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EMERGENZE
CLINICHE
CARDIOLOGICHE
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CARDIOLOGIA OGGI - Prontuario tascabile
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Arresto cardiocircolatorio (acc)
Definizione. L’ACC consiste nella cessazione improvvisa e critica della gettata sistolica, per
perdita della attività meccanica del cuore. L’ipossia cerebrale che consegue alla sospensione del flusso ematico al cervello, produce una privazione immediata della coscienza e del
respiro. L’ACC rappresenta una emergenza clinica che conduce generalmente a morte; può
essere però potenzialmente reversibile in seguito al successo delle manovre di rianimazione
cardiorespiratoria prontamente praticate.
Eziologia. Le cause di ACC possono essere molteplici, riconducibili a cinque motivi principali
(Tabella 1.1):
Tabella 1.1
Cause cardiovascolari
Cardiopatia ischemica (causa principale); aritmie rapide; bradiaritmie e asistolie; stenosi valvolari; cardiomiopatie; tamponamento cardiaco; rottura di cuore;
dissecazione aortica.
Cause polmonari
Embolia polmonare; asma bronchiale; asfissia; embolia gassosa; ipertensione
polmonare; inalazione di sostanze tossiche.
Cause neurogene
Ictus (emorragico o ischemico); Sincopi da causa varia, evolute verso l’arresto;
Cause tossico-metaboliche Ipossia; ipoglicemia; cocaina
Cause varie
Shock elettrico; morsi e punture; reazioni allergiche
Epidemiologia. Nei paesi industrializzati l’arresto cardiaco costituisce la causa principale
di morte, per lo più dovuto a cardiopatia ischemica. Le diverse casistiche riportano una
incidenza variabile dallo 0.36 all’1.28 per 1000 abitanti per anno. Uno studio europeo
recente sulla popolazione di Maastricht attribuisce all’arresto cardiaco extraospedialiero
un contributo rilevante alla mortalità totale della popolazione, 27% nella fascia d’età dei
55-64 anni, essendo colpito 1 abitante su 1000 nell’età tra i 20 e i 75 anni. Nella esperienza
di Seattle il profilo clinico del paziente resuscitato si riferisce tipicamente a un soggetto
di 64 anni (81%) con coronaropatia (78%) e storia remota di infarto (45%). L’età media
dei sopravvissuti è aumentata recentemente di 4 anni. In Italia si calcolano circa 55.000
eventi/anno.
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Patogenesi. L’ACC rappresenta l’evento finale di una cascata di alterazioni fisiopatologiche
dovute alla interazione di fattori anatomici e funzionali (Fig. 1.1).
Circa il 5% dei pazienti resuscitati da arresto cardiaco dovuto a FV o TV polimorfa non presentano segni di cardiopatia strutturale. Alcuni di questi pazienti sono eventualmente portatori
di difetti genetici che producono una “malattia dei canali cardiaci” (“cardiac channelopathy”)
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CARDIOLOGIA OGGI - Prontuario tascabile
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Fig. 1.1 - Cascata delle alterazioni patologiche che conducono all’arresto cardiaco
come le sindromi del QT lungo (QTLS), la sindrome di Brugada, la malattia progressiva del
sistema di conduzione cardiaco, la TV polimorfa catecolaminergica e la paralisi periodica
cardiodisritmica di Andersen sensibile al potassio, dovuta a mutazione del gene KCNJ2 che
altera i segmenti critici del canale Kir2.1 (Inwardly rectifying potassium (Kir) channels)
.
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Fisiopatologia. L’ACC riconosce tre meccanismi genetici particolari:
•
la fibrillazione ventricolare , nel 75-80% dei casi,
•
l’asistolia (da blocco A-V di III grado o arresto sinusale, senza l’emergenza di ritmo
di evasione), nel 15-20% dei casi, e
•
la dissociazione elettromeccanica , nel 5% dei casi. Nella dissociazione elettromeccanica l’attività elettrica del cuore è normale, tanto che l’ECG non presenta aritmie,
ma il muscolo cardiaco non si contrae, per cui la circolazione è assente. Quest’ultima
evenienza si manifesta in alcune circostanze particolari, quali ad esempio la rottura
della parete libera del ventricolo sinistro con emopericardio.
Anatomia patologica. L’indagine autoptica può rilevare la presenza di infarto miocardico
recente; cicatrici o esiti fibrosi di infarto pregresso; eventuali rotture del miocardio con emopericardio. Altri possibili reperti sono dati dalla presenza di placche ulcerate e/o di lesioni
subocclusive o occlusive del tronco comune dell’a.coronaria sinistra, dell’a.interventricolare
anteriore o di altri rami coronarici. Si possono altresì rilevare quadri di cardiomiopatia ipertro4
Emergenze cliniche cardiologiche
fica, dilatativa o restrittiva; infiltrazioni fibroadipose (cardiomiopatia/displasia aritmogena del
VD). Presenza di fasci accessori (s. di pre-eccitazione cardiaca nella s. di Wolff-ParkinsonWhite e varianti). Processi sclerodegenerativi che interessano il tessuto di conduzione (m. di
Lev-Lenègre). Embolia del tronco o dei rami principali dell’arteria polmonare. Lesioni valvolari
cardiache. Ematoma dissecante dell’aorta. Pneumotorace iperteso. In caso di FV idiopatica,
di sindrome del QT lungo congenita, di s. di Brugada, di ipovolemia, e di altre forme di ACC,
si può rilevare l’assenza di qualsiasi alterazione strutturale.
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FV come causa di ACC. Le varie cause di ACC da FV sono elencate nella Tabella 1.2.
Tabella I.2 - Cause di FV che inducono arresto cardiaco.
Cause cardiache
Cause non cardiache
Cardiopatie strutturali
Respiratorie
Cardiomiopatia ischemica o infarto da coronaropatia
Broncospasmo
Cardiomiopatia
Aspirazione
Dilatativa
Ipertrofica
Sleep apnea
Ipertensione arteriosa polmonare
ARVC/D cardiopatia/displasia aritmogena del VD
Stenosi AO
Embolia polmonare
Metaboliche/tossiche
Dissezione aortica
Tamponamento pericardico
Disordini elettrolitici (ipoK+, ipoCa2+, ipoMg2+)
Cardiopatia congenita
Ingestioni medicamentose
Miocardite
Avvelenamenti ambientali
Cardiopatie non strutturali
Sepsi
TV polimorfa catecolaminergica e TV del tratto di
efflusso del VD
Causa meccanica (commotio cordis) o accidente
elettrico
Preeccitazione
Blocco cardiaco
Neurologiche
Attacchi, crisi comiziali (SUDEP, sudden unexplained
death in epilepsy) (gravi aritmie; edema polmonare;
apnea centrale)
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QT lungo da farmaci con torsioni di punta
Accidenti cerebrovascolari
Malattia dei canali: S. del QT lungo
Emorragie intracraniche
S. del QT breve
Stroke ischemico
S. di Brugada
Sintomi e segni clinici. A parte le manifestazioni cliniche maggiori (perdita di coscienza,
assenza di respiro e di circolazione), nell’ACC possono rendersi manifesti altri segni, fra cui
contratture muscolari da stimolazione ipossica del sistema nervoso centrale; cute fredda pallida
e sudata; midriasi pupillare. Quest’ultimo reperto non è utile da un punto di vista diagnostico,
ma lo è ai fini della prognosi, poiché segnala un danno cerebrale rilevante, tale da rendere
difficile il recupero del paziente.
I polsi arteriosi (carotideo, femorale) sono assenti. L’ECG mostra la presenza di FV, di asistolia
o di ritmo coordinato ma inefficace nella dissociazione elettromeccanica.
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CARDIOLOGIA OGGI - Prontuario tascabile
Decorso e prognosi. Il successo è correlato con la tempestività della manovra:
•
Se la defibrillazione viene eseguita 8-10 minuti dopo l’arresto, in assenza di rianimazione, le probabilità di sopravvivenza non superano il 2%;
•
Se invece la rianimazione viene iniziata entro 2 minuti e la defibrillazione praticata
fra l’8° e il 10° minuto, le probabilità di sopravvivenza raggiungono il 2-8%.
•
Se infine, nelle stesse condizioni, la defibrillazione viene effettuata al 6° minuto, la
sopravvivenza raggiunge il 20%, fino ad arrivare al 30% quando il paziente viene
defibrillato al 4° minuto.
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Terapia: supporto di base delle funzioni vitali (“Basic life support”).
Presidi farmacologici:
•
adrenalina 1 mg in 10 ml di soluzione fisiologica in vena, ripetibile ogni 3-5’
•
sodio bicarbonato 1 mEq/kg ripetibile a metà dose ogni 10 minuti
•
atropina 1 mg e.v. ripetibile, in caso di asistolia o di bradicardia assoluta
•
lidocaina 1.5 mg/kg in bolo e.v., ripetibile in 3-5 min, fino alla dose totale di 3 mg/kg
•
bretilio tosilato 5 mg/kg e.v., ripetibile in 5 min a 10 mg/kg
•
magnesio solfato 1-2 g e.v. in caso di torsioni di punta (ipokaliemia; QT lungo) o di
sospetta ipomagnesiemia.
Fig.1.2 - catena della sopravvivenza
La Fig. 1.2 raffigura il logo della “catena della sopravvivenza”: sono rappresentati i 4
anelli consecutivi che stanno a indicare la chiamata, il supporto di base alle funzioni vitali,
la defibrillazione precoce e il supporto vitale avanzato. Le azioni vengono schematicamente
memorizzate con le prime quattro lettere dell’alfabeto ABCD:
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Emergenze cliniche cardiologiche
Le varie tappe della rianimazione cardio-polmonare sono riassunte nella seguente carta di
flusso della Tabella 1.3.
Se il defibrillatore non è immediatamente disponibile, si assesta il “pugno precordiale”
percuotendo lo sterno con il lato ulnare della mano. Questa manovra può interrompere una
TV/FV convertendola a ritmo efficace organizzato; talvolta però una TV può essere desincronizzata a FV.
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Tabella 1.3 - Carta di flusso della rianimazione cardio-polmonare.
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In caso di FV/TV trova indicazione il defibrillatore semiautomatico esterno (DAE), che,
rispetto al defibrillatore manuale, esonera totalmente il soccorritore dalla necessità di riconoscere il ritmo cardiaco e di erogare lo shock elettrico. Il DAE, dopo essere stato collegato al
torace della vittima con una coppia di elettrodi adesivi, è infatti in grado di analizzare il ritmo
cardiaco e soltanto in caso di FV/TV riconosciuta emette automaticamente la segnalazione
“shock consigliato”. Il dispositivo allora, caricato il condensatore al valore di energia reimpostato - ordina all’operatore di premere il pulsante di shock; occorre naturalmente evitare,
per ragioni di sicurezza, qualsiasi contatto con il corpo della vittima. Nel caso il ritmo dovesse
cambiare per ripristino di una attività elettrica corretta o per evoluzione verso l’asistolia, il
DAE emette il segnale “shock non consigliato”. Una recente disposizione (legge 120/2001)
consente l’utilizzo extraospedaliero del DAE anche a personale non sanitario addestrato.
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CARDIOLOGIA OGGI - Prontuario tascabile
Ulteriori considerazioni. In caso di asistolia ricorrere immediatamente al pacing transcutaneo, all’adrenalina e all’atropina. In caso di dissociazione elettro-meccanica o PEA
(Pulseless Electrical Activity), vale a dire assenza di polso palpabile in presenza di attività
elettrica cardiaca, considerare e correggere le possibili cause:
•
arresto respiratorio con ipossia, severa ipovolemia, ipotermia, acidosi, ipo- iperpotassiemia, ritmi idioventricolari di evasione post-defibrillazione
•
pericardiocentesi in caso di tamponamento cardiaco; rottura cardiaca
•
decompressione in caso di pneumotorace iperteso,
•
trombolitici in caso di embolia polmonare massiva
Sono indicare l’adrenalina a dosi intermedie (2-5 mg ogni 3-5’) e alte (bolo 0.1 mg/kg e.v.)
ogni 3-5’; l’atropina 0.5-1 mg e.v. ogni 3-5 min.(non superare i 2 mg); il sodio bicarbonato 1
mEq/kg (concentrazione abituale 7.5%). Il bypass cardiopolmonare. Il pacing cardiaco non
è raccomandato perché anche se consegue una cattura elettrica, non necessariamente ad
essa corrispondono efficaci contrazioni meccaniche.
Quando smettere le manovre rianimatorie nell’ACC extra-ospedaliero. Le linee- guida
ROLE (Recognition of Life Extinct) stabiliscono che “i tentativi di rianimazione dovrebbero
cessare quando il paziente rimane in asistole per oltre 20 minuti, nonostante le applicazioni
dei supporti avanzati delle funzioni vitali”. Le linee-guida AHA 2005 stabiliscono a loro volta
che gli sforzi rianimatori dovrebbero essere continuati finché “non siano presenti criteri fidati
che indichino l’avvenuta morte irreversibile”. Il recente studio TOR (Termination of Resuscitation) (Morrison 2006) asserisce che soltanto lo 0.5 per cento dei pazienti sopravvive se
manca la ripresa del circolo spontaneo, non sia stato somministrato alcuno shock, e l’ACC
non sia assistito da personale EMS (Servizi Medici di Emergenza). L’aggiunta retrospettiva di
altri criteri (un “intervallo di risposta > 8 minuti, o un arresto avvenuto in assenza di testimoni)
riducono ulteriormente il margine di sopravvivenza allo 0.3 per cento.
Bibliografia
SEU
2005 American Heart Association guidelines for cardiopulmonary resuscitation and emergency cardiovascular
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De Vreede-Swagemakers JM, Gorgels AP et al: Out-of hospital cardiac arrest in the 1990s: a population
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European Resuscitation Council. Guidelines for Resuscitation, eds Leo Bossart, Amsterdam. Elsevier 1998.
Kern KB, Paraskos JA, 31st Bethesda Conference: Emergency Cardiac Care (1999) Task Force 1: Cardiac
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Myerburg RJ, Interian A, Mitrani RM et al: Frequency of sudden cardiac death and profiles of risk. Am J Cardiol
1997; 80: 10F-19F.
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Sincope
Definizione. La sincope consiste in una perdita transitoria di coscienza con incapacità a mantenere il tono posturale, seguita da recupero spontaneo. Il termine sincope va tenuto distinto
da quello di lipotimia, in cui non si ha perdita di coscienza, ma sono presenti il complesso
dei sintomi vegetativi (pallore, sudorazione, senso di mancamento) che preludono ad essa.
La sincope va inoltre tenuta distinta dall’attacco comiziale (in cui sono presenti aure, attività
convulsive, morsicature alla lingua), dal coma, dallo shock e da altri stati di alterazione della
coscienza.
Epidemiologia. I dati dello studio di Framingham depongono per una incidenza di 6.2 casi di
sincope per 1000 pazienti/anno. Il 3% dei casi accusano recidive e circa il 10% richiamano
una eziologia cardiaca. Le sincopi rendono conto dell’1-3% degli accessi ai Dipartimenti di
emergenza e del 6% dei ricoveri ospedalieri/anno. Soteriades e Coll. (2002) hanno seguito
7814 pazienti con sincope per 17 anni e hanno riscontrato una mortalità più elevata nei pazienti con sincope cardiaca rispetto a quelli con sincope non-cardiaca. Suzuki e Coll. (2004)
hanno da parte loro studiato 912 pazienti con sincope per una media di 3 anni, conseguendo
lo stesso risultato.
Fisiopatologia. La sincope si manifesta quando si riduce in modo globale la perfusione di
sangue al cervello. Il parenchima cerebrale dipende in modo critico dal flusso ematico che
assicura un apporto adeguato del primo substrato metabolico, il glucosio. Il tessuto cerebrale
infatti non può costituire provviste energetiche sotto forma di fosfati ad alta energia, come
avviene nel resto dell’organismo, per cui una brusca cessazione della perfusione cerebrale,
anche di soli pochi secondi, sfocia nella sincope.
La perfusione cerebrale è mantenuta relativamente costante da un intricato e complesso sistema di feedback che coinvolge varie componenti: la gettata cardiaca, le resistenze periferiche,
la pressione arteriosa e le resistenze cerebrovascolari ad autoregolazione intrinseca.
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Classificazione. Nella popolazione generale, la causa più comune di sincope è di natura
neurocardiogena, seguita dalle aritmie primarie. Dal punto di vista pratico la sincope viene
classificata in due grandi categorie: cardiache (aritmiche e non-aritmiche) e non-cardiache.
1. Sincopi da cause cardiache (grafico della Fig. 2.1)
Come mostra lo schema del grafico (Fig. 2.1), le sincopi cardiache possono essere di genesi
aritmica (TV sostenute, torsioni di punta, FV, TPSV con ipotensione; blocchi SA e AV; malattia
senoatriale) e non-aritmica (da aumentata sensibilità senocarotidea, di tipo cardioinibitorio,
vasodepressivo o misto). Cause non aritmiche di sincopi possono essere anche connesse con
la stenosi aortica, la cardiomiopatia ipertrofica, l’embolìa polmonare, l’ematoma dissecante
dell’aorta e il malfunzionamento del pacemaker.
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CARDIOLOGIA OGGI - Prontuario tascabile
Fig. 2.1
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2. Sincopi da cause non-cardiache (Fig. 2.2). Il vasto gruppo delle sincopi non-cardiache
comprende le sincopi situazionali, neurologiche (TIA, “drop attacks”) e neuropsichiatriche (s.
da iperventilazione; reazioni di conversione).
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Fig. 2.2
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Emergenze cliniche cardiologiche
Una posizione particolare occupa in questo gruppo la Sincope vasodepressiva (definita anche
sincope neurocardiogena, neuromediata, o vasovagale) che costituisce la causa più frequente
di tutte le sincopi, anche se raramente arriva a costituire una emergenza cardiovascolare, eccetto
che nella sua forma maligna. Il meccanismo d’azione della s. vasodepressiva (Fig. 2.3) consiste in
una sollecitazione inappropriata dei meccanocettori del ventricolo sinistro (costituiti da fibre vagali
C amieliniche), in modo analogo a quanto avviene nel riflesso di Bezold-Jarisch. Quest’ultimo
consiste in un chemoriflesso coronarico con braccio afferente ed efferente (responsabile della
bradicardia e ipotensione), scatenato dalla iniezione di veratridina o di nicotina nei rami delle arterie
coronarie tributarie del ventricolo sinistro. La risposta vagale sarebbe innescata dalla stimolazione
chimica dei recettori di tensione della parete ventricolare. Nel caso della sincope vasodepressiva,
la dilatazione dei grossi vasi di capacitanza produce un sequestro del pool di sangue venoso periferico, con limitazione del ritorno venoso al cuore che si presenta di volume ridotto. In definitiva si
realizza una contrazione cardiaca a ventricolo “vuoto”, che esercita una potente azione di stimolo
dei tensocettori di parete. Lo stiramento delle fibre meccanocettrici vagali C evocherebbe allora
una doppia risposta parasimpatica, tipica della sindrome:
(a) vasodilatazione periferica
(b) bradicardia riflessa.
Il test ortostatico al tavolo inclinato (Head-up tilt-table test) non fa che riproporre sul piano
diagnostico gli eventi che scatenano la sincope (Fig. 2.3), a paziente posizionato in ortostatismo
passivo su un tavolo inclinato a 70° per 45’. Il test è considerato positivo in presenza di sincope
con ipotensione (riduzione della PA > 60% o > 30 mmHg rispetto al basale) e/o di bradicardia.
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Fig. 2.3
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CARDIOLOGIA OGGI - Prontuario tascabile
La risposta evocata dal test può essere triplice:
a) Vasodepressiva (= sincope accompagnata da ipotensione, senza bradicardia);
b) Mista (= sincope accompagnata da ipotensione e bradicardia)
c) Cardioinibitoria (= sincope con bradicardia estrema o asistola > 3 secondi).
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Quadro clinico. La storia e l’esame clinico possono essere di grande aiuto in una alta percentuale di casi (50-85%). Occorre verificare con attenzione la storia clinica, con accurata
descrizione dei fatti e delle circostanze relative all’episodio, con particolare riguardo ai fattori
precipitanti, alle attività svolta nell’imminenza dell’evento e alla posizione del paziente al
momento della sincope (eretta, seduta, distesa).
•
Presenza di fattori scatenati: fatica, vertigini, sonno, digiuno, calore ambientale,
dolore, consumo di alcool, forti emozioni, paura o apprensione.
•
Attività precedente: la sincope si può manifestare a riposo; con il cambiamento della
postura; a seguito di particolari gesti delle braccia (furto della succlavia); durante o
dopo sforzo; nel corso di specifiche situazioni che scatenano sincopi viscero-riflesse
(tosse, starnuto, rasatura, rotazione del capo, minzione, defecazione, manovra di
Valsalva, immersione in acqua). La sincope può essere inoltre legata alla assunzione di farmaci (agenti antiipertensivi, beta-bloccanti, nitroderivati - specialmente
se associati a farmaci per la disfunzione erettile -, diuretici, agenti che allungano il
QT, amiodarone, psicofarmaci triciclici, sedativi o cocaina).
•
Nel 70% i pazienti accusano sintomi premonitori: vertigini, senso di vuoto alla testa,
astenia profonda, diaforesi spiccata.
•
Lo stato confusionale non si protrae 30 secondi oltre l’evento.
•
La durata dei sintomi che precedono l’episodio sincopale varia da 2.5 minuti nella
sincope vasovagale a soli 3 secondi nella sincope cardiaca.
Valutazione clinica. Il primo scopo nella valutazione del paziente con sincope è di stabilire
se il paziente si trova a rischio aumentato di morte. La sincope infatti può costituire un segno
precursore della morte improvvisa, soprattutto nei pazienti con cardiopatia sottostante. L’esame
clinico deve quindi prendere in considerazione la valutazione dell’ischemia e di una possibile
malattia strutturale del cuore. Occorre pure escludere cause meno comuni associate con la
morte improvvisa, quali la s. di preeccitazione cardiaca o le malattie dei canali ionici (s. del
QT lungo; s. di Brugada).
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Diagnosi. Dopo attenta anamnesi, esame fisico e indagine elettrocardiografica, la causa della
sincope rimane non-diagnosticata nel 50% dei pazienti. In tal caso utili informazioni possono
derivare da test diagnostici suppletivi quali:
1) Massaggio carotideo: va praticato in assenza di soffi carotidei, di una storia di TV e di
ictus recente! La manovra può rivelare la presenza di una s. del seno carotideo che può
essere di tre tipi:
•
cardioinibitoria (70% dei casi), caratterizzata da una pausa asistolica ≥ 3 secondi,
associata a sintomi significativi.
•
vasodepressiva (10%), contrassegnata da una riduzione della PA sistolica > 50
mmHg;
•
mista (20%), con bradicardia/asistolia e ipotensione
2) Studio elettrofisiologico nei pazienti con cardiopatie organiche.
3) ECG ambulatoriale di Holter o telemetria nei pazienti con cardiopatia nota o sospetta.
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Emergenze cliniche cardiologiche
La registrazione continua dell’ECG riesce a rivelare l’attività elettrica cardiaca durante gli
episodi sincopali soltanto nel 4-10% dei pazienti. In una metanalisi di 7 studi, la sensibilità
della metodica è risultata bassa, attorno al 22% dei pazienti con sincopi e/o palpitazioni di
genesi ignota.
4) Insertable Loop Recorder (ILR), consistente in una telemetria a impianto sottocutaneo
indicata nei pazienti con eventi infrequenti o che rimangono indiagnosticati dopo test appropriati. Il dispositivo è attivabile dal paziente stesso durante l’evento sintomatico (Fig. 2.4).
Viene riprodotto l’ECG che precede e segue l’episodio per alcuni minuti, eventualmente con
trasmissione telefonica al centro medico di controllo. Il monitoraggio può essere protratto fino
a 18 mesi (tempo che corrisponde alla durata prevista della batteria).
Lo studio ISSUE (International Study on Syncope of Unknown Etiology) ha dimostrato l’utilità
diagnostica del loop recorder impiantabile nei pazienti con sincope inspiegata dopo valutazione
diagnostica completa, e quadro clinico o alterazioni ECG suggestive di sincope aritmica o
storia di sincopi ricorrenti. È stata anche proposta una classificazione elettrocardiografia della
sincope spontanea documentata da un ILR (Brignole e Coll., 2005) (Tabella 2.1).
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Tabella 2.1 - Classificazione ISSUE della sincope documentata mediante ILR (Brignole 2005).
Tipo di sincope
Tipo 1, Asistolia
descrizione
Pausa RR ≥ 3 secondi
1 A, Arresto sinusale
Frequenza nello
studio ISSUE
63%
Bradicardia sinusale progressiva o tachicardia sinusale iniziale
seguita da bradicardia sinusale sino all’arresto sinusale.
1 B, bradicardia sinusa- Bradicardia sinusale progressiva seguita da BAV (e pausa/
le seguita da BAV
e ventricolari) con riduzione concomitante della frequenza
cardiaca (FC)
1 C, BAV
Tipo 2, Bradicardia
2A
2B
Tipo 3
Insorgenza improvvisa di BAV (e pausa/e ventricolari) con
riduzione concomitante della FC
Riduzione della FC > 30% o < 40 bpm per > 10 secondi
FC < 40 bpm per > 10 secondi
Nessuna o minime variazioni del ritmo. Variaz. FC > 30% e
FC > 40 bpm
3A
3B
Tipo 4, Tachicardia
4A
4B
5%
Riduzione della FC > 30%
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18 %
Nessuna variazione o variazioni < 10% della FC
Incremento FC > 10% ma <30% e < 120 bpm; o riduz. FC >
10%, ma < 30% e > 40 bpm
Incremento della FC > 30% o > 120 bpm
14%
Tachicardia sinusale progressiva
Fibrillazione atriale
4C
Tachicardia sopraventricolare (eccetto la tachicardia sinusale)
4D
Tachicardia ventricolare
Nei tipi 1A, 1B e 2 la sincope è probabilmente neuromediata. Nel tipo 1C si tratta di malattia intrinseca del sistema His-Purkinje, come si realizza nella s. di Morgagni-Adam-Stokes.
Nel tipo 3A è improbabile che si tratti di sincope riflessa; la sincope potrebbe invece essere
espressione di intolleranza all’ortostatismo; non è tuttavia possibile arrivare a una conclusione
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CARDIOLOGIA OGGI - Prontuario tascabile
sicura, data la impossibilità con la tecnologia ILR attuale di registrare i valori di pressione
arteriosa. Lo stesso dicasi per il tipo 3B. Nel tipo 4A potrebbe trattarsi invece di ipotensione
ortostatica progressiva da intolleranza all’ortostatismo. In tal caso si può verificare una caduta
graduale della pressione arteriosa, fino all’insorgenza della sincope. Da ultimo nei tipi 4B,
4C, 4D la sincope è dovuta ad aritmia primaria.
5) Valutazione psichiatrica: trova indicazione nei pazienti con episodi frequenti che decorrono
in assenza di lesioni (disturbi di somatizzazione; atteggiamenti isterici; risposta “psicogena”
al tilt test).
6) Tilt-table test, nei pazienti con eventi infrequenti o nei quali si sospetti una sincope vasovagale.
7) Su precisa indicazione clinica vanno infine eseguiti esami quali l’EEG, o particolari test di
imaging quali la TAC, la MNR e l’Ecocardiogramma (in caso di cardiopatie valvolari; mixoma
atriale sinistro; cardiomiopatia ipertrofica; dissezione aortica).
Il ricovero ospedaliero è indicato nei pazienti a rischio elevato, specialmente in quelli con
cardiopatie note e negli anziani.
SEU
Decorso e prognosi. Un protocollo formulato sulla base di reperti anomali all’ECG, storia
clinica di scompenso cardiaco congestizio, dispnea, ematocrito < 30% e ipotensione < 90
mmHg ha consentito al San Francisco Syncope Rule (2004) di prevedere i pazienti a rischio immediato di eventi severi ( morte, infarto, aritmia, embolia polmonare, ictus, emorragia
subaracnoidea o significativa) entro 7 giorni, con una sensibilità del 96% e una specificità
del 62%. Se validato prospetticamente, questo protocollo può agevolare in modo efficace il
potere decisionale del medico.
Terapia farmacologica nella sincope vasodepressiva. Alcuni agenti inotropi negativi (betabloccanti; disopiramide) si propongono di correggere l’eccessiva contrazione adrenergica a
ventricolo depleto di volume; altri agenti sostengono il circolo periferico (alfa-stimolanti, midodrina,
etilnefrina); altri ancora agiscono a livello centrale (antiserotoninergici), o espandono la volemia
(fluoroidrocortisone). Rimane invece discusso l’effetto tachicardizzante della teofillina.
•
Beta-bloccanti: atenololo 50-100 mg in unica somministrazione al giorno. Nel recente
studio POST (Prevention of Sincope Trial) il metoprololo (25-200 mg/die, media 122
mg) non si è rivelato in grado di prevenire la sincope vasovagale (SVV) rispetto al
placebo in pazienti con tilt test positivo e una storia di ≥ 3 episodi sincopali. Non si
può escludere tuttavia che metoprololo e placebo prevengano entrambi con pari
capacità la SVV.
Disopiramide 250 mg (in formulazione ritardo) x 2.
•
•
Alfa-stimolanti: midodrina 2.5-5 mg x 2-3 volte al giorno; etilnefrina 10-25 mg 2-3
volte al giorno.
Fluoridrocortisone 0,1 mg x 1-2 volte al giorno.
•
Antiserotoninergici: sertralina 50-100 mg in unica somministrazione al giorno; paro•
xetina 20 mg in unica somministrazione quotidiana.
•
Teofillina ritardo, 200 mg x 2 al giorno.
•
Replezione della volemia in caso di ipotensione ortostatica ipovolemica.
ROMA
Elettrostimolazione cardiaca. è stata proposta come terapia di scelta nella forma cardioinibitoria della sincope neurocardiogena ricorrente. I risultati non sono però sempre stati soddisfacenti, poiché il pacing tradizionale con VVI e DVI corregge la bradicardia, ma non può cor14
Emergenze cliniche cardiologiche
reggere efficacemente la componente
vasodepressiva comunque presente
nel riflesso vasovagale. Risultati più
incoraggianti sono stati ottenuti in
casi analoghi con una stimolazione
bicamerale permanente (DDD) dotata
di funzione RDR (rate-drop response), capace di erogare a una caduta
predeterminata della frequenza una
stimolazione bicamerale a 110-120
bpm (Connolly, 1999).
SEU
Fig. 2.4 - Esempio di registrazione di ECG
mediante sistema ILR (Inser table Loop
Recorder) durante un evento sincopale durato
parecchi secondi, avvenuto alle ore 15:34
Fig. 2.4
Bibliografia
AHA/ACCF Scientific Statement on the evaluation of syncope. From the American Heart Association Council on
Clinical Cardilogy, Cardiovascular Nursing, Cardiovascular disease in the Young, and stroke, and the Quality
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ROMA
15
CARDIOLOGIA OGGI - Prontuario tascabile
3
SEU
Shock cardiogeno
Definizione. Insufficienza circolatoria acuta con diminuzione della capacità di pompa del cuore
e inadeguata perfusione ai tessuti. Si presenta più comunemente in associazione e come
diretto risultato di un danno ischemico acuto del miocardio. Rappresenta in genere il risultato
della alterazione di più parametri fisiopatologici coesistenti: pressione sistolica < 80 mm Hg;
indice cardiaco < a 1.8 L/min./m2; e pressione di incuneamento capillare polmonare (PCWP)
> 18 mmHg. Nel diagramma emodinamico di Forrester (Fig. 3.1) lo shock cardiogeno nasce
dal concorso di una bassa portata (al di sotto di un livello critico) con un aumento critico della
pressione venosa centrale, cioè della pressione di riempimento del VS.
ROMA
Fig. 3.1 - Diagramma emodinamico di Forrester.
Classificazione dei vari tipi di shock. Lo shock cardiogeno va tenuto distinto dagli altri tipi
di shock:
•
Shock ostruttivo, dovuto a impedimento meccanico alla gettata sistolica ventricolare
(embolia polmonare; tamponamento cardiaco);
16
Emergenze cliniche cardiologiche
•
•
Shock ipovolemico, dovuto a perdita del volume circolante per cause esogene
(emorragie; gravi ustioni) o endogene (sequestro nei vasi di capacitanza; perdite
di fluidi nelle cavità o nel microcircolo per aumentata permeabilità microvascolare;
occlusioni intestinali);
Shock periferico o distributivo, dovuto ad anomalie della perfusione tissutale (sepsi;
anafilassi).
SEU
Epidemiologia. Lo shock cardiogeno si manifesta nel 5-10% dei pazienti con infarto miocardico acuto.
Fisiopatologia. I pazienti con bassa portata cardiaca possono mantenere una pressione ragionevole mediante vasocostrizione periferica. Il miocardio va incontro a disfunzione sistolica e
diastolica, l’una caratterizzata da aumento del volume telesistolico residuo, con bassa frazione
di eiezione, e l’altra da aumento della pressione di riempimento ventricolare con aumento della
pressione telediastolica per riduzione della compliance del ventricolo, conseguente alla presenza
di miocardio ischemico, rigido e meno elastico. L’ipoperfusione cellulare produce ipossia cellulare
con glicolisi anaerobia, accumulo di acido lattico e acidosi metabolica. Lo stress ossidativo che
ne consegue interferisce con i sistemi di trasporto della membrana cellulare, con accumulo di
Na+ e Ca2+ e rigonfiamento cellulare. Nei pazienti con shock cardiogeno è importante considerare
la reversibilità del quadro, conseguibile mediante terapia. La disfunzione miocardica potenzialmente reversibile è descritta come miocardio stuporoso o ibernato. Il miocardio stuporoso si
riferisce alla disfunzione postischemica che persiste nonostante la ripresa del flusso normale
e che è destinata a risorversi completamente. Il miocardio ibernato si riferisce invece a uno
stato di disfunzione persistente a riposo, dovuta a una riduzione severa del flusso coronarico;
questo quadro sembra costituire una risposta adattativa alla ipoperfusione, allo scopo di limitare
il potenziale di una ulteriore ischemia o necrosi. La rivascolarizzazione del miocardio ibernato
o stuporoso comporta in genere un miglioramento della funzione contrattile.
Dal punto di vista fisiopatologico lo shock può dare l’avvio a un circolo vizioso (Fig. 3.2).
ROMA
Fig. 3.2
17
CARDIOLOGIA OGGI - Prontuario tascabile
Patologia miocardica. I disordini che portano a un deterioramento acuto della funzione
cardiaca e che possono condurre a shock cardiogeno comprendono l’infarto o l’ischemia
miocardica, le miocarditi acute, le aritmie sostenute, le catastrofi valvolari acute, la cardiomiopatia scompensata allo stadio terminale da cause multiple. Lo studio autoptico mostra
che lo shock cardiogeno si associa generalmente alla perdita di almeno il 40% del tessuto
miocardico ventricolare. L’ischemia severa e protratta può condurre ad apoptosi (morte cellulare programmata), con aree periinfartuali che aggravano il danno miocardico.
SEU
Quadro clinico. I segni clinici della scarsa perfusione tissutale, caratteristica dello shock,
sono contraddistinti da cianosi, estremità fredde, tachicardia, confusione mentale, ipotensione
e oliguria (diuresi oraria < 20 ml). In presenza di una severa disfunzione ventricolare sinistra
si rilevano alla ascoltazione segni di congestione venosa polmonare e/o di franco edema
polmonare. Un attento esame fisico può verificare la presenza di cause meccaniche di shock
cardiogeno che possono essere corrette chirurgicamente. La distensione delle vene giugulari
con polso paradosso può essere espressione di un tamponamento cardiaco. La comparsa
improvvisa di soffio può orientare verso una insufficienza mitralica acuta da rottura dei muscoli
papillari, o una rottura della parete miocardica o del setto. Un soffio diastolico da insufficienza
aortica può indirizzare verso un ematoma dissecante dell’aorta.
Diagnosi. La diagnosi di shock può essere effettuata al letto del malato mediante l’osservazione di una ipotensione arteriosa con segni di ridotta perfusione periferica. Tali
segni persistono anche dopo i tentativi espletati di correggere l’ipovolemia, le aritmie,
l’ipossia e l’acidosi metabolica. All’ECG si possono manifestare un infarto miocardico
acuto; alterazioni ischemiche del complesso ST-T; tachiaritmie sostenute; alternanza
elettrica. L’ECO può mostrare la comparsa di aree aci-discinetiche della parete cardiaca;
la presenza di un rigurgito mitralico acuto; una rottura del setto interventricolare; una
dissecazione aortica.
Decorso e prognosi. Un recente contributo europeo ha mostrato che globalmente la mortalità
a 30 giorni nei pazienti con shock cardiogeno è stata del 62%, molto più elevata rispetto al
9% riscontrato nei pazienti senza shock.
●
Il gruppo che ha sviluppato uno shock precoce (< 48 ore) ha accusato una mortalità
a 30 giorni del 45%,
il gruppo con shock intermedio, una mortalità dell’ 84% e
●
il gruppo con shock tardivo una mortalità dell’87%. Il rischio relativo per i tre gruppi
●
di pazienti è stato rispettivamente di 3.4, 9.5 e 16.5 (IC 95% compreso tra 2,9-3.8;
7.0-12.9; 13.4-20.4) (p < 0.0001). Dati recenti (2000) suggeriscono che lo shock
cardiogeno che consegue a un infarto NSTEMI (= senza sopraslivellamento del
tratto-ST) si associa con una mortalità molto alta, pari al 77%. Anche l’ischemia
recente e il reinfarto possono rappresentare fattori che agiscono negativamente
sull’esito dello shock tardivo. Il reinfarto intraospedaliero che nello shock precoce
è pari al 3%, sale fino al 20% nello shock tardivo (> 4 giorni); il reinfarto costituisce
inoltre un importante predittore di morte, con OR (odds ratio) di 1.9 (IC 95% 1.62.3). Il citato studio europeo ha potuto rilevare che dopo 6 anni era sopravvissuto
meno del 15% dei pazienti con shock cardiogeno. Lo shock cardiogeno continua
pertanto a rappresentare un evento clinico drammatico. Il decorso può migliorare
significativamente quando si effettui una rapida rivascolarizzazione.
ROMA
18
Emergenze cliniche cardiologiche
Terapia (vedi anche cap. 35,complicanze dell’infarto miocardico: shock cardiogeno).
•
è necessario un trattamento in UTIC con monitoraggio dei parametri vitali e del profilo
emodinamico (cateterismo destro). Prima di procedere al trattamento è importante
correggere l’ipovolemia, rivelata dalla bassa pressione venosa centrale o pressione
di riempimento del VS.
•
La dopamina in infusione continua (5-20 gamma/kg/min.) è indicata per aumentare
la pressione arteriosa.
•
Se la PA si stabilizza > 90 mmHg può essere utilizzato un vasodilatatore tipo Na
nitroprussiato (0.1 gamma/kg/min) in infusione continua per ridurre le pressioni di
riempimento del VS e migliorare l’indice cardiaco.
•
Supporto inotropo ulteriore può essere ottenuto con gli “inodilatatori”, inibitori della
fosfodiesterasi (PDE), che riducono il precarico e il postcarico: amrinone (bolo 0.75
mg/kg e infusione 5-10 gamma/kg/min) o enoximone (bolo 1 mg/kg e infusione 5-20
gamma/kg/min). Controindicati in caso di ostruzione all’efflusso cardiaco (cardiomiopatia ipertrofica).
•
La dopamina in dosi “renali” (< 2 gamma/kg/min.) associata a dobutamina a bassa
dose (2-5 gamma/kg/min) permette di
ottenere buoni risultati al riparo da effetti catecolaminici indesiderati sulla
frequenza cardiaca e sul consumo di
O 2.
•
Nello shock cardiogeno che non si
risolve con i farmaci si raccomanda
l’impiego dell’ IAPB (intra-aortic
balloon pump) o contropulsatore
aortico. Esso è pure raccomandato
come misura stabilizzante combinata
con la terapia trombolitica quando
non siano facilmente disponibili l’angiografia e la rivascolarizzazione.
Il contropulsatore aortico riduce la
pressione in sistole e la mantiene
in diastole, quindi diminuisce il postcarico del VS e migliora il flusso
coronarico che avviene appunto in
diastole (Fig. 3.3).
•
L’angioplastica primaria è attualmente
considerata la modalità ottimale di
trattamento dell’infarto miocardico
acuto, oltre che di prevenzione e
Fig. 3.3 - Contropulsazione con palloncino aortico.
cura dello shock. Studi di metanaUn catetere con palloncino gonfiabile viene inserito
lisi di 23 trial randomizzati in quasi
attraverso l’arteria femorale nell’aorta discendente.
8.000 pazienti ne hanno mostrato
Il palloncino viene gonfiato precocemente in diastole
la superiorità rispetto alla semplice
e sgonfiato rapidamente all’inizio della sistole. Il
dispositivo allevia in tal modo il lavoro del cuore
trombolisi. Allo scopo di migliorare
e riduce il postcarico del VS, mentre sostiene la
ulteriormente i risultati riguardanti
pressione diastolica e favorisce il flusso coronarico
la pervietà dell’arteria responsabile
SEU
ROMA
che avviene in fase diastolica.
19
CARDIOLOGIA OGGI - Prontuario tascabile
dell’infarto, la funzione del VS e la prognosi, sono stati avviati studi in cui si è cercato
di facilitare i benefici dell’angioplastica primaria (con impianto di stent semplici o medicati, “drug-eluting stent”), facendola precedere - entro 6 ore dall’esordio dell’infarto
acuto STEMI (= con ST ↑) - dalla somministrazione di inibitori della glicoproteina
IIb/IIIa (abcximab; eptifibatide; tirofiban) oppure attuando una doppia terapia (=
dose dimezzata di trombolitico + inibitori GPIIb/IIIa) (vedi Highlight “L’angioplastica
primaria dopo infarto STEMI”, capitolo 35.)
Bibliografia
SEU
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ROMA
20
4
SEU
Morte cardiaca improvvisa
Definizione. La morte improvvisa è una morte inattesa e imprevista dovuta a cause cardiache,
che si realizza entro un periodo breve di tempo (generalmente un’ora dall’inizio dei sintomi),
in una persona che non presenta condizioni patologiche preesistenti potenzialmente fatali. In
molti soggetti la morte improvvisa rappresenta la prima manifestazione della cardiopatia.
Epidemiologia. Negli USA la morte improvvisa rende ragione di 300.000-400-000 vittime
all’anno. Utilizzando il criterio restrittivo dell’exitus avvenuto entro una-due ore dall’esordio
dei sintomi, le morti improvvise rappresentano il 12% di tutti i decessi naturali e per l’88%
dei casi sono dovute a cardiopatia. In Italia, secondo le stime dell’ISTAT, le morti improvvise
sarebbero circa 45.000/anno, pari al 10% della mortalità complessiva. La Fig. 4.1 (adattata
da Myerburg) illustra la relazione inversa che intercorre tra incidenza annuale di morte improvvisa e numero di eventi totali per anno. L’incidenza di morte improvvisa aumenta con
l’età e diventa progressivamente maggiore nei sottogruppi con rischio coronarico più elevato,
frazione di eiezione depressa, scompenso cardiaco, nei sopravvissuti ad arresto cardiaco
extraospedaliero e nei pazienti con infarto recente e aritmie ventricolari sostenute (TV/FV).
ROMA
Fig. 4.1 - Relazione inversa che intercorre tra la percentuale annuale di morte improvvisa e il numero di eventi
totali per anno. Nei gruppi con fattori crescenti di rischio (a sin.) l’incidenza aumenta dallo 0.2%/anno nella
popolazione sana, al 30% /anno nei soggetti con TV/VF dopo IMA, ma il corrispondente numero assoluto di
morti (a destra) si riduce da 300.000 a 25.000 casi circa.
21
CARDIOLOGIA OGGI - Prontuario tascabile
I pazienti con sindrome di apnea notturna (“Obstructive sleep apnea”) mostrano un picco
di morte improvvisa da cause cardiache durante le ore di sonno, in contrasto con il picco di
morte improvvisa da cause cardiache nella popolazione generale esente da tale disturbo
del respiro.
Cause. Il 40% delle morti improvvise si presenta in assenza di testimoni. I 4 gruppi di cause
di morte improvvisa sono illustrate nella Tabella 4.1.
SEU
Tabella 4.1 - Cause della morte cardiaca improvvisa
•
•
•
22
Proaritmie
1. Cardiopatia ischemica. La maggior parte delle morti improvvise fanno riferimento
ad aritmie cardiache che insorgono con meccanismo di rientro attorno ad aree fibrotiche e cicatriziali; esse possono anche manifestarsi nel corso di episodi ischemici
acuti ricorrenti. Cause di instabilità elettrica transitoria possono pure essere rappresentate dalla riperfusione del miocardio ischemico conseguente a trombolisi/PTCA,
o conseguente a spasmo responsabile di ischemia nella fase stenotica, e di riperfusione nella successiva fase di rilasciamento. Tra le varie cause, un ruolo importante
è svolto dal sistema nervoso autonomo e dalla instabilizzazione del quadro clinico
per la presenza di placche complicate con trombi piastrinici.
2. Cardiomiopatie. La cardiomiopatia dilatativa nonischemica si presenta attualmente
con una incidenza di 7,5 casi per 100.000 persone/anno e risulta responsabile del 10%
delle morti improvvise annuali. La mortalità a 1 anno è del 10-50% a seconda della
classe funzionale NYHA; il 30-50% di queste morti è improvvisa. La cardiomiopatia
ipertrofica costituisce la causa più comune di morte improvvisa nei giovani < 30 anni.
Fattori di rischio sono una storia familiare di morte improvvisa, un precedente arresto
cardiaco e la sincope. Molti di questi pazienti sono tuttavia asintomatici. La displasia
aritmogena del VD lamenta una incidenza annuale di morte improvvisa del 2%.
3. Anomalie elettriche primarie. Altre cause di morte improvvisa sono rappresentate
da anomalie elettriche primarie: malattie dei canali ionici (s. del QT lungo congenite;
ROMA
Emergenze cliniche cardiologiche
•
s. di Brugada); s. di preeccitazione cardiaca (WPW); FV idiopatica e alternanza
dell’onda T.
4. Condizioni varie. Infine la morte improvvisa può essere dovuta a condizioni varie,
quali cardiopatie valvolari (stenosi aortica), malattie congenite (tetralogia di Fallot,
sindrome di Eisenmenger); embolia polmonare; dissecazione aortica; tamponamento
cardiaco; commotio cordis; aritmie minacciose secondarie (ipokaliemia; abuso di
cocaina; fenomeni proaritmici).
SEU
Fisiopatologia. La morte improvvisa rappresenta la risultante di 4 fattori coinvolti nella sua
genesi (Fig. 4.2). L’area centrale di sovrapposizione dei cerchi rappresenta la zona in cui
i fattori patogenetici di spettanza delle singole regioni circostanti convergono al centro e si
sommano e combinano a determinare la morte improvvisa. La presenza di disfunzione del
VS che si accompagna a ectopie ventricolari complesse o a un fenomeno R-su-T, con scarsa
variabilità della FC (HRV), con sensibilità barorecettoriale depressa (BSR), e con alternanza
dell’onda T (TWA) costituiscono altrettanti fattori predittivi di morte improvvisa, soprattutto
nel periodo postinfartuale
ROMA
Fig. 4.2 - Fattori coinvolti nella genesi della Morte Improvvisa (M.I.)
In occasione della M.I. il personale specializzato di soccorso ha potuto identificare quale ritmo
iniziale più frequente la FV in pazienti con arresto cardiaco extraospedaliero (65-85%). Nel
20-30% dei casi era invece presente bradiaritmia o asistolia. Soltanto nel 7-10% dei soggetti
si manifestava come ritmo iniziale una TV sostenuta. Nei pazienti con cardiopatia ischemica
la forma di tachicardia più comune è la TV sostenuta monomorfa, insorta con meccanismo
di rientro attorno a una cicatrice perinfartuale, con possibile degenerazione a FV.
Diagnosi. Il valore predittivo positivo e negativo (VPP e VPN) dei vari test di screening
è riportato nella Tabella 4.2, relativa alla stratificazione del rischio di morte improvvisa
nei pazienti sopravvissuti a infarto miocardico. Dalla tabella risultano due dati importanti:
23
CARDIOLOGIA OGGI - Prontuario tascabile
1. Nei sopravvissuti a IMA, l’inducibilità di TV-Sostenuta Monomorfa alla stimolazione ventricolare programmata costituisce il marker predittivo indipendente di rischio più potente di
eventi aritmici maligni in un follow-up di 12 mesi, con una sensibilità del 55%, una specificità
del 99% e un VPP del 67% (Am J Cardiol 1996).
SEU
Tabella 4.2 - Stratificazione del rischio di M.I.nei pazienti sopravvissuti a infarto miocardico.
Test
valore predittivo
positivo (vpp)
valore predittivo
negativo (vpn)
HOLTER (TV non Sostenuta)
21%
96%
Potenziali Tardivi Ventricolari
15-30%
95-99%
78-84%
Variabilità R-R (HRV)
34-46%
Sensibilità Barocettiva (BRS)
18%
98%
Alternanza dell’onda T (TWA)
20%
98-100%
TV Sostenuta Monomorfa indotta al SEF
33-67%
88-92%
La capacità predittiva aumenta con l’associazione di più marker di rischio es.:
•
FE↓ + TVNS all’Holter + TV sostenuta allo Studio Elettrofisiologico (SEF); oppure
•
FE↓ + BRS.↓ = VPN 100 %; VPP 75 % .
I pazienti stratificabili costituiscono l’80% della popolazione studiata.
2. Nella stratificazione del rischio assume grande importanza l’elevato valore predittivo negativo (VPN) dei test esaminati, a fronte del basso VPP.
Recentemente è stato proposto il test MTWA (“Microvolt T-Wave Alternans”, alternanza
dell’onda-T in microvolt) durante test da sforzo come metodo di identificazione del rischio di
aritmie ventricolari e morte cardiaca improvvisa nei pazienti che soddisfano ai criteri di impianto
di un cardiovertitore-defibrillatore. Tra i cardiopatici con disfunzione del VS (FE ≤ 0.40), il test
MTWA può identificare non soltanto un gruppo a rischio elevato di eventi cardiologici (per mortalità da ogni causa e aritmie ventricolari sostenute non fatali), ma anche un gruppo a basso
rischio, con bassa probabilità di trarre vantaggio dall’impianto di un ICD profilattico (Bloomfield
e Coll., 2006; Chow 2006). Il test viene effettuato sottoponendo il paziente a un carico leggero di
lavoro alla cyclette o al treadmill e registrando mediante metodo di analisi spettrale la presenza
di una alternanza dell’onda-T in microvolt, non rivelabile all’ECG abituale, capace di individuare
i candidati a eventi cardiaci futuri. Il VPN del test è elevatissimo; la sopravvivenza dei soggetti
con test MTWA normale è risultata essere infatti del 97.5% a 2-anni.
Nell’ABCD trial (Alternans Before Cardioverter Defibrillator) il test microvolt TWA ha mostrato
valori predittivi positivi e negativi simili al test Elettrofisiologico (EF) in una serie di oltre 560
coronaropatici con FE media 28% e TV non-sustenuta, seguiti per due anni. Nessun test
singolo tuttavia s’è mostrato altrettanto predittivo della loro combinazione. I due test si sono
mostrati sinergici: l’incidenza di eventi è risultata massima nei soggetti con i test anomali,
estremamente bassa in quelli con i test normali, e intermedia in quelli con i test discordanti
(Costantini, 2006).
Terapia. Sono stati utilizzati sia il cardiovertitore-defibrillatore impiantabile (ICD, Implantable
Cardioverter-Defibrillator) che la terapia farmacologica, prevalentemente con amiodarone,
come strategia di prevenzione della morte improvvisa e di allungamento delle aspettative di
vita in talune specifiche popolazioni di pazienti. La metanalisi di 9 trial (in oltre 5000 pazienti
randomizzati a ICD o terapia medica) ha dimostrato un significativo vantaggio di sopravvivenza
con il defibrillatore nei pazienti a rischio di morte improvvisa. Mettendo in pool i risultati degli
ROMA
24
Emergenze cliniche cardiologiche
SEU
Fig. 4.3 - Metanalisi del pool di 7 trial; efficacia del defibrillatore impiantabile nel prevenire gli eventi aritmici e la
morte (JACC 2003). Riduzione del rischio di morte aritmica = 57%.
studi di prevenzione primaria e secondaria, il defibrillatore si è associato con una riduzione
del 57% del rischio di morte aritmica e del 30% del rischio di mortalità da ogni causa rispetto
alla semplice terapia farmacologica convenzionale (Fig. 4.3). Passando a esaminare i singoli
studi di prevenzione primaria (Fig. 4.4) e di prevenzione secondaria (Fig. 4.5), si osserva
che soltanto questi ultimi si associano con una riduzione consistente della mortalità totale.
Per quanto concerne invece gli studi di prevenzione primaria l’impatto del defibrillatore sulla
mortalità globale è variabile e condizionata dalla popolazione di pazienti esaminata.
Anche lo studio DINAMIT (2004) ha mostrato un beneficio dell’ICD impiantato profilatticamente
6-40 giorni dopo infarto miocardico acuto in pazienti con FE fortemente ridotta e alterazioni
del SN autonomo (variabilità della FC depressa e frequenza media elevata all’Holter di 24
ore). Il vantaggio della riduzione delle morti aritmiche è stato però neutralizzato dall’aumento
di incidenza delle morti da cause non aritmiche.
ROMA
Fig. 4.4 - Prevenzione primaria. Metanalisi di 5 trial sulla efficacia del defibrillatore impiantabile nel prevenire
gli eventi aritmici e la morte (JACC 2003).
25
CARDIOLOGIA OGGI - Prontuario tascabile
SEU
Fig. 4.5 - Prevenzione secondaria. Metanalisi di 4 trial sulla efficacia del defibrillatore impiantabile nel prevenire
gli eventi aritmici e la morte (JACC 2003).
Nella cardiomiopatia dilatativa non-ischemica, lo studio di prevenzione primaria AMIOVIRT
(2003) non ha mostrato alcuna differenza statisticamente significativa sulla mortalità totale e
sulla qualità di vita nei pazienti con TV non-sostenuta (in assenza di sincope precedente, TV
sostenuta o morte improvvisa), randomizzati a impianto preventivo con ICD o ad amiodarone
(dose d’attacco 800 mg/die, ridotta a 400 mg dopo una settimana e a 300 mg/die dopo un
anno). Nei pazienti con scompenso cardiaco e grave disfunzione del VS (FE < 0.35, media
0.25), lo studio DEFINITE (2004) ha mostrato che l’impiego profilattico dell’ICD comportava a
46 mesi una incidenza di mortalità totale del 22% contro il 28% con amiodarone e il 29% con
placebo. Con il defibrillatore il rischio relativo di morte a 5 anni si riduceva del 23% rispetto
ROMA
Fig. 4.6 - Risultati del trial SCD-HeFT (2005). In ascissa sono riportati i mesi; in ordinata la mortalità totale. A
5 anni l’ICD ha ridotto la mortalità del 23% rispetto al placebo. Non risulta alcuna differenza tra amiodarone e
placebo. I risultati non variano in rapporto al tipo di cardiomiopatia, ischemica o non ischemica, ma in rapporto
alla classe NYHA (massimo beneficio dell’ICD in classe NYHA II; beneficio nullo in classe III).
26
Emergenze cliniche cardiologiche
al placebo, mentre non si registrava alcuna differenza tra amiodarone e placebo. Da ultimo
il recente studio SCD-HeFT (Sudden Cardiac Death in Heart Failure Trial)(2005), relativo a
2521 pazienti scompensati (NYHA II-III), con cardiomiopatia dilatativa ischemica (52%) o
non-ischemica (48%), disfunzione severa del VS (FE media 0.25), randomizzati a ricevere
ICD, amiodarone a bassa dose o placebo, ha dimostrato che dopo un follow up mediano di
4 anni, non sono state riscontrate differenze di mortalità tra amiodarone e placebo, mentre
l’ICD ha ridotto la mortalità del 23% rispetto al placebo (Fig. 4.6).
La strategia con Defibrillatore Impiantabile nel soggetto ischemico a scopo preventivo della
morte improvvisa, trova applicazione nei seguenti 4 casi:
1. Nelle TV sostenute spontanee non dovute a cause transitorie o reversibili. (Indicazione
di Classe I)
2. Nella sincope con TV/FV indotta allo studio EF, quando la terapia antiaritmica risulti inefficace, sia mal tollerata, o non preferita. (Indicazione di Classe I)
3. In caso di TV non-sostenute, coronaropatia, precedente IMA, FE ≤ 35%, TV/FV inducibili
allo studio EF, non sopprimibili con un antiaritmico di classe I. (Indicazione di Classe I)
4. Infine in caso di TV non-sostenuta, coronaropatia, precedente IMA, FE ≤ 40% e TV/FV
inducibili allo studio EF. (Indicazione di Classe IIb).
Nella cardiomiopatia dilatativa non-ischemica, l’applicazione preventiva dell’ICD ha ridotto la
mortalità totale nei pazienti con scompenso e grave disfunzione del VS in classe funzionale
non avanzata (NYHA II) (studio SCD-HeFT, 2005).
SEU
Conclusione. L’ICD si è dimostrato lo strumento più utile per la prevenzione della morte
improvvisa nei soggetti con disfunzione del VS e FE < 35%. Ciò nonostante soltanto una
minoranza di candidati ha accesso a tali terapie negli USA e in Europa. Esiste d’altro canto
una opinione critica secondo cui sarebbero troppi i defibrillatori impiantati. Uno degli argomenti
a sostegno di questa tesi è suffragato dal numero relativamente ridotto di soggetti nei quali
l’ICD eroga terapia per TV/FV durante follow-up a lungo termine.
Nello studio MADIT-II la probabilità cumulativa di terapia appropriata di TV/FV mediante shock
endocavitario è stata del 40% in un follow-up di 4 anni. Nello studio SCD-HeFT soltanto il
21% dei soggetti randomizzati a impianto di ICD ha ricevuto terapia appropriata per TV/FV in
un follow-up medio di 45 mesi. In altre parole almeno un portatore di ICD su due non riceve
alcun intervento antiaritmico nei 5 anni successivi all’impianto. Per favorire un’accesso corretto
e adeguato all’impiego del defibrillatore impiantabile quale strumento efficace e appropriato
di prevenzione della morte improvvisa è necessario ottenere accanto a una riduzione dei
costi, anche una utilizzazione più razionale delle risorse esistenti, previa identificazione di
metodiche di screening più affidabili di quelle attuali.
Bibliografia
ROMA
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CARDIOLOGIA OGGI - Prontuario tascabile
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SEU
ROMA
28
5
SEU
Tamponamento cardiaco
Definizione. Emergenza medica causata dall’accumulo di fluido nello spazio pericardico con
riduzione del riempimento ventricolare e conseguente compromissione emodinamica quando
la pressione intrapericardica eccede le pressioni di riempimento ventricolare.
Fisiopatologia. Lo spazio pericardio è una cavità virtuale che contiene normalmente tra i suoi
due foglietti parietale e viscerale 20-50 ml di fluido. Si distinguono tre fasi delle alterazioni
emodinamiche proprie del tamponamento:
I fase - Aumento della rigidità dei ventricoli provocata dall’accumulo di fluido pericardio, che
impone una pressione di riempimento più elevata. In questa fase le pressioni di riempimento
ventricolare destra e sinistra sono maggiori di quella intrapericardica.
II fase – Con l’accumulo ulteriore di liquido la pressione pericardica supera quella di riempimento ventricolare e la gettata sistolica si riduce.
III fase – Si registra una ulteriore riduzione della gettata per equilibrio delle pressioni pericardica
e di riempimento ventricolare sinistro. Il riempimento diastolico si riduce notevolmente perché
la pressione di distensione transmurale risulta insufficiente a sovrastare le aumentate pressioni
intrapericardiche. Il ritorno venoso sistemico è ostacolato e si osserva un collasso sistolico e
diastolico dell’atrio e del ventricolo destro. La quantità di fluido pericardio necessario a impedire
il riempimento diastolico dipende dalla velocità di accumulo e dalla distensibilità (compliance)
del pericardio L’accumulo improvviso di 150-200 ml di fluido può far aumentare la pressione
intrapericardica in modo sufficiente da provocare il tamponamento; se invece il fluido si accumula
lentamente, può permettere al pericardio di distendersi; 1000-2000 ml di fluido possono allora
essere accolti senza che aumenti in modo significativo la pressione intrapericardica. Quanto
più il pericardio è compliant, tanto meno può imporre un carico emodinamico al circolo.
ROMA
Eziologia. Le caratteristiche del versamento possono richiamare in modo orientativo la causa
possibile della effusione pericardica:
● versamento ematico (emopericardio): trauma cardiaco; rottura di aneurisma aortico (dissezione entro lo spazio pericardico); rottura di cuore dopo infarto miocardico acuto; neoplasie
primitive o secondarie del pericardio (mesoteliomi con presenza di cellule neoplastiche;
carcinoma polmonare; carcinoma mammario); coagulopatie.
● versamento sieroso o sieroematico: pericardite idiopatica; uremia; TBC; pericardite infettiva;
pericardite da radiazioni.
● versamento chiloso (lattescente, ad alto contenuto di colesterolo, trigliceridi e proteine):
ostruzione meccanica del dotto toracico o drenaggio nella vena succlavia.
Sintomi e segni. Il quadro clinico che caratterizza il tamponamento cardiaco poggia sui
seguenti sintomi/segni: Dispnea, affaticamento, irrequietezza.
29
CARDIOLOGIA OGGI - Prontuario tascabile
Distensione delle vene giugulari. In caso di tamponamento il ritorno venoso avviene soltanto durante l’eiezione ventricolare: la discesa sistolica X del polso venoso è conservata o
accentuata, mentre la discesa diastolica Y è diminuita o obliterata.
Congestione epatica ed edema periferico da aumento della pressione venosa sistemica.
Ipotensione e tachicardia.
Polso paradosso: consiste nella diminuzione inspiratoria della PA sistolica > 10 mmHg. Per essere
clinicamente significativo il paziente deve respirare normalmente. Il polso paradosso rappresenta
una esagerazione della normale caduta inspiratoria della pressione sistolica di 8-10 mmHg. Può
essere avvertito alla palpazione del polso o con la misurazione della PA mediante lo sfigmomanometro. In questo caso il primo tono di Korotkoff viene udito soltanto durante l’espirazione.
SEU
Diagnosi (Tabella 5.1).
Tabella 5.1 - diagnosi di tamponamento cardiaco
Presentazione clinica
PVC elevata – ipotensione – polso paradosso – tachicardia – dispnea o
tachipnea con polmoni chiari.
Fattori precipitanti
Farmaci (anticoagulanti; trombolitici). Chirurgia cardiaca recente. Cateteri in situ.
Contusione traumatica al torace. Tumori maligni. Connettivopatie
ECG
RX torace
ecocardiogramma
Doppler
Alterazioni del complesso ST-T. Alternanza elettrica del QRS (Fig.1).
Dissociazione elettromeccanica ( in fase terminale)
Cardiomegalia con campi polmonari chiari (Fig. 16)
“Swinging heart” (oscillazione pendolare del cuore) (Fig. 18).
Collasso sistolico dell’atrio destro e diastolico del ventricolo (Fig. 19). Aumentato
spessore della parete diastolica del VS. Dilatazione della VCI (mancato collasso
alla inspirazione.
Durante l’inspirazione aumenta il flusso attraverso le valvole atrioventricolari
(mitrale e tricuspide); l’opposto avviene nella espirazione.
PAD elevata (discesa sistolica X conservata e discesa diastolica Y assente o
ridotta
Pressione intrapericardica elevata e virtualmente identica alla PAD. Entrambe
diminuiscono nella inspirazione.
Cateterismo
Pressione mesodiastolica del VD elevata, uguale a quella atriale destra e pericardica. Assenza di configurazione a “dip-plateau” (Fig. 17)
ROMA
Pressione diastolica dell’arteria polmonare lievemente aumentata; può corrispondere alla pressione del VD.
Pressione di incuneamento capillare polmonare elevata e quasi uguale a quelle
intrapericardica e atriale destra.
Pressione sistolica del VS e aortica normali o ridotte.
La pericardiocentesi è seguita da miglioramento emodinamico.
PVC = Pressione Venosa Centrale; PAD = Pressione Atriale Destra; VCI = Vena Cava Inferiore.
L’ alternanza elettrica (Fig. 5.1) rappresenta il corrispondente elettrico dell’aspetto ecocardiografica del cosiddetto “swinging heart” (Fig. 5.4) o oscillazione pendolare del cuore
entro la sacca pericardico colma di fluido. Quando la pressione intrapericardica supera la
pressione sistolica dell’atrio destro (il punto inferiore della curva della pressione atriale), si
osserva una inversione o collasso della parete atriale libera dell’atrio destro, struttura sottile
e flessibile (Fig. 5.5).
30
Emergenze cliniche cardiologiche
SEU
Fig. 5.1 - Alternanza elettrica del QRS (derivazioni precordiali V2 e V4). In questo caso si osserva a battiti
alterni l’inversione spaziale dell’ÂQRS
ROMA
Fig. 5.2 - Tamponamento cardiaco.
Cardiomegalia con campi polmonari chiari.
Fig. 5.3 - Scomparsa dell’aspetto della curva a “dip-plateau”
per l’equiparazione delle pressioni diastoliche. LV=VS; RV=VD;
RA=AD; X = discesa sistolica conservata della curva di
pressione dell’atrio destro (RA)
Una inversione sistolica della parete dell’atrio destro che persiste per un terzo o più della
lunghezza del ciclo vanta una sensibilità del 94% e una specificità del 100% per la diagnosi
di tamponamento (Gillam). In un modello sperimentale, il collasso diastolico del ventricolo
destro si manifestava quando la pressione intrapericardica superava la pressione diastolica
del ventricolo destro (Fig. 5.5) e si associava con una riduzione del 21% della gettata sistolica
senza variazioni della pressione aortica media (Leimgruber).
I valori di sensibilità e specificità dei vari tipi di collasso dell’atrio destro, ventricolo destro
e atrio sinistro rilevabili all’ecocardiogramma come segni di tamponamento cardiaco, sono
riportati nella Tabella 5.2.
31
CARDIOLOGIA OGGI - Prontuario tascabile
SEU
Fig. 5.4 - Swinging heart. Movimento di oscillazione pendolare del cuore entro un sacco pericardico
ripieno di liquido. Le oscillazioni del cuore si tramutano sul piano elettrico in modificazioni spaziali
alterne dei vettori del QRS.
ROMA
Fig. 5.5 - Tamponamento cardiaco: Collasso sistolico dell’atrio destro (RA) e collasso diastolico del ventricolo
destro (RV). LA = Atrio sin.; LV = ventricolo sinistro. A sin.
(http: intl.elsevierhealth.com/e-books/viewbook.cfm?ID=1016, 2004, pag. 352)
32
Emergenze cliniche cardiologiche
Tabella 5.2
Tipi di collasso delle camere
cardiache
Sensibilità
Specificità
SEU
Collasso diastolico AD
84-100%
82% (causa più frequente di falso positivo è
la deplezione della volemia)
Collasso diastolico VD
Soprattutto nel tratto di efflusso, ove la
parete è sottile
60-80%
85-100%
Collasso diastolico AS
50%
95%
accuratezza predittiva 87%
Collasso diastolico VS
Non riferita
100%
Collasso sistolico AD
94%
100%
Terapia. Il trattamento elettivo consiste nella pericardiocentesi eventualmente eco-guidata,
capace di dare sollievo immediato alle condizioni cliniche del paziente anche dopo sottrazione di pochi ml di liquido. La Fig. 5.6 illustra il metodo d’approccio percutaneo mediante la
Fig. 5.6 - Pericardiocentesi. Tecnica di
Seldinger (Pepi, Cardiologia).
A. Viene introdotto l’ago in sede subxifoidea.
B. Nel lume dell’ago viene inserita la guida
che è fatta avanzare nello spazio pericardico
posteriore.
C. L’ago viene rimosso, mentre rimane inserita
la guida.
D. Sulla guida è fatta avanzare il catetere diretto
verso lo spazio pericardico posteriore.
E. Si aspira il fluido pericardico: già le prime
sottrazioni di liquido offrono immediato
beneficio alle condizioni emodinamiche del
paziente.
ROMA
tecnica di Seldinger. La terapia va poi rivolta alla correzione dei fattori causali del versamento
(neoplasie, infezioni, coagulopatie, insufficienza renale, terapia chirurgica delle complicanze
dell’infarto acuto, della dissezione aortica ecc.).
33
CARDIOLOGIA OGGI - Prontuario tascabile
Bibliografia
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SEU
ROMA
34
6
SEU
Emergenze ipertensive e sindrome
eclamptica
Definizione. Le emergenze ipertensive rappresentano situazioni drammatiche in cui gli elevati
valori pressori si accompagnano a severi danni d’organo. In questi casi occorre correggere rapidamente l’ipertensione (entro un’ora) allo scopo di ridurre la mortalità e la morbilità. Nelle urgenze
ipertensive invece, la pressione arteriosa aumenta in modo marcato, ma non si accompagna
a danni d’organo. In tali condizioni occorre avere ragione del grave stato ipertensivo entro le
24 ore. Nelle emergenze ipertensive la pressione diastolica è generalmente > 115 mmHg; va
però sottolineato che per stabilire rischio di danno d’organo, acquista maggior importanza per
il paziente la velocità di variazione della PA piuttosto che il valore assoluto raggiunto.
Cause. Molteplici sono le cause responsabili di ipertensione maligna:
•
Encefalopatia ipertensiva (presenza di edema papillare; stato mentale abnorme;
segni neurologici focali; crisi convulsive)
•
Emorragia intracranica
•
Insufficienza acuta del VS
•
Dissezione aortica
•
Trauma cranico
•
Ustioni estese
•
Infarto miocardico e angina instabile.
•
Una considerazione a parte occupa l’Ipertensione in gravidanza e la sindrome
eclamptica/ preeclamptica. L’ipertensione complica il 10% delle gravidanze e si
associa a complicanze materne e fetali. L’aumento della morbilità e mortalità materna
è dovuta alla eclampsia, alla emorragia cerebrale, alla insufficienza multiorgano e alla
sindrome HELLP (Hemolysis, Elevated Liver enzymes, Low Platelet count), preeclampsia complicata da coagulopatia intravascolare disseminata e ischemia epatica.
Il quadro clinico della ipertensione in gravidanza si snoda attraverso tre percorsi:
(1) Ipertensione semplice, senza proteinuria o edema patologico. Il quadro clinico diventa
severo quando la PA risulta ≥ 160/110 mmHg.
(2) Preeclampsia con proteinuria e/o edema patologico, lieve o severo.
(3) Eclampsia con proteinuria e/o edema con convulsioni generalizzate (in assenza di
epilessia nella storia clinica). Si pensa che la progressione dalla preeclampsia verso le convulsioni e il coma sia espressione di encefalopatia ipertensiva con associate emorragie
corticali. Molti ricercatori hanno proposto vari fattori per spiegare la sindrome preeclamptica/
eclamptica: agenti genetici, immunologici, endocrini, nutrizionali e infettivi.
ROMA
Epidemiologia della sindrome eclamptica. L’eclampsia è caratterizzata dalla comparsa di
ipertensione, proteinuria e/o edema dopo la 20a settimana di gestazione in una donna prima
normale. Essa si presenta soprattutto nel periodo che precede il parto; tuttavia nel 20-25%
35
CARDIOLOGIA OGGI - Prontuario tascabile
dei casi si manifesta nel periodo postpartum. L’incidenza della sindrome è considerata attorno
a 5-7 casi ogni 10.000 parti. La mortalità materna è dell’1-20%; quella perinatale (nei neonati
da madri eclamptiche) attorno all’1.3-3%.
SEU
Fattori predisponenti alla sindrome preeclamptica/eclamptica:
•
Nulliparità: il rischio aumenta di 6-8 volte
•
Gravidanza gemellare: rischio > 5 volte
•
Mola idatiforme e idrope fetale: rischio < 10 volte
•
Preeclampsia nelle precedenti gravidanze
•
Multiparità in donna > 35 anni
•
Ipertensione cronica
•
Diabete
Fisiopatologia della preeclampsia. Sono state formulate nuove ipotesi sui meccanismi patogenetici della preeclampsia che vedrebbero coinvolti fattori circolanti in grado di interferire con
l’angiogenesi e danneggiare la funzione endoteliale. Il VEGF (vascular endothelial growth factor)
è un fattore di crescita endoteliale iperespresso durante la gravidanza normale. Esso promuove
la neoangiogenesi attivando il recettore di membrana Flt-1. Si conoscono due forme di Flt-1: 1)
il recettore tirosin-kinasico legato alla membrana citoplasmatica, che trasferisce il segnale angiogenetico al nucleo; 2) il recettore solubile sFlt1 che può catturare il VEGF e il PlGF (placental
growth factor) impedendone il legame al recettore di membrana, con effetto antiangiogenico.
Maynard e Coll. (2003) hanno dimostrato che sFlt1 è iperespresso nelle placente preeclamptiche;
tale eccesso, che correla con una riduzione netta dei livelli circolanti di VEGF, può contribuire
alla disfunzione endoteliale, alla ipertensione e alla proteinuria nella preeclampsia.
Sintomi e segni della eclampsia
•
Il sintomo neurologico più comune della sindrome preeclamptica/eclamptica è la
cefalea progressiva che non risponde ai comuni rimedi e che si associa a fotofobia,
sonnofobia, nausea e talora vomito. Se improvvisa ed esplosiva può essere segno
di emorragia subaracnoidea.
•
Le convulsioni rappresentano l’altra caratteristica comune della sindrome; la loro
comparsa conferma la diagnosi.
•
Disturbi visivi sono comuni: l’offuscamento visivo può preludere alle convulsioni;
la cecità per interessamento corticale occipitale o della retina è rara e transitoria.
•
Il coma rappresenta una complicanza temuta e può conseguire a emorragia intracerebrale, subaracnoidea o a edema cerebrale.
•
Sintomi di disfunzione cerebrale focale.
•
L’esame del fundus dimostra edema della papilla e vasocostrizione (fig. 43.3: retinopatia ipertensiva da ipertensione maligna); raramente emorragie focali e distacco
della retina.
•
Sintomi non-neurologici: ritenzione di liquidi e marcato aumento di peso con edema
patologico (piedi, mani, viso)
•
Presenza di proteinuria significativa (nella eclampsia > 300 mg nelle 24 ore)
ROMA
Diagnosi della s. eclamptica
•
TAC cerebrale (emorragie; malformazioni vascolari; tumori)
•
RMN con angiografia: mostra il vasospasmo; con flebografia esclude la trombosi
del seno durale. Lesioni iperintense nei lobi occipitale/parietale.
36
Emergenze cliniche cardiologiche
Strategia potenziale preventiva con antiossidanti. Sulla base del concetto che lo sviluppo
della preeclampsia sia dovuta a una disfunzione endoteliale generalizzata è stato proposto
l’impiego di antiossidanti (vitamina C 1000 mg e vitamina E 400 IU) durante la gravidanza fino
al parto. Recentemente è stato dimostrato tuttavia che tale strategia non modifica il rischio di
preeclampsia nelle nullipare (Rumbold, 2006).
SEU
Terapia delle crisi ipertensive maligne.
•
Occorre procedere speditamente al ricovero ospedaliero e avviare rapidamente una
terapia antiipertensiva, con induzione del parto se la gravidanza è a termine.
•
Idralazina (vasodilatatore periferico; agente di scelta nelle crisi ipertensive) 5-10
mg e.v. ripetuti ogni 15-20 min. fino a una dose massima cumulativa di 20 mg.
•
Labetalolo (α−β bloccante); nelle emergenze ipertensive, bolo 10 mg e.v., salendo
fino a 40-80 ogni 10’, fino a una massima dose cumulativa di 300 mg. Efficace e
sicuro in gravidanza. Esmololo (β-bloccante ultra short acting): 250-500 µg/kg in
1-2’ (dose di carico); 100-300 µg /kg/min. (mantenimento). Emivita di eliminazione 9’.
Onde evitare il quadro del “fetal distress”, è necessario monitorare continuamente
la FC fetale.
•
Na-Nitroprussiato (in pompa) (Tabella 6.1): vasodilatatore misto, arterioso e venoso; costituisce il farmaco di scelta nella encefalopatia ipertensiva, nella insufficienza
acuta del VS e nella insufficienza renale acuta. è pure raccomandato nella dissezione
acuta dell’aorta; in questo caso però il nitroprussiato va associato ai β-bloccanti, i
quali riducono l’ampiezza dell’onda sfigmica, responsabile dissezione
Tabella 6.1 - Nitroprussiato (infusione continua in pompa)
•
10 mg/min. •
+ 5-10 mg /min.
•
300 mg /min.
•
•
•
Iniziare con una bassa velocità di infusione
aggiungere ogni 5 minuti fino a raggiungere gli effetti
clinici/emodinamici.
Rappresenta la dose massima raggiungibile
Per prevenire le crisi convulsive è indicato il Solfato di magnesio (MgSO4) MAGPIE
trial: OR 0,42 (IC 0,29-0,60), superiore alla fenitoina e al diazepam. Nella preeclampsia severa va adottata una dose di carico di 4 g e.v. (soluzione di MgSO4 al 20%),
in 10’-15’, seguiti da 1-0,5g/ora. Il farmaco risulta sicuro in gravidanza. Antidoto è il
Ca-gluconato, 10-20 ml di una soluzione al 10%.
Diazossido (ipoglicemizzante, vasodilatatore). Impiegato nelle emergenze ipertensive maligne: bolo 50-150 mg in 1’-5’. Effetti collaterali: tachicardia riflessa e angina
in presenza di coronaropatia. Non è stata dimostrata la sicurezza d’impiego in
gravidanza. Cautela: le brusche variazioni della pressione arteriosa che determina,
possono essere responsabili di ipossia fetale, per improvvisa e drastica riduzione
del flusso placentare.
L’Aspirina 75-100 mg trova indicazione come antipiastrinico, in quanto inibisce la
sintesi di prostaglandine e previene la formazione di tromboxano A2.
ROMA
Nella ipertensione non preeclamptica, quando la PA diastolica è ≥ 100 mmHg, ci si limita
a un trattamento antiipertensivo orale (α-Metildopa; β-bloccanti; Ca-antagonisti; Clonidina)
37
CARDIOLOGIA OGGI - Prontuario tascabile
(Tabella 6.2). I molteplici effetti collaterali materno-fetali rendono gli ACE-inibitori non adatti alla
terapia dell’ipertensione in gravidanza, considerando anche che nel determinismo ipertensivo
non sembra implicata direttamente l’angiotensina, ma uno squilibrio di fattori angiogenici con
aumentata sensibilità vascolare agli stimoli pressori.
SEU
Tabella 6.2 - Farmaci antiipertensivi orali
Farmaco
Azione e agenti
singoli
Dose
osservazioni
controindicazioni,
effetti avversi
α-Metildopa agonista
α2-adrenergico
Simpaticolitico centrale.
Controlla la PA soltanto
in ortostatismo e a dosi
elevate
Inizio 250 x 3-4. Dose
massima 2-4 g/24 h
(biodisponibilità ridotta al
25%). Effetto mx in 4-6 h.
Persiste per 24 h.
Può provocare epatite. Febbre. Letargia.
A.emolitica
Coombs-positiva.
Sicuro per l’allattamento
Clonidina agonista
α2-adrenergico
Simpaticolitico centrale
Preferibile alla α-metildopa. Effetti: vasodilataz. e
bradicardia. Non sviluppa
effetti negativi renali
150-1200 mg/die per os
in 2-3 somministraz. Effetto mx in 2-3 h, persiste
per 6 h
Somministrare solo in
caso di effettiva necessità. Passa la barriera
placentare e può ridurre
il battito fetale. Non usare
durante l’allattamento.
Propranololo
40-80 mg x 2
Metoprololo
100 mg
La sicurezza dei β-bloccanti non è stata stabilita
in gravidanza
β-Bloccanti
Atenololo
50-100 mg
Labetalolo (α-β-bloccante), prevale il blocco dei
recettori β-1
100-400 mg per os
ripetibili ogni 2-3 h
(600-2400 mg/die)
Ca-ANTAGONISTI
DIURETICI
Bibliografia
Considerato sicuro in
gravidanza. Può però
dare bradicardia maternofetale, ipotensione,broncospasmo. Sicuro per
l’allattamento
Diidropiridine
(vasodilatatori)
Nifedipina 10-30 mg x 3.
Slow release x 1 Lacidipina 8-32 mg/die
Farmaci di elezione nella
ipertensione gestazionale.
Sicuro per l’allattamento
Bradicardizzanti
Diltiazem
Verapamil
Non indicati in gravidanza
e durante l’allattamento
Diuretici d’ansa
Furosemide 20-40 mg
per os x 1-2/die
Ipokalemia;iperuricemia.
Sicuro per l’allattamento
Diuretici distali
Idroclorotiazide 25-50 mg
per os/die
Potenziale trombocitopenia (remota) nel bambino
ROMA
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SEU
ROMA
39
CARDIOLOGIA OGGI - Prontuario tascabile
SEU
ROMA
40
SEU
ROMA
PATOLOGIE
DEL CUORE
E DEI VASI
41
CARDIOLOGIA OGGI - Prontuario tascabile
MALATTIE del miocardio
7
SEU
Miocarditi
Definizione. La miocardite è una alterazione infiammatoria del miocardio, caratterizzata da
infiltrato interstiziale di cellule mononucleate associate a necrosi miocitaria. L’agente infettante
può provocare un danno tessutale attraverso tre distinti meccanismi:
1.invasione diretta del miocardio (es. il virus che attacca i miociti);
2.liberazione di tossine da parte dei germi (es. miocardite difterica);
3.danno miocardico immunomediato (da parte sia dei virus che degli agenti non infettivi:
farmaci, radianti, chimici).
Fisiopatologia. Il modello patogenetico basale delle miocarditi virali presume l’ingresso in
circolo del virus e la sua replicazione nei miociti. Si reputa che il sistema immunitario cellulomediato si attivi già dall’inizio, acquisendo l’attitudine a eliminare il virus o a innescare una
risposta immunitaria capace di mantenere la distruzione miocellulare, con potenziale evoluzione verso la cardiomiopatia dilatativa. Una variante patogenetica sarebbe caratterizzata
dalla persistenza di sequenze di genoma virale integrate nel genoma cellulare, incapaci di
replicarsi, ma idonei a interagire con i meccanismi di espressione e regolazione genica (Sinagra). Nello stadio cronico i linfociti citotossici T infitrano il tessuto miocardico e mediano
una risposta autoimmunologica umorale con formazione di autoanticorpi diretti contro vari
costituenti del miocita: la miosina, i canali ionici del calcio, i recettori beta, i mitocondri, la
membrana cardiaca. Il processo autoimmunitario persiste anche dopo che le particelle virali
non sono più riscontrabili nel tessuto miocardico. Negli effetti deleteri della risposta infiammatoria entrano anche diverse altre componenti: la formazione di trombi intracoronarici, la
ostruzione del lume vasale, l’ischemia e i disordini del ritmo cardiaco.
ROMA
Epidemiologia. I primi risultati epidemiologici dello studio prospettico europeo ESETCID
(2000) hanno dimostrato che la persistenza virale può contribuire alla patogenesi della
infiammazione nel miocardio; è stato inoltre osservato che nella miocardite cronica il virus
persiste in una percentuale di pazienti minore rispetto agli studi effettuati in precedenza su
una popolazione di soggetti altamente selezionati. La capacità del virus - sia in forma infettiva che non infettiva - di persistere nel miocardio, rende difficili la diagnosi e il trattamento
e danneggia la funzione miocardica non soltanto per un insulto diretto e immunologico, ma
anche attraverso una espressione genica (Fig. 7.1, Liu e Mason modif.)
Cause. Esiste un vasto gruppo di miocarditi definite idiopatiche in cui non è riconoscibile
l’agente causale. In queste forme, le più frequenti in Europa e negli Stati Uniti è stata ipotizzata
una genesi virale, con possibili meccanismi patogenetici di tipo immunologico o autoimmunitario. Nel caso delle forme idiopatiche l’inquadramento avviene sulla base del tipo di infiltrato
flogistico, che risulta influenzato dall’agente causale:
42
Patologie del cuore e dei vasi
SEU
Fig. 7.1 - Conseguenze della persistenza del virus nel miocardio
a) Nelle miocarditi batteriche la risposta cellulare è dominata da granulociti;
b) nelle miocarditi virali dominano gli infiltrati di tipo linfocitario;
c) nelle miocarditi parassitarie e da ipersensibilità a farmaci, prevalgono gli infiltrati eosinofili.
d) In taluni casi di miocardite infine si osservano anche infiltrati di cellule giganti plurinucleate,
facenti parte di un processo flogistico di natura granulomatosa (tubercolosi; sarcoidosi),
oppure espressione di una attività macrofagica sviluppata sui miociti danneggiati. Le diverse
cause di miocardite possono essere di natura infettiva o non-infettiva (Tabella 7.1):
Tabella 7.1
ROMA
43
CARDIOLOGIA OGGI - Prontuario tascabile
Storia naturale. La maggioranza dei pazienti con miocardite acuta vanno incontro a piena
guarigione con risoluzione della disfunzione miocardica. La miocardite a cellule giganti
sembra comportare una prognosi peggiore della miocardite con infiltrati linfocitari. Nel primo
caso si osservano con maggiore incidenza TV e blocco AV con inserzione di pacemaker.
La miocardite giganto-cellulare può evolvere inoltre con un decorso clinico più fulminante e
rapidamente fatale.
La miocardite può infine concludersi come ultima manifestazione nella cardiomiopatia dilatativa
“idiopatica” e nello scompenso cardiaco.
SEU
Quadri specifici. L’aspetto clinico della miocardite può variare a seconda della patologia di
base. Nella maggior parte dei casi la miocardite è subclinica e si presenta con disturbi aspecifici (astenia e lieve dispnea). Miocarditi subcliniche possono anche spiegare la comparsa
successiva nella storia clinica di aritmie rapide iterative in cuori apparentemente normali.
Nel 60% dei casi la miocardite è virale, preceduta da una infezione recente che può risalire a
due settimane prima. Vari gli agenti in causa, dimostrati dalle sequenze genomiche virali nel
miocardio (Coxackie B, Echovirus, Adenovirus, influenza, mononucleosi infettiva, epatite B e
C, Cytomegavirus). Anche il virus HIV dell’AIDS (oltre ad altri agenti opportunistici) può rendersi responsabile di miocardite virale (~ 10%), con quadri istologici diversi, quali infiltrazione
linfocitaria aspecifica con o senza necrosi miocitica; tali quadri possono manifestarsi anche
nei tossicodipendenti HIV negativi ed essere pertanto su base tossica più che infettiva.
Forme particolari di miocardite batterica sono quella difterica e quella reumatica (da streptococco β-emolitico di gruppo A), istologicamente caratterizzata dalla presenza in fase acuta
di tessuto granulomatoso con noduli di Aschoff. Tra le miocardite protozoarie va ricordata
quella da Trypanosoma Cruzi, agente della m. di Chagas endemica nel Sud America, e quella
da toxoplasma gondii dovuta a formazione nel miocardio di cisti del parassita. Le miocarditi
non infettive sono dovute ad agenti tossici (cocaina, alcool), farmaci antiblastici (antracicline),
fenotiazinici, litio, antidepressivi triciclici; agenti fisici e radiazioni ionizzanti.
Sintomi e segni: Sono rappresentati da febbre (20%), malessere, affaticamento, mialgie,
dolore toracico inizialmente breve e intenso di tipo pleurico e poi oppressivo, retrosternale
di tipo ischemico. Sono comuni palpitazioni e dispnea. Una sincope può essere espressione
di blocco o aritmie maligne e può preludere alla morte improvvisa. Sono presenti segni della
insufficienza ventricolare: distensione delle vene giugulari; rantoli bibasilari; edemi periferici.
La comparsa di un terzo tono e di un galoppo di sommazione possono essere espressione
di coinvolgimento dei ventricoli, con possibili soffi di rigurgito da dilatazione ventricolare e
insufficienza delle valvole atrio-ventricolari.
ROMA
Diagnosi. Le basi della diagnosi di miocardite sono riassunte nella Fig. 7.2
Terapia. Il trattamento delle miocarditi virali è stato improntato alla evoluzione tipica della
malattia che avverrebbe secondo un processo trifasico, schematizzato nella Fig. 7.3.
Terapia immunosoppressiva. Nei pazienti con miocardite, l’efficacia della terapia immunosoppressiva e della soppressione della risposta infiammatoria sistemica dell’organismo
rimangono controverse. L’immunosoppressione non ha mostrato di modificare la storia
naturale della miocardite infettiva. Sono stati effettuati tre trial clinici prospettici su larga
scala che hanno valutato la strategia immunosoppressiva nei pazienti con miocardite (NIH
44
Patologie del cuore e dei vasi
SEU
Fig.7.2 - Diagnosi di miocardite
Criteri di DALLAS di miocardite.
Prima biopsia
Miocardite attiva
Infiltrato + necrosi miocellulare con o senza fibrosi
Miocardite sospetta (“borderline”)
Non miocardite
Infiltrato senza necrosi miocellulare (eventuale nuova biopsia)
Biopsie successive
Miocardite persistente
Con/senza fibrosi
Miocardite in via di risoluzione (healing)
Con/senza fibrosi
Miocardite guarita (healed)
Con/senza fibrosi
ROMA
Fig. 7.3 - Miocardite virale: processo trifasico e trattamento corrispondente
45
CARDIOLOGIA OGGI - Prontuario tascabile
prednisone trial; MTT Myocarditis treatment trial; IMAC trial, Intervention in Myocarditis and
Acute Cardiomyopathy). Il trattamento empirico con immunosoppressori soprattutto nella
miocardite a cellule giganti e nella miocardite sarcoide viene spesso effettuata sulla base dell’evidenza derivata da piccole serie. Il trattamento immunosoppressore può risultare dannoso
in presenza di attiva replicazione virale. In conclusione la terapia con agenti corticosteroidi e
con ciclosporina non è stata ritenuta appropriata come terapia di emergenza. Analogamente
nessun beneficio è stato dimostrato con gli agenti antivirali, anche se piccole serie di studi
ne hanno dimostrato una qualche efficacia. L’effetto dell’interferon-alpha è stato valutato nel
trial Europeo ESETCID (European Study on the Epidemiology and Treatment of Cardiac
Inflammatory Disease) (2000) in caso di presenza di genoma enterovirale nel miocardio,
documentato dalla reazione polimerasica a catena; non esistono peraltro dati definitivi sulla
efficacia e tollerabilità di questo tipo di trattamento. I farmaci antiinfiammatori non steroidei
(NSAIDs o FANS) sono controindicati nel decorso precoce della malattia, in quanto operano
un blocco della produzione di prostaglandine, con peggioramento della funzione miocitaria
e aumento della necrosi miocardica.
•
Beta-bloccanti e simpaticomimetici devono essere in genere evitati perché aumentano l’estensione della necrosi e la mortalità.
•
ACE-inibitori e agenti bloccanti i recettori dell’Angiotensina-II (Sartani) trovano indicazione nel trattamento delle miocarditi con disfunzione significativa del VS.
•
Agenti inotropi (dobutamina): trovano indicazione nello shock cardiogeno, eventualmente in combinazione con vasodilatatori tipo nitroprussiato, che realizzano una
specie di “contropulsazione chimica”
•
Misure di assistenza esterna (contropulsazione aortica).
•
Il trapianto cardiaco si mostra particolarmente vantaggioso nei pazienti con miocardite a cellule giganti accertata biopticamente. La sopravvivenza della miocardite a
5-anni dopo trapianto è stata del 75%, nonostante si registrasse una incidenza del
25% di recidive post-trapianto (9/34 pazienti nel Multicenter Giant Cell Myocarditis
study, 1997).
Bibliografia
SEU
ROMA
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46
8
SEU
Cardiomiopatia dilatativa idiopatica (CMDI)
Definizione. La cardiomiopatia dilatativa idiopatica (CMDI) è una malattia primitiva del
miocardio caratterizzata da dilatazione ventricolare e da disfunzione sistolica primaria con
aumento dei volumi telesistolico e telediastolico (Fig. 8.1).
ROMA
Fig. 8.1 - cardiomiopatia dilatativa, aspetto macroscopico del cuore: aumento di volume del cuore
in toto, con dilatazione della cavità del ventricolo sinistro.
Epidemiologia: la prevalenza della cardiomiopatia dilatativa è di un caso su 2500 individui, con una incidenza (sottostimata) di 7/100.000/anno (2006). La prevalenza della forma
familiare negli studi prospettici condotti su pazienti consecutivi, varia dal 35 al 48% dei casi
di CMDI, a seconda della varie strategie di indagine impiegate per lo studio delle famiglie.
La “penetranza” della malattia trasmessa geneticamente varia con l’età: è minima < 20 anni
(10%) e massima > 40 anni (90%). La forma peripartum ha una incidenza variabile da 1/4000
a 1/15.000 parti.
Patogenesi. Le teorie patogenetiche proposte per spiegare la CMDI prevedono l’intervento
di tre fattori:
(1) fattori genetici responsabili della malattia, che viene trasmessa con modello autosomico
dominante (Tabella 8.1).
47
CARDIOLOGIA OGGI - Prontuario tascabile
Tabella 8.1
CMDI familiari
osservazioni
Gene interessato
1.CMDI con disturbi
della conduzione AV
Gene che codifica per la lamina A/C Anticorpi contro la LMNA mostra(LMNA), proteina dell’involucro nucleare no immunocolorazione assente o
essenziale per l’integrità del nucleo
irregolare delle membrane nucleari
dei miociti, e normale delle altre
membrane cellulari. Al locus LMNA
fanno capo 11 diversi disordini allelici, sette dei quali coinvolgono direttamente il cuore fino a indirizzare
all’impianto di pacemaker.
2. CMDI con TV
forme sporadiche con mutazione del gene
ABCC9 che codifica la subunità regolatrice
SUR2A del canale KATP.
SEU
3. CMDI con aumento delle Se il gene della distrofina risulta difettoso,
CPK
può provocare la DMD (distrofia muscolare
di Duchenne), la DMB (distrofia muscolare
di Becker) e la CMDI-X linked senza patologia distrofica muscolare importante sul
piano clinico.
Nei maschi è possibile una distrofinopatia, eventualmente legata al
sesso (le femmine trasmettono
soltanto ai maschi e non risultano
affette; talora manifestano forme
lievi, tardive e lente).
Le CPK sono normali o poco aumentate. L’ECG può presentare
quadri di pseudonecrosi inferiore,
più caratteristica nelle forme di
Duchenne e Becker
4. CMDI con aumento delle gene candidato è il δ-sarcoglicano che coCPK, senza altre evidenze difica il complesso glicoproteico associato
cliniche di miopatia
alla distrofina.
5. CMDI con variabilità fenotipica e problemi extracardiaci associati
ptosi palpebrale, ipoacusia e
sindromi complesse (encefalomiopatie).
6. CMDI familiari legate
proteina C legante la miosina cardiaca [MY- 5-10% delle CMDI familiari
a difetti dei geni che causano BPC3] catena pesante della beta-miosina
cardiomiopatia ipertrofica
[MYH7], troponine T [TNNT2].
7. CMDI associate a sordità possono essere interessati il gene che
neurosensoriale, autosomi- codifica per l’epicardina, espresso sia a
che dominanti
livello cardiaco che coclearie; il gene del
mt-DNA; quello della connessina 26 (Cx26)
e altri (EYA4).
ROMA
8. CMDI con quadri di VS candidato è il gene LDB3
“non-compattato”
9. CMDI senza sordità, con eventualmente legata a difetti del DNA ptosi palpebrale e fenotipi non
ipertrofia simmetrica e dila- mitocondriale (mt-DNA),
cardiaci
tazione
10. CMDI legata a difetti del gene che codifica per la tafazzina, che
gene che codifica per
mappa sul cromosoma X.
la tafazzina
Il gene della tafazzina non sembra implicato
nella forma adulta, in cui interverrebbero invece un gene-malattia per la cardiomiopatia
non-compattata (LDB3) e una mutazione
del gene LMNA.
Quadro clinico tipico infantile è
rappresentato dalla sindrome di
Barth, caratterizzata da neutropenia, bassa statura, presenza di
acido metilglutaconico nelle urine
e cardiomiopatia non compattata
X-linked.
segue
48
Patologie del cuore e dei vasi
segue
11. CMDI legate a malattie rare Difetto del gene dell’α-galattosidasi.
da accumulo.
M. di Fabry, da accumulo lisosomiale di glicosfingolipidi, trasmissione recessiva legata al sesso.
Difetto del gene LAMP-2 (Lysosome asso- M. di Danon, da accumulo lisosociated membrane protein-2)
miale di glicogeno, legata al sesso, con ritardo mentale, aritmie
da s. di WPW e cardiomiopatia
ipertrofica che evolve verso la forma dilatativa e scompenso nella
femmina portatrice.
Difetti del gene PRKAG2 (unità regolatri- Cardiomiopatia ipertrofica con s.
ce γ2 di una protein-chinasi attivata dal- WPW.
l’AMP)
Difetti del gene della troponine I (TNNI3). Fenotipo clinico analogo.
SEU
(2)una infezione virale cronica, persistente, che produce un danno miocardico progressivo,
eventualmente per un fenomeno di mimetizzazione molecolare (molecular mimicry) che
coinvolge antigeni virali e costituenti cardiomiocitici (miosina);
(3)una risposta di tipo autoimmunitario. è stata in proposito confermata la prevalenza di autoanticorpi contro numerosi bersagli cardiotropici intra-extracellulari. Questi autoanticorpi
sono capaci di disturbare la normale attività fisiologica dei miociti cardiaci. Essi potrebbero inoltre fungere da mediatori entro un sistema immunitario attivato, sì da dirigere un
grosso potenziale di effetti sul tessuto leso attraverso (a) l’attivazione del complemento
e (b) la genesi di immunocomplessi circolanti (CICs) autoantigeni-associati. Il numero
e la durata di questi complessi CICs sembra giocare un ruolo importante nell’attivare le
cellule APCs (antigen-presenting cells) e nel promuovere l’autoimmuniutà. Poiché gli
autoanticorpi giocano un ruolo decisivo, è stata proposta una loro esclusione mediante un
trattamento di immunoassorbimento (IA) come nuova strategia di approccio terapeutico
alla CMDI. Finora gli studi piloti condotti in tal senso, hanno mostrato un miglioramento
della funzione cardiaca e della qualità di vita nella maggior parte dei pazienti trattati
(2004). La rimozione di autoanticorpi circolanti può produrre una downregulation del
sistema autoummune, moderare i segnali di infiammazione e accelerare la guarigione
del tessuto interessato.
ROMA
Patologia
•
Dilatazione del ventricolo sinistro; il peso medio della massa ventricolare si avvicina
ai 600 g (valore normale medio per gli uomini 325 ± 75 g; per le donne 275 ± 75 g)
•
Trombi intracardiaci, presenti nel 75% dei casi autoptici
•
Coronarie normali (eccetto nei casi di cardiomiopatia ischemica, in cui sono presenti
placche ateromasiche)
Eziologia
•
Abuso cronico di alcool
•
Agenti tossici e farmaci: Cocaina; metalli pesanti; cobalto; chemioterapici (doxorubicina)
•
Gravidanza e puerperio (cardiomiopatia peripartum): nell’ultimo trimestre della
gravidanza o entro 6 mesi dal parto).
49
CARDIOLOGIA OGGI - Prontuario tascabile
•
•
Disordini metabolici: glicogenosi; amiloidosi; deficit tiaminico
Disordini neuromuscolari.
Diagnosi
•
ECG: Tachicardia sinusale; sovraccarico atriale e ventricolare sinistro; disturbi di
conduzione intraventricolare (emiblocchi; BBS); tachiaritmie atriali e ventricolari,
sostenute e non sostenute.
•
Radiografia del torace: cardiomegalia (Fig. 8.2) e ipertensione venosa polmonare (ili
congesti; linee B di Kerley da edema interstiziale); eventuale effusione pleurica.
SEU
Fig. 8.2 - Radiografia del torace in CMDI con
cardiomegalia e segni di ipertensione venosa
polmonare.
•
Ecocardiografia 2-D (Fig. 8.3): dilatazione della camera ventricolare sinistra con
aumento del volume telesistolico e telediastolico e diminuzione della FE; ipocinesi
diffusa, meno frequentemente segmentaria; presenza di trombi intracardiaci; rigurgito
mitralico e tricuspidale.
ROMA
Fig. 8.3 - Esame ecocardiografico 2D, veduta apicale 4-camere a sin. e in asse lungo a destra,
che mostrano la notevole dilatazione del VS.
50
Patologie del cuore e dei vasi
•
•
•
Eco-Doppler: la valutazione del riempimento del VS con lo studio del flusso transmitralico consente una stratificazione clinico-prognostica dei pazienti con CMDI.
Maggiormente a rischio sarebbero i soggetti con rapporto E/A aumentato e t. di
decelerazione dell’onda E ridotto, espressione di ridotta compliance, con quadro di
riempimento di tipo restrittivo. Migliore la prognosi nei soggetti il cui aspetto restrittivo
risponde positivamente a una appropriata terapia.
Cateterismo cardiaco e angiografia: aumento della pressione polmonare di incuneamento capillare (PCWP, pulmonary capillary wedge pressare); aumento della
pressione telediastolica del VS; possibile ipertensione arteriosa polmonare. La cineventricolografia sinistra mostra un VS aumentato di volume con ipocinesi globale
(talora segmentaria). Riduzione della portata cardiaca. L’angiografia coronarica
risulta normale nella CMDI primaria, mostra invece stenosi singole o multiple nella
cardiomiopatia ischemica.
Biopsia endomiocardica. Una diagnosi istologica specifica è stata raggiunta nel 16%
di oltre 1200 pazienti con CMDI (1999)
SEU
Storia naturale. Lo studio di Framingham ha riscontrato una mortalità a 5-anni del 42% delle
donne e del 62% degli uomini. L’impiego di ACE-inibitori e β-bloccanti sembra in grado di
migliorare la prognosi nei pazienti con CMDI.
Trattamento: Può essere di tre tipi: medico, elettrico e chirurgico.
•
•
ROMA
Diuretici. Sono indicati i diuretici d’ansa quali la furosemide 20-100 mg in vena,
ripetibili ogni 6 ore fino a raggiungere la diuresi attesa e i diuretici antikaliuretici (antialdosteronici). Lo studio RALES (1999) ha dimostrato che 25 mg di spironolattone
associato ad ACE-inibitori e diuretici d’ansa in pazienti di classe III-IV NYHA hanno
prodotto una riduzione significativa della mortalità e morbilità (-35%, con RR 0.70,
95% IC 0.60-0.82, p<0.001).
Vasodilatatori: ACE-inibitori e bloccanti i recettori dell’angiotensina II (sartani).
Peptide natriuretico umano di tipo-B ottenuto con tecnologia DNA ricombinante (trial
VMAC, 2002), con la stessa sequenza di aminoacidi del BNP (peptide natriuretico
cerebrale). Attiva il GMPc e produce rilasciamento muscolare e vasodilatazione, con
riduzione del preload e dell’afterload. Nesiritide bolo e.v. 2 γ/kg seguito da infusione
continua 0,01 γ/kg/min. La somministrazione concorrente di altri vasodilatatori può
potenziare l’effetto ipotensivo.
51
CARDIOLOGIA OGGI - Prontuario tascabile
•
β-bloccanti: lo studio CARIBE (2000) effettuato con carvedilolo in pazienti con CMDI,
grave disfunzione del VS (FE 8%-35%) e classe NYHA II-III, ha dimostrato che questo
agente migliorava la funzione cardiaca.In un sottostudio ecocardiografico del trial
MERIT-HF, il Metoprololo ritardo somministrato una volta al giorno in aggiunta alla
terapia standard, ha migliorato la funzione diastolica e sistolica del VS nei pazienti
con scompenso cronico e ridotta frazione di eiezione (2004). Similmente una analisi
comparata post hoc di 4 trial con β−bloccanti (BEST, CIBIS-II, MERIT-HF, COPERNICUS) ha mostrato effetti sovrapponibili nei pazienti scompensati (2003). Una
METANALISI della mortalità nei pazienti in classe NYHA IV dei trial CIBIS, MERIT
e BEST mostra che il tasso di rischio (HR, Hazard Ratio) è < 1 in tre dei suddetti
trial e suggerisce che alcuni (ma non necessariamente tutti) i pazienti in classe IV
possono trarre beneficio dal Beta-Bloccante (Fig. 8.4).
Fig. 8.4
•
•
•
52
SEU
Digitale: il trial DIG (Digitalis Investigation Group), 1997, non ha dimostrato differenze
significative di mortalità totale e cardiaca tra gruppo digitale e gruppo placebo (34.8%
vs 35.1%, p 0.80). Il trial tuttavia ha mostrato un trend di riduzione della mortalità per
peggioramento dello scompenso cardiaco cronico (SCC) (p = 0.06); una riduzione
del 6% delle ospedalizzazioni per tutte le cause; e una riduzione statisticamente
significativa delle ospedalizzazioni per peggioramento dello SCC (26% gruppo
digitale vs 34% gruppo placebo, p < 0.001).
Antiaritmici: il trial AMIOVIRT (2003) ha mostrato che la mortalità totale a 4 anni e
la qualità di vita non sono risultate statisticamente differenti nei pazienti con CMD
non-ischemica (FE media 0.22-0.23, NYHA II-III) e TV-non sostenuta, trattati con
Amiodarone (attacco 800 mg/die, mantenimento 400 e poi 300 mg/die), o con defibrillatore impiantabile.
Gli anticoagulanti riducono l’incidenza di complicanze tromboemboliche connesse
con la disfunzione severa del VS. Negli studi SOLVD (1998) l’analisi del gruppo di
pazienti trattati con Warfarin dimostra che la terapia anticoagulante sviluppa un
benefico effetto sulla mortalità totale nel sottogruppo a eziologia non-ischemica (RR
0.66, 95% IC 0.50-0.87, p 0.004), indipendentemente dalla presenza di fibrillazione
atriale. Trova indicazione una scoagulazione con un INR di 2-3.
ROMA
Patologie del cuore e dei vasi
Interventi non-farmacologici:
•
Terapia di Resincronizzazione Cardiaca (CRT) (v.anche pag 280-281). I trial
COMPANION (2004) e CARE-HF (2005) hanno definitivamente dimostrato che la
CRT riduce in maniera significativa il numero e la durata dei ricoveri per scompenso
cardiaco e la mortalità globale nei pazienti con scompenso avanzato e QRS prolungato.
•
Trapianto cardiaco. In un Registro recente dell’ United Network for Organ Sharing
(UNOS) il 43% dei candidati a trapianto e il 41.6% dei trapiantati risultavano affetti da
CMDI, rivelatasi seconda soltanto alla cardiopatia ischemica. I tassi di sopravvivenza
nei trapiantati per questo tipo di cardiomiopatia erano elevati: 96% a un mese, 88.5%
a un anno e 71% a 5 anni. La Tabella 8.2 riporta le indicazioni assolute e relative
al trapianto; la Tabella 8.3 indica invece la sopravvivenza a un anno a seconda del
punteggio del modello non-invasivo HFSS (heart failure survival score) secondo
Aaronson (1997).
SEU
Tabella 8.2 - Indicazioni al trapianto di cuore nello scompenso cardiaco
L’ indicazione al trapianto risulta chiara nelle condizioni di maggior gravità: shock cardiogeno, dipendenza da
farmaci inotropi, scompenso cardiaco refrattario. Più problematica risulta invece la stratificazione di pazienti
relativamente stabili, gestiti con modalità ambulatoriale, candidabili al trapianto.
(a) Indicazioni assolute al trapianto:
• Shock cardiogeno refrattario
• Dipendenza assoluta dagli agenti inotropi per la perfusione degli organi
• Consumo di O2 massimale (VO2 max) < 14 mL/kg/min o score di rischio medio-alto del modello
non-invasivo HFSS (heart failure survival score).
• Ischemia severa non altrimenti trattabile. • Rischio aritmico (aritmie ventricolari sintomatiche refrattarie al trattamento)
(b) Indicazioni relative al trapianto (potenzialmente eligibili):
• VO2 max > 14 mL/kg/min (o inferiore al 50-55% del valore previsto per l’età e il sesso) con limitazione
importante dell’attività quotidiana.
• Recidive di scompenso instabile, non dovute a cattiva disponibilità del paziente (“noncompliance”) o
a terapia medica subottimale.
ROMA
Tabella 8.3 - Variabili del modello non invasivo HFSS (Heart Failure Survival Score)
Variabile
Cardiopatia ischemica
Frequenza cardiaca (bpm)
Hazard ratio aggiustato con
IC 95%
P
2.00 (1.35 – 2.97)
0.0006
1.02 (1.01-1.04)
0.0007
0.0028
PA media (mmHg)
0.98 (0.96-0.99)
Frazione di Eiezione (%)
0.96 (0.93-0.98)
0.001
Ritardo di conduzione intraventricolare
1.84 (1.22-2.76)
0.0035
VO2 (ml/kg/min)
0.95 (0-91-0.99)
0.0093
Natremia
0.95 (0.92-1.00)
0.0292
Sopravvivenza a 1 anno per classi di rischio HFSS: score basso = 35%; intermedio=60%;alto=88%
53
CARDIOLOGIA OGGI - Prontuario tascabile
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SEU
ROMA
54
9
SEU
Cardiomiopatia ipertrofica (CMI)
Definizione. La cardiomiopatia ipertrofica (Fig. 9.1)
è una malattia del miocardio geneticamente determinata, a trasmissione autosomica dominante nei casi
familiari e a penetranza variabile, associata per lo
più a mutazione dei geni che codificano le proteine
del sarcomero.
Prevalenza. La prevalenza stimata nella popolazione generale è del 2 per mille; la CMI pertanto non è
rara e può risultare silente e misconosciuta.
È stato stimato che oltre 12 milioni di soggetti nel
mondo (oltre 600.000 negli USA e 50.000 nel Canada) siano portatori di difetto genetico per la CMI
familiare.
Genetica. Sono state finora identificate oltre 200
mutazioni di 9 geni che codificano le proteine contrattili del sarcomero; tali geni sono riportati nella
Tabella 9.1.
Fig.9.1 - Aspetto macroscopico della
cardiomiopatia ipertrofica, che mostra il
Attualmente è possibile identificare una mutazione in
notevole aumento di spessore del setto
circa i due-terzi dei pazienti diagnosticati clinicamente.
L’80% delle mutazioni riguardano il gene che codifica
la catena pesante della β-miosina (MYH7) e la proteina C legante la miosina (MYBPC3). Si
pensa che un approccio ragionevole allo screening genetico della cardiomiopatia ipertrofica
debba prevedere una analisi completa dei tre geni maggiormente coinvolti nella malattia (MYH7,
MYBPC3 e TNNT2 ), limitata a un probando per ciascuna famiglia (Cecchi 2004).
ROMA
Storia naturale. La mortalità annua per CMI è attorno all’1% in casistiche non selezionate,
per lo più legata a scompenso cardiaco. La morte improvvisa costituisce invece un evento più
raro e poco prevedibile, più frequente nei giovani, spesso oligosintomatici prima dell’evento
drammatico. L’incidenza annuale di morte improvvisa è in genere dello 0.3-0.5%, ma sale al
2% in età pediatrica e giovanile. In due-terzi circa dei pazienti il decorso è favorevole, mentre
in un-terzo si osserva una progressione dei sintomi che può anche concludersi con l’exitus o
il trapianto. Un fattore importante nella evoluzione del quadro è costituito dalla comparsa di
fibrillazione atriale (FA) con caduta della portata, che - oltre al rischio tromboembolico - aggiunge alla disfunzione diastolica propria della malattia anche una componente di disfunzione
sistolica con decorso verso lo scompenso cardiaco e la morte.
55
CARDIOLOGIA OGGI - Prontuario tascabile
Tabella 9.I
MYH7
= gene per la catena pesante della b-miosina
MYL3
= gene per la catena essenziale leggera 1 della miosina
MYL2
= gene per la catena regolatrice leggera 2 della miosina
MYBPC3 = gene per la proteina C legante la miosina
TNNT2 = gene per la troponina T cardiaca
TNN13 = gene per la troponina I
ACTC
= gene per l’a-actina
TTN
= gene per la titina
TPM1
= gene per l’a-tropomiosina
SEU
Fisiopatologia. Generalmente l’ipertrofia ventricolare interessa la porzione prossimale del
setto interventricolare e produce un restringimento del tratto di efflusso del ventricolo sinistro.
Oltre a ciò si aggiunge un movimento sistolico anteriore (SAM) del velo valvolare anteriore
mitralico che concorre a creare l’ostruzione all’efflusso del VS e il rigurgito mitralico. La
mitrale è attratta verso il setto per la pressione negativa generatasi quando il sangue viene
espulso ad alta velocità attraverso un tratto di efflusso ristretto (effetto Venturi). Esiste una
relazione diretta tra ampiezza del gradiente ostruttivo ed entità del SAM. I meccanismi che
favoriscono la genesi del gradiente in quanto riducono il volume ventricolare e avvicinano il
lembo anteriore della mitrale al setto, sono tre: 1) l’aumento della contrattilità; 2) la riduzione
del precarico; e 3) la riduzione del postcarico. Un VS sottoespanso produce infatti un grado
di ostruzione maggiore perché minore è la separazione tra setto interventricolare e foglietto
mitralico. L’aumento di contrattilità concorre a sua volta a peggiorare l’ostruzione attraverso
il reclutamento di tutte le singole componenti ostruttive. L’ostruzione che si realizza nella CMI
è di tipo dinamico più che fisso. Ostruzioni fisse si manifestano in presenza di una stenosi
aortica o di una membrana a sottovalvolare aortica a setto.
ROMA
Fig. 9.2 - Ostruzione all’efflusso del VS in protosistole (a sin.) e in mesosistole (a destra). A produrre l’ostruzione al tratto di efflusso del VS concorrono due fattori: l’ipertrofia del setto e il movimento anteriore sistolico
della mitrale (SAM o sistolic anterior motion) trascinata contro il setto per effetto Venturi. Il contatto setto-mitrale distorce l’apparato valvolare e produce un rigurgito in atrio sinistro (C). La caduta della pressione distale
all’occlusione è responsabile della chiusura precoce della valvola aortica con polso bifido(A) (accelerazione
brusca iniziale; ostruzione; eiezione residua). Il marker dell’ostruzione è rappresentato dal gradiente sistolico
VS-Aorta (Fig. 9.3).
56
Patologie del cuore e dei vasi
SEU
Fig. 9.3 - Al ritiro del catetere dalla
cavità ventricolare in aorta si registra
un gradiente sistolico VS-AO (area
ombreggiata) tra cavità del VS e camera
subar tica, marker dell’ostruzione.
Nella camera sottoaortica si registra
ancora una pressione ventricolare, ma
senza alcun gradiente. Notare il polso
arterioso bisferiens, con due cuspidi
proto- e telesistolica separate da un dip
mesistolico.
Patologia. Dal punto di vista istologico i miociti si presentano ipertrofici e disorganizzati, con
forma bizzarra; essi mostrano spesso un decorso irregolare, orientato nelle varie direzioni
(disarray). Si osservano pure cicatrici miocardiche e aumento della matrice collagena. Fibrosi
e cattivo orientamento delle cellule possono costituire il substrato per l’innesco di aritmie da
rientro. Altri quadri ripropongono una ipertrofia concentrica, talvolta difficile da differenziare
dalla ipertrofia fisiologica propria di alcuni atleti sovrallenati. Circa il 66% delle valvole mitrali
escisse nei pazienti con CMI presentano malformazioni strutturali, compreso un aumento
delle superfici dei lembi valvolari, un allungamento dei veli e una inserzione anomala dei
muscoli papillari direttamente sul foglietto anteriore della mitrale (circa il 15% dei casi di
CMI). In circa l’1.5% dei pazienti per anno si osserva una dilatazione della camera ventricolare e una disfunzione sistolica. Questa dilatazione può evolvere verso una fase simile alla
cardiomiopatia dilatativa.
Segni e sintomi. Il decorso clinico è variabile. La maggior parte dei pazienti con CMI risultano
asintomatici. I sintomi possono inoltre non essere correlati con l’entità del gradiente. Alcuni
pazienti manifestano sintomi severi con un gradiente di poche decine di mmHg, mentre altri
con gradienti più importanti (60-80 mmHg) decorrono asintomatici. I sintomi tendono a correlarsi maggiormente con la gravità della insufficienza mitralica e con la disfunzione diastolica
del VS. Il sintomo più comune è rappresentato dalla dispnea da sforzo. I pazienti possono
anche accusare dolore anginoso da sforzo, palpitazioni, presincopi e sincopi. Talora la prima
manifestazione della malattia è costituita dalla morte improvvisa, soprattutto nei soggetti
giovani, con sforzi fisici, leggeri, o durante attività sedentaria. In una popolazione non selezionata con CMI l’incidenza della morte improvvisa è stata valutata attorno allo 0.1-0.7% per
anno. La comparsa di fibrillazione atriale tende a far peggiorare il quadro clinico, orientandolo
verso lo scompenso cardiaco e imponendo al VS una componente di disfunzione sistolica
che si aggiunge a quella diastolica di base. Il polso arterioso assume l’aspetto caratteristico
bisferiens con due cuspidi, proto- e telesistolica, separate da un dip mesosistolico (Fig. 9.2).
Nella CMI non esistono difficoltà nella eiezione del sangue in aorta durante la protosistole e la
salita del polso è rapida; con il progredire della sistole, invece, avviene l’ostruzione e il polso
collabisce in mesosistole, per poi mostrare un aumento secondario in telesistole. Invece nella
stenosi aortica valvolare o sottovalvolare a setto, l’ostruzione è fissa e il polso si presenta
piccolo e lento, con salita rallentata e poco ampia. Il reperto ascoltatorio classico della CMI
ROMA
57
CARDIOLOGIA OGGI - Prontuario tascabile
è rappresentato da un soffio sistolico in crescendo-decrescendo lungo il margine sternale
sinistro, che si accentua durante la manovra di Valsalva, a differenza di quanto avviene con
quasi tutti i soffi cardiaci. La manovra di Valsalva infatti riduce il precarico e il riempimento
del VS; un ventricolo meno ripieno aumenta l’ostruzione. Analoga riduzione del precarico con
intensificazione del soffio avviene nel passaggio dall’accovacciamento (squatting) alla posizione eretta o dopo il pooling di sangue venoso periferico prodotto dalla inalazione di nitrito
di amile. Il riscontro di un soffio di rigurgito mitralico depone per l’esistenza di un movimento
sistolico anteriore della mitrale (SAM).
SEU
Diagnosi
● La radiografia del torace può mostrare la presenza di ipertrofia cardiaca; l’ombra
cardiaca può però risultare normale quando l’ipertrofia è limitata al setto. In presenza
di rigurgito mitralico significativo si osserva una atriomegalia sinistra.
● L’ECG mostra un quadro di sovraccarico sistolico del VS, talora con aspetto pseudoinfartuale per la presenza di onde Q nelle derivazioni anterolaterali. Può manifestarsi
un quadro di preeccitazione cardiaca (s. di WPW).
● L’ecocardiogramma costituisce il gold-standard per la diagnosi. La Fig. 9.4, in proiezione asse lungo, mostra una marcata ipertrofia del setto e della parete posteriore
del VS. La definizione ecocardiografica classica di CMI include
uno spessore della parete del VS
> 15 mm in assenza di dilatazione
del VS e di altre cause cardiache
o sistemiche di aumento della
massa. All’ecocardiogramma si
definisce ipertrofia asimmetrica
del setto un rapporto tra spessore
del setto e spessore della parete
posteriore di almeno 1.3-1.5.
Sebbene la parete media del VS
sia più spessa di 20 mm (quasi il
doppio del normale), può variare
da 13-15 mm nella ipertrofia lieve
a 50 mm nella ipertrofia massiva.
Fig. 9.4 - Cardiomiopatia ipertrofica
La CMI di tipo ostruttivo presenta
come marker il movimento sistolico anteriore del lembo anteriore della mitrale e
l’ipertrofia asimmetrica del setto, con un rapporto di spessore setto-parete posteriore
> 1.4 :1. In alcuni pazienti con CMI si osserva pure il movimento sistolico del lembo
posteriore della mitrale. La funzione sistolica è buona; la FE è solitamente elevata
o normale all’epoca della diagnosi; il diametro del VS è al limite inferiore di norma
o più piccolo del normale.
● Eco-Doppler. In circa l’80% dei pazienti con CMI, indipendentemente dalla presenza
o assenza di un gradiente di pressione sistolica, si osservano all’Eco-Doppler alterazioni della funzione diastolica con ridotta compliance del VS e un rapporto E/A
della mitrale < 1.0 (abitualmente < 0.8). Il Doppler continuo (Fig. 9.5) mostra una
immagine telesistolica classica a forma di pugnale per la natura dinamica della
ostruzione che raggiunge il picco tardivamente.
ROMA
58
Patologie del cuore e dei vasi
● Test provocativi. Tutti i pazienti con CMI o
sospetta CMI dovrebbero essere sottoposti a
test provocativo con nitrito di amile per stabilire
se l’ostruzione sia latente e assente a riposo.
La risultante riduzione del precarico combinata con l’aumento della frequenza cardiaca
fanno comparire o accentuano il gradiente di
pressione attraverso il tratto di efflusso del VS.
Analogo risultato può essere conseguito con
l’ecocardiogramma da sforzo, dal momento che
alcuni pazienti manifestano gradienti minimi a
riposo, ma sviluppano gradienti maggiori con
l’esercizio.
● Tecniche di imaging più raffinate possono
rendersi necessarie in presenza di una finestra
transtoracica inadeguata, con il ricorso al TEE,
ecocardiogramma transesofageo, o in presenza
di immagini ecocardiografiche difficili da ottenere
Fig. 9.5
o da interpretare, con l’impiego della risonanza
magnetica nucleare (RMN).
● Il cateterismo cardiaco non rappresenta più un metodo diagnostico di prima scelta
di fronte alle potenzialità diagnostiche dei test di imaging non invasivi, primo tra tutti
l’ecocardiografiagrafia. La cineventricolografia sinistra mostra un ventricolo iperdinamico con “obliterazione della cavità”. Durante ritiro del catetere dal ventricolo in aorta
può essere documentato il gradiente pressorio attraverso il tratto di efflusso del VS
(Fig. 9.3). All’esame angiografico le coronarie appaiono normali.
● Altri esami: studio elettrofisiologico. Allo scopo di identificare i pazienti a rischio elevato di morte improvvisa è stata proposta la stimolazione ventricolare programmata.
L’assenza di aritmie maligne inducibili (TV sostenuta; FV) sembrerebbe predire una
prognosi favorevole, mentre in un-terzo dei pazienti con CMI che hanno sperimentato una morte improvvisa abortita erano inducibili TV sostenute polimorfe e FV (Zhu,
1998). Ai pazienti con CMI si dovrebbe comunque sconsigliare la partecipazione a
competizioni sportive, dato l’alto.
SEU
ROMA
Trattamento. Le varie opzioni terapeutiche adottate per la CMI comprendono la terapia
medica, le tecniche ablative con alcool, la miectomia settale, l’impianto di pacemaker e il
trapianto cardiaco.
1. Terapia medica. Scopo della terapia è la riduzione dei sintomi, collegati da un lato alla
disfunzione diastolica e dall’altro alla ischemica miocardica, all’ostruzione all’efflusso, alla
insufficienza mitralica e alla FA. I pazienti sintomatici, con forma ostruttiva o non-ostruttiva,
devono essere trattati con farmaci.
β-bloccanti. Rappresentano il trattamento di prima scelta in quanto, per il loro effetto
●
inotropo negativo, riducono il gradiente pressorio e per la loro azione cronotropa
negativa rallentano la frequenza e allungano il periodo di riempimento diastolico.
Può essere impiegato il metoprololo, 50 mg x 2, con appropriati aumenti di dose.
Verapamil. Calcio-antagonista e inotropo negativo, appresenta l’agente di seconda
●
scelta. Sono utilizzate dosi fino a 480 mg/die del preparato a rilascio prolungato. Per
59
CARDIOLOGIA OGGI - Prontuario tascabile
le sue proprietà vasodilatatrici potrebbe sviluppare effetti emodinamici contrari. Va
usato con prudenza nei pazienti con ostruzione. Controindicati invece i Ca-antagonisti
tipo nifedipina, amlodipina e felodipina che per la vasodilatazione periferica indotta
potrebbero ridurre il riempimento ventricolare e peggiorare l’ostruzione all’efflusso.
●
Disopiramide. In un recente studio multicentrico (Sherrid, 2005) è stata somministrata
disopiramide a 118 pazienti con CMI ostruttiva, alla dose di 432 ± 181 mg/die (nel
97% associata a beta-bloccanti), seguiti con follow-up di 3 ± 2.6 anni e confrontati
con 373 pazienti con CMI ostruttiva non trattati con disopiramide. Il 66% dei trattati
sono stati mantenuti con il farmaco, senza necessità di ricorso ad altre procedure
(miectomia,ablazione con alcool o pacing). Il gradiente d’efflusso a riposo è diminuito
da 75 mmHg a 40 mm Hg (p < 0.0001). Non si sono invece notate differenze sulla
mortalità annuale cardiaca da ogni causa (1.4% vs 2.6%, p =0.07) e sulla morte annuale improvvisa (1% vs 1.8%, p=0.08). Il farmaco non s’è mostrato proaritmico.
●
La comparsa di FA, mal tollerata dai pazienti, perché aggiunge alla disfunzione
diastolica di base una disfunzione sistolica, impone il ricorso alla cardioversione
elettrica (CVE) e/o farmacologica (con amiodarone o sotalolo). Se la FA è recente,
< 48 ore, si preferisce effettuare una CVE previo Eco transesofageo TEE per escludere la presenza di trombi in atrio sinistro o nell’appendice auricolare sinistra. Se
la FA è più tardiva, > 48 ore, occorre effettuare una anticoagulazione per almeno 4
settimane prima di procedere alla CVE.
2. Terapia chirurgica
A) miotomia-miectomia settale: resezione di 3-4 g di tessuto della porzione anterobasale del setto interventricolare. Viene attuata nel paziente con gradiente latente o a
riposo ≥ 50 mm Hg che rimane sintomatico nonostante appropriata terapia medica.
La mortalità ospedaliera è del 2-9%. Nel 5% dei trattati è necessario un impianto di
pacemaker per BAV totale. A 5 anni di distanza si ottiene negli operati una riduzione
dei sintomi nel 70%.
B) Talvolta si rende necessaria la sostituzione valvolare quando un TEE intraoperatorio dimostri la persistenza di una insufficienza mitralica dopo miectomia. Il National
Institute of Health Group raccomanda la sostituzione valvolare mitralica in presenza
di spessore del setto > 18 mm Hg, di malformazioni della mitrale e dopo intervento
di miectomia.
C) PTSMA (Ablazione alcoolica percutanea del setto interventricolare) (Fig.9.6.)
L’etanolo viene iniettato tramite piccolo catetere con palloncino inserito nel lume
del 1° ramo perforante settale, previa iniezione di mezzo di contrasto, evitando di
coinvolgere il muscolo papillare anteromediale.
Le indicazioni per l’ablazione settale nei pazienti con CMI sono poste su base clinica,
emodinamica e morfologica, come riportato nella Tabella 9.2.
3. Impianto di defibrillatore automatico per la prevenzione primaria della morte improvvisa
nei pazienti che si trovano a rischio elevato, per la presenza dei seguenti marker:
spessore della parete del VS > 30 mm
●
●
episodi protratti e ripetitivi di TV non-sostenuta all’ECG dinamico di Holter
storia familiare di morte improvvisa
●
●
risposta pressoria ipotensiva allo sforzo
●
sincope o presincope.
La Baylor experience (1996-2002) nella ablazione settale con alcool nella CMI ostruttiva sintomatica, riporta le seguenti complicazioni procedurali: mortalità 1.5%; BAV con richiesta di
SEU
ROMA
60
Patologie del cuore e dei vasi
SEU
Fig. 9.6 - Ablazione Percutanea Transluminale Settale
Miocardica Alcoolica (PTSMA) nella CMI. Attraverso
il catetere inserito nel lume del primo ramo perforante
settale si iniettano lentamente 2 ml di alcool al 96% ((0.1
ml/min), che provoca un infarto chimico controllato con
arresto della cinesi nell’area di tessuto corrispondente
alla parete che ostruisce l’efflusso sinistro. Il successo,
valutato in base alla riduzione significativa del gradiente,
è pari al 93% nella esperienza di Seggewiss (1998). I
miglioramenti emodinamici e funzionali a un anno sono
paragonabili a quelli della miectomia chirurgica.
Il rischio dell’ablazione con alcool include una mortalità
periprocedurale del 2-4% e una incidenza del 9-27% di
impianto di pacemaker per BAV totale.
Tabella 9.2 - Indicazioni all’ablazione settale nei pazienti con CMI
Indicazione clinica
- Pazienti sintomatici
- Refrattari ai farmaci o con severi
effetti collaterali alla terapia farmacologica
• Classi NYHA III - IV
• Classi NYHA II con limitazioni
obiettive
• Sincopi ricorrenti da sforzo
- Fallimento di una precedente
miectomia o pacing DDD
- Comorbidità: aumentato rischio
chirurgico
Indicazione emodinamica
Indicazione morfologica
- Pazienti sintomatici con/senza gradiente nel tratto di efflusso
• ≥ 50 mm Hg a riposo, o
• ≥ 30 mm Hg a riposo e 100 mm
Hg sotto sforzo
Soffio e gradiente che si accentua
dopo Valsalva (durante sforzo)
Soffio e gradiente che si accentua
dopo battito extrasistolico
- Ecocardiogramma
• Subaortico, SAM – gradiente associato
• Gradiente a metà della cavità del
VS
- Interessamento dei muscoli papillari: MCE (Myocardial Contrast
Enhancement)
• Veli mitralici non allungati
- Angiografia coronarica
• Primo ramo perforante settale
adeguato
ROMA
pacemaker permanente 13%; dissezione coronaria 4.4%. Al follow-up medio di 3.6 anni ± 1.4
anni si rileva una mortalità da ogni causa del 7.7%; una mortalità annuale globale del 2.1%; una
mortalità cardiaca del 2.3%, e una mortalità cardiaca annua dello 0.6% (Fernandes, 2005).
Ulteriori considerazioni. Considerazioni a parte meritano la CMI non-ostruttiva e la evoluzione della forma classica ostruttiva verso la forma dilatativa.
●
CMI non-ostruttiva. Esiste una relazione tra gradiente intraventricolare e decorso
clinico della malattia (Fig. 9.8). I pazienti senza ostruzione mostrano una probabilità
minore di morire e di evolvere verso lo scompenso e lo stroke (Ommen, Maron,
Olivotto, 2005).
61
CARDIOLOGIA OGGI - Prontuario tascabile
SEU
Fig. 9.7 - Algoritmo per il trattamento della CMI ostruttiva (Kimmelstiel, Mason 2004)
ROMA
Fig. 9.8 - Sopravvivenza esente da morte
riferibile a CMI valutata in tre sottogruppi
di pazienti con cardiomiopatia ipertrofica:
sottoposti a miectomia chirurgica (289);
pazienti non-operati con malattia
ostruttiva (228); e pazienti con malattia
non-ostruttiva (820). Miectomia vs
CMI ostruttiva non-operata p < 0,001;
miectomia vs CMI non-ostruttiva p = 0.01
(Ommen et al, JACC 2005).
62
Patologie del cuore e dei vasi
Il trattamento dei pazienti con CMPI non-ostruttiva è difficile e meno efficace rispetto ai pazienti
con malattia ostruttiva. Possono trovare impiego i β-bloccanti per controllare la frequenza
cardiaca; il verapamil può migliorare la funzione diastolica.
●
La CMPI può anche perdere con il tempo le sue caratteristiche peculiari e acquisire
un decorso simile alla cardiomiopatia dilatativa, con riduzione della funzione
sistolica del VS e cardiomegalia. Nei pazienti con sintomi e segni di scompenso congestizio, trovano indicazione i diuretici, gli ACE-inibitori e può rendersi necessaria la
stessa digossina. Il trapianto cardiaco costituisce una opzione per la cardiomiopatia
ipertrofica non-ostruttiva all’ultimo stadio.
Bibliografia
SEU
Cecchi F, Girolami Francesca, Olivotto I et al: Dal genotipo al fenotipo: il caso della cardiomiopatia ipertrofica.
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ROMA
63
CARDIOLOGIA OGGI - Prontuario tascabile
10
SEU
Cardiomiopatia restrittiva (CMR)
Definizione. Per cardiomiopatia restrittiva si intende una cardiomiopatia non dilatativa
e non ipertrofica, caratterizzata da riempimento ventricolare di tipo restrittivo, da ridotto
volume diastolico di uno o entrambi i ventricoli, con ispessimento parietale e funzione
sistolica normale o lievemente ridotta. La CMR può essere idiopatica o dovuta a malattie
infiltrative secondarie ad accumulo legato ad altri disordini (amiloidosi, emocromatosi) o
a fibrosi endomiocardica. Oltre il 50% dei casi di CMR è su base familiare o genica (es.
per mutazione del gene della desmina). La CMR va infine tenuta distinta dalla pericardite
costrittiva che pur presentando una fisiologia di riempimento restrittivo, è tipicamente trattabile con intervento chirurgico.
Fisiopatologia. La CMR risulta da una aumentata rigidità del miocardio (ridotta compliance)
per cui a piccoli incrementi di volume corrispondono notevoli aumenti di pressione. L’abnorme funzione diastolica si manifesta con un riempimento esagerato in protodiastole (fase di
riempimento rapido) seguito da un plateau durante la fase di diastasi e la sistole atriale. Il
tracciato pressorio presenta il caratteristico aspetto a “dip-plateau” o a “radice quadrata”.
La gettata sistolica si riduce perché il volume di riempimento è scarso, pur con una funzione
sistolica normale. Con il progredire della malattia la frazione di eiezione si riduce e si manifestano i sintomi della bassa portata; l’aumento delle pressioni di riempimento sono responsabili
della congestione polmonare. La diagnosi di CMR va correttamente posta quando il paziente
manifesta uno scompenso cardiaco sproporzionato alla disfunzione sistolica, in assenza di
cardiomegalia e di alterazioni valvolari.
ROMA
Patologia. La CMR può essere di tipo idiopatico o primario, con fibrosi progressiva del miocardio. Alcuni pazienti sviluppano un blocco completo per incarceramento fibroso del nodo
SA e AV. Nelle CMR secondarie si osserva una infiltrazione nel tessuto miocardico di materiale vario (amiloide, desmina, ferro, granulomi). Le forme endomiocardiche presentano un
aspetto obliterativo in cui il ventricolo risulta occupato da un trombo. Si tratta di una forma di
CMR molto raro che può costituire il quadro finale delle sindromi ipereosinofile, nelle quali un
trombo intracavitario occupa l’apice sinistro e ostacola il riempimento ventricolare. Esistono
due forme di fibrosi endomiocardica, una flogistica eosinofila attiva e una cronica. Anche nelle
forme secondarie, l’eventuale deposito di amiloide o di materiale desmina-immunoreattivo
nel tessuto specifico nodale e di conduzione può rendersi responsabile dell’innesco di vari
tipi di aritmie.
64
Patologie del cuore e dei vasi
Classificazione e cause.
CARDIOMIOPATIE RESTRITTIVE
SEU
1. Primitive o idiopatiche.
2. Secondarie o infiltrative
• Amiloidosi cardiaca: costituisce la causa più frequente di CMR. L’amiloide è costituita da fibrille di
polimeri proteici che si depositano nei tessuti e causano amiloidosi sistemica. Impiegando specifici
antisieri per le diverse componenti proteiche si distinguono:
o Amiloidosi AL (primaria) (85% di tutte le forme di amiloidosi), malattia delle catene leggere delle
immunoglobuline k o l, depositate come fibrille di amiloide in sede ubiquitaria (reni, cuore,
fegato)
– Amiloidosi da transtiretina (ATTR), proteina anomala sintetizzata da geni mutati, tipica in età
avanzata, su basi genetiche
– Amiloidosi AA, fibrille costituite dalla proteina amiloide A, non immunoglobulinica, secondaria
a m. sistemiche
– Amiloidosi ApoA1, da apolipoproteina A1, ereditaria.
• Miopatia da accumulo di desmina (polipeptide espresso da cellule della muscolatura liscia, scheletrica
e cardiaca, con filamenti intermedi tra l’actina e la miosina), su base familiare.
• Emocromatosi, ereditaria, da abnorme deposizione di ferro in vari organi (cuore, fegato, pancreas,
gonadi). Evoluzione verso cardiomiopatia dilatativa o restrittiva, cirrosi, carcinoma epatocellulare.
• Sarcoidosi: raccolta di cellule infiammatorie (granulomi), con interessamento multiviscerale; infiltrazione miocardica (quadro restrittivo) o del sistema di conduzione (blocchi e morti improvvise)
• Endomiocardiche:
– m. di Löffler, secondaria a varie patologie (autoimmuni, parassitosi, sindromi allergiche, neoplasie) che colpisce > 75% dei pazienti con ipereosinofilia persistente (≥ 1500 eosinofili/mm3 per
almeno sei mesi). Miocardite ed endocardite con infiltrato eosinofilo, ispessimento endocardico,
trombi murali.
– Fibrosi endomiocardica: ispessimento fibrotico del miocardio e dell’endocardio, con trombi
endocavitari; prevale nelle regioni tropicali.
– Fibroelastosi endocardica o fibrosi endomiocardica fetale, con ispessimento fibroelastico dell’endocardio e del subendocardio. Cardiomegalia sinistra e trombosi endocavitaria.
Segni fisici
•
Polso venoso giugulare elevato; segno di Kussmaul (distensione inspiratoria delle
vene giugulari). Con il progredire del processo restrittivo, non si apprezzano variazioni
pressorie alla inspirazione.
•
toni cardiaci parafonici, con presenza di T3 e/o T4 e possibili soffi di rigurgito mitralico
o tricuspidale
•
rantoli polmonari
•
edema periferico
Diagnosi
•
ECG: Ingrandimento biatriale; frequente il riscontro di BBS; meno di BBD. Bassi
voltaggi. Alterazioni non specifiche del complesso ST-T. Aritmie varie.
•
Radiografia del torace: mancano i segni di ingrandimento ventricolare; frequente
l’ingrandimento biatriale; sono assenti calcificazioni pericardiche (presenti invece
nella pericardite costrittiva). Presenti i segni di ipertensione venosa polmonare e
di congestione polmonare.
•
Ecocardiogramma: cavità ventricolari di dimensioni normali o ridotte; aumento
volumetrico degli atri. Riempimento rapido protodiastolico e lento telediastolico.
ROMA
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CARDIOLOGIA OGGI - Prontuario tascabile
SEU
Fig. 10.1 - Amiloidosi cardiaca.
Eco-2D, proiezione 4-camere. Cardiomiopatia
di tipo restrittivo. Miocardio ispessito agli apici
e al setto; aspetto “granulare” legato al deposito
delle fibrille di amiloide. Atriomegalia destra e
rigurgito tricuspidale.
•
•
•
Funzione sistolica normale o scarsamente ridotta. L’amiloidosi cardiaca mostra
un aumento di spessore della parete ventricolare; ispessimento delle valvole AV e
aspetto “granulare” o a “vetro smerigliato” del miocardio (Fig. 10.1).
L’Ecocardiografia Doppler mostra i segni della disfunzione diastolica. Il flusso
transmitralico è caratterizzato da un quadro di tipo restrittivo: l’onda E è alta (riempimento ventricolare rapido); questa fase protodiastolica si interrompe bruscamente
(tempo di decelerazione DT breve) e introduce la successiva fase telediastolica di
riempimento lento (onda A piccola) (Fig. 10.2).
TAC e RMN : forniscono aspetti dettagliati del cuore e delle altre strutture.
Cateterismo cardiaco: presenta i seguenti caratteri:
- Pressione atriale media elevata. Discesa Y accentuata, che riflette la fase rapida
di riempimento rapido protodiastolico; la discesa X è veloce e la configurazione
classica risultante è a “M” o “W”.
ROMA
Fig. 10.2 - Eco Doppler.Velocità di flusso transmitralico e funzione diastolica. Dall’alto, curve pressorie ventricolari
e atriali in fase diastolica; Doppler mitralico (velocità di flusso transmitralico, con l’onda protodiastolica E, il tempo
di decelerazione DT e l’onda telediastolica A). PTDVS = Pressione telediastolica del VS. Nella CMR (a destra)
la disfunzione diastolica è di grado III, con aspetto a “dip-plateau”, onda E alta, il DT breve e onda A piccola. Il
paziente può manifestare segni di scompenso gravi (NYHA IV).
66
Patologie del cuore e dei vasi
SEU
Fig 10.3 - Cardiomiopatia restrittiva. Curva delle pressione
ventricolari.
•
Il riempimento rapido protodiastolico e quello successivo
lento meso-telediastolico spiegano l’aspetto a “dip-plateau” o a
“radice quadrata” della porzione diastolica della curva pressoria
ventricolare.
•
Si osserva pure la “parificazione” delle pressioni diastoliche
dei due ventricoli destro (RV) e sinistro (LV).
- Pressioni di riempimento ventricolari diastoliche elevate ed equalizzate, con configurazione a “dip- plateau” o a “radice quadrata” della curva pressoria ventricolare in diastole
(figura 10.3).
- Frazione di eiezione sistolica normale o lievemente ridotta
- Scarsa o nessuna variazione della pressione sistolica tra ventricolo destro e sinistro
alla inspirazione.
•
Biopsia endomiocardica. La biopsia endomiocardica: può mostrare il tipico infiltrato
eosinofilo nello stadio infiammatorio; fibrosi miocardica negli stadi più avanzati. I
reperti negativi non escludono la diagnosi. Possibili complicanze emboliche per
distacco di un trombo ventricolare recente.
•
Diagnosi differenziale con la pericardite restrittiva (Tabella 10.1).
Tabella 10.1
ROMA
Parametro considerato
Cardiomiopatia Restrittiva
Rx torace
Eco
Pericardite costrittiva
calcificazioni pericardiche
Aspetto granulare – morfologia
E/A di tipo restrittivo
ispessimento pericardico
morfologia E/A di tipo restrittivo
Pressione Atriale Destra (PAD)
Aumento PAD con morfologia a
W o M;
idem
PTDVS
(Pressione telediastolica. VS)
Aumento ed equalizzazione pressioni nei due ventricoli
Idem. PTDVS ≤ 5 mmHg PTDVD
Dip e plateau protodiastolico
sì
Biopsia endomiocardica
TAC, RMN
sì
≥ 0.33 PSVD ≤ 50 mmHg
PTDVD/PSVD
Eventuali reperti specifici
Spessore pericardico > 3 mm
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CARDIOLOGIA OGGI - Prontuario tascabile
Trattamento
•
Il mantenimento del ritmo sinusale è importante per ottimizzare il riempimento
ventricolare. Nelle fasi avanzate di scompenso sono indicati gli agenti impiegati nel
trattamento dei sintomi congestizi. Occorre attenzione nell’uso dei diuretici, poiché
questi pazienti sono precarico-dipendenti.
•
Gli anticoagulanti trovano impiego nelle condizioni che si associano a FA cronica
e/o alla presenza di trombi murali cardiaci.
•
Trattamenti specifici: corticosteroidi nei pazienti con sarcoidosi e s. ipereosinofila.
Flebotomie e terapie chelanti nella emocromatosi.
•
Terapia non-farmacologica: Escissioni operatorie dell’endocardio fibroso; sostituzioni
valvolari in casi di rigurgito mitralico o tricuspidale importante. Il trapianto cardiaco
si impone in alcune forme avanzate e nelle CMR familiari (es. amiloidosi primaria
AA, amiloidosi da transtiretina).
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