app 3.2w-Il rischio di mercato. Dai mutui subprime ai

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Economia degli intermediari finanziari 2e
Loris Nadotti, Claudio Porzio, Daniele Previati
Copyright © 2013 – McGraw-Hill Education (Italy) srl
Approfondimento 3.2 w - Il rischio di mercato: dai mutui subprime ai titoli di Stato
Le fasi di crisi dei mercati finanziari manifestatesi nel 2007 e nel 2010-2011 offorno due
significativi esempi delle conseguenze del rischio di prezzo sui bilanci delle banche.
La crisi finanziaria del 2007 (c.d. crisi dei mutui e dei titoli subprime), pur traendo origine dal
mercato del credito (insolvenza delle famiglie USA indebitate a seguito dello sgonfiamento della
bolla speculativa nel comparto immobiliare) si è rapidamente riflessa sul mercato dei titoli
obbligazionari poiché, grazie al diffuso utilizzo della cartolarizzazione, tali attivi (e l’elevato rischio
di credito ad essi connesso) erano stati dagli originator ceduti a banche e investitori istituzionali. In
presenza di una forte insolvenza dei debitori e di una repentina riduzione dei prezzi degli immobili,
e quindi del valore delle garanzie a fronte dei mutui ipotecari concessi, l’incertezza sul reale valore
dei titoli cartolarizzati e la conseguente immobilizzazione di una parte significativa (ma non
facilmente quantificabile dagli operatori di mercato) degli attivi degli intermediari finanziari, hanno
in primo luogo determinato la crisi generalizzata del mercato finanziario.
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2) Dal maggio 2010 (a seguito della crisi della Grecia Impossibilitata a collocare i propri titoli sul
mercato), in Europa un nuovo inasprirsi della percezione del rischio di credito da parte degli
investitori internazionali ha coinvolto i titoli del debito sovrano e le quotazioni dei titoli di
Stato di molti paesi (fino ad allora considerati praticamente risk free), per effetto
dell’allargamento degli spread, hanno subito un forte tracollo riducendo drasticamente il valore
di mercato del trading book detenuto dalle maggiori banche.
“Quando i titoli di Stato zavorrano le banche”i
Nei mesi scorsi la Bce ha effettuato due operazioni per immettere liquidità nel mercato. Le banche
italiane l'hanno utilizzata per acquisire titoli obbligazionari. E infatti siamo uno dei pochi paesi che
ha mostrato un aumento dell'incidenza dei titoli in portafoglio, mentre nel complesso dell'area euro
è diminuita. Anche il rapporto tra titoli in portafoglio e capitale delle banche è cresciuto di quasi
40 punti percentuali, fino a toccare il livello del 220 per cento nel febbraio 2012. Ecco perché l'Eba
ha chiesto alle banche italiane una iniezione di capitale.
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Economia degli intermediari finanziari 2e
Loris Nadotti, Claudio Porzio, Daniele Previati
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Nel dicembre del 2011 la Banca centrale europea ha messo in atto una prima operazione
straordinaria di rifinanziamento a più lungo termine. Quest’operazione ha previsto l’immissione di
liquidità sul mercato per 490 miliardi di euro a un tasso fisso dell’1 per cento, rimborsabile dopo
tre anni. Un analogo intervento, per un ammontare di 530 miliardi di euro, è stato attuato, nel
marzo successivo, portando complessivamente le operazioni di rifinanziamento a più lungo termine
a un valore pari a oltre un bilione di euro (1.100 miliardi per l’esattezza). Gli interventi sono stati
decisi dalla Bce soprattutto con l’intento di contrastare la restrizione creditizia che era in atto nei
paesi della zona euro, principalmente in quelli delle aree più a Sud.
Di questi finanziamenti, circa il 18,5 per cento è stato aggiudicato alle banche italiane, per un
ammontare complessivo di quasi 200 miliardi di euro, con un’incidenza quindi più elevata rispetto
al peso dell’Italia nell’area euro in termini di Pil (circa il 16,5 per cento).La liquidità è servita alle
banche italiane per acquistare titoli obbligazionari, tra cui anche titoli di Stato, e non piuttosto che
per finanziare l’economia. In questa scelta d’investimento gli istituti di credito italiani si sono
distinti rispetto a quanto osservato nella media degli altri paesi europei.
Nel grafico 1 è rappresentata la variazione dell’incidenza dei titoli in portafoglio delle banche,
rispetto al totale attivo, nel periodo che va dal gennaio del 2010 (mese in cui la Grecia ha
cominciato a evidenziare le prime importanti difficoltà di tenuta dei conti pubblici) al febbraio 2012
(ultimo dato disponibile). Si può osservare che l’Italia è uno dei pochi paesi che ha mostrato una
crescita dell’incidenza dei titoli in portafoglio, il cui peso sul totale attivo è aumentato di 6,4 punti
percentuali. Solo il Portogallo ha evidenziato una crescita maggiore (8,8 punti) rispetto a quella
italiana. La Germania ha, invece, mostrato una diminuzione del peso dei titoli per oltre 4 punti
percentuali; in Francia la riduzione è stata di circa 3 punti. Nel complesso dell’area euro le banche
hanno diminuito il peso dei titoli in portafoglio per circa un punto e mezzo percentuale. Pur
considerando solo i paesi con i conti pubblici in maggiore sofferenza (i cosiddetti Pigs, cioè
Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna), dove quindi le “sollecitazioni” da parte dei governi
all’acquisto dei titoli di Stato sono state più forti, la variazione registrata nel peso dei titoli in
portafoglio è stata pari ad appena un decimo di quella italiana.
Prendendo in esame la variazione del rapporto tra titoli in portafoglio e il capitale delle banche
europee, il quadro italiano è ancora più contrastante. Dal grafico 2 si rileva che il peso sul capitale
dei titoli è andato crescendo di quasi 40 punti percentuali, fino a toccare il ragguardevole livello del
220 per cento a febbraio 2012 (in altri termini, per ogni euro investito in titoli, le banche italiane
hanno a disposizione meno di 50 centesimi di capitale). Ancora una volta solo il Portogallo ha
osservato un incremento maggiore del nostro, mentre sia nel complesso dell’area euro che
soprattutto nei paesi Pigs la flessione è stata molto consistente (intorno ai 50 punti percentuali) a
seguito del combinato disposto della vendita dei titoli in portafoglio e degli aumenti di capitale. Al
riguardo va notato come in Irlanda il peso dei titoli sul capitale sia passato dal 330 per cento del
gennaio 2010 al 180 per cento del febbraio 2012, mentre in Grecia nello stesso periodo si è passati
dal 160 al 100 per cento circa.
La rappresentazione che emerge dal grafico 2 è proprio uno degli elementi che ha spinto l’Eba,
l’Autorità bancaria europea, a richiedere un’importante iniezione di capitale alle banche italiane al
fine di contrastare il crescente rischio di mercato legato al potenziale default dei titoli emessi dalla
Stato italiano detenuti nei portafogli bancari.
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Fonte: adattamento da: C. Milani, “Quando i titoli di stato zavorrano le banche”, 20 aprile 2012, www.lavoce.info
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