IL PROGETTO UOMO DI ARNOLD GEHLEN > di Giuseppe

IL PROGETTO UOMO DI ARNOLD GEHLEN
> di Giuseppe Savarino
Non si può parlare di Arnold Gehlen (1904-1976) senza fare riferimento a J. G. Herder (17441803) da un lato e Max Scheler (1874-1928) dall’altro.
Il primo fu allievo di Kant all’Università di Königsberg, contemporaneo di Diderot e D’Alembert,
nazionalista, anti-illuminista (più esattamente anti-enciclopedista) ma nonostante ciò massone
umanista sui generis.
Un personaggio singolare, insomma.
Herder sottolineò, forse il primo a farlo, un fondamentale aspetto della natura umana: l'uomo è
stato in grado di compensare un'evidente e quasi inquietante debolezza biologica e carenza fisica
con delle capacità razionali e linguistiche (un proto-Wittgenstein?).
Il secondo, Max Scheler, soprannominato da Troeltsch il “Nietzsche cattolico” (benché figlio di
un’ebrea e di un protestante), fu autore de La posizione dell’uomo nel cosmo, testo fondamentale se non fondante - dell’antropologia filosofica, che faceva il verso a Il posto dell’uomo nella
natura del darwiniano Thomas Henry Huxley (valido scienziato praticamente sconosciuto in
Italia) che affermava, diversamente dal primo, l’animalità dell’uomo.
Assieme a Scheler e a Helmut Plessner, Gehlen è considerato il fondatore di questa affascinante
scienza della natura umana che ha provato a dare una risposta ontologica all'idea di uomo. Non che
corresse buon sangue fra questi ultimi tre (escludo Herder perché cronologicamente precedette gli
altri; di fatto solo un precursore dell'antropologia filosofica, al pari dell’idealista Schelling, almeno
secondo G. Cusinato): si rinfacciarono più volte accuse di plagio per l’utilizzo di materiali e teorie
spacciate per proprie.
Tra tutti, probabilmente l’ascendente maggiore è da attribuire a Scheler che sostenne l’esistenza
storica di diverse concezioni/visioni dell’uomo. Si tratterebbe, per semplificare, di cinque “autoimmagini” dell'uomo, dipendenti dal grado di sviluppo interno e dalla autonomia rispetto
all'ambiente esterno: un tentativo di risposta al problema-uomo, nella tradizione
di Feuerbach («non è Dio che crea l'uomo, ma l'uomo che crea l'idea di Dio», quindi dio come
proiezione dell’uomo) o del romantico protestante Schleiermacher (la religione come intuizione
del sentimento umano dell’infinito).
L’itinerario che coinvolge queste “immagini” parte dall’homo religious della tradizione giudaicocristiana (un uomo legato a un mondo soprannaturale e basato su sentimenti di paura), per
svilupparsi nell'immagine dell’homo sapiens (che avverte la ragione come scintilla divina, parte
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delle propria essenza) per arrivare infine all’homo faber, specializzato e distinto dagli animali da
un punto di vista qualitativo e non soltanto quantitativo.
Queste tre auto-immagini hanno in comune la fiducia nel progresso ma non esauriscono il
tragitto/progetto umano, anzi l’homo dionysiacus, l'altra immagine a cui ricorre Scheler, dubiterà
proprio di questo progresso, e si vedrà piuttosto come destinato all'estinzione, al pari delle specie
animali o vegetali.
La ragione può surrogare gli istinti deboli e insufficienti, ma non evita l’ineludibile decadenza.
Se l’homo dionysiacus mortifica l’uomo, l’homo creator, la quinta immagine di Scheler, lo esalta.
Massimo rappresentante di questa "immagine" è l’Oltreuomo di Nietzsche: lo stesso ateismo che lo
contraddistingue mette l’uomo in una posizione (scomoda) di responsabilità e libertà.
In più, detto per inciso, ribalta significativamente la concezione prevalente dell’ateismo stesso:
l’uomo che non crede non solo non è libero da responsabilità ma, al contrario, soltanto «in un
mondo meccanico e non teleologico c’è la possibilità di un’esistenza moralmente libera» dove si
può progettare responsabilmente il proprio destino.
Questo processo sostanzialmente segue, per Scheler, lo stesso cammino delle forze biopsichiche
dell’impulso affettivo, dell’istinto, della memoria associativa e dell’intelligenza pratica che danno
un particolare Geist (Spirito) all’uomo e alla sua posizione nel cosmo.
La base di partenza del pensiero di Gehlen sarà proprio la critica a questa concezione metafisica
dell’uomo.
Il fiorire della concezione di un “nuovo umanesimo” dà un forte impulso alla ricerca antropologicafilosofica, necessaria anche per riportare in equilibrio l’impostazione data dalle scienze umane
(psicologia, sociologia, etnologia, antropologia culturale, ecc.) concentrate, come sono tuttora, in
uno o in alcuni particolari del “problema uomo” ma non alla sintesi generale, alla riflessione
attorno all'essenza e alla struttura eidetica dell’uomo (riprendendo con questo anche l’ideale di un
filosofare in modo scientifico, fondato sull'autonomia della ragione, che si può fare risalire a Kant).
Come lo stesso Gehlen afferma ne L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, l’antropologia
filosofica nasce per l’esigenza di cogliere e pensare l’uomo nella sua interezza, partendo dai risultati
delle indagini scientifiche per darne un’immagine sintetica o - come diceva Plessner – per
analizzarne l’essenza.
Da questo progetto dell’uomo per l’uomo, emerge la stessa premessa sconcertante di cui avevano
parlato Herder e Scheler: l’essere umano è, a differenza di molti esseri viventi, un essere
organicamente carente ma questa debolezza biologica ne ha esaltato, quasi per reazione fisica, le
potenzialità perché, per adeguarsi al mondo circostante, ha dovuto trasformare il mondo naturale
in mondo culturale cioè si è dovuto trasformare in homo faber. Forse anche in qualcosa di più, dato
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che la tecnica è già insita nell’essenza umana: l’uomo, dice Gehlen, è «biologicamente condannato
al dominio della natura».
La caratteristica dell’uomo è l’utilizzo non casuale di uno strumento; uso non esclusivamente
dedicato
a
uno
scopo
immanente
ma
rivolto
quasi
sempre
al
futuro.
Plessner parlava di “eccentricità” per definire quella caratteristica distintiva dell’uomo
dall'animale: la consapevolezza della propria esistenza, la capacità di allontanarsi dal “centro” del
proprio ambiente naturale, da cui invece non possono sfuggire gli animali.
La posizione dell’uomo è dunque peculiare: si trova in un posto privilegiato nel mondo, non è il
risultato di una catena evolutiva ma è frutto di un progetto separato, potremmo dire che si
posizioni in una categoria (livello) differente rispetto a quella degli altri animali.
Eppure Gehlen rifiuta l’idea di Scheler di uno sviluppo graduale in cui l’uomo ha in comune con il
mondo animale i primi gradini della vita psichica (gli impulsi affettivi, gli istinti, ecc.) a cui è in
grado tuttavia di dire di no ovvero di elevarsi, riconoscendo in sé la scintilla divina che lo rende
unico.
Per Gehlen, l’uomo agisce per compensazione di una difettosa dotazione organica, per la sua
apertura
al
mondo,
non
a
un
singolo
ambiente
geograficamente
circoscritto.
L’essere umano è esposto da un profluvio di stimoli, a un “eccesso pulsionale” (di cui parlava Freud
ma anche lo stesso Scheler) dal quale - in qualche modo- deve prendere le distanze.
Tutto ciò avviene attraverso il principio dell’esonero, concetto ripreso dal “risarcimento”
herderiano:
«Tutte le funzioni superiori dell’uomo, in ogni campo della vita intellettuale e morale, ma anche
in quello dell’affinamento motorio e operativo, sono sviluppate grazie al fatto che il costituirsi di
stabili e basilari abitudini di fondo esonera l’energia originariamente impiegata per le
motivazioni, i tentativi, il controllo, liberandola per prestazioni di specie superiore».
Esonerarsi significa liberarsi da un obbligo.
Con l’esonero l’uomo è riuscito, per Gehlen, a liberarsi dai propri difetti e dai pericoli ambientali
esterni, conservando energia per le attività culturali cioè simboliche.
Grazie all'ausilio della tecnica, si è potuto dedicare ad attività “superiori”, quasi in contraddizione
con i limiti fisici cui è sottoposto.
Una situazione su cui bisognerebbe riflettere maggiormente, dato il progressivo aumento degli
stimoli esterni a cui è sottoposto l’uomo contemporaneo.
La base dell’antropologia geheliana è la possibilità dell’uomo di adattare l'azione durante l'azione
stessa, la “plasticità” di fronte ad ambienti completamente diversi.
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Lo schema tradizionale per cui l’uomo, attraverso la sua intelligenza, conosce il mondo e poi agisce,
è ribaltato o meglio l’uomo conosce il mondo attraverso l'azione, in un processo di scambio
continuo tra elementi fisici ed elementi psichici o percettivi.
Tra gli animali non esiste gioco, sesso o linguaggio “esonerato” (su quest’ultimo elemento il
riferimento a Herder è evidente, anche se Gehlen rifiuta il concetto herderiano delle parole intese
come ripetizioni di suoni naturali ritenendole invece prestazioni precipuamente umane) cioè
queste attività, a differenza di quelle umane, sono sempre finalizzate (allo sviluppo fisico, alla
riproduzione, alla sopravvivenza) e contingenti:
«l’uomo non può vivere nel presente, vive nel futuro, ovvero – e la cosa non è diversa – vive
agendo. Se non che, il materiale della sua attività è circoscritto al presente, è un circoscritto
materiale del presente».
A questo eccesso pulsionale l’uomo reagisce attraverso l’educazione o le istituzioni che
determinano un’autodisciplina che per Gehlen è indispensabile per sopravvivere (su quest’ultimo
punto viene in mente una frase del grande statista - padre fondatore dell’Europa - Jean Monnet:
«Nulla
è
possibile
senza
gli
uomini,
niente
è
duraturo
senza
le
istituzioni»).
La plasticità umana causata dall'apertura al mondo deve in qualche modo essere padroneggiata,
attraverso una struttura educativa, etica e istituzionale che serve a incanalare l’incertezza del
mondo esterno (questo concetto fa di Gehlen sostanzialmente un conservatore: non a caso aderì al
partito nazionalsocialista hitleriano, scontando ancora oggi una diffidenza di fondo tra gli studiosi).
Lo stesso carattere dell’uomo non è un insieme di caratteristiche fisiche o psichiche innate, bensì
acquisite: atteggiamenti e regole divenute inconsce.
Un complesso, progressivo e inevitabile intellettualismo dell’uomo ha avuto come conseguenza uno
sviluppo tecnologico notevole.
Rifacendosi alle teorie di Ortega y Gasset, di W. Sombart e di P.Alsberg, la tecnica- antica
quanto l’uomo - per Gehlen nasce per l’appunto da una carenza organica (Alsberg in realtà
perveniva a conclusioni opposte: era la tecnica che indeboliva biologicamente l’uomo).
Di per sé è ineluttabile ma anche utile e necessaria, perché permette la sostituzione degli organi di
cui siamo privi o deboli.
Tuttavia, il fenomeno di un’eccessiva specializzazione (fenomeno che si riscontra anche nelle
scienze umane) crea una minore conoscenza globale del mondo sociale, politico, culturale ed
economico, cioè può portare quasi a una perdita di contatto con la realtà o di conoscenza del
mondo.
I processi standardizzati e la radicale burocratizzazione hanno creato e consolidato un
appiattimento molto pericoloso delle personalità individuali.
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Se Ortega y Gasset vedeva in questo processo di sviluppo tecnologico solo un pericolo, Gehlen
ritiene invece la tecnica assolutamente imprescindibile:
«Dall’universo della tecnica e delle istituzioni non si può e non si deve uscire. Del resto esso
costituisce un ‘mondo culturale’, quello stesso che l’uomo, ‘essere incompiuto’, si è costruito, si
costruisce, proprio per compiersi. Non si può e non si deve uscire dalla propria casa,
abbandonare il proprio ‘posto nel mondo'»
Per superare questo disagio della tecnica, bisogna limitarne gli aspetti negativi, ridurre l’umana
volontà di dominio sulla natura, la sua volontà di consumo, la spinta insensata all'accumulo dei
beni materiali, per recuperare quegli impulsi sociali persi nella corsa dietro il benessere.
Idee che senz’altro richiamano in mente quelle di Heidegger (concetto di Gestell) che nel pericolo
stesso della tecnica riteneva potesse risiedere un principio per la salvezza dell’uomo, nonché la
celebre idea dell’”uomo a una dimensione” di Marcuse, per cui la tecnica determina non soltanto
la struttura produttiva ma anche “una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non libertà”,
capace di indirizzare e influenzare i bisogni e le aspirazioni individuali.
Per Gehlen la tecnica assume un valore progettuale, determinando il posto dell’uomo nel mondo.
Un progetto dove non c’è più posto per la divinità, ma molto per l’individualità e la modernità.
Consigli di lettura e libri consultati:
•
A. Gehlen, L'uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, Mimesis, Milano, 2010, p. 485.
•
Maria Teresa Pansera, L’uomo progetto della natura. L’antropologia filosofica di Arnold
Gehlen, Edizioni Studium, Roma, 1990, p. 201.
•
Maria Teresa Pansera, L’uomo e i sentieri della tecnica. Heidegger, Gehlen,
Marcuse, Armando Editore, Roma, 1998, p. 175.
•
Max Scheler, Formare l’uomo. Scritti sulla natura del sapere, la formazione,
l’antropologia filosofica, Franco Angeli, Milano, 2009, p. 176.
•
Helmuth Plessner, L’uomo. Una questione aperta, Armando Editore, Roma, 2007, p. 112.
•
José Ortega y Gasset, La ribellione delle masse, SE, Milano, 2001, p. 248.
•
Herbert Marcuse, L’uomo a una dimensione, Einaudi, Torino, 1999, p. 260.
Filosofia e nuovi sentieri/ISSN 2282-5711
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