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ANTROPOLOGIA FILOSOFICA
• Che cos’è l’antropologia filosofica? = E’ la parte della filosofia che
indaga le caratteristiche essenziali dell’uomo, che lo distinguono da
tutti gli altri esseri, in quanto inserito nel contesto storico-sociale in
cui vive e in quanto essere che agisce.
• Come domanda sulla natura/essenza dell’essere umano, essa si
sviluppa in forme culturali nell’area di lingua tedesca nei primi
decenni del Novecento.
• La prima identità dell’a.f. si costituisce già a partire da Socrate e dai
Sofisti. Fondamentale è poi l’aspetto etico quale approccio globale
per la comprensione di tutta la realtà; rilevante è anche il fermento
culturale e antropologico apportato dalla religione cristiana per il
costituirsi della consapevolezza che l’antropologia non è solo parte
della filosofia della natura.
ANTROPOLOGIA FILOSOFICA
• Con Cartesio l’antropologia ha una svolta decisiva per
l’affermazione certa dell’uomo come soggetto.
• Origini dell’antropologia filosofica= L’a. f. ha le sue radici nella
filosofia tedesca del tardo Settecento e in particolare nell’opera di
Kant (che la definisce “una dottrina della conoscenza dell’uomo
ordinata sistematicamente” e sostituisce l’a. aprioristica con ql.
pratica e distingue l’antropologia fisiologica e ql. pragmatica) e di
Herder (che individua il carattere specifico dell’uomo nella sua
debolezza: l’uomo, mancando di una serie di istinti che regolano la
vita degli altri animali, costruisce il proprio mondo razionalmente), e
successivamente anche di Marx (il quale vede nella progressiva
attuazione di tale essenza la prospettiva della storia futura, che si
svilupperà come un’antropologizzazione della natura, un dominio
tecnico dell’uomo su di essa).
SCHELER
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La fondazione dell’antropologia filosofica come disciplina a sé stante
si ha nel Novecento con Scheler, dopo la frantumazione del
concetto unitario di uomo ad opera sia del complesso delle scienze
umane che degli sviluppi del pensiero scientifico, specie in ambito
biologico.
Nella sua fondamentale opera La posizione dell’uomo nel cosmo, la
filosofia viene riproposta come necessario momento di sintesi; in
particolare S. attribuisce al dualismo cartesiano (fra natura e spirito,
fra corpo e anima) la responsabilità di aver ostacolato lo sviluppo
della dottrina antropologica, sebbene anche lui finisca per
riapprodare al dualismo e allo spiritualismo.
SCHELER
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L’antropologia filosofica è considerata da S. la scienza dell’essenza
e della costruzione tipica dell’uomo, che nell’epoca contemporanea
appare sempre più enigmatico a se stesso; essa acquisisce un
carattere di necessità perché si afferma come l’unica disciplina
capace di recuperare un’immagine unitaria dell’uomo e della sua
essenza. S’impone allora con maggiore forza la domanda centrale
dell’a.f.= Che cosa è l’uomo? Per rispondere a tale quesito, Scheler
mette a confronto l’essere umano e l’animale.
L’uomo è contraddistinto dall’elemento dell’“impulso” inteso come
energia vitale e, in quanto persona, dallo “spirito”, che è una
pienezza di idee e valori latenti: nell’uomo (in quanto essere vivente
in cui l’essere originale si riconosce) l’impulso si spiritualizza così
come lo spirito si vivifica.
SCHELER
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Fondandosi sulle ricerche del biologo Jakob Johann von Uexküll,
Scheler sottolinea che mentre tutti gli altri animali sono limitati ad
ambienti particolari, l’uomo non è necessariamente legato ad un
ambiente specifico, ma è aperto al mondo nella sua globalità: di qui
la sua adattabilità e plasticità, e soprattutto la capacità di costituire
un mondo oggettivo e di essere libero dal determinismo
dell’ambiente circostante.
A differenza dell’animale che non si eleva al di sopra dell’impulso
vitale, l’uomo riesce ad acquisire un’autonomia rispetto al fluire delle
sensazioni. Fondamentale è il concetto di ideazione, in quanto
l’uomo è in grado di derealizzare, di “ideare” il mondo; è l’essere
spirituale che consente di orientare, di dirigere la vita. Lo spirito
assicura la “sospensione” del flusso vitale, in cui si realizza appunto
l’“apertura al mondo”, che è capacità di oggettivazione.
SCHELER
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L’uomo conosce il mondo riflessivamente, cioè ritornando su di esso, dopo che
si è operato un distanziamento dal fluire immediato dalla realtà; tale
distanziamento rende possibile la comprensione dell’oggettività del mondo e
non è da intendersi come una sorta di alienazione di sé, che invece concerne gli
altri esseri viventi, incapaci come sono di trasformare in oggetti quei centri di
resistenza che si oppongono loro nell’ambiente vitale. In virtù del possesso dello
spirito che si pone come principio di oggettivazione, l’uomo, diversamente
dagli animali, “diviene” come essere capace di aprirsi illimitatamente al
mondo.
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Dal comportamento istintivo derivano il comportamento abitudinario e quello
«intelligente» che appartengono, ad esempio, alle scimmie. Nell’uomo agisce
però anche un principio di contrapposizione alla vita, quello dello spirito, che lo
svincola dalla dipendenza dall’organico e lo apre al mondo, consentendogli di
rimuovere quell’impressione di realtà che le cose producono e di coglierle infine
nelle loro pure qualità essenziali. La caratteristica centrale dell’uomo è quindi
possedere un’unità originale delle forme dell’esistere nei modi dell’ essere
naturale e spirituale, pur nell’ambito della delineazione da parte di Scheler di
uno schema graduale intorno agli elementi dell’istinto, dell’abitudine,
dell’intelligenza pratica, dell’intelligenza umana.
PLESSNER
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Plessner riprende Scheler, ma ne critica la nozione di schema
graduale, accentuando il nesso dell’uomo con la sua corporeità.
Nell’opera I gradi dell’organico e l’uomo. Introduzione
all’antropologia filosofica, egli parte dalla “plasticità” degli esseri
viventi rispetto ai corpi inanimati, ossia dal fatto che la forma di quelli
non è fissa e determinata una volta per tutte, ma è sempre in “via di
attuazione”, in un processo dinamico di interscambio con l’ambiente.
Risulta centrale il concetto di “posizionalità”, che contraddistingue
appunto il vivente rispetto all’inorganico riguardo al rapporto con
l’ambiente. Un essere vivente si “attua” come delimitato rispetto
all’esterno, in quanto i suoi limiti gli appartengono e non gli sono
imposti dall’esterno; tale relazione essenziale con i propri confini è
la posizionalità, che fa del vivente un’entità dialettica, un rapporto
dinamico di esterno e interno.
PLESSNER
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Mentre l’animale è “centrico”, cioè chiuso nella vita del proprio
corpo, vivente nel suo centro ma non come centro, l’uomo è
“eccentrico”: egli, cioè, ha la centricità dell’animale ma ha soprattutto
la caratteristica di sapersi proiettare fuori di sé, nell’ambiente, fino al
punto di diventare spettatore di se stesso. In tale eccentricità
risiedono le qualità che rendono l’uomo superiore all’animale: la
coscienza, la ragione e il linguaggio come capacità di creare
concetti universali, che si fondano nella condizione di vuoto in cui
l’uomo viene a trovarsi.
L’uomo oscilla fra due centri, il dentro e il fuori, senza mai riuscire ad
effettuare una sintesi definitiva, e quindi restando sempre
caratterizzato da una drammatica scissione: di qui, nell’ultima fase
del pensiero di Plessner, la visione drammatica dell’uomo che è
strutturalmente esposto ad una situazione di crisi e smarrimento.
GEHLEN
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Pur prendendo le mosse da Scheler e Plessner, Gehlen nel suo
pensiero antropologico si riallaccia alla concezione di Herder, che
intende l’uomo come essere debole e mancante, approdando ad un
quadro antropologico più pessimistico dei suoi predecessori.
Nell’opera L’uomo, la sua natura e il suo posto nel mondo, egli vede
l’uomo come un “problema biologico particolare” e contraddittorio:
da un lato l’uomo è l’“incompiuto”, carente e indefinito, ma dall’altro
è l’“essere che agisce”, che si produce per poter sopperire a tali
mancanze.
L’uomo è dotato di un’energia pulsionale indeterminata e
costituzionalmente in eccesso: tutto ciò comporta un’essenziale
situazione di precarietà e instabilità. Ma proprio tali carenze
rappresentano per l’uomo la base per una via d’uscita, in quanto egli
possiede sempre un’interna distanza delle pulsioni dall’azione.
GEHLEN
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Gehlen sottolinea il carattere peculiare della posizione dell’uomo nel
mondo, rifacendosi a Schiller e Herder che già avevano evidenziato
la “non specializzazione” organica dell’uomo, la sua capacità di
condurre la propria vita in un mondo “aperto e imprevedibile”, grazie
alla sua capacità di compensare la sua manchevolezza originaria
(rispetto alla sicurezza istintuale e alla modalità d’esistenza
determinata tipica dell’animale), facendo dell’“eccentricità” il punto di
partenza di un percorso di acquisizione di sapere, di trasformazioni
e di assunzione di nuovi elementi di identità.
L’uomo si connota come un essere tecnico, biologicamente
determinato all’azione e in grado di modificare con intelligenza il
dato naturale; la tecnica è anche colta come necessariamente
connessa con le carenze organiche dell’uomo.
GEHLEN
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La tecnica – che si distingue in tecniche di integrazione (che
rimpiazzano le capacità non possedute), di intensificazione (di
determinate capacità organiche) e di agevolazione (che
alleggeriscono i compiti organici) – vale anche come un modello di
identificazione dell’uomo nel turbolento mondo moderno.
Di fronte ad uno sviluppo sempre più accelerato della tecnica, che
come sottolinea anche Anders rischia di procurare all’uomo un
“oceano di insicurezza”, occorre individuare una via che soddisfi il
bisogno fondamentale di un essere precario come l’uomo,
determinando quella spinta all’azione su base plastica che si precisa
proprio nella “tecnicizzazione del reale”. L’antropologia filosofica si
traduce così in una “filosofia della tecnica” a cui si accompagna un
progetto etico-politico di contenimento degli aspetti di
trasformazione più radicale dello sviluppo tecnico.
GEHLEN
- Gehlen vede nel disciplinamento e nell’etica i momenti di
radicale costruttivismo che serve a collocare gli infiniti schemi
vitali entro schemi stabili. La plasticità, che caratterizza il
corredo istintuale dell’uomo, consente di creare una serie di
strumenti che portano al controllo di esso, fra cui possiamo
citare il linguaggio, l’educazione e le istituzioni sociali,
particolarmente importanti per la loro funzione di selezionare
e ridurre l’infinità degli stimoli naturali.
- L’esito dell’antropologia di Gehlen è stato perciò spesso
interpretato come pessimistico e fortemente autoritario: la
libertà dell’uomo fonda infatti la mancanza e l’eccesso, ma
essa può attuarsi solo come creazione di un ferreo apparato
istituzionale a cui l’uomo deve sottomettersi.
SINTESI
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Intesa come disciplina sistematizzatrice dei vari tentativi compiuti
per conoscere l’uomo (oggetto di studio singolare e complesso),
l’antropologia filosofica tiene insieme filosofie diverse, problemi
aperti, metodologie varie: è quindi una scienza che si riapre in
continuazione, che può avere acquisizioni definite ma non definitive.
Sollecitata dai vari stimoli che ogni conoscenza le trasmette e come
coscienza critica, essa offre all’uomo delle indicazioni volte a come
comportarsi e orientarsi concretamente in mezzo ad indefinite
possibilità, in un’ottica integrante, che intende muoversi con metodo
empirico in direzione di uno sviluppo significativo del tema uomo,
cioè di un motivo sempre aperto, plurale e differenziato.