Lezione di estimo del 10/10/2006

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Principi di Economia Politica Agraria
Prof. Carmelo Tatano
La scienza economica
L'economia può essere definita come la scienza sociale che studia l'attività dell'uomo rivolta
all'impiego razionale di risorse scarse per la soddisfazione dei molteplici e risorgenti bisogni.
In questa attività l'uomo cerca di ottenere il massimo risultato utile con il minimo dispendio di
denaro, questo si chiama principio EDONISTICO.
Ogni attività economica dell’uomo è di solito dominata dal principio edonistico o dal massimo utile.
Secondo tale principio l’uomo si comporta in modo da conseguire dalle sue azioni il massimo
benessere con il minimo sacrificio e, in particolare, nello svolgimento di un’attività economica
propriamente detta, cerca di realizzare il massimo ricavo con il minimo costo.
Un altro concetto, ma che richiama quello dell’uomo edonistico, è quello dell’Homo oeconomicus.
E’un concetto fondamentale della teoria economica classica: si tratta, in generale, di un uomo le cui
principali caratteristiche sono la razionalità (intesa in un senso precipuo, soprattutto come
precisione nel calcolo) e l’interesse esclusivo per la cura dei suoi propri interessi individuali.
L’homo oeconomicus (il termine richiama quello di Homo sapiens) cerca sempre di ottenere il
massimo benessere (vantaggio) per sé stesso, a partire dalle informazioni a sua disposizione, siano
esse naturali o istituzionali, e dalla sua personale capacità di raggiungere certi obiettivi. Il modello è
stato formalizzato in alcune scienze sociali, particolarmente nell’economia.
L’homo oeconomicus è visto come "razionale" nel senso che egli persegue come obiettivo la
massimizzazione del suo proprio benessere (definita da una certa funzione matematica detta
funzione di utilità). In altre parole, questi individui perseguono un certo numero di obiettivi
cercando di realizzarli nella maniera più ampia possibile e con i costi minori.
L’economia si può definire come la scienza delle scelte economiche, e ha quindi il problema
economico dell’uomo, cioè il problema di valorizzare i mezzi limitati per il conseguimento di
determinati fini.
L’economia, dunque, studia le scelte economiche che gli individui debbono fare per soddisfare
bisogni praticamente illimitati (abitazione, alimentazione, divertimenti, ecc.) con mezzi scarsi o
insufficienti.
Il problema economico nasce, infatti, dal contrasto tra le risorse che sono limitate, o scarse, e i
bisogni che si vogliono soddisfare, che invece sono molteplici.
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L’uomo economico, dunque, in tutte le sue scelte e nei suoi fini mira a conseguire il massimo utile
col minimo sforzo; cerca di acquistare ciò di cui ha bisogno al minimo prezzo, mentre cerca di
cedere i propri beni al massimo prezzo possibile.
Non è sempre vero che l’uomo si comporti in modo così rigorosamente “economico”: spesso
acquista in un negozio di fiducia anche se il prezzo è maggiore, o lavora nella città d’origine anche
con la prospettiva di un salario maggiore in un altro luogo. Resta però il fatto, che anche queste
scelte, sono sempre dettate dal soddisfacimento di un bisogno, che in questo caso non è
rappresentato dal minor prezzo.
L’economia ha la prerogativa di essere politica, pur essendo rivolta a studiare i problemi dei singoli
individui, perché non studia solamente le scelte economiche, ma anche le teorie di mercato e i
problemi economici nazionali nel loro complesso. Non c’è dubbio che l’economia politica rimane
estranea alle scelte decisionali e ai provvedimenti con i quali lo Stato interviene nel campo
dell’attività economica, cosa che invece appartiene alla politica economica.
In ogni caso, perché si abbia attività economica, occorre che si verifichino almeno due circostanze:
− esistenza di fini (bisogni) che per essere soddisfatti richiedono l’impiego di determinati mezzi
limitati e onerosi;
− possibilità di scelta, in modo da poter individuare la soluzione più vantaggiosa rispetto alle altre
possibili.
L’economia politica si usa distinguerla in microeconomia e macroeconomia.
L’economia può studiare infatti il comportamento del consumatore, ad esempio, o della famiglia, o
di una singola azienda. In questo caso si parla più propriamente di microeconomia. Micro perché
appunto studia i piccoli settori, piccoli elementi.
Problemi tipici della microeconomia potrebbero essere: per quale ragioni è cresciuto il prezzo di un
determinato bene; perché si è creata disoccupazione in un dato settore produttivo; perché il prezzo
degli ortaggi è cresciuto più degli altri prezzi degli altri prodotti agricoli.
L’indagine economica può invece studiare le famiglie nel loro complesso, o la totalità delle
imprese, ecc. In pratica analizza fatti e problemi economici di livello nazionale. Si parla in questo
caso di macroeconomia.
Problemi tipici della macroeconomia potrebbero essere, per esempio, questi: studiare le cause che
hanno causato un aumento della disoccupazione in un determinato periodo; oppure analizzare i
fattori che hanno prodotto un aumento nel livello generale dei prezzi. Come si vede, tutti questi
problemi investono il sistema economico nella sua globalità; proprio per questo, le grandezze
economiche che la macroeconomia considera, sono sempre grandezze globali: volume globale di
produzione; livello generale di occupazione; livello generale di prezzi e via dicendo.
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Bisogno, bene
Per bisogno si intende qualsiasi desiderio di fare, avere, possedere qualcosa, purché l’uomo si
prodighi per soddisfarlo.
I bisogni rappresentano la pietra miliare dell’economia; se ci si sofferma un po’ si capisce come dal
bisogno nasca il progresso.
I bisogni possono distinguersi in :
− Primari: cioè indispensabili alla vita umana come mangiare, bere, dormire, vestirsi.
− Soggettivi: perché variano da persona a persona (ad esempio l’impiego del tempo libero).
− Voluttuari: quando cioè non sono strettamente indispensabili per vivere. E’ certo che col
progredire del benessere di una società molti bisogni voluttuari tendono a diventare
indispensabili. Basti pensare quello che rappresentano per l’individuo, oggi come oggi,
l’automobile, o il telefonino.
Si dice bene il mezzo capace, o reputato tale, di soddisfare un bisogno.
In tal senso, anche l’aria è un bene, ma l’economia ha come oggetto soltanto i beni economici.
Un bene diventa economico quando è :
− utile;
− disponibile i quantità limitata;
− appropriabile.
In pratica un bene si dice economico quando la sua quantità è limitata e di conseguenza non può
soddisfare completamente i bisogni di tutti. L’aria e la luce naturale non sono beni economici in
quanto sono beni disponibili per tutti. I beni economici, al contrario, sono disponibili in quantità
limitata e di conseguenza, hanno un prezzo di mercato.
I beni economici si classificano secondo la destinazione in :
− Beni di consumo; rivolti a soddisfare direttamente un bisogno (il pane, un vestito, uno
spettacolo);
− Beni di produzione: rivolti a produrre nuova ricchezza cioè nuovi beni ( una macchina da
industria , il frumento, ecc).
I beni economici si classificano secondo la durata in:
− Beni a fecondità semplice: sono quelli che esauriscono la loro utilità dopo essere stati impiegati
una sola volta (il diesel, i fertilizzanti);
− Beni a fecondità ripetuta: sono quelli soggetti a logorio parziale, cioè capaci di soddisfare più
volte lo stesso bisogno ( un abito, un trattore, un macchinario industriale, un terreno agricolo).
I beni economici si classificano secondo la natura in:
− Beni materiali: gli oggetti e le cose tangibili;
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− Beni immateriali: sono quelli originati dall’intelletto e dall’attività dell’uomo (ad es. i brevetti,
le professioni, i diritti d’autore). I beni immateriali sono detti anche servigi, che a loro volta
possono essere reali (noleggi) o personali (prestazioni professionali, lavoro di un artigiano, ecc).
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Utilità
Per utilità si definisce la quantità di soddisfazione che si ritrae, o si pensa di trarre, dall’uso di un
certo bene.
Si può anche definire come l’attitudine di un bene a soddisfare un bisogno.
Per misurare l’utilità che può fornire un bene, non esiste nessuno strumento all’infuori dell’uomo.
Quindi l’utilità è soggettiva e, di conseguenza, non è misurabile.
Una prima regola relativa all’utilità è che questa si riduce all’aumentare del bene posseduto o
consumato (postulato di non sazietà).
Una seconda ipotesi afferma che l’utilità che si ricava dall’unità aggiuntiva di un bene è tanto
maggiore quanto è minore la quantità del bene stesso.
L’utilità di un bene, nei confronti dello stesso individuo, decresce con l’uso e si annulla quando il
bisogno è totalmente soddisfatto (basti pensare alla sete, che diminuisce e si annulla bevendo).
A tal proposito ricordiamo la legge dell’utilità decrescente secondo cui:
“dosi successive dello stesso bene hanno, per lo stesso individuo, utilità sempre minori”.
Si definisce utilità marginale (o finale) l’utilità dell’ultima dose utilizzata del bene disponibile, ed
essa è minore dell’utilità fornita da ciascuna dose precedente. (Ad esempio l’utilità dell’ultima fetta
di torta).
L’utilità marginale non si riferisce pertanto ad una determinata dose, ma all’ultima dose consumata
o che si intende consumare. Essa è di valore positivo se la quantità disponibile è insufficiente ad
appagare interamente il bisogno. E’ di valore zero se il bisogno viene completamente soddisfatto. E’
di valore negativo qualora la quantità impiegata sia superiore a quella necessaria per il completo
soddisfacimento del bisogno.
E’ da considerare che il concetto di utilità in Economia è diverso da quello che normalmente si
intende nel linguaggio comune, in quanto non vengono considerati gli effetti positivi o negativi che
il bene induce sull’uomo.
Rifiutando l’idea che il sacrificio possa essere misurato con precisione si ipotizza solo che il
consumatore sia in grado di ordinare le sue preferenze.
Le scelte del consumatore
In questo caso si considera la preferenza del consumatore fra due beni, o tra due panieri diversi di
beni.
Supponendo due beni diversi, A e B, all’aumentare del consumo di un determinato bene (A,o B) il
beneficio o soddisfazione complessiva del consumatore aumenta.
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Volendo misurare una soddisfazione equivalente al livello che si ottiene in una combinazione tra A
e B, il consumatore, per aumentare il consumo di uno dei due beni, deve rinunciare ovviamente al
consumo dell’altro.
Attraverso una curva di indifferenza si mostrano tutte le possibili combinazioni per le quali il
consumatore è indifferente, nel senso che ottiene da ciascuna il medesimo beneficio.
In ogni punto della curva di indifferenza posso calcolare quale è la quantità di bene A alla quale
devo rinunciare per ottenere un aumento unitario del bene B. Questo rapporto è chiamato saggio
marginale di sostituzione.
Tuttavia ogni consumatore è vincolato nelle sue scelte dalla propria disponibilità economica,cioè
dal proprio reddito monetario. Per ciascun bene da consumare il consumatore presenta un proprio
vincolo di bilancio.
Nelle sue scelte il consumatore, vorrà rendere massima la differenza tra il beneficio che deriva dalle
sue scelte ed i costi da sostenere.
La scelta di un consumatore può essere quindi misurata in due modi:
1. Data la spesa totale, misurando il beneficio massimo raggiungibile (il punto della curva di
indifferenza tangente al vincolo di bilancio);
2. Riducendo la spesa minima necessaria e quindi abbassando il livello del vincolo di bilancio
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Il surplus del consumatore
Il surplus del consumatore è un concetto molto importante poiché permette di spiegare il
comportamento del consumatore quando si trova di fronte alla possibilità di acquistare, usare o
domandare un certo bene.
Ad esempio, una persona che si accinge ad acquistare un auto è spinta dalla prospettiva di ricavare
una certa soddisfazione. Contemporaneamente deve accettare il sacrificio di sborsare una quantità
di denaro pari al prezzo dell’auto. Quindi, se la soddisfazione di possedere l’auto è superiore al
sacrificio dovuto all’esborso, l’auto sarà acquistata, altrimenti il consumatore rinuncerà alla spesa.
Dal momento che la soddisfazione derivata da un acquisto è misurabile con la disponibilità a
pagare,è possibile misurare la soddisfazione netta prodotta dall’acquisto dell’auto. Tale
soddisfazione netta è definita surplus del consumatore.
In pratica il surplus del consumatore è pari alla differenza tra l’ammontare complessivo di moneta
che un individuo sarebbe disposto a pagare per il bene e quello che effettivamente paga.
Ad esempio, se la disponibilità a pagare di una persona per una determinata auto è pari a 20.000
euro, ed il prezzo dell’auto è pari a 18.000 euro, il surplus del consumatore è pari a 2.000 euro. Se il
prezzo dell’auto diminuisce il surplus aumenta, e viceversa.
Il concetto di surplus per i beni indivisibili (auto) è estendibile ai beni divisibili come il pane, la
carne, i carburanti, e così via. Infatti se il prezzo è elevato e la disponibilità è modesta, il
consumatore sarà poco soddisfatto; viceversa se il prezzo è basso, il consumatore acquisterà una
quantità maggiore aumentandone la soddisfazione.
Ne deriva che il surplus del consumatore è inversamente correlato al prezzo: a prezzi elevati, la
domanda è modesta, viceversa con prezzi via più bassi aumenterà proporzionalmente la domanda.
Ribadiamo che il surplus del consumatore è in relazione a quanto un individuo spende
effettivamente per l’acquisto di un bene, rispetto a quanto sarebbe disposto a pagare. E’ un concetto
basilare per poter comprendere il comportamento diverso di chi fruisce di un bene, sia esso pubblico
o privato.
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