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Monitor - QT n. 3, 10 febbraio 2007
Un Amleto... cerebrale
Corrado d'Elia in una coraggiosa rivisitazione dell'Amleto.
di Vittorio Caratozzolo
Giovedì 25 gennaio, all’Auditorium S. Chiara, la scatola cranica del povero Amleto era diventata un teatro di marionette
beffarde e goffe al medesimo tempo, in mezzo alle quali egli si aggirava rimuginando e sovente urlando il suo rancore verso
tutti: anzitutto, verso l’usurpatore e assassino di suo padre, lo zio Claudio, fresco re di Danimarca, con cui si era subito
risposata la vedova, Gertrude, madre di Amleto; in quella scatola egli coltiva i suoi sospetti, subodora e indovina le misere
trame del ciambellano Polonio, di Rosencrantz e Guildenstern ai suoi danni, maltratta e allontana da sé la triste Ofelia, così
come duella a morte con il di lei fratello Laerte, nel finale.
Corrado d’Elia ha trasformato in una serie di esilaranti macchiette la maggior parte delle scene scespiriane, senza impiegare
un solo mobile od oggetto di scena: solamente corpi, mani e voci, ma anche e soprattutto luci e musica, a rendere evidente lo
stato di lucida e terminale follia in cui versa il sensibile principe travolto dalla malvagità del mondo.
All’inizio sembra una contaminazione tra un ”Camera Cafè” e l’avanspettacolo, poi ci si rende conto del fatto che si sta
scrutando all’interno di un cervello, dove fantasmi, fisime e ossessioni prendono corpo, mostruosamente, dilaniando il
frastornato e ormai irrecuperabile individuo che occupano. I lampi, accompagnati per lo più da musica heavy metal (il
pensiero corre al cinema, a Trainspotting e a Lola corre, per fare qualche esempio), mostrano e nascondono immagini
grottesche, posture emblematiche, schegge di una memoria sconvolta, che ricostruisce all’infinito il calvario di un’intelligenza
perduta nei meandri delle proprie elucubrazioni.
Frammentate le pur eleganti e superbe lungaggini scespiriane in questo vorticoso montaggio di ”spot teatrali”, salve le scene
clou a partire da “Essere, o non essere”, D’Elia ancora una volta si merita gli applausi che puntualmente raccoglie, grazie al
suo coraggio ed ingegno. Quella scatola senza finestre, teatrino nel teatro, una specie di televisore cerebrale, o forse una vera
stanza della tortura (psichica), con muri su cui Amleto e Ofelia scrivono i loro desideri e le loro angosce, dove i censori spiano
e cercano di cancellare scritte sgradite, resta impressa nella memoria dello spettatore a lungo, esattamente come il
regista-attore ha voluto che fosse.
Bravi, tutti, gli attori della compagnia: dal woodyalleniano usurpatore (Gianlorenzo Brambilla), alla sua spalla (e non solo...)
vedova-complice (Martina Carpi), all’irresistibile coppia comica Rosencrantz e Guildenstern (Marco Brambilla e Fabio
Paroni, o viceversa), all’azzeccagarbugli Polonio (Gustavo La Volpe), alla delicata Ofelia (Elisa Pella) e all’ingenuo Laerte
(Stefano Annoni). Un plauso allo staff tecnico, per la puntuale gestione di luci e musiche.