Università degli studi di Siena
Scuola di Specializzazione in
Genetica Medica
SINDROME DI COHEN:
RESOCONTO DEI PRIMI QUATTRO ANNI
DI DIAGNOSI MOLECOLARE
Relatore
Prof. Alessandra Renieri
Tesi di:
Dr. Ilaria Longo
Anno accademico 2007-2008
INTRODUZIONE
1.1 La Sindrome di Cohen
1.2 Il Gene COH1
1.3 Mutazioni ricorrenti del gene COH1
1.4 Metodi d’indagine molecolare del gene COH1
pag. 1
pag. 3
pag. 4
pag. 5
MATERIALI E METODI
2.1 Estrazione del DNA genomico
2.2 Determinazione della concentrazione del DNA
2.3 Reazione a catena della polimerasi (PCR)
2.4 Check della PCR
2.5 Rilevazioni delle mutazioni mediante DHPLC
2.6 Sequenziamento automatico
2.7 PCR Quantitativa
pag. 6
pag. 7
pag. 7
pag. 10
pag. 10
pag. 15
pag. 16
RISULTATI
3.1 Caso 1
3.2 Caso 2
3.3 Caso 3
3.4 Caso 4
3.5 Caso 5
3.6 Caso 6
3.7 Caso 7
3.8 Caso 8
3.9 Caso 9
3.10 Caso 10
3.11 Caso 11
3.12 Caso 12
3.13 Caso 13
3.14 Caso 14
3.15 Caso 15
3.16 Caso 16
pag. 22
pag. 29
pag. 31
pag. 33
pag. 35
pag. 36
pag. 38
pag. 40
pag. 41
pag. 42
pag. 43
pag. 45
pag. 46
pag. 49
pag. 51
pag. 53
DISCUSSIONE
pag. 55
APPENDICE
BIBLIOGRAFIA
pag. 58
pag. 59
INTRODUZIONE
1.1 La Sindrome di Cohen
Nel 1973, Cohen e collaboratori, partendo dall’osservazione di una coppia di
fratelli e di un paziente non imparentato hanno descritto una nuova sindrome
autosomica recessiva associata ad un fenotipo complesso. Le caratteristiche principali
erano l'obesità, l'ipotonia, il ritardo mentale, dismorfismi cranio-facciali caratteristici e
anomalie delle mani e dei piedi (Cohen et al, 1973).
In seguito, sono stati descritti altri 100 casi, 35 dei quali finlandesi (KivitieKallio and Norio, 2001). Da questi dati emerge che la Sindrome di Cohen è una delle
condizioni autosomiche recessive maggiormente rappresentata in Finlandia (Norio,
2003).
Il fenotipo della Sindrome di Cohen mostra una considerevole omogeneità
clinica nei pazienti Finlandesi, con cinque principali tratti caratteristici: 1) ritardo
mentale non progressivo, goffagine e microcefalia; 2) tratti facciali caratteristici tra cui
rime palpebrali rivolte verso il basso, filtro corto, atteggiamento a bocca aperta, incisivi
superiori centrali prominenti, naso con punta prominente rispetto alla columella e
anomalie delle mani e dei piedi; 3) ipotonia infantile/iperlassità legamentosa; 4)
retinopatia e miopia; 5) neutropenia isolata (Cohen et al, 1973; Carey and Hall, Carey
and Hall, Kivitie-Kallio and Norio 2001).
Al contrario, nei pazienti non Finlandesi affetti da Sindrome di Cohen il fenotipo
clinico è più variabile. (Kondo et al, 1990; Kivitie-Kallio and Norio, 2001; Chandler
and Clayton-Smith, 2003; Kolehmainen et al, 2004).
L’identificazione del gene COH1 ha messo in evidenza che lo spettro fenotipico
nei pazienti finlandesi è molto omogeneo a causa di un forte effetto fondatore, infatti
l’analisi molecolare del gene COH1 ha evidenziato la presenza di una mutazione
ancestrale responsabile della maggior parte dei casi (Hennies et al. 2004).
Prima dell’identificazione del gene COH1 nel 2003, Kivitie-Kallio & Norio
(2001) e Chandler, Kidd et al (2003) avevano individuato una serie di caratteristiche
cliniche maggiormente suggestive di sindrome di Cohen tra cui dismorfismi facciali,
retinite pigmentosa, neutropenia, e anomalie neurologiche (ritardo psicomotorio,
goffaggine motoria, ipotonia, microcefalia).
1
Successivamente, la valutazione di soggetti con mutazione COH1 appartenenti a
diversi gruppi etnici hanno rivelato che nonostante alcune caratteristiche del viso siano
state osservate in tutti i gruppi etnici, la "facial gestalt" era un indicatore inaffidabile,
per diagnosticare la sindrome di Cohen (Falk et al 2004). Al contrario altre
caratteristiche comuni a quasi tutti gli individui con mutazioni COH1 sembravano
essere migliori indicatori clinici di sindrome di Cohen.
Per rendere più agevole l’identificazione e la classificazione dei pazienti con
sospetto di sindrome di Cohen, Kolehmainen ha suggerito i seguenti 8 criteri diagnostici
(Kolehmainen et al, 2004):
• ritardo mentale
• microcefalia
• caratteristiche facciali tipiche
• obesità truncale con estremità affusolate
• comportamento socievole
• miopia
• distrofia corioretinica
• neutropenia
Nei pazienti che soddisfano almeno 6 dei criteri sopracitati, il sospetto clinico di
sindrome di Cohen è da considerarsi fondato. I pazienti che soddisfano un numero
minore di criteri vengono invece classificati come Cohen-like.
Utilizzando i criteri sovradescritti, Kolehmainen et al (2004) identificarono 22
diverse mutazioni del gene COH1 in pazienti clinicamente inquadrati come "true Cohen
syndrome" . Per contro, non identificarono mutazioni del gene COH1 in soggetti
clinicamente inquadrati come "Cohen-like syndrome".
L'ampio spettro clinico della sindrome di Cohen e la difficoltà per stabilire
criteri clinici diagnostici definitivi è stata recentemente confermata da Seifert et al
(2006). Nel 2007 Katzaki et al hanno riportato per la prima volta i risultati relativi
all’analisi molecolare del gene COH1 in un primo gruppo di pazienti italiani. Questi
risultati mostrano che nella popolazione italiana sembra esserci una variabilità
fenotipica maggiore rispetto a quella riportata nei pazienti Finlandesi con sindrome di
Cohen, a conferma di quanto precedentemente segnalato in altre casistiche non
finlandesi.
2
In conclusione, nonostante che vari criteri diagnostici siano stati proposti da
diversi gruppi sulla base di studi effettuati in soggetti con mutazioni del gene COH1, ad
oggi non esistono criteri clinici diagnostici universalmente accettati.
1.2 Il Gene COH1
Nel 2003, Kolehmainen et al., hanno identificato e caratterizzato un nuovo gene,
chiamato COH1 (locus 8q22-23), mutato in pazienti con Sindrome di Cohen (Falk et al,
2004; Hennies et al, 2004; Kolehmainen et al, 2003; Mochida et al, 2004; Seifert et al,
2006).
Il gene COH1 è composto da 62 esoni e codifica per una proteina
transmembrana, coinvolta probabilmente nella vescicolazione e nel trasporto proteico
intracellulare (Kolehmainen et al, 2003; Velayos-Baeza et al, 2004; Katzaki et al, 2007).
Mediante analisi in silico, avvalendosi di software per la predizione degli esoni e
utilizzando la tecnica della RT-PCR, Kolehmainen et al. hanno ottenuto un cDNA
completo del gene COH1. Il trascritto di maggiori dimensioni corrisponde ad una
proteina di 4.022 aminoacidi con un complesso pattern strutturale che include 10 domini
transmembrana (Fig. 1), una sequenza di indirizzamento vacuolare, una sequenza
segnale al C-terminale per la permanenza nel reticolo endoplasmatico e due sequenze
consensus di indirizzamento verso la matrice dei perossisomi (Kolehmainen et al, 2003).
Il gene COH1 mostra una forte omologia con la proteina VPS13 di
Saccharomyces cerevisiae, di cui sono state identificate due varianti principali, 1A e 2A,
e diverse altre isoforme generate per “exon skipping” o attraverso l’impiego di esoni
alternativi. Le varianti 1A e 2A contengono entrambe gli esoni dall’1 al 27 e dal 29 al
62, ma l’isoforma 1A include l’esone 28 a differenza dell’isoforma 2A che include
l’esone 28b. La variante 1A dà origine alla proteina costituita da 4.022 aminoacidi,
mentre la variante 2A codifica per una proteina di 3997 aminoacidi (Velayos-Baeza et
al, 2004).
Nell’uomo questo gene sembra avere un complicato pattern di splicing
alternativo che porta a cinque isoforme diverse espresse in vari tessuti sia a livello fetale
che nell’adulto. Sono stati identificati due trascritti di circa 2 e 5 kb in tutti i tessuti
adulti analizzati e in tessuti fetali quali cervello, polmone, fegato e rene; un trascritto più
lungo, di 12-14 kb è invece presente solo nell’adulto ed espresso ad alti livelli in
prostata, testicolo, ovaie e colon, mentre l’espressione risulta bassa nel tessuto nervoso.
3
Questa varietà di trascritti potrebbe suggerire differenti funzioni proteiche tessutospecifiche (Kolehmainen et al, 2003).
NH2
COOH
Fig. 1 Raffigurazione schematica della proteina COH1 con rappresentazione dei 10 domini
transmembrana e dei loop intra ed extracellulari (Katzaki et al, 2007).
1.3 Mutazioni ricorrenti del gene COH1
Ad oggi sono state riportate più di 50 mutazioni a carico del gene COH1
associate alla sindrome di Cohen. Si tratta principalmente di mutazioni troncanti, mentre
mutazioni missenso e delezioni sono meno frequenti.
Nei pazienti Finlandesi, dove il fenotipo clinico è altamente omogeneo, l’analisi
molecolare del gene COH1 ha rilevato, oltre a mutazioni sparse nell’intera lunghezza
del gene, una mutazione ricorrente (c.3348_3349delCT; p.C1117fs1124X) nell’esone
23 (Kolehmainen et al, 2003), probabilmente dovuta ad un effetto fondatore (Hennies et
al, 2004) considerando l’isolamento geografico della suddetta popolazione.
In due comunità Amish dove i casi di matrimoni tra consanguinei sono molto
frequenti, sono stati descritti otto pazienti con sindrome di Cohen con fenotipo molto
omogeneo. Tale circostanza ha fatto supporre che anche in questo caso la malattia fosse
riconducibile ad una mutazione ricorrente dovuta ad un effetto fondatore. L’analisi
molecolare del gene COH1 ha infatti confermato, per tutti gli individui Amish affetti, la
presenza di due mutazioni in omozigosi composta: una frame-shift con inserzione di
una timina nell’esone 51 (c.9258_9259insT; p.K3086fs3105X) e una missenso
nell’esone 46 (c.8459T>C; p.I2820T) (Falk et al, 2004).
4
1.4 Metodi d’indagine molecolare del gene COH1
In questo lavoro si descrivono 72 casi di pazienti con sospetto clinico di
sindrome di Cohen. L’analisi molecolare del gene COH1 è stata effettuata mediante
DHPLC, sequenziamento automatico e PCR quantitativa.
Considerando le grandi dimensioni del gene COH1, è stato necessario utilizzare
una tecnica rapida ma sensibile come la DHPLC, in grado di evidenziare mutazioni
puntiformi nei 62 esoni che compongono il gene. Tale tecnica consente infatti di
effettuare uno screening primario dei pazienti, al fine di rilevare eventuali alterazioni
che vengono poi caratterizzate mediante sequenziamento automatico.
Inoltre in letteratura sono stati riportati alcuni casi di pazienti con Sindrome di
Cohen che presentano delezioni parziali del gene COH1 (Kolehmainen et al, 2004;
Seifert et al, 2006). Al fine di identificare delezioni/duplicazioni totali o parziali del
gene COH1 nei nostri pazienti, è stata utilizzata la tecnica della PCR Quantitativa.
5
MATERIALI E METODI
2.1 Estrazione del DNA genomico.
L’estrazione di DNA genomico viene effettuata a partire da un prelievo di
sangue periferico in EDTA. Per un utilizzo ottimale della DHPLC è necessario evitare
residui di sostanze organiche e sali nel campione di DNA da analizzare; per questo
motivo il tradizionale metodo di estrazione Fenolo-Cloroformio è stato sostituito con il
Kit “QIAamp DNA Blood Maxi Kit” della QIAGEN. Le colonne usate dal “QIAamp
DNA Blood Maxi Kit” hanno una membrana che trattiene il DNA mentre lascia passare
tutte le altre sostanze organiche e i sali.
Il “QIAamp DNA Blood Maxi Kit” è composto da: colonne (QIAamp Spin
Columns), tubi di raccolta (Collection tube) da 50 ml, Buffer AL, Buffer AW1, Buffer
AW2, Buffer AE e QIAGEN protease (Proteinasi K).
Da ogni colonna è possibile estrarre DNA partendo da 5 ml di sangue.
A 500 µl di QIAGEN protease (proteinasi K), vengono aggiunti 5 ml di sangue
portato a temperatura ambiente e 12 ml di buffer AL. Le provette vengono agitate
tramite vortex per 15” e successivamente incubate per 10’ a 70˚C. Alla mix vengono
aggiunti 10 ml di etanolo assoluto. Le falcon vengono agitate ancora per 15” con il
vortex e messe in centrifuga per alcuni secondi. Il contenuto di ogni provetta viene
trasferito nelle QIAamp Spin Column. Le colonne vengono centrifugate a 3000 rpm per
3’ e successivamente trasferite sopra un nuovo tubo da 50 ml (fornito con il kit),
scartando quello contenente il filtrato. Ad ogni colonna vengono aggiunti 5 ml di Buffer
AW1, segue una seconda centrifugazione a 5000 rpm per 1’. La colonna va trasferita
ancora su un tubo da 50 ml pulito scartando il precedente con il filtrato.
Alla colonna vengono aggiunti 5 ml di Buffer AW2, segue una centrifugazione a
5000 rpm per 15’. Ogni colonna viene trasferita in una nuova provetta da 50 ml alla
quale viene aggiunto 1ml di Buffer AE. I campioni vengono lasciati a temperatura
ambiente per 5’ e centrifugati per 5’ a 5000 rpm.
La concentrazione del DNA viene determinata usando lo spettrofotometro
GENEQUANTpro (amersham pharmacia biotech) dopo aver lasciato i campioni a
temperatura ambiente per tutta la notte.
6
2.2 Determinazione spettrofotometrica della concentrazione del DNA.
Il DNA viene diluito 1/20 in acqua e viene letta allo spettrofotometro la densità
ottica (O.D.) alle lunghezze d'onda di 260 nm e 280 nm.
La lettura a 280 nm viene effettuata per valutare la quantità di proteine che si
accompagnano al DNA. La concentrazione del DNA in ng/µl viene ottenuta
moltiplicando la O.D. a 260 nm per il fattore di diluizione e per il valore di 50 mg/ml.
Tale operazione viene effettuata automaticamente dallo strumento. Se il rapporto tra la
O.D. a 260 nm e la O.D. a 280 nm è maggiore o uguale a 1,8 l'estrazione del DNA è
stata ben eseguita perchè abbiamo un buon rapporto tra DNA estratto e proteine che lo
accompagnano.
2.3 Reazione a catena della polimerasi (PCR).
La PCR è una tecnica che permette di amplificare una sequenza di DNA
specifica da una miscela di frammenti conoscendo le estremità della sequenza stessa.
Questa reazione avviene grazie alla capacità della DNA polimerasi di sintetizzare un
filamento di DNA complementare ad un altro che utilizza come stampo. Per innescare la
sintesi, però, ha bisogno di una piccola regione di DNA a doppia elica: quindi, il punto
d’inizio della sintesi del DNA può essere specificato fornendo come innesco un
oligonucleotide, il primer, che si appaia allo stampo esattamente in quel punto, in modo
che la polimerasi sia indirizzata a sintetizzare una regione specifica di DNA.
Aggiungendo un primer per ciascun filamento, entrambi i filamenti di DNA possono
servire da stampo. Vengono scelti primers che fiancheggiano la regione di DNA che
deve essere amplificata, in modo tale che i nuovi filamenti che vengono sintetizzati a
partire da ciascun primer si estendano fino alla posizione del primer del filamento
opposto. In questo modo, in ciascun filamento di DNA di nuova sintesi vengono a
generarsi nuovi siti in cui si appaia il primer, dando il via ad un nuovo ciclo. Per questa
metodica viene utilizzata la Taq polimerasi, una speciale polimerasi capace di resistere e
lavorare ad alte temperature. Questo esperimento è stato eseguito come descritto da
Allen et al. nel 1992.
Sono stati utilizzati primers già riportati in letteratura (Kolehmainen et al, 2003) eccetto
per gli esoni 2- 8- 19- 22- 26- 29_2- 38- 47- 49- 56_1 – 56_2 – 57 (Tab. 1).
7
Esone
Forward primer (5' > 3')
Reverse primer (5' > 3')
2
GATTACCGTCTAAACAAGCTG
8
TCTACTGAATGCAAAGCAA
19
ATCAAATAAAGTTGAAATGTTATATTATG GCAAAACAAGGGAATAATGATAG
22
CGTTTGGTATGTTCTGTG
26
CATTTGCATGTAAGATGTGA
CAACAAGAGCAAAACTCTGT
29_2
ATCTCCTGGTCAGCCCATGA
ATATACCAAACCACAAAGCAC
38
GAACATAATTACAGTCCTAC
TGAAGAACTTCCCCTAAG
47
CCCCAGTGCAAGGTTACTTT
49
GATCATAAACGCAACTTTAC
56_1
TTCCACGTATAACCGAGCA
56_2
CATATCCAACAAAGAGTTGG
57
AAGGAGTGAAGGCATTATTA
Tab. 1: Sequenze dei primers ridisegnate durante l’ottimizzazione e lo screening del gene COH1.
Dopo aver diluito i primers ad una concentrazione di 50 pmol/µl e i campioni di
DNA ad una concentrazione finale di 100 ng/µl, si esegue la reazione di PCR
preparando una mix con:
tampone di reazione 1X,
primer F 0,5 pM/ µl
primer R 0,5 pM/ µl
dNTPs 2mM
MgCl2 1,5 mM
Taq polimerasi 0,4 u/µl
La mix viene poi aliquotata in provette da 0.2 ml e ad essa vengono aggiunti 100
ng di DNA, in un volume finale di 50 µl.
Il programma di amplificazione comprende una denaturazione iniziale a 95°C
per 5’, seguita da 35 cicli costituiti da:
Denaturazione a 95°C per 1’, in modo da far aprire completamente le due
eliche di DNA.
Appaiamento (annealing) per 45’’alla temperatura specifica per far appaiare
i primers al filamento complementare. Questa temperatura dipende dalla
composizione in basi dei primers ed è calcolata con la seguente formula:
Td = 4x (G+C)+2x (A+T)
8
Estensione a 72°C per 45’’. In questa fase la Taq-polimerasi si lega al primer
e inizia a sintetizzare il nuovo filamento.
Dopo i 35 cicli, viene effettuata una estensione finale a 72°C per 5’.
Qui sotto vengono riportate le temperature di annealing utilizzate per l’analisi
molecolare di tutti gli esoni del gene COH1 (Tab. 2).
Esone
Lunghezza
amplicone
Temperatura di
annealing °C
Esone
Lunghezza
amplicone
PCR annealing
temperature (°C)
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
28B
29-_1
29- 2
30
31
451
464
400
425
374
315
344
732
321
342
271
271
314
301
278
255
250
462
320
522
453
269
547
418
410
731
469
659
457
589
548
281
599
56
60
53
59
57
65
54
53
57
58
57
58
65
58
57
58
64
57
58
59
65
54
58
59
63
55
57
61
59
60
60
57
60
32
33
34-1
34-2
35
36
37
38
39
40
41
42
43
44
45
46
47
48
49
50
51
52
53
54
55
56-1
56-2
57
58
59
60
61
62
329
302
402
560
455
599
545
794
563
387
393
603
468
495
549
337
541
418
518
399
510
508
413
380
354
573
586
309
363
384
260
484
514
52
65
62
62
65
65
67
60
60
65
54
52
59
62
62
58
59
65
59
56
60
60
60
62
65
59
58
57
59
59
63
60
60
Tab. 2: Lunghezza dell’amplicone e temperatura di annealing per ogni esone del gene COH1.
Alla fine della reazione otteniamo circa un milione di copie del filamento iniziale
di DNA. La PCR, infatti, è un processo esponenziale che segue l’equazione:
Y = Q x 2n
9
dove Y rappresenta la quantità di prodotto finale, Q è la quantità di substrato
iniziale e n è il numero dei cicli di amplificazione. Questo processo esponenziale si
arresta dopo 35 cicli, nei quali la quantità di prodotto finale aumenta esponenzialmente
per poi raggiungere un plateau. Il termine plateau è usato per descrivere la diminuzione
della velocità esponenziale di amplificazione che avviene durante gli ultimi cicli di
PCR. Tale effetto si può verificare a causa della competizione che si viene a creare da
parte dei prodotti non specifici e dei dimeri di primers all’interno della reazione.
2.4 Check della PCR
Dopo la reazione di amplificazione si esegue una corsa elettroforetica del DNA
in modo da osservare la qualità dell’amplificato. A tale scopo viene usato un gel di
agarosio preparato usando 50 ml di agarosio all’1,2% con etidio bromuro allo 0,006%.
Il gel viene fatto solidificare e corso in tampone TAE 1X (Tris acetato 40 mM, EDTA
250 mM) per 20’ a 90V. Dopo la corsa il prodotto di PCR viene visualizzato con un
transilluminatore a luce ultravioletta che rende fluorescente l’etidio bromuro che si è
intercalato al DNA amplificato. Insieme al prodotto di amplificazione viene fatto
correre un marker (DNA Molecular Weight Marker VI, 0.15 – 2,1 kbp) per valutare
l’esatta dimensione dell’amplificato stesso.
2.5 Rilevazioni delle mutazioni mediante DHPLC.
La DHPLC (Denaturing High Performance Liquid Chromatography) è una
tecnica di separazione ad elevata efficienza e sensibilità, che consente di caratterizzare
differenti molecole in base a specifiche caratteristiche chimico-fisiche e steriche
(dimensionali e strutturali) ed impiega il meccanismo della ripartizione in fase inversa
ad accoppiamento ionico (Spiegelman J.L. et al, 2000). L’avvento di questa tecnica
nell’analisi mutazionale ha portato numerosi vantaggi, primi tra tutti lo smaltimento
rapido di ampie casistiche e l’applicabilità su frammenti di DNA di dimensioni variabili
tra le 100 e le 700 pb (Sheffield V. C. et al, 1993). La DHPLC viene impiegata per la
ricerca di mutazioni (mutazioni puntiformi, inserzioni, delezioni e ripetizioni in
tandem).
Il sistema cromatografico è composto da due fasi: la fase solida o stazionaria,
costituita da materiale di riempimento della colonna, e la fase liquida o mobile,
10
costituita dal solvente che scorre attraverso la colonna. La fase stazionaria è costituita da
microsfere di polystirene-divinilbenzene ed è elettricamente neutra e idrofobica, per cui
i frammenti di DNA, contenenti ioni fosfato carichi negativamente, possono legarsi alla
matrice della colonna solo con l’ausilio di una molecola ponte, il TEAA
(TriEtilAmmonio Acetato). Il TEAA è una molecola carica positivamente con doppia
funzionalità lipofila e idrofila, infatti, mentre la parte apolare della molecola interagisce
con la fase stazionaria, la parte polare interagisce con il DNA. Il ruolo del TEAA è
quello di circondare la molecola di DNA da analizzare e di farla interagire con la fase
stazionaria (Huber C.G et al, 1996; Huber C.G, 1998). Il TEAA è aggiunto in basse
quantità (0.1 M) nel tampone, in modo da essere costantemente disponibile (Fig. 2).
MOLECOLE DI
DNA
TEAA
Fig. 2 Interazione tra i frammenti di DNA carichi negativamente (-) e le molecole di TEAA,
cariche positivamente (+).
Il principio su cui si basa la DHPLC è la differente interazione che le molecole
da separare mostrano nei confronti del materiale cromatografico, sotto la modulazione
chimica e meccanica dei tamponi (costituiti da una miscela di acetonitrile e acqua).
11
Il risultato è che il tempo di ritenzione in colonna dei frammenti, varia in
funzione della qualità e quantità delle interazioni che essi stabiliscono con la fase
stazionaria. Le molecole caratterizzate da un minor numero di interazioni vengono
eluite più velocemente e viceversa. Quando un frammento di DNA è sottoposto ad
analisi mediante DHPLC si possono verificare due situazioni:
•
Nel caso in cui il frammento in esame non presenti mutazioni puntiformi, dopo
un ciclo di denaturazione e successiva rinaturazione, si formeranno molecole di
omoduplex, cioè molecole costituite da due filamenti perfettamente appaiati tra
loro, in grado di instaurare un numero elevato di interazioni con la colonna,
risultando quindi stabilmente legati ad essa. La presenza di molecole di
omoduplex risulterà, all’analisi mediante DHPLC, in un unico picco di
eluizione.
•
Nel caso vi sia una mutazione puntiforme, dopo denaturazione e successiva
rinaturazione, si formeranno oltre alle molecole di omoduplex, molecole di
eteroduplex, costituite da due filamenti di DNA non perfettamente appaiati tra
loro per la presenza di una “bolla” di mis-appaiamento nel punto della
mutazione. La presenza di questa bolla rende meno stabile la molecola
all’interno della colonna, in quanto diminuisce il numero di interazioni tra il
frammento e la fase stazionaria, quindi il tempo di eluizione sarà inferiore
rispetto alle molecole di omoduplex. Di conseguenza se un frammento presenta
una mutazione saranno visibili un picco alterato o più picchi addizionali
corrispondenti alle molecole di eteroduplex (Oefer PJ et al, 1998; Oefer PJ,
2000) (Fig. 3).
Fig. 3 Nella parte superiore
della figura si può osservare la
formazione delle molecole
omoduplex ed eteroduplex, che
si osservano dopo
denaturazione e successiva
rinaturazione del DNA in
presenza di una mutazione in
eterozigosi. Nella parte
inferiore della figura sono
rappresentati i quatto picchi che
nel cromatogramma
corrispondono alle molecole
omoduplex ed eteroduplex.
12
Il tempo di ritenzione di un frammento all’interno della colonna dipende, oltre
che dalla presenza o meno di un punto di mis-appaiamento, anche da alcune
caratteristiche del frammento stesso:
•
Lunghezza dei frammenti. I frammenti più lunghi avranno un numero
maggiore di legami con la colonna, da cui deriva un tempo di ritenzione più
elevato. Al contrario, i frammenti più corti avranno un tempo di ritenzione
minore e perciò verranno eluiti più rapidamente.
•
Composizione nucleotidica dei campioni. La stabilità e quindi il tempo di
ritenzione dei frammenti dipende anche dalla loro composizione. Infatti le basi
presentano un diverso grado di idrofobicità, che influenza il loro legame con il
TEAA e con la colonna. La scala di idrofobicità per le 4 basi è: A>
>T>
>C>
>G.
Inoltre la scala di stabilità delle coppie di basi è: GC>
>AT>
>GT>
>AC. Perciò
l’Adenina sarà la base più trattenuta all’interno della colonna, mentre la Guanina
quella meno trattenuta. Ciò significa che più un filamento è ricco di Adenina,
più il suo tempo di ritenzione in colonna sarà lungo, al contrario se ci sono più
basi di Guanina avremo una ritenzione breve. (Huber et al, 1996; Oefer PJ et al,
1998).
Per l’analisi al DHPLC il prodotto di PCR viene denaturato a 95˚C, rinaturato a
65˚C per 10 minuti e raffreddato a 4˚C per favorire la formazione di eventuali
eteroduplex (Katz E.D. et al, 1990). Le provette contenenti i prodotti di PCR possono
essere poste direttamente nell’autocampionatore del sistema, che provvede a prelevare,
in condizioni standard, 5 µl di amplificato (circa 20-50 ng di DNA) ed iniettarlo nel
sistema per l’analisi.
Per ogni frammento è necessario calcolare la temperatura di Melting
(temperatura di “quasi denaturazione”), che verrà poi utilizzata per l’esame dei
campioni. La temperatura di Melting dipende da una serie di caratteristiche, tra cui la
lunghezza del frammento e la sua composizione in paia basi, e viene calcolata da un
apposito software (WaveMaker Software) che visualizza i domini contenuti nella
sequenza e propone le temperature di analisi. Una volta scelta la temperatura di lavoro
per ogni esone (Tab. 3), si procede ad analizzare i campioni dello screening.
13
Esone
Temperature
Melting al DHPLC
Esone
Temperature
Melting al DHPLC
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
64.7°
57.3°
52.5°
55.3 e 58.6
53.1 e 54.1
53.8°
55 e 53.7
52.2 e 53.4
51.6°
54.9°
54.9°
54.6 e 55.6
53.7 e 57.2
50.4 e 53.4
55.6 e 58
55.7 e 59
54.7 e 56.9+0.5ts
54
52.3°
52.5 e 54.5
57 e 57.4
52.6 e 53.6
51.7,54.7 e 57ts+1
54.1e58.1+ts(0.1)
32
33
34-1
34-2
35
36
37
38
39
40
41
42
43
44
45
46
47
48
49
50
51
52
53
54
54.4 e 56.4
57.2°
55.2 e 56
55.3 e 58.3
54.4 e 55.4
55.3 e 57
54 e 56
51.1 e 53
53.4 e 55.2
56 e 57.2
56 e 58
53.7, 54.7 e 57.6
58.8°
55.1 e 56.1
54.9 e 55.9
54.5 e 57ts+1
55.6 e 56
53.5 e 55.5
53.3 e 55
52.6 e 56.9
52°
56.4 e 57
53.1 e 54
56.2 e 59
25
26
27
28
28B
29-_1
29- 2
30
31
53.3 e 56
52.1 e 56+ts (1)
53.6 e 55.6
53.5 e 54.5
53.3°
52.5 e 55
55
57.9°
52 e 53
55
56-1
56-2
57
58
59
60
61
62
54.6°
56 e 58
56.8° e 60.5+0.5ts
58.8 e 60.8
62.7 e 63.7
60.5°
57.1 e 58.1
61 e 62.3
58
Tabella 3: In questa tabella sono riportate le temperature di Melting al DHPLC per ogni esone del gene
COH1. A seconda dei domini della molecola viene scelta una o più temperature.
Per monitorare le separazioni ottenute in colonna si utilizza uno spettrofotometro
corredato di microcella a flusso, dove l’eluito passa in continuazione e ne viene
effettuata la lettura all’ultravioletto a 260 nm. Il segnale di assorbanza viene tradotto in
intensità (mV). Il rilevatore a luce ultravioletta permette di evidenziare una mutazione
con un limite del 5% di molecole mutate all’interno del campione analizzato. Il tempo
di risoluzione dei picchi deve essere compreso, affinchè si abbia la risoluzione ottimale
dei frammenti, fra i 3 e i 6 minuti. Nel caso in cui l’uscita dei picchi non avvenga in
questo intervallo, è possibile agire sullo strumento correggendo un parametro di corsa
chiamato “time shift”, la cui variazione consente di modificare il tempo di uscita del
14
campione. Il cambiamento del tempo di ritenzione si ottiene con una variazione nella
percentuale di tampone di eluizione introdotto nella colonna.
Il risultato viene registrato dal PC e riportato sotto forma grafica dal
cromatogramma.
La sensibilità della tecnica della DHPLC è elevata per la ricerca di mutazioni in
eterozigosi. Per l’identificazione di mutazioni in omozigosi, invece, viene effettuata
l’analisi mutazionale sia sul DNA del probando che su quello di uno dei genitori. Nel
caso in cui non sia disponibile il DNA dei genitori, l’analisi viene effettuata mischiando
il DNA del paziente con un DNA di controllo.
2.6 Sequenziamento automatico.
I campioni risultati positivi all’analisi con DHPLC sono stati sequenziati
mediante sequenziamento automatico (Abi Prism 310, Applera), in modo da
caratterizzare la mutazione.
La metodica del sequenziamento si basa sull’utilizzo, nella reazione di
amplificazione, di una miscela di deossinucleotidi e di dideossinucleotidi trifosfato
marcati con quattro fluorocromi distinti (ddNTP*). I ddNTP* sono privi del gruppo –
OH in posizione 3’. Questa sostituzione fa sì che la DNA polimerasi, che richiede tale
gruppo –OH per aggiungere il successivo nucleotide al filamento in crescita, non possa
proseguire la sintesi del filamento.
La tecnica prevede l’allestimento di una miscela di reazione contenente il
prodotto di PCR purificato utilizzando un kit di purificazione (Jet QUICK - Genomed),
un primer specifico, deossinucleotidi, dideossinucleotidi marcati con 4 diversi
fluorocromi e una DNA polimerasi termoresistente che permette la sintesi del nuovo
filamento.
I campioni vengono amplificati mediante PCR nelle seguenti condizioni:
Denaturazione a 96°C per 10’’
Denaturazione a 96°C per 10’’
25 cicli
Annealing alla temperatura specifica (60°) per 10’’
Estensione a 60° per 4’
15
Le fasi intermedie vengono ripetute per 25 cicli. Alla fine della reazione si
otterranno una serie di frammenti di DNA di lunghezza diversa, terminanti tutti con un
diverso dideossinucleotide marcato con uno specifico fluorocromo:
ACGG*
ACGGT*
ACGGTC*
ACGGTCA*
In seguito le sequenze vengono precipitate con ETOH assoluto e Na+ Acetato, in
modo tale da ottenere la separazione completa dei frammenti di DNA. Dopo la
precipitazione, le sequenze vengono risospese in 20 µl di acqua e caricate all’interno del
sequenziatore ABI310 (Applera). Si tratta di un sequenziatore monocapillare: i
campioni, separati elettroforeticamente, vengono letti da un laser che riconosce il
dideossinucleotide marcato. Si ottiene così un cromatogramma nel quale ogni
nucleotide è rappresentato da un picco di uno specifico colore: rosso per la Timina,
verde per l’Adenina, blu per la Citosina, nero per la Guanina.
Le mutazioni si osservano confrontando una sequenza di un frammento wildtype con quella del nostro campione. Le mutazioni in omozigosi si evidenziano con un
picco nella sequenza del campione di un colore differente rispetto a quello del picco
corrispondente nella sequenza di controllo. Le mutazioni in eterozigosi, invece, si
visualizzano con la presenza di due picchi sovrapposti di colore diverso.
2.7 PCR Quantitativa
E’ una tecnica che consente di effettuare un’analisi quantitativa della sequenza
target durante ogni ciclo di amplificazione.
Per il monitoraggio della reazione di amplificazione è impiegata una molecola
reporter fluorescente. Questa molecola può essere un fluorocromo legato ad
un’estremità di una sonda oligonucleotidica a sequenza specifica, legata all’estremità
opposta ad un inibitore della fluorescenza detto “quencher” (per esempio sonde
TaqMan, Molecular Beacon e Scorpion), oppure può essere un colorante aspecifico
quale il SYBR Green, che diviene fluorescente quando legato al DNA a doppio
filamento.
16
La quantità della fluorescenza aumenta ad ogni ciclo di amplificazione
proporzionalmente all’aumentare della concentrazione dell’amplicone.
In particolare, sono stati utilizzati i saggi TaqMan (Applied Biosystems),
costituiti da primers e sonde specifiche, su un apparecchio ABI PRISM 7000 Sequence
Detection System. I saggi TaqMan utilizzano una sonda di 20-25 bp e 2 primers
disegnati con sequenza complementare alla regione d’interesse (per un totale di circa
100 bp di sequenza coperta). La sonda presenta un fluorocromo (reporter) in posizione
5’ e un “quencher” in posizione 3’. Finché la sonda è integra il quencher sopprime la
fluorescenza del reporter. Inoltre nei saggi TaqMan viene utilizzata una Taq polimerasi
modificata per avere attività esonucleasica.
Data la specificità per la sequenza target, la sonda si appaia al templato di
partenza ed ai prodotti di amplificazione nella regione compresa tra i primers forward e
reverse. Durante la fase di estensione la Taq polimerasi, grazie all’attività 5’
esonucleasica, frammenta la sonda che trova ibridata al templato, liberando il
fluorocromo dal silenziamento del quencher. La fluorescenza emessa, che viene
registrata dallo strumento, è quindi direttamente correlata al livello di amplificazione del
target.
Il fluorocromo emette un segnale ogni volta che viene sintetizzato un nuovo
filamento, per cui si ha una proporzionalità diretta tra la quantità di segnale e la quantità
di amplificato (Fig. 4).
a)
R
b)
Q
Primer
forward
3’
5’
5’
3’
R
Q
3’
5’
5’
3’
Primer
reverse
c)
d)
Primer
forward
3’
5’
R
R
Q
Q
Primer
forward
Primer
reverse
5’
3’
3’
5’
Primer
reverse
5’
3’
Fig. 4. Principio di funzionamento dei saggi TaqMan. La sonda presenta un fluorocromo in posizione 5’
(R=reporter) e un quencher (Q) in posizione 3’ che sopprime la fluorescenza del reporter finchè la sonda
rimane intatta (a). Durante la reazione di PCR i primers e la sonda si legano al DNA e ha inizio la
polimerizzazione del nuovo filamento (b). Quando la Taq polimerasi raggiunge la sonda la degrada grazie
alla sua attività esonucleasica 5’-3’, provocando la separazione del reporter dal quencher (c). A questo
punto la fluorescenza del reporter può essere rilevata dallo strumento non essendo più silenziata dal
quencher (d).
17
Al fine di determinare se differenze di fluorescenza tra più campioni siano
dovute ad errori di pipettatura o a reali differenze di quantità del templato di partenza, la
fluorescenza di quest’ultimo viene normalizzata rispetto a quella di un campione di
controllo. Come ulteriore controllo la fluorescenza relativa all’amplificazione del gene
d’interesse viene paragonata a quella dell’amplificazione di un gene calibratore
(RNAseP).
L’apparecchio ABI PRISM 7000 Sequence Detection System permette di
rilevare in tempo reale l’accumularsi del prodotto durante il processo di PCR tramite il
monitoraggio della fluorescenza emessa. La luce della lampada alogena passa attraverso
un filtro ottico, in modo da ottenere una lunghezza d’onda adatta all’eccitazione dei due
fluorocromi. La luce viene quindi riflessa da uno specchio e fatta passare attraverso una
serie di lenti fino ai campioni. La luce emessa dai campioni torna indietro e viene infine
focalizzata dalla CCD camera (Charge Coupled Device) che acquisisce il segnale e lo
memorizza (Fig. 5).
Fig. 5 Schematizzazione dello strumento ABI PRISM 7000 Sequence Detection System.
Durante ciascun ciclo di PCR vengono collezionate immagini multiple
dell’intera piastra da 96 pozzetti, rappresentate attraverso un diagramma in cui sulle
ascisse è riportato il numero di cicli, sulle ordinate l’intensità di fluorescenza. Dal
momento che sono necessari numerosi cicli affinché la quantità di prodotto sia
18
rilevabile, il diagramma della fluorescenza rispetto al numero dei cicli mostra un
andamento sigmoide. Nei cicli finali, i substrati di reazione iniziano a scarseggiare, i
prodotti di PCR non raddoppiano e la curva comincia ad appiattirsi. Il punto sulla curva
in cui la quantità di fluorescenza comincia ad aumentare in modo esponenziale è
definito “ciclo soglia” o Threshold Cicle (Ct) (Fig. 6). Tale valore cambia al variare
della quantità di templato di partenza. Il metodo della comparazione del Ct è stato usato
per calcolare il numero di copie geniche relativo (Ariani et al, 2004).
In particolare, per tale metodo si utilizza non direttamente il Ct del campione, ma
il dCt, cioè il ciclo soglia del gene da testare normalizzato rispetto a quello del gene
calibratore. Le differenze osservate nel valore di dCT tra diversi campioni danno una
stima della differenza di numero di copie del gene in analisi in tali campioni.
Il numero iniziale di copie dei campioni da testare è stato determinato in
relazione al numero di copie conosciute del calibratore usato tramite la seguente
formula: ddCt = [dCt (RNAseP (calibratore) – campione da testare)]. Il relativo numero
di copie geniche è stato calcolato dall’espressione 2
–(ddCt +/-s)
, dove s sta per la
differenza della media della deviazione standard SD dei valori Ct di COH1 e RNAseP.
Sulla base di questi calcoli si dovrebbe avere per un campione diploide un rapporto di
ddCt di circa 1 e per un campione aploide un rapporto di circa 0,5.
Fig. 6 Caratteristiche della curva di amplificazione generata durante una PCR Quantitativa.
19
Preparazione e corsa della reazione di PCR Quantitativa. Per ogni campione
vengono effettuate 4 repliche del volume finale di 50 µl ciascuna. Per ognuno, viene
preparata una Mix per una replica in più (in totale 5) al fine di compensare la perdita di
reagenti durante la pipettatura. La mix ha la seguente composizione:
Taqman Universal PCR Master Mix 1X, contenente Taq polimerasi,
desossinucleotidi e buffer di reazione.
Assay Mix 1X, contenente i primers e la sonda specifici
DNA genomico in quantità appropriata
Gene di controllo RNaseP
Acqua fino a volume
La mix viene aliquotata in 4 repliche su una piastra da Real Time da 96 pozzetti,
che viene centrifugata 5’ a 3500 rpm per eliminare eventuali bolle d’aria. La piastra
viene successivamente caricata sull’apparecchio “ABI PRISM 7000 Sequence Detection
System” e viene effettuato il seguente programma di PCR:
50°C 2’
95°C 10’
E 40 cicli di:
60°C 1’
95°C 15’
Analisi dei dati: Alla fine della PCR, i dati possono essere esportati sotto forma
di un file Excel per essere analizzati. Tale file contiene, per ogni posizione della piastra,
il nome del campione, la sonda utilizzata, il valore di Ct e la deviazione standard
relativa. Per l’analisi si determina, per ogni campione, il logaritmo in base 10 della
quantità di DNA iniziale e la media tra i valori di Ct per il gene da testare e per il
calibratore. Infine viene determinato il dCt sottraendo i due valori ottenuti (test –
calibratore).
Set primers/sonda per il gene COH1. Per verificare delezioni parziali o totali del
gene COH1 tramite PCR Quantitativa, sono state disegnate 3 sonde su vari esoni del
gene; ovvero sugli esoni 15, 16 e 17. Tutte le sonde hanno come reporter il fluorocromo
20
FAM (6-carboxy-fluorescein), che emette fluorescenza ad una lunghezza d’onda di 518
nm, e presentano al 3’ un quencher TAMRA (6-carboxytetramethyl-rhodamine), che
sopprime la fluorescenza.
I saggi per il gene COH1 sono stati disegnati sugli esoni d’interesse tramite il
programma “File Builder 3.1” scaricabile dal sito dell’Applied Biosystems. Tale
programma consente, con una procedura guidata, di inserire la sequenza d’interesse e
selezionare la regione precisa a livello della quale disegnare la sonda (in genere a
cavallo dell’ esone d’interesse). Questo file viene poi caricato su un’apposita pagina del
sito dell’Applied Biosystems, che si occupa di disegnare e testare primers e sonda .Tutti
i primers e le sonde disegnati sono riportati di seguito (Tab. 4).
Esone
Forward primer
(5' > 3')
Reverse primer
(5' > 3')
Sonda
3
TGTTTTAAGGAACTGAA
ATTACCA TTCACTTTT
CCA TCC TTA AGT TTC
AAA ATG CAT TCC A
CCA TGG ACA AAA CTG
16
GGTTTCCAGGCAGGACT
GA
GCT GAA AGA GGG AAT
AAC TGG TAC A
CGT CTT TGG ATT GCA
GT
17
ACAGACACTTCTCTT
GCAAGCAAT
CAA AGT TGG TCT CAT
CTT
20
CAA CGC TTG TTA CTG
TTT GTC TGT T
CTG CGG AAG AGC TGA
CAT TTC
AGA CAA GAT TTT TAA
ACT GTT ACA TAA GTC
CTC AT
24
CAC TCT AGC TGT CAC
GTC TCA AAA
GGT CAA CAT GGA GAC
AGA CAA CAA
CCT GAT ACA CGA CAT
TCA T
44
GTT GGT CAG AGC CTT
TCA GTG T
CGA CCC CTG TAC TGA
ATT GTT CTA A
ATG CCG GGA CTT TTA
55
CTG TGG CCC CAG AAG
GAA
TGG GAA AAT AAT TAA
ACC TAC CTG TTG GT
AAG CAG GAC CTA TTT
TAA
ATG GTG TAA AGT GAC
AAA TAG
Tab 4: Sequenza dei primers e delle sonde disegnati sugli esoni scelti per l’analisi molecolare attraverso
la PCR Quantitativa. del gene COH1.
21
RISULTATI
Pazienti Cohen
Dal 2004 presso la UOC Genetica Medica del Policlinico “Le Scotte” di Siena è stata
avviata la messa a punto per la diagnosi molecolare della sindrome di Cohen. In questo
periodo è stata analizzata una casistica di 72 pazienti, provenienti dall’Italia e
dall’estero, con sospetto clinico per sindrome di Cohen.
L’analisi molecolare del gene COH1 ha evidenziato mutazioni in 16 soggetti, di cui
tredici di provenienza italiana tra cui una coppia di sorelle, uno di provenienza olandese
e due fratelli di provenienza francese. L’età dei pazienti è compresa fra i 6 e i 52 anni e
per la loro classificazione sono stati usati i criteri di Kolehmainen (Kolehmainen et al,
2004).
3.1 Caso 1
Descrizione Clinica
La paziente #104 giunge in consulenza insieme ai genitori per sospetta Sindrome di
Cohen all’età di 10 anni. L’esame obbiettivo evidenziava epicanto, punta del naso
bulbosa e columella sporgente, labbro inferiore spesso, micrognazia, palato ogivale,
denti grandi ed affollati (Fig.7.). Le mani sono affusolatee di dimensioni ai limiti
inferiori della norma, viene riscontrata inoltre iperlassità legamentosa. La paziente ha
presentato ritardo delle acquisizioni psicomotorie. Una visita oculistica con esame del
fondo, effettuata all’età di sette anni, aveva evidenziato “papilla lievemente decolorata,
piana, a margini netti, dispersione pigmentaria lungo le arcate vascolari e in media
periferia”.
Analisi Molecolare
In un primo momento, l’analisi molecolare alla DHPLC del DNA del probando e dei
genitori per l’esone 24 (COH1), mostra la presenza di un picco eteroduplex addizionale
solo nel profilo del padre.
L’analisi di sequenziamento ha permesso di identificare la mutazione IVS24+2T>C, che
coinvolge un sito di splicing causando una terminazione prematura della proteina. La
22
mutazione era presente in eterozigosi nel DNA del padre, e in omozigosi nel DNA del
probando, tuttavia la mutazione non risultava presente nel DNA della madre (Fig. 8).
Fig.7 Foto della paziente #104; notare punta del naso bulbosa e columella sporgente, labbro inferiore
spesso, micrognazia, denti grandi ed affollati.
23
Madre
Caso 1
Padre
54. 1°C
58.1°C
A
IVS24+2T>C
In eterozigosi
IVS24+2T>C
In omozigosi
Assenza di
mutazione
padre
Caso 1
madre
B
Fig 8 A Profili alla DHPLC dell’esone 24 per il paziente #104 alle Temperature di Melting di 54.1°C e
58.1°C. Il picco verde rappresenta il DNA del padre, il picco rosso il DNA del probando e il picco giallo
il DNA della madre. B: Identificazione della mutazione per analisi di sequenza nel DNA del probando,
del padre e della madre. Caratterizzazione della mutazione IVS24+2T>C: nel padre è visibile in
eterozigosi, nel probando in omozigosi e nella madre la mutazione è assente.
24
Abbiamo effettuato una PCR quantitativa, con una sonda specifica disegnata sull’esone
24, per escludere una delezione dell’esone in eterozigosi ereditata dalla madre, questo
avrebbe spiegato il fatto che la mutazione appariva in omozigosi nel DNA del probando.
Tuttavia sia il probando che la madre sono risultati normali.
Disegnando nuovi primers più esterni per l’esone 24, abbiamo ripetuto l’analisi alla
DHPLC per il probando e per i genitori. La nuova analisi ha mostrato un profilo
anomalo sia nel probando che nei genitori. L’analisi di sequenziamento ha permesso di
identificare la mutazione IVS24+2T>C nel DNA del padre e del probando in eterozigosi
e il polimorfismo intronico IVS24+55T>C nel DNA della madre e del probando (Fig.
9). Questo polimorfismo cade nella prima base del primer reverse usato per la PCR
precedente ed è stato identificato come un polimorfismo noto: rs3134156, consultando
il sito di NCBI blastSNP (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/SNP/snp_blastByOrg.cgi).
25
Controllo
Padre
Madre
Caso 1
A
IVS24+2T>C
in eterozigosi
Caso 1
B
IVS24+55T>C
In eterozigosi
Caso1
Assenza di
polimorfismo
padre
IVS24+55T>C
In eterozigosi
madre
C
Fig 9: A: Profilo alla DHPLC dell’esone 24 alla Tm di 54.1°C del probando e dei genitori. Presenza di tre
picchi differenti: il picco nero è un campione di controllo, il picco rosso è il probando che presenta sia la
mutazione di splicing che il polimorfismo intronico, il picco verde è il padre che ha solo la mutazione di
splicing in eterozigosi e il picco giallo è la madre che presenta solo il polimorfismo. B: Identificazione
della mutazione per analisi di sequenza nel DNA del probando. L’utilizzo di nuovi primers ha permesso
di confermare la mutazione in eterozigosi, IVS24+2T>C, nel probando e nel padre. C: Identificazione del
polimorfismo IVS24+55T>C per analisi di sequenza. Questo polimorfismo è presente nel DNA del
probando e della madre mentre è assente nel DNA del padre.
26
L’analisi molecolare alla DHPLC e l’analisi di sequenziamento del DNA del probando e
dei genitori per l’esone 60 (COH1), ha permesso di evidenziare la seconda mutazione
patogenetica della paziente #104, c.11556insT (p.V3853fs3885X). Questa mutazione è
un’inserzione di una Timina nell’esone 60 in posizione 11556 che crea a livello proteico
un codone di stop sull’aminoacido 3885 ed è risultata presente anche nella madre (Fig.
10).
27
Padre
Caso 1
Madre
A
c.11556insT
madre
c.11556insT
Caso 1
padre
Assenza della
mutazione
B
C
IVG
(toxoplasmosi)
Fig. 10: A: Profili alla DHPLC dell’ esone 60 alla Tm di 57.1°C. Il probando e la madre presentano il
profilo alterato. B: Identificazione della mutazione c.1156insT, per analisi di sequenza nel DNA del
probando e della madre, mentre nel DNA del padre è assente. C: Pedigree della famiglia del caso 1. I
simboli in blu mostrano la mutazione di splicing, IVS24+2T>C, ereditata dal padre .I simboli in rosso,
invece, indicano l’inserzione c.11556insT p.V3853fs3885X, ereditata dalla madre.
28
3.2 Caso 2
Descrizione Clinica
Questo è un caso familiare di due sorelle #42 e #43 di 51 e 52 anni, nate da genitori non
consanguinei. Entrambe presentano ritardo mentale , distrofia retinica e neutropenia.
All’esame obbiettivo entrambe le sorelle mostravano fessure palpebrali a forma arcuata,
sopracciglia folte, naso a becco, filtro breve, mentre solo la paziente #43 mostrava
downslanting rime palpebrali ed espressione di “grimacing” al sorriso (Fig.11).
Analisi Molecolare
L’analisi molecolare mediante DHPLC per tutti i 62 esoni che compongono il gene
COH1 non ha evidenziato picchi alterati.
Successivamente la PCR quantitativa ha permesso di evidenziare nel DNA delle
pazienti la delezione di un allele nell’esone 16. Il numero di copie del gene COH1 è
stato stabilito mediante il metodo comparativo del ciclo soglia (ddCt). L’analisi dei dati
per la paziente #42 ha riportato un valore di 0.54, e per la paziente #43 un valore di
0.56. Questi valori dimostrano una delezione di un allele per l’esone 16 essendo al di
sotto del valore di 1 indice di normalità (Fig. 12).
A
B
Fig.11 Foto delle paziente #42 (A) e #43 (B); notare fessure palpebrali a forma arcuata, sopracciglia folte,
naso a becco, filtro breve
29
Fig. 12 A: Pedigree della famiglia del caso 2. I simboli in verde rappresentano la mutazione presente in
entrambe le pazienti del caso. B: Risultati della PCR Quantitativa per l’esone 16: rapporti di ddCt e SD di
due campioni di controllo e delle due sorelle (caso2). Confrontati con i controlli, i pazienti #42 e #43
mostrano valori di rapporto di ddCt intorno a 0.5, indicando una delezione dell’esone 16 nel gene COH1.
30
3.3 Caso 3
Descrizione Clinica
Il paziente #7 viene visto per la prima volta all’età di 30 anni. I suoi genitori non
presentano consanguineità. Il paziente presenta un moderato ritardo mentale,
retinopatia, moderata iperlassità legamentosa, neutropenia. All’esame obbiettivo il
paziente mostrava la tipica gestalt faciale, mani con dita affusolate, obesità truncale
(Fig.13 A ).
Analisi Molcolare
Non avendo a disposizione il DNA dei genitori, durante l’analisi alla DHPLC, (per non
perdere eventuali mutazioni in omozigosi) il DNA del paziente è stato mischiato con il
DNA di un campione di controllo.
L’analisi molecolare alla DHPLC del DNA del probando per l’esone 42 e per l’esone 55
(COH1), mostra la presenza di un picco eteroduplex addizionale nel profilo del
paziente. Attraverso il sequenziamento automatico sono state caratterizzate entrambe le
mutazioni. La prima, trovata nell’esone 42, c.7603C>T (p.R2535X), crea a livello
proteico un codone di stop sull’aminoacido 2535 e la seconda, c.10074_10075delCA
(p.G3385fs3387X), trovata nell’esone 55 è una delezione di 2 basi dell’ esone che crea a
livello proteico un codone di stop sull’aminoacido 3387 (Fig. 13C,D,E,F). Entrambe le
mutazioni causano una terminazione prematura della proteina.
31
A
B
#7
D
C
c.10074_10075delC
C
EX 55
#7
E
F
c.7603C>T
C
EX 42
#7
Fig. 13 A: Foto del paziente #7B: Pedigree della famiglia del caso 3. C: Profilo alla DHPLC dell’esone
55 del probando #7. D: Identificazione della mutazione, c.10074_10075delCA nel probando per analisi di
sequenza. E:Profilo alla DHPLC dell’ esone 42 del DNA del probando. F: Identificazione della
mutazione c.10074_10075delCA mediante sequenziamento automatico.
32
3.4 Caso 4
Descrizione Clinica
Il paziente #111 giunge in consulenza insieme ai genitori, che sono consanguinei, per
sospetta Sindrome di Cohen all’età di 6 anni. Il bambino ha presentato ritardo delle
acquisizioni psicomotorie, un esame emocromocitometrico effettuato nel 2001 aveva
evidenziato neutropenia. Al momento dell’osservazione mostrava miopia medio-grave e
fundus con distrofia corioretinica. L’esame obbiettivo mostrava obesità prevalentemente
truncale, palato ogivale, mento piccolo, mani piccole con solco palmare unico,
bilateralmente alluce largo, orecchie ad impianto basso,rime palpebrali rivolte verso il
basso e in fuori, labbra carnose, sopracciglia folte, attaccatura bassa dei capelli (Fig 14).
Analisi Molecolare
L’analisi molecolare alla DHPLC del DNA del probando per l’esone 60 (COH1), ha
mostrato la presenza di un picco eteroduplex addizionale nel profilo del paziente e
l’analisi
di
sequenziamento
ha
identificato
la
mutazione
c.11564delA
(p.V3855fs3877X) in eterozigosi nel DNA del probando e del padre. La delezione di
una base in posizione 11564 provoca a livello proteico la formazione di un codone di
stop nell’esone successivo. L’analisi molecolare attraverso la PCR quantitativa, ha
permesso di evidenziare nel DNA del probando e della madre la delezione di un allele
nell’esone 16. (Fig. 15).
A
B
Fig.14 Foto del paziente #111; notare l’obesità prevalentemente truncale (A) e le dita affusolate (B)
33
C
Madre
#111
Padre
A
#111
B
c.11564delA
C
C1
C2
# 111
madre
D
Fig. 15 A: Pedigree della famiglia del caso 4. I simboli in viola rappresentano la mutazione ereditata dal
padre, mentre i simboli in giallo la delezione dell’esone 16 ereditata dalla madre. B: Profili alla DHPLC
dell’esone 60 alla Tm di 57.1°C del probando #111 e dei genitori. Il picco eteroduplex addizionale è
presente nel DNA del probando e del padre. La madre non presenta l’alterazione. C: Identificazione della
mutazione c.11564delA (p.V3855fs3877X) tramite sequenziamento automatico nel DNA del probando e
del padre. D: Risultati della PCR Quantitativa per l’esone 16: rapporti di ddCt e SD di due campioni
controllo, del paziente #111 e della madre. Confrontati con i controlli, il paziente #111 e la madre
mostrano valori intorno a 0.5, indicando una delezione dell’esone 16.
34
3.5 Caso 5
Descrizione Clinica
La paziente #91 viene vista per sospetta Sindrome di Cohen all’età di 20 anni. L’esame
obbiettivo della paziente rivela obesità truncale , microcefalia, impianto basso anteriore
dei capelli, sopracciglia larghe nella porzione mediana e rede lateralmente, fessure
palpebrali brevi , naso lungo con radice alta, filtro breve, labbro superiore prominente,
incisivi superiori centrali larghi. Inoltre la paziente mostra un ritardo mentale medio ed
un esame oculistico effettuato all’età di 11 anni ha mostrato retinite pigmentosa (Fig 16
A).
Analisi Molecolare
L’analisi molecolare alla DHPLC del DNA del probando per l’esone 61 (COH1),
mostra la presenza di un picco eteroduplex addizionale e l’analisi di sequenziamento
automatico ha permesso di identificare la mutazione c.11695_11698delAGTG in
eterozigosi. La mutazione, c.11695_11698delAGTG insorta de novo nel probando, è
una delezione di quattro basi in posizione 11695 dell’esone 61 che a livello proteico,
p.3899fs3941X, forma un codone di stop in posizione 3941 interrompendo la proteina
(Fig. 16 C,D).
A
B
#91
c.11695_11698delAGTG
C
D
Fig. 16: A: Foto della paziente #91. B:Pedigree della famiglia del caso 5. C: Profilo alla DHPLC per
l’esone 61 del probando #91.C: Identificazione della mutazione c.11695_11698delAGTG attraverso
sequenziamento automatico.
35
3.6 Caso 6
Descrizione Clinica
La paziente #2 è una ragazza italiana di 14 anni nata da genitori non consanguinei. La
paziente mostra ritardo psicomotorio, lassità legamentosa, ipotonia e neutropenia.
L’esame obbiettivo effettuato a 7 anni di età mostrava microcefalia, ipoplasia molare,
filtro corto, labbro superiore sollevato, obesità addominale e delle estremità degli arti,
incisivi superiori con calcificazioni, dita affusolate (Fig 17 A).
Analisi Molecolare
L’analisi molecolare con DHPLC del DNA del probando ha mostrato un picco
eteroduplex nell’esone 58 del gene COH1. L’analisi di sequenziamento automatico ha
identificato la mutazione c.11125delC, in eterozigosi, che causa una terminazione
prematura della proteina in posizione 3769 (p.T3708fs3769X). La stessa mutazione è
stata trovata in eterozigosi nel DNA del padre (Fig 17 C,D). L’analisi con DHPLC ha
successivamente messo in evidenza un secondo profilo eteroduplex nell’esone 41 del
DNA del probando, il sequenziamento ha mostrato la mutazione IVS41+1G>A
nell’introne 41 in eterozigosi (Fig 17 E,F). Questa mutazione provoca un alterazione del
processo di splicing che porta ad una proteina alterata. La stessa mutazione è stata
trovata in eterozigosi nel DNA della madre.
36
#2
A
B
c.11125delC
EX 58
C
#2
D
C
c.7504+1G>A
EX 41
C
#2
E
F
Fig. 17 A: foto della paziente #2. B: Pedigree della famiglia del caso 6. C: Profilo alla DHPLC per
l’esone 58 del DNA del probando #2. D: Identificazione della mutazione c.11125delC attraverso
sequenziamento automatico. E: Profilo alla DHPLC per l’esone 41 del DNA del probando #2. F:
Identificazione della mutazione c.7504+1G>A attraverso sequenziamento automatico.
37
3.7 Caso7
Descrizione Clinica
Il paziente #3 è un ragazzo italiano di 25 anni nato da genitori non consanguinei. Il
paziente mostra un ritardo mentale severo, retinite pigmentosa con maculopatia,
neutropenia. Inoltre il paziente ha presentato 2 crisi convulsive focali ed un ascesso
cerebrale fronto-basale. L'esame obbiettivo ha mostrato diametro bifrontale ridotto,
occipite piatto, orecchie grandi, ponte nasale alto, ipoplasia molare e lieve asimmetria
faciale, palato alto e stretto, incisivi centrali superiori sporgenti, mani e dita affusolate
(Fig 18 A).
Analisi Molecolare
L’analisi molecolare con DHPLC del DNA del probando ha evidenziato due mutazioni
una nell'esone 58 e una nell'esone 59 entrambe in eterozigosi.
L’analisi di
sequenziamento automatico ha identificato la mutazione c.11125delC nell'esone 58 e la
mutazione c.11314C>T nell'esone 59 (Fig 18 C,D,E,F). La mutazion c.11125delC è
risultata essere presente in eterozigosi nel DNA del padre mentre la mutazione
c.11314C>T è risultata essere presente in eterozigosi nel DNA della madre.
38
#3
A
B
c.11125delC
C
EX 58
#3
C
D
c.11314C>T
C
EX 59
#3
E
F
Fig. 18 A: foto del paziente #3. B: Pedigree della famiglia del caso 7. C: Profilo alla DHPLC per l’esone
58 del DNA del probando #3. D: Identificazione della mutazione c.11125delC attraverso sequenziamento
automatico. E: Profilo alla DHPLC per l’esone 59 del DNA del probando #3. F: Identificazione della
mutazione c.11314C>T attraverso sequenziamento automatico.
39
3.8 Caso 8
Descrizione clinica
Il paziente #4 è un ragazzo italiano di 23 anni nato da genitori non consanguinei. Il
paziente mostra un severo ritardo psicomotorio, degenerazione retinica, strabismo, ed
una modesta ipotonia muscolare. Un primo esame obbiettivo all'età di 8 anni ha
mostrato microcefalia padiglione dell'orecchio destro ripiegato ponte nasale alto, palato
stretto, un secondo esame all'età di 18 anni ha mostrato bassa statura, sinofrie filtro
nasale molto corto, bocca piccola con labbra estroflesse, mani lunghe e strette (Fig 19
A).
Analisi Molecolare
L’analisi molecolare con DHPLC del DNA del probando ha mostrato un picco
eteroduplex nell’esone 58 del gene COH1. L’analisi di sequenziamento automatico ha
identificato la mutazione c.11125delC (Fig 19 C,D). La stessa mutazione c.11125delC,
che
causa
una
terminazione
prematura
della
proteina
in
posizione
3769
(p.T3708fs3769X), è presente in eterozigosi anche nel DNA della madre.
#4
A
B
c.11125delC
C
EX 58
#4
C
D
Fig. 19 A: foto del paziente #4. B: Pedigree della famiglia del caso 8. C: Profilo alla DHPLC per l’esone
58 del DNA del probando #4.D: Identificazione della mutazione c.11125delC attraverso sequenziamento.
40
3.9 Caso 9
Descrizione clinica
Il paziente #8 è un bambino italiano di 9 anni nato da genitori non consanguinei. Il
paziente mostra un ritardo mentale severo, retinopatia, neutropenia. L'esame obbiettivo
ha mostrato costrizione bitemporale, micrognazia, radice nasale alta, labbra carnose,
dita delle mani allungate (Fig 20 A ).
Analisi Molecolare
L’analisi molecolare con DHPLC del DNA del probando ha mostrato un picco
eteroduplex nell’esone 23 del gene COH1. L’analisi di sequenziamento automatico ha
identificato la mutazione c.3427C>T che causa la sostituzione di una arginina con un
codone di stop (p.R1143X) provocando una terminazione prematura della proteina (Fig
20 C,D). La stessa mutazione c.3427C>T, è presente in eterozigosi anche nel DNA della
madre (Fig 20 B).
#8
A
B
c.3427C>T
#8
#8
Ex 23
C
C
C
D
Fig 20 A: foto del paziente #8. B: Pedigree della famiglia del caso 9. C: Profilo alla DHPLC per l’esone
23 del DNA del probando 8.D: Identificazione della mutazione c.3427C>T attraverso sequenziamento.
41
3.10 Caso 10
Descrizione clinica
Il paziente #9 è una ragazza italiana di 26 anni nata da genitori non consanguinei. La
paziente mostra un moderato ritardo mentale, retinopatia e neutropenia. L'esame
obbiettivo ha mostrato epicanto bilaterale, incisivi centrali superiori sporgenti, palato
ogivale, dita lunghe e assottigliate, segno del sandalo bilaterale (Fig 21 A).
Analisi Molecolare
L’analisi molecolare con DHPLC del DNA della probanda ha mostrato un picco
eteroduplex nell’esone 13 del gene COH1. L’analisi di sequenziamento automatico ha
identificato la mutazione c.1768G>A ( Fig 21 C,D). La stessa mutazione c.1768G>A,
che a livello proteico causa la sostituzione di una alanina con una treonina in posizione
590 (p.A590T), è presente in eterozigosi anche nel DNA del padre (Fig 21 B).
#9
A
B
c.1768G>A
C
EX 13
#9
C
D
Fig. 21 A: foto della paziente #9. B: Pedigree della famiglia del caso 10. C: Profilo alla DHPLC per
l’esone 13 del DNA del probando #9. D: Identificazione della mutazione c.1768G>A attraverso
sequenziamento automatico
42
3.11 Caso 11
Descrizione clinica
Il paziente #10 è un bambino italiano di 8 anni nato da genitori non consanguinei. Il
paziente mostra un moderato ritardo mentale, iperlassità legamentosa e neutropenia.
L'esame obbiettivo ha mostrato microcefalia, fessure palpebrali a forma arcuata,
sopracciglia folte,
naso a becco, filtro breve, downslanting rime palpebrali ed
espressione di “grimacing” al sorriso (Fig 22 A).
Analisi Molecolare
L’analisi molecolare con DHPLC del DNA del probando ha evidenziato due mutazioni
una nell'esone 15 e una nell'esone 44 entrambe in eterozigosi.
L’analisi di
sequenziamento automatico ha identificato la mutazione c.2047delC nell'esone 15 e la
mutazione c.8119C>T nell'esone 44 (Fif 22 C,D,E,F). La mutazione c.2047delC che
causa una terminazione prematura della proteina in posizione 2047 (p.Q721fsX23) è
presente in eterozigosi anche nel DNA del padre. La mutazione c.8119C>T che a livello
proteico causa la sostituzione di una arginina con un codone di stop (p.R2707X)
provocando una terminazione prematura della proteina è risultata essere presente in
eterozigosi nel DNA del padre.
43
#10
A
B
c.2047delC
#10
EX 15
C
C
D
c.8119C>T
C
EX 44
#10
E
F
Fig.22 A: foto del paziente #10. B: Pedigree della famiglia del caso 11. C: Profilo alla DHPLC per
l’esone 15 del DNA del probando #10. D: Identificazione della mutazione c.2047delC attraverso
sequenziamento automatico. E: Profilo alla DHPLC per l’esone 44 del DNA del probando #10.
F: Identificazione della mutazione c.8119C>T attraverso sequenziamento automatico.
44
I risultati relativi agli ultimi 5 soggetti sono relativi all’analisi molecolare di 16
dei 62 esoni del gene COH1, sono pertanto da considerarsi parziali.
3.12 Caso 12
Descrizione Clinica
La paziente #155 è una ragazza italiana nata da genitori non consanguinei (Fig.
23 A). L’esame obiettivo all’età di 17 anni ha evidenziato ritardo mentale non
progressivo, microcefalia, obesità truncale con estremità sottili e dita affusolate,
iperlassità legamentosa, caratteristiche facciali tipiche quali rime palpebrali rivolte verso
il basso, fessure palpebrali a forma arcuata, sopracciglia, ciglia e capelli folti, filtro
breve all’insù ed espressione di “grimacing” al sorriso. La paziente presenta inoltre
miopia progressiva a esordio precoce, distrofia retinica e neutropenia.
Analisi Molecolare
E’ stata identificata tramite PCR una delezione in omozigosi che si estende
dall’esone 6 all’esone 16 compresi.
Un’analisi di PCR quantitativa effettuata con una sonda specifica per l’esone 15
ha confermato tale risultato. Il numero di copie del gene COH1 è stato stabilito
mediante il metodo comparativo del ciclo soglia (ddCt). L’analisi dei dati per la
paziente #155 ha riportato un valore di ddCt di 0.08 per l’esone 15. Questo valore indica
una delezione di entrambi gli alleli per l’esone 15, evidenziando una quantità di
amplificato pressoché nulla (Fig. 23 B).
1,2
1,0
1,0
0,8
0,5
0,6
0,4
0,2
#155
0,0
0,0
A
B
#155
1
C
#111
Fig 23 A Pedigree della famiglia. della paziente #155 B Risultati di PCR Quantitativa per l’esone 15:
valori della paziente #155, di un controllo (C) e di un deleto in eterozigosi di riferimento (#111).
45
3.13 Caso 13
Descrizione Clinica
Questo è un caso familiare di due fratelli francesi #160 e #161 di 45 e 40 anni,
nati da genitori non consanguinei (Fig. 24 E). L’esame obiettivo ha evidenziato per
entrambi i pazienti ipotonia, bassa statura, ritardo mentale e caratteristiche facciali
peculiari, tra cui filtro corto e ipoplasia mascellare (Fig. 24 A,B). Inoltre mostrano piedi
e mani con dita affusolate (Fig. 24 C), iperlassità legamentosa (Fig. 24 D) e cifosi. Uno
dei fratelli presenta anche incisivi superiori centrali prominenti. Infine per entrambi si
riportano neutropenia e alterazioni oculari, come miopia e distrofia corioretinica con
depositi pigmentari.
Analisi Molecolare
L’analisi molecolare mediante DHPLC per 12 dei 62 esoni che compongono il
gene COH1 non ha evidenziato profili alterati.
Successivamente la PCR quantitativa ha permesso di evidenziare nel DNA del
paziente #160 la delezione di un allele per gli esoni 15 e 16. L’analisi dei dati per il
paziente #160 ha riportato un valore di 0.60 per l’esone 15 e di 0,64 per l’esone 16.
Questi valori indicano la delezione di un allele per gli esoni 15 e 16 essendo al di sotto
del valore di 1 indice di normalità (Fig. 25 A,B). La stessa mutazione è stata identificata
anche nel fratello usando la sonda per l’esone 16. La delezione è stata ereditata dal
padre (Fig. 25 B).
46
A
B
C
D
E
#160
#161
Fig 24 A: Foto del paziente #160; notare la punta del naso prominente
rispetto alla columella ed il filtro corto. B: Foto del paziente #161; notare
il filtro corto e l’atteggiamento a bocca aperta. C: Mano del paziente
#160; notare le dita con estremità sottili. D: Mano del paziente #161; è
evidente l’iperlassità legamentosa. E: Pedigree della famiglia; i due
fratelli #160 e #161 hanno ereditato la delezione dal padre #162.
47
A
1,20
1,00
1,00
0,80
0,60
0,60
0,53
0,40
0,20
0,00
C1
#160
B
#111
1,20
1,00
1,00
0,95
0,80
0,65
0,60
0,56
0,55
0,40
0,20
0,00
#160
#161
1
(padre)
(madre)
C
Fig. 25 Risultati della PCR Quantitativa per gli esoni 15 (A) e 16 (B).
A: Valori di ddCt e SD del paziente #160, di un campione di controllo (1C) e del deleto in eterozigosi di
riferimento (#111) per l’esone 15. Confrontato con il controllo, il paziente mostra un valore di ddCt di
0.60 per l’esone 15, che indica una delezione in eterozigosi di tale esone nel gene COH1.
B: valori di ddCt e SD dei 2 fratelli #160 e #161, del padre, della madre e di un campione di controllo
(1C) per l’esone 16. I fratelli ed il padre mostrano valori di ddCt rispettivamente di 0.55, 0.65 e 0.56,
indicativi di una delezione in eterozigosi dell’esone 16 nel gene COH1.
48
3.14 Caso 14
Descrizione Clinica
La paziente #167 è una ragazza olandese di 19 anni. I suoi genitori non
presentano consanguineità (Fig. 26 C). L’esame obiettivo ha evidenziato ritardo mentale
lieve non progressivo, obesità truncale, microcefalia, fessure palpebrali a forma arcuata
e rime palpebrali rivolte verso il basso, sopracciglia e ciglia folte, incisivi centrali
prominenti, naso con punta prominente rispetto alla columella, filtro corto ed
espressione di “grimacing” al sorriso (Fig. 26 A,B). Si registrano inoltre retinopatia
pigmentaria, neutropenia e miopia.
Analisi Molecolare
L’analisi molecolare alla DHPLC del DNA del probando ha evidenziato un
profilo di eluizione alterato per l’esone 15, presente anche nella madre (Fig. 27 A)
L’analisi di sequenza del DNA del probando ha permesso di identificare
nell’esone 15 la mutazione in eterozigosi IVS14-2A>G, che coinvolge il sito di splicing,
causando una terminazione prematura della proteina. Tale mutazione è stata ereditata
dalla madre (Fig. 27 B)
49
B
A
#167
C
Fig 26 A e B: Foto della paziente #167; notare gli incisivi centrali prominenti,
il filtro corto e l’espressione di “grimacing” al sorriso
EX
#16
7
C
A
IVS14-2A>G
B
Fig. 27 A: Profilo alla DHPLC dell’esone 15 per il paziente #167 B: Identificazione della
mutazione IVS14-2A>G con sequenziamento diretto
50
3.15 Caso 15
Descrizione Clinica
Il paziente #174 è un ragazzo italiano di 17 anni (Fig. 28 B) nato da genitori non
consanguinei. L’esame obiettivo ha evidenziato microcefalia, capelli folti, incisivi
prominenti, naso con punta prominente rispetto alla columella, filtro breve ed
espressione di “grimacing” al sorriso (Fig. 28A). Presenta inoltre ritardo mentale non
progressivo, iperlassità legamentosa e dita affusolate.
Analisi Molecolare
Non avendo a disposizione il DNA dei genitori, durante l’analisi alla DHPLC,
per non perdere eventuali mutazioni in omozigosi, il DNA del paziente è stato mischiato
con il DNA di un campione di controllo. L’analisi molecolare alla DHPLC del DNA del
probando ha mostrato la presenza di un profilo alterato per l’esone 55. Per questo esone
è stato identificato nel nostro laboratorio il polimorfismo intronico IVS55+23G>A
(polimorfismo noto rs34513504), presente nel 26% dei nostri pazienti. Il profilo del
paziente #174 presenta un picco addizionale rispetto a quello tipico del polimorfismo
(Fig. 29 A). L’analisi di sequenziamento ha permesso infatti di identificare, in aggiunta
al polimorfismo noto, la mutazione missenso c.10124C>T (p.T3395I) in eterozigosi,
non riportata in letteratura (Fig. 29 B).
A
B
#174
Figura 28 A: Foto del paziente #174; notare il filtro corto
e l’atteggiamento a bocca aperta. B: Pedigree della famiglia;
51
C
EX55
#113 rs34513504
#174
A
IVS55+23G>A
c.10124C>T
B
Fig. 29 A: Profili alla DHPLC dell’esone 55 per il paziente #174, per un paziente con il polimorfismo
intronico IVS55+23G>A (#113) e per un paziente di controllo (C). Il paziente #174 (picco verde scuro)
mostra un picco addizionale rispetto a quello tipico del polimorfismo intronico presente nel paziente #113
(picco verde chiaro).
B: Analisi di sequenza sul DNA del paziente #174. E’ stato identificato il polimorfismo intronico
IVS55+23G>A e la mutazione missenso c.10124C>T.
52
3.16 Caso 16
Descrizione Clinica
La paziente #47 è una ragazza italiana di 10 anni di età, nata da genitori non
consanguinei (Fig. 30 C) che mostra il seguente quadro clinico: obesità truncale (Fig. 30
A) con estremità sottili e dita affusolate (Fig. 30 B), microcefalia, capelli folti, incisivi
prominenti, naso con punta prominente rispetto alla columella, filtro breve, espressione
di “grimacing” al sorriso. La paziente presenta inoltre iperlassità legamentosa, ritardo
mentale non progressivo, neutropenia e miopia progressiva a esordio precoce.
Analisi Molecolare
L’analisi molecolare alla DHPLC del DNA del paziente e dei genitori denota la
presenza, per l’esone 26, di un profilo di eluizione alterato, sia per il probando che per
la madre (Fig. 31 A). L’analisi di sequenziamento automatico ha permesso di
identificare in entrambi la mutazione in eterozigosi IVS25-2A>G, che coinvolge il sito
accettore di splicing, causando una terminazione prematura della proteina. Tale
mutazione è stata ereditata dalla madre (Fig. 31 B).
53
A
B
C
#47
Figura 30 A: Foto della paziente #47; notare l’obesità truncale. B: Mani della paziente #47; notare le
dita affusolate. C: Pedigree della famiglia; la paziente #47 ha ereditato la mutazione di splicing dalla
madre.
IVS25-2A>G
C
EX26
#47
A
B
Fig. 31 A: Profilo alla DHPLC dell’esone 26 per la paziente #47 B: Analisi di sequenza sul DNA della
paziente #47 La mutazione è stata caratterizzata come una IVS14-2A>G .
54
DISCUSSIONE
La sindrome di Cohen è una rara malattia autosomica recessiva, descritta per la
prima volta nella popolazione finlandese, nella quale il fenotipo clinico risulta molto
omogeneo. Tuttavia, nei pazienti non finlandesi sembra esser presente una maggiore
variabilità fenotipica.
Durante la consulenza genetica, sulla base dell’esame obiettivo e della storia
clinica, viene formulato il sospetto di sindrome di Cohen e viene valutato se il paziente
soddisfa i criteri di Kolehmainen per la diagnosi clinica di tale patologia.
Acausa delle grandi dimensione del gene COH1 e della mancanza di mutazione
ricorrenti, a livello mondiale sono pochi i centri che si occupano dell’indagine
molecolare per la sindrome di Cohen. Pertanto, l’unità operativa di Genetica Medica di
Siena è diventata, negli ultimi anni, un punto di riferimento internazionale per tutti i
centri di genetica clinica che vogliano indagare mutazioni del gene COH1. Considerate
le dimensioni del gene, che è composto da 62 esoni, l’indagine risulta lunga e laboriosa
e non sempre riesce a fornire una diagnosi molecolare definitiva. Si può verificare
infatti la situazione in cui una sola mutazione venga individuata, mentre per confermare
il sospetto clinico è necessario trovare una mutazione in omozigosi oppure due
mutazioni in eterozigosi composta dato che la sindrome di Cohen è una malattia
autosomica recessiva. Qualora entrambe le mutazioni vengano identificate, è possibile
offrire alla coppia l’opportunità di una diagnosi prenatale per future gravidanze.
La mancata identifacazione della seconda mutazione può essere dovuta ai limiti
della tecnica della DHPLC che ha una sensibilità del 98%, a mutazioni presenti nel
promotore o in regioni introniche, o a delezioni/duplicazioni di esoni che non vengono
analizzati con la PCR Quantitativa. Per questo motivo in futuro è previsto di sostituire la
tecnica della PCR Quantitativa con la tecnica dell’MLPA (Multiple Ligation-depend
Probe Amplification) che consentirà di analizzare tutti gli esoni del gene COH1 in modo
rapido ed efficace. L’MLPA è una tecnica che permette di rilevare i cambiamenti del
numero di copie presenti nella sequenza del DNA in analisi, individuando delezioni o
duplicazioni di tutti gli esoni del gene. In questo modo verrà incrementato il numero di
mutazioni identificata. L’impiego di tale metodica non è al momento possibile in quanto
non esiste in commercio il kit MLPA per il gene COH1. Tuttavia, anche nei casi in cui
55
viene identificata una sola mutazione, la combinazione di un fenotipo clinico suggestivo
e di una mutazione in eterozigosi rafforza l’ipotesi diagnostica.
In questa tesi sono descritti 16 pazienti con sindrome di Cohen di 14 famiglie,
provenienti da diverse zone dell’Europa, e sono state trovate mutazioni a carico del gene
COH1 nel 22% in dei pazienti analizzati (16 su 72).
Per quanto riguarda i pazienti italiani, i dati emersi da questo lavoro confermano
i risultati pubblicati nel 2007 da Katzaki et al. I pazienti italiani affetti da sindrome di
Cohen mostrano infatti un fenotipo meno costante rispetto a quello riportato nella
popolazione finlandese (Fig 32 A,B); in quanto tratti caratteristici della sindrome come
microcefalia, obesità truncale e alterazioni oculari non sono presenti in tutti i soggetti,
contrariamente alle tipiche anomalie craniofaciali e alle anomalie delle mani e dei piedi
(Fig. 32 E). Viene confermato inoltre che, come emerge dal lavoro di Katzaki et al, nel
passaggio dall’infanzia all’età adulta, avvengono cambiamenti fenotipici. Durante
l’infanzia infatti, il viso è arrotondato con labbro inferiore accentuato, il filtro non è
eccessivamente corto, gli occhi hanno spesso rime palpebrali lievemente rivolte verso il
basso con palpebre “ad onda”, mentre il setto nasale è molto meno prominente che negli
adulti (Fig 32 A,C). Con la crescita, la facies tipica cambia: il filtro si accorcia, la
columella aumenta ulteriormente dando l’impressione di un filtro ancora più corto, il
setto nasale diventa più alto e gli incisivi centrali sembrano sporgenti (Katzaki et al,
2007). (Fig 32 B,D). Un dato interessante emerso da questi primi 4 anni di analisi
molecolare è stata l’identificazione della stessa mutazione in tre famiglia
apparentemente non imparentate provenienti da una ristretta area del Veneto compresa
tra Padova e il Tagliamento. Questo può far pensare ad un possibile “effetto fondatore”
già noto per quanto riguarda la popolazione finlandese e quella degli Amish. Data la
conformazione di questa zona del Veneto che non è isolata né da un punto di vista
geografico né da un punto di vista culturale, possiamo ipotizzare un’origine recente di
questa mutazione.
I risultati sopra descritti dimostrano l'efficacia della metodica messa a punto che,
oltre a consentire la conferma della diagnosi clinica, potrà contribuire a stabilire la reale
incidenza della sindrome di cohen, probabilmente ad oggi sottostimata tenendo conto
che in letteratura sono attualmente riportati poco più di un centinaio di casi nel mondo.
56
A
B
C
D
E
Figura 32. Caratteristiche fenotipiche di pazienti affetti da sindrome di Cohen.
A e B: Pazienti finlandesi portatori della stessa mutazione ricorrente
(c.3348_3349delCT) in omozigosi. C e D: Pazienti italiani portatori di
mutazioni troncanti in eterozigosi composta. Si notino le caratteristiche
fenotipiche simili quali filtro corto, atteggiamento a bocca aperta, incisivi
superiori prominenti e naso con punta prominente rispetto alla columella. Nel
bambino (A e C) è evidente un volto arrotondato con il tipico aspetto “a
bambola cinese”, mentre nell’adulto (B e D) il volto è più allungato e si
accentua il setto nasale. E: Si notino le dita affusolate.
57
APPENDICE
58
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