A
Fabio Massimo Gallo, Luigi Iavarone
Il mobbing
Individuazione, prevenzione, tutela. Aspetti operativi
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via Raffaele Garofalo, /A–B
 Roma
() 
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I edizione: giugno 
Indice

Prefazione

Capitolo I
Il mobbing: origine ed evoluzione storica

Capitolo II
Definizione del fenomeno mobbing

Capitolo III
Il mobbing e i conflitti lavorativi
.. Descrizione specifica delle azioni ostili,  – .. I protagonisti del
mobbing,  – .. Rischio mobbing,  – .. Probabilità di accadimento, .

Capitolo IV
Le azioni mobbizzanti

Capitolo V
Valutazione del rischio mobbing
.. Individuazione dei rischi e delle persone esposte,  – .. Strumenti
di misurazione del fenomeno mobbing,  – ... La stima del rischio,  –
... Il questionario, .

Capitolo VI
Il danno da mobbing
.. Lo stress lavorativo,  – .. Psicofisiologia dello stress,  – .. Il
Sistema Nervoso Umano,  – ... Il Sistema Nervoso Centrale,  –
... Il cervello,  – ... Il diencefalo,  – ... Il sistema limbico, 
– ... Il Sistema Nervoso Periferico,  – .. Il sistema endocrino,  –
... L’ipofisi,  – ... La tiroide,  – ... Le Ghiandole surrenali, .

Indice


Capitolo VII
Aspetti e strumenti legali a tutela della vittima

Capitolo VIII
Il danno da mobbing nelle aule di giustizia

Bibliografia
Prefazione
Da che mondo è mondo, il fenomeno che oggi chiamiamo mobbing è
sempre esistito; ma è soltanto da una quindicina d’anni che giuslavoristi, sociologi e psicologi del lavoro hanno incominciato a farne oggetto
di uno studio specifico. A questa presa di coscienza degli studiosi ha
fatto seguito quella dell’opinione pubblica e della stampa, che si è
impadronita del tema e ne ha dilatato i confini: per un verso, chiunque
sia coinvolto in situazioni di tensione sul luogo di lavoro ha preso a
denunciare datore di lavoro e dirigenti per mobbing, per altro verso,
di riflesso, gli avvocati hanno preso a qualificare indiscriminatamente
negli stessi termini le situazioni di quel genere, nei propri ricorsi ai
giudici del lavoro. Quello del mobbing è invece un concetto molto
specifico; ed è bene che rimanga tale, perché può essere affrontato
in modo efficace solo se lo si mette a fuoco in questa sua specificità.
Nella definizione che ne ha dato Harald Ege, lo studioso cui va riconosciuto il maggior merito nella relativa individuazione ed elaborazione,
l’elemento essenziale della nozione è costituito da una serie continua
e intensa di atti ostili, del management o dei colleghi, nei confronti
di un lavoratore sgradito. È stata poi la giurisprudenza a individuare, sul piano strettamente giuridico, come elemento essenziale della
fattispecie mobbing il carattere doloso del comportamento. La serie
continua di atti ostili studiata da Ege non configura, dunque, il mobbing
se non è volta deliberatamente a rendere la vita difficile al lavoratore
per spingerlo alle dimissioni. È evidente quanto ampia sia la gamma
delle possibili situazioni di tensione in azienda che non possono essere
ricondotte a questa nozione; e quanto importanti, dunque, siano i libri
che, come questo di Gallo e Iavarone, aiutano l’operatore pratico a
comprendere l’essenza del problema, per poterlo affrontare nel modo
più appropriato.
Diverso dal mobbing, ma questo pure opportunamente oggetto di
analisi e trattazione in questo libro, è il fenomeno che studiosi ed
esperti indicano con il termine straining: con questa espressione la


Prefazione
dottrina giuslavoristica più recente (discostandosi parzialmente dalla
classificazione proposta da Ege) indica l’eccesso di stimolo alla produttività cui un lavoratore può essere sottoposto in azienda. Il fatto
stesso che si parli di “eccesso” indica che si tratta di una situazione
patologica, della cui possibilità è dovere del datore di lavoro preoccuparsi, per adottare le misura necessarie a evitarla. Ma — e qui sta la
distinzione giuridicamente rilevantissima — a differenza del mobbing
che si configura come illecito doloso, nello straining, se così inteso,
si configura un inadempimento contrattuale colposo. A questo tema
è stata dedicata particolare attenzione dal congresso mondiale di medicina del lavoro svoltosi in Italia nel , dove è stato sottolineato
come quasi metà delle persone sia potenzialmente esposta al rischio
di disturbi psichici innescati dallo stress da lavoro: principalmente il
rischio della depressione, cioè di una vera e propria malattia che può
avere effetti molto gravi sull’integrità psico–fisica del lavoratore, rilevanti per l’obbligo di sicurezza che l’articolo  del Codice civile
pone a carico del titolare dell’impresa; e si sono dunque individuati i
criteri di individuazione dei comportamenti dovuti da parte dell’impresa, soprattutto da quella di grandi dimensioni, per una prevenzione
ragionevolmente esigibile di questi disturbi.
Un’altra distinzione importante che è stata proposta dalla dottrina
giuslavoristica più recente è quella fra ciò che può essere qualificato
come mobbing e ciò che la psicologia sistemica insegna riguardo al possibile “effetto circolare” di azione e reazione nel sistema dei rapporti
in azienda (il riferimento è all’importante monografia di Guglielmo
Gulotta, giurista e psicologo: Il vero e il falso mobbing, Giuffrè, ).
Questa “sindrome” può manifestarsi in forme apparentemente simili
al mobbing; ma anche in questo caso di mobbing non si può parlare,
stante il difetto dell’elemento psicologico essenziale di cui si è detto
sopra. Il datore di lavoro può essere colpevole per non aver fatto il possibile per evitare la spirale di azione e reazione che talvolta s’innesca
tra un capo–ufficio o capo–squadra e un suo dipendente; ma questo
è un caso intrinsecamente diverso rispetto a quello dell’aggressione
del datore di lavoro o del capo–ufficio nei confronti del sottoposto,
finalizzata a indurlo a dimettersi.
C’è infine il tema, cruciale per chi si occupa di questa materia, dei
danni conseguenti alle patologie aziendali così individuate e del loro risarcimento: tema complicato dall’intreccio fra profili civilistici, sempre
Prefazione

rilevanti in questa materia, e profili penalistici, che invece rilevano soltanto quando ricorrano gli elementi della volontarietà e dell’effettività
del danno causato alla vittima del comportamento aggressivo. Risalta
qui non solo la qualità eccellente della tecnica normativa utilizzata dal
legislatore del ’, ma anche la sua capacità di guardare lontano: la
protezione della “sicurezza morale” e del benessere psichico, oltre che
di quello fisico, del lavoratore è già compiutamente delineata nell’articolo  del Codice civile, che, alla luce dell’evoluzione legislativa
e giurisprudenziale in tema di sicurezza della persona che lavora in
azienda, non appare per nulla “invecchiato”. La disciplina specifica
della materia, però, si è poi notevolmente arricchita: come è noto,
dal  è espressamente posto a carico dell’INAIL il risarcimento
non solo del danno strettamente economico — quale per esempio la
perdita di reddito per infermità psichica — ma anche, ove sussistente, il danno biologico subìto in alcuni casi dalla vittima del mobbing
(ferma restando la responsabilità del datore di lavoro colpevole per la
parte eventualmente non coperta dall’assicurazione obbligatoria). E la
giurisprudenza ha ultimamente riconosciuto la risarcibilità anche del
danno esistenziale. Questo dei danni risarcibili è un terreno sul quale
il capitolo finale del libro costituisce una guida molto utile non solo
per chi si accosta per la prima volta a questa materia assai complessa,
ma anche per molti addetti ai lavori.
La materia è difficile, ma il libro è facile: può essere letto piacevolmente, oltre che con profitto, anche da chi addetto ai lavori non
è. Merce, questa della scrittura chiara, per nulla diffusa nel nostro
campo. Dunque, a chi vi si accinge, buona lettura!
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Professore associato di diritto del lavoro e Assessore al Lavoro della Regione
Lazio
Roma, maggio 