Ubaldo Fadini L’antropologia filosofica, come classica domanda sulla natura/essenza dell’essere umano, si sviluppa in forme originali soprattutto nell’ambito culturale di lingua tedesca dei primi decenni del Novecento. Sono in particolare le ricerche di Max Scheler, Helmuth Plessner, Arnold Gehlen ad affrontare in termini nuovi la questione della posizione dell’uomo nel mondo: il loro presupposto è dato da una profonda attenzione agli sviluppi del pensiero scientifico, con un occhio di riguardo verso quelli che concernono l’ambito biologico. L’antropologia filosofica si confronta proprio con le scienze biologiche e zoologiche nel tentativo di individuare degli elementi di analisi da utilizzare all’interno di un approccio all’umano che contesti l’assunto della continuità tra esso e il mondo animale. È Gehlen a sottolineare, con maggiore efficacia, il carattere peculiare della posizione dell’uomo nel mondo. Nel suo capolavoro, pubblicato nel 1940, L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, si insiste sul fatto che la natura ha avviato nell’uomo una direzione evolutiva originale, mai tentata prima, creando così un principio di organizzazione nuovo. A tutto questo va affiancata la rilevazione che l’uomo non possiede, a differenza dell’animale, un corredo biologico capace di adattarlo spontaneamente all’ambiente. C’è una non-specializzazione organica dell’uomo (a differenza della congruenza di ogni animale con il proprio ambito di esistenza), una capacità di condurre la propria vita in ambienti non predeterminati, vale a dire in un mondo aperto e imprevedibile (M. Scheler), che si presenta come una evidenza già riconosciuta – all’interno dell’età classica tedesca – da autori come Friedrich Schiller e Johann Gottfried Herder. 1 È stato proprio quest’ultimo a sviluppare, nei suoi scritti sul linguaggio, sulla poesia e sulla storia universale, un’analisi delle condizioni di esistenza dell’essere umano che costituisce uno dei presupposti teorici essenziali dell’antropologia filosofica novecentesca. Herder afferma infatti che l’uomo è caratterizzato da una sorta di manchevolezza rispetto alla sicurezza istintuale dell’animale, il quale è sempre fornito di un ambiente specifico e di una modalità d’esistenza determinata. È allora il linguaggio (insieme alla ragione) – e, più in generale, il complesso delle forme culturali – a compensare tale carenza. L’uomo è quindi essenzialmente un essere che compensa, che fa della sua particolare eccentricità (termine caro a Plessner) il punto di partenza di un percorso di acquisizioni (di sapere), di trasformazioni, di assunzione di nuovi elementi di identità/identificazione. La dinamica di compensazione, che trae la sua ragion d’essere da una mancanza istintuale (a cui corrisponde però un eccesso pulsionale e una straordinaria plasticità di fondo), è rintracciabile anche nelle prestazioni tecniche dell’essere umano. Quest’ultimo è da considerarsi infatti come un vero e proprio essere tecnico, biologicamente determinato all’azione e in grado di modificare con intelligenza il dato naturale. La tecnica è colta come necessariamente connessa con le carenze organiche dell’uomo (in un senso che consentirà a molta filosofia della tecnica del Novecento di collegarsi a questa stagione dell’antropologia filosofica moderna). Ancora Gehlen, in un testo intitolato Der Mensch im technischen Zeitalter, pubblicato nel 1957, sostiene come la tecnica, riferita alla sfera del corporeo, sia distinguibile nelle tecniche di integrazione, che rimpiazzano le capacità non possedute dagli organi, nelle tecniche di intensificazione, che potenziano invece determinate capacità organiche, e nelle tecniche di agevolazione, che alleggeriscono i compiti organici. La tecnica vale anche come un modello di identificazione dell’uomo nel turbolento mondo moderno, imponendo i suoi principi nelle stesse relazioni sociali. Di fronte ad uno sviluppo sempre più accelerato della tecnica, che rischia di procurare all’uomo un “oceano di insicurezza” (come vide anche un altro grande studioso del rapporto tra uomo e macchina: Günther Anders, del resto 2 non lontano da una certa sensibilità analitica presente tra gli autori dell’antropologia filosofica novecentesca), va individuata una via che soddisfi il bisogno fondamentale di un essere così precario e costitutivamente a rischio come l’uomo: per stabilizzare un mondo artificiale sempre più complesso, prodotto tecnicamente, s’impone il compito di determinare ancor di più quella spinta all’azione, su base plastica (non istintuale), che si precisa proprio nella “tecnicizzazione del reale”. L’antropologia filosofica, nella versione proposta da Gehlen, con il suo rinvio alla necessaria delimitazione della plasticità di partenza e alla indispensabile produzione di ambiti di compensazione alla difettività naturale, si traduce così in una “filosofia della tecnica” a cui si accompagna poi un progetto etico-politico (criticato da uno dei più importanti eredi della cosiddetta Scuola di Francoforte: Jürgen Habermas) di contenimento degli aspetti (e degli effetti) di trasformazione più radicale dello sviluppo tecnico. Al di là dei suoi sviluppi e delle sue contaminazioni con altre aree di ricerca, l’antropologia filosofica si presenta come un paesaggio concettuale del Novecento che ha cercato di fondare l’idea di una umanità che nel senso di possibilità (di apertura e di pluralità, per dirla con Odo Marquard), assicurato dalla cultura, sia in grado di ovviare storicamente – cioè relativamente e senza presunzioni salvificoescatologiche – alle carenze istintuali, alla costitutiva fragilità naturale dell’uomo. Caratteristica dei percorsi dell’antropologia filosofica novecentesca è il loro articolarsi al confine tra filosofia, scienze della natura e scienze dell’umano, in un confronto ricco di stimoli con altri indirizzi di pensiero, classici e contemporanei. Ciò ribadisce il carattere integrante di una disciplina che vuole muoversi con metodo empirico in direzione di uno sviluppo appropriato e veramente significativo del tema uomo, di un motivo cioè che si sa aperto, differenziato, plurale. 3 Compensazione, Difettività, Eccentricità, Eccesso pulsionale, Integrante, Mancanza istintuale, Natura/Essenza, Non-specializzazione organica, Tecnicizzazione del reale, Tema uomo. http://www.phil-fak.uni-duesseldorf.de/philo/geldsetzer/anthro/ Alsberg, P., 1922, Das Menschheitsrätsel, Dresden, Sybillen. Buber, M., 1954, Das Problem des Menschen, Heidelberg, L. Schneider; trad. it. 1972, Il problema dell’uomo, Bologna, Pàtron. Cassirer, E., 1943, An Essay on Man, New Haven, Yale UP; trad. it. 1971, Saggio sull’uomo, Roma, Armando. Gehlen, A., 1957, Die Seele im technischen Zeitalter, Rowohlt, Hamburg; trad. It. 1984, L’uomo nell’era della tecnica, Milano, SugarCo. Gehlen, A., 1977, Urmensch und Spätkultur. 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