Radici, cultura, identità. Bestemmie del nostro tempo appiattito sul presente. Bestemmie che generano mostri e che possono produrre, sul medio termine, conseguenze inattese e assai gravi per i destini europei. L’Europa è un continente in crisi, lo sappiamo, ma la crisi non è solo economica. Si tratta di una crisi morale, politica e persino una crisi di pensiero: economico, sociale, filosofico. In questo contesto trovano terreno fertile populismi e radicalismi. Il sorgere di un nuovo sentimento nazionalista, affatto diverso da quello del secolo scorso, produce spinte disgregatrici non solo in seno all’Unione Europea ma anche all’interno dei singoli stati nazionali sempre più preda di etno-nazionalismi o etno-regionalismi che affondano le loro radici nel scivoloso terreno dell’identità: quella esclusiva, biologicamente pura, che si lega a una tradizione storica o religiosa sovente re-inventata, con derive razziste. Una parola su tutte, oggi, diventa bestemmia: etnia. In maniera dissimile da quanto avvenuto nei due secoli scorsi, quando era sinonimo di “nazione imperfetta”, quello di etnia si è afferma oggi come termine a-valutativo: né buono, né cattivo. Anzi, il termine porta con sé significati utili sia a coloro che intendono stigmatizzare la diversità, sia a chi intende esaltarla o rivendicarla. L’uso oggi più diffuso del termine è però quello politico dove l’affermazione di etnicità corrisponde a un disegno ideologico che vede nella ricerca dell’autenticità il suo fine immediato. Ciò che è autentico è infatti “originario” e “primordiale”, si lega alla tradizione: si rivendica così la propria “autenticità” etnica, la propria “cultura autentica”, sempre perduta e pura. L’idea di perdita, di distacco dalle proprie origini ideali presuppone un possibile recupero di esse, e costituisce il tema ricorrente dell’ideologia politica del nostro tempo. L’autenticità è un concetto che serve a proteggere, nell’immaginario collettivo, dal cambiamento. Esprime una ricerca e un bisogno di stabilità e ordine di fronte alle sfide di un mondo anonimo e massificato. Secondo l’etnologo Marc Augé la ricerca dell’autenticità si deve “a un sentimento di sbigottimento largamente condiviso di fronte alla spettacolare invasione del Capitale anonimo*”. L’uomo “medio” insomma, di fronte alla massificazione della vita sociale e al suo anonimato, cerca rifugio in un impossibile “ritorno alle origini” che nulla ha da spartire con il passato. Il “ritorno a ciò che è autentico” è infatti un frutto della modernità. Il fondamentalismo politico e religioso sono i risultati immediati dell’ideologia politica che propaganda il ritorno alle origini perdute. Ciò che è ricerca di radice diventa, appunto, radicalismo. E ciò vale per il fondamentalismo religioso (la volontà di tornare a insegnamenti “originari” di fronte al disorientamento dovuto a modelli culturali ed economici anonimi) come per quello politico. Il rigurgito d’arcaismo è in realtà un boccone amaro della modernità. E se alcuni atteggiamenti possono essere spontanei, molti sono guidati da quei movimenti politici che hanno intercettato questo sentimento attraverso il richiamo costante a una concezione astratta della cultura, la quale è pensata come qualcosa di immutabile e granitico, estranea a qualsiasi processo dinamico ed evolutivo ma solo passibile di inquinamenti e influenze negative che provengono dall’altro. E l’altro oggi è lo straniero, o colui che si suppone essere straniero: il vicino di casa, a Tuzla, forse suo nonno era musulmano, forse croato, in ogni caso quel vicino di casa non è un serbo. Il vicino di casa viene etnicizzato. Diventa nemico. Una simile idea di diversità può portare alla pulizia etnica di coloro che ci sono prossimi. Preservare le nostre società dall’uniformità e dalla monotonia è necessario, come dicevaClaude Lévi-Strauss, ma ciò non significa esclusione. Tutto ciò che di fronte al cambiamento, alla diversità, possiamo far valere è che esso si realizzi nel suo massimo grado di generosità e tolleranza, consapevoli che ogni differenza non è frutto di una cesura ma di una continuità. Quello che oggi il populismo europeo cavalca è il sogno proibito della distruzione, la voluttà dell’abisso, al solo fine di legittimare nuoveèlites politiche, predatorie e affamate di ricchezza, bramose di potere. Quando una società si (ri)produce in etnie è sempre, in antropologia, la premessa al conflitto. E la corsa all’identità etnica che molti in Europa stanno facendo, al seguito della propaganda politica di questo o quel partito “identitario”, è dunque una corsa alle armi. E si sa che le armi sono fatte per essere usate. Matteo Zola