© Mondadori Education Il tesoro e il drago Fafnir Sigfrido va in cerca del tesoro dei Nibelunghi, custodito dal terribile drago Fafnir: costui in origine era un uomo, ma dopo aver ucciso il padre per impossessarsi dell’oro, si è trasformato in una creatura orrenda e potentissima, per meglio difendere il prezioso bottino. Ad accompagnare Sigfrido è Regin, il fabbro, fratello di Fafnir e desideroso anch’egli di impossessarsi del tesoro dei Nibelunghi. Nel corso dell’avventura si dimostrerà codardo e inaffidabile. All’improvviso la terra prese a tremare come fosse scossa dal terremoto mentre un violento vento di tempesta investiva le fronde degli alberi. Era Fafnir che avanzava trascinando il corpo mostruoso lungo almeno trenta braccia1 e ricoperto di scaglie verdastre più dure di una corazza di bronzo. Agitava l’enorme coda squassando ogni cosa all’intorno; tra le fauci orrendamente spalancate e pronte a eruttare un veleno mortale, guizzava la biforcuta lingua di fiamma; gli occhi, immensi, roteanti e maligni, frugavano il folto alla ricerca di un’incauta preda. Il pavido Regin fuggì in un baleno su una piccola altura e si tuffò a capofitto in un cespuglio di rovi, incurante delle spine che gli laceravano il volto. Sigfrido al contrario non si sgomentò. Rimase immobile, trattenendo il respiro sopra al nascondiglio, con rapido scatto del braccio gli conficcò di forza la spada sotto l’ascella sinistra non protetta dalle squame, facendo penetrare la lama fino all’elsa e giungendo al cuore. Un inarrestabile fiotto di sangue nero e bollente sgorgò dalla profonda ferita e si riversò nella buca. Temendo di esserne sommerso, Sigfrido si slanciò allora allo scoperto e con agili balzi da gazzella riuscì a sottrarsi alla furia del drago che tentava disperatamente di ghermirlo e di vomitargli addosso il fiato attossicato2. Colpito a morte, Fafnir poté avanzare solo di pochi passi, poi stramazzò riverso, emettendo un terrificante ruggito che presto si trasformò in un rantolo d’agonia e poi si spense del tutto. Solo quando il mostro, dopo un ultimo violento sussulto, giacque immoto e privo di vita, Regin osò lasciare il sicuro rifugio sull’altura. Si rassettò gi abiti sgualciti, si stampò sulle labbra un sorriso che non gli veniva dal cuore e corse a congratularsi col vincitore. – Onore a te, Sigfrido, fulgido eroe, intrepido uccisore di Fafnir –, gli disse sprecandosi in inchini e azzardando persino una pedata alla carcassa del drago. – Il tesoro dei Nibelunghi ti spetta di diritto e io, che non ho la forza e il coraggio per possederlo e per sfidarne la maledizione, non ne rivendicherò alcuna parte. Come ricompensa dei miei servigi di guida, ti chiedo un’unica cosa, che non vorrai rifiutare: che tu strappi il cuore di Fafnir e me lo dia da mangiare. Sigfrido dovette convenire che era davvero un favore da poco e, pur non comprendendone la ragione, acconsentì volentieri. Recuperò la spada, squarciò il 1 2 . trenta braccia: circa venti metri. . attossicato: avvelenato. petto del drago e ne trasse il cuore; ma nell’atto di infilzarlo sullo spiedo per arrostirlo su un fuoco vivace, ne sprizzarono alcune gocce di sangue che gli bagnarono le labbra. Inavvertitamente il giovane vi passò sopra la lingua, ed ecco che nel medesimo istante il canto e il gorgheggio degli uccelli divennero per lui un linguaggio intelligibile e chiaro. Da un ramo sopra la sua testa intese una piccola cinciallegra trillare, frullando le ali. – Vedo laggiù il prode Sigfrido che, come un bimbo obbediente, arrostisce per Regin il cuore di Fafnir. Se fosse saggio il valoroso guerriero lo mangerebbe egli stesso e non lo imbandirebbe ad alcuno3. – Se poi volesse rendersi immune dai dardi e dalle lance dei nemici – completò un’allodola facendo capolino tra le frasche di un tiglio – non tralascerebbe di immergersi nel sangue della mostruosa creatura che ha appena ucciso. Appollaiato su una quercia nodosa, anche un querulo4 merlo dalle nerissime piume volle dire la sua. – Io vedo invece il perfido Regin che trae da sotto il giustacuore5 una fiaschetta d’argento – zufolò. – Vuole offrire a Sigfrido una bevanda di morte per rimanere unico padrone dell’oro. Se fosse accorto, il giovane eroe gli mozzerebbe la testa perché il traditore non rechi più danno a nessuno. Sigfrido continuò ad attendere al fuoco, ma reso accorto da quanto aveva prodigiosamente appreso, spiò di sottecchi le mosse di Regin e, quando lo vide avvicinarsi, si volse a fronteggiarlo con la spada snudata. A quella vista, il piccolo fabbro sbiancò di paura. – Perché mi minacci, ingrato, che vuoi farmi? – strillò arretrando di qualche passo. – Puoi vedere da te che le mie mani non stringono armi ma solo una fiasca del fresco liquore che ti portavo in amicizia, perché avessi ristoro dalla vampa del fuoco. – Non ho sete, bevi tu, Regin – gli ordinò Sigfrido, sollecitandolo a ubbidire con la punta della spada. Regin comprendeva che il perfido piano era scoperto e, sotto lo sguardo implacabile di colui che avrebbe voluto uccidere, tremava come una foglia. Tentò disperatamente di articolare qualche scusa, ma dalla gola chiusa dalla paura non gli uscirono che flebili balbettii. Vide allora nella fuga l’unica via di scampo, ma Sigfrido gli fu subito addosso e con un gesto deciso gli spiccò la testa dal busto. Presa vendetta del traditore, il giovane eroe mise in pratica gli altri consigli degli uccellini: mangiò il cuore ormai cotto a puntino e, dopo essersi spogliato di tutte le vesti si lasciò scivolare nella fossa colma di sangue ancora fumante, acquisendo così le virtù che erano appartenute a Fafnir: una forza immensa e una pelle dura e resistente come una corazza che nessun dardo avrebbe potuto trafiggere. Ma mentre era immerso nel sangue, una larga foglia di tiglio staccata da una folata di vento andò a posarsi leggera sulla sua spalla sinistra e in quel punto, non bagnato dal sangue della sua vittima, l’eroe rimase vulnerabile. La canzone dei Nibelunghi, a cura di G. Agrati e M.L. Magini, Mondadori 3 . non lo imbandirebbe ad alcuno: non lo cucinerebbe per nessuno. . querulo: lamentoso. 5 . giustacuore: indumento che copre e protegge il petto. 4