Brendulo, ovvero il Che Guevara delle colline

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Persinsala Teatro
Michela Di Michele
ottobre 22, 2013
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Un inno all’azione e alla cultura concreta, lontana dai salotti
buoni dei philosophes. Al Teatro Studio Uno di Roma va in
scena la favola rivoluzionaria di Brendulo.
Questa bella storia comincia nel 1860, più o meno, quando
l’Italia sta nascendo, quando tutto sta cambiando e molti
vogliono che tutto rimanga com’è.
Brendulo è il figlio dei mezzadri e il suo inseparabile amico è Giulio, il figlio
dei padroni. La coppia funziona: Brendulo insegna al suo amico paffutello a
saltare tra i tetti e ad arrampicarsi come un gatto sugli alberi, Giulio
insegna al “folletto dei boschi” a leggere e scrivere. Non si sa cosa Giulio
abbia fatto della sua scoperta agilità, ma certo Brendulo ha fatto tesoro di
quanto appreso. Tra le pagine dei libri, trova un mondo mai scorto dalla
cima degli alberi, dove gli uomini sono tutti uguali. Capisce che è
l’ignoranza a piegare in due i contadini sopra la terra e che bisogna
istruirsi e agire per non subire più soprusi e debellare quell’ingiustizia
incancrenita di schiavi e padroni. «Istruitevi, perché avremo bisogno di
tutta la vostra intelligenza! Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta
la vostra forza!», questo grida Brendulo ai suoi contadini e infuoca gli
animi e arringa i capannelli che crescono, man mano che i contadini
capiscono di poter realizzare un mondo diverso con le stesse braccia che
ogni giorno lavorano una terra che non gli appartiene.
La narratrice sceglie un tema lontano, la mezzadria e le rivolte dei primi
contadini socialisti, per parlare “ai” giorni nostri. Porta il pubblico a
identificarsi con i contadini e a tifare per Brendulo. Lo spettatore accosta
ai fatti narrati la sua situazione personale, la realtà politica, la condizione
sociale e la considera dall’esterno con oggettività fino a vedere la
soluzione a un nodo che dall’interno sembra inestricabile: agire, essere
cittadini attivi e non passivi, conoscere per non rimanere nell’ignoranza,
perché quella, e nient’altro, relega il popolo a un’immeritata
sottomissione. Non si può rimanere a guardare, non si può stare zitti e
accontentarsi, non si può non per noi che sopravviviamo nel presente, ma
«per i figli che avremo». Brendulo, ovvero il Che Guevara delle
colline scuote le coscienze, fa indignare chi ha la soluzione davanti agli
occhi ma rimane paralizzato nel mutismo di chi crede di avere ancora
qualcosa da perdere: un po’ di pane, gli avanzi del padrone, il quieto
vivere di chi non si ribella.
Silvia Frasson si definisce «narratrice immaginifica», ma le si addice anche
https://teatro.persinsala.it
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Michela Di Michele
ottobre 22, 2013
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la definizione di “narratrice immaginogena”, per la sua capacità di
generare immaginazione nelle menti degli spettatori, indotti a vedere i
luoghi, a toccare i personaggi che narra, a respirare gli odori che le sue
parole emanano, a sentire i rumori che risuonano sulla scena, solo con il
racconto, i gesti e l’accompagnamento sapiente delle note musicali. In
questo spettacolo è la fisarmonica di Stefania Nanni a fare da contraltare
alla voce di Frasson, uno strumento agitato, impetuoso e complesso,
cugino nobile di quell’organetto che è l’espressione più gioiosa delle feste
contadine. Nanni e la sua fisarmonica contribuiscono a tratteggiare
qualcosa di molto concreto, una scenografia incorporea, una scena che
non c’è, ma si vede.
Lo spettacolo, come tutte le favole, quelle che hanno una morale e un
insegnamento, non come le fiabe, eteree e sempre a lieto fine, è molto
complesso nella sua semplicità. I piani di lettura sono molteplici,
presentando un livello letterale e uno metaforico, mentre il testo risulta
intriso di riferimenti letterari. La rivolta di Brendulo, infatti, è una delle
tessere che compongono il mosaico più grande della storia di
emancipazione dell’uomo e della sua pretesa di dignità, un’opera che
parte dai tribuni della plebe Caio e Tiberio Gracco, continua nelle rivolte
popolari dei secoli successivi, nel socialismo del ‘900 e nel cristianesimo
popolare di Don Lorenzo Milani, il parroco di Barbiana che insegnava ai
suoi alunni che per essere uguali agli altri dovevano imparare a leggere e
scrivere. I rimandi culminano nella lettera d’amore e di lotta, degna di
Brendulo, ma nata dalla penna di Antonio Gramsci.
Le citazioni, eleganti e discrete, sono funzionali a dimostrare che l’uomo,
nella sua lunga storia, si trova ciclicamente a dover riaffermare gli stessi
diritti e non può mai lasciarsi andare all’illusione di averli conquistati una
volta per tutte.
Bisogna temere davanti a chi dice che il passato è inattuale, perché
significa che l’ignoranza sta di nuovo guadagnando terreno. Gli uomini
moderni sono come nanos gigantium humeris insidentes, come nani sulle
spalle dei giganti, diceva Francesco Bacone, perché possono guardare più
lontano, poggiando sull’esperienza dei loro predecessori. Quello che
succede quando scendono dalle loro spalle, la triste fine dei nani, è cosa
da evitare.
Lo spettacolo è andato in scena:
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Michela Di Michele
ottobre 22, 2013
Teatro Studio Uno
via Carlo della Rocca, 6 – Roma
fino a domenica 20 ottobre, ore 21.00
(durata un’ora e un quarto circa)
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Brendulo, ovvero il Che Guevara delle colline
di e con Silvia Frasson
musiche eseguite in scena da Stefania Nanni
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