Oltre i confini - Tre anni "Together with VI.TO"

annuncio pubblicitario
Progetto finanziato da
Oltre i confini
Tre anni “Together with VI.TO.”
Consiglio Italiano per i Rifugiati, CIR, Italia
Association Jeunesse pour la Paix et la Non Violence, AJPNV, Ciad
Trauma Centre Cameroun, TCC, Camerun
La pubblicazione è stata realizzata nell’ambito del progetto Together with VI.TO. finanziato dalla Commissione Europea.
Le opinioni espresse sono di esclusiva responsabilità degli autori e non possono essere in
alcun modo considerate come rappresentative di una posizione ufficiale della
Commissione Europea.
Autori
MassiMo GErMani, Psichiatra – Psicoanalista, Coordinatore scientifico della ricerca Together
with VI.TO.
Christian MaCauLEy, Psicologo clinico, trauma Center Cameroun (tCC), ricercatore del
Progetto Together with VI.TO.
LorEnzo MosCa, Psichiatra, ricercatore del Progetto Together with VI.TO.
CharbonnEL nodjiGoto, direttore dell’ajPnV Ciad – Partner del progetto
FiorELLa rathaus, responsabile settore integrazione del Cir, Coordinatrice del progetto
Together with VI.TO.
ELisabEtta tuCCinardi, assistente del progetto Together with VI.TO. - Cir
i dati relativi ai risultati della ricerca e alla “Etsi interview” sono in corso di pubblicazione e ogni riproduzione è vietata senza il consenso scritto degli autori.
La foto di copertina è una gentile concessione dell’irCt. autrice: annarita Migliaccio fotografa/irCt
impaginazione e stampa: inprinting srl
giugno 2014
"La tortura non è nulla di inumano,
è soltanto un crimine ignobile e lurido,
commesso da uomini contro altri uomini,
e che altri uomini ancora possono e debbono reprimere"
jean Paul sartre, introduzione a La questione di henri alleg
Indice
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1. IL PROGETTO TOGETHER WITH VI.TO.
1.1 Che cosa è la tortura ...................................................................................................“ 7
1.2 il trauma ......................................................................................................................“ 8
1.3 i principali obiettivi e le attività del progetto...............................................................“ 9
1.4 i partner del progetto .................................................................................................“ 12
2. DIRITTI UMANI: FOCUS SU ASILO E TORTURA
2.1 Camerun ....................................................................................................................“ 14
2.2 Ciad ............................................................................................................................“ 16
2.3 italia ............................................................................................................................“ 19
3. DAL TRAUMA ESTREMO AL DISTURBO POST TRAUMATICO COMPLESSO:
NUOVI PARADIGMI PER LA COMPRENSIONE E LA CURA
DELLE VITTIME DI TORTURA
3.1 Evoluzione del concetto dei disturbi post-traumatici ..................................................“
3.2 dietro il disturbo Post-traumatico Complesso: alterazioni della memoria
e dissociazione post-traumatica......................................................................................“
3.3 dalla tortura al disturbo Post-traumatico Complesso .................................................“
3.4 specificità e precocità della cura per la riabilitazione efficace
dei sopravvissuti a tortura ..............................................................................................“
4. SPECIFICITÀ CULTURALI NELLE SINDROMI POST-TRAUMATICHE
4.1 i disturbi post-traumatici nelle diverse culture ............................................................“
4.2 Fattori culturali e processi migratori ............................................................................“
4.3 specificità culturali e differenze nell’espressione clinica
nei soggetti esiliati in italia e nei soggetti accolti in Ciad e Camerun ...........................“
4.3.1 Risultati della ricerca sulle specificità culturali - Ricerca RP-C..................................“
4.4 Fattori culturali nel disagio psichico e negli stati post-traumatici
tra le popolazioni africane...................................................................................................“
4.5 L’approccio multidisciplinare nei campi rifugiati in Ciad .............................................“
4.5.1 L’alloggiamento degli utenti dell’ajpnv nei campi profughi
e la loro condizione sociale .............................................................................................“
4.5.2 L’attivita’ dell’equipe mobile: compiti di base e compiti specifici.............................“
4.5.3 I problemi del lavoro sul campo ...........................................................................“
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5. TRE STORIE DI TOGETHER WITH VI.TO. CASI CLINICI
5.1 una storia dal Camerun (tCC) ....................................................................................“ 52
5.2 una storia dal Ciad (ajPnV) ........................................................................................“ 56
5.3 una storia dall’italia (Cir) ............................................................................................“ 58
6. I PROGETTI DI RICERCA TOGETHER WITH VI.TO.
6.1 introduzione ...............................................................................................................“
6.2 obiettivi ......................................................................................................................“
6.3 Metodologia ...............................................................................................................“
6.4 strumenti.....................................................................................................................“
6.4.1 L'Intervista ETSI...................................................................................................“
6.4.2 Gli strumenti psicometrici.....................................................................................“
6.5 risultati ........................................................................................................................“
6.6 discussione e conclusioni ...........................................................................................“
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7. BIBLIOGRAFIA ............................................................................................................“ 81
1. Il progetto Together with VI.TO.
1.1 Che cosa è la tortura
La tortura è il risultato della fredda determinazione a causare estremo dolore
a una persona che in quel momento, e a volte anche successivamente, non ha
alcuna possibilità di difesa, nell’intento, ancora più crudele, di piegare la sua
volontà e mortificare la sua dignità.
sul piano del diritto internazionale la definizione più esaustiva e condivisa
della tortura è fornita dalla Convenzione delle nazioni unite Contro la tortura
del 1984, che nell’art.1 la definisce:
“…qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore e sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un
atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimorire o di far pressione su
una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di
discriminazione, qualora tale dolore o sofferenze siano inflitte da un agente della
funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua
istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito”.
Purtroppo, la tortura non è confinata a situazioni limite, alla guerra, alle dittature. di fatto il fenomeno è molto più diffuso, come testimoniano i dati condivisi a livello internazionale: si stima infatti che un rifugiato ogni tre è stato sottoposto a tortura. Comunemente si ritiene che la tortura sia praticata soprattutto su persone che appartengono a particolari gruppi politici, religiosi, etnici, o a
minoranze. se è vero che questi sono i casi più tipici e diffusi, ciò non deve farci
dimenticare che, in alcuni Paesi, nessuno è totalmente esente dal rischio di essere sottoposto a violenze e tortura. Persino i bambini sono, più spesso di quanto
si creda, sottoposti alle sofferenze della tortura.
Mentre i torturatori hanno l’obiettivo immediato di piegare la volontà di una
persona, di punirla, di umiliarla o metterla a tacere, gli effetti della tortura sono
molto più durevoli degli atti di tortura in sé. i sopravvissuti a tortura portano den7
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1. Il progetto Together with VI.TO.
tro un segreto terribile, che a volte non osano confessare nemmeno a sé stessi,
portano sul corpo e ancora di più nella mente le ferite, spesso indelebili, di una
pratica feroce. il trauma psicologico, come alcuni di quelli fisici, può durare per
sempre, specialmente se la persona non ha accesso immediato a trattamenti
specializzati. al di là delle conseguenze mediche della tortura, l’orrore che ha
provocato le sofferenze dei sopravvissuti a tortura è qualcosa di difficilmente
immaginabile. solo attraverso le storie e l’incontro con i sopravvissuti possiamo
cominciare a comprendere la profondità del dolore, la distruzione psicologica,
l’umiliazione, la paura, la sfiducia, la disperazione, l’odio e la rabbia generate da
atti così disumani.
E comunque, non ci sono Paesi che possano dirsi immuni dal rischio di tortura. in questo senso negli ultimi anni, una dolorosa prova è stata rappresentata dagli stati uniti, a lungo campioni dei diritti umani, che dall’inizio della guerra al terrore nel 2001, hanno sistematicamente praticato la “extraordinary rendition”. a questo proposito ci preme sottolineare, che l’italia pur avendo ratificato la Convenzione delle nazioni unite Contro la tortura del 1984, non ha
ancora introdotto il reato di tortura nel codice penale, come invece previsto dalla
Convenzione stessa. L’inserimento del reato di tortura nel codice penale italiano
è evidentemente un fatto di civiltà che non può più essere ulteriormente rimandato.
1.2 Il trauma
La tortura, fisica o psicologica, produce sempre un trauma nelle sue vittime.
un trauma psichico implica «un’emozione violenta capace di modificare in
modo permanente la personalità di un individuo, sensibilizzandolo alle successive analoghe esperienze emotive» (Piéron, Dizionario di Psicologia, 1964).
nelle definizioni di trauma emerge sempre l’impatto devastante che tale
esperienza ha sulla vita presente e futura di chi la subisce. il trauma è “un evento della vita della persona che è caratterizzato dalla sua intensità, dall’incapacità
del soggetto a rispondervi adeguatamente, dalla viva agitazione e dagli effetti
patogeni durevoli che esso provoca nell'organizzazione psichica” (Laplanche e
Pontalis, Enciclopedia della psicoanalisi 1981).
il trauma è difficilmente elaborabile, perché non trova significati che la mente
riesca a riconoscere. È altrettanto difficile storicizzare il trauma e restituire la sua
dimensione temporale a un tempo passato. spesso è il corpo più ancora della
mente che continuerà a ricordare il trauma, dando vita a una serie di sintomi e
disturbi psico-somatici. Può riemergere in momenti diversi e in diversi modi,
senza un legame apparente con il contesto esterno e la volontà interna.
nonostante l’impatto devastante che tutte le esperienze traumatiche producono nelle sue vittime, non si può negare l’esistenza di esperienze traumatiche
così disastrose per l’individuo da giustificare l’utilizzo della definizione di “trau8
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1. Il progetto Together with VI.TO.
ma estremo”. Varie esperienze traumatiche possono rientrare in tale definizione
e in particolare, quelle esperienze in cui è presente l’elemento della “volontarietà” nel causare dolore e sofferenza all’altro. È proprio l’incontro con il “male
incarnato” nel carnefice a incidere in maniera così profonda e distruttiva sulla
psiche dell’individuo, caratterizzando in senso “estremo” il trauma subito. i vissuti di sgomento, impotenza, passività, annichilimento si amplificano dando vita
a intime forme di dolore, a quadri psicopatologici complessi e sempre diversi,
quanto complessa e diversa è la struttura psichica e fisica di ognuno di noi.
La consapevolezza della complessità di cui sono portatori i sopravvissuti a tortura ci riconsegna una visione tridimensionale delle problematiche da loro vissute e favorisce la capacità di focalizzare l’attenzione degli operatori sulle conseguenze reali di questi soprusi, sui bisogni reali, sulle possibili risposte e ci consegna la responsabilità di riconoscere e testimoniare quello spessore umano fatto
oltre che di sofferenze anche di risorse che spesso rimangono sullo sfondo. di
fronte a questo carico di sofferenze così ingombrante e a questa complessità così
difficilmente gestibile, può prendere il sopravvento un forte senso di impotenza
negli operatori, ma sfidando il rischio di essere banali, è importante riaffermare
che questi tre anni di attuazione del progetto hanno, se possibile, rafforzato la
nostra convinzione sul ruolo fondamentale del diritto alla riabilitazione.
1.3 I principali obiettivi e le attività del progetto
La chiusura del progetto triennale Together with VI.TO. un progetto di accoglienza e cura ai rifugiati vittime di tortura, ci offre quindi, l’occasione per alcune riflessioni sul tema della tortura e del diritto alla riabilitazione.
i sopravvissuti a tortura portano i segni di ferite e traumi che richiedono risposte specifiche, in grado di ricostruire anche ciò che la violenza della tortura ha
distrutto: la loro identità personale, legale, economica, politica, culturale e sociale.
E le vittime di tortura, purtroppo, sono ancora moltissime. secondo i dati di
amnesty international sono 141 i Paesi dove nel 2013 è stata praticata la tortura o trattamenti crudeli, disumani o degradanti. un rifugiato su tre, tra quelli che
arrivano nel nostro Paese, ha personalmente subito esperienze di tortura.
Proprio per dare risposte a questi bisogni il Consiglio italiano per i rifugiati
gestisce dal 1996 progetti che mettono in atto azioni mirate alla riabilitazione
dei sopravvissuti a tortura. Questi progetti prevedono una prospettiva di lavoro
multidisciplinare: gli interventi di tipo sociale, legale, medico, psicologico si uniscono, concorrendo alla realizzazione di un positivo percorso di riabilitazione e
integrazione.
il Progetto Together with VI.TO. - finanziato dall’unione Europea - European
Instrument for Democracy and Human Rights (Eidhr) ha individuato e seguito
600 nuovi casi di richiedenti asilo e rifugiati sopravvissuti a tortura, prevedendo
tra l’altro, per la prima volta, attività di formazione, sensibilizzazione, capacity
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1. Il progetto Together with VI.TO.
building, networking e ricerca in Camerun e Ciad, grazie ad una partnership
internazionale con due importanti organizzazioni locali: ajPnV in Ciad e trauma
Centre in Camerun.
Vi.to. è l’acronimo che il Cir utilizza per indicare l’impegno ormai pluriennale in progetti a favore dei sopravvissuti a tortura.
tre i principali obiettivi del progetto:
• attività di riabilitazione e cura degli esiti della tortura, svolta in italia;
• prevenzione della tortura;
• attività di formazione e ricerca assieme con le organizzazioni partner dei Paesi
africani coinvolti.
In Italia il progetto Together with VI.TO. ha supportato, nel corso dei tre anni
di attività, 1084 richiedenti e titolari di protezione internazionale, sopravvissuti a
tortura e violenza estrema.
una parte significativa del progetto ha riguardato attività di sostegno diretto. in particolare è stata garantita assistenza legale, con un focus specifico alla
procedura di riconoscimento della protezione internazionale; assistenza sociale
con un’attenzione mirata a facilitare il processo di autonomizzazione e di integrazione in italia (scuola, sanità, casa e orientamento al lavoro). il progetto ha
inoltre garantito assistenza medica e psicologica specialistica, attraverso la cura,
il sostegno, e la certificazione delle conseguenze della tortura. tutti questi aspetti sono fondamentali per attivare un processo di riabilitazione efficace, in grado
anche di contrastare i micro-traumatismi legati alle difficili condizioni di accoglienza. ognuno di questi aspetti ha in sé una forte valenza terapeutica e pertanto contribuisce a migliorare le condizioni generali di vita dei rifugiati sopravvissuti a tortura.
I laboratori
un aspetto trasversale alle varie attività del progetto di sostegno alle vittime
di tortura in italia è stata la gestione di laboratori di riabilitazione psico-sociale.
Questi laboratori hanno rappresentato un importante percorso terapeutico e di
integrazione, in particolare nella fase iniziale della permanenza in italia dei richiedenti asilo sopravvissuti a tortura.
L'inserimento nel gruppo laboratoriale ha costituito un’occasione di scambio,
un’opportunità di adesione e di appartenenza ad un gruppo.
in questi tre anni i laboratori attivati hanno previsto un impegno di due o tre
volte a settimana soprattutto in ambito artistico-espressivo e artistico-artigianale. La frequenza al laboratorio è stata sempre collegata a delle borse-lavoro, che
hanno consentito l’introduzione di un supporto economico, al di fuori di una
logica strettamente assistenzialistica.
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1. Il progetto Together with VI.TO.
Il laboratorio attraverso il teatro
L’esperienza laboratoriale, che si è dimostrata più efficace in termini terapeutici è stata indubbiamente quella svolta in ambito teatrale.
La tortura mira alla distruzione dell’identità delle sue vittime e ha un effetto dirompente sulla psiche di chi la subisce, determinando veri e propri stati
di frammentazione psichica. recuperare i frammenti per poter ricostruire una
“storia che cura”, per integrare l’indicibile, è un processo difficile da compiere, ed è necessario uno spazio intermedio in cui sia possibile uno scambio
simbolico. il laboratorio di teatro ha risposto perfettamente a questa esigenza, e ha rappresentato una sorta di ponte tra mondo esterno e mondo interno. L’utilizzo delle metafore ha permesso di ricostruire quei frammenti di vita
rimasti intrappolati nel silenzio della perdita.
il linguaggio del teatro, le parole, i gesti, i suoni e i ruoli, hanno consentito di recuperare lentamente la narrazione dell’umana e inumana esperienza
dei rifugiati. il laboratorio teatrale ha anche funzionato come punto di ritrovo e di riferimento, dove tutto può essere ricreato: i rapporti interpersonali, il
linguaggio comune, il ritrovare sé stessi attraverso il riconoscimento di sé
stessi negli altri, il porsi domande sul qui e ora, l’impegno creativo in azioni
collettive per arrivare alla realizzazione e alla creazione di uno spettacolo
comune.
La formazione
La partnership con la Association Jeunesse pour la Paix e la Non Violence
(Ciad) e il Trauma Center Cameroun (Camerun), ha consentito l’implementazione di attività di formazione, sensibilizzazione, capacity building,
networking e ricerca in questi due importanti Paesi africani, entrambi fortemente impegnati, in questo momento storico-politico che sta segnando
l’africa centrale, nell’accoglienza di migliaia di persone in fuga dalla violenza.
Le visite studio e i vari scambi tra le tre organizzazioni partner del progetto hanno permesso di approfondire la conoscenza reciproca dei tre centri di
riabilitazione/Paesi coinvolti nel progetto, attraverso la comparazione degli
approcci sociali, medici e psicologici adottati e l’analisi delle specificità etnoculturali dei sintomi clinici manifestati dai sopravvissuti a tortura.
La ricerca
È stata infine condotta una ricerca clinica in italia, Camerun e Ciad, con
l’obiettivo di comparare le conseguenze psicopatologiche ad esperienze di
tortura e traumi estremi nei migranti forzati accolti in Europa rispetto a quelli che rimangono in africa, in regioni contigue ai paesi di origine. i principali
risultati di questo lavoro di ricerca sono riportati più avanti.
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1. Il progetto Together with VI.TO.
1.4 I partner del progetto
Association Jeunesse pour la Paix et la Non Violence (AJPNV)
L’Association Jeunesse pour la Paix et la Non Violence (ajPnV), è un centro di
riabilitazione del Ciad che lavora soprattutto nel campo della riabilitazione delle
vittime di tortura. oltre agli interventi di supporto diretti, l’ajPnV realizza campagne comunicative e di sensibilizzazione che mirano all’abolizione della tortura e all’educazione dei cittadini sui diritti umani.
Gli obiettivi principali dell’organizzazione sono:
• educare i cittadini ai diritti umani
• contribuire all’abolizione della tortura
• contribuire alla riabilitazione delle vittime di tortura in Ciad.
Trauma Centre Cameroun (TCC)
il trauma Centre Cameroun, è stato fondato nel 1997 dal pastore norbert
Kenne (un attivista dei diritti umani) per rispondere alla forte necessità di un’assistenza effettiva alle vittime di tortura e violenza. inizialmente il lavoro del
trauma Centre Cameroun si è concentrato sulle vittime interne, ma subito dopo
ha esteso il proprio impegno ai rifugiati provenienti dai Paesi limitrofi.
il trauma Centre Cameroun, fornisce ai sopravvissuti a tortura supporto
medico, psicologico, sociale e legale. il Centro lavora per alleviare le conseguenze del trauma e combattere l’impunità favorendo la compensazione delle vittime. infatti principale obiettivo del Centro è contribuire a migliorare le condizioni di vita delle vittime di violenza e tortura in Camerun e in africa. obiettivi ulteriori del Centro sono:
• diffondere una maggiore consapevolezza sulle tematiche della tortura attraverso la sensibilizzazione pubblica, in Camerun e più in generale in africa;
• promuovere i processi di riconciliazione tra le comunità dei sopravvissuti.
Consiglio Italiano per i Rifugiati (CIR)
il Consiglio italiano per i rifugiati è nato nel 1990, sotto il patrocinio
dell’unhCr. L’obiettivo fondamentale del Cir è la promozione del diritto d’asilo che viene perseguito attraverso la difesa dei diritti dei rifugiati e dei richiedenti asilo, per l’affermarsi di un sistema integrato ed efficiente che si sviluppi nelle
diverse fasi dell’accoglienza, dell’integrazione e dell’eventuale ritorno assistito
nel Paese di origine, in attuazione dei principi stabiliti dal sistema internazionale
dei diritti umani.
tutta l’azione del Cir mette al centro la persona umana, i suoi diritti, le sue
necessità, la sua dignità. non avendo nessun vincolo, né politico, né religioso,
l’unico parametro di riferimento sono i diritti umani. Gli interventi “politici” che
l’organizzazione realizza, infatti, sono destinati unicamente a creare migliori condizioni per la persona costretta alla fuga dal proprio paese.
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1. Il progetto Together with VI.TO.
tra le attività che hanno contraddistinto e qualificato la lunga esperienza del
Cir, qui ci preme sottolineare l’impegno dedicato da quasi vent’anni alla cura e
alla riabilitazione dei rifugiati sopravvissuti a tortura che si è concretizzato attraverso progetti che hanno consentito di creare uno spazio dedicato alle Vittime
di tortura (Vi.to.).
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2 Diritti Umani: focus su asilo e tortura
2.1 Camerun
il Camerun firmatario delle principali Convenzioni internazionali, come
quella di Ginevra sullo status di rifugiato del 1951 e il suo protocollo del
1967, ha anche ratificato la Convenzione dell’organizzazione per l’unità
africana (oua) del 1969, che disciplina gli aspetti specifici dei problemi dei
rifugiati in africa.
riconoscendo la Convenzione onu del 1951 come “lo strumento fondamentale e universale relativo allo status dei rifugiati” e facendo propria la definizione di rifugiato ivi contenuta, la Convenzione dell’oua amplia la definizione stessa e racchiude altre importanti disposizioni. in particolare include
nella definizione di rifugiato anche “ogni persona vittima di aggressione
esterna, e proveniente da un territorio occupato, dominato da stranieri o
caratterizzato da eventi che influenzano gravemente l’ordine pubblico”. in
questi 45 anni la Convenzione ha reso possibile a milioni di africani di raggiungere la sicurezza e di ricevere protezione e assistenza. nel 2005 il
Camerun si è dotato di una specifica legge sull’asilo (Refugee Law) che risulta
molto avanzata e che include oltre alla definizione e allo spirito delle
Convenzioni di Ginevra e dell’oua, i principi del non refoulement, del divieto
di espulsione e l’esenzione da eventuali sanzioni legate all’ingresso illegale.
nel novembre 2011 il Camerun ha anche firmato per l’attuazione di una
legge che riguarda l’istituzione di Commissioni di Eleggibilità e di specifiche
Commissioni d’appello. nell’agosto 2012 i membri di queste due
Commissioni sono stati ufficialmente nominati. tuttavia, il Paese è tra i pochi
stati africani a non aver sottoscritto la convenzione di Kampala, strumento
che obbliga i governi a proteggere e assistere le persone che sono state
costrette ad abbandonare le loro case senza oltrepassare il confine nazionale,
i cosiddetti “rifugiati interni”.
in un’area così devastata da conflitti, il Camerun rappresenta un punto
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o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o . ”
2. Diritti Umani: focus su asilo e tortura
particolarmente forte in termini di stabilità e per questo è diventato un
approdo sicuro per un numero significativo di rifugiati. nei primissimi mesi
del 2014, il numero di rifugiati provenienti dalla repubblica Centrafricana
risulta in costante e forte aumento.
alla fine del 2013 il numero di rifugiati e richiedenti asilo ospitati nel Paese
oltrepassava le 104.000 persone. La maggioranza di queste persone proveniva dalla repubblica Centrafricana con 94.720 unità, e dal Ciad con 3.470,
unità.
Più di 8.000 rifugiati attualmente vivono nelle aree urbane del Camerun,
la maggior parte di loro proviene da vari Paesi limitrofi e dalla regione dei
Grandi Laghi, così come dall’africa occidentale e orientale. Le condizioni di
vita nelle aree urbane rimane critica, e un ampio numero di rifugiati vive in
piccoli alloggi in condizioni igieniche e sanitarie al di sotto di qualsiasi standard e privi di qualsiasi opportunità di interrompere il ciclo della povertà.
Tortura
Per quanto riguarda in modo specifico i trattati e i meccanismi di prevenzione della tortura, il Camerun ha ratificato la Convenzione Onu contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti il 19 dicembre
1986 (Cat) e firmato il suo protocollo opzionale (oPCat) il 15 dicembre
2009. il protocollo non è stato a tutt’oggi ratificato. nel Febbraio 2007 il
Camerun ha inoltre firmato la Convenzione Internazionale per la Protezione di
tutte le persone dalla sparizione forzata (CEd).
La Costituzione camerunese, modificata con la legge 96/06 del 18
Gennaio 1996, proibisce la tortura e i trattamenti crudeli, inumani e degradanti, e l’art 121 del Codice di Procedura Penale bandisce la tortura.
La Commissione africana dei diritti dell’uomo e dei Popoli, in occasione
della sua ultima visita del 2010, ha raccomandato al Camerun di collaborare
al fine di prevenire la tortura e altri maltrattamenti, con la pronta implementazione delle Robben Island Guidelines, (riG). il riG è uno strumento fondamentale che mira a promuovere all’interno della regione africana dei meccanismi nazionali specifici di prevenzione della tortura, obbligando gli stati a
favorire e agevolare le visite da parte di un comitato di monitoraggio in tutti
i luoghi dove le persone sono private della loro libertà. a tutt’oggi il Governo
del Camerun non ha implementato le Robben Island Guidelines . E visto che il
comitato per la compensazione, introdotto all’art 236 del Codice di
Procedura Penale, non risulta ancora effettivo, le vittime di tortura non sono
in grado di reclamare la compensazione prevista dalle Robben Island
Guidelines e dall’art.14 della Convenzione Onu contro la Tortura.
nelle conclusioni e raccomandazioni del quarto rapporto periodico del
Comitato contro la tortura delle nazioni unite sul Camerun del Maggio
2010, si esprime preoccupazione per la durata della detenzione provvisoria,
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2. Diritti Umani: focus su asilo e tortura
e si auspica un immediato miglioramento delle condizioni di detenzione,
ponendo particolare attenzione al sovraffollamento. al contempo vengono sottolineati i progressi registrati dal Paese nella sfera legislativa e istituzionale.
amnesty international nel corso di due visite nelle più importanti carceri
camerunesi, (yaoundé e douala) nell’agosto 2010 e nel dicembre 2012 ha
sottolineato le gravi condizioni di detenzione che includevano l’inadeguatezza dei servizi sanitari, il grave sovraffollamento, la carenza alimentare dei prigionieri e i casi di maltrattamento.
Varie organizzazioni umanitarie delle nazioni unite hanno espresso preoccupazione circa le condizioni delle prigioni camerunesi. alla quarantaquattresima sessione del Comitato delle nazioni unite contro la tortura, tenutasi nel
maggio 2010, il Comitato ha espresso la sua preoccupazione per le deplorevoli condizioni in cui versavano le carceri, con episodi di violenza tra i prigionieri, mancanza di igiene e scarsità di cibo.
L’assemblea generale delle nazioni unite ha adottato di conseguenza la
risoluzione 43/173 con la quale ha raccomandato al Governo di attuare
misure adeguate per conformare le condizioni di detenzione nelle carceri,
così come nelle gendarmerie e nelle stazioni di polizia, adeguandole ai
Principi della Protezione di tutte le persone sottoposte a qualsiasi forma di
detenzione o imprigionamento.
inoltre 1734 misure disciplinari sono state adottate per personale della
sicurezza nazionale nei soli anni 2009, 2010 e 2011.
2.2 Ciad
il Ciad è firmatario delle principali Convenzioni internazionali, tra cui quella di Ginevra sullo status di rifugiato del 1951 e il suo protocollo del 1967, il
Ciad ha anche ratificato la Convenzione dell’organizzazione per l’unità
africana (oua) del 1969, che disciplina gli aspetti specifici dei problemi dei
rifugiati in africa. ha inoltre firmato, ma non ancora ratificato la Convenzione
internazionale per la protezione di tutte le persone dalla sparizione forzata
(CEdaw).
il Paese ha anche ratificato un ampio numero di trattati internazionali e
regionali, riguardanti in modo specifico la protezione dei prigionieri, infatti
sia la costituzione ciadiana che le leggi in vigore garantiscono la protezione
di base dei diritti dei prigionieri.
L’alto Commissariato delle nazioni unite per i rifugiati (unhCr) ha iniziato una stretta collaborazione con la Commission Nationale d’Accueil, de
Réinsertion des Refugiés et Rapatriés (Cnarr) e altre autorità nazionali per promuovere l’adozione di una proposta di legge sull’asilo, oltre che per incrementare il rilascio di certificati riguardanti lo stato civile, includendo soprattutto i certificati di nascita per i bambini rifugiati sudanesi e migliorare in
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2. Diritti Umani: focus su asilo e tortura
generale il sistema di registrazione e verifica della popolazione rifugiata.
nei primi mesi del 2014 sono entrati in Ciad circa 350.000 rifugiati provenienti dalla repubblica Centrafricana a causa della recente crisi iniziata con
l’avvento del potere militare nel marzo 2013. del resto, già nel 2013, il Ciad
ha affrontato simultaneamente due emergenze accogliendo circa 10.000
rifugiati provenienti dalla repubblica Centrafricana (rCa), e oltre 30.000 rifugiati sudanesi provenienti dal darfur occidentale. i nuovi rifugiati dal sudan
hanno portato il numero totale di rifugiati sudanesi a 348.528. L’enorme flusso di rifugiati ha richiesto l’ampliamento dei campi esistenti e la creazione di
nuovi.
il Ciad dal 2003 (in coincidenza con gli scontri interetnici che hanno dato
luogo alla prima crisi del darfur e poi da quando si è acuita la crisi della
repubblica Centrafricana) ha continuato ad adottare una politica di apertura
nei confronti dei rifugiati, tanto che ad oggi non sono stati segnalati casi di
respingimento, e continua a crescere anche il numero di rifugiati urbani e
richiedenti asilo provenienti in maggioranza dalla repubblica democratica
del Congo (rdC). ad aggravare la situazione è da sottolineare che la stragrande maggioranza dei rifugiati è rappresentata da donne e bambini.
Tortura
Per quanto riguarda la tortura, il Ciad dal 9 giugno 1995 è firmatario della
Convenzione onu contro la tortura (Cat), e dal 26 settembre 2012 ha firmato il collegato Protocollo opzionale (oPCat), inoltre l’art. 18 della
Costituzione del Ciad, afferma che “nessuno potrà essere soggetto a trattamenti, crudeli, degradanti, umilianti o a tortura”. nonostante ciò il Codice
Penale ciadiano a tutt’oggi non fornisce una definizione di tortura, anche se
l’art 247 del Codice stesso stabilisce che chiunque, qualsiasi sia il suo stato,
nel commettere dei crimini commetta anche atti di tortura o barbarie, sia
passibile di una pena assimilabile a chi è colpevole di omicidio. Questo è l’unico articolo del codice dove è menzionata la tortura, che è in questo modo
riconosciuta semplicemente come una circostanza aggravante. in questo
modo la tortura non è definita in nessuna parte come un crimine in sé. ne
deriva che gli atti di tortura siano punibili solo se collegati ad altri crimini.
Questa assenza di una definizione di tortura nella normativa ciadiana, insieme al fatto che la tortura non è considerata un atto criminale in senso stretto apre le porte all’impunità per i torturatori.
a livello regionale il Ciad è firmatario di numerosi trattati e di importanti
strumenti internazionali e regionali specifici per quanto riguarda le condizioni detentive nelle prigioni locali.
tra le indicazioni importanti in questa materia, vanno sottolineate quelle
incluse nella dichiarazione universale dei diritti umani, nelle regole sugli
standard minimi del trattamento dei prigionieri, nei principi base per il trat17
o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o . ”
2. Diritti Umani: focus su asilo e tortura
tamento dei prigionieri, nonché nel Corpo dei Principi delle nazioni unite per
la protezione di tutte le persone che si trovino sottoposte a qualsiasi forma di
imprigionamento o detenzione.
amnesty international in una pubblicazione specifica sulle condizioni delle
carceri in Ciad rileva che la stragrande maggioranza delle prigioni sono
sovraffollate e che nonostante il numero dei prigionieri in Ciad sia relativamente basso le condizioni dei detenuti risultano particolarmente gravi. alla
fine del 2012 infatti, il numero dei detenuti nelle 45 carceri del Paese, era al
di sotto delle 5.000 persone, mentre la popolazione locale era stimata in circa
11,5 milioni. nonostante amnesty international sia consapevole che in questo momento le risorse economiche, umane, finanziarie e tecniche del Ciad
siano limitate, non può esimersi dal rilevare l’urgenza di porre fine alle condizioni carcerarie dei detenuti, gravemente al di sotto degli standard minimi
internazionali e persino delle indicazioni contenute nella stessa Costituzione
del Paese e nelle sue leggi. in particolare il rapporto sottolinea la gravità del
fatto che le autorità in questo modo non sono in grado di prevenire le violazioni dei diritti umani e gli abusi compiuti dallo stesso staff interno, azioni
commesse spesso in una situazione di totale impunità.
nell’ultima visita del Comitato contro la tortura delle nazioni unite
(2009), il Comitato stesso ha evidenziato positivamente la consapevolezza da
parte del Governo del divario tra le sue leggi interne riguardanti l’eliminazione e la prevenzione della tortura e l’effettiva adozione dei contenuti della
Convenzione. a tutt’oggi il Ciad non ha ratificato l’oPCat né incluso una
esplicita definizione di tortura nel Codice Penale, in linea con gli articoli 1 e
4 della Convenzione.
all’epoca della sua visita, il Comitato contro la tortura, nel sottolineare
questa grave mancanza ha comunque apprezzato gli impegni espressi dal
Governo per migliorare il Codice Penale, inserendo finalmente la definizione
di tortura, anche se le proposte espresse fin qui dal Governo ciadiano sono
state ritenute incomplete e non totalmente conformi all’art. 1.
Purtroppo ancora persiste un significativo divario tra gli impegni internazionali, la normativa interna del Ciad e la prassi. La Costituzione riconosce il
primato della legge internazionale sulla legge interna e gli obblighi previsti
dai trattati internazionali ratificati sono indirizzati a tutti gli agenti pubblici
inclusi quelli che prestano servizio negli uffici penitenziari.
a questo proposito va sottolineato che i medici ciadiani hanno adottato i
Principi dell’etica medica fondamentali per quanto riguarda il ruolo del personale sanitario e per quanto riguarda soprattutto i medici che prestano servizio per la protezione dei prigionieri e dei detenuti.
a livello regionale il Ciad ha anche adottato le linee guida e le misure
riguardanti la Proibizione e la prevenzione della tortura e delle punizioni e dei
trattamenti crudeli inumani e degradanti contenute nelle Linee guida di
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o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o . ”
2. Diritti Umani: focus su asilo e tortura
robben island, così come nella dichiarazione di Kampala, sulle condizioni
delle carceri in africa.
La Costituzione ciadiana protegge i diritti fondamentali e le libertà di tutti
i cittadini ciadiani e protegge anche gli stranieri legalmente residenti in Ciad.
il diritto alla vita così come quello all’integrità fisica e mentale è ugualmente
protetto, visto che la proibizione della tortura e delle punizioni e dei trattamenti crudeli disumani o degradanti è inclusa nella Costituzione ciadiana. La
costituzione proibisce anche detenzioni illegali e arbitrarie.
2.3 Italia
a tutt’oggi in italia manca un testo unico sull’asilo che dia attuazione con
norme organiche all’art 1 comma 3° della Costituzione. Le norme attualmente vigenti in materia d’asilo derivano in modo pressoché esclusivo dal recepimento delle direttive Europee sull’accoglienza dei richiedenti asilo, sulle procedure di esame delle domande e sulle Qualifiche, per la Protezione
internazionale.
L’italia dovrebbe pertanto garantire gli standard previsti dalla Direttiva
sull’Accoglienza, e quindi l’inserimento immediato di richiedenti asilo nelle
strutture d’accoglienza. inoltre, dovrebbe prevedere un programma nazionale d’integrazione tutt’ora mancante.
L’italia è determinata a promuovere meccanismi per il superamento del
regolamento dublino che contiene criteri di determinazione dello stato
competente all’esame delle domande di asilo che finiscono per gravare solo
sugli stati che hanno frontiere esterne dell’unione e che sono in particolare
quelli del Mediterraneo. tali normative contengono disposizioni così inefficaci e inique da costituire il principale punto critico dell’intera normativa europea sull’asilo.
il numero dei richiedenti asilo arrivati in italia negli ultimi cinque anni è
stato particolarmente fluttuante, sia in connessione con le crisi internazionali
che con gli esiti delle politiche migratorie. Gli anni 2010-2011 sono stati
infatti caratterizzati da un improvviso cambiamento della politica italiana nei
confronti delle migrazioni e dell’asilo. nel 2009 è stata adottata una prassi
indiscriminata di respingimenti verso le coste libiche di tutti i migranti in arrivo in italia, attraverso il canale di sicilia. L’accordo italo-libico aveva prodotto un grave fenomeno di intercettazione in mare e di respingimento verso la
Libia, senza che fosse preventivamente determinato se le persone respinte
fossero state rifugiati, vittime di tortura o vulnerabili. apparentemente questa
politica ha inizialmente prodotto gli esiti desiderati, determinando una riduzione molto significativa nel numero degli arrivi. i migranti, tra loro i rifugiati e le vittime di tortura, sono rimasti intrappolati in Libia. in questo senso il
diritto internazionale di protezione ha registrato un grave arretramento. nel
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o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o . ”
2. Diritti Umani: focus su asilo e tortura
2010 solo 10.050 persone hanno fatto domanda d’asilo in italia. il Cir in quegli anni, riconoscendo la priorità politico-strategica costituita dalla Libia, sia
in termini di rispetto dei diritti umani in generale che in termini di Protezione
internazionale, ha iniziato un lavoro in loco che ha tra l’altro consentito di raccogliere le testimonianze necessarie a presentare il ricorso contro i respingimenti alla Corte dei diritti umani di strasburgo. tale ricorso ha portato alla
condanna dell’italia per violazioni dei diritti umani fondamentali (vds sentenza CEdu 23.02.2012 n.27765, hirsi e altri v. italia). nel 2011, 62.300
migranti e rifugiati sono sbarcati in italia, di cui la maggior parte provenienti
dalla tunisia (27.000) e dalla Libia (28.500). tra quelli libici, originari di diversi Paesi dell’africa sub sahariana, non tutti erano rifugiati strictu senso. ai tunisini è stata inizialmente garantita una protezione temporanea, mentre la
domanda di protezione della maggior parte delle persone, di varia provenienza giunte dalla Libia, è stata rifiutata. il numero di migranti e rifugiati sbarcati in italia nel corso del 2012 ha raggiunto circa le 13.000 unità. nel luglio
dello stesso anno, il Commissario dei diritti umani del Consiglio d’Europa, al
termine della sua visita in italia, ha riportato le gravi lacune del sistema d’accoglienza e d’integrazione in italia.
secondo l’ultimo rapporto dell’unhCr nel 2013 circa 43.000 persone
hanno raggiunto le coste italiane. Questo numero rappresenta un aumento
di più del 300% rispetto all’anno precedente. i tragici naufragi dell’inizio dell’ottobre del 2013, sulle coste di Lampedusa, che hanno causato più di 400
morti, hanno richiamato l’attenzione di tutti sulle tragiche circostanze di questi arrivi. nei soli primi 5 mesi del 2014 sono state registrate 40.000 persone
sbarcate in italia; di queste solo 22.000 hanno presentato richiesta d’asilo e
gli altri, in particolare molti siriani e Eritrei hanno cercato di raggiungere
diversi Paesi della u.E.
Tortura
L’art. 13 della Costituzione italiana stabilisce il principio secondo cui “È
punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a
restrizioni di libertà”.
il divieto di tortura è contemplato non solo da numerose convenzioni
generali sui diritti umani, di cui l’italia è firmataria, ma anche da specifici trattati come la Convenzione Onu contro la Tortura del giugno del 1984 (Cat) e
la Convenzione Europea per la Prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti crudeli, inumani e degradanti sempre del 1987.
L’italia ha inoltre firmato il Protocollo opzionale alla Convenzione onu
contro la tortura (oPCat) il 20 agosto del 2003, ratificandolo solamente nell’aprile 2013. Finalmente nel febbraio 2014, l’italia ha anche stabilito per
legge, un’autorità nazionale, come prescritto dall’oPCat, (Garante
nazionale per i diritti delle persone detenute e private della libertà persona20
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2. Diritti Umani: focus su asilo e tortura
le). Questa autorità rappresenta il vero e proprio meccanismo nazionale di
prevenzione che includerà autorità nazionale, regionale e comunale. il processo di selezione per i tre membri dell’autorità nazionale non si è ancora
concluso, e un regolamento di attuazione della legge dovrà essere emanato
dal Ministero della Giustizia in coordinamento con i membri dell’autorità
nazionale appena eletti.
in questo ambito, la principale lacuna dell’italia è il mancato inserimento
del reato di tortura nel Codice Penale. Le legislature che si sono succedute
negli anni, hanno spesso espresso buone intenzioni e buone proposte di
legge che tuttavia non hanno mai raggiunto il traguardo dell’approvazione
definitiva. non è difficile ipotizzare che su questo ritardo abbia pesato il pregiudizio che l’introduzione del reato di tortura potesse incidere negativamente sui numerosi processi in corso a carico di rappresentanti delle forze dell’ordine per fatti in qualche modo riconducibili a violenze commesse a vario titolo ai danni di persone sottoposte a condizione di limitazione delle libertà personali, in particolare nella fase in cui ancora erano assenti provvedimenti
legittimatori dell’arresto o della detenzione.
ormai da più parti, sono presenti forti richieste perché l’italia si adegui,
colmando quel vuoto normativo, visto che la normativa internazionale appare chiara e direttamente applicabile. solo in questo modo si darebbe un senso
effettivo al disposto dell’art. 13 della Costituzione.
secondo quanto affermato da amnesty international nel rapporto
annuale del 2013, le condizioni di detenzione e il trattamento dei detenuti in
molti istituti di pena italiani, così come nei Centri di identificazione espulsione (CiE) sono disumane e hanno violato i diritti dei detenuti, compreso il
diritto alla salute. ad aprile, il senato stesso ha reso pubblico un rapporto
sullo stato delle prigioni e dei centri di detenzione per i migranti, documentando un grave sovraffollamento e l’incapacità di tutelare il rispetto della
dignità umana e degli altri obblighi internazionali.
La Corte di strasburgo ha pronunciato una sentenza pilota contro l’italia,
ingiungendo allo stato italiano di adottare, entro un anno dalla sentenza definitiva (maggio 2014) provvedimenti rapidi per porre fine alla violazione dell'art.3, affermando esplicitamente che il numero dei detenuti deve diminuire.
Quella della Corte europea dei diritti dell'uomo è una sentenza annunciata e conferma la necessità che temi come la crisi delle carceri e la riforma della
giustizia, acquistino centralità nel dibattito politico, affrontando l'emergenza
con strumenti adeguati.
il sovraffollamento carcerario è un problema strutturale e va affrontato
appunto con riforme strutturali, incrementando le misure alternative e intervenendo sull'abuso della custodia cautelare, tradizionale luogo di maltrattamenti e comportamenti disumani e degradanti.
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2. Diritti Umani: focus su asilo e tortura
anche le condizioni nei CiE sono state, come documenta amnesty
international, ben al di sotto degli standard internazionali e secondo quanto
segnalato, le tutele legali riguardanti la misura di rimpatrio coatto dei migranti irregolari sono state violate in molte occasioni.
La Campagna LasciateCiE Entrare e Medici per i diritti umani (MEdu)
hanno più volte sottolineato l’urgenza della chiusura dei CiE, congenitamente incapaci di garantire il rispetto dei diritti fondamentali e della dignità della
persona.
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o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o . ”
3. Dal trauma estremo
al Disturbo Post-Traumatico Complesso
Nuovi paradigmi per la comprensione
e la cura delle vittime di tortura
3.1 Evoluzione del concetto dei disturbi post-traumatici
L’identificazione di nuovi quadri sindromici in grado di cogliere in maniera più fedele e coerente la complessa realtà della sofferenza e i meccanismi
eziopatogenetici sottesi, con la conseguente formulazione di nuove entità
diagnostiche, ha sempre rappresentato un momento evolutivo importante
per il progresso della medicina, in quanto presupposto essenziale per lo sviluppo di metodi di cura sempre più specifici ed efficaci.
in campo psichiatrico, negli ultimi venti anni, le maggiori novità e i più
significativi progressi hanno riguardato proprio la psico-traumatologia. da un
primo passo, importante come tutti i primi passi, in cui si riconosceva finalmente un quadro psicopatologico a sé stante e direttamente conseguente a
esperienze traumatiche, definito disturbo Post-traumatico da stress (Ptsd),
si è passati, sulla base dell’esperienza, della ricerca clinica e di rilevanti nuovi
dati neurobiologici, a identificare quadri clinici e sindromici diversi correlati a
tipologie specifiche di esperienze traumatiche. E’ oggi da ritenersi oramai
superato il concetto di disturbo Post-traumatico da stress come entità a sé
stante, onnicomprensiva ed esaustiva di ogni evoluzione patologica di esperienze traumatiche. nel corso dell’ultimo decennio si è andata invece delineando, sulla base di numerose evidenze cliniche e di ricerca, una nuova
entità diagnostica definita disturbo Post-traumatico Complesso (o ComplexPtsd), patognomonica dei quadri psico-patologici conseguenti a una particolare tipologia di traumi, definiti traumi estremi. in questa definizione rientrano tutti i traumi di natura interpersonale, ripetuti o continuativi, subiti in
stato di sottomissione e/o coercizione. Questo tipo di traumi, in virtù delle
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3. Dal trauma estremo al Disturbo Post-Traumatico Complesso
caratteristiche suddette, sono in grado di indurre profonde e specifiche alterazioni psicodinamiche e neurobiologiche, di natura assai diversa da quelle
conseguenti ad altri tipologie traumatiche. L’individuazione dei pattern clinici e neurobiologici conseguenti, in maniera del tutto caratteristica, a esperienze traumatiche estreme e dei quadri sindromici da questi determinati, ha
rappresentato il presupposto per la definizione del disturbo Post-traumatico
Complesso. Questa nuova entità diagnostica è in grado, finalmente, di esprimere e contenere in sé, in maniera più fedele e articolata, la reale natura e la
specificità degli esiti psicopatologici da trauma estremo, permettendo un
decisivo progresso nella comprensione dei disturbi e della sofferenza delle vittime di esperienze traumatiche estreme e un notevole avanzamento nell’individuazione di nuove e più efficaci strategie terapeutiche.
base fondamentale del concetto di disturbo Post-traumatico Complesso
è la sua essenziale natura integrativa, che va ben al di là di una semplice cecklist di sintomi e disturbi. in particolare in esso si identificano tre aree di manifestazioni psicopatologiche, fortemente correlate tra loro: somatizzazione,
dissociazione, disregolazioni emozionali/affettive e degli impulsi. altre caratteristiche distintive sono poi le alterazioni patologiche del carattere (cambiamenti di personalità, alterazioni della sfera relazionale e dell’identità), la tendenza a fenomeni di ripetizione dell’esperienza traumatica (autolesionismo,
automutilazione, elevato rischio di subire nuovi abusi o di divenire egli stesso
abusante), i disturbi dell’attenzione e dello stato di coscienza, i disturbi nei
sistemi di attribuzione del significato e nella percezione del sé. Questi clusters
sono principalmente sostenuti da fenomeni dissociativi di tipo strutturale
secondario. in questo senso deve essere valorizzata la posizione del Complex
Ptsd all’interno di un continuum di esperienze dissociative che vedono a
un’estremità fenomeni assolutamente non patologici e riscontrabili nel vita di
ogni persona e dall’altra i disturbi da identità Multipla, passando per il
disturbo borderline di personalità, che come è noto, è legato nella maggior
parte dei casi a traumi e abusi prolungati vissuti durante l’infanzia.
il mancato riconoscimento del Complex Ptsd, come prevedibile e assai
probabile conseguenza di situazioni traumatiche estreme può comportare
un’idea errata della psicologia del sopravvissuto, spesso condivisa dalla
società e anche dai professionisti della salute mentale, alimentando malintesi e fraintendimenti. Le difficoltà cui vanno incontro i sopravvissuti sono, con
eccessiva facilità, ascritte a problemi “caratteriali” della vittima e il loro comportamento e i sintomi possono apparire sconcertanti, non solo agli occhi
della gente comune, ma anche a quelli di medici e psicologi. E’ per questo
che le persone vittime di traumi estremi rischiano spesso di ricevere una diagnosi erronea di disturbo di personalità, di essere descritti come “dipendenti”, “masochisti” o “autodistruttivi”, oppure come “aggressivi” o “non affidabili” o “bugiardi”.
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3. Dal trauma estremo al Disturbo Post-Traumatico Complesso
3.2 Dietro il Disturbo Post-Traumatico Complesso: alterazioni della
memoria e dissociazione post-traumatica
L’esperienza traumatica produce una frattura tra memoria esplicita (legata alla coscienza) e memoria implicita (non consapevole, involontaria, inconscia); questa frattura è dovuta all’inibizione selettiva che il trauma, con la
mediazione di neuromodulatori, provoca sull’ippocampo ma non sulle strutture della memoria implicita. L’evento traumatico estremo ha quindi la capacità di interrompere la continuità dell’esperienza e alterare il senso dell’identità. Le memorie traumatiche restano inscritte a livello psichico solo come
dato sensoriale-somatico, fissato nella memoria implicita. L’esperienza traumatica, non essendo compiutamente trascritta nella memoria esplicita autobiografica, diviene in questo modo inelaborabile a livello simbolico/verbale.
L’esperienza traumatica estrema non può entrare in un processo narrativo
di temporalizzazione e storicizzazione individuale, perciò non può essere
“pensabile”, ma potrà solo essere rivissuta e ri-attualizzata attraverso continui
flash-back, incubi, cefalee quotidiane e dolori somatici ricorrenti e insopprimibili, improvvisi stati di disperazione e pensieri intrusivi legati al trauma: sarà
il corpo a ricordare e non la mente.
inoltre il prolungato contatto tra la vittima e il suo persecutore tende a stabilire un tipo perverso di relazione basata sulla coercizione, in grado, se prolungata o ripetuta nel tempo e in associazione con fattori individuali predisponenti o contesti sfavorevoli, di alterare il naturale sviluppo psicologico del
soggetto in età evolutiva (modelli operativi interni, stili di attaccamento, relazioni oggettuali, sviluppo di un sé sicuro e coeso) o di produrre, anche negli
adulti, alterazioni delle strutture profonde della psiche, memoria, funzioni
associative, identità, in grado di determinare un quadro psicopatologico
complesso e multiforme, molto diverso e molto più insidioso e severo di quello del Ptsd.
La dissociazione è la conseguenza più tipica delle esperienze traumatiche
estreme. Essa rappresenta il risultato di una mancata integrazione di aspetti
della percezione, della memoria, dell’identità e della coscienza. La dissociazione fa parte dei cosiddetti meccanismi di difesa della psiche. La psiche infatti, quando si trova ad affrontare situazione difficili, conflittuali, dolorose o
francamente traumatiche, adotta, in modo del tutto inconscio, strategie
difensive al fine di proteggersi dal dolore, dal caos, dall’annichilimento.
i meccanismi di difesa si distinguono in primari e secondari. Le difese di
tipo primario sono quelle più potenti, più arcaiche e anche più “dispendiose”
per l’economia psichica globale. di solito una persona adulta, che non abbia
subito gravi traumatizzazioni nel corso della vita, utilizza per lo più difese di
tipo secondario (più evolute, non altrettanto potenti rispetto a quelle primarie ma che compromettono meno le funzioni psichiche principali). Ma, di
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3. Dal trauma estremo al Disturbo Post-Traumatico Complesso
fronte ad esperienze di portata emotiva soverchiante ed annichilente, quali la
tortura, gli stupri e le violenze estreme, le usuali difese non sono solitamente
sufficienti a proteggere la psiche dall’invasione di contenuti in grado di sconvolgerla completamente. E’ proprio per creare un ultimo argine che impedisca l’invasione psichica di contenuti che minacciano il totale annientamento
della personalità umana e la distruzione dello spirito individuale, che subentrano le difese più primitive e in particolar modo le difese dissociative: per
impedire che l’impensabile diventi esperienza.
i “vantaggi” della difesa dissociativa di fronte a condizioni insopportabili
e annichilenti sono ovvi: ci si distacca completamente dal dolore, dal terrore,
dall’orrore e dall’idea di una morte imminente. Lo “svantaggio” maggiore è
che, una volta prodottasi, specie se a seguito di traumi estremi, la dissociazione possiede una pervicace tendenza ad operare autonomamente, sotto
forma di veri e propri complessi traumatici autonomi. i frammenti inelaborabili del trauma si “incistano” all’interno di una parte (o più) di personalità che
acquista caratteri dissociativi e quindi altamente instabili, minacciando, al
momento della sua ri-attivazione, le aree più sane. Le parti dissociate tenderanno a riapparire, secondo un meccanismo di attivazione “automatico”,
assolutamente involontario, in situazioni stressanti, positive o negative, nelle
quali i confini abituali dell’io risultano minacciati. anche alcuni ricordi, con
particolare ed intensa tonalità affettiva, saranno dissociati in stati separati
della mente, e potranno tornare disponibili, spesso repentinamente, in
momenti diversi.
Le persone traumatizzate possono quindi diventare improvvisamente
amnesiche, riguardo specifiche situazioni o particolari vissuti (lacune mnesiche inconsapevoli e “parcellari”) e apparire inaspettatamente diverse negli
atteggiamenti, spesso confuse o “perplesse”. Chi osserva, a meno di non
essere un esperto o di non aver avuto anche lui una storia traumatica, non
sospetta mai una dissociazione, ma è invece portato a concludere che il suo
interlocutore sia instabile, “strano”, di cattivo umore, oppure un bugiardo.
Clinicamente le forme dissociative post-traumatiche si caratterizzano per
la insorgenza improvvisa e spesso sollecitata da stimoli che per via assimilativa riconducono, a volte in maniera imperscrutabile, alle esperienze della tortura, al contesto ambientale o a qualsiasi traccia mnesica ad essa associata.
situazioni particolarmente favorevoli all’attivarsi di una dissociazione sono
quelle in cui è presente un confronto con l’autorità, soprattutto se percepita
come giudicante, potente e minacciosa. La durata degli episodi dissociativi
non è prevedibile ma è raro che si prolunghino oltre alcune ore. nei casi di
persistenza della dissociazione per oltre 24-36 ore è più corretto parlare di un
vero e proprio “stato dissociativo”.
un caso particolare di dissociazione è la cosiddetta “fuga psicogena”, non
così rara nell’ambito delle sequele da trauma estremo, in cui il soggetto, in
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3. Dal trauma estremo al Disturbo Post-Traumatico Complesso
stato dissociativo, si allontana dalla sua abitazione senza alcuna consapevolezza, per ricomparire solo dopo alcune ore, allorché la dissociazione è rientrata, in un posto sconosciuto anche a parecchi chilometri dai suoi luoghi abituali. una componente dissociativa può poi essere frequentemente rintracciata nei fenomeni di autolesionismo, così frequenti e specifici nelle patologie
post-traumatiche. i comportamenti autolesivi riconoscono una genesi complessa in cui però i fenomeni dissociativi hanno un importante ruolo. Gli episodi di autolesionismo si verificano quasi sempre durante la comparsa di stati
mentali dissociati con specifiche tonalità affettive. inoltre, nella maggioranza
dei casi, è presente anche una dissociazione dolorifica (“anestesia psicogena”) testimoniata dal fatto che i soggetti interessati affermano di non percepire nessun dolore durante tali crisi (pugni, calci o testate con cui si provocano ferite o fratture, tagli sulla pelle con rasoi o coltelli, bruciature con sigarette, ecc.). tra i sintomi dissociativi che più frequentemente compaiono nei
soggetti vittime di trauma estremo o tortura ci sono: la depersonalizzazione,
la derealizzazione, il numbing e il freezing, la confusione dell’identità, l’alterazione dell’identita, l’amnesia dissociativa.
3.3 Dalla tortura al Disturbo Post-Traumatico Complesso
attualmente si stima che il 33-75 % dei sopravvissuti a traumi estremi
(ripetuti, interpersonali, avvenuti in contesti di coercizione), sviluppino nel
periodo successivo all’esperienza traumatica un disturbo francamente psicopatologico, mentre, nel caso di altri tipi di esperienza traumatica, ciò accade
solo nel 10-20% dei casi (Masmas t.n. et al. 2008; Piwowarczyk L. et al.
2000; Eisenman dP et al. 2000; Kessler et al., 1995).
numerosi sono i fattori, individuali, culturali o legati ai contesti, in grado
di condizionare, in senso sfavorevole o in senso protettivo, lo sviluppo di quadri clinici psico-patologici in individui che abbiano vissuto esperienze traumatiche. riconoscere la complessità del legame che unisce le esperienze traumatiche ai conseguenti quadri psico-patologici specifici, è il miglior modo per
evitare il rischio di una riduzione semplicistica e fuorviante tra l’insorgenza
della patologia e l’evento traumatico. se è pur vero che l’esperienza traumatica è il primus movens, molti altri fattori, pre-esistenti o successivi all’evento
stesso, possono influire, in maniera significativa, sulla progressione verso le
diverse forme di sofferenza o disturbo psichico.
di notevole importanza, soprattutto per le ricadute cliniche che ne possono derivare, è poi l’andamento della storia naturale dei disturbi post-traumatici nei sopravvissuti a tortura. nel medio-lungo termine (12-24 mesi) essi
hanno la tendenza, in assenza di interventi adeguati e specifici, a permanere
sostanzialmente immutati nel tempo o ad evolvere verso il peggioramento.
tale tendenza può essere riconducibile, oltre a cause di ordine neurobiologi27
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3. Dal trauma estremo al Disturbo Post-Traumatico Complesso
co e psicodinamico, alle continue re-traumatizzazioni a cui i rifugiati sono
esposti. La fine delle torture, infatti, non significa per questi soggetti la fine
delle esperienze traumatiche, al contrario segna immancabilmente l’inizio di
una teoria di eventi (la fuga e il viaggio, l’esilio con la perdita di ogni riferimento e affetto, la precarietà esistenziale, l’assenza di accoglienza e l’emarginazione, le frequenti nuove violenze o soprusi nel Paese d’asilo,ecc.) ancora
una volta di natura traumatica.
Lo sviluppo di un modello patogenetico complesso delle sindromi posttraumatiche, basato su processi di causalità reciproca, che tenga quindi
conto, non solo del momento traumatico identificato come primus movens,
ma che riconosca finalmente la genesi multifattoriale delle patologie posttraumatiche, permette di recuperare quella tridimensionalità originale, indispensabile a una comprensione effettiva del fenomeno, e conseguentemente
a interventi di prevenzione, cura e riabilitazione più efficaci e specifici.
3.4 Specificità e precocità della cura per la riabilitazione efficace dei
sopravvissuti a tortura
in considerazione della gravità e della specificità delle conseguenze psicologiche dei traumi estremi, un trattamento efficace richiede l'integrazione di
diversi interventi terapeutici sia contemporanei, sia in successione.
L'esperienza clinica acquisita dai centri specialistici nel trattamento dei
sopravvissuti a tortura, in linea con gli approcci e le tecniche terapeutiche
descritte dalla letteratura scientifica più recente, ha definito tre fasi principali
dell'intervento terapeutico. Queste si possono descrivere come:
1) Fase precoce o di stabilizzazione e riduzione dei sintomi;
2) integrazione delle memorie traumatiche;
3) integrazione della personalità e sviluppo delle competenze relazionali e
metacognitive.
nel caso specifico dei rifugiati sopravvissuti a tortura, il ruolo dell'instabilità sociale, della marginalità, della “desertificazione” emotiva, delle incertezze
rispetto al proprio futuro, della perdita della cultura e dell'identità personale
e sociale precedente aggravano il peso delle gravi sequele psicopatologiche
prodotte dalle esperienze di violenza e tortura. tali problematiche aggiungono incertezze e ostacoli all'evoluzione del processo clinico verso il superamento dell'impasse conseguente alle esperienze traumatiche precedenti. di
conseguenza, la storia naturale delle condizioni post-traumatiche complesse
in questi pazienti tende a condurre verso un'esacerbazione sintomatica e una
cronicizzazione, se non sono messi in campo trattamenti adeguati. in questo
senso, la fase precoce risulta cruciale.
La possibilità di avere accesso a interventi multidisciplinari integrati, con28
o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o . ”
3. Dal trauma estremo al Disturbo Post-Traumatico Complesso
dotti da professionisti esperti, dovrebbe essere considerata una conditio sine
qua non nel trattamento del trauma complesso nei rifugiati sopravvissuti a
tortura. Le equipe dovrebbero includere medici, psicologi, assistenti sociali,
assistenti legali e formatori. in questo campo, diversi approcci, generalmente
non considerati interventi terapeutici in senso stretto, come la holding
sociale, l'assistenza legale e la riabilitazione psico-sociale sono parti rilevanti
del trattamento. solo da un approccio multidisciplinare di questo tipo possono derivare una sufficiente adesione terapeutica, la possibilità di instaurare
una relazione terapeutica positiva e il raggiungimento di una stabilizzazione
sintomatica.
29
o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o . ”
4. Specificità culturali nelle sindromi
post-traumatiche
4.1 I disturbi post-traumatici nelle diverse culture
nella letteratura, nella mitologia e in numerosi studi nell’ambito dell’antropologia e dell’etnografia sono rintracciabili dei chiari esempi di come, da
sempre e in ogni parte del mondo, l’uomo abbia cercato di comprendere e
di arginare, ove possibile, gli “effetti” che diversi eventi ed esperienze, che
oggi definiremmo “traumatiche”, potevano sortire, sia a livello comportamentale che sintomatico.
i disturbi post-traumatici, nei paesi occidentali, sono stati inquadrati in
maniera organica all'interno di una nosografia sistematica solamente a partire dal 1980, infatti sia nel dsM-iii, sia nell'iCd-10, è comparso il Ptsd al cui
interno venivano accolti quei quadri sindromici secondari ad esperienze traumatiche che nei decenni precedenti erano stati descritti in vario modo da
autori diversi. E' a partire dalla fine del XiX secolo che la medicina ufficiale si
è interessata alle conseguenze degli eventi traumatici. inizialmente rivolse
l'attenzione alle conseguenze psichiche degli incidenti ferroviari (“railway
spine”, lesioni spinali ferroviarie) e via via, ad altre tipologie di situazioni traumatiche. infatti, è studiando le reazioni dei soldati in tempo di guerra, che si
fecero enormi passi avanti nella comprensione degli effetti degli stress traumatici sull’adattamento psicologico. shock da granata era il termine utilizzato per le reazioni da stress, chiamate in precedenza “shock nervoso”, “nevrosi traumatiche” (yule, 1999 per una rassegna sul tema), “nevrosi d’angoscia”
(Freud, 1919) o “nevrosi da paura”. all’inizio, lo shock da granata veniva concepito, in termini puramente fisici, come uno shock che causava un danno
organico al sistema nervoso. durante la seconda Guerra Mondiale, gli operatori della salute mentale furono coinvolti maggiormente nella cura dei soldati e si svilupparono concetti come “sindrome post-traumatica” (Kardiner,
1941) e “nevrosi da guerra”. Kardiner (1941) riconobbe che la sindrome comprendeva irritabilità, accessi di aggressività, soprassalti eccessivi a stimoli
30
o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o . ”
4. Specificità culturali nelle sindromi post-traumatiche
esterni e polarizzazione sull’evento traumatico. successivamente numerosi
altri clinici iniziarono a riconoscere costellazioni di sintomi nei civili esposti a
stress acuti, spesso simili a quelle osservati nei soldati in guerra. Ma è stato
solo in seguito al conflitto in Vietnam che si è avuto il riconoscimento ufficiale della sindrome del disturbo Post-traumatico da stress (sono numerosissime le denominazioni con cui negli anni precedenti gli autori si riferivano al
Ptsd: “disturbo da tunnel”, “nevrosi psichica da trauma”, “traumatofobia”,
“sindrome post-Vietnam”, “sindrome post-rapimento”, e numerosi altri nomi
relativi all’evento stressante da cui era scaturito il disturbo).
dal 1980 in poi i contributi dei clinici che si occupavano in modo particolare di psico-traumatologia hanno condotto ad una elaborazione ulteriore, in
particolare attraverso l'identificazione di quadri patologici secondari ad esperienze traumatiche particolarmente gravi (estreme o catastrofiche). si è così
arrivati alla formulazione dell’entità diagnostica del disturbo Post-traumatico
Complesso caratteristica evoluzione in senso patologico delle esperienze traumatiche estreme, quali la tortura e lo stupro. nonostante queste categorie
diagnostiche siano riferimenti utilizzati a livello internazionale nella maggior
parte degli ambienti accademici, non si può trascurare che, in alcuni ambiti
territoriali culturalmente definiti, si faccia tuttora riferimento a descrizioni di
forme di sofferenza o a quadri sindromici francamente patologici, in cui non
è sempre esplicito il nesso con esperienze traumatiche precedenti.
Questi quadri, pur presentando una indubbia assonanza tra loro, mostrano altresì alcuni caratteri specifici legati alla cultura e alle tradizioni di riferimento. La conoscenza della moltitudine delle forme che assume la sofferenza psichica conseguente ad eventi violenti, traumatici e luttuosi è di fondamentale importanza, soprattutto laddove il lavoro clinico si svolga con persone che presentano un forte radicamento alla cultura tradizionale.
osservando la descrizione di alcune sindromi etniche classiche è possibile
osservare una certa comunanza dei sintomi, anche se la genesi è di volta in
volta imputata a cause differenti. ricorrono comunque i concetti di vulnerabilità nei confronti di condizioni di vita particolarmente difficili e in alcuni casi
vengono descritte situazioni che delineano una vera e propria situazione traumatica.
nella tabella 1 sono riportate alcune delle numerose sindromi etniche, in
cui è più o meno esplicito il nesso con pregressi eventi traumatici o stressanti, tipiche di specifiche culture. E' possibile notare come esista una significativa sovrapposizione tra le sintomatologie presentate e i sintomi descritti nel
disturbo Post-traumatico Complesso. in particolare emerge una ricorrenza di
sintomi che le categorie diagnostiche occidentali, definiscono come: dissociazione somatica e psichica, fenomeni dispercettivi, sintomi da somatizzazione,
stati di terrore, ansia, aumentato arousal, impulsività e passaggio all'atto.
benché le cause psico-patogenetiche non siano sempre indicate con precisio31
o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o . ”
4. Specificità culturali nelle sindromi post-traumatiche
ne, in alcuni casi emerge l'importanza di eventi di vita stressanti o apertamente
traumatici, che si sovrappongono ad una vulnerabilità individuale specifica. tali
sovrapposizioni sembrano mostrare una fragilità di alcune persone ad eventi di
vita che irrompono in un determinato momento o che si protraggono nel
tempo, provocando una sofferenza psicologica che può assumere forme differenti a seconda dei contesti. in particolare, sembra esserci una prevalenza di
alcuni gruppi sintomatici in funzione dei contesti e delle popolazioni prese in
esame.
Tabella 1. Esempi di sindromi culturalmente caratterizzate
assimilabili ai disturbi post-traumatici
Amok
s-E asiatico
Episodio dissociativo più frequente tra gli uomini,
caratterizzato
da una esplosione di comportamento
Amok
violento, aggressivo (anche omicida) verso persone e
s-E asiatico
oggetti, associata a idee persecutorie, automatismi,
amnesie, esaurimento. Gli episodi tendono a essere
scatenati dalla sensazione di ricevere offese o insulti.
Ataque de nervios
america Latina
Ataque de nervios
america Latina
Bilis e colera
america Latina
Bilis e colera
america Latina
a
Brain fag
africa occidentale
Grida incontrollabili, attacchi di pianto, tremori, calore
al petto e alla testa, aggressività verbale o fisica, esperienze dissociative, episodi convulsivi o di mancamento, gesti suicidiari, sensazione di perdere il controllo.
i sintomi possono comprendere tensione nervosa
acuta, cefalea, tremore, urla, mal di stomaco, e, nei casi
più gravi, perdita di coscienza. L'origine viene legata
alla rabbia, che nella tradizione è considerata un emozione con un potenziale dirompente sul corpo e sulla
psiche.
alcuni studenti sviluppano delle sindromi caratterizzate
da difficoltà di concentrazione, di memoria e di pensiero, imputando tali sintomi ad un affaticamento del cervello per l'eccesso di pensiero. altri sintomi colpiscono
la regione cranica e cervicale, come dolore, sensazioni
di pesantezza o di apprensione, appannamento della
vista, sensazioni di caldo o di bruciore.
32
o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o . ”
4. Specificità culturali nelle sindromi post-traumatiche
Falling out
Caraibi
Falling out
Caraibi
Latah
asia
Latah
asia
improvviso collasso, a volte preceduto da sensazioni di
vertigine o di "galleggiamento" della testa, che comporta una perdita della vista di verosimile natura psicogena.
ipersensibilità agli spaventi improvvisi, spesso accompagnata da ecoprassia, ecolalia, obbedienza a comandi e stati dissociativi quali la trance.
Locura
america Latina
Locura
america Latina
Nervios
america Latina
Nervios
america Latina
Susto
america Latina
Susto
america Latina
Grave psicosi cronica, attribuita ad una vulnerabilità
ereditaria, su cui si sovrappongono le conseguenze di
condizioni di vita particolarmente difficili. i sintomi
comprendono incoerenza, agitazione, allucinazioni
uditive e visive, incapacità di seguire le normali regole
sociali e a volte comportamenti violenti.
stato generale di vulnerabilità nei confronti di esperienze
di vita stressanti. Con il termine nervios si intendono una
vasta gamma di sintomi di disagio emotivo, alterazione
somatica e difficoltà di funzionamento. i sintomi più
comuni comprendono cefalea e "dolore al cervello", irritabilità, mal di stomaco, disturbi del sonno, nervosismo, crisi
improvvise di pianto, difficoltà di concentrazione, tremori,
acufeni e mareos (mal di mare e vertigini).
sindrome correlata a precedenti eventi terrorizzanti,
che possono provocare una fuga dell'anima dal corpo.
i soggetti affetti dal susto sperimentano una condizione di profonda infelicità e di forte tensione rispetto a
situazioni relazionali e sociali. i sintomi possono comparire sia immediatamente dopo l'evento, sia a distanza di anni dall'evento. i sintomi tipici comprendono
disturbi dell'appetito, ipersonnia o insonnia, incubi con
risvegli precoci, calo del tono dell'umore, abulia, apatia
e perdita di autostima. alcuni sintomi somatici possono
accompagnare tale condizione, in particolare dolore
muscolare, cefalea, gastralgia e alterazioni funzionali
dell'apparato gastroenterico.
33
o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o . ”
4. Specificità culturali nelle sindromi post-traumatiche
4.2 Fattori culturali e processi migratori
La cultura gioca un ruolo determinante nel contribuire alla forma con cui
si manifesta la sofferenza dell'individuo e all'attribuzione di un significato normale o patologico a tali manifestazioni. È sempre la cultura ad organizzare le
risposte che un determinato gruppo sociale mette in atto nei confronti di chi
è stato vittima di abusi, stupri e torture.
Fatte queste premesse, risulta chiaro come la migrazione comporti due
ordini di difficoltà, in primo luogo legate alla perdita e al processo di elaborazione che questa comporta, in secondo luogo legate alle incongruenze e ai
contrasti tra culture diverse, riguardanti le espressioni dell’emotività in generale e della sofferenza psichica nello specifico. La perdita è un elemento
costante di tutte le migrazioni, pur nella variabilità legata alle varietà delle
storie migratorie. Essa riguarda la perdita delle relazioni affettive, la perdita
del senso di appartenenza alla collettività di riferimento, il venir meno della
identità sociale e professionale e la perdita del proprio sistema di valori condivisi, in particolare di quelli culturali e religiosi. in ogni storia migratoria possono essere poi presenti perdite legate a lutti di familiari e persone affettivamente importanti, come spesso accade nel caso dei richiedenti asilo e dei
rifugiati. L'impatto di questa sequenza di perdite sul sopravvissuto è sempre
dirompente, ma può diventare impossibile da superare nel caso in cui il processo di elaborazione si svolga nel contesto di un sistema di accoglienza in
cui non siano presenti adeguate condizioni sociali e relazionali.
inoltre, è ormai chiaro l'impatto sul rifugiato dello stress d'acculturazione,
ovvero della pressione sentita dall'individuo a far confluire progressivamente
i propri comportamenti, le proprie espressioni emotive e le proprie modalità
relazionali all'interno della cornice culturale specifica del paese di arrivo, a
scapito delle modalità tipiche del paese di provenienza. tale trasformazione
comporta allo stesso tempo spogliarsi delle proprie modalità di risposta e di
elaborazione (spesso collettiva) della propria sofferenza, senza aver fatto proprie le modalità corrispondenti della cultura ospitante. si può capire come
tale fenomeno possa contribuire a esacerbare le manifestazioni della sofferenza psicologica e a isolare il soggetto che non dispone più di un contesto culturale in grado di accogliere e veicolare tale sofferenza verso un processo di
elaborazione.
4.3 Specificità culturali e differenze nell’espressione clinica nei soggetti esiliati in Italia e nei soggetti accolti in Ciad e Camerun
nell'ambito del nostro progetto abbiamo condotto un'indagine che mirava a mettere in evidenza le differenze nelle manifestazioni e nell'espressione
psicopatologica dei sopravvissuti a tortura accolti in paesi occidentali nei con34
o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o . ”
4. Specificità culturali nelle sindromi post-traumatiche
fronti di quelli accolti in paesi appartenenti alla stessa regione d’origine e culturalmente affini (ricerca rP-C).
in particolare le seguenti aree sono state valutate attraverso due focus
group e un questionario ad hoc (vedi “metodologia” nel capitolo sulla ricerca) compilato dalle equipe partner del progetto:
• Peculiarità delle manifestazioni cliniche nei rifugiati sopravvissuti a tortura
o traumi estremi nelle popolazioni dell'africa centrale e occidentale.
• La capacità di esplicitare e condividere all'interno di una relazione stabile (terapeutica e/o familiare) i vissuti emotivi e le memorie traumatiche.
• il ricorso a pratiche di cura tradizionali, l’efficacia dei trattamenti e la
possibilità di integrazione con metodi di cura più propriamente occidentali.
• il ruolo svolto, sull'andamento e sull'esito del processo di cura, dalla permanenza del sopravvissuto nel proprio gruppo familiare e sociale di riferimento, eventualmente coinvolto nei processi di cura stessi.
• accessibilità alle cure psichiatriche e alle terapie psicofarmacologiche.
4.3.1 Risultati della ricerca sulle specificità culturali - Ricerca RP-C
di seguito presentiamo quanto è emerso dall'analisi dei dati raccolti attraverso i questionari specifici e nel corso dei focus group:
a) Manifestazioni cliniche
Generalmente le persone sopravvissute a tortura non mostrano manifestazioni cliniche differenziabili dalle descrizioni presenti nelle classificazioni diagnostiche internazionali. in una piccola percentuale di casi alcune persone
credono che i propri disturbi siano dovuti all”'ira degli antenati” o a “maledizioni” delle divinità locali. in tali casi i disturbi prevalenti sono riconducibili soprattutto a sentimenti di colpa e di auto-recriminazione. nella cultura africana nulla accade senza una ragione precisa e un individuo che non
trovi una chiara spiegazione dei propri vissuti, prova a cercarne l'origine in
qualcosa accaduto dentro di sé (influenza negativa di entità sovrannaturali, conseguenze delle colpe dei propri antenati o di azioni proprie percepite come condannabili). Questo meccanismo rappresenta il presupposto psicodinamico delle manifestazioni prevalenti in questo tipo di pazienti, quali
il senso di colpa, di auto-recriminazione, di auto-svalutazione e di perdita
di controllo. tali situazioni tendono spesso ad evolvere verso quadri più
gravi, con sintomi di depersonalizzazione, senso di possessione e alterazione della coesione della coscienza e del pensiero. in questi casi, come vedremo in seguito, è indispensabile una corretta lettura del fenomeno da parte
del terapeuta e, ove possibile, l'utilizzo di metodi di cura legati alle tradizioni del paziente.
35
o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o . ”
4. Specificità culturali nelle sindromi post-traumatiche
b) Capacità di esprimere la propria sofferenza psichica e consapevolezza del
trauma
L'espressione della propria sofferenza è sicuramente influenzata dalla cultura di provenienza. in alcune comunità all'uomo non è riconosciuto il diritto di lamentarsi o di piangere. il pianto, visto come espressione della propria
debolezza, è esclusivo delle donne; l'identità maschile è quindi fortemente
minacciata dall'espressione del proprio dolore.
nel caso delle donne abusate l'espressione del dolore e della sofferenza è
destinata a rimanere soffocata e inascoltata. non di rado, infatti, la donna
violata viene guardata con sospetto, deprivata del suo precedente status e
stigmatizzata dal contesto sociale di riferimento. in alcune comunità la donna
abusata viene ripudiata dalla famiglia e dal villaggio o obbligata a sottoporsi
a “rituali di purificazione” con una valenza fortemente traumatica.
E' evidente come in queste situazioni la percezione/espressione del proprio dolore, così importante nel percorso di elaborazione del trauma, sia ostacolata o resa impossibile dal fatto, culturalmente mediato, che tale espressione rappresenta una minaccia all'identità stessa della vittima.
un altro aspetto importante emerso dalla nostra indagine riguarda la
variabilità che può esistere rispetto alla consapevolezza del trauma o delle
atmosfere traumatiche vissute. in alcune comunità, come ad esempio quella
bantu, alcune forme di violenza sono considerate normali, nonostante esse
abbiano effetti devastanti su chi le subisce. Questo riguarda tanto le violenze
domestiche (violenza sulle donne e sui bambini, mutilazioni genitali femminili), quanto quelle esercitate dalle autorità sugli individui (sia da parte dei
capi villaggio, che da parte delle guide spirituali o delle forza dell'ordine).
Queste violenze, che spesso prendono la forma di vere e proprie torture,
essendo riconosciute a livello sociale e collettivo come forme legittime di educazione, punizione, riti di passaggio, ecc., non possono essere percepite dall'individuo che le subisce come esperienze traumatiche a tutti gli effetti. a
livello individuale ciò comporta una impossibilità di individuare un nesso causale tra la violenza subita e i propri stati interni, con la conseguenza di una
vera e propria scissione delle parti sofferenti o di una attribuzione del proprio
malessere a motivazioni di tipo irrazionale, come descritto nel punto precedente. il terapeuta che lavora con clienti con questo background deve essere attento a identificare e non sottovalutare queste realtà traumatiche non
espresse. Le ferite traumatiche sono presenti e attive nella vittima, nonostante possa non averne consapevolezza. deve essere peraltro evitato l'errore
opposto di proporre una lettura in senso traumatico delle esperienze vissute
dal paziente, poiché questo, se fatto in maniera precoce o troppo enfatica,
può determinare la compromissione o la rottura della alleanza terapeutica.
36
o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o . ”
4. Specificità culturali nelle sindromi post-traumatiche
c) Il ricorso ai trattamenti tradizionali
nell'approccio al trattamento delle vittime di tortura in africa, si ritrovano le
stesse contraddizioni e sovrapposizioni presenti ad ogni livello della società africana. il forte impulso verso la modernizzazione e l'assorbimento di modelli culturali e di comportamento occidentali non ha comportato un abbandono dalla
cultura e dalle pratiche tradizionali più antiche e radicate, che permangono tuttora assai vive e centrali nella vita della maggior parte degli africani.
di conseguenza il trattamento delle vittime di tortura non può limitarsi
alle linee guida e ai modelli occidentali, ma deve necessariamente tenere presente la possibilità di integrare questi, in una certa percentuale di casi, con
interventi di tipo tradizionale. i casi possono essere di varia natura, di seguito ne presentiamo uno particolarmente interessante:
La sig.ra M è giunta al TCC con il marito, fuggiti insieme dalla
Repubblica Democratica del Congo, con la richiesta di un aiuto per un
evidente malessere psicologico. Questo era caratterizzato da aspetti
depressivi e post-traumatici, tra cui spiccavano incubi spaventosi che
comparivano ogni notte. Il trattamento integrato proposto (psicoterapia individuale, interventi psicoeducativi e di gruppo) ha consentito di
ottenere una riduzione della sintomatologia ad eccezione degli incubi
che continuavano a ripetersi incessantemente. Approfondendo il motivo della persistenza degli incubi, la sig.ra M ha posto in evidenza la
necessità di “fare qualcosa di specifico”. Ha, infatti, spiegato che
durante l'attacco subito in casa, mentre lei veniva abusata sessualmente, i genitori le sono stati uccisi di fronte. La sua fuga successiva
non ha consentito l'esecuzione del rituale necessario ad accompagnare il lutto, in particolare quello della madre, il cui spirito era rimasto in
lei provocando questi incubi. Questo sintomo, generalmente considerato un sintomo post-traumatico, anche per la sua comparsa successiva agli abusi, era in realtà espressione dell'impossibilità di elaborare
il lutto materno secondo le modalità tradizionali. Con l'aiuto della
comunità congolese a Yaoundé è stato quindi possibile eseguire il
rituale richiesto, che ha consentito che anche gli incubi potessero ridursi per poi scomparire del tutto.
il trattamento tradizionale è più utilizzato nei casi in cui la vittima di tortura provenga da aree rurali in cui la cultura tradizionale è tuttora la cultura
prevalente. un altro fattore, per molti aspetti correlato al precedente, è legato alla consapevolezza del nesso causale tra le esperienze di tortura subite e i
disturbi che affliggono il soggetto. Come già detto al punto precedente, le
violenze o le torture possono non essere percepite dall'individuo, per i motivi sovra esposti, come origine del malessere, che viene invece attribuito a
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o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o . ”
4. Specificità culturali nelle sindromi post-traumatiche
qualcosa accaduto dentro di sé per l'influenza negativa di entità sovrannaturali o per le conseguenze di colpe personali o degli antenati. E' evidente come
in questi casi, per un trattamento che voglia essere efficace, sia necessario
ricorrere a metodi di cura tradizionali. il più delle volte le cure rituali sono
organizzate con l'aiuto dei guaritori tradizionali al fine di rompere le maledizioni, a cui viene generalmente attribuita la capacità di colpire anche le generazioni future. Quando, al contrario, la persona sopravvissuta a tortura ha
consapevolezza della valenza traumatica di quanto ha subito e riconosce nel
proprio malessere la conseguenza di quanto ha vissuto, il ricorso a metodi di
cura tradizionali può non essere altrettanto necessario.
benché esistano poche ricerche sulla reale efficacia della medicina tradizionale, questo non la discredita agli occhi degli africani, poiché la percezione diffusa è di averne sempre tratto beneficio fin dall'inizio dei tempi. Con i
pazienti che credono di poter trovare la soluzione dei loro problemi solo nella
medicina tradizionale, nessun altro trattamento convenzionale potrà essere
d'aiuto se la loro credenza non viene opportunamente riconosciuta e integrata nel progetto di cura.
nel caso del trauma Centre Cameroon, ad esempio, la percentuale di
interventi di tipo tradizionale è assai bassa (intorno al 5%). Questo sembra
essere dovuto al fatto che le persone che ne beneficerebbero maggiormente
sono, come già detto, quelle provenienti da aree rurali, che generalmente
non rimangono a lungo a yaoundé, per le grosse difficoltà che presentano ad
adeguarsi e a sostenersi in un contesto sociale urbano.
d) Ruolo del gruppo familiare e sociale nel trattamento
in africa il coinvolgimento del gruppo familiare nel trattamento delle vittime di tortura è generalmente considerato estremamente importante e centrale. il sostegno sociale del gruppo e della famiglia, infatti, è percepito e considerato come fondamentale in tutti gli aspetti della propria esistenza.
Quando qualcosa succede ad una persona è tutta la famiglia che si sente
coinvolta. L'identità personale e l'identità familiare tendono a compenetrarsi
e ad essere in osmosi tra loro, in maniera assai diversa da ciò che avviene in
occidente.
Per quanto detto, l'intervento terapeutico individuale è spesso affiancato
da quello familiare o di gruppo, con una prevalenza dell'uno o dell'altro in
relazione all'individuo e alla tipologia del trauma subito. ad esempio, laddove sia richiesto un elevato livello di confidenzialità (abusi sessuali, presenza di
malattie a trasmissione sessuale...) la terapia individuale può essere più efficace. nei casi di persone ritirate o fortemente evitanti le terapie di gruppo o
familiari sono invece considerate più indicate.
38
o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o . ”
4. Specificità culturali nelle sindromi post-traumatiche
e) Cure psichiatriche e terapie psicofarmacologiche
nelle realtà prese in esame nel nostro progetto, Camerun e Ciad, si è evidenziata una grave carenza di personale psichiatrico specializzato. seppur
con qualche differenza tra i due paesi, sono spesso gli infermieri psichiatrici
che si fanno carico della valutazione clinica e del monitoraggio terapeutico.
Questo dato comporta l'impossibilità di una presa in carico adeguata nei casi
di disturbi post-traumatici più impegnativi e complessi.
4.4 Fattori culturali nel disagio psichico e negli stati post-traumatici tra
le popolazioni africane
i tempi dell'africa leggendaria in cui l'equilibrio psichico degli individui
corrispondeva a quello del gruppo sociale sono ormai tramontati. La sofferenza
individuale appare sempre più come un effetto significativo del processo di
modernizzazione del continente. in questo passaggio si rivela il limite della
terapia basata esclusivamente sulla risocializzazione e sulla reintegrazione
sociale dell'individuo. La sofferenza psichica di un africano è quindi una nuova
sfida per la pratica e la ricerca psicoterapeutica. se il sostegno sociale in
circostanze difficili di vita costituisce una pratica tradizionale e diffusa nelle
società africane, è necessario riconoscere come le terapie moderne, derivate da
teorie e paradigmi occidentali, offrono soluzioni che devono necessariamente
essere prese in considerazione e discusse. La premessa di ciò è la possibilità di
ridefinire il modello di relazioni che la persona in africa ha con il proprio
gruppo familiare e con l'ambiente socio-economico in cui vive, così come il
ruolo che attribuisce all'irrazionale nel proprio mondo psichico e culturale.
il concetto di malattia mentale cambia tra un contesto culturale e l'altro. il
gruppo di disturbi più spesso associati al concetto di malattia nella maggior
parte delle società africane riguarda disturbi severi come la schizofrenia e la
mania. Le alterazioni psichiche più frequenti sono disturbi comuni come la
depressione e l'ansia, oltre alle problematiche associate all'abuso di alcol e di
sostanze (royal College of Psychiatry, 2003). tali condizioni raramente sono
considerate come malattie nella cultura africana. Esiste, infatti, una tendenza
molto forte e radicata ad esteriorizzare le cause delle proprie disgrazie e
sofferenze e/o a ricondurle a fonti sovrannaturali.
“...fin da quando questo triste evento mi è capitato, ho iniziato ad
avere continui incubi e pensieri spaventosi che irrompono nella mia
mente, anche se non lo voglio... Nella maggior parte di queste immagini
e nei sogni vedo me stesso nelle foreste sacre di fronte a streghe e
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o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o . ”
4. Specificità culturali nelle sindromi post-traumatiche
stregoni... Penso che tutto quello che mi accade sia legato ad un
sortilegio o a qualche tipo di maledizione che ha colpito la mia
famiglia...”
(a. Cliente Congolese, sopravvissuto a tortura)
si ottengono pochi risultati sfidando queste convinzioni, che spesso sono
condivise dalla comunità di appartenenza. E' quindi sconsigliato di attribuire
categorie diagnostiche potenzialmente stigmatizzanti, che potrebbero
aumentare il disagio della persona. al contrario, può essere utile accogliere le
sue credenze e fornire delle spiegazioni sugli aspetti psicopatologici più
comprensibili. E' possibile avvalersi di percorsi psico-educativi, in cui descrivere
il disagio emotivo attraverso parole e simboli condivisi e in questo modo
veicolare il senso della diagnosi.
Le emozioni e i disturbi psichici non possono essere tradotti in tutte le
lingue del continente africano. ad esempio il termine “depressione” può essere
usato sia per descrivere un'emozione di tristezza (“mi sento depresso”), sia per
indicare un disturbo (“il paziente soffre di depressione”). in molte lingue,
benché esistano parole per descrivere un'emozione di tristezza, spesso non
esistono parole specifiche per descrivere la maggior parte delle altre emozioni
e sensazioni che una persona può provare. E' quindi importante poter
comprendere quali termini, nelle diverse lingue locali, possono essere impiegati
per esprimere le varie emozioni. a volte, è necessario usare intere frasi o
immagini per evocare alcune sensazioni altrimenti non esprimibili.
nelle società occidentali, le teorie psicologiche usate per aiutare le persone
con problematiche emotive si sono sviluppate in seno alla loro cultura. Queste
teorie sono, però, estranee alle credenze tradizionali di molte culture africane.
Questo non significa che non possano risultare utili. E' necessario cercare di
armonizzare le risorse e le metodologie della propria cultura con quelle derivate
dalla cultura del paziente, al fine di renderle più accettabili. È importante per
il clinico comprendere le diverse credenze tradizionali, le quali possono
contribuire a formare il suo giudizio sullo stato emotivo del paziente.
ad esempio, in molti contesti tradizionali in africa gli uomini non piangono
in presenza di altre persone. E' largamente condivisa la visione che il pianto
esprima la debolezza dell'individuo, che generalmente è associata alle donne
e ai bambini. L'uomo africano è considerato coraggioso, imperturbabile e
guardiano della comunità. Piangere o esprimere le proprie emozioni lo
relegherebbe tra “i deboli”.
Questa caratteristica è una sfida difficile per tutti i clinici che non capiscono
questo stereotipo. Possono, infatti, avere difficoltà a far coincidere le storie
traumatiche descritte da un uomo con l'umore o le emozioni che manifesta.
E' cruciale che un clinico possa capire in quale modo il contesto culturale ha
inciso sullo sviluppo della sua personalità e come alcune credenze e stereotipi
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4. Specificità culturali nelle sindromi post-traumatiche
possono riflettersi sulle sue modalità di far fronte allo stress, al trauma e alla
perdita.
secondo nwoye (1998), nei contesti africani la musica, il canto e la danza
possono avere un efficacia terapeutica notevole, favorendo l'emersione delle
emozioni nel processo psicoterapeutico. Questi metodi possono risultare
particolarmente utili laddove l'elaborazione del lutto non è prerogativa del
singolo, ma della comunità più ampia. i pazienti possono così esprimere e
padroneggiare le emozioni senza essere sopraffatti da un confronto troppo
diretto con queste.
nwoye (1998) spiega che nella cultura africana, le persone affrontano le
esperienze traumatiche su tre livelli:
ad un livello emotivo, la guarigione avviene attraverso l'empatia, che
coinvolge la condivisione del pianto, consentendo così di validare le espressioni
emotive.
ad un livello biologico l'attenzione è rivolta al benessere fisico della persona
sofferente. La guarigione avviene attraverso il contributo delle relazioni sociali
e con la partecipazione della comunità che incoraggia la persona a ridurre le
sue attività fisiche, al fine di conservare meglio le energie rimaste.
ad un livello sociale, la comunità di appartenenza è investita dal compito
di garantire una compagnia durante tutto il periodo del lutto. a questo scopo,
gli amici, i vicini, i familiari e tutta la comunità estesa partecipano con visite
ripetute sia prima che dopo il funerale.
Le persone di gruppi culturali differenti (che includono anche i diversi
sottogruppi di una società più ampia) possono esprimere il loro disagio in
modi differenti, fornire spiegazioni diverse sull'origine del proprio disagio e
mettere in campo risposte diverse. Le tecniche sviluppate nei paesi occidentali
possono essere applicate a condizione di utilizzarle con sensibilità particolare.
ad oggi, esistono evidenze che suggeriscono l'utilità di tali tecniche in una
varietà di situazioni anche nei contesti africani.
di seguito, sono riportate alcune peculiarità culturali che richiedono una
specifica attenzione:
• Quali sono i modi tradizionali per dare significato al proprio disagio
(maledizioni, volontà divina, sfortuna)? Quali sono le implicazioni di ciò
sulle aspettative e i bisogni, facendo riferimento al senso individuale di
controllo?
• Quali sono le credenze tradizionali rispetto al ruolo dei rituali nel
trattamento? Quali sono le aspettative rispetto all'interazione tra colui che
cerca aiuto e colui che lo fornisce? Esiste l'aspettativa che vengano
implementati rituali specifici?
• Quali sono le aspettative rispetto all'uso della metafora, delle immagini, dei
miti e delle storie nella relazione di aiuto?
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4. Specificità culturali nelle sindromi post-traumatiche
• E' presente l'aspettativa di un aiuto immediato, concreto o materiale, di un
consiglio e di indicazioni precise?
• Qual'è la modalità più tradizionale di rispondere ad eventi terribili (es. la
rassegnazione, l'azione individuale o quella collettiva). una reazione
depressiva può in alcuni casi essere percepita come una modalità
problematica di reagire agli eventi.
• E' presente l'aspettativa di un intervento da parte di guaritori tradizionali o
attraverso rituali? Esiste un pregiudizio nei confronti della medicina
occidentale?
• Quale spiegazione viene data ai sintomi del disagio mentale?
Gli interventi psicologici e sociali richiedono una particolare sensibilità a
queste differenze. spesso questo implica l'inclusione nel percorso terapeutico
dei diversi attori: medici, psicologi, sacerdoti, guaritori tradizionali, portavoce
delle comunità, insegnanti, che devono lavorare in rete tra loro.
4.5. L’approccio multidisciplinare nei campi rifugiati in Ciad
La recente guerra nella Repubblica Centrafricana ha prodotto nella popolazione ciadiana un aumentata incidenza numerica di gruppi socialmente deprivati e
vulnerabili e un alto numero di rifugiati.
Tra di loro ci sono molte persone che sono state vittime di tortura e di traumi
legati alla guerra – è questo lo specifico gruppo d’utenza del nostro centro
all’Association Jeunesse pour la Paix et la Non Violence (AJPNV). Molti di loro non
hanno nessuna garanzia sociale di base, vivono in condizioni materiali estremamente precarie, hanno rilevanti problemi di salute fisica e psicologica e spesso
non sono consapevoli del tipo di assistenza che possono ricevere dall’AJPNV e in
Ciad, il paese che li ospita. Gli utenti più vulnerabili sono in una situazione per
cui non riescono nemmeno a cercare autonomamente aiuto, o a ottenere l’accesso a tale aiuto. Per rendere l’assistenza medica, psicologica e legale fornita dai
professionisti dell’AJPNV disponibile anche per coloro che non sono a conoscenza
del Centro o non sono in grado di raggiungerlo, l’AJPNV ha organizzato delle
équipes mobili che possano raggiungere direttamente gli utenti e fornire servizi
sul campo. Di seguito descriviamo il lavoro delle équipes mobili, l’esperienza
attuale ed i progetti per il futuro.
4.5.1 L’alloggiamento degli utenti dell’AJPNV nei campi profughi e la loro
condizione sociale
Gli utenti dell’association jeunesse pour la Paix et la non Violence nei
campi profughi sono persone che, in situazioni di guerra, sono state sottoposte a tortura psichica e fisica. i nostri utenti comprendono anche coloro che
hanno vissuto eventi traumatici nel corso della guerra. dal momento che la
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4. Specificità culturali nelle sindromi post-traumatiche
maggior parte delle vittime di tortura e di traumi legati alla guerra sono
anche titolari dello status di rifugiato, è naturale che l’attività del Centro si
concentri molto nelle aree e istituzioni dove c’è un alto numero di rifugiati.
in Ciad, i rifugiati risiedono normalmente in campi profughi collettivi e
anche in centri o alloggi privati. un importante elemento che tutti i rifugiati
hanno in comune è l’essere stati sradicati dai loro abituali contesti fisici e psicologici e privati del supporto e delle risorse immediate di cui godevano in
precedenza, oltre a essere stati privati dei loro familiari. La loro vita quotidiana è caratterizzata da mancanza di privacy, limitate relazioni con il mondo circostante, inerzia forzata e mancanza di obiettivi, un monotono passare del
tempo, ricordi traumatici, incertezza sul futuro, mancanza di controllo sul
proprio destino, perdita di fiducia, speranza e fede, così come sentimenti di
impotenza. Molti di loro tendono ad arrendersi passivamente, o ad appoggiarsi forzatamente all’aiuto istituzionale, cosa che alimenta e intensifica i loro
sentimenti di impotenza e passività. il diritto alle pari opportunità tra la popolazione locale e i rifugiati, così come la piena soddisfazione dei loro bisogni di
base, sono di fatto intralciati da molti ostacoli. i rifugiati hanno meno opportunità di usare le risorse disponibili rispetto alla popolazione locale, e da questo deriva il loro bisogno di essere accettati e assistiti dai membri della loro
nuova comunità per superare le difficoltà con cui si confrontano.
E’ evidente, dunque, la necessità di fornire tutti i tipi di assistenza possibile a coloro che sono in difficoltà ma non sono in grado di raggiungere il
Centro per varie ragioni. Ecco perché vengono organizzati sopralluoghi sul
campo a intervalli regolari nei posti dove queste persone risiedono.
il nostro target di riferimento è caratterizzato da:
- informazioni inadeguate o insufficienti sui loro diritti e sulle possibilità di
assistenza a loro disposizione;
- situazione di estrema povertà materiale, in particolare vulnerabilità esistenziale e finanziaria e deprivazione, che portano ad aumentate difficoltà
nella sopravvivenza di base e nel mantenimento della famiglia;
- mancanza di garanzie sociali, come conseguenza di disoccupazione e uno
status legale irrisolto;
- alto rischio per la salute (malattia, disabilità, cattivo stato psicofisico),
spesso causato dalle sofferenze e dalle atrocità legate alla guerra che
hanno vissuto.
4.5.2 L’attività dell’équipe mobile: compiti di base e compiti specifici
La creazione del programma delle équipes mobili è stata preceduta dalle
seguenti attività.
La raccolta delle informazioni necessarie è stata effettuata in diversi modi:
attraverso contatti professionali con gli amministratori locali del Commisariat
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4. Specificità culturali nelle sindromi post-traumatiche
for refugees; attraverso la cooperazione con altre organizzazioni umanitarie
come l’unhCr, la Croce rossa del Ciad, ecc., attraverso schede specificamente progettate e attraverso il contatto personale con i rifugiati. in questo
modo abbiamo ottenuto informazioni su che tipo di assistenza i rifugiati considerino più utile e da quale tipo di professionista si aspettino di riceverla,
cosa hanno fatto fino ad ora per risolvere i loro problemi (esperienze positive e negative), informazioni sulle loro idee e capacità per risolvere tali problemi.
nel condurre e valutare le attività descritte sopra abbiamo definito i problemi fondamentali del nostro gruppo di riferimento, e sulla base di ciò
abbiamo identificato le persone chiave che avrebbero portato avanti il programma, sviluppato il piano delle attività e deciso le priorità. il programma
delle équipes mobili così progettato è stato poi ulteriormente modificato,
monitorando il lavoro delle prime équipes sul campo e valutandone l’efficacia. Con l’idea di migliorare la successiva implementazione, abbiamo cercato
di rendere costanti il tempo, il luogo e gli individui che avrebbero fornito assistenza, così come l’atmosfera di comprensione e accoglienza.
i servizi di base offerti dai membri dell’équipe mobile sono i seguenti:
-
fornire informazioni di base sui tipi di assistenza disponibili al centro
dell’ajPnV;
valutazione psicologica (valutazione dello stato psicologico della persona
per determinare il tipo adeguato di assistenza);
assistenza psicologica (psicoterapie individuali, di gruppo e counseling di
supporto);
assistenza medica (visita medica generale, con possibilità di visite specialistiche successive presso la clinica “Mediana”);
servizi legali (incontri con l’avvocato e consulenze specifiche sui problemi
legali dei rifugiati);
invio degli utenti che necessitano di ulteriori interventi presso l’aPjnV e
altre istituzioni, e creazione delle precondizioni per perseguire il trattamento (ad esempio, pagando le spese di viaggio).
il numero usuale dei componenti dell’équipe può essere aumentato o
ridotto a seconda dello scopo delle visite sul campo. Con una logica simile,
la successiva assistenza sul campo diventerà più specifica, diretta ai bisogni di
singoli utenti e organizzata intorno ai loro problemi più importanti e acuti.
Essa è organizzata dunque per valutare la situazione e i bisogni dell’utente,
così come per verificare nel tempo i risultati raggiunti.
L’unità di base dell’équipe mobile dell’ajPnV è costituita da cinque membri: uno psicologo, un assistente sociale, un medico di base, un avvocato e
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4. Specificità culturali nelle sindromi post-traumatiche
un autista. tale formazione è pensata principalmente per le visite iniziali in
certe aree del campo e può cambiare più avanti a seconda dei bisogni concreti del gruppo target, che determina ciò che dovrebbe essere conseguito
negli incontri successivi. La composizione dell’équipe è determinata dal tipo
di servizi che auspichiamo di fornire sul campo, dal momento che l’équipe
mobile è di fatto un campione dei servizi più ampi che l’ajPnV generalmente fornisce ai suoi gruppi target.
ogni membro dell’equipe mobile, in quanto professionista selezionato,
hai i suoi specifici compiti a seconda della sua professione e degli scopi che
dovrebbero essere raggiunti sul campo. Lo psicologo ha il compito di stabilire il primo contatto e condurre l’intervista iniziale con gli utenti. Mentre raccoglie l’anamnesi personale, in considerazione dei bisogni dell’utente lo psicologo si sforza di motivare la persona affinché continui a lavorare su se stesso/a e utilizza delle forme di psicoterapia adatte alla situazione sul campo.
se l’utente è in una condizione psichica difficile o in una crisi, lo psicologo conduce un breve intervento di supporto, orientato a calmare l’utente e
a evidenziare le sue potenzialità positive per affrontare e superare il problema. durante le visite successive nella stessa area, lo psicologo fornisce un supporto terapeutico che normalmente prende la forma di una terapia di gruppo, mentre in casi eccezionali può essere fornita anche una psicoterapia individuale.
il lavoro di gruppo è molto utilizzato sul campo per una serie di ragioni.
innanzitutto, la convenienza tecnica dell’organizzare il lavoro di gruppo deriva dalla presenza nello stesso luogo di un ampio numero di utenti.
L’omogeneità del gruppo è basata sul fatto che tutti i suoi membri hanno
esperienze simili di guerra ed esilio alle quali sono sopravvissuti, e sono al
tempo stesso in una situazione di vita parimenti difficile per tutti, e a confronto per lo più con lo stesso tipo di problemi. Questo ambiente psicologico
omogeneo, condiviso da un ampio numero di persone consente di affrontare i problemi nell’ambito del gruppo, e di usare un processo terapeutico che
per il recupero e la riabilitazione psicologica si appoggia alle dinamiche di
gruppo. Le esperienze fatte nel gruppo vengono poi estese alle situazioni
sociali nella vita quotidiana. L’espressione dei contenuti emotivi, integrata
con l’informazione e l’elaborazione cognitiva fornite dal terapeuta, velocizza
il processo di elaborazione del caos generato dall’evento traumatico.
Lo psicologo sul campo dà anche agli utenti informazioni essenziali sui tipi
di assistenza che sono offerti dal centro dell’ajPnV. di solito lo psicologo conduce una valutazione iniziale attraverso una batteria standard di test e interviste, che fornisce dati sulla condizione psicologica attuale dell’utente e che
sono utilizzati nello stabilire quale tipo di terapia e di trattamento sia più
adatta per l’utente. Lo psicologo ha anche il compito di individuare le perso45
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4. Specificità culturali nelle sindromi post-traumatiche
ne estremamente vulnerabili, valutare il loro bisogno di intervento psicologico e fornire assistenza nei momenti di crisi attraverso il counseling psicologico e una terapia di supporto. Lo scopo è quello di aiutare gli utenti a comprendere i loro problemi chiarendo la relazione diretta tra lo stato in cui si trovano e gli eventi stressanti della loro vita, cosa che di solito gli utenti non riescono immediatamente a percepire. similmente, è importante dare loro l’opportunità di poter dire e mostrare liberamente e apertamente ciò che tutti
loro hanno vissuto, così che possano sentirsi liberati da sentimenti di dolore
e timore. Gli utenti hanno così occasione di affrontare i temi per loro più interessanti, che li preoccupano o li sconvolgono e di rafforzare i loro meccanismi di adattamento. Gli interventi di solito più utilizzati sono l’ascolto empatico, il riflettere le emozioni e i contenuti, l’incoraggiare l’espressione delle
emozioni, ricordare all’utente le sue esperienze positive ed i suoi successi,
dare consigli di supporto, esplorando le alternative nell’approcciare e risolvere il problema. un altro compito dello psicologo è osservare le forme di terapia di gruppo che vengono condotte, con un’adeguata registrazione delle
dinamiche di gruppo e del processo terapeutico.
anche l’avvocato ha compiti specifici. Prima di tutto deve raccogliere dati
di base sui problemi legali dell’utente sul campo. il nostro servizio legale lavora in diversi ambiti. il primo ambito riguarda l’ottenimento di dichiarazioni da
parte di coloro che hanno patito forme di tortura: tali dichiarazioni sono
usate per raccogliere capi d’imputazione penali contro i perpetratori. Esse
vengono anche utilizzate per adire le vie legali nei procedimenti civili per la
compensazione del danno, che è il rimedio essenziale legale per fornire compensazione alle vittime di tortura da parte dello stato responsabile. se le
accuse o le denunce vengono protocollate per procedimenti ulteriori, i nostri
avvocati forniscono assistenza pro bono in tribunale per i nostri utenti fino al
verdetto finale della corte, così come durante il processo di esecuzione delle
decisioni della corte. Mentre raccoglie le dichiarazioni, l’avvocato informa
anche l’utente su quale tipo di prove sono necessarie per intraprendere l’azione legale così come per tutti gli altri temi argomenti legalmente rilevanti.
Le dichiarazioni ottenute dagli utenti sul campo vengono inseriti in un database unificato sulle vittime di tortura, dal momento che rappresentano una
testimonianza sulla tortura vissuta e possono essere utilizzate per vari fini.
L’altra area dell’attività legale è relativa al ritorno volontario dei rifugiati al
loro paese d’origine, dal quale sono stati esiliati. L’avvocato registra gli utenti interessati, prende i loro dati personali e compila i moduli necessari per procurare i documenti (ad esempio, per l’emissione dei certificati di nascita e di
cittadinanza per i rifugiati della repubblica Centrafricana).
L’avvocato invia gli utenti anche ad altre organizzazioni in grado di fornire assistenza più concreta nell’organizzazione del processo di rimpatrio. il
terzo ambito d’azione degli avvocati è la consulenza legale su problemi di
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4. Specificità culturali nelle sindromi post-traumatiche
diritti di proprietà e d’affitto eventualmente da risolvere, così come il fornire
informazioni su altri aspetti legali. durante le visite sul campo vengono registrati anche i dati sugli utenti interessati all’integrazione con gli abitanti del
luogo di residenza attuale.
il medico quale membro dell’èquipe mobile ha il compito di effettuare
visite mediche di base e suggerire il trattamento adeguato, così come di prescrivere la terapia farmacologica necessaria. nel caso in cui lo si ritenga necessario, il medico raccomanda altri trattamenti e rinvia a visite mediche specialistiche.
L’assistente sociale membro di questa équipe si occupa di questioni sociali con l’obiettivo di identificare, in collaborazione con gli assistenti sociali della
comunità ospite, opportunità di formazione o altre attività finalizzate all’integrazione con la società ciadiana. nel caso delle famiglie con bambini, gli insegnanti scolastici e/o il personale degli asili nido vengono coinvolti per creare
le migliori condizioni possibili per loro. Le attività sociali nei campi profughi
hanno anche l’obiettivo di aiutare i rifugiati ad accedere alle strutture mediche e sociali del campo stesso e a dare supporto alle famiglie, oltre che aiutare il ricongiungimento, nel momento in cui si rilevano casi di bambini non
accompagnati.
4.5.3 I problemi del lavoro sul campo
nonostante le attività dell’équipe mobile siano scrupolosamente pianificate al fine di fornire assistenza agli utenti, occasionalmente si verificano dei
problemi che hanno un impatto negativo sull’efficacia complessiva e indicano un potenziale bisogno di cambiamento e adattamento a specifiche situazioni e ai gruppi beneficiari.
Le scarsità di mezzi tecnici hanno spesso un impatto negativo sul lavoro
dell’équipe. il genere di problema più ricorrente è la mancanza di spazio,
dovuta all’elevato numero di utenti, così che i membri dell’équipe sono
costretti a lavorare in un’unica stanza. inoltre succede spesso che gli ambienti disponibili siano freddi, soffocanti, male illuminati e rumorosi, il che compromette significativamente le condizioni di base per il lavoro di counseling
e per le visite mediche, provocando anche una diminuzione nella motivazione e partecipazione da parte degli utenti.
a volte succede che gli utenti siano in ritardo, non arrivino all’ora stabilita, arrivino completamente disinformati sulla situazione e che inizino discussioni completamente fuori tema, facciano svariate domande ostacolando in
questo modo la conduzione delle attività programmate e abbassando la qualità del lavoro stesso.
i bisogni e le aspettative degli utenti spesso sono diversi dalle nostre possibilità e da ciò che siamo in grado di fornire. ad esempio, gli utenti chiedono sempre assistenza materiale. succede che anche quando ricevono precise
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4. Specificità culturali nelle sindromi post-traumatiche
informazioni sul tipo di aiuto offerto dall’ajPnV, interpretino male ciò che
hanno sentito. Quindi, quando sentono dell’assistenza medica, inevitabilmente si aspettano di ricevere cure e medicinali. il problema più grosso del
servizio legale è l’impossibilità tecnica di produrre i documenti scritti richiesti
dagli utenti al momento. alcuni utenti si aspettano una terapia immediata da
parte dello psicologo, compresa la soluzione rapida dei loro problemi. Gli
utenti, di fronte al tentativo da parte dello psicologo di indirizzarli verso il
lavoro su di sé, solitamente rispondono riferendo aspetti esterni, nei quali
vedono spesso l’unica causa dei loro problemi. in tal modo manifestano una
ridotta motivazione per il lavoro psicologico e l’impossibilità di confrontarsi
con i loro contenuti interni.
i membri dell’équipe mobile tentano costantemente di superare i problemi sopra descritti e di adattarsi alle nuove situazioni. di solito discutono tra
loro i dubbi professionali e gli sviluppi imprevisti nella realizzazione degli
interventi, cercando di ridurre al minimo l’interruzione del lavoro attraverso
risposte adeguate e tempestive.
La prima impressione che si riceve nel contattare gli utenti ai quali viene
fornita assistenza è fortemente legata al loro specifico stato psicologico. si
trovano in una posizione di impotenza passiva e marginalizzata, sono confusi e feriti da cambiamenti inaspettati e violenti che non sono stati in grado di
affrontare da soli. si sentono in ansia e non sanno come esprimere le loro difficoltà.
il disagio emotivo legato alle esperienze dolorose e terrorizzanti sono
importanti fattori di limitazione che si manifestano come ritiro sociale e
ottundimento psicologico. Lo stress prolungato dopo l’evento, il pensiero
fisso sui ricordi dolorosi e le perdite importanti hanno un effetto negativo sull’adattamento degli utenti. si sentono spesso depersonalizzati e insicuri e con
un senso del proprio valore che vacilla, isolati dall’ambiente circostante e dai
sistemi di supporto istituzionale disponibili. Condizioni di sviluppo avverse ed
esperienze cronicamente negative rappresentano sgraditi fattori di rischio
con possibili conseguenze a lungo termine. È chiaro che il livello di integrazione sociale tra i nuovi arrivati e la popolazione locale dipende ampiamente
dalla zona in cui vengono collocati i primi, dalle somiglianze reciproche
quanto a mentalità, così come dalla maggiore o minore vicinanza ai luoghi
dove si sta svolgendo la guerra. tali fattori influenzano anche la comprensione da parte dei locali dei problemi specifici della popolazione rifugiata. Gli
effetti dell’auto-isolamento della popolazione locale e l’atteggiamento rigido
dei nuovi arrivati si riflettono nel fallimento a riconoscere e trovare risposte
adeguate ad eventi sfavorevoli, il che riduce significativamente la capacità di
adattamento dei rifugiati. d’altra parte, nei casi in cui i rifugiati vivono in un
ambiente favorevole, il nostro lavoro è stato molto facilitato e i nostri interventi hanno ottenuto pienamente gli effetti desiderati.
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4. Specificità culturali nelle sindromi post-traumatiche
Le persone che risiedono nei campi collettivi sono in una situazione particolarmente difficile. Le caratteristiche comuni di tutti i tipi di sistemazione
collettiva è che questi erano inizialmente intesi per un’accoglienza rapida e
una sistemazione a breve termine dei rifugiati, ma a causa delle circostanze
generali sfavorevoli, molti di loro vi sono rimasti per uno o due anni. La gravità dei disturbi psicologici può essere spiegata solo in parte con le condizioni di vita inadeguate nei campi collettivi, laddove in molti casi è invece causata dalle caratteristiche della popolazione rifugiata che vi trova alloggio. si
tratta infatti di persone che anche prima dell’esilio faceva affidamento sull’aiuto degli altri, per cause legate all’età avanzata, alle malattie, alla povertà
materiale, ai contatti ridotti con i parenti stretti, alla ridotta disponibilità di
risorse e alla scarsa educazione scolastica. La sistemazione nei campi collettivi li ha portati a una situazione in cui sono privati del lavoro e del coinvolgimento sociale, cosa che accresce ulteriormente la loro passività e dipendenza dagli altri. La somiglianza reciproca tra le loro esperienze peraltro intensifica le reazioni di impotenza e la sensazione di mancanza di prospettive e
contribuisce a un’insoddisfazione persino maggiore, un aumento della paura,
un intensificarsi della depressione, odio e rabbia crescenti la maggior parte
delle volte diretti verso se stessi o l’ambiente intorno a loro. riconoscendo le
dinamiche della situazione generale e fornendo supporto, si facilita l’adattamento e l’adeguamento dei rifugiati al nuovo ambiente. Poiché siamo fautori di un approccio individualizzato, appropriato alle circostanze specifiche,
viene data attenzione ai bisogni di ogni particolare utente. La giusta comprensione degli effetti a lungo termine dei traumi emotivi e l’atteggiamento
di apertura di tutti i membri dell’équipe mobile hanno consentito nel tempo
ai partecipanti ai gruppi di esprimere i loro sentimenti più liberamente.
abbiamo quindi sostenuto negli utenti un approccio positivo verso se stessi e
gli altri, una valutazione di sé realistica e li abbiamo incoraggiati a pensare alle
abitudini che sentivano come bloccanti. Come effetto di ciò, la sensazione
d’impotenza e di essere segnati si riducono e si crea la possibilità di muoversi da ruoli rigidi e passivi preparandosi al cambiamento.
rispetto all’approccio al lavoro con questo specifico gruppo di utenti, è
importante sottolineare gli effetti dell’intervento descritto in precedenza, così
come le conclusioni che possiamo trarne, che possono essere considerate alla
stregua di linee guida per il lavoro futuro. i problemi più frequentemente citati dai nostri utenti si riferiscono a difficoltà materiali ed esistenziali (alloggio
inadeguato o difficili condizioni di vita), una salute scarsa (per inaccessibilità
a farmaci costosi e cure mediche appropriate), e problemi psicologici (sintomi di disturbo da stress post-traumatico, disturbi del sonno, sintomi depressivi e ansiosi, ipersensibilità interpersonale, ostilità, reazioni psicosomatiche).
Coloro che hanno scarse capacità introspettive spesso indicano le sfortunate
circostanze esterne come cause dei loro problemi. a tutti i tentativi di indiriz49
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4. Specificità culturali nelle sindromi post-traumatiche
zarli verso un lavoro su se stessi, rispondono parlando solo di fattori esterni.
Valutano la qualità dell’aiuto fornito loro attraverso l’esperienza soggettiva di
accettazione che hanno nelle relazioni interpersonali nel nuovo ambiente, e
meno attraverso parametri più realistici. all’inizio le domande alle quali gli
utenti sono più desiderosi di rispondere sono quelle sulla qualità della loro
vita. in seguito, in contemporanea ai vari cambiamenti psicologici, sviluppano la capacità di affrontare i temi legati alla riorganizzazione della loro vita.
La terapia di gruppo si è dimostrata pienamente giustificata nel lavoro con
utenti che hanno la capacità di svolgere un lavoro psicologico.
il passaggio più importante nell’acquisizione di un cambiamento terapeutico è stato il prendersi la responsabilità di sé e della propria vita futura. Quale
risultato di ciò gli utenti hanno cominciato a stabilire obiettivi realistici e raggiungibili e a sviluppare progetti per il futuro. Ciò ha contribuito a sviluppare significato nelle loro vite, la mancanza del quale era parte della loro sintomatologia tipica.
L’esperienza ha mostrato che la competenza dei professionisti sul campo
può svilupparsi a partire dalle attività di istituzioni ufficiali responsabili delle
questioni dei rifugiati. L’obiettivo è quello di seguire regolarmente le attività
che hanno avuto inizio sul campo, che sono divenute continue grazie alla
loro efficacia in certe aree. Queste attività possono servire come esempio per
le strutture che svolgono attività attinenti su come utilizzare le loro capacità
nella maniera migliore possibile. un’idea per altri che in futuro affronteranno
questo insieme di problemi è quella di sviluppare la pratica di fare regolarmente riunioni e strutturare il tempo libero intorno ad attività comuni, cosa
che si è dimostrata molto importante per aumentare l’adattamento sociale
nel corso del nostro lavoro. Perciò vorremmo sottolineare la necessità della
cooperazione professionale a tutti i livelli, dal momento che questo può portare a risultati pieni nella realizzazione di una visione comune a lungo termine.
il lavoro sul campo è caratterizzato da una serie di specificità rispetto ad
altre attività usuali dell’ajPnV. Le condizioni in cui viene svolto sono uniche e
questo può spesso essere un fattore di complicazione nel raggiungimento
degli obiettivi fissati.
Perciò la valutazione è stata inserita come una parte intrinseca del nostro
lavoro e del programma stabilito per indicare l’efficacia dell’azione e l’eventuale bisogno di cambiare e adattare il programma alle situazioni date e ai
gruppi beneficiari. abbiamo definito i criteri di valutazione dell’assistenza fornita sulla base di una serie di obiettivi, attraverso l’osservazione e la valutazione del comportamento, delle emozioni, dei punti di vista e delle potenzialità.
nella procedura di lavoro abbiamo applicato sia la valutazione del processo
sia la valutazione finale che verifica la presenza di sintomi e di tendenze all’adattamento (attraverso una batteria di test all’inizio, dopo tre mesi e dopo
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4. Specificità culturali nelle sindromi post-traumatiche
dodici mesi di trattamento). si può dire che la valutazione stessa è una misurazione iniziale che ha aiutato a sviluppare un progetto a lungo termine, che
comprende un piano d’utilizzo della gamma completa degli interventi per
un’assistenza adeguata agli utenti.
Per esempio, è così che abbiamo notato quali tipi di psicoterapia sono più
efficaci in circostanze concrete, così come abbiamo registrato la necessità del
lavoro di gruppo. La pratica ha mostrato che, per quanto si possa fare inizialmente un progetto dettagliato e preciso per le visite sul campo, la situazione
che si trova sul posto è spesso diversa o imprevedibile. dunque l’équipe sul
campo è guidata dal principio base dell’adattarsi alla situazione e alle circostanze correnti e cerca di dare il massimo nelle condizioni date. il rispetto rigido di regole stabilite per la fornitura di servizi in una situazione istituzionale
“protetta” sarebbe troppo artificiale e dunque meno efficace per il lavoro sul
campo. Pensando al lavoro ancora da fare, il principio del compromesso si
presenta come parola d’ordine per ottenere i massimi risultati nel futuro.
i bisogni degli utenti sul campo hanno influenzato i contenuti delle attività cambiandole ed espandendole, in risposta ai problemi più urgenti.
Per esempio, durante le visite, abbiamo notato che il problema più frequente per gli utenti è la situazione materiale precaria. Ciò ci ha motivati a
lavorare con altre agenzie umanitarie per assicurare l’aiuto necessario in termini di cibo e kit igienici. tali azioni sono anche programmate per il futuro,
con l’idea di riunire in un unico posto tutti i tipi di assistenza necessaria ai
nostri utenti, come strategia complessiva.
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5. Tre storie di Together with VI.TO.
Casi clinici
5.1 Una storia dal Camerun (TCC)
il sig. s è un uomo di 51 anni, originario della repubblica democratica
del Congo.
Periodo pre-traumatico
il sig. s viveva a Kinshasa con la moglie e con i due figli (un maschio di 11
anni e una femmina di 9). Laureato all'università di Kinshasa, insegnava in
una scuola superiore.
Esperienza traumatica
il fratello maggiore del sig. s., un membro importante di un partito di
opposizione (Mouvement Populaire de la Révolution – MPR), è stato rapito nel
marzo del 2011 in presenza dei figli ed è attualmente disperso. il sig. s crede
sia stato assassinato dai servizi segreti della rdC (l’Agence National des
Renseignements -ANR).
Per il timore di ulteriori violenze sulla famiglia del fratello e in particolare
sui figli, unici testimoni del rapimento, il sig. s., con il sostegno di altri membri del partito, ha organizzato la loro fuga dal paese. da quel momento,
l'anr ha iniziato a perseguitare il sig. s. E' stato, infatti, arrestato in tre occasioni e tenuto in carcere per due settimane ogni volta. durante i periodi di
detenzione ha subito regolari torture da parte degli agenti dell'anr, che
richiedevano informazioni per rintracciare i nipoti e insistevano sulle presunte attività rivoluzionarie del fratello del sig. s.
“...le mie mani erano costantemente legate dietro di me, io ero
bendato in modo che non potessi riconoscere le persone che mi torturavano, né il luogo in cui mi trovavo... Ero tenuto chiuso in una stanza cieca molto piccola senza letto né bagno... Ho raramente ricevuto
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5. Tre storie di together with VI.TO. Casi clinici
cibo e acqua... La cosa peggiore è che sono stato frustato sulla schiena ogni volta che venivo interrogato e non fornivo la risposta desiderata. Minacciavano di tagliarmi le dita ogni volta che gli mentivo...”
nel corso dell'ultimo arresto è riuscito a scappare con l'aiuto di un agente dell'anr che apparteneva alla sua stessa tribù. Gli ha detto di lasciare il
paese subito, perché altrimenti sarebbe morto.
Periodo post-traumatico
La prima tappa è stata la repubblica Popolare del Congo, dove però si è
rapidamente reso conto che gli agenti dell'anr avevano libero accesso. ha
quindi deciso di proseguire il viaggio fino in Camerun con l'aiuto di alcuni
autotrasportatori. non riferisce di aver vissuto esperienze di violenza nel corso
del viaggio, benché questo sia stato molto faticoso. arrivato a yaoundé ha
chiesto asilo all'alto Commissariato delle nazioni unite per i rifugiati. E' negli
uffici dell'aCnur che ha conosciuto un signore congolese (ex-cliente del
tCC) che gli ha offerto di ospitarlo e di accompagnarlo al tCC.
Invio
il sig. s è giunto al tCC, su suggerimento di un ex-cliente della comunità
congolese di yaoundé, con la richiesta di ricevere un aiuto per l'alloggio, per
del cibo e per un'assistenza medica.
Presa in carico
La fase di assessment al tCC prevede un primo colloquio con il servizio di
accoglienza (reception, registration and orientation unit). nel corso di questo colloquio vengono identificati i bisogni di base del cliente e vengono
effettuati gli invii interni necessari.
il servizio di salute Mentale ha condotto un colloquio clinico, per raccogliere la storia personale del sig. s e per valutare le sue condizioni di salute.
E' stata anche condotta una valutazione clinica e psicometrica usando
l'intervista E.t.s.i., la dEs e la bdi. La tabella 2 sintetizza il risultato di questa
valutazione.
struMEnto
Etsi
dEs
bdi
Tabella 2: Assessment psicologico del sig. S
PuntEGGi
sezione i
Codice rosso
sezione ii
Codice rosso
sezione iii
Codice bianco
sezione iV
Codice rosso
15 (dissociazione lieve)
30 (depressione severa)
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5. Tre storie di together with VI.TO. Casi clinici
dalla nostra valutazione il cliente manifestata i seguenti bisogni:
• Sociali: alloggio e cibo, ricongiungimento familiare e attività lavorativa.
• Medici: trattamento dei dolori lombari e della cefalea
• Psicologici: trattamento dei sintomi post-traumatici e sostegno verso l'integrazione sociale.
il sig. s mostrava marcati sintomi di intrusione di memorie traumatiche, di
evitamento, di aumentato arousal e di calo del tono dell'umore.
“… Da quel momento, ho iniziato ad avere paura, come se potesse succedermi qualcosa da un momento all'altro... Quando mi tornano in mente certi eventi mi sento male e spaventato, il cuore comincia
a battere veloce e ho forti mal di testa... Ho sempre incubi delle cose
che mi sono successe, anche quando dormo durante il giorno...”
“…Cerco di non pensare o di non ricordare le sensazioni di quello
che mi è successo... Evito le persone, i luoghi e le cose che mi ricordano quello che ho vissuto in detenzione... Mi sono chiuso in me stesso
e non comunico con le altre persone….”
“… Mi sento molto arrabbiato con il governo del mio paese e con
la comunità internazionale che rimane in silenzio di fronte a delle violazioni così gravi dei diritti umani... Sono sempre molto attento a quello che mi succede intorno... Quando vedo un militare o delle scene di
violenza in un film inizio a panicare... Sono sempre all'erta, al punto
da non riuscire a prestare attenzione alle cose normali... Mi sveglio
sempre di soprassalto...”
“... Non mi sento mai felice... Non trovo più piacere nelle cose che
faccio... Ho perso l'appetito completamente... Non ho più aspettative
per il mio futuro e questo mi fa sentire un fallito... Spesso mi chiedo se
ho fatto veramente la cosa giusta a proteggere i miei nipoti. Questo
mi fa sentire responsabile di quello che mi è successo...”
Interventi
Sociale: E' stata affittata una stanza per tre mesi e gli sono stati forniti un
letto, gli utensili da cucina e il necessario per l'igiene personale. al fine di consentirgli di avviare un'attività che potesse dargli un reddito, gli sono stati procurati gli equipaggiamenti necessari per un'attività di operatore telefonico,
che ha collocato di fronte a casa sua.
Medico: ha ricevuto le medicine necessarie per i dolori somatici, per problemi digestivi e per la malaria.
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5. Tre storie di together with VI.TO. Casi clinici
Psicologico: il tCC ha organizzato dieci sedute di gruppo (psico-educazione e terapia focale sul trauma) nei primi cinque mesi. nello stesso periodo
sono state tenute dodici sedute di terapia individuale (counselling, gestione
dell'ansia, narrative Exposure therapy) svolte sia al tCC che a domicilio.
Tabella 3: Sintesi degli interventi psicologici
n° sEdutE LuoGo
durata
Esito
03
tCC
1 mese
Comprensione
dei bisogni
psicologici e
contenimento
dei sintomi
Gestione dell'ansia
03
tCC
2 mesi
riduzione dei
sintomi di
aumentato
arousal,
di evitamento,
di intrusione di
memorie traumatiche
e della depressione
post-trauamtica
sostegno al
reinserimento sociale
Counselling
06
tCC/casa
5 mesi
narrative Exposure therapy
03
tCC/casa 2 mesi
terapia di gruppo sul trauma
07
tCC
2 mesi
attiVità
Psico-educazione
Situazione attuale
al termine di otto mesi di riabilitazione olistica, il sig. s ha mostrato un netto
miglioramento del suo funzionamento psico-sociale. E' diventato autonomo,
dopo aver trovato un lavoro come insegnante in una scuola provata di
yaoundé.
Persistono comunque forti preoccupazioni per la sua famiglia attualmente
ancora in Congo. il tCC non ha un programma di ricongiungimento familiare.
Conclusioni
Cosa ha funzionato? La metodologia di lavoro olistica usata nella riabilitazione del cliente, in cui tutti i servizi (sociale, medico e psicologico) hanno contribuito a prendere in carico i bisogni specifici del sig. s.
Cosa non ha funzionato? un maggior numero di riunioni di coordinamento sul caso avrebbero consentito di individuare più facilmente le strategie
migliori per assistere il cliente. Le risorse (finanziarie, materiali e umane) sono
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5. Tre storie di together with VI.TO. Casi clinici
limitate per l'elevato numero di clienti che il tCC ha ricevuto in questo periodo sia a causa delle crisi politiche nella repubblica Centrafricana e nella
repubblica democratica del Congo, sia per la mancanza di altri centri di riabilitazione in Camerun.
5.2 Una storia dal Ciad (AJPNV)
il sig. h è un uomo di 33 anni è un rifugiato proveniente dalla repubblica
Centrafricana, arrivato in Ciad il 10 marzo 2013.
Periodo pre-traumatico
il sig. h, sposato con due figli, era studente nella città di Pawa.
Esperienza traumatica
Quando la fazione ribelle di séléka ha preso il potere nella rCa , il sig. h ha
lasciato la sua città insieme a molte altre persone per passare il confine con il
Ciad. Giunto al confine dopo una settimana di camminata, è stato arrestato
dalla polizia di frontiera ciadiana e accusato di essere un ribelle che trafficava
armi. E' stato quindi portato nella caserma locale e arrestato. nel corso della
detenzione ha subito continue violenze e torture da parte della polizia. Le violenze fisiche sono state perpetrate con oggetti contundenti e percosse e si sono
accompagnate a minacce di morte,, in cui gli agenti dichiaravano di essere liberi di ucciderlo, dato che nessuno ne sarebbe venuto a conoscenza.
Periodo post-traumatico
dopo essere stato rilasciato, il sig. h ha proseguito il viaggio fino a
n'djamena, dove è stato accolto dalla comunità centrafricana residente nella
capitale.
Invio
il sig. h è stato inviato all'ajPnV da un connazionale, precedentemente
seguito dalla stessa associazione.
Presa in carico
il sig. h ha incontrato un assistente psicosociale che ha eseguito un assessment delle sue condizioni di salute e dei suoi bisogni. La valutazione si è anche
avvalsa di specifici strumenti come l'intervista E.t.s.i. e due questionari psicometrici (dEs e bdi).
sul piano fisico è apparso affetto da numerosi disturbi: dolori somatici diffusi, lombalgia, epigastralgia, calo della vista e problemi respiratori. il disagio provato per la propria fragilità fisica gli rendeva impossibile di impegnarsi in attività di tipo lavorativo.
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5. Tre storie di together with VI.TO. Casi clinici
sul piano psicologico sono emersi sintomi riconducibili ad un disturbo Posttraumatico da stress, aggravati da forti preoccupazioni somatiche. in particolare, era presente un senso di minaccia incombente, come se potesse essere
nuovamente attaccato in un qualsiasi momento, esprimeva un senso di tristezza e di perdita di speranza, che lo rendeva apatico e incapace di mostrare un'iniziativa nei confronti di qualsiasi forma di attività. riferiva, inoltre, disturbi del
sonno e uno stato di aumentato arousal, caratterizzato da forte rabbia e da
sensi di colpa. Credeva, infatti, che le torture subite indicassero che era una
“cattiva persona”. Provava un'intensa vergogna e mostrava una forte vulnerabilità nelle relazioni con gli altri, che, nella sua percezione, lo danneggiavano
facendolo sentire costantemente inferiore. Per questo motivo, si era quasi del
tutto isolato, evitando, per quanto possibile, di avere relazioni sociali.
Interventi
Sociale – E' stato impostato un lavoro di rete con delle associazioni a sostegno delle vittime, con cui è stato possibile avviare un percorso di inserimento
professionale.
Medico – sono state programmate delle visite mediche e l'associazione ha
provveduto a fornire i farmaci richiesti per il trattamento dei suoi disturbi fisici.
Psicologico – E' stato fornito un supporto psicologico individuale, al fine di
fornire al sig. h un contenimento emotivo e un luogo in cui poter parlare della
propria storia, dei propri problemi e delle proprie sensazioni. in particolare, l'intervento è stato centrato sulle sue emozioni di paura e di vergogna e sul sostenere un percorso di ri-socializzazione. nel corso del trattamento, il sig. h ha
potuto prendere consapevolezza delle proprie reazioni automatiche, che, gradualmente, ha potuto modificare attraverso pensieri alternativi, più adattativi e
realistici. in questa prospettiva, è stato centrale la possibilità di far riferimento a
quanto aveva realizzato nella sua vita precedente e ai rinforzi positivi risultanti
dal mettere in atto modalità positive di interazione con gli altri. Questo percorso ha consentito di potenziare la fiducia in se stesso e la sua autostima.
Situazione attuale
nel corso delle sedute, è stato possibile osservare un graduale miglioramento del tono dell'umore, così come una riduzione del senso di minaccia incombente, dei sintomi ansiosi e del proprio senso di inefficacia e di vergogna.
Contestualmente, i disturbi fisici si sono ridotti fino a scomparire del tutto.
L'andamento clinico positivo ha consentito, quindi, l'inserimento in attività
di gruppo con l'obiettivo di favorire la ri-socializzazione.
E' attualmente in corso un progetto di inserimento in un'azienda avicola.
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o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o ”
5. Tre storie di together with VI.TO. Casi clinici
5.3 Una storia dall’Italia
il sig. a è nato a Kinshasa, nella repubblica democratica del Congo, ha 21
anni ed ha vissuto nel suo paese fino al febbraio del 2013, quando è fuggito per
venire in italia.
Periodo pre-traumatico
La famiglia d’origine è composta attualmente dalla madre a da un fratellastro
più grande (figlio del padre); il padre ed il fratello minore sono morti in battaglia. nel suo paese conviveva con una donna; recentemente ha avuto notizia di
un figlio nato da questa relazione.
ha conseguito il diploma liceale (12 anni di scuola) e riferisce di aver studiato con piacere e con un buon rendimento.
Esperienza traumatica
racconta di essere stato rapito dai militari nel settembre del 2012 con l’obiettivo di arruolarlo contro i ribelli; a causa del suo rifiuto racconta di essere stato
picchiato, colpito alla testa, ferito con arma da taglio al torace (dove è visibile
una cicatrice di ca 20 cm), all’ascella e all’inguine dx.
riferisce di essere svenuto e di essere stato svegliato dal bruciore provocato
da un liquido che i torturatori gli versavano negli occhi e nella bocca; da allora
il paziente riferisce annebbiamento costante della vista.
E’ stato poi rinchiuso insieme ad altre persone in un container dove è rimasto per cinque mesi al buio. in tale periodo il paziente subiva costantemente torture ed abusi sessuali.
Periodo post-traumatico
il 15 febbraio 2013 è stato liberato da un amico del padre, che, avendo riconosciuto il suo nome, lo ha aiutato a fuggire dal suo paese, lo ha condotto da
un prete con il quale, la stessa notte, è partito in aereo per Kinshasa. dopo quattro giorno è ripartito sempre accompagnato dal prete e ha preso un volo diretto a roma dove arriva il 20 febbraio 2013 (riferisce un breve scalo in belgio).
una volta in italia è stato portato dal prete a torino dove ha soggiornato per
un periodo imprecisato.
dall’estate del 2013 vive in un centro di accoglienza dello sPrar.
Invio
E' stato inviato al Cir a settembre del 2013 dagli operatori del centro di accoglienza, per una presa in carico complessiva.
Presa in carico
il primo colloquio viene effettuato da un assistente sociale. Emerge che il
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o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o ”
5. Tre storie di together with VI.TO. Casi clinici
ragazzo non ha ancora frequentato corsi di lingua italiana.
non ha mai frequentato comunità di connazionali e, più in generale non
ha instaurato a tutt’oggi relazioni affettive o di amicizia, sebbene riferisca di
sentirsi molto solo.
La religione rimane una dimensione interiore importante, ma non sembra
rappresentare una risorsa emotiva particolarmente significativa in questa
situazione di difficoltà.
L’impegno polito e sociale appare lontano dai suoi interessi e semmai
potenziale fonte di problemi.
riguardo la situazione lavorativa traspare una preoccupazione del paziente rispetto alla ricerca di un lavoro. Esprime il desiderio di poter, in futuro,
svolgere “un lavoro d’ufficio in un’organizzazione che aiuti gli altri, dei rifugiati
come me”.
successivamente, il sig. a viene inviato sia al servizio legale per svolgere
un lavoro propedeutico in vista dell'audizione in Commissione territoriale, sia
al servizio medico-psicologico per una valutazione clinica e per definire un
percorso terapeutico.
nel corso dei primi colloqui clinici, il sig. a si presenta estremamente
dimesso, l'eloquio spontaneo è scarso, ma esprime un forte desiderio di ricevere un aiuto per i suoi “problemi nella testa”. Esprime una sofferenza depressiva molto intensa, con un senso di tristezza profondo, che lo porta ad avere
pensieri suicidiari. riferisce di passare la maggioranza del tempo da solo a
pensare, spesso immerso in dialoghi interiori in cui immagina di subire le
angherie e gli insulti dei militari che lo torturavano. non emergono fenomeni dispercettivi, benché riferisca di sentirsi chiamare per nome in alcuni
momenti in cui è solo a pensare. nel corso dei colloqui descrive esperienze
dissociative di depersonalizzazione, in particolare spiega di sentirsi diviso in
due, al punto da essere incapace di prendere una decisione. Per questo motivo preferisce non fare nulla ed evitare situazioni di confronto con le altre persone. riferisce, inoltre, di avere molte difficoltà a seguire una conversazione
perché dopo pochi minuti si isola, immerso nei suoi pensieri. soffre quotidianamente di cefalee tensive, che lo portano a pensare di avere una “malattia
del cervello”, che potrebbe spiegare anche le sue continue dimenticanze.
La valutazione psicometrica effettuata della sintomatologia depressiva e
dissociativa ha mostrato una condizione di depressione severa (punteggio di
37 alla bdi) e una condizione di elevata dissociazione (punteggio di 56 alla
dEs).
Interventi
Sociale - attraverso il servizio sociale viene inviato ad un corso di italiano
e, in un secondo tempo, in una scuola dove frequenta un corso per il diploma di terza media.
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o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o ”
5. Tre storie di together with VI.TO. Casi clinici
a partire da febbraio del 2014 viene inserito nel Progetto di riabilitazione
Psico-sociale di teatro.
Legale - il servizio legale lo ha assistito attraverso numerosi colloqui al fine
di preparare una memoria articolata con la sua storia personale, successivamente inviata in Commissione territoriale congiuntamente ad un certificato
medico-psicologico.
Psicologico - L'intervento psicologico è di tipo integrato. in una prima
fase è stata impostata una terapia psicofarmacologica, che, unitamente a frequenti colloqui si supporto, ha consentito la riduzione della sintomatologia
iniziale. La persistenza di una sintomatologia depressiva e dissociativa residuale ha condotto nel gennaio 2014 all'avvio di una terapia psicologica di
tipo espressivo-supportivo a cadenza settimanale e all'inserimento, attraverso
il servizio sociale, nel laboratorio di teatro.
Situazione attuale
nel gennaio del 2014 ha sostenuto l'audizione presso la Commissione
territoriale di roma, ottenendo lo status di rifugiato.
il quadro clinico ha mostrato un'evoluzione positiva lenta e graduale, che
ha consentito la sospensione della terapia farmacologica. E' ancora in corso
la terapia psicologica.
L'assistente sociale, in collaborazione con il centro per l'orientamento al
lavoro, ha formulato un progetto di formazione professionale, che inizierà dal
mese di settembre 2014.
60
o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o ”
6. I progetti di ricerca Together with VI.TO.
6.1 Introduzione
il Progetto Together with VI.TO., tra le sue principali attività, prevede la
conduzione di una specifica ricerca centrata sulla analisi comparata delle
manifestazioni psicologiche e cliniche successive ad esperienze di tortura e di
traumi estremi nei richiedenti asilo accolti in paesi africani rispetto a quelli
fuggiti in Europa. L'obiettivo della ricerca è di valutare le possibili differenze
riguardanti le conseguenze psicopatologiche della tortura e di traumi estremi
in una popolazione di rifugiati accolti in paesi limitrofi a quelli di origine
(inside-region refugees) rispetto a rifugiati accolti in paesi lontani da quelli
di origine (outside-region-refugees). Le persone richiedenti asilo generalmente hanno perso tutto ciò che avevano in precedenza: le loro famiglie e
legami sociali, il loro ruolo sociale e il loro senso di appartenenza. il successivo viaggio verso l'Europa può poi richiedere un tempo molto lungo e avvenire in condizioni drammatiche. inoltre, la persona che fugge può andare
incontro molto spesso a nuove esperienze traumatiche, come la detenzione,
la tortura, l'abuso sessuale, ecc. possono accadere. una volta raggiunta
l'Europa, le persone devono far fronte ad una completa de-contestualizzazione culturale e sociale, che tende ad alimentare la sensazione di una ostilità
ambientale e l'emarginazione. Le perdite identitarie, sia sul piano psicologico
che concreto, per coloro che raggiungono l'Europa, diventano nella maggior
parte dei casi permanenti, in quanto il nuovo contesto socio-culturale difficilmente consente di dare uno sbocco naturale alle proprie risorse personali e
professionali. risulta evidente come la migrazione forzata, laddove si realizzi
attraverso la fuga in paesi lontani, rappresenta un vero e proprio C'è generalmente un accordo nel considerare le esperienze di migrazione forzata come
un “trauma sequenziale” in grado di determinare anche severi disturbi psicopatologici e/o organici o di aggravare situazioni patologiche in persone già
precedentemente esposte a traumi estremi nel loro paese.
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o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o ”
6. I progetti di ricerca
Le organizzazioni partner in Camerun e Ciad affrontano situazioni differenti.
il più delle volte, il gap sociale, relazionale e culturale è ridotto rispetto a quello
presente nei rifugiati in Europa. Molte persone arrivano nei paesi limitrofi in
compagnia di amici o familiari, ritrovando spesso persone della propria
comunità e potendo in tal modo ricreare un clima e un ambiente sociale in
continuità con quello precedente. altri connazionali ce spesso sono accolti
dalle loro stesse comunità di appartenenza. Gran parte degli obiettivi di ricerca
del Progetto Together with VI.TO. trovano il loro presupposto proprio nelle
considerazioni fin qui sviluppate, proponendosi di condizione, ha fornito
l'insolita possibilità di analizzare le conseguenze psicopatologiche di eventi
traumatici estremi su popolazioni simili per provenienza geografica, che
differiscono, però, per l'entità del loro sradicamento.
di conseguenza, le popolazioni comparate in questa ricerca condividono
il tipo di esperienze traumatiche subite nel paese d'origine, ma differiscono
per il tipo di viaggio, il contesto culturale e per i legami sociali e le relazioni
che mantengono nella fase post-traumatica. se La letteratura scientifica sul
trauma interpersonale mette in luce la complessità delle conseguenze psicologiche di tali esperienze sull'individuo (vedi capitolo 3), mentre studi più
approfonditi sono necessari per definire il ruolo degli aspetti culturali, sociali
e relazionali come fattori protettivi o di rischio richiede ancora studi più
approfonditi
i progetti di ricerca sono articolati su tre principali livelli: l'identificazione
precoce dei sopravvissuti a tortura e traumi estremi; la valutazione psicologica dei sopravvissuti a tortura e traumi estremi in italia, Camerun e Ciad; un'indagine specifica sul ruolo degli aspetti culturali nella presa in carico e nella
cura delle lavoro con le persone sopravvissute a tortura e traumi estremi provenienti dall'africa centrale e occidentale.
nel corso degli ultimi anni, l'unione Europea ha sostenuto delle azioni
specifiche al fine di sviluppare e implementare delle procedure strutturate volte
ad aumentare la capacità degli stati Membri di individuare precocemente i
richiedenti asilo vulnerabili. Le ultime direttive sugli standard minimi delle
condizioni di accoglienza sottolineano in diverse parti il bisogno cruciale di
rafforzare le procedure di identificazione e di fornire l'adeguata assistenza alle
categorie vulnerabili (direttiva 2003/9/EC; direttiva 2013/33/Eu). una
affidabile e rapida identificazione delle persone sopravvissute a traumi estremi
deve quindi essere implementata sia per migliorare le loro condizione di
accoglienza e di cura, sia per adeguarsi con le direttive Europee, che presto
saranno trasposte nelle Legislazioni nazionali.
L'ampia attività clinica svolta dalle organizzazioni partner in Camerun e
Ciad ha consentito di condurre una sperimentazione sul campo volta a testare
l'intervista Etsi (Extreme trauma and torture survivors identification
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o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o ”
6. I progetti di ricerca
interview). Questa intervista clinica è stata specificamente sviluppata dal Centro
per le Patologie Post-Traumatiche dell'azienda ospedaliera san Giovanniaddolorata di roma, in collaborazione con il Consiglio italiano per i rifugiati
per l'dentificazione precoce dei sopravvissuti a traumi estremi e è già stata
testata in alcuni centri di accoglienza in italia. ad oggi, la necessità di sviluppare
specifici questionari per l'identificazione precoce dei richiedenti asilo altamente
vulnerabili si scontra con la carenza di strumenti supportati da validazioni
scientifiche. il Progetto Together with VI.TO. ha fornito l'occasione per
raccogliere ulteriori evidenze al fine di rafforzare la validazione dell'intervista
Etsi in contesti non occidentali, come il Camerun e il Ciad.
un tema successivo riguarda la possibilità di effettuare una valutazione
clinica adeguata delle conseguenze della tortura. il lavoro clinico mostra come
alcuni disturbi possono comparire in una fase precoce, mentre altri possono
rimanere latenti per lunghi periodi di tempo, per poi manifestarsi in occasioni
di crolli psicologici o impasse esistenziali insormontabili. alcune persone
sembrano incapaci di affrontare positivamente un percorso di integrazione,
nonostante nessuna alterazione clinica acuta possa essere diagnosticata. tale
osservazione empirica suggerisce che alcune alterazioni psichiche operano ad
un livello molto profondo del funzionamento mentale, che può facilmente
passare inosservato.
nonostante gli studi esistenti mostrino una elevata incidenza di precedenti esperienze di tortura tra i richiedenti asilo e i rifugiati (Masmas t.n. et al.
2008; Piwowarczyk L. et al. 2000; Eisenman dP et al. 2000; Kessler et al.,
1995), solo pochi dati sono attualmente disponibili sulle conseguenze psicopatologiche di tali esperienze in questa popolazione. alcune ricerche evidenziano una incidenza molto alta di disturbi psicologici come il dPts (tra il 40
e il 70%) e la depressione (tra il 25 e il 50%) tra le vittime di tortura, ma non
danno ulteriori informazioni sull'incidenza della dissociazione e del dPts
Complesso, oggi considerati come le conseguenze più specifiche dei traumi
interpersonali (steel z. et al. 2009; Masmas t.n., Møller E. 2008; Musisi s et
al. 2000; nirakar Man shrestha, bhogendra sharma 1998). inoltre, pochi
studi distinguono in maniera chiara le persone in funzione del tipo di esperienze vissute. Questo fatto potrebbe spiegare l'ampio range osservabile nelle
ricerche sull'incidenza del dPts e della depressione. Per quanto riguarda gli
studi che analizzano la dissociazione tra i rifugiati, spesso questi prendono in
considerazione tutta la popolazione di rifugiati provenienti da una determinata area geografica, senza entrare nel merito delle esperienze traumatiche
subite (Morina n. and Ford j.d., 2008, bryant r.a. et al., 2005; Favaro a. et
al., 1999; bremner j.d. Et al., 1997; bremner j.d. et al., 1992). Per tale motivo, il Progetto Together with Vi.To. si è proposto di effettuare un'analisi comparativa della depressione e della dissociazione su una popolazione specificamente individuata sulla base delle esperienze traumatiche pregresse.
63
o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o ”
6. I progetti di ricerca
La terza parte della ricerca riguarda una analisi delle informazioni raccolte
attraverso uno specifico questionario somministrato ai clinici che operano
con i sopravvissuti a tortura in Ciad e Camerun riguardante l’impatto delle
specificità culturali sul loro lavoro. La metodologia di questa ricerca è presentata nel prossimo paragrafo, mentre i risultati dell'inchiesta sono discussi nel
capitolo 4.
6.2 Obiettivi
• Progetto di ricerca-a (rP-a): sperimentazione in Ciad e Camerun di una
specifica intervista per l'identificazione precoce dei sopravvissuti a tortura
e traumi estremi – Etsi interview – in popolazioni dell'africa Centrale e
occidentale.
• Progetto di ricerca-b (rP-b): Valutazione, attraverso una analisi psicometrica strutturata, delle conseguenze psicopatologiche dei traumi estremi e
della tortura nei richiedenti asilo e rifugiati in popolazioni dell'africa
Centrale e occidentale, confrontando i richiedenti asilo accolti in paesi
limitrofi con quelli ospitati in italia.
• Progetto di ricerca-C (rP-C): analisi delle possibili peculiarità etnoculturali nelle manifestazioni cliniche, nei sintomi e nel trattamento delle conseguenze psicopatologiche della tortura e dei traumi estremi nei richiedenti asilo e rifugiati, attraverso specifici focus group e questionari per i clinici.
in questo capitolo sono presentati i risultati delle ricerche rP-a e rP-b,
mentre i risultati della ricerca rP-C sono stati presentati nel capitolo 4.
6.3 Metodologia
i partecipanti sono stati reclutati consecutivamente in un periodo di 14
mesi nei tre servizi coinvolti nella ricerca: l'azienda ospedaliera san Giovanniaddolorata a roma, il trauma Centre in Camerun e l'association jeunesse
pour la Paix et la non-Violence in Ciad.
RP-A – in questo progetto sono incluse le persone reclutate in Camerun e
Ciad (n=177), dato che una prima sperimentazione dell'intervista Etsi era già
stata svolta in italia su 116 richiedenti asilo. i risultati del rP-a saranno confrontati con i dati precedentemente raccolti in italia.
RP-B – L'inclusione nel seguente progetto di ricerca sottostava quattro criteri di inclusione adottati in tutti i centri partecipanti:
64
o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o ”
6. I progetti di ricerca
•
•
•
•
Essere maggiorenne
Essere richiedente asilo o rifugiato
assenza di precedenti disturbi o trattamenti psichiatrici
storia di precedenti esperienze di tortura o traumi estremi nei 12 mesi precedenti la valutazione
i partecipanti reclutati per la ricerca hanno portato a termine il seguente
protocollo di valutazione:
• Valutazione clinica – attraverso l'intervista Etsi e una scheda di assessment
• Valutazione psicometrica – effettuata con la dissociative Experiences scale
e la beck depression inventory.
L'assessment è stato condotto da un team di psicologi e psichiatri, specificamente formati nell'ambito della tortura e dei traumi estremi. in Ciad, data
l'assenza di psicologi nell'organizzazione dei servizi di assistenza, hanno partecipato assistenti psico-sociali. un mediatore culturale era presente, quando
necessario, per garantire una corretta comprensione nel corso dell'intervista.
una valutazione psicologica iniziale è stata condotta usando l'intervista
Etsi, intervista semi-strutturata, specificamente sviluppata per l'assessment
delle conseguenze psicologiche dei traumi estremi. Questa intervista è centrata sulla storia clinica e personale del paziente, con una particolare attenzione ai sintomi post-traumatici, dissociativi e depressivi e alle precedenti
esperienze traumatiche.
in aggiunta, un breve questionario (“assessment overview”) è stato allegato al fine di consentire ai clinici di sintetizzare le loro osservazioni cliniche.
La valutazione psicometrica è stata condotta usando la dissociative
Experiences scale ii (dEs, Carlson e Putnam, 1993) e la beck depression
inventory (beck a.t. Et al., 1979).
RP-C – due focus group sono stati organizzati e uno specifico questionario è stato elaborato per raccogliere informazioni dagli psicologi e assistenti
psico-sociali che operano in Camerun e Ciad in relazione all'influenza dei fattori culturali sul loro lavoro clinico con i sopravvissuti a tortura. Le seguenti
sei domande sono state sottoposte ai clinici del tCC e dell'ajPnV:
1. nel suo lavoro clinico con i sopravvissuti a tortura le è capitato di incontrare sintomi che non potessero essere inquadrati usando le categorie diagnostiche internazionali? se si, queste manifestazioni cliniche ricevono un
inquadramento o una denominazione dalla medicina tradizionale del suo
paese?
2. Pensa sia presente una differente consapevolezza individuale della valenza
traumatica di alcuni eventi in relazione al gruppo etnico di appartenenza? in
65
o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o ”
6. I progetti di ricerca
quale modo questa peculiarità può influire sul processo terapeutico?
3. Pensa che un certo numero di pazienti possa beneficiare dei trattamenti tradizionali? in questi casi, è ridotta l'aderenza ai trattamenti non tradizionali?
4. Pensa che alcune condizioni cliniche debbano necessariamente essere
trattate con interventi terapeutici tradizionali?
5. Pensa che gli interventi individuali possano essere efficaci o solamente
il coinvolgimento del gruppo familiare o sociale può rendere un intervento
efficace?
6. in quale percentuale sono usati psicofarmaci? i casi che richiedono questi trattamenti hanno accesso ad un'assistenza psichiatrica? Quali medicine
sono disponibili?
6.4 Strumenti
6.4.1 L'Intervista ETSI
L'intervista E.t.s.i. è un'intervista clinica semi-strutturata sviluppata dal
Centro per le Patologie Post-traumatiche e da stress dell'azienda ospedaliera
san Giovanni-addolorata di roma, in collaborazione con il Consiglio italiano
per i rifugiati. E' stato creato come strumento di screening per personale
medico e psicologico, specificamente formato, operante nei centri di accoglienza per richiedenti asilo. Gli psicologi del tCC e gli assistenti psico-sociali dell'ajPnV hanno seguito un training specifico prima di usare l'intervista.
L'intervista E.t.s.i. comprende cinque sezioni differenti: 1) sintomi Posttraumatici; 2) narrazione Esperienze traumatiche; 3) resilienza; 4)
impressione Clinica; 5) informazioni biografiche.
Le sezioni 1 e 3 sono progettate come questionari strutturati, mentre le
sezioni 2, 4 e 5 prevedono domande aperte. in particolare, la sezione 4, dove
sono espresse le impressioni del clinico, deve essere compilata alla fine della
consultazione. La sezione 5 include informazioni di tipo personale, familiare
e sociale.
L'intervista E.t.s.i. può anche essere usata per effettuare un triage, al fine
di determinare, con l'utilizzo di specifici codici colore, la verosimiglianza che
una persona abbia avuto esperienze traumatiche estreme, indicando conformemente l'urgenza con cui programmare i necessari interventi medici e psicologici.
L'intervista E.t.s.i. esordisce con tre domande riguardanti eventuali accessi precedenti a visite e cure mediche, rilevando al contempo le problematiche mediche e psicologiche emergenti. Queste domande hanno un importanza clinica, ma non vengono prese in considerazione per il calcolo del
triage.
66
o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o ”
6. I progetti di ricerca
Sezione 1 – Sintomi Post-Traumatici: questa sezione è un questionario
di screening per alcune manifestazioni cliniche conseguenti ad esperienze
traumatiche estreme, come sintomi da aumentato arousal, depressivi, dissociativi, cognitivi, psicosomatici e da riemersione di memorie traumatiche. Le
domande sono state scelte da un lato considerando l'importanza di un particolare sintomo nelle sindromi post-traumatiche, dall'altro cercando di agevolare la comprensione delle domande da parte dell'intervistato e facilitare l'individuazione del sintomo specifico da parte dell'intervistatore. Questa sezione comprende 18 item che individuano ognuno uno specifico sintomo. ogni
domanda prevede una risposta quantitativa, a cui è possibile associare un
breve commento descrittivo. i punteggi esprimono la frequenza con cui compare il sintomo: 0 = no o raramente; 1 = si, a volte; 2 = si, spesso o sempre.
tutti gli item sono riconducibili alle specifiche dimensioni psicopatologiche
menzionate.
tra i sintomi dissociativi, che generalmente sono i più difficili da individuare,
l'intervista E.t.s.i. prende in considerazione l'assorbimento immaginativo (“Le
capita mentre qualcuno le parla, di rendersi conto di non aver ascoltato o
sentito quello che dicevano”), l'amnesia dissociativa (“Le capita di trovare le
prove di aver fatto cose che non ricorda?”), la depersonalizzazione psichica (“
Le capita di guardarsi dall’esterno come se guardasse un estraneo?”) e la
depersonalizzazione somatica (“a volte può restare indifferente al dolore fisico,
come fosse un altro a provarlo? “). Gli altri item della sezione esplorano: i
disturbi del sonno, i dolori somatici e la cefalea, le palpitazioni, i disturbi visivi,
i sintomi da riemersione di memorie traumatiche, le alterazioni dell'umore, il
difetto di regolazione degli affetti e degli impulsi, i comportamenti autolesivi,
le alterazioni della memoria e della concentrazione.
Sezione 2 – Narrazione Esperienze Traumatiche: questa sezione esplora le precedenti esperienze traumatiche attraverso sei domande aperte. Le
prime domande esplorano i possibili traumi secondari accaduti nel corso del
viaggio o nel paese ospitante, le successive esplorano il trauma primario,
come possibili esperienze di tortura o trauma estremi precedenti la migrazione.
L'intervista procede con gradualità dai traumi secondari al trauma primario. al fine di contenere la possibilità di riattivare memorie traumatiche, si raccomanda all'intervistatore di non porre domande aggiuntive per ottenere
maggiori informazioni sulla storia traumatica dell'intervistato.
Valutazione del Triage nella sezione 2. Le informazioni raccolte in questa
sezione possono essere sintetizzate usando i codici colore: bianco = non sono riferite esperienze traumatiche; verde = sono riferite esperienze traumatiche; rosso =
sono riferite esperienze di violenza estrema e/o tortura.
67
o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o ”
6. I progetti di ricerca
Sezione 3 – Resilienza: questa sezione valuta quattro fattori, connessi con
la resilienza, riguardanti le risorse personali disponibili. Come nella sezione 1
ogni domanda esplora un fattore specifico e prevede una risposta quantitativa compresa tra 0 e 2: 0 = no o raramente; 1 = si, a volte; 2 = si, spesso o
sempre. Le domande sono centrate sulla capacità della persona di partecipare e trarre piacere dalla vita e dalle attività sociali, così come sull'attitudine e
la capacità di proiettarsi e avere una progettualità per il futuro. non è una
scala di valutazione psicometrica per la resilienza.
Valutazione del Triage nella sezione 3. Il punteggio totale, ottenuto dalla
somma dei singoli item, può essere convertito in un codice colore: bianco = 6-8;
verde = 3-5; rosso = 0-2.
Sezione 4 – Impressione Clinica: il clinico è tenuto a esprimere la sua
valutazione personale. Questa sezione deve essere compilata dopo che l'intervista e la valutazione clinica siano concluse. in particolare, lui/lei dovrebbe
esprimere la sua valutazione rispetto alla compatibilità tra la condizione clinica rilevata e la storia traumatica raccontata, ovvero la sua opinione rispetto
alla verosimiglianza che l'intervistato abbia subito esperienze traumatiche
estreme e di tortura.
Valutazione del Triage nella sezione 4. Il codice colore può essere usato per
sintetizzare la valutazione clinica: bianco = l'intervistatore è portato ad escludere esperienze traumatiche pregresse; verde = l'intervistatore ritiene possibile che
vi siano state esperienze traumatiche; rosso = l'intervistatore ritiene possibile che
vi siano state esperienze di violenza estrema o tortura.
Sezione 5 – Informazioni Biografiche: questa sezione raccoglie alcune
principali informazioni sociali e personali, riguardanti la famiglia, l'istruzione,
le esperienze professionali e la fede. Gli ambiti esplorati da questa sezione
sono di primaria importanza, affinché l'intervistatore possa contestualizzare le
informazioni cliniche facendo riferimento al periodo precedente le esperienze traumatiche. Considerare la persona in una cornice più articolata consente di ristabilire la tridimensionalità della sua identità.
La valutazione del Triage – il calcolo del triage può essere utilizzato nelle
situazioni in cui un ampio numero di persone debbano essere valutate per
uno screening. a questo scopo, il codice colore ottenuto in ogni sezione deve
essere riportato nella pagina iniziale nell'apposito riquadro (vedi p.xxxx). il
codice del triage si calcola sommando i punteggi parziali associati al codice
colore corrispondente delle sezioni 1, 2, 3 e 4. il punteggio complessivo è
compreso tra 0 e 13 e definisce l'urgenza con cui è necessario procedere con
una valutazione specialistica ed, eventualmente, con una presa in carico.
Codice bianco = 0 – 3: è improbabile che la persona abbia subito espe68
o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o ”
6. I progetti di ricerca
rienze di tortura o di violenza estrema. un secondo assessment può essere
previsto a distanza di tempo nel caso in cui la valutazione del clinico si discosti sensibilmente dal risultato del triage.
Codice Verde = 4 – 8: è verosimile che la persona abbia subito esperienze
di tortura o di violenza estrema. un invio presso un centro specialistico al fine
di una valutazione più accurata deve essere prevista entro 15 giorni.
Codice rosso = 9 – 13: è altamente verosimile che la persona abbia subito esperienze di tortura o violenza estrema. L'invio presso un centro specialistico è urgente e deve essere previsto entro 5 giorni.
si precisa che il triage è un calcolo volto a fornire un'indicazione sulla possibilità che una persona abbia vissuto esperienze traumatiche estreme. ha
una particolare utilità nei contesti in cui sia accolto un ampio numero di
richiedenti asilo. L'intervista E.t.s.i. non ha uno scopo diagnostico. E' stato
creato per essere uno strumento sensibile più che specifico. il suo obiettivo è
di individuare persone che riferiscono storie traumatiche, presentando un
quadro clinico di tipo post-traumatico. indagini più approfondite e finalizzate a fornire un inquadramento diagnostico devono essere svolte da servizi
specializzati.
6.4.2 Gli strumenti psicometrici
La Dissociative Experiences Scale (dEs) è un questionario auto-somministrato, che comprende 28 item. ogni item riceve un punteggio compreso
tra 0 e 100%, in funzione della frequenza con cui compare la specifica esperienza dissociativa descritta (Carlson e Putnam, 1993).
La dEs non ha uno specifico cut-off, ma, in accordo con precedenti studi,
un punteggio medio superiore a 10% è considerato più alto della popolazione generale e quindi indica la presenza di esperienze dissociative in misura
superiore alla norma. un punteggio superiore a 30% è interpretato come
segno di elevata dissociazione.
tre “cluster” di esperienze dissociative possono essere distinti nella dEs: l'amnesia dissociativa (item 3-6,8,10,25,26), l'assorbimento immaginativo (item 2,1418,20,22,23) e la depersonalizzazione/derealizzazione (item 7,11-13,27,28).
La Beck Depression Inventory (bdi) è un questionario a scelta multipla di
21 item, tra i più usati in campo internazionale per la misurazione della gravità
dei sintomi depressivi (beck a.t. Et al., 1979). ogni item riceve un punteggio
tra 0 e 3 in funzione della gravità di ogni specifico sintomo descritto.
un punteggio tra 11 e 16 è considerato come depressione lieve o sub-clinica, un punteggio tra 17 e 20 è definito borderline, un punteggio tra 21 e 30 è
indice di depressione moderata, clinicamente significativa, oltre 30 indica
depressione severa e oltre 40 depressione estrema. un punteggio superiore a
17 persistente nel tempo indica comunque la necessità di un trattamento.
69
o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o ”
6. I progetti di ricerca
Intervista
In
te
erv ista E.
E.T.S.I.
T. S. I .
Extreme
Ex
treme Tr
Trauma
auma and
and To
Torture
o rtu re S
Survivors
urvivors IIdentification
dentification Interview
I n t e r v ie w
CARA/CdA
CARA/CdA …………..……..…………………….……………….
…………..……..…………………
……….……………….
Intervista
Inte
t rvista
t n°
° .………...
.………
…...
Operatore
O
peratore …….………………………………………………....
…….……………………………………
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Data
………………….…..
D
ata ………………….
…..
Cognome:……………..…………………………..
Cog
nome:…………….
…
.……………
……………….. Nome:
Nome: ...........................................
...........................................
Nazionalità:
N
azionalità:: .........................................
.. . .. .. . .. .. . .. .. . .. .. . .. .. . .. . .. .. . .. .. .
Data
dii n
nascita:
D
ata d
ascita: ....……………………………………
..… … … … … … … … … … … … … …
Lingua
Mediazione
Mediazione linguistica
linguistica
……………….….….………………………………….
………
……….….….………………………………….
……………….
Partenza:……….. A
rrivo
i
Italiia):...…
...…………
……… Codice
Codice fiscale:………………………..
fiscalle:………………………..
Partenza:………..
Arrivo
(in Italia)
Nucleo
No
Nucleo familiare:
familiare: N
o!
Si
Si ! ………………………..…………………………….……….….
………………………..…………………………….……….….
Triage
Sezione
S
ezione
Codice
Codice Colore
Colore
1) S
Sintomi
intomi
m post-traumatici
post-traumatici
0
2
3
2)
2
) Narrazione
Narrazione esperienze
esperienze traumatiche
traumatiche
0
3
5
3) Resilie
Resilienza
enza
0
1
2
4) Impression
Impressione
essione c
clinica
linica
0
2
3
Totale:
T
otale:
ESITO
ES
ITO del
iimprobabile
mprobabile (0-3))
probabile
p
robabile (4-8)
TRIAGE
TR
IA G E
altamente
al
tamente probabile
probab
a ile (9-13)
Inviato
I
nviato a
…………………..…………………………………..…………..
…
………………..…………
…………………………..…………..
Data
D
ata……….
………..………..…
.………..…
L’Intervista
L’
Intervista E.
E
E.T.S.I.
T.S.I. è stata
stata creata
creata dal
dal Centro
Centro per
per lo
lo Studio
Studio e il
il Trattamento
Trattamento delle
delle Patologie
Patologie Post-traumatiche
Post-traumatiche e da
da Stress
Stress
dell’Azienda
dell’Azienda Ospedaliera
Ospedaliera San
San Giovanni
Giovanni – Addolorata–
Addolorata– Roma
Roma (t
(tutti
utti i diritti
diritti riservati)
riservati)
70
o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o ”
6. I progetti di ricerca
6.5 Risultati
RP-A
il numero complessivo di persone valutate tramite l'intervista Etsi è di
177, 108 persone sono state reclutate in Ciad e 69 in Camerun (vedi tabella
4). L'intervista Etsi è stata usata come strumento iniziale di screening, prima
di aver raccolto altre informazioni sul caso.
Tabella 4: Partecipanti al Progetto di Ricerca A
Partecipanti
177
Rapporto M:F
118:59
Età Media
29,6 anni
i paesi d'origine dei partecipanti sono la repubblica Centro-africana (81%), la
repubblica democratica del Congo (15%) e il sudan (4%).
sul totale delle 177 interviste raccolte è stata osservata la seguente distribuzione dei triage: un'ampia maggioranza di codici rossi (53%), una rilevante quota
di codici verdi (36%) e una minoranza di codici bianchi (11%) (v. tabella 5).
Triage
Bianco
Verde
Rosso
Tabella 5. Distribuzione dei codici di Triage
n°
19
64
94
177
%
11
36
53
100
i codici colore seguono una distribuzione simile nelle sezioni sui sintomi
post-traumatici, sulle precedenti esperienze traumatiche e sull'osservazione
clinica. solo la sezione sulla resilienza presenta una distribuzione differente,
con una maggioranza di codici verdi (42%) e bianchi (40%) e una minoranza di codici rossi (18%).
Valutando separatamente i codici colore in ogni sezione è possibile osservare la seguente distribuzione:
L'analisi dell'affidabilità della coerenza interna, valutata tramite l'alfa di
Cronbach, è stata condotta sulle sezioni 1 e 3, in quanto tale coefficiente
misura le intercorrelazioni tra diversi item che misurano lo stesso costrutto e
solo queste due sezioni sono strutturate con più item. L'affidabilità dell'intervista nelle sezioni 1 e 3 è risultata eccellente, con un coefficiente di 0,9.
71
o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o ”
6. I progetti di ricerca
L'analisi della correlazioni interne all'intervista è stata condotta usando il
coefficiente di correlazione r di Pearson, calcolato confrontando i codici coloGrafico 1.
Distribuzione dei codici colore nelle diverse sezioni dell'intervista
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re ottenuti nelle singole sezioni dell'intervista tra loro e con il codice di triage.
Come riportato nella tabella 6, è possibile osservare correlazioni molto elevate tra tutte le sezioni dell'intervista Etsi e con il triage. L'unica eccezione è
rappresentata dall’assenza di una correlazione tra i sintomi post-traumatici e
la resilienza, che sembra essere in questo caso una variabile indipendente.
Tabella 6. Correlazioni interne dell'Intervista ETSI (n=177)
Coefficiente r
Triage
Sintomi
Esperienze Resilienza Osservazione
di Pearson
posttraumatiche
clinica
traumatici
Triage
0,6346*
0,8387*
0,3829* 0,8629*
Sintomi post-traumatici 0,6346*
0,5165*
0,1207** 0,5347*
Esperienze traumatiche 0,8387* 0,5165*
0,2282* 0,8353*
Resilienza
0,3829* 0,1207*
0,2282*
0,361*
Osservazione clinica
0,8629* 0,5347*
0,8353*
0,361*
* p = 0,00
** N.S.
Confronto con la precedente sperimentazione effettuata in Italia
La precedente sperimentazione è stata condotta in italia su 116 richiedenti asilo ospitati in centri di prima accoglienza. La distribuzione del triage era
molto simile rispetto a quella rilevata in Ciad e Camerun: una ampia maggioranza di codici rossi (57,7%), una quota rilevante di codici verdi (32,8%) e
una minoranza di codici bianchi (9,5%) (vedi tabella 7).
72
o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o ”
6. I progetti di ricerca
Triage
BIANCO
VERDE
ROSSO
Tabella 7 . Distribuzione dei codici di Triage
% Italia
9,5
32,8
57,7
100
% Africa
11
36
53
100
La valutazione dei codici colore delle singole sezioni dell'intervista presentano, invece, una distribuzione differente. i codici rossi risultano prevalenti
solamente nella sezione 1 (sintomi post-traumatici), mentre nelle sezioni 2 e
3 i codici verdi sono prevalenti. nella sezione 4 i codici rossi e verdi risultano
equivalenti.
L'analisi della coerenze interna dell'intervista (alfa di Cronbach) è risultata
accettabile, essendo superiore a 0,7 (vedi tabella 8).
L'analisi delle correlazioni interne ha mostrato correlazioni molto elevate
tra tutte le sezioni, anche tra la sezione sui sintomi post-traumatici e quella
sulla resilienza
Tabella 8: Coerenza interna dell'Intervista ETSI nella prima (Italia) e
nella seconda sperimentazione (Africa)
Italia
Africa
Alfa di Cronbach
0,7
0,9
Livello di affidabilità
accettabile
Eccellente
RP-B
un totale di 170 partecipanti sono stati reclutati per la valutazione psicometrica (vedi tabella 9). di questi, 78 sono stati reclutati da tCC (n=50) e
ajPnV (n=28) in Camerun e Ciad rispettivamente e 92 sono stati reclutati
dall'azienda ospedaliera san Giovanni-addolorata di roma. L'età media e la
distribuzione di genere è paragonabile nei due gruppi. Le persone reclutate
da tCC e ajPnV sono state individuate con l'intervista Etsi e successivamente incluse nella valutazione psicometrica.
Tabella 9: partecipanti reclutati per il RP-B
CIR
TCC + AJPNV
Partecipanti
92
78
Rapporto M:F
67:25
51:27
Età Media (anni)
29,8
30,5
73
o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o ”
6. I progetti di ricerca
i dati raccolti con i questionari psicometrici sono stati analizzati al fine di:
a) valutare il punteggio medio alla dEs e alla bdi nei due gruppi; b) paragonare i risultati rilevati tra i richiedenti asilo reclutati in italia e in africa al fine
di evidenziare possibili differenze esistenti tra i due gruppi; c) valutare possibili differenze riguardanti i cluster della dEs.
Come riassunto nella tabella 10, il punteggio medio alla dEs rilevato nei
richiedenti asilo sopravvissuti a tortura o traumi estremi ospitati in italia
rispetto a quelli ospitati in paesi africani limitrofi presenta differenze molto
rilevanti. in primo luogo, il punteggio medio della dEs nel gruppo reclutato
in italia è superiore alla soglia considerata limite per indicare un'alta dissociazione, mentre nel gruppo reclutato in africa rimane ben al di sotto di tale
soglia. se un punteggio superiore al 10% è considerato superiore alla popolazione generale nei paesi occidentali, non è ancora chiaro se questa soglia
possa essere applicata anche alla popolazione generale africana. La differenza è altamente significativa.
CIR
TCC + AJPNV
F di Fisher
Tabella 10: punteggi alla DES e alla BDI
Punteggio medio DES
Punteggio BDI
31,6
27,8
15,2
25,2
40,5 (p<0,0001)
2,8 (p=n.s.)
diversamente, il punteggio della bdi non mostra differenze significative
tra i due gruppi. Entrambe le popolazioni presentano un grado di depressione all'interno del range che definisce una depressione moderata, ovvero un
livello clinicamente significativo, che richiede un trattamento.
L'analisi dei tre cluster della dissociative Experiences scale non fornisce
ulteriori informazioni. L'ampiezza delle differenze esistenti tra i punteggi medi
della dEs dei due gruppi è tale da riflettersi su quasi tutti gli item. solo l'item
17 non presenta differenze significative tra i due gruppi, mentre tre item (15,
18 e 23) presentano un livello di significatività più debole. tutti e quattro gli
item menzionati appartengono al cluster dell'assorbimento immaginativo.
ulteriori informazioni sono poi emerse dalla valutazione della distribuzione dei partecipanti alla ricerca in funzione del livello di gravità dei sintomi dissociativi e depressivi. i grafici 2 e 3 mostrano la distribuzione in funzione della
gravità dei sintomi dissociativi: nel gruppo reclutato in italia si osserva una
prevalenza di persone con alta dissociazione, il 50% ha una dEs>30%, il 28%
ha un livello di dissociazione superiore alla media (dEs tra 10 e 30%) e il 22%
ha un livello di dissociazione nella norma (dEs<10%). nel gruppo reclutato
in africa si osserva una distribuzione differente: il 9% ha una alta dissociazione (dEs>30%), il 51% ha un livello di dissociazione moderato (dEs tra 10 e
30%) e il 40% ha un livello di dissociazione nella norma (dEs<10%).
74
o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o ”
6. I progetti di ricerca
Grafico 2:
sintomi dissociativi nel gruppo CIR
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Grafico 3:
sintomi dissociativi nel gruppo TCC+AJPNV
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%
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un confronto analogo effettuato per la bdi ha mostrato a sua volta delle
differenze rilevanti, come mostrato nei grafici 4 e 5. nel gruppo Cir solo il
21% delle persone ha livelli di depressione non clinici o assenti, mentre il
38% ha una depressione moderata e il 41% severa o estrema. nel gruppo
tCC+ajPnV, invece, il 32% non presenta depressione o presenta una depressione subclinica, il 44% presenta una depressione moderata e il 24% severa
o estrema.
75
o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o ”
6. I progetti di ricerca
Grafico 4:
depressione nel gruppo CIR
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6.6. Discussione e conclusioni
Ricerca clinica
L’elaborazione statistica dei dati ottenuti mediante somministrazione
di test Psicometrici specifici e internazionalmente riconosciuti, la dEs e la
bdi, effettuata su 170 rifugiati sopravvissuti a tortura, stupri e violenze
estreme, di cui 92 accolti in italia "Outside-Region Refugees” e 78 accolti
nei Paesi limitrofi a quelli di provenienza “Inside-Region Refugee” ha messo
in evidenza che:
1) i punteggi medi ottenuti nella Beck Depression Inventory sono risultati
elevati situandosi ben oltre il cut-off oltre il quale è da ritenersi necessaria una terapia. il punteggio medio evidenzia un grado di depressione tra moderato e severo.
1a) nessuna differenza statisticamente significativa è stata rilevata nei
due gruppi per quanto riguarda la scala per la depressione - bdi, per
quanto si evidenzino punteggi medi più alti, ma senza che venga raggiunta la significatività statistica, nel gruppo accolto in italia “Outside76
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6. I progetti di ricerca
Region Refugees” rispetto al gruppo di rifugiati accolti in Ciad e
Camerun “Inside-Region Refugees”.
2 i punteggi medi rilevati nella Dissociative Experience Scale sono risultati essere in entrambi i gruppi, ben oltre la soglia del 10%, al di là della
quale si può parlare di dissociazione patologica.
2a) si rileva, tra i due gruppi, una differenza notevole e statisticamente significativa nei risultati relativi alla scala per la dissociazione – dEs.
nel gruppo accolto in italia “Outside-Region Refugees” il valore medio
è 31,6% e quindi oltre la soglia che definisce l’alta dissociazione, mentre nel gruppo accolto in Ciad e Camerun “Outside-Region Refugees” il
valore medio è nettamente inferiore e pari al 15,2%, oltre la soglia che
definisce un livello moderato di dissociazione.
• i risultati della ricerca confermano che i disturbi dissociativi e i disturbi della sfera depressiva/affettiva rappresentano una costante patognomonica nell’evoluzione patologica delle esperienze traumatiche
estreme, come la tortura, lo stupro, le violenze e gli abusi.
• i nostri risultati confermano e supportano il costrutto nosologico del
disturbo Post-traumatico Complesso o Complex-Ptsd, che identifica
proprio come elementi nucleari e specifici delle patologie conseguenti a traumi estremi, a differenza di quanto accade nel Ptsd, la dissociazione e le alterazioni della sfera affettiva.
• di particolare interesse, d’altro canto, è invece il differente comportamento dei disturbi dissociativi rispetto a quelli depressivi nella risposta
alle caratteristiche qualitative e quantitative dei numerosi e proteiformi traumi sequenziali che ogni sopravvissuto a tortura, stupro o altro
genere di abuso si trova necessariamente ad affrontare, proprio dal
momento in cui inizia la sua fuga.
• i disturbi depressivi, valutati attraverso i risultati della bdi, appaiono
correlati con le esperienze traumatiche estreme ma non mostrano nessuna correlazione significativa con la durata e la traumaticità della
fuga, con il contesto di accoglienza, con il gap etno-culturale, con i
traumi identitari legati al trauma da acculturazione, ecc., non risultando alcuna differenza significativa nella bdi tra il gruppo degli InsideRegion Refugees e quello degli Outside-Region Refugees.
• i disturbi dissociativi, valutati attraverso i risultati della dEs, appaiono
invece correlati sia con l’esperienza di tortura o abuso subito, sia con
la tipologia, la durata, la ripetitività e la pervasività delle esperienze
traumatiche sequenziali il cui inizio coincide con il momento della
fuga. Questa spiccata “sensibilità” della componente dissociativa delle
patologie post-traumatiche, in risposta al perdurare e al ripetersi di
esperienze, di contesti e di atmosfere con alto potenziale traumatoge77
o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o ”
6. I progetti di ricerca
•
•
•
•
no e a una teoria infinita di traumatismi sequenziali, sembra essere
chiaramente testimoniata dalla notevole differenza, statisticamente
significativa, riscontrata nei 2 gruppi presi in esame nei punteggi medi
alla dEs, che risultano molto più elevati (oltre il doppio) nel gruppo
degli “Outside-Region Refugees” rispetto a quello degli “Inside-Region
Refugees”.
Le notevoli differenze esistenti tra i due gruppi di rifugiati presi in
esame nella nostra ricerca “Inside e Outside-Region Refugees”, in relazione ai contesti e alle esperienze di vita successive al trauma primario,
non influenzano significativamente l'evoluzione dei disturbi dell'umore (benché il gruppo reclutato in italia presenti una incidenza lievemente maggiore, ma non significativa, di forme di depressione più
severa), mentre invece appaiono influenzare in maniera sostanziale la
gravità dei disturbi della sfera dissociativa.
i risultati sembrano quindi confermare solo per quanto riguarda i
disturbi dissociativi, la validità della nostra ipotesi/assunto iniziale che
presupponeva l’esistenza di una correlazione tra la gravità dei disturbi
psico-patologici post-traumatici e, non solo i vissuti traumatici estremi
legati alle torture, ma anche le vicissitudini traumatiche sequenziali
che il rifugiato incontra successivamente al trauma “primario”, molto
diverse per molteplici ed evidenti ragioni tra i due gruppi di rifugiati
messi a confronto (Inside e Outside-Region Refugees).
i dati evidenziati nella nostra ricerca sembrano confermare quindi la
decisiva importanza del cosiddetto periodo post-traumatico nel determinare il destino e l’evoluzione psicopatologica nei rifugiati sopravvissuti a tortura, stupri e violenze estreme.
in particolare la specificità rilevata nella correlazione tra disturbi dissociativi e le caratteristiche traumatiche sequenziali e pervasive delle
vicende e del contesto post-traumatico, consentono di ipotizzare un
ruolo importante che tale periodo può giocare nello sviluppo del complex Ptsd o disturbo Post-traumatico Complesso.
tale condizione riguarda in particolar modo i rifugiati che, dopo aver
subito esperienze di tortura, abuso o violenza estrema, hanno dovuto
affrontare un lungo e travagliato “viaggio” verso occidente, durante il
quale non di rado subiscono ulteriori abusi gravi e stupri, si trovano a
vivere una interminabile sequenza di situazioni traumatiche, legate all'isolamento sociale, alle separazioni laceranti, ai lutti vissuti, al senso di colpa
per aver abbandonato i familiari, cercando la salvezza per sé stessi, e si
ritrovano esposti alle incertezze della loro nuova vita, alla mancanza di
speranza, alle umiliazioni e alla completa impotenza riguardo al loro
destino e a quello dei propri cari di cui spesso nulla sanno.
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o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o . ”
6. I progetti di ricerca
tutte queste esperienze infatti hanno un effetto altamente destabilizzante sui sistemi rappresentativi, sulla struttura dell'io e più in generale,
sul senso di sé. Possiamo ipotizzare che, in tale situazione, le strategie evitanti e controllanti preposte a difendere l'io dall’irruzione destabilizzante
e frammentante delle parti dissociate, tendono al collasso e falliscono nel
loro intento. L'io sarà quindi più facilmente sopraffatto dalle parti dissociate attivatesi in conseguenza delle esperienze legate al trauma estremo
primario. inoltre il grado di questa sopraffazione, sarà quello che determinerà le caratteristiche del disturbo Post-traumatico fino alle forme più
gravi dello spettro.
È importante sottolineare come lo sviluppo di un disturbo dissociativo
severo e complesso non è quindi conseguenza esclusiva di esperienze
traumatiche primarie o secondarie di tipo estremo, ma che, nei soggetti
sopravvissuti a tale tipo di traumi, è anche influenzato da eventi, contesti
e circostanze di vita che colpiscono il livello identitario, le rappresentazioni mentali e il senso di sé.
La centralità di questi elementi nel determinare un'evoluzione clinica
verso alterazioni psicologiche più gravi e croniche mette in evidenza le
forti responsabilità politiche e sociali dei Paesi ospitanti, i quali, oltre alla
garanzia di un'assistenza medica e psicologica specializzata, dovrebbero
sviluppare politiche più efficaci al fine di superare la triste equivalenza tra
esilio e trauma sequenziale, proteggendo i richiedenti fin dal momento
del viaggio e dell’arrivo e creando condizioni di accoglienza adeguate, al
fine di facilitare da subito una migliore integrazione sociale, scongiurando emarginazioni precoci.
accanto alla loro importanza umanitaria, socio-politica ed economica,
tali politiche dovrebbero essere considerate come una condizione indispensabile per prevenire e sostenere il trattamento dei disturbi post-traumatici complessi, e diventare parte integrante di una strategia terapeutica multimodale.
Valutazione dello strumento per l’identificazione precoce delle vittime
di tortura
all’interno di questo progetto l’intervista ETSI è stata utilizzata anche
su 170 persone in Camerun e Ciad consentendo di confermare l’elevata
affidabilità e coerenza interna dell’intervista nell’identificazione precoce
dei rifugiati sopravvissuti a torture o traumi estremi. si evidenzia inoltre
come cresca l’affidabilità dell’intervista al crescere della popolazione
inclusa nello studio, mentre le correlazioni interne rimangono sempre
molto elevate.
L’intervista Etsi sembra essere anche facilmente utilizzabile da personale non strettamente sanitario dopo una specifica formazione, come
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6. I progetti di ricerca
accaduto con gli assistenti psico-sociali coinvolti in Ciad. sebbene l’intervista Etsi sia stata inizialmente destinata alla somministrazione da parte
di medici e psicologi, nei paese africani sono spesso altre figure professionali ad operare nel campo dell’assistenza ai rifugiati. È stato quindi necessario coinvolgere personale diverso nelle procedure d’identificazione.
L’assenza di una correlazione tra i sintomi post-traumatici e la resilienza
nella popolazione reclutata in Camerun e Ciad suggerisce che le conseguenze psicologiche collegate ad esperienze di trauma estremo e la capacità di affrontare e reagire a tali esperienze sono due dimensioni separate, che seguono andamenti differenti.
se si considera che circa il 30% dei rifugiati che raggiungono l’Europa
ha subito esperienze traumatiche estreme, è verosimile assumere che
circa 8.000 vittime di tortura siano giunte in italia solamente nel 2013, su
un totale di oltre 27.000 richiedenti asilo. L’assenza di adeguate procedure d’identificazione condanna persone altamente vulnerabili a rimanere
nell’ombra e a non avere accesso a cure specialistiche, senza le quali
diventa impossibile il recupero di un buon equilibrio psicofisico e la partecipazione efficace a percorsi d’integrazione socio-lavorativa.
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o Lt r E i C o n F i n i . t r E a n n i “ t o G E t h E r w i t h V i . t o . ”
autore: saeed (iran). La foto è stata gentilmente concessa dalla mostra itinerante "Mondo Cartoon" di
Marisa Paolucci.
Nessuno può essere libero se costretto
ad essere simile agli altri.
(oscar wilde)
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