGC-1 alpha activation. Resistance training induces protein synthesis and muscle hypertrophy, mainly through mTOR activation. Due to its major metabolic effects, regular exercise is fundamental in both prevention and treatment of type 2 diabetes mellitus. However, metabolic abnormalities and anti-diabetic therapy may impair the diabetic patient’s capacity for adaptation to exercise. Introduzione L’esercizio fisico rappresenta un formidabile strumento nello stimolare i processi metabolici e la funzione cardiovascolare. Il training con esercizio fisico ha una serie di effetti fisiologici importanti, incrementando, fra le altre cose, la riserva funzionale cardiopolmonare, la massa muscolare, la sensibilità all’insulina e la capacità di utilizzazione dei substrati. Questi effetti hanno evidenti e rilevanti implicazioni nel paziente con diabete di tipo 2 o con sindrome metabolica. Inoltre, l’attività fisica è in grado di stimolare acutamente l’utilizzo del glucosio con risultati che mimano l’azione insulinica, pur attraverso vie metaboliche differenti da quelle modulate da questo ormone. Questo può essere di aiuto nel controllo metabolico dei pazienti con diabete. In accordo con questi fenomeni, l’esercizio fisico regolare viene considerato unanimemente uno strumento cruciale sia nella prevenzione sia nella cura del diabete di tipo 2, come pure nella prevenzione delle complicanze croniche di questa patologia. Malgrado l’importanza di questi aspetti, le nostre conoscenze su molti fenomeni cruciali nella fisiopatologia dell’esercizio restano largamente incomplete. Questo è in parte anche dovuto alla scarsa attenzione che il mondo scientifico ha a lungo avuto nei confronti di queste problematiche, dedicando maggiore attenzione alla fisiologia della prestazione piuttosto che agli effetti dell’attività fisica sullo stato di salute, anche per la difficoltà di finanziare studi di adeguate dimensioni e durata che ne esplorassero l’impatto sotto questo profilo. Corrispondenza: prof. Paolo Moghetti, Unità di Endocrinologia, Diabetologia e Malattie del Metabolismo, Dipartimento di Medicina, Università di Verona, piazzale Stefani 1, 37126 Verona • e-mail: [email protected] Pervenuto il 18-04-2016 • Revisione del 28-04-2016 • Accettato il 29-04-2016 Parole chiave: esercizio fisico, diabete mellito, insulino-resistenza, esercizio aerobico, esercizio di forza • Key words: physical exercise, diabetes mellitus, insulin resistance, aerobic exercise, resistance exercise Abbreviazioni: AMPK, kinasi AMP-dipendente; PDGF, platelet-derived growth factor, fattore di crescita derivato dalle piastrine; VEGF, vascular endothelial growth factor, fattore di crescita dell’endotelio vascolare. G It Diabetol Metab 2016;36:57-63 57 Moghetti P Va ricordato che gli effetti acuti dell’esercizio hanno anche potenziali riflessi negativi, non solo per le problematiche muscolo-scheletriche che ne possono derivare e per i rischi potenziali che l’aumentato impegno metabolico e cardiaco può avere in soggetti che presentano una cardiopatia ischemica, talora silente, ma anche per alcuni effetti fisiologici, rilevanti nell’adattamento all’esercizio, ma in apparente antitesi con quelli benefici osservabili a seguito del training cronico. Va anche tenuto presente che il paziente diabetico, se da un lato può ricavare grandi benefici dall’effettuare con regolarità esercizio fisico, ha dall’altro una serie di problematiche, legate alla patologia, alle sue complicanze e alla terapia farmacologica, che rendono talora complesso il suo utilizzo. L’esercizio rappresenta quindi uno strumento importante nel paziente diabetico, ma da gestire con appropriatezza, in modo da ricavare il massimo beneficio contenendo nel contempo i potenziali rischi. Dobbiamo però essere consapevoli che molta ricerca è ancora necessaria per mettere a fuoco con precisioni questi aspetti e individuare le modalità ottimali di impiego di questo strumento, ancora non adeguatamente utilizzato nelle sue enormi potenzialità. In questa breve rassegna saranno sinteticamente riassunti i principali effetti dell’esercizio, con particolare attenzione a quelli che hanno rilevanza specifica nel paziente con diabete e alle alterazioni che questa patologia può determinare sulla capacità di adattamento dell’organismo all’attività fisica. Basi biochimiche degli effetti dell’esercizio fisico Un esercizio fisico significativo implica un impegno energetico che può essere molto rilevante. A titolo di esempio estremo, un maratoneta agonista giunge a spendere circa 3000 calorie nell’arco di poco più di due ore, ossidando ben oltre mezzo chilogrammo di glucosio e alcune decine di grammi di acidi grassi, con la necessità di introdurre nell’organismo e impiegare per questo fine diverse centinaia di litri di ossigeno e di sintetizzare e poi demolire alcune decine di kg di ATP, la moneta essenziale nei processi cellulari che richiedono consumo di energia(1). I processi biochimici coinvolti in questo processo variano in funzione di tipologia, intensità e durata dell’esercizio, ma sono influenzati anche dalle caratteristiche e dalle capacità del singolo soggetto. La quantità di ATP immediatamente disponibile nelle fibre muscolari è estremamente piccola. Il mantenimento della fruibilità di questo substrato è però garantita da una serie di processi che alimentano la sua sintesi e che intervengono in successione e in modo diverso a seconda dell’intensità e della durata dell’esercizio stesso. In estrema sintesi, questi processi comprendono il sistema della fo- 58 sfocreatina, la glicolisi anaerobia e la fosforilazione ossidativa(2). La fosfocreatina è una sostanza che è presente in massima parte proprio nel muscolo scheletrico. Essa funge da sistema energetico tampone e rende possibile la resintesi immediata dell’ATP attraverso il rapido trasferimento all’ADP di fosfati ad alta energia. Nell’attività fisica intensa, questo sistema, denominato anche via anaerobica alattacida, è essenziale soprattutto per coprire il fabbisogno energetico dei primi secondi di esercizio, prima che possano subentrare in questo compito i processi basati sulla demolizione dei substrati ad alto contenuto energetico, in primo luogo glucosio e acidi grassi. Il contributo delle proteine nella formazione dell’ATP necessario al lavoro muscolare è generalmente assai modesto, inferiore al 2% del totale. Può aumentare però in condizioni di necessità, in particolare quando le scorte di glicogeno siano severamente deplete. Le attività metaboliche muscolari presentano comunque delle differenze in base alle diverse tipologie delle fibre, che hanno una distribuzione individuale assai variabile e le cui caratteristiche sono brevemente riassunte nella tabella 1. Va ricordato anche che il muscolo possiede una limitata riserva propria di glucosio e acidi grassi, depositati sotto forma di glicogeno e trigliceridi intramuscolari, cui il tessuto può velocemente accedere grazie all’intervento di meccanismi di autoregolazione e ormonali. Successivamente, il muscolo deve fare ricorso ai substrati disponibili nel sangue, che a fronte dell’incrementato consumo periferico viene continuamente rifornito di glucosio e grassi grazie al loro rilascio da parte del fegato e del tessuto adiposo, rispettivamente, sotto la regolazione di processi di adattamento ormonale, rappresentati in particolare da una riduzione dei livelli di insulina e da un incremento dei livelli degli ormoni controinsulari. Questa risposta endocrina è di cruciale importanza nell’adattamento omeostatico alla perturbazione rappresentata dall’esercizio e permette da un lato un’aumentata liberazione dei substrati dai loro depositi e dall’altro una economizzazione nel loro utilizzo, finalizzata a circoscriverne l’accesso ai tessuti vitali, in primo luogo sistema nervoso e cellule del sangue, e al muscolo che lavora. In questo Tabella 1 Tipologie di fibre muscolari e loro caratteristiche principali. La tipologia degli sport vuole solo indicare quali sono quelle attività in cui determinate tipologie di fibre possono essere più vantaggiose. Tipo Velocità Metabolismo Tipologia di di fibra di contrazione caratterizzante sport corrispondente Sport di lunga durata I Lenta Ossidativo (es. fondisti) Sport di squadra IIa Veloce Intermedio (es. basket, calcio) Sport di breve durata IIx Molto veloce Glicolitico (es. sprint, pesistica) Fisiopatologia dell’esercizio fisico processo di razionalizzazione dell’utilizzo dell’energia è fondamentale anche l’intervento di meccanismi di autoregolazione muscolare che, a fronte di modificazioni endocrine potenzialmente sfavorevoli per il muscolo, permettono però l’incrementato ricorso alla captazione dal circolo e all’utilizzazione di substrati da parte delle fibre impegnate nell’esercizio. Un processo cruciale sotto questo profilo è l’attivazione della kinasi AMP-dipendente. Questo enzima funziona di fatto come un sensore energetico, in grado di riconoscere prontamente uno stato di carenza di energia intracellulare, espresso dall’aumento delle concentrazioni di AMP che consegue al consumo di ATP, e di tradurre questo segnale in una rapida risposta adattativa volta a correggere tale condizione di stress cellulare(3). L’attivazione di questo sistema è in grado di indurre, fra le altre cose, una traslocazione dei trasportatori GLUT4 alla superficie cellulare, aumentando la capacità di trasferimento intracellulare del glucosio. Questo fenomeno è del tutto analogo a quello che produce l’insulina, ma avviene attraverso vie biochimiche differenti e probabilmente a partire da un compartimento intracellulare di trasportatori che è diverso da quello modulato dall’ormone(4). In termini pratici l’effetto nel muscolo è però sovrapponibile a quello dell’insulina. In questo senso l’esercizio acuto produce un effetto insulino-simile, pur essendo in effetti mediato da fenomeni in gran parte non insulino-dipendenti. Anche se può sembrare paradossale, quindi, l’insieme dei fenomeni che conseguono all’avvio di una seduta di esercizio fisico è uno stato di diminuita attività insulinica, mascherata però dall’attivazione di processi che mimano le azioni di questo ormone. Al contrario, in termini cronici l’esercizio regolare determina un effettivo potenziamento dell’azione insulinica. Va tenuto presente che l’insulina ha comunque un effetto permissivo indispensabile su questi processi. Di conseguenza la presenza di sufficienti concentrazioni insuliniche, per quanto basse e fisiologicamente inferiori a quelle basali, è un pre-requisito per un normale funzionamento di questo processo. Questo contribuisce a spiegare perché nel paziente diabetico l’effetto metabolico dell’esercizio acuto può diventare sfavorevole in condizioni di carente insulinizzazione, provocando effetti che possono essere opposti a quelli generalmente attesi. Uno dei fenomeni che si osservano durante un esercizio fisico acuto, soprattutto quando questo viene svolto a elevata intensità, è l’attivazione di una risposta di tipo infiammatorio, con aumento di IL-6 e altre citochine infiammatorie(5). Questa attivazione della flogosi è apparentemente in contrasto con quello che sembra auspicabile, soprattutto quando consideriamo pazienti affetti da obesità, diabete e/o insulino-resistenza, condizioni che sono tipicamente caratterizzate da un quadro di infiammazione metabolica. Oltretutto sappiamo che que- sta infiammazione può contribuire alla patogenesi dell’insulino-resistenza stessa e anche del rischio cardiovascolare associato a queste patologie. Anche sotto questo profilo dunque l’effetto acuto dell’esercizio differisce da quello cronico, che tende piuttosto ad attenuare i processi infiammatori(6). Questa risposta proinfiammatoria acuta è comunque fisiologica e rappresenta uno dei fenomeni che intervengono nel modulare l’adattamento omeostatico alla perturbazione che l’esercizio fisico rappresenta. Nondimeno, ci si può chiedere se questa risposta costituisca un aspetto di cui si dovrebbe tenere conto nella individuazione dei soggetti da destinare a specifiche modalità di allenamento o che comunque imponga un percorso di training specifico, volto a limitare il potenziale impatto negativo che questa risposta infiammatoria può avere. Al momento non vi sono sufficienti dati per rispondere a questo interessante quesito. È tuttavia ragionevole pensare che le modalità di training tradizionalmente applicate ai pazienti con diabete e altre patologie metaboliche non costituiscano un significativo problema sotto questo profilo, data la prudenza che caratterizza le raccomandazioni in proposito e anche i benefici complessivi derivanti dall’attività fisica che si desumono dall’insieme degli studi osservazionali e dei limitati trial di intervento che sono stati condotti in questi soggetti. È interessante notare che l’intensità di esercizio a cui si osserva il massimo utilizzo di acidi grassi corrisponde, nel soggetto sano, a valori corrispondenti a una intensità moderata, fra il 40 e il 60% della VO2max. Questo fenomeno può essere facilmente esplorato in vivo utilizzando la tecnica della calorimetria indiretta e, in particolare, misurando il quoziente respiratorio, cioè il rapporto fra anidride carbonica prodotta e ossigeno consumato dall’organismo. Questo rapporto è 0,7 quando l’ossidazione dei substrati poggia esclusivamente sui grassi e 1,0 quando invece poggia interamente sui carboidrati. In condizioni basali, a riposo e a digiuno, il metabolismo energetico dell’organismo deriva dall’ossidazione di una miscela delle due tipologie di substrati. Avviando un’attività fisica di intensità moderata si osserva un incremento della quota relativa di ossidazione degli acidi grassi. Con l’aumentare dell’intensità di esercizio si verifica invece un aumento della quota che deriva dall’ossidazione del glucosio, che diventa largamente preponderante alle intensità più elevate(7). Uno degli obiettivi della pratica dell’attività fisica nel paziente con diabete di tipo 2 è spesso quello di conseguire un calo ponderale, per la frequente presenza di obesità in questi soggetti e per gli effetti negativi che questa ha sotto molti aspetti, in particolare, ma non solo, in termini di insulino-resistenza e altre alterazioni metaboliche. Sotto questo profilo può essere quindi teoricamente conveniente far lavorare il paziente diabetico con eccesso 59 Moghetti P ponderale a intensità di esercizio che favoriscano il consumo dei depositi corporei di grasso. A questo proposito, alcuni dati suggeriscono che nel paziente diabetico la finestra di massima ossidazione lipidica sia però spostata a sinistra nella curva intensità/consumo relativo di questo substrato. In altri termini questi dati suggeriscono che la massima ossidazione relativa di acidi grassi si collochi in corrispondenza di un’intensità di esercizio che non è moderata ma lieve, intorno al 25% del massimo consumo di ossigeno(8). Va comunque anche considerato il consumo assoluto di substrati, che cresce con l’intensità e la durata dell’esercizio. Inoltre, il training può modificare questi aspetti. Anche sotto questo profilo sono ancora necessari studi di adeguata dimensione e qualità per chiarire meglio quale sia l’intensità target ideale di interventi specificamente mirati su questi pazienti. Fisiopatologia del metabolismo energetico durante esercizio nel paziente diabetico Come già ricordato, l’esercizio fisico induce effetti acuti sul metabolismo glucidico che sono simili a quelli dell’insulina, pur essendo mediati da processi in buona parte distinti da quelli di quest’ormone(4). Questo ha l’importante implicazione che l’attività fisica stimola efficacemente l’utilizzo del glucosio anche in persone sotto questo profilo insulino-resistenti(9). Nelle persone con normale tolleranza ai carboidrati questo non ha effetti sostanziali sulla glicemia, dato il costante equilibrio fra produzione e utilizzo del substrato garantito dall’equilibrio del sistema endocrino. Invece, nel paziente diabetico l’inadeguatezza del controllo metabolico complessivo propria di questi soggetti rende più difficile prevedere l’impatto su questo parametro della perturbazione indotta dall’attività fisica. Più imprevedibile è in particolare il comportamento del paziente con diabete di tipo 1, in rapporto con una serie di fattori che comprendono tipologia di esercizio, assunzione di carboidrati e grado di insulinizzazione. Quest’ultimo può amplificare l’effetto ipoglicemizzante, se la quantità di insulina è relativamente eccessiva, o viceversa impedirlo, se questa quantità è troppo scarsa, con possibile prevalenza dell’effetto iperglicemizzante indotto dagli ormoni controinsulari secreti in risposta all’attività fisica. Nel soggetto con diabete di tipo 2 l’effetto atteso è tipicamente una riduzione dei livelli di glucosio, in particolare quando l’esercizio è di intensità moderata e prolungato. Anche in questo caso, se l’esercizio è strenuo, tuttavia, può prevalere transitoriamente l’azione iperglicemizzante degli ormoni controregolatori. Il bilancio fra l’azione dell’insulina e quella opposta, in termini di regolazione della glicemia, degli ormoni controinsulari varia in funzione dell’intensità di esercizio ed è cruciale nel permettere di mantenere fisiologicamente 60 tale parametro stabile in un range assai ristretto e normale. Nel paziente con diabete di tipo 1 inveterato l’insulina è di esclusiva origine esogena e i suoi livelli dipendono dunque dalla terapia assunta, che può essere più o meno appropriata in rapporto ai bisogni metabolici del momento. Quindi, il bilancio con gli ormoni controinsulari può essere molto variabile. Come sopra ricordato, una carenza di insulina può provocare una risposta paradossa della glicemia all’esercizio acuto, con un aumento della stessa nel corso della seduta. Se la quantità di insulina somministrata non è deficitaria, l’esercizio tende però di regola a ridurre i livelli glicemici anche nel paziente con diabete di tipo 1. In presenza di livelli glicemici non troppo elevati è quindi spesso opportuno che questo paziente assuma periodicamente carboidrati durante l’attività fisica prolungata, onde evitare il rischio di ipoglicemia. Va notato che la carenza assoluta di insulina non è però l’unica potenziale motivazione di una mancata riduzione della glicemia durante esercizio. Quando l’esercizio è a intensità molto elevata l’incremento dei livelli degli ormoni controregolatori, delle catecolamine in particolare, può essere infatti tale da indurre una produzione epatica di glucosio capace di bilanciare integralmente o addirittura superare l’incrementata utilizzazione muscolare del substrato(10). La glicemia può quindi aumentare durante l’esercizio e rimanere elevata anche nelle ore immediatamente successive, soprattutto se il paziente non è allenato. Anche questo fattore può quindi contribuire a spiegare le diverse conseguenze dell’esercizio acuto sui livelli di glicemia nel paziente diabetico. Va tenuto presente che a seguito di una seduta di attività fisica intensa l’incrementato fabbisogno di glucosio potrà però manifestarsi chiaramente a maggior distanza di tempo dalla conclusione dell’esercizio, per l’attivazione della glicogenosintesi che deve ricostituire i depositi consumati. Anche se in termini acuti gli effetti metabolici dell’esercizio sono sostanzialmente non insulino-mediati, per quanto insulino-simili, in termini di effetti cronici l’esercizio fisico ha invece, come già ricordato, la capacità di incrementare realmente la sensibilità tessutale all’insulina, indipendentemente dal tipo di training(11), con ovvie e importanti implicazioni nel paziente con diabete di tipo 2. Questo fenomeno consegue all’aumentata espressione e attività di una serie di proteine di trasporto ed enzimatiche modulate dall’insulina e coinvolte nel metabolismo dei substrati energetici, non solo glucosio ma anche acidi grassi, dell’aumentata capillarizzazione muscolare indotta dall’attività aerobica, che facilita il trasferimento intracellulare dei nutrienti, e dell’aumentata massa muscolare indotta dal training di forza, che aumenta la quantità del principale tessuto su cui l’insulina esercita i suoi effetti metabolici. Come pure ricordato, alcuni dati suggeriscono che il Fisiopatologia dell’esercizio fisico paziente diabetico abbia una ridotta capacità di utilizzo degli acidi grassi durante l’esercizio fisico(8). Con il training viene acquisita una maggiore capacità di ossidazione degli acidi grassi, con relativo risparmio dei depositi di glicogeno e, a parità di carico di lavoro, minore riduzione dei livelli glicemici durante esercizio acuto. Questo può significare maggiore capacità di utilizzo dei depositi di tessuto adiposo nel soggetto obeso, oltre che incremento della resistenza aerobica, ma può anche stare a indicare la necessità di un adattamento progressivo dei carichi di lavoro nel soggetto diabetico allenato per poter osservare un determinato effetto sulla glicemia durante esercizio acuto. Il primo di questi aspetti suggerisce comunque l’importanza specifica che l’esercizio fisico regolare può avere, in associazione alla dieta, nei programmi di terapia dell’obesità basati sulle modifiche dello stile di vita, al di là dei meri effetti sul bilancio calorico. Effetti cronici dell’esercizio fisico Gli effetti dell’esercizio fisico vengono rapidamente meno in seguito all’inattività fisica e per mantenere i benefici del training è quindi necessario che gli intervalli fra le sedute di esercizio non siano troppo distanti. Si stima, anche se i dati in proposito sono limitati, che l’effetto di una singola seduta non vada oltre le 48-72 ore(12). Gli effetti metabolici favorevoli che l’esercizio ha nel diabete richiedono dunque un’attività regolare. Gli effetti cronici dell’attività fisica possono differire in parte in base alla tipologia di training svolto. Sotto questo profilo si distinguono l’attività di tipo aerobico e quella di forza, anche se nella realtà esiste un continuum fra questi estremi, con le due componenti che hanno un peso relativo differente a seconda dei protocolli di esercizio utilizzati. Il training aerobico induce rapidamente un incremento della capacità di ossidazione dei substrati, sotteso da fenomeni di diverso tipo che comprendono in particolare una modifica nel fenotipo delle fibre muscolari verso quelle di tipo 1, un incremento della massa mitocondriale e un aumento della capillarizzazione muscolare(13,14). Questo tipo di training ha scarsi effetti sulla massa muscolare. Nelle modifiche indotte dall’esercizio aerobico svolge un ruolo cruciale il PGC-1alfa, un fattore di trascrizione attivato direttamente dalla AMPK, che stimola la biogenesi mitocondriale e il rimodellamento muscolare, da un fenotipo glicolitico verso uno di tipo ossidativo(14). Questa molecola partecipa direttamente anche all’incremento della capillarizzazione muscolare, necessario per far fronte all’aumentato fabbisogno di ossigeno indotto da questi fenomeni, che il PGC-1alfa favorisce inducendo una serie di fattori pro-angiogenici come il VEGF e il PDGF. Una serie di meccanismi diversi partecipa comunque a determinare questi fenomeni. Fra questi l’aumento delle concentrazioni di calcio nel citosol, l’ipossia cellulare e lo stress ossidativo indotti dall’attività contrattile e la disponibilità di substrati. Parallelamente si osserva un incremento dell’espressione dei trasportatori del glucosio GLUT4 e di enzimi del metabolismo glucidico. È interessante notare che l’insulina induce simili effetti sul trasporto e sull’utilizzo del glucosio, ma anche un simile incremento della capillarizzazione muscolare(15). Dunque, esercizio fisico e insulina hanno effetti simili e sinergici sotto molti profili, non solo metabolici ma anche vascolari. Questo supporta il nesso funzionale fra questi diversi aspetti. Il training di forza ha invece un effetto tangibile in termini di ipertrofia muscolare, sotteso da un incremento nel numero delle miofibre(16). Più limitate sono le conseguenze di questo tipo di training sul fenotipo delle fibre muscolari, anche se appare esservi uno shift dal sottotipo IIx a quello IIa(17). Alla base dell’effetto di ipertrofia di questa tipologia di training vi è un incremento della sintesi proteica muscolare. Il meccanismo molecolare ritenuto chiave in questo fenomeno è l’attivazione di mTOR(18), una serin-treonin chinasi che partecipa alla regolazione di numerosi processi cellulari, sia dipendenti sia indipendenti dall’azione insulinica. Questa molecola integra segnali diversi, che comprendono stimoli ormonali e disponibilità di nutrienti. Fra questi vi è l’azione importante dell’IGF-1, la cui espressione viene incrementata dalla stimolazione meccanica che questa tipologia di esercizio provoca e che attiva la via fosfatidilinositolo-3 chinasi – AKT – mTOR(19). Il carico meccanico appare comunque in grado di stimolare mTOR anche attraverso altre vie. La tabella 2 riassume le principali differenze fra effetti del training aerobico e di forza. In termini metabolici sia l’esercizio aerobico sia quello di forza hanno effetti rilevanti nella persona con diabete e possono essere entrambi utilizzati con l’obiettivo di migliorare il controllo glicemico in questa patologia(12). Alcuni risultati suggeriscono che sotto questo profilo gli effetti acuti del training aerobico possano essere potenzialmente più marcati di quelli del training di forza, confrontabile per durata e grado di intensità(20). I dati sono però assai limitati e non si può escludere che queste differenze dipendano da una diversa spesa energetica nei diversi protocolli applicati, sempre difficilmente confrontabili sotto questo profilo. In ogni caso, come discusso in maniera più approfondita in una successiva sezione di questa rassegna, le attuali linee guida per l’esercizio fisico nel diabete raccomandano, ogniqualvolta sia possibile, un training di tipo combinato, sia aerobico sia di forza, che permetta di integrare gli effetti favorevoli, in parte differenti, di queste due tipologie di training. Con interventi di questo tipo è stato riportato infatti un beneficio metabolico maggiore(12), anche se anche sotto questo profilo le nostre informa- 61 Moghetti P Tabella 2 Confronto degli effetti cronici del training aerobico e di quello di forza muscolare. L’entità delle variazioni indotte è solo indicativa, essendo condizionata da numerosi fattori, che includono volume e intensità dell’esercizio, stato funzionale basale e altre caratteristiche del singolo soggetto. Parametro Training aerobico Training di forza Composizione corporea Massa grassa ↓↓ ↓ Massa magra ↔ ↑ Densità ossea ↑ ↑ Metabolismo basale ↑↔ ↑ Sensibilità insulinica ↑↑ ↑↑ Lipidi circolanti HDL-colesterolo ↑↔ ↑↔ LDL-colesterolo ↓↔ ↓↔ Trigliceridi ↓ ↓↔ Frequenza cardiaca a riposo ↓↓ ↔ Gettata cardiaca massimale ↑↑ ↔ Pressione sistolica a riposo ↓↔ ↔ Pressione diastolica a riposo ↓↔ ↔ Fitness Massimo consumo di ossigeno ↑↑ ↑↔ Forza muscolare ↔ ↑↑ Meccanismi molecolari principali attivati PGC-1alfa mTOR Fenomeni indotti nel muscolo Aumento massa mitocondriale, capillarizzazione Aumento numero delle miofibre Fenotipo fibre muscolari ↑↑(II → I) ↑(IIx → IIa) ↑ aumento; ↓ diminuzione; ↔ non variazione; ↑ o ↓ effetto piccolo; ↑↑ o ↓↓ effetto potenzialmente pronunciato (adattata da ref. 22). zioni restano incomplete. La combinazione di queste tipologie di training ha documentato peraltro, rispetto al risultato di un allenamento di sola resistenza muscolare, una riduzione della capacità di sviluppare la forza, senza compromettere quella di sviluppare la capacità aerobica(21). È stato ipotizzato che questo possa dipendere dall’effetto inibitorio che AMPK e altri fattori attivati dall’ipossia cellulare possono avere in termini di stimolazione di mTOR, che richiede una condizione complessiva di disponibilità di energia. Va ricordato anche che sono in fase di studio modalità di training alternative a quelle tradizionali, come quelle basate su brevi bout intervallati di esercizio ad alta intensità, che sulla base di dati ancora preliminari sembrano poter indurre effetti metabolici benefici rilevanti, oltretutto con un ridotto impegno di tempo. Queste tipologie di attività, per quanto assai interessanti in termini di fisiopatologia, non sono peraltro facilmente implementabili in molti pazienti affetti da diabete di tipo 2. Considerazioni conclusive La capacità di esercizio fisico è una delle funzioni naturali meglio conservate nell’evoluzione, coerentemente con il suo ruolo fondamentale nella sopravvivenza delle specie animali. L’uomo studia dai tempi antichi come usare questa capacità per eccellere, nella competizione e nella guerra. Nel brevissimo arco di poche generazioni la spe- 62 cie umana ha però ridotto enormemente l’attività fisica quotidiana e questo ci costringe ora ad approfondire strategie e modalità con cui utilizzare in maniera efficiente e con finalità di benessere questo strumento nella vita di tutti i giorni. Questi aspetti sono di grande rilievo nelle molte persone che hanno problematiche di eccesso ponderale e disordini metabolici e in cui l’esercizio fisico è un importante, ma ampiamente sottoutilizzato, strumento di terapia. Le nostre conoscenze sui meccanismi con cui l’esercizio fisico induce i suoi effetti positivi sono però ancora molto parziali. La ricerca dovrà chiarire in un prossimo futuro le modalità ottimali con cui combinare i benefici di attività aerobica e di resistenza muscolare, limitandone i potenziali effetti negativi. Dovrà inoltre individuare modalità di intervento alternative a quelle codificate, che sono certamente utili ma non esauriscono le vaste potenzialità dell’attività fisica, anche in rapporto a specifici obiettivi che possono essere rilevanti nel singolo individuo. Meritevoli di ulteriore ricerca sono anche gli ambiti relativi all’attività fisica nel diabete di tipo 1, in cui la complessità delle relazioni fra esercizio, anche ai massimi livelli, e le alterazioni del controllo endocrino richiede una maggiore conoscenza di questi fenomeni e un ulteriore perfezionamento degli strumenti di terapia e monitoraggio del diabete. Conflitto di interessi Nessuno. Fisiopatologia dell’esercizio fisico Bibliografia 1. Tiidus PM, Tupling AR, Houston ME. Biochemistry Primer for Exercise Science, 4th Edition. Champaign, IL: Human Kinetics 2012. 2. McArdle WD, Katch FI, Katch VL. Exercise physiology: energy, nutrition, and human performance, 6th Edition. Philadelphia: Lippincott Williams & Wilkins 2007. 3. Hardie DG, Sakamoto K. AMPK: a key sensor of fuel and energy status in skeletal muscle. Physiology (Bethesda) 2006;21: 48-60. 4. Coderre L, Kandror KV, Vallega G, Pilch PF. 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