AERF.it La sinfonia della coscienza di Silvia Bencivelli Tratto da “Mente e cervello”- n 20 marzo- aprile 2006, pag. 84-86 C’è, ma non si vede. Va e viene, ma non si trova in nessun posto preciso. Per cercare di catturarla, ci si può avvicinare soltanto in punta di piedi, spiandola in silenzio, all’interno d un cervello assonnato, perché è in quel momento che la coscienza scivola via e la si può acciuffare. E così hanno fatto i ricercatori dell’Università del Wisconsin a Madison, nella quiete del loro laboratorio, svelando per la prima volta un mistero che tormenta e affascina i neuroscienziati da decenni. Che cosa succede in quel momento, sospeso tra la veglia e l’assopimento, quando la coscienza abbandona il nostro cervello lasciandolo privo di percezioni e senza Io, ma nel pieno della sua attività? Per risolvere questo apparente paradosso, è stato condotto (Marcello Massimini e Giulio Tononi) un esperimento tecnicamente ingegnoso, i cui risultati sono stati pubblicati si “Scienze”. Ma oltre ad aver affrontato il paradosso, hanno anche mostrato qualcosa di importante sulla natura della coscienza. Qualcosa che si lega in maniera molto stretta alla teoria dell’informazione integrata, secondo cui la coscienza non ha una sede o una forma precisa, ma ha un’essenza immateriale che vive nella comunicazione tra le aree della corteccia cerebrale. Formulata proprio da Giulio Tononi nel corso degli ultimi dieci anni di studi, la teoria dell’informazione integrata prevede che al momento del primo sonno, quello senza il quale la coscienza si dissolve, non è l’attività del cervello a venire meno, ma la comunicazione al suo interno. “La coscienza – spiega Tononicoincide con la capacità del sistema di scambiare informazioni. Ma per farlo il sistema deve mantenere un delicato bilancio: i suoi elementi devono essere altamente integrati tra loro. Il nostro esperimento dimostra che quando la coscienza si attenua, quello che si perde è la capacità delle aree della corteccia di comunicare l’una con l’altra e quindi di comportarsi come un sistema integrato”. Il cervello addormentato, cioè assomiglia un po’ad un coro in cui ciascuno canta, ma canta per i fatti suoi, senza sentire la voce degli altri e senza seguire uno spartito. Mentre la capacità delle aree corticali di tornare a parlarsi tra loro si riacquista al risveglio, come se i coristi potessero d’un tratto tornare ad ascoltarsi reciprocamente a cantare in sincronia. L’esperimento di Massimini e Tononi si è concentrato proprio su questa comunicazione. Per osservarla, i due neuroscienziati si sono avvalsi di una tecnica recentemente sviluppata in Finlandia capace allo stesso tempo di “bussare” sul cervello e di ascoltare la propagazione dello stimolo, grazie alla combinazione di tecniche impiegate da tempo nei laboratori di neuroscienze: la stimolazione magnetica transuranica e l’elettroencefalografia ad alta risoluzione. “In questo modo – spiega Massimini- abbiamo visto il cervello comportarsi davvero come un coro in cui ogni cantante era capace di prendere il “la” del direttore http://www.aerf.it/sito Realizzata con Joomla! Generata: 9 June, 2017, 13:29 AERF.it d’orchestra, ma era poi incapace di cantare insieme agli altri. Mentre durante la veglia l’attivazione indotta nell’area corticale che avevamo stimolato si propagava efficacemente e in modo selettivo alle aree compromesse nel resto del cervello, quando il soggetto si addormentava le cose cambiavano drasticamente: l’area si attivava ancora in risposta allo stimolo, persino in misura superiore rispetto a quanto succedeva nel cervello cosciente, ma questa attività non si propagava più e si dissipava rapidamente. Così abbiamo potuto osservare l’incapacità delle diverse aree cerebrali di comunicare tra loro e l’instaurarsi di un certo grado di isolamento dei diversi elementi che compongono il cervello “addormentato”. Ed è proprio l’inizio di questo isolamento, quando i coristi diventano sordi l’uno all’altro che segna l’inizio della dissoluzione della coscienza. Il risultato di Tononi e colleghi ha aperto uno spiraglio sulla coscienza, ma le ricerche non sono certo finite qui: sappiamo da tempo, infatti, che la coscienza risiede nel cervello, ma sappiamo anche che non tutte le aree sono ugualmente importanti nel generarla. Per esempio non lo è il cervelletto, visto che i pazienti che presentano lesioni solo in questa zona non subiscono alterazioni della coscienza. Sembra invece essere determinante la particolare forma di comunicazione che caratterizza il sistema talamo-corticale, cioè il sistemiche unisce le aree della corteccia cerebrale con il talamo, l’area centrale dell’encefalo da cui transitano praticamente tutte le informazioni che dalla periferia del corpo raggiungono il cervello. La nuova tecnica permetterà di approfondire la questione e capire perché e come ogni zona del cervello, con le sue fitte connessioni fatte di decine di miliardi di fibre nervose, partecipa all’acquisizione della coscienza. Ma perché il cervello addormentato è così importante per capire la natura della coscienza? Perché il sonno è una situazione fisiologica di perdita della coscienza, la più familiare per noi, che avviene nel nostro cervello tutte le notti: una perdita della coscienza transitoria, che assomiglia alle forme patologiche, come quelle che caratterizzano il coma. Per questo, aver osservato il cervello che si “disintegra”, vale a dire mentre ogni area della corteccia si isola dalle altre facendo perdere la coscienza al momento del primo sonno, non ha più soltanto un significato teorico. Come precisa Fabio Ferrarelli, psichiatra e coautore dello studio: “Il nostro esperimento ha anche dimostrato che grazie a questa tecnica è possibile misurare concretamente le comunicazione tra le diverse aree cerebrali. E dato che tutto questo ha a che fare con la coscienza, lo stesso approccio potrà avere applicazioni importanti”. La capacità di misurare le trasmissioni dell’informazione all’interno del cervello potrebbe dare un prezioso contributo allo studio di quelle malattie in cui lo stato di coscienza è compromesso, come la demenza, il coma o certe malattie psichiatriche, prima tra tutte la schizofrenia. E potrà fornire nuovi strumenti per la loro diagnosi. La stessa tecnica potrebbe trovare applicazione anche nelle corsie di rianimazione, perché consentirà di imparare a monitorare il livello di profondità dell’anestesia, in cui la perdita della coscienza è un effetto voluto, ma ancora relativamente poco compreso. Si sta iniziando a lavorare sui sogni, durante i quali la coscienza riappare, ma in una forma molto particolare e i coristi ricominciano a cantare insieme una musica il cui significato è ancora misterioso. http://www.aerf.it/sito Realizzata con Joomla! Generata: 9 June, 2017, 13:29