COMMISSIONE NAZIONALE UNGDCEC
STUDIO SULLE COOPERATIVE
Disciplina giuridica e case-study
A cura della Dott.ssa Di Marco Ilaria e del Dott. De Pascale Roberto
ANNO 2013
Il presente studio è articolato in due parti. La prima finalizzata all'individuazione dei caratteri distintivi
e peculiarità del modello cooperativo quale tipologia a se stante rispetto alle “lucrative”.
La seconda incentrata sullo studio del fenomeno cooperativo e le ragioni dell'affermarsi della sua
funzione anti-crisi.
L'impianto giuridico della società cooperativa è il risultato di un susseguirsi e sovrapporsi di norme
codicistiche e tributarie.
Una breve disamina giuridica mette in evidenza che mentre il codice di commercio del 1882
mancava di una specifica trattazione della cooperativa, il codice civile del 1942 ha inteso cogliere la
funzione economica della cooperazione prevedendo specifiche norme ( dall'art. 2511all' art 2545)
che delineano un modello societario autonomo in cui la cooperazione è incentrata sul concetto di
SCOPO MUTUALISTICO.
Nonostante tale riconoscimento giuridico il legislatore codicistico del 1942 non ha specificato in
maniera compiuta il significato di mutualità generando quindi un ampio dibattito giuridico.
L'importanza e la strategicità della cooperazione quale fattore di rilevanza socio-economica viene
poi ribadito e fissato nella Carta Costituzionale che all'art. 45 sancisce che:
“La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini
di speculazione privata”.
Il legislatore Costituzionale prende atto del potenziale che la cooperazione esprime quale correttivo
dell'iniqua distribuzione della ricchezza e dell'idoneità della stessa a fungere come strumento di
trasformazione degli equilibri socio-economici esistenti e di inclusione sociale.
La “funzione sociale costituzionalmente” riconosciuta è perciò precisamente la capacità della
cooperativa di inverare il principio personalista, pluralista, lavorista, democratico e di ugualianza1.
Le incertezze codicistiche sul concetto di mutualità non sono state però superate dall'introduzione
nella carta costituzionale del riconoscimento della funzione sociale della cooperazione e pertanto
essendo la Mutualità il presupposto e requisito per il riconoscimento alle coop del diritto alle
agevolazioni fiscali, le norme tributarie hanno assunto per anni un ruolo di “supplenza” alla
normivata civilistica delineando una specifica ed autonoma nozione di mutualità (legge Basevi)
La riforma del codice civile operata dal d.lgs. n. 6 del 17 gennaio 2003 incide sulla disciplina delle
cooperative in maniera decisa innanzitutto riappropriandosi della nozione di “mutalita' prevalente”
1
L.Bagnoli, La funzione sociale della cooperazione. Teorie, esperienze e prospettive. Bari 2010
ed operando inoltre all'interno di questo modello unitario una distinzione tra le coop a mutalità
prevalente e quelle “diverse”.
Tale distinzione è funzionale anche all'applicazione della norma tributaria in quanto le agevolazioni
tributarie spettano unicamente alle cooperative a mutualità prevalente.
Il legislatore fissa inoltre una serie di norme che delineano in modo chiaro criteri e paramentri di
tale distinzione e di tutto ciò che ne consegue.
Va sottolineato inoltre che con la riforma del diritto societario è stato introdotto nel nostro
ordinamento un nuovo modello organizzativo dell'impresa mutualistica: la cooperativa disciplinata
anche dalle norme sulla srl. Propria introduzione di tale modello ha rappresentato, a opinione di
molti, un fattore di spinta propulsiva all'utilizzo della cooperativa quale forma societaria flessibile e
dinamica.
GLI ELEMENTI DISTINTIVI DELLE COOPERATIVE
Dall'analisi delle norme codicistiche, così come riformate dal D.Lgs 6/2003, emergono i punti
fondamentali dell'assetto normativo della società cooperativa e gli elementi distintivi della stessa
rispetto alle società “for profit”.
La società cooperativa è incentrata in particolar modo sui principi di Mutualità, democrazia ed
intergenerazionalità che, secondo la tesi del presente studio, realizzano nel loro insieme, per tutte le
ragioni che esporremo nella seconda parte di questo lavoro, un modello di società
idoneo a
svilupparsi maggiormente nei periodi di crisi economico- finanziaria come l'attuale.
Di seguito proponiamo invece un approfondimento dei principi di Mutualità, democrazia e
intergenerazionalità in quanto propedeutico ad una corretta analisi delle motivazioni per cui le
cooperative si stanno affermando quali soggetti economici maggiormente “resistenti” rispetto alle
società lucrative durante i periodi di crisi economico-finanziaria.
LA MUTUALITA'
L'art 2511 del codice civile sancisce che “ le cooperative sono società a capitale variabile con scopo
mutualistico” e definisce nei successivi articoli criteri e parametri utili a distinguere due tipologie
mutualistiche ossia la Cooperativa a mutualità prevalente e quella a mutualità non prevalente
denominata anche “diversa”.
Dunque tale articolo afferma innanzitutto che tutte le cooperative sono incentrate sul perseguimento
dello scopo mutualistico e le differenzia solo una sua graduazione.
In merito al concetto di mutualità, su cui la dottrina si è lungamente espressa, va innanzitutto
evidenziato che essa si manifesta sia quale carattere interno alla cooperativa sia quale esplicitazione
esterna alla stessa.
La mutualità interna si realizza nel fornire beni e servizi od occasioni di lavoro direttamente ai
membri dell'organizzazione a condizioni più vantaggiose di quelle che otterrebbero dal mercato.
Vi è una fondamentale coincidenza dunque tra i soci della cooperativa e i fruitori dei beni e servizi
prodotti e di conseguenza lo scopo mutualistico si realizza nel soddisfacimento dei bisogni dei soci
stessi.
La realizzazione dello scopo mutualistico si concretizza dunque nel rapporto associativo stesso tra
cooperativa e socio che per tale ragione viene indicato quale “rapporto di scambio mutualistico”.
A scopo esemplificativo si mette in evidenza che nelle cooperative di lavoro la realizzazione dello
scopo mutualistico si concretizza nel soddisfacimento del bisogno lavoro che sia esso di una
maggiore retribuzione rispetto alle condizioni del mercato o più semplicemente nell'opportunità di
trovare lavoro essendo il socio disoccupato o in procinto di perdere il posto di lavoro .
Le cooperative di consumo diversamente dalle precedenti perseguono l'obiettivo di fornire beni ai
soci a condizioni più favorevoli di quelle presenti sul mercato, cioè al prezzo minore possibile
salvaguardando l'aspetto qualitativo dei prodotti e dei servizi.
II vantaggio mutualistico viene generato dal fatto che i soci, per il tramite della cooperativa, fanno
acquisti in comune, ottenendo delle condizioni di acquisto migliori, e la cooperativa vende a loro
stessi prodotti a prezzi più competitivi senza passaggi intermedi.
II minor costo per i soci che acquistano dalla cooperativa, può determinarsi in due distinti modi:
- applicando ai beni acquistati dai soci un prezzo inferiore
- facendo acquistare i beni al prezzo corrente di mercato, ma distribuendo ai soci, a fine esercizio,
un ristorno proporzionato agli acquisti effettuati.
La mutualità esterna, componente delineata anche dall’ Art 45 della costituzione, attribuendo alla
cooperazione una “funzione sociale”, si estrinseca nell'insieme di atti solidalistici proiettati
all'esterno di essa, ossia verso la collettività o particolari categorie di persone.
C'è da sottolineare, che tale carattere di mutualità esterna si realizza prevalentemente nelle
cooperative sociali tantè che l'art. 1 della legge 381/91, che le istituisce, stabilisce che esse hanno
“lo scopo di perseguire l'interesse generale della comunità alla promozione umana ed
all'integrazione sociale dei cittadini....”
Come conseguenza di quanto esposto fino ad ora, l'individuazione dello scopo mutualistico va
ricercato all'interno delle singole realtà cooperative negli elementi essenziali che la compongono ossia:
i soci e i loro requisiti, l'oggetto e la tipologia di attività
svolta concretamente
ed infine
nell'insieme di atti posti in essere da essa stessa verso l'ambiente esterno.
LA MUTUALITA’ PREVALENTE
In merito alla tipologia di cooperativa a mutualità prevalente il codice civile fornisce una
definizione puntuale della stessa nell'art. 25122 ed inoltre individua criteri e parametri e requisiti a
cui riferirsi per la sua individuazione oltre ad una serie di vincoli da rispettare e previsioni
conseguenti alla perdita del requisito della prevalenza.
Dall'analisi delle norme codicistiche si evince che la mutualità prevalente si realizza sia in ambito
oggettivo secondo il criterio della prevalenza che consiste nel rispetto della soglia quantitativa del
2
Sono società cooperative a mutualità prevalente, in ragione del tipo di scambio mutualistico, quelle che:
1) svolgono la loro attività prevalentemente in favore dei soci, consumatori o utenti di beni o servizi;
2) si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, delle prestazioni lavorative dei soci;
3)si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, degli apporti di beni o servizi da parte dei soci.
c.d. 50 per cento (art. 2513 c.c.) , sia sotto il profilo soggettivo attraverso l'inserimento nello statuto
societario delle clausole previste dall'art 2514 c.c.
Di seguito uno schema riassuntivo del criterio della prevalenza (art 2513 c.c.)
in base alle
distinzioni tra le cooperative di consumo e quelle di produzione e lavoro :
TIPOLOGIE
PARAMETRI
1) nelle cooperative di consumo in cui lo
I ricavi delle vendite dei beni e dalle prestazioni di
scopo mutualistico si realizza con cessione
servizi verso i soci devon risultare superiori al 50
di beni e/o servizi ai soci, consumatori o
% del ttale dei ricavi delle vendite e prestazioni ai
utenti
sensi dell'art. 2425, primo comma, punto A1
2) nelle cooperative di lavoro in cui lo
Il costo del lavoro dei soci è superiore al 50% del
Scopo mutualistico consiste nel fornire totale del costo del lavoro di cui all'art. 2425, primo
occasioni di lavoro ai soci
comma punto B9; computate le altre forme di
lavoro inerenti lo scopo mutualistico.
3)nelle coperative di produzione quando lo
il costo della produzione per servizi ricevuti dai
scopo mutualistico si realizza con l'apporto
soci ovvero per beni conferiti dai soci è
di beni e servizi da parte dei soci (soci rispettivamente superiore al cinquanta per cento del
fornitori di beni o servizi)
totale dei costi dei servizi di cui all'articolo 2425,
primo comma, punto B7, ovvero al costo delle
merci o materie prime acquistate o conferite, di cui
all'articolo 2425, primo comma, punto B6.
Nelle cooperative agricole la condizione di
prevalenza sussiste quando la quantità o il valore
dei prodotti conferiti dai soci è superiore al
cinquanta per cento della quantità o del valore
totale dei prodotti.
Quando si realizzano contestualmente più tipi di scambio mutualistico, la condizione di prevalenza
è documentata facendo riferimento alla media ponderata delle percentuali delle lettere precedenti.
Infine va evidenziato che i valori utilizzati per il calcolo dei parametri devono essere comprensivi
dei ristorni attribuiti ai soci.
La prevalenza mutualistica si realizza inoltre, come anticipato sopra, in ambito soggettivo con
l'inserimento delle clausole statutarie di cui all'art 2514 :
Lo statuto sociale deve prevedere :
a) il divieto di distribuire i dividendi in misura superiore all'interesse massimo dei buoni postali
fruttiferi, aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato;
b) il divieto di remunerare gli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai soci cooperatori in
misura superiore a due punti rispetto al limite massimo previsto
c)
il
divieto
di
distribuire
le
riserve
fra
i
per i
soci
dividendi;
cooperatori;
d) l'obbligo di devoluzione, in caso di scioglimento della società, dell'intero patrimonio sociale,
dedotto soltanto il capitale sociale e i dividendi eventualmente maturati, ai fondi mutualistici per la
promozione e lo sviluppo della cooperazione.
Il rispetto di tali previsioni statutarie deve però essere sostanziale e non meramente formale e dunque
trovare riscontro nei fatti di gestione e nella situazione reale della cooperativa.
La perdita della qualifica di cooperativa a mutualità prevalente si realizza quando per due esercizi
consecutivi non sia rispettata la condizione di prevalenza prevista nell'art 2513 o quando siano
modificate le previsioni statutarie di cui all'art. 2514 c.c. di cui sopra.
Gli amministratori, appena accertata la perdita dei requisiti della mutualità prevalente, sentito il
parere del revisore esterno, ove presente, devono redigere il bilancio straordinario al fine di
determinare il valore effettivo dell'attivo patrimoniale da imputare alle riserve indivisibili.
In merito alle conseguenze derivanti dalla perdita dei requisiti soggettivi ed oggettivi di cui sopra e
dunque al passaggio da cooperativa a mutualità prevalente a non prevalente, di certo ciò comporta
l'adozione dell'ordinario sistema fiscale .
Si pongono problemi interpretativi riguardo l'obbligo di devoluzione del patrimonio ai fondi
mutualistici.
A tal proposito occorre tenere presente che il MAP, Direzione generale per gli enti cooperativi, con
nota prot. 1566509/2005.3 ha dichiarato di uniformarsi a quanto sostenuto dalla Commissione
Centrale la quale prevede l'obbligo di devoluzione del patrimonio solo in caso di soppressione delle
clausole di cui all'art 2514 c.c.
3
Nel caso di perdita della prevalenza, ai sensi degli articoli 2512 e 2513 del codice civile , la cooperativa dopo aver redatto il
bilancio ex art. 2545 octies del codice civile , può modificare o sopprimere le clausle di cui all' articolo 2514 del codice senza
devolvere il patrimonio ai fondi mutualistici . Nel caso, invece, di soppressione o modifica delle clausle mutualistiche di cui all'art.
2514 in presenza della prevaslenza di cui agli art. 2512 e 2513 del codice, la cooperativa , dopo aver redatt il bilancio di cui
all'articolo 2545-octies del cdice , devlve ai fndi mutualistici il patrimonio effettivo.
E' da tener presente inoltre che le società cooperative a mutualità prevalente sono tenute
all'iscrizione in un apposito albo tenuto presso il Ministero delle attività produttive, in cui
depositano annualmente i propri bilanci. Oltre a ciò, sono tenute a menzionare nella corrispondenza e
negli atti il numero d'iscrizione all'albo succitato.
PRINCIPIO DI DEMOCRAZIA
Il diritto cooperativo, attraverso una serie di norme, prevede che la cooperativa predisponga una
struttura idonea a permettere una partecipazione paritaria e consapevole dei soci alle vicende sociali
della stessa.
E' questo obbligo di partecipazione alla vita sociale, sostanziale e non solo formale, che caratterizza
la cooperativa come soggetto democratico e la rende meritevole di un trattamento privilegiato. La
democraticità cooperativa rappresenta infatti un valore da tutelare non solo in ambito politico ma
anche in quello economico.
Un aspetto da non sottovalutare è poi sicuramente il fatto che un sistema/organizzazione percepito
come democratico genera spontaneamente motivazione e spinta alla condivisione di risorse ed
obiettivi ed è essenzialmente per tale ragione che la democrazia cooperativa risulta vincente li dove
il sistema capitalistico mostra la sua debolezza .
Il carattere democratico della cooperativa viene regolamentato attraverso alcune previsioni quali
innanzitutto il voto capitario ed il principio della porta aperta, nonché attraverso una serie di
accorgimenti tecnici volti a facilitare la partecipazione personale dei soci alla vita sociale.
Il voto capitario rappresenta certamente un requisito capace di garantire l'eguaglianza dei soci della
cooperativa in quanto prevede che ciascun socio dispone di un voto, indipendentemente dall’entità
della quota di capitale posseduta.
Questa regola può essere derogata parzialmente dallo statuto, che può riservare fin ad un massimo
di cinque voti ai soci cooperatori persone giuridiche, in relazione al numero dei loro soci ed alla
quota di capitale sottoscritta.
Attraverso la regola del voto capitario si favorisce il carattere democratico aperto tipico dell'mpresa
mutualistica che, a differenza della società lucrativa, ha come scopo sociale la partecipazione dei
soci alla vita dell'organizzazione e non solo con i mezzi patrimoniali..
Nella cooperativa non vi è dunque una contrapposizione tra l'imprenditore ed il dipendente tipica
del modello capitalistico ma una realizzazione dei principi di equità e condivisione che spesso
genera un atteggiamento responsabile e propositivo da parte dei soci-lavoratori i quali percepiscono
di lavorare per se stessi e per il raggiungimento dello scopo mutualistico, anziché per
l'arricchimento di un solo individuo /imprenditore.
Il “principio della porta aperta” rappresenta un principio di solidarietà sociale in quanto prevede
che la cooperativa sia concepita quale struttura aperta nella quale possono entrare tutti coloro che
sono portatori dei medesimi bisogni.
Tale principio è fissato in un insieme di norme quali l'art. 2520 c.c. che prevede la variabilità del
capitale nelle cooperative, unitamente all'art. 2518 secondo comma, n.7, che impone la
specificazione nell'atto costitutivo delle condizioni per l'ammissione a soci, e all'art. 2525 c.c.
secondo cui l'ammissione di un socio avviene con deliberazione degli amministratori su domanda
dell'interessato.
In merito alle disposizioni che agevolano la partecipazione personale dei soci e dunque permettono
alla democrazia cooperativa di compiersi ne ricordiamo alcuni:
1) i tetti alle deleghe di voto che si giustificano in base all'assunto che nelle cooperative occorre non
solo garantire la partecipazione diretta del socio, ma anche evitare l'acquisto di posizioni egemoni
ottenute mediante utilizzo di procure;
2) un insieme di materie di spettanza esclusiva dell'assemblea, di modo da costringere gli
amministratori a coinvolgere i soci in alcune scelte (di norma collegate con le gestioni
mutualistiche);
3) una serie di diritti d’informazione e di controllo riconosciuti a singoli soci o a quote minoritarie
degli stessi, in modo da assicurare ai proprietari dell'impresa un esercizio consapevole dei loro
diritti, specialmente quelli di intervento e di voto in assemblea;
6) le assemblee separate.
Gli accorgimenti appena descritti sono quasi tutti contenuti negli artt. 52 ss. del regolamento
comunitario n. 1435/2003 sulla società cooperativa europea (regolamento SCE), a dimostrazione
del fatto che i vari Stati dell'Unione europea riconoscono la crucialità della tutela della democrazia
cooperativa.
L'INTERGENERAZIONALITA'
Le cooperative sono caratterizzate dalla intergenerazionalità che si realizza attraverso l'indivisibilità
del patrimonio ed il reimpiego degli utili nell'impresa stessa.
E' questa sua peculiarità che la qualifica quale patrimonio non solo economico ma anche e
soprattutto di competenze e di valori che si alimenta anche attraverso il ricambio generazionale non
automatico o soggetto al mercato delle quote azionarie ma frutto di scelte consapevoli e volontarie.
In sostanza il vincolo d’indivisibilità del patrimonio ed il reimpiego degli utili nelle cooperative
rafforzano il mutualismo, ridimensionando la loro lucratività rafforzando infine il legame di
interdipendenza con le generazioni future.
Nella cooperativa, quando un socio muore, infatti, la quota sociale viene rimborsata agli eredi, salvo
diverse disposizioni statutarie o testamentarie. In nessun caso, però, può essere trasferita d’ufficio agli
eredi senza che questi non faccia esplicita richiesta di diventare socio e, ad esempio, non scelga
volontariamente di utilizzare il rimborso della quota del defunto per sottoscrivere una nuova azione
cooperativa a proprio nome.
In pratica, la quota sociale non può essere inteso come un bene qualunque ed oggetto di scambio o
soggetto alle prassi delle pratiche ereditarie. L'assunzione della qualità di socio di una cooperativa
scaturisce da una scelta consapevole e volontaria. Si diventa soci perché si condividono determinati
valori e si è interessati al perseguimento dello scopo mutualistico della stessa e si recede da socio
perché si ritiene che siano venute meno queste condizioni. In nessun caso si può vendere la propria
quota sociale a terzi, anche se si dovesse trattare di un atto privo di intenti speculativi4.
L’intergenerazionalità inoltre è anche un valore aggiunto in termini di competitività in quanto
l'obbligo di reinvestire la maggior parte degli utili nell'impresa stessa genera stabilità, innovazione
nonchè opportunità di crescita e lavoro.
4
G. Bonfante et al., Società di capitali e cooperative a confronto, Milano, Ipsoa, 2004.
La cooperativa infine è una forma d’impresa fortemente legata al proprio territorio e siccome il suo
scopo è quello di perpetrare l’attività per cui è stata costituita è necessario che essa si occupi e
preoccupi di coltivare il ricambio generazionale. Infatti, il recesso o la morte dei soci non
adeguatamente compensata da nuove adesioni potrebbe rappresentare la sua fine. Si comprende,
quindi, che la intergenerazionalità è una bella caratteristica, ma ha pure un rovescio della medaglia.
Ossia, le cooperative esisteranno finché ci sarà questo tipo di cultura associativa. Quindi è
fondamentale diffondere la cultura cooperativa nelle nuove generazioni ed in aree , come ad
esempio il mezzogiorno, dove ancora il “ fenomeno cooperativo “ deve essere compreso a pieno. È
certamente una sfida che merita di essere raccolta, perché la cooperazione è un’opportunità pe
affrontare la crisi economico-finanziaria odierna , nonché una scelta etica tutt’altro che banale.
Le Cooperative come strumento per il superamento della crisi di impresa
Le imprese cooperative sono organizzazioni importanti. In tutti i paesi, le cooperative
contribuiscono allo sviluppo economico, sostengono la crescita occupazionale e favoriscono una
più equilibrata redistribuzione della ricchezza. Inoltre, grazie all’impegno materiale e intellettuale
dei cooperatori esse realizzano diverse attività innovative, in particolare con riguardo all’offerta di
nuovi servizi di interesse generale e di prodotti che migliorano la qualità della vita di intere
comunità, anche in settori tecnologici di punta.
Il ruolo e l’importanza delle cooperative sono diventati più evidenti in seguito alla crisi finanziaria
ed economica globale. Nella maggior parte dei paesi, le cooperative hanno risposto alla crisi
meglio delle imprese di capitali. La capacità di ripresa delle cooperative comincia ad essere
riconosciuta, e sia gli opinion maker che i policy maker appaiono oggi più interessati che in
passato a capire il ruolo che le cooperative possono svolgere per affrontare le drammatiche
conseguenze della crisi globale e per riformare il sistema che ha contribuito a generarla.
Ormai è nota la loro funzione anticiclica, in quanto rappresentano un modello che interviene nei
settori economici che l'impresa speculativa reputa di scarsa importanza, creando valore e posti di
lavoro (il fine mutualistico).
Quando un'impresa speculativa é ormai in fase di "debacle" o manca un ricambio generazionale o
carenza di capitali, occorre intervenire per salvaguardare "l'azienda" intesa come l’organizzazione
esistente tra i lavoratori e i mezzi di produzione; in tal caso la cooperativa di produzione o
lavoro (art.2513 Ic. lett.B c.c.), può essere un modello da adottare, coinvolgendo le maestranze
qualificate e con voglia di fare.
In questi momenti di profonda crisi finanziaria il modello cooperativo può essere una soluzione,
oltre ai notevoli risparmi fiscali o previdenziali tipici delle cooperative a mutualità
prevalente. Il piano industriale può essere supportato anche dai fondi TFR o mobilità, una volta
accertata la validità del piano e valutate le opportunità di rientro dell'investimento.
Ovviamente occorre che i lavoratori abbiano la volontà di mettersi in gioco con un cambio di
mentalità da dipendenti a soci: occorre pertanto cercare di coinvolgere le leadership all'interno
dell'azienda (manager, maestranze specializzate).
Alcuni studi sulle cooperative di lavoro in Francia e Spagna, condotti su un arco temporale
alquanto lungo, supportano la tesi che le cooperative nascono più facilmente nelle fasi di crisi
economica, piuttosto che nelle fasi di ascesa del ciclo, rappresentando quindi una risposta dei
lavoratori a difesa dell’occupazione.
Prima di entrare nel merito del caso italiano, si ritiene necessario illustrare alcune caratteristiche
della crescita del movimento cooperativo nel lungo periodo.
In base ai dati censurati dall’Instat, lo sviluppo delle imprese cooperative è nettamente
scomponibile in due periodi: 1951-1971 – 1971-2008.
La stessa temporizzazione si riscontra esaminando i dati sull’occupazione ma, in questo caso, il
peso delle imprese cooperative è ben più consistente: nel primo periodo l’incidenza resta stabile
attorno al 2% dell’occupazione totale, per crescere sino a quota 5,8% nel periodo successivo.
Questi dati sembrano dimostrare che:
a) la crescita delle cooperative coincide con la terziarizzazione dell’economia (a metà anni ’70 il
settore dei servizi incide per il 50% del Pil). Una economia di servizi sembra quindi più atta a
favorire lo sviluppo cooperativo, fenomeno probabilmente imputabile al minor bisogno di capitali
nei servizi rispetto all’industria;
b) il maggior peso delle cooperative in termini di occupazione comporta che la loro dimensione
sia mediamente più grande di quella delle altre imprese. Nel 2001 quelle cooperative
rappresentavano l’1,2% del totale, ma la loro quota si attestava attorno al 10% per le aziende con
oltre 50 addetti ed anche in quelle maggiori, con oltre 1.000 addetti, le cooperative
rappresentavano l’8,8% del totale.
Su un arco temporale più breve, 1999-2009, la nascita di nuove cooperative sembra assecondare il
ciclo economico, almeno fino al 2007, quando di fronte alla forte diminuzione del Pil, la nascita di
nuove cooperative sembra stabilizzarsi.
Concentrando l’attenzione sull’attuale periodo di crisi, alcuni dati congiunturali sembrano
dimostrare che le cooperative presentano una maggiore capacità di resistenza alla crisi rispetto
alle altre imprese, precisando che maggiore resistenza non significa migliore performance.
Gli andamenti trimestrali dei fallimenti mostrano che le fasi di crescita e di discesa sono alquanto
simili fra le cooperative e le altre imprese, ma che i trend sottostanti sono assai diversi: si riscontra
che per le cooperative ha un tasso di crescita minore.
Alcuni dati di fonte Inps relativi alla Cig sembrerebbero confermare l’ipotesi che le cooperative
offrano maggiore resistenza occupazionale rispetto alle altre forme di impresa, anche se il
condizionale resta d’obbligo perché le due serie di dati, occupazione e ore di Cig autorizzate, non
sono omogenee.
Resta comunque il fatto che le ore autorizzate per le cooperative sono il 2,8% del totale contro un
peso occupazionale sicuramente superiore al 6%.
In merito a questa probabile maggiore “resistenza” delle imprese cooperative rispetto al crollo
occupazionale permette di avanzare diverse interpretazioni.
Una prima risposta si potrebbe definire ideologica. Questa ipotesi interpreta l’attuale crisi come
una crisi sistemica del capitalismo, che dovrebbe fare emergere forme alternative di produzione.
Le imprese cooperative sarebbero in primo piano per definire un sistema alternativo, vista la
capacità di tenuta occupazionale che esse dimostrano.
Una seconda ipotesi, che si potrebbe definire autoreferenziale, fa leva sulla diversa governance
che le cooperative presenterebbero, basata su un orientamento che massimizza il benessere totale
di tutti gli stakeholder contro la fallimentare teoria della creazione di valore per gli azionisti, che
avrebbe esasperato comportamenti speculativi di brevissimo periodo.
Per queste due spiegazioni abbiamo sempre usato il condizionale perché esse si basano su
premesse di valore e i suoi sostenitori non hanno apportato significative prove in tal senso.
Una terza ipotesi, che si potrebbe definire congiunturale, fa perno sul fatto che la crisi non ha
colpito in modo uniforme tutti i settori. Recenti dati Unioncamere sul saldo demografico delle
imprese per il 2009 mette in luce come il settore manifatturiero e quello connesso dei trasporti
registrino un saldo netto negativo, mentre quello dei Servizi alle imprese mostri un saldo
fortemente positivo. Le cooperative operando prevalentemente nel settore terziario sarebbero state
meno colpite dalla crisi.
Questi dati possono contribuire a spiegare la situazione attuale, ma non aiutano a capire come, nel
lungo periodo, le cooperative presentino una longevità maggiore delle altre imprese, come
illustrato in un importante studio di Unioncamere.
Infine una quarta ipotesi, che si definisce istituzionale, punta il dito meno su aspetti congiunturali,
ma piuttosto su di una strategia di lungo periodo che ha portato il mondo cooperativo a creare una
rete mutualistica e di reciprocità atta a sostenere il movimento sia nella fase della crescita che
nella fase della recessione.
Le imprese cooperative, per quanto il loro cammino da una visione alternativa ed utopistica
dell’800 si sia spostato verso forme di integrazione nel contesto economico capitalistico, restano
pur sempre strutture “diverse” di imprese sino al punto di essere ancora ideologicamente
avversate, come documentato da H. Hansmann5. Questa “accettazione con riserva” ha spinto il
movimento cooperativo a costruire una rete istituzionale interna quanto mai efficace.
I punti salienti di questo sistema a rete sono:
a) la riserva indivisibile;
b) il sistema consortile;
c) la strumentazione finanziaria, esterna al circuito bancario;
d) l’azione promozionale delle Associazioni di rappresentanza (Legacoop, Confcooperative e
Agci).
La riserva indivisibile è stata la forma di accumulazione che ha permesso alle cooperative di
crescere con costanza nel lungo periodo. Sicuramente questo istituto è stato favorito dal regime
fiscale che ne ha incoraggiato l’utilizzo, fatto che ancora oggi anche autorevoli dirigenti
cooperativi stentano a comprendere quando auspicano un regime analogo per gli utili reinvestiti
dalle società di capitale. Il significato del regime fiscale della riserva indivisibile non è il
5
“La Proprietà dell’impresa”, Il Mulino, Bologna, 2005, pag. 119
reinvestimento, ma l’indisponibilità assoluta da parte dei soci che non potranno più
riappropriarsene.
Il sistema consortile, il cui regime risale al 1909, ha permesso alle cooperative di trovare sinergie
comuni atte a realizzare economie di scala senza la necessità di ricorrere all’istituto della fusione,
che le cooperative mostrano di non apprezzare particolarmente. Questo può dipendere da “giochi
di potere” di gruppi dirigenti, ma anche dalla volontà di mantenere un radicamento sul territorio.
Sicuramente le cooperative hanno assoluta necessità di avviare processi di internazionalizzazione,
ma non potranno mai cedere a ipotesi di delocalizzazione, pena la loro sopravvivenza.
Il terzo istituto è rappresentato dalla rete finanziaria che le cooperative hanno saputo costruire, in
particolare con la nascita dei Fondi mutualistici, istituti con la legge 59/92, secondo la quale ogni
anno le cooperative devono versare ad un fondo ad hoc il 3% degli utili lordi conseguiti.
I Fondi facenti capo alle tre principali Centrali Cooperative (Coopfond, Fondosviluppo, General
Fond) nel periodo 2005-2009 hanno finanziato 310 operazioni, investendo complessivamente
quasi 113 milioni di euro.
Oltre ai Fondi mutualistici, sono da citare la Cfi spa e Cooperfidi Italia; entrambe vedono la
presenza di tutte le tre maggiori Associazioni cooperative. Cfi era nata da una felice intuizione e
collaborazione fra sindacati e cooperative per riavviare imprese private in crisi e trasformarle in
cooperative. Purtroppo questa missione venne abbandonata a causa di un intervento comunitario
che ritenne l’intervento come aiuto di stato contrario alle norme sulla concorrenza. Cfi è riuscita
però a sopravvivere e a svolgere un ruolo importante a sostegno dello sviluppo delle cooperative
di lavoro e sociale.
Il quarto istituto è rappresentato dall’attività che le Centrali cooperative hanno saputo svolgere sia
per promuovere nuove imprese sia per essere punto di riferimento per creare delle coalizioni atte a
sostenere e risolvere le sorti di cooperative in crisi.
In estrema sintesi quindi la cooperazione italiana ha cominciato un processo di forte sviluppo a
partire dagli anni ’70 in concomitanza con la crescita della economia dei servizi ed i processi di
outsourcing.
Nell’ultimo decennio, sino al 2007, la nascita di nuove cooperative è andata in parallelo
all’andamento dal Pil, ma dal 2007, con l’avvento della crisi e la drastica caduta dello stesso Pil, le
cooperative hanno mantenuto un tasso di natalità costante.
I pochi dati disponibili (tassi di fallimento e ore di Cig) sembrerebbero dimostrare che le
cooperative presentano una capacità di tenuta occupazionale superiore alla media (da non
confondere con una capacità di migliori performance). Fra le possibili interpretazioni, a nostro
avviso, questa capacità di resistenza dipende dal quadro istituzionale, basato su una rete ispirata a
principi di solidarietà, mutualità e reciprocità, creata nel tempo.
Questi elementi portano a considerare come verosimile l’ipotesi avanzata da tempo da Bruno
Jossa6 che una società con una maggiore presenza di cooperative di lavoro, l’economia sarebbe
più stabile.
Su quest’ultima osservazione si è mosso il Parlamento Europeo attraverso la relazione sul
“contributo delle cooperative al superamento della crisi”. presentata dalla Commissione per
l'industria, la ricerca e l'energia, discussa e approvata nella seduta del 12 giugno 2013 n. A70222/2013.
In tale relazione si rileva che le cooperative, unitamente alle altre imprese dell'economia sociale,
svolgono un ruolo essenziale nell'economia europea, specie in tempi di crisi, in quanto coniugano
redditività e solidarietà, creano posti di lavoro di alta qualità, rafforzano la coesione sociale,
economica e regionale e generano capitale sociale.
Si osserva che nell'UE le cooperative stanno acquisendo sempre maggiore importanza e che si
contano ca. 160.000 imprese cooperative di proprietà di 123 milioni di soci che danno lavoro a 5,4
milioni di persone; che ca. 50.000 di esse operano nell'industria e nei servizi e occupano 1,4 milioni
di persone; che le cooperative contribuiscono in media per il 5% circa al PIL di ciascuno Stato
membro; inoltre si constata che negli ultimi anni sono state costituite diverse centinaia di imprese
cooperative industriali e di servizi come conseguenza della ristrutturazione delle imprese in crisi
o senza successori, salvando e riqualificando così le attività economiche e i posti di lavoro locali;
Inoltre si osserva che i consorzi di cooperative industriali e di servizi hanno avuto un impatto
fondamentale sullo sviluppo regionale in alcune delle regioni più industrializzate dell'UE e che le
cooperative "sociali", specializzate nell'inserimento nel mondo del lavoro, occupano oltre 30.000
persone svantaggiate e con disabilità nei settori secondario e terziario;
Quanto detto rileva che le cooperative sono divenute un modello per i lavoratori autonomi e le
professioni liberali, un modello che si è sviluppato notevolmente in nuovi settori, ad esempio nei
6
“L’impresa democratica”, Carocci, Roma, 2008.
servizi sociali, sanitari, digitali, di supporto alle imprese e nei servizi di interesse generale
precedentemente erogati dal settore pubblico (ad es. servizi ambientali e gestione delle aree naturali,
istruzione e cultura, produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili);
Le cooperative svolgono un ruolo molto importante nell'UE in termini economici, sociali,
occupazionali e di sviluppo sostenibile, essendo divenute un motore di innovazione sociale - aspetto
cui viene dato grande rilievo sia nella strategia Europa 2020 7 che nell'ambito di Orizzonte 20208 - e
contribuiscono alla realizzazione dell'obiettivo dello sviluppo economico e sociale sostenibile delle
comunità regionali e locali.
Il modello imprenditoriale cooperativo contribuisce a un vero pluralismo economico, rappresenta un
elemento indispensabile della "economia sociale di mercato" ed è pienamente in linea con i valori
del trattato UE e con gli obiettivi della strategia Europa 2020
Si è osservato come molte cooperative si sono dimostrate in tempi di crisi più resilienti delle stesse
imprese tradizionali, in termini sia di tasso di occupazione che di chiusura aziendale e nonostante la
crisi sono state create cooperative in settori nuovi e innovativi e che la loro resilienza può essere
ampiamente dimostrata, in particolare per le banche cooperative e le cooperative industriali e di
servizi (cooperative di lavoro, cooperative sociali e cooperative di PMI). Lo sviluppo dell’utilizzo
delle cooperative come strumento per superare la crisi di impresa si è dimostrato più idoneo a
rispondere alle nuove esigenze e a stimolare la creazione di posti di lavoro rispetto ad altri modelli,
grazie alla loro grande capacità di adattarsi ai cambiamenti e di conservare la propria continuità
operativa nel perseguimento delle finalità istituzionali, anche in situazioni di rischio; Inoltre va
osservato il ruolo strategico delle cooperative di PMI, che possono fornire soluzioni collettive a
problemi comuni e realizzare economie di scala; rileva altresì l'importanza crescente delle
"cooperative di comunità" che consentono, soprattutto nelle zone remote e svantaggiate, la
partecipazione diretta dei cittadini in relazione a diverse esigenze come ad esempio i servizi sociali
e sanitari, quelli scolastici, i servizi commerciali, le comunicazioni, ecc.;
7
Europa 2020 è la strategia decennale per la crescita sviluppata dall'Unione europea. Essa non mira soltanto a uscire dalla crisi che
continua ad affliggere l'economia di molti paesi, ma vuole anche colmare le lacune del nostro modello di crescita e creare le
condizioni
per
un
diverso
tipo
di
sviluppo
economico,
più
intelligente,
sostenibile
e
solidale.
Per dare maggiore concretezza a questo discorso, l'UE si è data cinque obiettivi da realizzare entro la fine del decennio. Riguardano
l'occupazione, l'istruzione, la ricerca e l'innovazione, l'integrazione sociale e la riduzione della povertà, il clima e l'energia.
8
Orizzonte 2020 è un programma di 80 miliardi di euro destinati ad investimenti per la ricerca e l’innovazione.
In un periodo di recessione, come quello che stiamo attraversando, le cooperative possano
promuovere efficacemente l'imprenditoria su scala micro-economica, in quanto consentono ai
piccoli imprenditori - spesso gruppi di cittadini - di assumere responsabilità imprenditoriali.
Lo sviluppo di cooperative nei settori del sociale e del welfare, ha permesso di garantire ai gruppi
più deboli una maggiore partecipazione sociale.
In tale relazione si è anche evidenziato come grazie alla sua decentralità, il modello cooperativo
contribuisce non poco all'attuazione delle priorità per il 2020 stabilite nella direttiva sulle fonti di
energia rinnovabili (2009/28/EC) e al passaggio dall'energia fossile/nucleare a quella rinnovabile; al
riguardo, si sottolinea, che oltre 1.000 cooperative nel campo delle energie rinnovabili (REScoop)
sono state create da cittadini; osserva che le cooperative REScoop consentono ai cittadini di
divenire soci cooperativi di progetti locali e così facendo stimolano gli investimenti in progetti di
energia rinnovabile, il che a sua volta promuove l'accettazione sociale dei nuovi impianti energetici
di questo tipo.
E’ stato osservato come la maggiore resilienza delle cooperative sia in gran parte dovuta al modello
cooperativo di governance, che si basa sulla proprietà congiunta, sulla partecipazione economica e
sul controllo democratico dei soci, sull'organizzazione e direzione a cura dei soci-stakeholder e
sull'impegno verso la comunità; sottolinea che la resilienza si deve anche al metodo per esse tipico
dell'accumulazione di capitale, che è meno dipendente dall'evoluzione dei mercati finanziari ed è
legato sia all'allocazione delle eccedenze a fondi di riserva in parte (se possibile) indivisibili (in
particolare sotto forma di attivi - che rafforzano il movimento cooperativo in generale - al netto dei
pagamenti a fronte di debiti pendenti in caso di liquidazione) sia all'implementazione degli obiettivi
delle imprese, obiettivi che denotano un equilibrio fra finalità sociali ed economiche e l'intento di
migliorarne l'attività e l'operatività; ritiene che tale modello promuova l'esistenza di cooperative
caratterizzate da un approccio intergenerazionale a lungo termine e radicate nell'economica locale,
che aiutino lo sviluppo sostenibile locale ed evitino le delocalizzazioni, anche quando si
internazionalizzano.
Le imprese cooperative sono in grado di soddisfare in modo efficace ed efficiente bisogni nuovi ed
esistenti, in aree come la gestione delle risorse culturali e della creatività e la sostenibilità
ambientale in rapporto a nuovi stili di vita e di consumo; evidenzia che le cooperative hanno messo
in campo anche valori come la tutela della legalità: ne è un esempio l'Italia dove viene loro affidata
la gestione dei beni confiscati alla mafia.
Pertanto, si è ritenuto necessario che le cooperative debbano essere pienamente inserite negli
obiettivi della politica industriale dell'UE e nelle azioni intraprese nell'ambito di quest'ultima, anche
in considerazione del loro fondamentale contributo alle ristrutturazioni industriali in quanto capitolo
essenziale della nuova politica industriale europea;
Le cooperative possono, attraverso la cooperazione, sfruttare economie di scala e condividere
esperienze e migliori prassi nonché, ove necessario, concentrare o trasferire risorse umane e
finanziarie; è persuaso che la flessibilità che le caratterizza consenta loro di autosostenersi anche nei
periodi più difficili.
Nei vari Stati membri si sono osservate molte buone prassi che mostrano gli eccellenti risultati
raggiunti dalle imprese cooperative in termini di crescita, occupazione, tassi di sopravvivenza e
nuove start-up, ad esempio il sistema di "pagamento unico" (pago unico) in Spagna, la legge
Marcora9 in Italia - che consente di finanziare la costituzione di nuove cooperative tramite le
indennità di disoccupazione - le "cooperative di occupazione e impresa" di Francia, Svezia e Belgio.
Inoltre l'attenzione sui gruppi volontari di cooperative, anche di grandi dimensioni, in settori quali
l'industria, l'agricoltura, la distribuzione, la finanza, la R&S e l'istruzione superiore; osserva che la
società cooperativa, ispirata ad esempio alla società fiduciaria britannica (trust company), può anche
rappresentare un efficiente modello di buona governance per le associazioni sportive
professionistiche o semi-professionistiche, favorendo la stretta partecipazione dei principali
interessati – i tifosi – nella gestione dei club (professionistici o meno); invita la Commissione a
esaminare in maniera approfondita tali buone prassi e a valutare l'opportunità di inserirle nel quadro
delle politiche europee a favore delle imprese.
Si è ritenuto significativo il contributo delle cooperative all'economia europea e alla stabilità
occupazionale, soprattutto in tempi di crisi e si è esortato la Commissione a rivalutare il ruolo della
Società Cooperativa Europea (SCE), incoraggiando la creazione di nuove cooperative su scala
europea nonché favorendo il raggruppamento di cooperative nazionali di differenti Stati membri.
Si è osservata la necessità di sviluppare anche il modello delle cooperative di occupazione e
impresa, che permette alle imprese di svilupparsi gradualmente per rispondere alle esigenze dei loro
imprenditori e di evolvere in funzione dell'attività economica svolta.
Un accento importante va dato sul considerevole rischio finanziario che si assumono i lavoratori
9
La legge n. 49/85, «Provvedimenti per il credito alla cooperazione e misure urgenti a salvaguardia dei livelli di
occupazione», meglio nota come Legge Marcora, istituisce, tra l'altro, due Fondi da destinare esclusivamente alle
società cooperative e loro consorzi, ispirate ai principi di mutualità.
quando costituiscono una cooperativa o comunque acquisiscono la proprietà di un'attività
imprenditoriale; osserva che la buona governance, soprattutto in una cooperativa di lavoratori,
dipende in misura significativa dal sostegno alla direzione aziendale da parte dei dipendenti e dalla
vigilanza sulla stessa;
Trasferimenti e trasformazioni di imprese
Si ritiene che il trasferimento di un'impresa ai dipendenti mediante la creazione di una cooperativa e
altre forme di azionariato dei dipendenti possano essere la soluzione migliore per garantire la
continuità aziendale; sottolinea che questo tipo di riconversione, con specifico riferimento alle
cooperative di lavoro e ai worker buy-out, deve essere sostenuto da una specifica linea di bilancio
dell'UE che preveda anche gli opportuni strumenti finanziari; chiede urgentemente la creazione, con
la partecipazione della Banca europea per gli investimenti (BEI), delle parti sociali e degli
stakeholder del movimento cooperativo, di un meccanismo europeo volto a promuovere lo sviluppo
delle cooperative e, in particolare, le riconversioni di imprese in cooperative anche, ad esempio,
attraverso lo strumento dei fondi mutualistici.
Il ricorso ai workerers buy-out per reagire alla crisi economica sta diventando una pratica sempre
più diffusa negli Stati membri
Si è fatto ricorso, la prima volta, all’Istituto del workers buy out (WBO), negli Anni Ottanta, poi a
metà Anni Novanta. Recentemente, casi di workers buy out si verificano in maniera massiccia. La
tecnica di intervento è l’asset sale: la Newco acquista il patrimonio della società bersaglio e non le
sue azioni. L’operazione prevede l’acquisto delle attività legate al business che interessa e la
corresponsione della relativa somma di denaro alla società target, senza procedere alla fusione tra
Newco e target. In questa ipotesi, l’acquisizione può avere ad oggetto sia un singolo ramo
aziendale, sia l’intera azienda. Nel secondo caso, la società cedente dovrà essere, normalmente,
posta in liquidazione10. I dipendenti della società bersaglio costituiscono la Newco che assume la
forma giuridica di società cooperativa. Il capitale è costituito, prevalentemente, attraverso il
versamento di quote di capitale di rischio, l’investimento da parte di investitori istituzionali, di
società finanziarie, di fondi mutualistici. Inoltre, si ricorre all’indebitamento presso banche. Con le
medesime forme di finanziamento, i lavoratori acquistano l’azienda in questione o una parte di essa.
Solo quando la nuova impresa riprenderà a camminare sulle proprie gambe, gli investitori
istituzionali si ritirano, disinvestendo. Il debito contratto nei loro confronti e i relativi interessi
10
“Leveraged
buy-out. Aspetti finanziari giuridici e contrattuali”, Morano A. Ipsoa S.p.A., Milano, 1989, p.13
potranno essere rimborsati attraverso la nuova capacità acquisita dall’azienda di produrre denaro
liquido, oppure, con la vendita di alcuni beni o di alcune quote sul mercato. Lo schema del modello
cooperativo si struttura attorno a una cooperativa che rappresenta una forma di organizzazione di
attività simile a quella di una società privata, nella quale i membri hanno responsabilità limitata.
Una cooperativa è un'organizzazione democratica che riunisce un gruppo di persone per lavorare
per un obiettivo comune e fornisce una base per il raggiungimento reciproco delle esigenze
economiche e sociali, che potrebbero non essere disponibili per l'individuo nel settore privato o
pubblico.
La formula cooperativa si adatta alle nuove imprese (Newco) che generalmente sono piccole e
medie imprese ed è relativamente meno complessa e costosa da gestire rispetto le altre forme di
società. In Italia, negli ultimi tre anni, questa tipologia di buy-out è utilizzata in modo considerevole
a causa della crisi economica che tuttora sta colpendo duramente il tessuto imprenditoriale italiano.
La situazione patologica conduce le piccole e medie imprese private, in particolare, quelle
caratterizzate da cattiva gestione, da sottocapitalizzazione, da mancanza di tempismo nel
ridimensionamento strutturale e nel cambiamento del modello di business alla chiusura. Altri motivi
di fallimento sono riconducibili al calo degli ordini, ai ritardi nei pagamenti e, infine, alla stretta
creditizia da parte delle banche.
La contrazione dell’offerta di liquidità o credit crunch è conseguenza diretta della crisi finanziaria
scoppiata nel 2007, dalla quale si è diffuso un clima di sfiducia nel sistema bancario. Le banche
operano una selezione attenta nel valutare il rischio di credito e nella conseguente concessione di
prestiti, attuando un preciso meccanismo di selezione. Il sistema bancario valuta l’opportunità di
indirizzare gli impieghi su assets diversi e questi cambiamenti influenzano le politiche di
finanziamento delle imprese.
Gli istituti creditizi finanziano le piccole e medie imprese sulla base di un indice di solidità, cioè
hanno accesso facilitato ai finanziamenti quelle imprese solide dal punto di vista economicofinanziario, con buon rating e pochi debiti, diversamente da quanto accade per le società vulnerabili
e caratterizzate da un’attività ad alto rischio.
La crisi economica, che continua a mordere duramente l’economia italiana, ha richiesto un elevato
costo del risanamento del Paese che colpisce il potere d’acquisto degli italiani e, prevede gravosi
inasprimenti fiscali, anche per le imprese. Il 2012 è stato l’anno della recessione e il 2013 sarà
quello di stazionarietà, di stagnazione. Le politiche di sviluppo non potranno limitarsi alle sole
liberalizzazioni, ma richiederebbero investimenti sulle infrastrutture fisiche, sociali e tecnologiche
del Paese. La mancata crescita ha lasciato segni evidenti in termini occupazionali (11,1% il tasso di
disoccupazione in Italia secondo l’Istat). In questo contesto, i dati relativi al numero dei fallimenti
di società sono preoccupanti e misurano la situazione drammatica che si è creata negli ultimi anni.
L’aumento dei fallimenti è registrato soprattutto per le società di capitali, mentre le procedure
aperte da società di persone o da altre forme giuridiche risultano in calo11. Le principali vittime di
tale crisi economica sono i dipendenti. Per salvare il posto di lavoro, essi intraprendono il percorso
del workers buy out. Una soluzione possibile è rilevare l’azienda in difficoltà che, secondo loro, può
essere rimessa in condizione di funzionare e avere buone possibilità di successo.
Queste imprese ad alta intensità di lavoro possono reggere in alcuni settori perché il loro obiettivo
non è la massimizzazione del profitto del capitale investito, ma è una redditività del capitale
investito che si misura in un posto di lavoro sicuro, in uno stipendio certo e in reddito da reinvestire
in innovazione e miglioramento dell’azienda. In questi casi, il modello cooperativo sembra essere
più capace a reggere situazioni di crisi, problemi di gestione industriale e registra un vantaggio
rispetto al modello capitalistico.
Negli ultimi 36 mesi sono nate almeno una cinquantina di nuove cooperative, grazie alla diversa
strumentazione del movimento cooperativo, alla struttura sindacale e alla Commissione nazionale
per la promozione di cooperative. Gli enti menzionati intervengono per presidiare le problematiche
legislative, procedurali e finanziarie legate ai problemi della promozione e in particolare alla
trasformazione di aziende in crisi in nuove cooperative.
E’ possibile salvarsi dalla crisi economica, che produce licenziamenti, disoccupazione e un alto
numero di chiusure aziendali, grazie al contributo offerto da parte degli stessi lavoratori coinvolti
nella situazione di emergenza. Non si tratta di una risposta teorica o improvvisata, bensì di una
soluzione concreta e regolamentata dalla legge italiana.
L'Associazione Nazionale delle cooperative di produzione e lavoro (ANCPL) con la centrale
cooperativa, Lega nazionale delle cooperative e mutue (Legacoop), ha promosso quest’alternativa
per non perdere le competenze, idee, esperienze pluridecennali e professionalità essenziali alla
continuazione dell'attività. Le piccole e medie imprese italiane ricorrono agli ammortizzatori sociali
per conservare la manodopera e per dare continuità all’attività produttiva investendo e rischiando
11
“Osservatorio trimestrale sulla crisi di impresa”, Cerved Group, Primo trimestre 2012
direttamente i loro fondi12. Il workers buy out si realizza grazie alla determinazione e alle capacità
degli ex dipendenti, oggi soci, e al sostegno dell’universo cooperativo 13. Con ciclo economico
negativo, i casi di acquisto della società da parte dei dipendenti, collegati alla liquidazione o al
fallimento della stessa, sono aumentati negli ultimi tre anni. In Italia, il WBO è un processo che
viene avviato in extremis, ovvero quando l’azienda è sull’orlo del tracollo, o la proprietà è decisa a
dismettere gli impianti. Si potrebbe allora pensare che i workers buyout siano iniziative dettate dalla
disperazione dei dipendenti che alla chiusura, e quindi al licenziamento, preferiscono giocare la
carta dell’autogestione (e dell’autofinanziamento), rischiando capitale proprio.
Con la diffusione della cultura legata a questo strumento e la collaborazione del sistema cooperativo
con gli istituti di credito disposti a sostenere un nuovo modello imprenditoriale, il workers buyout
potrebbe diventare la soluzione perfetta per attenuare le conseguenze negative derivanti dalla
chiusura di aziende e dal licenziamento dei lavoratori.
Gli obiettivi comuni sono preservare posti di lavoro dei dipendenti e di generare un reddito
aggiuntivo per i soci di utili di condivisione. Con particolare riferimento al contesto italiano,
s’intende chiarire anche le agevolazioni dal punto di vista normativo e finanziario.
Pertanto si rileva il ruolo attivo delle cooperative sociali nelle ristrutturazioni delle PMI, in
particolare attraverso gli "spin-off sociali", che favoriscono l'integrazione dei lavoratori definibili
come svantaggiati e in situazione occupazionale critica, rafforzando, attraverso la solidarietà, la
capacità di rispondere alla domanda sociale.
Infine si osserva che molto spesso il problema riscontrato nei trasferimenti di imprese ai dipendenti
non riguarda solo la durata dei relativi iter ma anche e soprattutto la scarsa conoscenza di tale
scenario aziendale tra i professionisti del settore (per esempio avvocati e commercialisti) e nel
mondo legale e scolastico; sottolinea che la formazione e la sensibilizzazione di tutti gli attori
coinvolti nella creazione o nel trasferimento della proprietà delle imprese ai dipendenti
contribuirebbero in modo significativo alla promozione di tale pratica; raccomanda pertanto che la
forma cooperativa d'impresa sia definitivamente ricompresa nei curriculum delle università e delle
scuole di management; ritiene inoltre necessario promuovere una migliore conoscenza delle
cooperative - sostenendo finanziariamente le riconversioni di imprese in cooperative di dipendenti
12
“Workers buy-out, quando i dipendenti possono salvare l'impresa. Proposta di Ancpl-Legacoop per dare continuità
alle attività imprenditoriali «familiari» messe in discussione dal passaggio di testimone alle nuove generazioni”,
Campesato G. in Nazionale, 5 Maggio 2002, p.15.
13 Da impresa a coop, così i dipendenti salvano la ditta, C. Bologni , La Repubblica, 21 gennaio 2011, di J. Storni, La
riscossa dei presidenti… operai, Corriere Fiorentino, 20 maggio 2011 e di A. Sgobba, Storie finite bene, quando i
lavoratori si salvano comprando la fabbrica, Linkiesta, 30 giugno 2011
anche attraverso un uso mirato e intelligente dei fondi strutturali - svolgendo un'opera in tal senso
presso i sindacati e gli organismi incaricati di fornire informazioni sulla creazione o il trasferimento
di imprese; sottolinea le competenze acquisite in materia di creazione e riconversione di imprese in
cooperative da parte delle federazioni cooperative di alcuni Stati membri.
La trasformazione delle imprese in crisi in cooperative economicamente sostenibili richiede una
diagnosi accurata e precoce.
Il futuro riserva grandi sfide per le cooperative. La crisi globale non solo ha dimostrato che le
cooperative possono essere più resilienti delle imprese di proprietà degli investitori, ma hanno
anche messo in luce i limiti del modello predominante di organizzazione economica, centrato
sull’azione di due soli topi di istituzioni: le imprese for-profit coordinate dal mercato e le
organizzazioni pubbliche basate sul principio di autorità.
La crisi ha confermato l’incapacità delle imprese for-profit di assicurare, da sole, il massimo
benessere, in particolare quando gli scambi non sono in grado di recare vantaggi a entrambe le parti
di ogni transazione.
La consapevolezza dei limiti di un’organizzazione economica che sopravvaluta i comportamenti
concorrenziali ed egoistici sta già portando molti operatori ad adottare pratiche di responsabilità e
strategie di gestione innovative, che enfatizzano anche fra le imprese for-profit il meccanismo della
cooperazione.
Non sorprende, quindi, che un numero crescente di osservatori consideri l’espansione della varie
forme di cooperazione come una possibile via di uscita dalla crisi. Di conseguenza , si aprono nuove
opportunità di sviluppo per modelli sia tradizionali che innovativi di cooperazione.