Gli ultimi sviluppi della crisi russo-ucraina (aprile 2014febbraio 2015)
Nota n° 67 11 febbraio 2015
L'avvio del tentativo separatista nell'Ucraina orientale
Dopo la rapida incorporazione della Crimea nella Federazione russa successiva al referendum svoltosi
nella penisola del Mar Nero, il 1º aprile 2014 i Ministri degli esteri della NATO riuniti a Bruxelles
decidevano di sospendere ogni forma di cooperazione civile e militare con la Russia. Il 3 aprile il colosso
russo del gas Gazprom metteva in pratica quanto già minacciato alcune settimane prima dalle autorità di
Mosca, con un aumento di 100 dollari per mille metri cubi di gas nei confronti dell'Ucraina, giustificato
dal venir dei diritti di Kiev sulla Crimea, e quindi degli obblighi russi per l'affitto pluridecennale della base
militare della flotta del Mar Nero.
A parziale risarcimento del danno arrecato a Kiev dalla fine degli sconti sulle forniture russe di gas,
nelle stesse ore il Parlamento europeo approvava a grande maggioranza l'abolizione, a partire da
maggio, di gran parte delle tariffe doganali nei confronti dei beni industriali provenienti
dall'Ucraina, aggiungendovi una serie di riduzioni, mentre anche i quattro quinti dei dazi sui prodotti
agricoli di Kiev in ingresso in Europa venivano abbattuti, peraltro senza richiesta di reciprocità.
Il 7 aprile si verificava l'assalto alle sedi del governo locale a Donetsk – ove gli assalitori
proclamavano una repubblica indipendente e richiedevano un referendum per unirsi alla Russia -,
nonché a Kharkiv e Luhansk. Il premier ucraino Iatseniuk accusava Putin di avere un piano per la
distruzione dell'Ucraina. Mentre gli Stati Uniti ammonivano la Russia a non oltrepassare con proprie
forze militari i confini con Ucraina, forze speciali di Kiev riuscivano il giorno successivo a riprendere il
controllo di Kharkiv, operando una settantina di arresti. Mosca dal canto suo ammoniva sui rischi di
guerra civile in Ucraina sudorientale, ma gli Stati Uniti denunciavano esplicitamente la presenza di
agenti russi nelle rivolte, il cui scopo sarebbe stato quello di destabilizzare la situazione e rendere
possibile un intervento russo in analogia a quanto avvenuto per la Crimea. Il 12 aprile l'offensiva dei
filorussi nell'est dell'Ucraina conosceva una nuova accelerazione in altre quattro città, impadronendosi di
edifici chiave per la sicurezza.
Il 15 aprile il presidente ucraino Turcinov annunciava l'inizio di quella che definiva operazione
antiterrorismo contro i separatisti filorussi in azione nelle regioni orientali del paese: le forze fedeli a Kiev
conseguivano un primo successo con la riconquista della base aerea di Kramatorsk, ma la
controffensiva di Kiev veniva bloccata quasi subito, anche per l'intervento di numerosi civili filorussi. Il 17
aprile segnava un momento di speranza, con il raggiungimento a Ginevra di un accordo tra Ucraina,
Russia, USA e UE per una serie di misure volte ad abbassare la tensione nel teatro ucraino: l'accordo di
Ginevra, tuttavia, si mostrava sostanzialmente sterile.
Il 22 aprile il presidente ucraino ad interim Turcinov accusava i separatisti filorussi di aver torturato
alcuni cittadini ucraini, annunciando la ripresa dell'offensiva nell'est del paese: intanto il vicepresidente
americano Joe Biden si recava in missione a Kiev, e minacciava nuove sanzioni nei confronti della
Russia, qualora questa persistesse nel suo atteggiamento minaccioso, che del resto la stava
conducendo secondo Biden all'isolamento. Il vicepresidente statunitense prometteva inoltre all'Ucraina di
compensare parzialmente le forniture energetiche russe, aiutando tecnologicamente il paese sviluppare
le risorse di shale gas, di cui sarebbe ricco.
Il 24 aprile l'esercito ucraino attraccava Slovyansk, uccidendo alcuni ribelli e riprendendo il controllo
del municipio della vicina cittadina portuale di Mariupol, ma tredici osservatori militari dell'OSCE
venivano sequestrati dai separatisti.
Lo svolgimento dei referendum secessionisti e delle elezioni presidenziali
In conseguenza degli sviluppi sul terreno, il 26 aprile il G7 annunciava nuove sanzioni nei confronti
della Russia, e nella stessa giornata si recava a Roma il premier ucraino Iatseniuk, che incontrava il
Presidente del Consiglio Matteo Renzi e successivamente in Vaticano il Papa: Iatseniuk esprimeva
chiaramente la propria visione della crisi ucraina, che deriverebbe in ultima analisi dal tentativo
di Putin di ricostituire qualcosa di molto simile all'Unione sovietica.
Un'apparente svolta si verificava il 7 maggio, quando Vladimir Putin, dopo aver ricevuto a Mosca il
presidente svizzero di turno dell'OSCE, Didier Burkhalter, annunciava di aver richiesto ai secessionisti il
rinvio del referendum separatista fissato per l'11 maggio, e di aver disposto il ritiro delle truppe russe dal
confine con l'Ucraina: questi profili distensivi erano però ben presto, nella stessa giornata, rimessi in
discussione dai separatisti filorussi dell'Ucraina, che rifiutavano di rinviare il referendum indipendentista.
Del resto Kiev aveva già chiarito che la propria offensiva militare nel sud-est del paese sarebbe
proseguita indipendentemente dal possibile rinvio della consultazione, e certamente non pensava ai
gruppi armati filorussi quali interlocutori, nel lanciare l'iniziativa di una tavola rotonda di unità nazionale
con le forze politiche di tutte le regioni (9 maggio).
In tal modo ciò che sicuramente proseguiva erano le violenze, con più di venti morti provocati da
ripetute sparatorie tra opposte fazioni a Mariupol (due giorni dopo nei pressi della città veniva rinvenuto
il cadavere – impiccato - del capo locale della polizia). L'11 maggio si aprivano le urne per i
referendum separatisti nelle regioni dell'Ucraina orientale di Donetsk e Lugansk che segnavano il
previsto plebiscito a favore dell'indipendenza sia a Donetsk che a Lugansk. Peraltro la netta vittoria delle
istanze filorusse non riscontrava unanimità di intenti, poiché mentre a Donetsk prevaleva un
orientamento indipendentista, con l'esplicita richiesta di annessione a Mosca, a Lugansk si preferiva
puntare su un federalismo assai accentuato, ma nel quadro della permanenza nell'Ucraina. Tuttavia i
leader di entrambe le regioni separatiste escludevano la partecipazione alle elezioni presidenziali
ucraine del 25 maggio, mentre dal canto suo il presidente ad interim dell'Ucraina Turcinov escludeva
ogni possibilità di dialogo con le forze ribelli e separatiste, definendo i due referendum alla stregua di
una farsa.
Intanto l'Unione europea deliberava il 12 maggio nuove sanzioni nei confronti di esponenti
russi, che portavano il numero delle persone colpite da divieto di viaggio e congelamento dei beni
detenuti in territorio europeo da 48 a 61: inoltre, le sanzioni colpivano per la prima volta anche il livello
delle persone giuridiche, mettendo nel mirino due società situate in Crimea, la cui proprietà, secondo le
autorità europee, era stata trasferita in violazione della legge ucraina.
A parziale sostegno dell'Ucraina andavano due accordi firmati durante la visita di Iatseniuk a
Bruxelles del 13 maggio, per un totale di 1,3 miliardi di euroutilizzabili utilizzati anche per il
parziale rimborso dei debiti energetici contratti con la Russia. L'atteggiamento russo
all'approssimarsi delle elezioni presidenziali ucraine sembrava ammorbidirsi: il 24 maggio, in occasione
del Forum economico di San Pietroburgo, Putin dichiarava che la Russia avrebbe considerato con
rispetto i risultati delle presidenziali ucraine, auspicando di poter lavorare insieme al nuovo capo dello
Stato di Kiev.
Peraltro le autorità ucraine rimanevano persuase che fosse sempre la Russia a tirare le fila della
rivolta nell'est del paese. Nonostante la previsione di 66.000 agenti di sicurezza impiegati
dall'Ucraina, il governo di Kiev non si trovava peraltro in grado di assicurare il regolare
svolgimento del voto nelle due regioni separatiste di Donetsk e Luhansk, dove anzi si verificava
un'ulteriore escalation militare: il 24 maggio, nel villaggio di Andreevka, a sud di Slaviansk, il fotoreporter
italiano Andrea Rocchelli ed il suo interprete, l'attivista russo per i diritti umani Andrei Mironov,
cadevano vittime del fuoco di kalashnikov e mortai. Il 25 maggio si svolgevano le previste elezioni
presidenziali ucraine, con un'affluenza al voto superiore al 60% a livello nazionale, e con la chiara
vittoria del magnate dell'industria dolciaria Petro Poroshenko, che scongiurava il ballottaggio,
ottenendo il 56% dei consensi al primo turno. Il 29 maggio, a fronte della calma regnante a Donetsk
dopo la cruenta battaglia dell'aeroporto, combattimenti si verificavano a Slaviansk, dove i ribelli
abbattevano un elicottero di Kiev, provocando la morte di 14 soldati, tra i quali un generale dell'esercito.
Il presidente Poroshenko annunciava comunque che subito dopo il 7 giugno, giorno del suo
insediamento ufficiale, sarebbe stata firmata la parte economica dell'Accordo di associazione con
l'Unione europea: in tal modo Kiev imprimeva un'accelerazione al processo di integrazione con
l'Occidente, gli ostacoli al quale avevano provocato la rivolta di Piazza Maidan e la caduta di Ianukovich.
La giornata del 3 giugno vedeva il rinnovato impegno del presidente degli Stati Uniti Barack Obama,
anche a nome della NATO, nella difesa dei paesi europei precedentemente sotto l'egemonia sovietica,
nel corso della Conferenza di Varsavia tra 10 paesi, che hanno sottoscritto l'impegno per un
rafforzamento della difesa reciproca contro ritorni imperiali possibili della Russia.
Il 12 giugno l'Ucraina denunciava l'ingresso dal territorio russo di tre carri armati accompagnati da altri
mezzi militari in appoggio ai separatisti. Dall'altra parte, le truppe di Kiev erano accusate dai miliziani di
essersi servite di bombe incendiarieal fosforo in un villaggio vicino a Slaviansk: a fronte di queste
tensioni, nessun passo avanti si registrava nel negoziato relativo alle forniture di gas russo all'Ucraina. Il
14 giugno le truppe di Kiev riconquistavano la città portuale di Mariupol, uccidendo non meno di cinque
separatisti e catturandone una trentina, ma all'una di notte del 15 giugno le truppe ucraine subivano la
maggiore perdita dall'inizio delle operazioni militari contro i separatisti, quando un aereo militare
di Kiev con 9 membri di equipaggio e 40 paracadutisti veniva abbattuto nei cieli di Luhansk
mentre si preparava all'atterraggio, e tutti gli occupanti perdevano la vita. I miliziani hanno poi
sostenuto di aver abbattuto anche un cacciabombardiere ucraino alle prime ore dell'alba. Sull'altro fronte
Kiev riferiva che in 24 ore avevano perso la vita oltre 250 miliziani, tra i quali molti cittadini russi.
La notizia dell'abbattimento dell'aereo militare provocava a Kiev l'assalto all'ambasciata russa, che
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veniva fatta segno del lancio di bottiglie molotov, mentre alcune auto appartenenti al personale
diplomatico erano date alle fiamme. Il 16 giugno sembrava chiudersi anche il canale negoziale sulle
forniture di gas russo all'Ucraina, senza il raggiungimento di un accordo: la Russia adottava un
atteggiamento molto deciso, interrompendo le forniture di gas all'Ucraina, reclamando il
pagamento degli arretrati e preannunciando che eventuali future forniture dovranno essere pagate in
anticipo.
Non serviva a far cessare i combattimenti nemmeno l'annuncio del 20 giugno del presidente
Poroshenko di un cessate il fuoco unilaterale da parte delle forze ucraine: in tal modo dieci giorni dopo
l'operazione militare delle truppe di Kiev nella parte orientale del paese riprendeva a tutti gli effetti. Nel
frattempo tuttavia, fortunatamente, il parlamento di Mosca aveva rigettato una proposta di risoluzione
che autorizzava l'impiego di forze russe in territorio ucraino (25 giugno).
L'escalation dei combattimenti e l'abbattimento del jet della Malaysia Airlines
Il 27 giugno, come già ampiamente annunciato, UE e Ucraina firmavano l'Accordo di associazione,
mentre le truppe ucraine ai primi di luglio riuscivano a riconquistare le città di Slaviansk e Kramatorsk,
continuando a denunciare l'ingresso regolare dalla Russia in Ucraina di armamenti e mercenari a
sostegno dei separatisti di Donetsk e Lugansk. Il 17 luglio l'escalation dei combattimenti nell'Ucraina
orientale conduceva all'abbattimento di un aereo civile della Malaysia Airlines in volo da
Amsterdam, mentre sorvolava i cieli sovrastanti il villaggio di Grabove, nella zona controllata dai
ribelli, provocando la morte di 298 persone. Immediatamente da parte dell'Europa e degli Stati Uniti
si annunciavano nuove sanzioni economiche contro la Russia, in ragione del suo sostegno ai separatisti.
Per tutta risposta il 7 agosto, mentre infuriavano i combattimenti nei dintorni di Donetsk e Lugansk,
Mosca reagiva alle sanzioni occidentali ponendo l'embargo sull'importazione di numerosi
prodotti alimentari provenienti dal territorio europeo e da quello americano. Il 22 agosto si temeva
un altro passo fatale nella escalation dei combattimenti, quando Kiev denunciava un'invasione russa, a
seguito dell'ingresso in territorio ucraino di un convoglio umanitario che recava aiuti verso Lugansk, e
non aveva ottenuto il permesso dalle forze di frontiera ucraine. Subito dopo i separatisti lanciavano una
controffensiva nella regione di Donetsk, che provocava un sensibile arretramento dell'esercito ucraino.
Il 28 agosto tanto Kiev quanto i paesi occidentali si spingevano ad accusare la Russia di aver
infiltrato proprie truppe regolari nell'Ucraina orientale, che nella stima più prudente (della NATO)
raggiungevano il migliaio di unità. Alle smentite consuete provenienti da Mosca l'Ucraina reagiva con il
ribadire la volontà di iniziare il processo di adesione all'Alleanza atlantica. Tra la fine di agosto i primi di
settembre l'atmosfera non migliorava di certo, con il presidente russo Putin a evocare la possibilità di
una completa indipendenza delle regioni separatiste ucraine, i cui partigiani intanto il 1° settembre
riconquistavano alle forze ucraine l'aeroporto di Lugansk, sostenuti da un pesante fuoco d'artiglieria che
secondo i militari ucraini sarebbe provenuto da cannoni russi.
Nonostante questo difficilissimo contesto, il 5 settembre si riuniva nella capitale bielorussa Minsk il
Gruppo di contatto sull'Ucraina, con i rappresentanti russi, ucraini, l'OSCE e una delegazione dei
separatisti: l'incontro sfociava nella firma di un cessate il fuoco. Nei giorni successivi la tregua sembrava
essere sostanzialmente rispettata, e la NATO documentava anche significativi arretramenti delle truppe
russe dalla frontiera ucraina: cionondimeno, il 12 settembre entravano in vigore nuove sanzioni
europee - che Bruxelles tuttavia si affrettava a precisare come soggette a sospensione o revoca in caso
di atteggiamento positivo della Russia - mirate contro il settore petrolifero di Mosca, salvaguardando
invece i produttori di gas, di vitale importanza per l'Europa occidentale.
Le sanzioni americane elevate contemporaneamente, invece, colpivano pesantemente anche
Gazprom. La reazione di Putin - che nel frattempo aveva provveduto a diminuire i flussi di gas verso la
Polonia, sua volta fornitrice dell'Ucraina -richiamava l'attenzione sul pericolo di queste nuove sanzioni
per la pace, preannunciando anche ulteriori contromisure russe. Mentre nuovi combattimenti nell'Ucraina
orientale sembravano mettere a rischio la tregua, il 16 settembre era una giornata cruciale a Kiev, dove
il parlamento approvava in contemporanea con il Parlamento europeo l'Accordo di associazione
dell'Ucraina alla UE, le cui clausole commerciali era stato deciso tuttavia qualche giorno prima di
differire al 2016, come gesto di considerazione delle ragioni di preoccupazione della Russia verso
l'ingresso massiccio di prodotti europei sul mercato ucraino – e a tale proposito si prevedeva di
intavolare per tutto il 2015 colloqui anche con Mosca per l'armonizzazione dei rispettivi mercati.
Nella stessa giornata, poi, la Rada ucraina approvava una legge sullo statuto speciale delle
regioni separatiste quale parziale attuazione del piano di pace concordato a Minsk insieme al cessate
il fuoco: in tal modo le regioni di Donetsk e Lugansk si sono viste per tre anni uno status di autonomia,
all'interno del quale è prevista la facoltà di istituire forze di polizia e di condurre elezioni a livello locale.
Un'altra legge si spingeva concedere l'amnistia a tutti i combattenti separatisti, eccezion fatta
per i responsabili dell'abbattimento del volo malese del 17 luglio. Il 19 settembre iniziavano a Minsk
nuovi negoziati nell'ambito del Gruppo di contatto sull'Ucraina: i colloqui si concludevano con la sigla di
un Memorandum in nove punti il cui principale risultato era quello di creare una zona cuscinetto di 30
km con un simmetrico ritiro delle due parti in conflitto delle armi di calibro superiore a 100 mm, vietando
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altresì il dispiegamento di armi pesanti in zone abitate e il sorvolo di aerei militari e stranieri sopra la
zona cuscinetto. L'OSCE avrebbe dovuto poi monitorare il ritiro dei combattenti mercenari e stranieri dal
territorio ucraino. Il 12 ottobre il presidente russo Putin disponeva il ritiro dalla frontiera ucraina di
migliaia di soldati.
Le elezioni politiche del 26 ottobre
Incoraggiamento e legittimazione alle ultime intese tra Russia e Ucraina venivano il 16 e 17 ottobre a
Milano nel corso del Vertice ASEM: Putin e Poroshenko incontravano il Capo dello Stato Napolitano e
il Presidente del Consiglio Renzi, unitamente a numerosi Capi di Stato e di governo europei. Comunque,
nonostante le intese raggiunte con i separatisti, le elezioni politiche del 26 ottobre venivano disertate
dall'elettorato delle regioni di Donetsk e Lugansk, con il venir meno di una trentina di deputati nella Rada
di Kiev: il risultato elettorale costituiva un chiaro pronunciamento dei votanti verso l'orientamento
occidentale dell'Ucraina, ma con una certa sorpresa il partito del premier Yatseniuk superava di un soffio
quello del presidente Poroshenko, ponendogli per l'immediato futuro un serio problema in riferimento
alla sua politica possibilista e pragmatica nei rapporti con Mosca, rispetto alla quale invece Yatseniuk
risulta assai più intransigente.
Il 30 ottobre finalmente giungeva l'attesa notizia di un accordo in merito alle forniture di gas
russo all'Ucraina - accordo lungamente perseguito con un ruolo assai attivo dell'Unione europea, ed
effettivamente raggiunto a Bruxelles. In base all'intesa, diveniva possibile l'immediata ripresa delle
forniture russe a Kiev sospese in giugno, con la garanzia di un prezzo fisso fino al marzo 2015
(all'incirca 385 dollari per 1000 m³, da pagare però in anticipo) e i debiti pregressi (3,1 miliardi) da
pagare in due tranches. Rimaneva tuttavia scoperto un punto, quello delle garanzie europee per la
solvibilità ucraina, che erano state richieste sia da Gazprom che dall'Ucraina.
Nonostante tutte queste positive premesse, all'inizio di novembre il clima tornava incandescente, dopo
che il giorno 2 nelle regioni controllate dai separatisti venivano indette delle consultazioni elettorali, quasi
certamente con il concorso di elementi russi - Mosca tuttavia non le riconosceva ufficialmente - ma
aspramente condannate dall'Unione europea, dagli USA e dalle Nazioni Unite.
Il presidente Poroshenko minacciava una reazione militare contro i separatisti in caso di loro
nuove iniziative armate, e sconfessava le elezioni, che a suo dire erano andate ben al di là delle
consultazioni locali previste nella regione del Donbass dagli accordi di Minsk, ma nell'ambito
dell'ordinamento nazionale ucraino. Poroshenko proponeva altresì alla Rada di revocare lo statuto
speciale accordato al Donbass. In breve tempo la tregua faticosamente raggiunta veniva rimessa in
discussione, e i focolai di combattimento si moltiplicavano. Il premier ucraino Yatseniuk annunciava
che sarebbero cessati i finanziamenti pubblici alla regione del Donbass. Il 12 novembre il
comandante delle forze NATO in Europa Breedlove denunciava nuovi sconfinamenti di mezzi militari e
truppe russe in Ucraina, che Mosca recisamente negava. Il risultato di ciò era il grave isolamento di
Putin, tre giorni dopo, nel corso del Vertice G20 di Brisbane.
Il 27 novembre l'UE decideva l'adozione di nuove sanzioni, colpendo altre tredici persone, separatisti
ucraini, e cinque entità: ad essere colpiti sono soggetti coinvolti nell'organizzazione nell'Ucraina orientale
di elezioni ritenute "illegali e illegittime" dall'Unione europea. Le nuove sanzioni prevedono il
congelamento degli attivi finanziari e il divieto di viaggio in Europa. Attualmente, la lista di
persone ed entità sanzionate dall'Unione è composta da 119 personalità e 23 entità, di
nazionalità ucraina e russa. In alcuni casi, le persone colpite sono vicinissime al presidente russo
Vladimir Putin, come per esempio l'uomo d'affari Arkady Rotenberg. Il 1° dicembre ha preso l'avvio la
missione ufficiale dell'UE (EUAM Ukraine), istituita dal Consiglio dell'UE nel luglio scorso: la missione,
diretta dall'economista ungherese Kalman Mizsei e formata da circa 100 funzionari europei e 75
unità locali, ha un mandato biennale, un budget di 13,1 milioni e dovrebbe costituire uno dei "vettori
della politica dell'Unione in Ucraina", sostenendo i processi di riforma degli apparati pubblici ucraini. La
filosofia della missione è stata così riassunta dal direttore operativo di EUAM, il britannico Peter
Appleby: "qui nessuno vuole calare modelli dall'alto. Gli ucraini sono i protagonisti: spetta a loro fissare
esigenze, obiettivi, e tabelle di marcia. Il nostro ruolo è affiancarli nei ministeri con funzionari di alto
livello, consigliarli, introducendo le buone pratiche europee".
Sul fronte della politica interna ucraina, finalmente il 2 dicembre il Parlamento di Kiev ha concesso
la fiducia al nuovo esecutivo, la cui formazione è stata ritardata dalle divisioni tra i partiti ucraini
filoccidentali, pur trionfanti nelle elezioni legislative, aggravate dal sotterraneo contrasto tra il
premier Iatseniuk e il presidente Poroshenko, capi delle due forze parlamentari principali. Nel nuovo
governo sono stati riconfermati, oltre al primo ministro, i ministri degli esteri e della difesa, vicini a
Poroshenko, mentre appare di rilievo la nomina di tre ministri di origine straniera - un'americana alle
finanze, un lituano all'economia e un georgiano alla sanità ,- a quanto pare sponsorizzati soprattutto da
Washington, che sono stati naturalizzati dal presidente Poroshenko.
Frattanto la situazione del Donbass e della più vasta regione sudorientale dell'Ucraina è rimasta tesa,
mentre da parte di Kiev non si sono registrati tentennamenti nel puntare non solo all'ingresso nell'Unione
europea, ma anche nell'Alleanza atlantica: proprio il segretario generale di quest'ultima Stoltenberg
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annunciava nelle stesse ore l'imminente entrata in funzione sul fianco orientale della NATO della
brigata di pronto intervento denominata "Punta di lancia" - tutto ciò naturalmente suscitando
reazioni negative da parte di Mosca, culminate verso la fine dell'anno nell'approvazione da parte di Putin
di una versione rinnovata della dottrina militare russa, all'interno della quale la NATO viene
esplicitamente indicata quale minaccia primaria per la sicurezza della Russia.
Va comunque ricordato che le autorità ucraine avevano concordato il 4 dicembre una tregua
con i separatisti, seguita da alcuni giorni di sostanziale calma sul fronte dei combattimenti e,
altro segnale incoraggiante, dalla ripresa delle forniture di gas russo all'Ucraina in applicazione
dell'accordo raggiunto il 30 ottobre - peraltro continuava a slittare la data per la ripresa di veri e propri
negoziati di pace sul conflitto dell'Ucraina orientale, dopo la cancellazione dell'appuntamento di Minsk
del 9 dicembre.
La questione della fornitura internazionale di armamenti a carattere letale
all'Ucraina
Sporadiche violenze iniziavano frattanto a punteggiare la tregua tra le forze ucraine e i separatisti,
proprio in concomitanza di un voto all'unanimità di entrambe le Camere del Congresso degli Stati Uniti peraltro rimasto sospeso in attesa di ulteriore esame in Senato e del parere della Casa Bianca – che
autorizzava nuove sanzioni contro la Russia e, soprattutto, la fornitura di armi di carattere letale
all'esercito di Kiev, facendo registrare un salto di qualità rispetto all'atteggiamento
dell'Amministrazione Obama, che aveva fino a quel punto limitato le forniture militari all'Ucraina
ad equipaggiamenti non letali.
Scontata la reazione della Russia, che accusava il Congresso USA di voler alimentare il confronto
aperto con Kiev, proprio mentre il ministro della difesa ucraino annunciava la volontà di un aumento
delle spese militari nel 2015, che si sarebbero attestate alla cifra di 2,4 miliardi di euro, con un aumento
contestuale degli effettivi dell'esercito a 250.000 unità. La contraddittorietà della situazione si dimostrava
in tutta la sua gravità nell'approssimarsi del Natale: proprio alla vigilia di un nuovo round negoziale con i
separatisti filorussi, che il 24 dicembre avrebbe registrato un accordo per lo scambio reciproco di
centinaia di prigionieri, il 23 dicembre il Parlamento di Kiev approvava un disegno di legge per
rinunciare all'equidistanza che il paese aveva mantenuto rispetto alle alleanze militari
internazionali sin dalla propria indipendenza, impegnandosi altresì ad operare per raggiungere i
requisiti per l'adesione alla NATO. Il pronunciamento parlamentare ha visto una schiacciante
maggioranza di 303 favorevoli contro 8 contrari.
Anche in questo caso appare quasi superfluo ricordare la dura reazione russa, concretizzatasi nel
duplice intervento del primo ministro Medvedev, per il quale il voto parlamentare di Kiev avrebbe
trasformato in prospettiva l'Ucraina in un potenziale avversario militare della Russia, mentre il ministro
degli esteri Lavrov definiva il voto del parlamento ucraino controproducente e tale da inasprire, invece di
facilitare, i rapporti di Kiev con i separatisti e con Mosca.
Secondo Lavrov, invece, l'Ucraina avrebbe dovuto riconoscere quali interlocutori legittimi i
ribelli e instaurare con questi ultimi un dialogo politico, attingendo anche il livello di una riforma
costituzionale dello Stato ucraino per la soluzione finale del conflitto. In questo contesto, pur
dando corso al previsto scambio di prigionieri, le parti in lotta rinunciavano alla tornata negoziale di
Minsk del 26 dicembre. Ben poco di positivo lasciava presagire l'inizio del nuovo anno: il 13 gennaio la
tenuta della tregua era messa duramente alla prova da intensi combattimenti nei pressi dell'aeroporto di
Donetsk, e dall'uccisione di dieci persone che si trovavano a bordo di un autobus di linea ad un check
point ucraino, centrato da un colpo di artiglieria presumibilmente sparato dai filorussi.
Un riflesso della situazione è stato l'annuncio che il presidente russo Putin non avrebbe presenziato
il 27 gennaio alla commemorazione del 70º anniversario della liberazione del campo di sterminio
nazista di Auschwitz - decisione quasi certamente collegata alla necessità di evitare un nuovo
isolamento in conseguenza del perdurare della crisi del Donbass, per di più nel territorio di un paese
come la Polonia, particolarmente critico verso l'atteggiamento russo. I combattimenti attorno allo
scalo di Donetsk – ormai sconvolto dai reciproci bombardamenti – assumevano caratteri sempre più
cruenti, ma tutto il territorio della città e dei dintorni era interessato da una pioggia di bombe, che hanno
colpito diversi civili. Intanto il 19 gennaio i ministri degli Esteri dell'Unione europea escludevano di poter
alleggerire le sanzioni contro la Russia.
Il 22 gennaio, mentre l'Ucraina era costretta ad ammettere ufficialmente di aver dovuto cedere ai
ribelli il controllo dell'aeroporto di Donetsk, dopo una difesa durata ben 242 giorni, alcuni colpi di mortaio
raggiungevano una fermata di autobus nella stessa Donetsk, provocando la morte di non meno di 13
civili e il ferimento di una ventina - ne seguivano le solite reciproche accuse tra le due parti in lotta.
Ancora più grave era quanto accadeva a Mariupol il 24 gennaio, con una trentina di morti provocati
dal lancio di missili Grad sulla città, porto del sud-est ucraino sul Mar Nero. I fatti di Mariupol
provocavano una ferma reazione dell'Alto rappresentante UE per la politica estera Federica Mogherini,
che diffidava la Russia dal perseguire la strada di un ulteriore deterioramento delle relazioni con l'Unione
europea. La Lettonia, presidente di turno dell'Unione, rilanciava l'ipotesi di nuove sanzioni contro Mosca.
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Nei giorni successivi cresceva la pressione dell'Europa e degli Stati Uniti su Mosca, considerata
responsabile - per l'appoggio costante che fornirebbe ai separatisti - della strage di Mariupol. Un
colloquio telefonico tra la Cancelliera tedesca Merkel e il Presidente USA Obama riscontrava
l'accordo sulla messa a punto di un forte pacchetto di aiuti finanziari all'Ucraina. In effetti, appena
poche ore dopo, il ministro delle finanze di Kiev il segretario del Tesoro statunitense firmavano nella
capitale Ucraina un'intesa per la concessione di due miliardi di dollari di garanzie di prestito, con la
promessa di un ulteriore miliardo, in caso di prosecuzione dell'impegno di Kiev per le riforme
economiche. Per quanto tuttavia riguarda la possibilità di elevare contro Mosca nuove sanzioni,
cominciava ad emergere una certa differenziazione tra la posizione possibilista di Washington e
quella dell'Unione europea, gravata dalle consuete divisioni, e in più dalla minaccia della nuova
direzione politica greca guidata da Alexis Tzipras di porre il veto contro nuove misure di
penalizzazione della Russia.
Tali divisioni emergevano puntualmente nelle conclusioni del Consiglio straordinario dei Ministri degli
affari esteri UE del 29 gennaio, nelle quali l'Unione, pur asserendo chiaramente la propria convinzione
del sostegno di Mosca ai separatisti del Donbass, si limitava a una proroga fino al mese di settembre
2015 delle sanzioni individuali in scadenza a marzo contro diversi esponenti dell'establishment russo,
ventilando eventualmente la possibilità di un'estensione dell'elenco degli individui colpiti.
Mancava però qualsiasi cenno ad ulteriori misure di penalizzazione economica nei confronti
della Russia, la quale dal canto suo, colpita da sanzioni politiche in seno al Consiglio d'Europa,
si autosospendeva da tale consesso. Il 31 gennaio si registrava il completo fallimento di un ulteriore
round dei negoziati del gruppo di contatto sulla crisi ucraina, dopo quasi quattro ore di inutili colloqui:
uno dei punti di maggiore disaccordo rimaneva quello della definizione della linea di congelamento dei
combattimenti, che i separatisti vorrebbero fosse quella attuale, mentre per Kiev sarebbe necessario
tornare a quanto stabilito a Minsk in settembre. I negoziatori inoltre hanno mostrato un elevato tasso di
reciproca delegittimazione.
Ciò mentre nell'Ucraina sud-orientale proseguivano i combattimenti, con la morte di una quindicina di
soldati di Kiev e il ferimento di una trentina, laddove i separatisti, pur accusando 13 vittime nei loro
ranghi, dichiaravano di aver oramai accerchiato il nodo stradale e ferroviario strategico di
Debaltseve, posto tra Donetsk e Lugansk, ove avrebbero lanciato un ultimatum alle migliaia di soldati
ucraini ivi attestati.
Gli ultimi sviluppi
L'inizio di febbraio ha visto emergere un altro tema, quello della possibilità della fornitura di armamenti
di carattere letale alle truppe ucraine - sinora sostenute dall'Europa e dagli Stati Uniti solo con
l'invio di armamenti non letali e di attrezzature di tipo umanitario.
Tale opzione è emersa in relazione alla considerazione americana della superiorità tecnologica
dell'armamento in possesso dei separatisti ucraini, alcuni elementi del quale non sarebbero mai stati
detenuti dalle forze regolari di Kiev, e quindi non resterebbe altro che attribuirne l'origine all'apparato
militare di Mosca. In questa situazione le potenze occidentali potrebbero, come richiesto anche da molti
esponenti del Congresso USA, controbilanciare la situazione militare sul terreno inviando
apparecchiature militari sofisticate a Kiev. Le divisioni in seno all'Unione europea già riscontrate in
ordine all'ipotesi di imporre nuove sanzioni contro Mosca, puntualmente si sono presentate anche per
l'ipotesi di potenziare l'armamento ucraino, per di più trasferendosi in seno alla stessa NATO: così,
accanto agli Stati Uniti, è sembrato emergere l'orientamento eventualmente favorevole della
Polonia, degli Stati baltici e del Regno Unito - con il Canada, invece, non disposto a seguire
questa strada. Dall'altra parte l'ossatura del fronte europeo contrario a fornire a Kiev armamenti
di carattere letale è costituita da Germania, Francia e Italia.
Proprio in concomitanza con la visita del segretario di Stato americano John Kerry a Kiev, il
presidente francese Hollande e la cancelliera tedesca Merkel annunciavano a sorpresa una visita
nella capitale ucraina per il 5 febbraio, seguita il giorno successivo da colloqui a Mosca
direttamente con Vladimir Putin - a quanto pare finalizzati ad articolare una controproposta europea al
piano segreto che il Presidente russo aveva inviato all'inizio dell'anno in Occidente. Tuttavia nulla
sinora è trapelato di significativo su eventuali risultati della missione di Merkel e Hollande in
Ucraina e in Russia, e la situazione rimane cristallizzata sulle diverse posizioni degli attori in campo,
attorno alle questioni più importanti in sospeso, che sono la misura del processo di integrazione
dell'Ucraina nelle istituzioni euroatlantiche - la Russia si oppone con forza all'ipotesi di un ingresso di
Kiev nella NATO, trovando in questo peraltro la sponda tedesca e francese -; lo status futuro del
Donbass dopo un eventuale accordo di pace, che secondo Kiev non dovrebbe attingere un livello di
autonomia federale, diversamente dalla posizione russa; l'imputazione economica dei gravissimi
danni provocati nell'Ucraina sud-orientale da anni di combattimenti, con relativi processi agli autori
dei peggiori crimini; le forniture energetiche russe all'Ucraina, che Kiev non intende pagare ai prezzi
elevati cui dovrebbero risalire dal prossimo 1° aprile.
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Servizio Studi - Dipartimento Affari Esteri
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