Presentazione del Rapporto di Amnesty International 2014-2015 Il caso Italia Gianni Rufini – Direttore Generale di Amnesty International Italia Non esce bene l’Italia dal Rapporto 2014-2015 di Amnesty International. La situazione dei diritti nel paese ha segnato pochi progressi, qualche peggioramento e il permanere di carenze ormai pluridecennali nella legislazione, nell’elaborazione politica e nella prassi amministrativa. Questo si riflette negativamente sulla società, favorendo il permanere di fenomeni di discriminazione, xenofobia, violenza contro le donne, omofobia e abuso di potere. Inoltre, nonostante siano passati più di vent’anni dalla Risoluzione 48/134 del 20 dicembre 1993 dell’Assemblea Generale dell’ONU, l’Italia non si è ancora data un’istituzione nazionale indipendente per la tutela dei diritti umani. Al di là delle molte implicazioni legali ed operative di un vuoto istituzionale, questo ci sembra anche indice di una grave indifferenza del mondo politico verso questo tema. Sei sono le aree su cui si concentra il rapporto: I diritti di rifugiati e migranti, La discriminazione contro i Rom, Controterrorismo e sicurezza, Tortura e maltrattamenti, Decessi in custodia e Sviluppi istituzionali. Vorrei entrare nel merito di alcuni dei degli elementi più significativi. Rifugiati e migranti Nel 2014 l’Italia ha visto un afflusso senza precedenti di migranti giunti via mare dalle rive sud ed est del Mediterraneo. Si tratta nella grande maggioranza dei casi di “richiedenti asilo”, rifugiati che provengono da zone di guerra o da regimi dittatoriali. Secondo gli ultimi dati pubblicati, in un anno ne sono giunti oltre 150.000, tra cui 10.000 minori non accompagnati. Con un’iniziativa unilaterale, dopo il grave naufragio dell’ottobre 2013, il governo italiano ha risposto alla crisi umanitaria mettendo in campo l’Operazione Mare Nostrum e chiedendo invano per questa il sostegno dell’Unione Europea. OMN è stata un significativo successo che ha permesso di salvare decine di migliaia di vite quasi certamente destinate a finire nelle acque del Canale di Sicilia. Ha inoltre operato un’azione di filtro, permettendo l’arresto di centinaia di trafficanti e il sequestro dei loro battelli, contribuendo al contenimento delle organizzazioni criminali che gestiscono il contrabbando di esseri umani. Va detto che, se le operazioni in mare hanno avuto successo, allo sbarco le persone soccorse non hanno trovato miglioramenti nel sistema di ricezione e ospitalità, che rimane gravemente carente, e inadatto a prendersi cura delle persone particolarmente vulnerabili o traumatizzate, e dei minori a rischio. Sconsideratamente, e nonostante le promesse in senso opposto del Presidente del Consiglio, Mare Nostrum è stata chiusa all’atto dell’apertura della missione UE Triton, drasticamente inferiore per mezzi e area operativa, e con un mandato di sicurezza anziché umanitario. Gli effetti di questa decisione, sommati al pur previsto aggravarsi della situazione nel Medio Oriente e in Libia, si sono visti nell’aumento esponenziale degli attraversamenti nei mesi di gennaio e febbraio, e nei tragici naufragi delle ultime settimane. Dunque, quello che era stato un significativo progresso dei diritti di rifugiati e migranti, ha segnato un drammatico passo indietro. Segni positivi sono stati invece i passi legislativi finalizzati a decriminalizzare – almeno in parte l’immigrazione irregolare, decisi dal parlamento. Si attende entro l’autunno, sperabilmente molto prima, il decreto del governo. A ottobre scorso, è stata inoltre approvata la norma che riduce da 18 a tre mesi la detenzione nei centri di espulsione, le cui condizioni rimangono gravemente inadeguate. Nessun miglioramento invece, a quasi tre anni dalla “legge Rosarno”, nella situazione dello sfruttamento clandestino della manodopera immigrata, particolarmente in agricoltura, in diverse regioni del paese. Questo avviene in un clima di violenza e di sopruso, e spesso le vittime sono sottoposte a coercizione e ricatto. Rimane grave, nel dibattito politico, il ricorso ad espressioni e contenuti razzisti, xenofobi e discriminatori. Presentazione del Rapporto di Amnesty International 2014-2015 Tortura, carceri e morti in custodia Dura da 25 anni il ritardo italiano nell’adempiere agli obblighi imposti dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e i trattamenti crudeli e degradanti. Innanzitutto a partire dalla mancanza del reato di tortura nel nostro Codice, anche se c’è stato nell’ultimo anno un passo positivo, con la presentazione di nuovi disegni di legge miranti a introdurre il reato specifico di tortura nell'ordinamento italiano sia alla Camera dei deputati che al Senato. I disegni di legge presentati al Senato a partire dal 22 luglio 2013 sono confluiti in un testo unico approvato il 5 marzo 2014, con voto quasi unanime. Poche settimane fa la Commissione giustizia della Camera, ha approvato un testo che modifica quello approvato in Senato. Il nuovo testo deve passare ora in Aula e poi ritornare al Senato. Si spera che venga mantenuto un sufficiente senso di urgenza che consenta di non arrivare anche in questa legislatura con un nulla di fatto. Però, i responsabili per gli abusi compiuti a Genova nel 2001 sono rimasti impuniti, così come i responsabili di numerosi casi di morti in custodia (vedi sotto), di violenze ingiustificate o uso sproporzionato della forza. Le carceri italiane sono state oggetto di una sentenza della Corte Europea nel 2013 per le condizioni disumane e degradanti, e il sovraffollamento. Molto grave la situazione dei decessi di persone arrestate o fermate dalle forze di polizia. Casi come quelli di Aldo Bianzino, Giuseppe Uva o Stefano Cucchi faticano a giungere ad una conclusione giudiziaria e spesso gli inquirenti si trovano di fronte a un muro d’omertà che impedisce l’accertamento dei fatti. Processi annullati, casi archiviati, insufficienza di prove e prescrizione caratterizzano quasi sempre i procedimenti che vedono imputate le forze di polizia, minando il rapporto di fiducia con i cittadini e indebolendo il loro ruolo di difensori dei diritti di tutti. Emerge un lato oscuro dello Stato. Uno stato a volte abusatore, violento e minaccioso, in cui c’è tolleranza e copertura per comportamenti individuali o di gruppi isolati che praticano atti illegali ed eticamente inaccettabili a danni di cittadini particolarmente vulnerabili e sprotetti. Altre questioni importanti Oltre ai temi approfonditi nel rapporto, ci sono altri aspetti della situazione Italiana al centro delle preoccupazioni e dell’azione di Amnesty International: Omofobia e diritti LGBTI. Negli ultimi anni, aggressioni sia verbali che fisiche nei confronti di persone Lgbti (lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuate) si sono verificati in Italia con preoccupante frequenza, mentre diversi esponenti politici e istituzionali hanno continuato a incoraggiare un clima d’intolleranza e, in alcuni casi, di vero e proprio odio nei confronti di queste attraverso dichiarazioni pubbliche palesemente omofobe. E’ indispensabile modificare le norme penali contro la discriminazione attualmente in vigore (c.d. legge Mancino–Reale), che prevedono pene aggravate per crimini di odio basati sull'etnia, la razza, la nazionalità, la lingua o la religione, ma non considerano allo stesso modo quelli motivati da finalità di discriminazione a causa dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere. Inoltre, l’incitamento a commettere atti di violenza omofobica e transfobica non è perseguibile come altre forme di incitamento alla violenza discriminatoria. Infine, nella legislazione italiana in vigore manca qualsiasi riconoscimento della rilevanza sociale delle famiglie costituite da persone dello stesso sesso e dai loro figli, circostanza che impedisce a molte persone di godere di diritti umani essenziali alla propria autorealizzazione e alimenta la stigmatizzazione delle persone Lgbti. Il percorso politico per sciogliere questi nodi procede con estenuante lentezza. Violenza contro le donne. Secondo fonti attendibili, in Italia la violenza domestica non viene denunciata in oltre il 90 per cento dei casi. Negli ultimi 10 anni, il numero di omicidi compiuti da uomini su altri uomini è diminuito, mentre è rimasto costante il numero di donne uccise, in quanto donne, per mano di un uomo: oltre 100 ogni anno. In circa la metà dei casi, il colpevole è un partner o ex partner mentre solo in circostanze rare si tratta di una persona sconosciuta alla donna. Presentazione del Rapporto di Amnesty International 2014-2015 Un passo in avanti significativo è stato fatto con l’adesione dell’Italia alla Convenzione di Istanbul e la sua ratifica, avvenuta nel 2013, e seguita da un decreto legge del governo. Purtroppo, l’Italia per ora ha preferito concentrarsi sull’aspetto repressivo, certamente necessario ma ampiamente insufficiente in assenza di un lavoro di prevenzione, sensibilizzazione, educazione che è l’unico in grado di produrre effetti profondi e duraturi. Debole e priva di risorse sufficienti è la rete di centri d’accoglienza e protezione delle vittime della violenza. Il semestre perso Quello che emerge da tutto questo è il volto di un paese in cui la consapevolezza dei diritti umani, seppure presente nel diritto e nella coscienza di molti, sembra assente nel dibattito politico e, troppo spesso, nelle dinamiche sociali, nelle relazioni economiche e nella prassi dei pubblici poteri. Lo dimostra anche l’occasione persa del semestre di Presidenza europea. In un’Europa scossa dalla crisi migratoria come da fenomeni d’intolleranza e xenofobia, l'Italia avrebbe potuto e dovuto promuovere una strategia complessiva europea sui diritti umani e perorare azioni positive e di protezione in grado di assicurare il rispetto dei diritti umani da parte degli stati membri sul loro territorio. Oltreché sostenere con forza la necessità di un meccanismo di soccorso per migranti e rifugiati in mare, all’altezza delle responsabilità umanitarie dell’Unione europea, e favorire la creazione di meccanismi sicuri per la richiesta d’asilo. Da quarant’anni in Italia Amnesty International, che nel 2015 festeggia quarant’anni di attività in Italia, proseguirà il suo lavoro per costruire in questo paese un sistema di diritti umani degno del XXI secolo.