Tariffa R.O.C.: Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale
D.L. 353 / 2003 (conv. in L. 27 / 02 /2004 n°46) art.1 comma 1, DCB Genova
TGE22704_GiornaleN°16
5-05-2004
15:42
Pagina 1
soci fondatori
COMUNE DI GENOVA
PROVINCIA DI GENOVA
REGIONE LIGURIA
socio sostenitore
maggio / giugno duemilaquattro numero sedici
partner della stagione
L’alchimista
Candido
Intervento di Michele
Serra e Giovanna Zucconi
Intervista a Jurij Ferrini
Conversazione con Andrea
Liberovici e Aldo Nove
Mises en espace
Esercitazione su Aiace
pagina 4
Saggio Scuola
pagina 8
pagina 3
pagina 2
Teatro in Germania
Articolo Andreas Beck
pagina 6
I mestieri del teatro
I macchinisti: Maurizio
Taverna e Angelo Palladino
pagina 7
Due celebri testi rivisitati con uno sguardo sul contemporaneo da autori e registi giovani
Il mondo d’oggi secondo i classici
J U R I J F E R R I N I M E T T E I N S C E N A “ L’ A L C H I M I S T A ”
ANDREA LIBEROVICI E ALDO NOVE TRASFORMANO
D I B E N J O N S O N N E L L’ A D AT TA M E N T O D I M I C H E L E S E R R A
I L “ C A N D I D O ” D I V O LTA I R E I N U N “ S O A P O P E R A M U S I C A L ”
La stagione dello Stabile s’avvia alla conclusione con la messa
in scena di due testi classici rivisitati da giovani registi con la
collaborazione di autori contemporanei sempre molto attenti a
cogliere nel presente i fermenti del futuro. Il primo a debuttare - dal 4 al 20 maggio alla Corte - è L’alchimista di Ben Jonson,
adattato da Michele Serra sulla base della nuova traduzione di
Giovanna Zucconi. La regia è di Jurij Ferrini, il quale ne è
anche interprete al fianco di Eros Pagni, Frédérique Loliée e di
un affiatato gruppo di attori composto da Sarah Biacchi, Silvio
Laviano, Mimmo Mignemi, Andrea Nicolini, Aldo Ottobrino,
Marco Sciaccaluga, Federico Vanni, Marco Zanutto, Antonio
Zavatteri. La scena e i costumi sono di Valeria Manari, le luci
di Sandro Sussi e la fonica di Claudio Torlai. Da martedì 18
maggio al 6 giugno, va quindi in scena al Duse la novità assoluta Candido - Soap opera musical che Andrea Liberovici e
Aldo Nove hanno scritto ispirandosi molto liberamente al capolavoro di Voltaire. Regia e musica di Liberovici con Ivan Castiglione, Caterina Guzzanti, Fabrizio Matteini e Tea Sammarti
interpreti dal vivo, mentre numerosi altri (tra cui Gianfranco
Funari nel ruolo di Pangloss) intervengono attraverso immagini video e voci registrate. Direzione musicale di Gloria Clemente (in scena con i musicisti Pietro Sinigaglia, Davide L’Abbate, Roberto Fatticcioni, Francesco Carpena); scena di Paolo
Giacchero; costumi di Silvia Aymonino e luci di Sandro Sussi.
Nuovi attori
alla prova
Un musical con Voltaire Allegro cinismo
«Il grande fascino di Voltaire, e in modo particolare
del suo Candido, sta nella
capacità di scandalizzarsi
di quanto sta succedendo e,
di conseguenza, nel saper
mettere in ridicolo, con divertente ironia, le caratteristiche e le contraddizioni
del proprio tempo» osserva
Aldo Nove con il pieno consenso di Andrea Liberovici,
Voltaire
insieme al quale proprio al
celebre romanzo di Voltaire
si sono ispirati per scrivere
il Candido in forma di “soap
opera musical”, che è in scena al Teatro Duse dal 18
maggio al 6 giugno, per la
produzione del Teatro Stabile di Genova, con il contributo del Comitato per Genova 2004.
(segue a pag. 3)
Un allegro, strepitoso cinismo.
Questo è il segreto dell’Alchimista di Ben Jonson, apologia della truffa come necessità
sociale, cinque atti di pura,
deplorevole complicità tra i
beffati e la beffa... Il ciarlatano
Subtle e il suo scudiero Face,
nei rari momenti di “dibattito”
che la loro febbrile trama di
imbrogli consente, riescono a
spacciarsi, in cuor loro, per benefattori. Vendono sogni di sesso e denaro, di potere e seduzione sociale, a una metropoli
ingrigita dall’anonimato e dalla fatica di campare, metafora
perfetta di tutte le metropoli e
di tutti gli anonimati di là da
venire. È la Londra del Seicento, ma per farla assomigliare
definitivamente ai nostri luo-
Ben Jonson
ghi di pena e di illusione, forse
manca solamente la televisione... Oh, che cosa avrebbero potuto combinare, l’alchimista
Subtle e il suo compare Face,
se avessero potuto disporre con
qualche secolo d’anticipo di
quel fantastico alambicco che è
la comunicazione di massa...
Michele Serra e Giovanna Zucconi
(segue a pag. 2)
Candido e il Festival di Teatro
Europeo per “Genova 2004”
Candido - Soap opera musical nasce con il contributo del Comitato per
Genova 2004, nell’ambito delle manifestazioni per Genova Capitale
Europea della Cultura che a ottobre e novembre vedranno ancora una
volta in prima fila lo Stabile di Genova con il già annunciato Festival
di Teatro Europeo comprendente la produzione di La Centaura di
Andreini, con Mariangela Melato e la regia di Ronconi, e l’ospitalità
di Il giardino dei ciliegi messo in scena dal francese Georges Lavaudant, del nuovo spettacolo di Pina Bausch (Kontakthof mit Damen
und Herren ab 65) e di Hamletas del lituano Eimuntas Nekrosius.
Un classico del teatro di tutti i
tempi (Aiace di Sofocle), tre opere di autori contemporanei mai
rappresentate in Italia (Strade
/ Corridoi di Sonia Arienta; La
riga nei capelli di William Holden di José Sanchís Sinisterra;
Eden di Eugene O’Brien), il dittico di uno degli autori mitteleuropei più significativi del Novecento: Kasimir e Karoline e
Fede, speranza e carità, uniti
sotto il comune titolo Monaco
‘32 con riferimento al luogo e
alla data in cui furono scritti dal
fiumano Ödön von Horváth
(1901 - 1938). A fianco dei due
spettacoli di produzione in cartellone alla Corte (L’alchimista)
e al Duse (Candido) l’ultimo
scorcio di stagione del Teatro
Stabile di Genova propone un
ricco ventaglio di nuove produzioni rivolte soprattutto a un
pubblico curioso del nuovo e
articolate nella forma della
“esercitazione” (Aiace) o delle
“mises en espace” (il trittico contemporaneo) o del “saggio” della
Scuola di Recitazione (von
Horváth). Caratteristica comune di queste rappresentazioni,
alle quali lo Stabile genovese
dedica da anni particolare attenzione, cura e impegno produttivo (anche al fine di favorire
la partecipazione dei giovani, gli
spettacoli sono proposti con
ingresso libero), è la loro dimensione di ricerca e di laboratorio
sperimentale. Messa alla prova
di nuovi testi per quanto riguarda le “mises”, ma anche preziosa occasione di sperimentare
nuovi registi e nuovi attori (nel
caso del “saggio” ancor prima
del diploma), sovente mescolando le generazioni e le competenze professionali, nella convinzione che proprio da questo travaso di esperienze il teatro (e non
solo quello genovese) possa trovare linfa vitale per guardare
con ottimismo al proprio futuro.
In alto: Jurij Ferrini, Eros Pagni e
Frédérique Loliée durante le prove di
L’alchimista. Sotto: Andrea Liberovici
con gli attori e i musicisti durante le
prove di Candido. (Foto: Bepi Caroli).
TGE22704_GiornaleN°16
2
5-05-2004
15:43
Pagina 2
L’alchimista
al Teatro della Corte
Rappresentato per la prima volta nel 1610,
“L’alchimista” è considerato da molti il capolavoro del drammaturgo post-elisabettiano
Ben Jonson (1572-1637). Con reminescenza
dell’antico teatro di Plauto, vi si racconta di
come, approfittando dell’assenza del padrone
fuggito da Londra a causa della peste, un
servo introduca nella di lui casa un lestofante con la sua compagna e, insieme a loro, usi
la dimora per attirarvi i gonzi cui il sedicente
alchimista promette la pietra filosofale: vale
a dire la soddisfazione di tutti i loro desideri.
In una situazione drammaturgica fortemente
connotata dalla comicità e dal proverbiale
virtuosismo verbale di Ben Jonson, i truffatori hanno modo di imbrogliare una ridicola
teoria di borghesi in cerca delle cose più
assurde: un cavaliere avido e lascivo, due
puritani poco ortodossi, un giovane attaccabrighe che spera in un buon partito per la
sorella; e così via, in un continuo intrecciarsi
di truffe e di truffati. Ciò che ne sortisce è una
travolgente girandola di episodi incastrati
con geometrica e ritmica perfezione, un affresco dedicato alla materialistica ansia di consumo e di successo nella Londra del primo
Seicento, che non casualmente assomiglia
tanto da vicino alla società in cui viviamo.
Allegro cinismo
«Ben vi sta, così imparate a farvi abbindolare»
(segue da pag. 1)
Pubblicitari ante-litteram,
pionieri del marketing, sono
costretti, in mancanza di ciò
che verrà, a ricorrere alla
pura parola per abbindolare il
loro target: gente disposta a
qualunque cosa pur di arraffare una fetta di identità, pur
di indossare una maschera
gratificante... ma che parole
immaginifiche, che straordinario tessuto di frottole, che
rilucente specchio delle vanità, quello che il vecchio Ben
Jonson ha saputo allestire
grazie alla sua coppia di verbosi delinquenti...
Giovanna Zucconi ha tradotto, Michele Serra riadattato
questo ilare dramma della
stupidità umana. Le due traduzioni note, oramai vecchie
di decenni, testimoniano di
quanti orpelli la lingua italiana si sia liberata in così poco
tempo. Giovanna Zucconi ha
cercato di restituire a truffatori e truffati un linguaggio
meno aulico, più quotidiano,
più confacente allo spirito
gaglioffo e volgare che aleggia
attorno alla casa dell’alchimista. E, soprattutto, ha riesumato, da Ben Jonson, l’incredibile quantità di doppi sensi,
la sfrontata trivialità, il sessismo travolgente, con un lavoro di vero e proprio restauro
dei colori originali del testo,
che erano e (così speriamo)
sono tornati vividi e impudenti. Michele Serra ha cercato di ridurre la smisurata
ripetitività di situazioni e dialoghi, che nel teatro elisabettiano, ricordiamo, non avevano urgenze di ritmo e di sintesi: in teatro si stazionava
per ore, si mangiava e ci si
ritrovava, spesso le ripetizioni erano veri e propri “riassunti delle precedenti puntate” per un pubblico non sempre attentissimo.
Accorciato, mondato delle
molte allusioni a minute
situazioni politiche della
Londra del tempo (satira politica ormai illeggibile, venendo a mancare ogni riferimento al bersaglio), valorizzato
nella sua potente e modernissima natura comica (la manipolazione delle coscienze, la
pubblica buonafede carpita
sono, quattrocento anni dopo,
di impressionante attualità),
questo testo è un viaggio beffardo nella vanità sociale,
nella vulnerabilità estrema di
ogni pubblico di massa, disposto a credere qualunque cosa,
anche la più inverosimile,
purché lo si gratifichi di qualche residua speranza.
Soprattutto, il suo autore ha
saputo resistere alla tentazione di ogni possibile chiosa
moralistica, e l’happy end è
quanto di più cinicamente
maggio / giugno 2004
Sopra: La scena di L’alchimista durante le prove. Sotto: Antonio Zavatteri, Federico Vanni e Andrea Nicolini
immorale si possa concepire.
Un gigantesco “ben vi sta,
così imparate a farvi abbindolare”, che chiude con gelido
umorismo il cerchio della
truffa. Traduttrice e adattatore hanno cercato di rispettare
nel profondo questa intenzione di Ben Jonson, che lasciò
al pubblico il compito di giudicare se fossero più colpevoli
i plagiatori o i plagiati. Si
sono molto divertiti nel lavoro
(non facile) di rianimazione
del testo e dei personaggi,
sepolti dal tempo. I personaggi li hanno molto aiutati: non
aspettavano altro, non desideravano altro che ricominciare a imbrogliare, a imbrogliarsi, a rivivere la comica,
patetica gara di una vita
senza remore, ognuno con
l’intenzione di divorare ingordamente, imprudentemente
la propria illusione. Di abboccare felice al proprio amo, e
farsene rovinare.
Michele Serra
Giovanna Zucconi
Nella trappola del nostro scontento
Conversazione con Jurij Ferrini: «Un’idea moderna di alchimia»
Perché mettere in scena L’alchimista, oggi?
Da tempo giravo intorno all’idea di portare sul palcoscenico questa commedia così ricca
di riferimenti alla realtà contemporanea. Avevo però bisogno di un autore che, facendone un adattamento, liberasse
L’alchimista dalle incrostazioni del suo tempo e sapesse
compiutamente restituirne
l’universalità; offrendo la possibilità di leggere la commedia secondo la prospettiva di
un’idea moderna di alchimia.
Come hai lavorato con Michele
Serra?
Soprattutto confrontandoci a
fondo su quello che è stato il
problema centrale del suo
adattamento: come tradurre
il rinascimentale linguaggio
alchemico di Ben Jonson in
forme capaci di parlare anche
all’uomo di oggi.
Avete fatto molti cambiamenti
rispetto al testo originale?
Si è trattato più di un lavoro di
sintesi che di stravolgimento.
Il testo di Ben Jonson è rimasto, infatti, complessivamente
lo stesso per quanto riguarda
la definizione dei personaggi e
la struttura narrativa; mentre
abbastanza drastici sono stati
Aldo Ottobrino, Jurij Ferrini e Eros Pagni
gli interventi sul linguaggio.
La constatazione da cui siamo
partiti è che l’alchimia c’entra
in fin dei conti ben poco con
L’alchimista. Ciò che si racconta nella commedia è una
storia di truffatori e di truffati, non di maghi o di alchimisti. Certo, quei truffatori per
riuscire meglio nella loro impresa usano un linguaggio un
po’ ipnotico, che Ben Jonson
tende a far corrispondere a
quello forbito e in apparenza
competente dell’alchimia, ma
che oggi ci è sembrato corrispondere soprattutto a quello
della propaganda, merceologica o politica che sia.
La modifica del punto di vista
sulla commedia vi ha indotto
a cambiarne anche l’ambientazione?
Lo spazio è diventato più
astratto, mentre la scenografia e i costumi di Valeria Manari alludono a un’epoca vagamente ottocentesca, ma l’obiettivo non è mai stato quello
di un aggiornamento ambientale o figurativo, quanto
piuttosto quello di creare un
mondo metaforico, essenzialmente allusivo, in cui gli originali riferimenti all’alchimia si
aprissero verso espliciti riferimenti alla realtà contemporanea, senza per questo preten-
dere di combaciarvi direttamente.
Che rapporto c’è tra alchimia,
lavoro in serie e propaganda?
Il comune denominatore è
dato dall’idea di sintesi: sintetizzare la materia per creare la
pietra filosofale, concentrare il
processo di lavorazione, usare
lo slogan per indurre un bisogno e insieme illudere della
sua immediata soddisfazione.
Eppure i tre truffatori protagonisti di L’alchimista sono
simpatici.
È vero: fanno ridere. Durante
le prove ci siamo posti continuamente il problema di come
far ridere senza rinunciare
all’anima nera, alla violenza
che c’è sotto le parole e i comportamenti di quei personaggi. Il nostro sforzo è stato
quello di trasmetterlo, questo
orrore, senza rinunciare alla
comicità; anzi, proprio attraverso di questa.
Vediamoli un po’ più da vicino, questi truffatori.
Sono due uomini e una donna,
e gli uomini appartengono a
generazioni diverse. Dol è la
donna che vende il proprio
corpo al fine di far dimenticare al cliente quello che sta
comperando; ma il vero con-
flitto è tra Subtle e Face.
Questo è molto più spregiudicato di quello. In fin dei conti,
Subtle, come molti di coloro
che usano il linguaggio della
propaganda, crede a quello
che fa o, almeno, è un truffatore che ha bisogno di raccontare bugie innanzitutto a se
stesso per poter continuare a
lavorare; mentre Face è un
vero criminale: rude, volgare,
spregiudicato e ignorante. Se
invece di essere truffatori fossero mafiosi, Face apparterrebbe alla nuova cupola,
Subtle alla generazione di chi
non si riconosce più in quel
agire solo violento e senza
giustificazioni morali. Di
fronte a questi truffatori, si
erge una schiera di personaggi che rappresentano le vittime, ma che spesso sembrano
essere complici dei loro carnefici. Involontariamente, però.
Nello stesso modo in cui tutti
noi siamo complici di un sistema costruito sulla propaganda, che finiamo per accettare
come un dato di fatto. Mi piacerebbe che dal nostro spettacolo risultasse evidente anche
la volontà di snidare questo
tipo di meccanismo sociale.
a cura di Aldo Viganò
TGE22704_GiornaleN°16
3
5-05-2004
15:43
Pagina 3
Candido
al Teatro Duse
Apologo, fiaba filosofica o racconto d’avventura, il “Candido” di Voltaire ha avuto nel corso
dei secoli le più disparate interpretazioni, ma
sempre tese a sottolineare la grande forza
comunicativa della sua ironia e la costante
attualità del suo assunto narrativo. Scacciato
dal castello del suo benefattore per aver ruba-
to un bacio alla di lui figlia Cunegonda, il giovane Candido impara a proprie spese la differenza tra la teoria e la vita, tra gli ottimistici
insegnamenti del suo maestro, il filosofo
Pangloss, e la realtà del mondo. Un viaggio
pedagogico il suo, che nel libero adattamento
in forma di “soap opera musical” di Andrea
Liberovici e Aldo Nove si articola nella forma e
nella struttura di un travolgente viaggio virtuale, con un debuttante nell’esistenza, Candido
appunto, guidato alla scoperta del mondo e di
se stesso dal fallimento dei modelli propostigli
da un novello Pangloss, maestro di una molto
contemporanea via al successo individuale e
sociale, che si propone nell’aspetto attualissimo e materialisticamente concreto del venditore merceologico o televisivo. “Candido o del
viaggio”, dunque. La via di una personale esperienza teatrale, caratterizzata da un linguaggio
scenico che mescola ricerca e tradizione
in un apparato visivo e sonoro multimediale.
UN MUSICAL CON VOLTAIRE
Candido venditore del Nulla nella novità di Andrea Liberovici e Aldo Nove
(segue da pag. 1)
«Il mondo di valori cui faceva
riferimento Voltaire - prosegue Aldo Nove, di cui è appena uscito da Einaudi l’ultima
fatica letteraria: La più grande balena morta della Lombardia - quello della borghesia trionfante, oggi è in crisi o
non esiste più, ma la sua
capacità di guardare alla cronaca con uno sguardo insieme etico e distaccato è sempre di grande attualità.
Sapersi scandalizzare è una
funzione fondamentale dello
scrittore in tutti i tempi, e
proprio da questo siamo partiti con Andrea: riflettere sul
contemporaneo e cercare di
capire, interpretare e non subire, proporre la letteratura e
il teatro come ambiti di resistenza». Da qui, l’idea di raccontare il viaggio di Candido
in un mondo virtuale, stracarico di informazioni, merci e
spettacolo. «Come quello del
Candido di Voltaire, il nostro
protagonista è un ingenuo
adepto della principale filosofia del proprio tempo, che non
è certo più quella teologica
del leibniziano “migliore dei
mondi possibili”, ma quella
molto più materialistica dell’economia», osserva Nove.
E Liberovici specifica: «I nostri Candido e Cacambo sono
due venditori di un prodotto
chiamato “il Nulla” che compiono un viaggio da fermi,
ma dentro a un luogo preciso
quale è un teatro: cioè, in
uno spazio molto concreto,
forse metafora del mondo occidentale, popolato di tante
immagini proiettate, e proprio per questo private di
corpo e ripulite, eco di una
realtà diventata ormai astratta». Con Voltaire come
punto di riferimento, Andrea
Liberovici e Aldo Nove hanno
così scritto insieme («Impossibile oggi distinguere chi è il
padre o la madre delle singole scene o delle specifiche
soluzioni narrative») un testo
che è nato, dopo una fuggevole collaborazione nell’ambito
dell’iniziativa del teatro nei
Musei (li aveva presentati
Edoardo Sanguineti) e nel
corso di lunghi viaggi in giro
per l’Italia e all’estero, come
sintesi di un rapporto tra letteratura, musica e teatro,
sullo sfondo molto concreto
della realtà contemporanea.
Come avete lavorato insieme? «La cosa particolarmente interessante» risponde
Aldo Nove «è stato l’incontro
tra esperienze linguistiche
molto diverse. Un incontro
molto stimolante per me,
anche ricco di conflitti e di
ricerche di mediazioni, come
quello tra pentagramma e
metrica». «Quando vedevo
una scena o avevo in testa
una musica, la raccontavo ad
Aldo» aggiunge Liberovici «e
maggio / giugno 2004
Sopra: Aldo Nove e Andrea Liberovici durante le prove con gli attori di CandidoSoap opera musical: da sinistra Tea Sammarti, Fabrizio Matteini, Ivan Castiglione
e Caterina Guzzanti. Sotto: Andrea Liberovici e Aldo Nove.
lui la traduceva nel suo linguaggio: cioè, in un’altra visione che stimolava in me
nuove proposte, in un continuo gioco di rimandi. Anche
per me si è trattato di un’esperienza affascinante, in
fondo alla quale ci sono stati
dei personaggi che diventano
musica e della musica che
diventa personaggio. Credo
che questo testo e questo spettacolo corrispondano molto
bene alla mia idea di musical
e di racconto teatrale». Una
musica pensata e scritta in
stretto rapporto con i caratteri dei personaggi, come tiene
a sottolineare Liberovici:
«Nella nostra immaginazione
Candido e Cacambo sono due
personaggi che vivono di miti
televisivi e sonori, la loro cultura si alimenta soprattutto
di musica pop che per l’estroso Cacambo si esprime in
prevalenza nei ritmi del rock,
mentre nel sentimentale
Candido si apre verso solu-
zioni melodiche, soprattutto
nei momenti in cui il testo si
sofferma sui suoi rapporti
con la bella Cunegonda. E il
gioco con i generi musicali
trova una sintesi nella
Vecchia, la quale con i suoi
250 anni ha attraversato due
secoli e mezzo di sonorità, dal
tardo barocco al rap, e di questi fa uso in funzione delle
cose che vuole dire». Il viaggio del vostro Candido è
anche un percorso nel mondo
della televisione e della sua
mercificazione, non è un po’
abusato questo riferimento?
«Il punto da cui siamo partiti
non è stato la critica dei programmi televisivi, che davvero poco ci interessa, ma la
constatazione che la televisione ha cambiato profondamente il ritmo della nostra
percezione della realtà, oltre
a quello della comunicazione.
È un dato di fatto che può
portare, come è sotto gli occhi
di tutti, anche alla comunica-
zione del nulla: cioè, proprio
di ciò che per ammaestramento di Pangloss si fanno
venditori Candido e Cacambo. Ma se si riesce a usare
questo stesso ritmo riempiendolo di altre informazioni
forse, nel migliore dei casi, il
circuito della comunicazione
può essere riattivato», si
appassiona Liberovici. E
Nove puntualizza: «La televisione cui facciamo riferimento non è certo solo un contenitore elettrodomestico, ma
quella che è diventata ormai
una vera e propria forma
mentis, un diverso tipo di
approccio gnoseologico all’esistenza: metterla in discussione e scandalizzarsi di fronte a
questi effetti diventa pertanto qualcosa che investe tutta
la nostra realtà, dalla cronaca alla politica». Lungo il loro
viaggio sorvegliato da un
Pangloss virtuale che ha l’aspetto di Gianfranco Funari e
commentato dalla duecentocinquantenaria Vecchia di
Voltaire (Tea Sammarti) tenuta giovane da continui lifting, Candido (Ivan Castiglione) e Cacambo (Fabrizio
Matteini) intrecciano la loro
esistenza con quella della
bella Cunegonda (Caterina
Guzzanti), e il musical tende
ad assumere l’andamento di
una appassionante storia d’amore. A lieto fine? «La conclusione del nostro spettacolo
sarà insieme simile e molto
diversa da quella di Voltaire»,
sorride Liberovici: «Certo è
che non ci lasciamo travolgere dal pessimismo e quel
finale sarà per molti spettatori sorprendente».
Il pubblico, appunto: quale
commento vi piacerebbe
ascoltare da chi esce da teatro dopo di aver assistito al
vostro Candido? «Sono nati i
nuovi Garinei e Giovannini»,
scherza il regista-musicista;
mentre il romanziere già
classificato tra i “cannibali”
accetta di ricoprire il ruolo
del serio della coppia e aggiunge: «Mi piacerebbe che
gli spettatori uscissero divertiti dalla sala, dopo di aver
assistito alla rappresentazione di Candido, ma anche
avvertendo come sottofondo
di questa sana dimensione
ludica quel senso di disagio
ben espresso dalla frase più
ricorrente nelle ultime opere
di Samuel Beckett: “Qui c’è
qualcosa che non va”. Perché
proprio questo, credo, il
nostro spettacolo descrive:
disagio per il mondo della
comunicazione contemporanea, per le forme dominanti
della nostra quotidianità».
Ovviamente, sempre con un
sorriso e con quel gusto epico
per la divagazione che ben si
addice a un “soap opera
musical”.
A. V.
“Candido” alla facoltà di Architettura
20 maggio ore 16 nell’aula delle Tesi incontro con i protagonisti dello spettacolo. L’incontro è organizzato in collaborazione con il professor Brunetto De Batté. Ingresso libero.
VI Settimana della Cultura
24 / 30 maggio 2004
Per il sesto anno consecutivo il Teatro Stabile di Genova partecipa con un proprio calendario di attività alla “Settimana della
Cultura” promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali
con lo slogan «La Cultura è uno spazio aperto».
24 maggio Teatro della Corte
ore 20.30 Prova aperta di Aiace di Sofocle
a seguire dibattito con il regista
Marco Sciaccaluga e gli attori
dell’Esercitazione
27 maggio Foyer Teatro della Corte
ore 17.30 Incontro/dibattito con gli autori ed gli interpreti
di Candido - Soap opera musical
di Andrea Liberovici e Aldo Nove da Voltaire
incontro organizzato da Provincia di Genova,
Associazione Amici del Teatro Stabile di Genova
in collaborazione con lo Stabile
30 maggio Teatro della Corte
ore 10.30 Visita guidata al teatro
18/30 maggio Candido: riduzione biglietto (9 €) ai giovani
entro i 26 anni per tutte le rappresentazioni
TGE22704_GiornaleN°16
4
5-05-2004
15:43
Pagina 4
Mises en espace - Esercitazione
alla Piccola Corte
A fianco degli spettacoli allestiti alla Corte e al
Duse con registi internazionali, grandi attori e
collaboratori artistici di alto livello, il Teatro di
Genova dedica ogni anno una particolare attenzione alla drammaturgia contemporanea, proponendo una rassegna di “mises en espace” intese come sperimentazione non solo di nuovi
autori, ma anche di nuovi interpreti (registi e
attori) e di un diverso rapporto con il pubblico.
Ideata nel 1996 da Carlo Repetti, la rassegna
delle “mises en espace” è giunta ormai alla
nona edizione consecutiva ed è andata crescendo d’importanza e di durata nel corso degli anni,
anche avvalendosi della collaborazione del
Goethe Institut, del Centre Culturel Franco-Italien “Galliera”, del British Council, dell’Uni-
versità di Genova e del Museo-Biblioteca
dell’Attore. Le “mises en espace” del Teatro di
Genova hanno permesso di conoscere numerose
opere della drammaturgia contemporanea
nazionale e internazionale (con quest’anno
saranno complessivamente ventotto), favorendo
per alcune di queste (ad esempio, “La bella regina
di Leenane”, “Der Totmacher”, “Mojo Mickybo”) il
passaggio a una vera e propria messa in scena
con autonoma vita sui palcoscenici italiani.
Quest’anno l’attenzione si è concentrata sulle
drammaturgie italiana, spagnola e irlandese. Al
fine soprattutto di favorire la partecipazione di
un pubblico giovanile e grazie alla collaborazione della Banca Carige, tutte le “mises en
espace” vengono proposte a ingresso libero.
Sguardi sul teatro contemporaneo
PICCOLA CORTE
PICCOLA CORTE
8 / 12 giugno
15 / 19 giugno
PICCOLA CORTE
22 / 26 giugno
Strade / Corridoi
La riga nei capelli di William Holden Eden
di Sonia Arienta
di José Sanchís Sinisterra
di Eugene O’Brien
regia di Riccardo Bellandi
con Roberta Andreoni,Eva Cambiale, Sara Cianfriglia, Viviana Mattei
regia di Massimo Mesciulam
con Massimo Cagnina, Giselle Martino, Andrea Nicolini
regia di Alberto Giusta
con Alberto Giusta e Orietta Notari
Rosa, Maria, Piera e Ornella sono quattro
donne emarginate, forse degenti di un ospedale psichiatrico, forse prostitute ferme su di
una tangenziale che rivivono e inscenano
all’improvviso flashback della loro esperienza e dei loro traumi, scambiandosi i ruoli in
vorticose metamorfosi, che ruotano attorno
ai temi di difficili rapporti famigliari e tra
uomo-donna. Entrambi i gruppi in cui si
alternano le protagoniste (le pazze e le prostitute) sono alla
ricerca di una tranquilla normalità; tuttavia gli sforzi, tesi a
rendere vivibile e docile la loro esistenza, sono destinati a essere squassati dai loro stessi conflitti interiori, dovuti alle devastanti esperienze subite. Ogni personaggio (e il suo opposto)
racconta la sua storia dando vita a episodi che riportano in
superficie le porzioni di vissuto traumatiche, dimensioni oniriche e illusorie nelle quali si compiacciono di calarsi; e neanche
il tragico evento che avviene poco prima del finale riesce a scuotere la diffidenza ad accettare la realtà cruda. La linea di fondo
che guida le varie puntate-scene si individua nel perbenismo
piccolo borghese che istiga le “matte” a nutrire una profonda
ostilità nei confronti di chi diventa “una di quelle”, e nel terrore speculare mostrato dalle prostitute nei confronti della follia.
Una riflessione sul tempo, sul cinema e sulla
complessità delle relazioni umane. La
romantica storia di un incontro “impossibile”
tra due anime inquiete, alla presenza di un
vecchio cieco con il ruolo di testimone, forse di
destino. Esteban e Catalina s’incontrano in
un cinema deserto di periferia. In attesa che
il film abbia inizio, i due iniziano a parlare,
dando vita a un mondo complesso dove realtà e simbolo continuamente si mescolano. Le citazioni di film
abbondano. Lentamente, si fa strada l’idea che tra quel marinaio cinquantenne e quella eccentrica ragazza esista un rapporto che viene da lontano. Forse sono padre e figlia; ma forse è vero
invece che, come in un sogno, Esteban, novello Ulisse, ritrova in
quello squallido cinema la sua Penelope, dopo trent’anni di
vagare per il mare. Tutto quel che accade è insieme molto concreto e, nello stesso tempo, portatore di possibili valenze metaforiche. Il dramma si mescola continuamente al comico, sino
alla farsa; per chiudersi sui romantici fotogrammi di un film
avventuroso di Raoul Walsh. La vita che si fa teatro e il tempo
che si cristallizza nella memoria cinematografica. Beckett che
s’incontra con Buñuel, sullo sfondo di una scrittura che mescola
parodia e sentimento, gioco e pensiero.
Week-end in una cittadina irlandese: birra,
alcool, sesso e sogni impossibili di felicità o di
riscatto esistenziale. Tutto viene raccontato
attraverso i monologhi incrociati di due trentenni. Billy e Brenda sono marito e moglie. Si
sono incontrati in una sala da ballo, si sono
amati e hanno avuto due figlie. Poi lei è precipitata nella bulimia, dalla quale è appena
uscita dopo una intensa cura dimagrante. È
la fine di una settimana che s’immagina piena di frustrazioni.
Ora lui sogna di conquistare la bella Imelda, soprattutto per
dimostrare agli amici, e a se stesso, di non essere un fallito;
mentre lei, che torna dopo tanto tempo ai riti del sabato sera,
vagheggia la speranza di rivivere con il marito il bel tempo passato. Attraverso i monologhi dei due protagonisti, Eugene
O’Brien dà realtà teatrale non solo ai sentimenti e alle psicologie individuali, ma anche agli ambienti e a numerosi personaggi. I pub avvolti di fumo e di musica frastornante, la gelosia di
Billy per i successi di Tony, detto “l’uomo col flauto dorato”, le
amiche di Brenda e le passioni di Evonne, la malinconica solitudine del venditore di tappeti erbosi. Quotidianità cruda e ricca
di variazioni narrative, con sorpresa finale; ma anche teatralissima metafora di una universale condizione etica e sociale.
Sonia Arienta nasce nel 1970 e compie studi di Lettere moderne e di Scenografia a Milano, città dove vive ancora oggi. Dopo
un apprendistato in Italia e all’estero, avvia una propria carriera di regista/scenografa/costumista, collaborando con alcuni
importanti teatri di lirica e di prosa. Coltiva interessi saggistici
in ambito di sociologia musicale, cui desidera affiancare una
produzione drammaturgica sia in ambito di teatro di prosa, sia
come librettista. Strade/Corridoi è da considerare il suo debutto
come autrice di un testo esclusivamente teatrale.
José Sanchís Sinisterra nasce a Valencia nel 1940. Attivo nel
campo teatrale sin dagli anni ‘60 è molto noto in patria, ma quasi
sconosciuto in Italia, dove viene periodicamente per tenere corsi
di drammaturgia teatrale. Regista e direttore di teatro è autore
di opere che sanno sempre ben coniugare la tradizione con la contemporaneità. I temi affrontati vanno dalla storia antica (Trilogia
americana) alla moderna (Ay Carmela!), dall’influenza di Beckett
alla più radicale originalità. La riga nei capelli di William
Holden parla di cinema come El lector por horas di letteratura.
Eugene O’Brien è attore teatrale e cinematografico, oltre che uno
dei molti giovani drammaturghi irlandesi cresciuti intorno e
all’interno dell’Abbey Theatre di Dublino. Prima del grande successo di Eden, messo in scena nel gennaio 2001 da Conor McPherson, O’Brien ha scritto due monologhi (America 87 e Checking for Squirrels) e co-firmato la sceneggiatura di alcuni cortometraggi. Rappresentato a Dublino e a Londra, Eden ha vinto numerosi premi, tra i quali lo Stewart Parker Award 2001 e quello della
migliore novità al The Irish Times/ESB Theatre Award 2001.
Esercitazione su “Aiace”: un classico per i giovani
Le “esercitazioni” su testi classici sono una componente significativa del lavoro produttivo del Teatro di Genova. Nate dalla finalità didattica di evidenziare il lavoro teatrale nel suo farsi e la complessità dei rapporti che in ogni allestimento scenico si stabilisce tra il testo e gli attori chiamati a
interpretarlo, le “esercitazioni” si rivolgono innanzitutto agli spettatori più giovani, ma si aprono anche a un pubblico più vasto per la loro componente sperimentale di ipotesi di messa in scena. Dopo “Elena” di Euripide, Marco Sciaccaluga torna a cimentarsi con un classico del teatro greco,
individuando nella grande tragedia di Sofocle materia ideale per una sua messa in scena in forma di laboratorio aperto, nel quale i giovani neodiplomati della Scuola di Recitazione dello Stabile recitano insieme a tre attori professionisti: Fiammetta Bellone, Massimo Mesciulam, Paolo Serra.
OTELLO e AMLETO
di William Shakespeare
regie di Alberto Giusta e Antonio Zavatteri
Rappresentazioni a ingresso libero: tutte le sere ore 20.30; 26 / 27 / 28 maggio anche alle ore 11.00
«La morte è povera cosa, ma
chiude una ferita mortale».
Questo famoso verso shakespeariano ben figurerebbe a
conclusione della tragedia terrena di Aiace. La vita non
sarebbe che una più o meno
lenta agonia: lo spurgare di
una ferita che fatalmente porterà alla morte. La morte non
sarà gran cosa, non sarà forse
la porta verso un dopo, un
oltre che darà improvvisamente senso e significato al
tutto, ma avrà per lo meno il
merito di concludere questa
insensata malattia che è l’esistenza. Il suicidio di Aiace,
ancor prima di essere il gesto
di un eroe (negativo?) che
cerca nell’autodistruzione una
forma estrema di vendetta su
chi l’ha tradito, sui Greci che
gli hanno rubato le armi di
Achille e sugli dèi che gli
hanno indotto la follia facendogli scambiare tori e vacche
per gli Atridi, contiene questa
maggio / giugno 2004
P i c c o l a C o r t e X2 5 / 2 9 m a g g i o
Aiace
di Sofocle
adattamento e regia
Marco Sciaccaluga
personaggi e interpreti
Atena
in ordine di apparizione
Giselle Martino
Cristina Pasino
Giulia Ragni
Paolo Serra
Massimo Mesciulam
Fiammetta Bellone
Massimo Cagnina
Luca Giordana
Alex Sassatelli
Matteo Alfonso
Tommaso Benvenuti
Tarek Chebib
Antonio Lombardi
Odisseo
Aiace
Tecmessa
Messaggero
Teucro
Menelao
Coro
inconscia speranza: chiudere
una ferita, tacitare per sempre l’angoscia, riposare. Ma il
suo atto non risolverà nulla.
Chi gli sopravvive (la moglie
schiava, il figlioletto, il fratello, i suoi seguaci) riceve in
dono un’eredità di dolore,
un’ulteriore insensatezza, così
genialmente raccontata da
Sofocle nello scontro finale dei
suoi contro i capi greci mobilitati a impedire la sua sepoltura. Anche in uno sguardo così
provocatoriamente laico sulla
morte, per tutti noi c’è un oltre anche senza aldilà, il premio o la punizione non sono un
problema divino, ma il peso e
la responsabilità di chi ci
sopravvive. Seppellire o meno
il corpo di un traditore suicida,
di un assassino di capre non
mette tanto in gioco il contrasto fra punizione e perdono,
quanto ricorda infallibilmente
alla nostra specie che il tempo
per morire e il tempo per vivere sono la stessa cosa. Che
seppellire un uomo è accettare
che le ferite vanno rimarginate dalla consapevolezza degli
uomini. In attesa della saggezza e della fine di questa eterna
guerra di Troia…
Marco Sciaccaluga
PICCOLA CORTE
3 / 6 giugno
Due Shakespeare in un solo spettacolo, due
classici messi in scena da una compagnia di
giovani che ha rapporti molto stretti con il
Teatro Stabile di Genova, alla cui Scuola di
Recitazione quasi tutti i suoi componenti si
sono formati. Nessuna dissacrazione o contaminazione forzata. Otello e Amleto vengono proposti
nella loro struttura narrativa e drammaturgica originaria, dando origine a un dittico formato da
spettacoli autonomi, resi però complementari dalla compresenza di molti attori e, soprattutto, dalla stessa idea di teatro che ha guidato la loro messa in scena. Spazio scenico
nudo, la parola e gli attori. Molto scespiriano.
Orari Particolari
Per agevolare la partecipazione del pubblico, giovedì 3,
venerdì 4 e sabato 5 giugno Amleto (durata un’ora e 50
minuti) sarà rappresentato con inizio alle ore 19.00 e
Otello (durata un’ora e 15 minuti) alle ore 22.00. Nell’intervallo, gli spettatori che lo desiderano potranno
usufruire della possibilità di cenare presso il bar del
Teatro con un menù a prezzo speciale. Domenica 6 giugno, lo spettacolo inizierà regolarmente alle 16.00 con un
intervallo di circa 20 minuti.
TGE22704_GiornaleN°16
5-05-2004
15:43
Pagina 5
Foyer
5
“SURFACE”: VIDEOARTE ALLA CORTE
S E M I N A R I " C O N O S C E R E I L T E AT R O "
Nel corso della Stagione 2003-2004, il Teatro di Genova ha organizzato in 13 scuole della Liguria Seminari intesi a fornire ai giovani i fondamentali strumenti tecnici e culturali necessari per diventare spettatori teatrali consapevoli. Per la conduzione di questi
Seminari, il Teatro di Genova si è avvalso della collaborazione, in
qualità di docenti, di Sandro Baldacci e Mauro Pirovano. Sul tema
di “Saper vedere il Teatro” sono stati organizzati anche due
Seminari per Professori, uno per la CGIL e uno per il CRAL REGIONE. Le scuole che, tramite i loro referenti, hanno aderito alla proposta dello Stabile di Genova sono state le seguenti:
ISTITUTO SUPERIORE C. BARLETTI PASCAL - OVADA
(Prof.ssa Emanuela Palazzo)
ISTITUTO CHAMPAGNAT (Prof.ssa Laura Scursatone)
LICEO CLASSICO D’ORIA (Prof.ssa Carla Caroggio)
LICEO LINGUISTICO DELEDDA (Prof.ssa Laura Cervellini)
ISTITUTO S. MARIA AD NIVES (Suor Virgilia)
SCUOLA ELEMENTARE DE ANDRE’ (Prof.ssa Mariangela Montaldo)
ISTITUTO PROFESSIONALE MARSANO
(Prof.ssa Caterina Gallamini)
ISTITUTO FIRPO BUONARROTI (Prof.ssa Domenica Vittori)
LICEO CLASSICO COLOMBO (Prof.ssa Patrizia Serra)
SCUOLA MEDIA SARISSOLA (Prof.ssa Cappelletti)
LICEO SCIENTIFICO CASSINI (Prof. Claudio Natali)
ISTITUTO EMILIANI (Prof.ssa Alba Chicco)
ISTITUTO CALASANZIO (Prof.ssa Laura Vozza)
numero sedici • maggio / giugno duemilaquattro
Edizioni Teatro di Genova, Piazza Borgo Pila 42, 16129 Genova.
Presidente Avv. Giovanni Salvarezza • Direzione Carlo Repetti e Marco Sciaccaluga
Direttore responsabile Aldo Viganò - Collaborazione Annamaria Coluccia
Segretaria di redazione Monica Speziotto
Autorizzazione del Tribunale di Genova n° 34 del 17/11/2000
Progetto grafico:
www.firma.it • art: Bruna Arena, Genova (227/04)
Stampa: Arti grafiche bicidi, Genova
Ideato dal Centro della Creatività del Comune e dall’Accademia delle Belle Arti, in collaborazione con il Teatro Stabile
di Genova, il progetto Surface,
prevedeva due fasi di realizzazione: la prima consistente
nella visione e selezione dei
video-art inviati dai singoli
autori liberamente invitati a
partecipare con le loro opere
realizzate negli ultimi anni; la
seconda nella proiezione sulla
parete esterna del Teatro della
Corte dei video selezionati e
nella possibilità, nel corso
della settimana precedente l’evento, di vedere su appositi
monitor collocati nel Foyer
della Corte tutti i video partecipanti al concorso.
La prima fase ha portato alla
selezione - da parte di una commissione composta da Rosetta
Marzola del Centro della Creatività, Cesare Viel dell’Accademia di Belle arti, Aldo Viganò
del Teatro Stabile di Genova di cinque opere ritenute particolarmente meritevoli; mentre
la seconda avrà il suo culmine
nei giorni 3, 4 e 5 giugno. Nelle
sere di quei giorni, infatti, dalle
ore 21 in poi, saranno proiettati sulla facciata della Corte prospiciente i giardini di piazza
Verdi i cinque video vincitori,
che insieme agli altri potranno
essere visti nel foyer della
Corte per tutta la settimana
precedente.
1) Una morte nostalgica di
Cesare Bignotti e Matteo Forlì.
La morte, rappresentata da
uno scheletro, si trova a ricordare quanto le è più lontano, la
vita. Immerso nelle tenebre, lo
scheletro decide di ritornare
alla vita, aprendo un varco, tra
il mondo del buio e quello dei
vivi.
2) Respiri di Francesco Arena.
Alcune bocche di ragazze vengono riprese a inquadratura
fissa davanti a una lastra di vetro e in questa loro performance
denunciano ben altro che un
bisogno fisiologico: affiorano
insicurezze, bisogni, emotività
nascoste.
3) Rebirtthing, I love to see
corpicrudi, Pop di Samantha
Cavagnaro. Trittico sulla precarietà della condizione umana
e dello sguardo che tende a coglierne l’essenza. Corpi e azioni
nello spazio alla ricerca di un
difficile equilibrio.
4) AnnAcube di Francesca
Capra. Anna è la storia di un
incontro (in tre remake) che,
come tanti altri, non va a buon
fine. L’unico particolare è che il
protagonista si innamora di un
manichino, lo vede, lo corteggia, gli offre dei fiori, ma il suo
cuore è già impegnato...
5) Sea Fx di Ugo Nuzzo. Un
video sperimentale in fase di
ultimazione: diversi aspetti e
giochi sul movimento delle onde del mare, immagini artistiche naturali che catturano riflessi, colori, movimenti dell’acqua in differenti momenti, dalla calma al mare in burrasca.
HELLZAPOPPIN PROGRAMMA
Giovedì 6 maggio ore 19.15
Musica a teatro: concerto per violino, archi e contrabbasso
musiche di J.S. Bach e B. Bartok
a cura del Conservatorio Musicale “Niccolò Paganini”
Mercoledì 12 maggio ore 17.30
Intorno a Candido di Andrea Liberovici e Aldo Nove da Voltaire
relatori: Giorgio Bertone e Pier Luigi Pinelli
in collaborazione con la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Genova
Venerdì 14 maggio ore 17.30
Alchimia del verso: La città dei poeti
Voci poetiche del passato e del presente di una capitale culturale
in collaborazione con il Circolo Viaggiatori del Tempo
Giovedì 20 maggio ore 19.15
Musica a teatro: concerto per violino
musiche di J.S. Bach, J. Dowland, F.J. Haydn, P. Rode, J. Schenk, N.
Vallet
a cura del Conservatorio Musicale “Niccolò Paganini”
I
N
G
R
E
S
S
O
L
I
B
E
R
SCUOLA DI RECITAZIONE AUDIZIONI PER ATTORI
Le prove di selezione per il primo anno del Corso di Qualificazione della Scuola di Recitazione dello Stabile si terranno a
Genova, a partire da lunedì 21 giugno 2004, ore 10.00, presso il
Teatro Duse, via Bacigalupo, n° 6.
Requisiti per l’ammissione alla prova:
■ età minima 18 anni compiuti
■ diploma di Scuola Media Superiore
■ essere disoccupato
Per iscriversi all’audizione telefonare al numero 010.5342212 dal
7 al 16 giugno, dalle 10 alle 13 (sabato 12 e domenica 13 esclusi).
Per ulteriori informazioni rivolgersi alla
Segreteria della Scuola:
telefono 010.5342212 / fax 010.5342514
e-mail: [email protected]
Senza ERG
all’energia
mancherebbe
qualcosa.
maggio / giugno 2004
O
TGE22704_GiornaleN°16
5-05-2004
15:43
Pagina 6
Teatro in Germania
6
Germania: dal teatro di regia alla “rivoluzione” dei giovani drammaturghi
Dopo la Francia e l’Inghilterra, protagoniste delle
due puntate precedenti di questa rubrica di «Palcoscenico & Foyer», il viaggio tra i palcoscenici delle
maggiori realtà teatrali europee giunge in Germania. Con particolare attenzione ai fermenti dei giovani registi e alla nuova drammaturgia, il “drama-
turg” Andreas Beck traccia un profilo appassionato
dei processi di rinnovamento in atto sui palcoscenici di lingua tedesca. Laureato al Dams di Bologna e
già “dramaturg” in vari teatri tedeschi, ultimo dei
quali lo Schauspielhaus d’Amburgo, Andreas
Beck lavora attualmente al Burgtheater di Vienna.
REGISTI-AUTORI PER UNANUOVASFIDA
Il teatro in Germania è fortemente segnato dall’impronta del regista, quindi
dal suo intervento sul testo
e dalla sua interpretazione.
Oggi non tutti, spettatori e
critici, danno una valutazione positiva di tale realtà.
Attualmente si sta inasprendo sempre più il dibattito che vorrebbe distinguere il buon teatro di regia da
quello cattivo. Ma il problema è mal posto. Diciamo
così: il teatro di regia degli
anni Cinquanta e dei primi
anni Sessanta - cito tra i
suoi rappresentanti più
significativi Fritz Kortner,
volgimento dell’autore nel
processo di produzione, la
ricerca di drammi d’attualità, la realizzazione di spettacoli su materiali non immediatamente teatrali: racconti o romanzi, documenti
storici o biografici, collage.
Vengono sperimentate nuove forme di rappresentazione: soap-opera teatrali, teatro a puntate e abbozzi di
testi teatrali dalla struttura
aperta, spesso improvvisati.
Come riporta il quotidiano
tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, l’accusa più
sovente mossa a questa giovane generazione di registi è
Bettina Stucky, Melanie Wandel, Altea Garrido, Olivia Grigolli in Goldenes
Zeitalter di Christoph Marthaler, Meg Stuart e Stefan Pucher
Rudolf Noelte, Jürgen Fehling, Gustaf Gründgens - fu
rovesciato dai giovani registi della generazione “politica” del ‘68 e molti di questi
registi divennero potenti
direttori di teatro. Solo alcuni nomi: Claus Peymann,
Klaus Grüber, Peter Zadek,
Jürgen Flimm, Peter Stein.
E al “parricidio” dei registi,
si accompagnò anche un
ricambio generazionale nell’ambito della critica. Da un
po’ di tempo, però, una nuova generazione di registi si
sta affermando a Stoccarda,
Basilea, Francoforte, Berlino, Zurigo, Hannover, Amburgo e Vienna, rispecchiando con la sua interpretazione - sia dei classici, sia dei
giovani autori - un nuovo
gusto per la vita, considerato meglio conforme ai tempi.
Caratteristiche operative di
questa nuova generazione
sono la riscoperta del coin-
maggio / giugno 2004
Der Würgeengel di Karst Woudstras con la regia di Thomas Ostermeier
stessi e la loro epoca soprattutto nei classici, trasformati in contemporanei dalla
loro regia. Questo processo,
che trovò in Franz Castorf il
suo (ultimo) maestro, fu, però, a un certo punto, spinto
all’estremo. E la generazione seguente, quella oggi
accusata di preferire il gesto
alla parola, non ha voluto né
potuto inserirsi dentro a
questa idea di teatro di regia, preferendo invece riscoprire il ruolo dell’autore
teatrale. Da qui, la sollecitazione di una nuova drammaturgia, di soggetti attuali, di
un autentico cambio generazionale. Grazie a loro è nata
e ha potuto imporsi una
nuova generazione di autori
Caroline Peters (al centro) in Splatterboulevard di René Polleschs
che tendono a prediligere il
gesto alla parola, la corporeità al testo. In realtà,
secondo me, le cose stanno
diversamente. I padri putativi del teatro tedesco di
regia (quindi la generazione
che oggi ha circa 60 anni)
tendevano a rispecchiare se
teatrali: Martin Kusej, Stephan Kimmig, Nicolas Stemann, Michael Thalheimer,
Stefan Pucher, Stefan Bachmann, Amélie Niermeyer,
Barbara Frey, Thomas Ostermeier, Cristiane Pohle, Sebastian Nübling, Christina
Paulhofer, ecc. Il successo è
stato notevole, tanto che
oggi è possibile vedere su
tutto il territorio di lingua
tedesca spettacoli scritti e
messi in scena da giovani. E
non solo nelle città di grande tradizione teatrale come
Berlino, Vienna, Zurigo, Monaco, Amburgo, Hannover e
Stoccarda; ma anche in centri minori quali Bochum,
Jena, Dresda, Basilea, Lucerna, Graz, Mannheim. È
vero che la generazione precedente di registi aveva come propri compagni di strada grandi autori quali Heiner Müller, Botho Strauß,
Peter Handke, Thomas Bernhard (gli ultimi due, a dire il
vero, sono austriaci), ma,
benché importanti e grandiosi, questi autori sono isolati, quasi monolitici, in
un’epoca dominata dai classici, rivisitati e letti con
moderna attenzione. Così
come Frank Castorf rappresenta il punto di svolta nel
teatro di regia, ugualmente
deve essere individuato nell’austriaco Werner Schwab,
prematuramente scomparso
dieci anni fa, il principale
riferimento per la nascita
del dramma contemporaneo.
È con lui, infatti, che la
drammaturgia in lingua
tedesca si trasforma. Come?
In maggio e in giugno - cioè,
nei mesi dei festival teatrali
- si svolgono nel mondo germanico le grandi manifestazioni che coinvolgono i nuovi
autori teatrali: lo “Stückemarkt” di Heidelberg, lo
“Stückemarkt” del “Theatertreffen” di Berlino, i “Mühlheimer Theatertage”, gli
“Autorentheatertage” ad Am-
burgo e i “Werkstattage” di
Vienna. Scopo di tali manifestazioni è di offrire un
momento di incontro e confronto - serrato, ma rispettoso; critico e radicale, ma
creativo - tra autori e testi,
registi e attori. Molte di queste manifestazioni non presentano spettacoli compiuti,
ma messe in scena in forma
di laboratori, affinché anche
l’autore diventi una figura
centrale, evitando la sua
subordinazione al regista. Si
tratta di un nuovo metodo di
lavoro, che viene qui sperimentato sulla scia di alcuni
esempi anglosassoni, secondo il principio del workshop-
scrivono per sé e per altri,
rappresentano una generazione di autori e registi del
tutto nuova. E René Pollesch è stato colui che, senza
dubbio, ha maggiormente
determinato e influenzato il
teatro di lingua tedesca negli ultimi due anni. Ancora
due anni fa, egli era considerato un enfant terrible, tanto
che la decisione di assegnargli il Premio per la Drammaturgia al Festival di
Mühlheim nel 2001 fu accompagnato da accese proteste. Ma già poco dopo i contrasti si appianarono, quando, nel 2002, egli fu dichiarato miglior drammaturgo
Stefan Hunstein e Sunnyi Melles in Zio Vania rivisitato da Barbara Freys
ping. Giovani autori e registi si conoscono in un nuovo
contesto di lavoro e imparano ad aver fiducia reciproca.
In tal modo si dà nuova vita
a un’antica discussione: che
cosa è la drammaturgia e
che cosa è drammatico?
Perché è un dato di fatto che
un canone per la definizione
di questo genere letterario
non esiste più. In questo
ambito di continua promozione di nuovi autori ha in
Germania sovente un ruolo
importante anche il dramaturg, mentre accade sempre
più di frequente che il ruolo
del regista e quello dell’autore vadano confondendosi
per il bene del teatro. Basti
citare il regista Petras, che
scrive utilizzando lo pseudonimo Fritz Kater; e, accanto
a lui, registi-autori quali
Igor Bauersima, Falk Richter e René Pollesch. Tutti
questi uomini di teatro, che
dell’anno. Con Pollesch e
con gli altri registi-autori
citati appare all’orizzonte
del teatro tedesco una generazione che porta nel teatro
una svolta analoga a quella
che nel cinema degli anni
Sessanta ha comportato
l’avvento dei “cineasti-autori”: da costoro proviene un
nuovo forte impulso, anche
perché la componente propriamente artistica si unisce
inscindibilmente in loro con
quella concretamente produttiva, dando vita a una
forma esemplare di impresa
individuale che, non solo
ben s’addice al modello produttivo fermamente e insistentemente promosso dal
governo tedesco, ma soprattutto fa ben pensare che il
teatro tedesco del XXI secolo
continuerà a essere appassionante.
Andreas Beck
traduzione di Roberta Canu
TGE22704_GiornaleN°16
5-05-2004
15:43
Pagina 7
I mestieri del teatro
7
I mestieri del teatro: incontro con Maurizio Taverna e Angelo Palladino, capo macchinisti del Teatro Stabile di Genova
I “motori” della scena
È dedicata ai macchinisti l’ultima (almeno per questa stagione) puntata del nostro itinerario alla scoperta delle attività che si svolgono dietro le quinte del palcoscenico. Protagonisti sono i due capo macchinisti del Teatro Stabile di Genova: Maurizio Taverna e Angelo Palladino. Taverna ha sempre lavorato allo Stabile, dove iniziò una quindicina di anni fa come attrezzista. In questa stagione è stato impegnato nella tournée di “Madre Courage e i suoi figli” e negli allestimenti di “Lotta di negro e cani”, “Il
tenente di Inishmore” e “L’alchimista”. Palladino, invece, è alla sua seconda stagione allo Stabile, ma
ha alle spalle una lunga carriera, iniziata nel 1977 a Foggia, sua città natale, come tecnico “tuttofare”
in cooperative teatrali, e proseguita poi con diverse produzioni, pubbliche e private: fra le altre Teatro
Stabile di Torino, Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Plexus. In questa stagione ha lavorato nella
lunga tournée del “Cerchio di gesso del Caucaso” ed è impegnato nell’allestimento di “Candido”.
Conoscono tutti i segreti della
scena ma non vedono mai, o
quasi mai, l’effetto che fa con
gli occhi degli spettatori. I
macchinisti, maestri nell’arte
di costruire, cambiare, montare e smontare le scene di uno
spettacolo teatrale, di solito
devono accontentarsi di qualche fugace occhiata di sguincio
da dietro le quinte. «Io non
vedo mai gli spettacoli in cui
ho lavorato dalla sala, perché
devo stare dietro per seguire i
cambi di scena, controllare
carriera, Palladino ricorda
quello con il regista Luca
Ronconi allo Stabile di Torino:
«È stata un’esperienza fondamentale sia dal punto di vista
professionale che umano» racconta. «Ricordo in particolare
l’allestimento di Gli ultimi
giorni dell’umanità, perché in
quell’occasione capii che testa
ha Ronconi. Erano i primi
tempi in cui s’iniziavano a
usare i computer a teatro e lui
chiamò per collaborare all’allestimento un disegnatore
“Cad”. Ronconi sosteneva che
un determinato movimento di
scena si potesse fare, mentre
io e gli altri macchinisti dicevamo che non si poteva fare.
E, invece, ci dimostrò che
aveva ragione lui… Ha davvero una razionalità eccezionale».
La necessità di affrontare, per
ogni spettacolo, problemi
nuovi e imprevisti e la complessità di una scenografia,
richiede al macchinista anche
una serie di conoscenze e di
Maurizio Taverna sul palcoscenico di
L’alchimista
che tutto funzioni ed essere
pronto a intervenire se c’è
qualche inconveniente. Poi, di
solito guardo le registrazioni
in video» spiega Maurizio
Taverna, capo macchinista al
Teatro Stabile di Genova.
Angelo Palladino, pure lui
capo macchinista allo Stabile,
ogni tanto, però, una sbirciatina se la concede: «Se mi è possibile - racconta - cerco di
andare almeno per qualche
minuto in sala, ma una cosa
che mi dispiace tanto è proprio
il fatto di non riuscire mai a
vedere gli spettacoli in cui
lavoro: li vedo da dietro le
quinte, ma non è la stessa
cosa». Dal debutto in poi, il
lavoro dei macchinisti, che è
maggio / giugno 2004
fatto anche di fatica fisica, si
svolge tutto nelle “retrovie”, a
meno che non abbiano anche come spesso succede - il ruolo
di comparsa in qualche scena.
Quando lo spettacolo è ancora
“in costruzione”, invece, l’impegno è molto più vario.
«Quello dell’allestimento è il
momento più interessante,
perché è il più creativo ed è
sempre diverso» concordano
Taverna e Palladino. «Si lavora fianco a fianco con lo scenografo - spiega Taverna - e,
quindi, è molto importante
avere un buon rapporto di collaborazione. Ci sono scenografi che non si vedono quasi mai,
perché mandano un loro collaboratore a seguire l’allestimento. Io, però, preferisco
lavorare con quelli che sono
presenti, perché mi posso confrontare direttamente. Una
volta che ci sono le piante
della scenografia si riportano
le misure, si assemblano i
pezzi e poi, quando la scena è
montata, s’iniziano a fare le
modifiche, per adattarla alle
esigenze tecniche e artistiche,
anche in base alle richieste del
regista. Il capo macchinista
coordina montaggio e smontaggio delle scene, verifica che
queste operazioni siano fatte
correttamente e che tutti i
momenti scenici e i cambi di
scena funzionino». In questa
fase, però, può esserci anche
un intervento creativo «perché
sta a te trovare le soluzioni
tecniche alle idee dello scenografo e tradurle praticamente
nel giro di poco tempo» sottolinea Taverna.
«Io ho lavorato spesso anche
nella progettazione delle scenografie e quella dell’allestimento resta per me la parte
più stimolante, quella che,
all’inizio della mia carriera,
mi ha dato le motivazioni per
scegliere questo lavoro» racconta Palladino. «Credo che
un macchinista debba sapere
anche come si costruisce una
scena perché questo lo fa crescere professionalmente e gli
permette di dare un contributo creativo al suo lavoro.
Anche nella routine della
tournée, infatti, ha la possibilità di dare qualcosa di suo, sia
come esperienza che come
inventiva. L’anno scorso, per
esempio, per la tournée del
Cerchio di gesso del Caucaso,
ho progettato il ponte tibetano
a cannocchiale che si può chiudere, perché siamo andati in
teatri molto piccoli e serviva
una soluzione scenografica di
questo tipo». Durante le tournée, infatti, la sfida con cui
deve misurarsi il capo macchinista è proprio quella di trovare le soluzioni tecniche migliori per adattare la scena ai
diversi teatri. «Uno spettacolo
viene costruito in base alle esigenze e agli spazi del teatro in
cui si allestisce ma non tutti i
teatri hanno le stesse dimensioni - spiega Taverna - e,
quindi, il compito del capo
macchinista è quello di riuscire a montare la scena nello
spazio di cui dispone, senza
penalizzare lo spettacolo. A
volte si va, però, in teatri che
non possono contenere quella
scena e allora può capitare che
il risultato sia un po’ “sporco”,
non soddisfacente dal punto di
vista professionale. Mi è successo, per esempio, durante la
tournée di La dame de chez
Maxim, perché aveva una
scena molto difficile da montare in altri teatri». Fra gli allestimenti che gli hanno dato
particolare soddisfazione, invece, Taverna ricorda quelli
preparati con lo scenografo
Jean-Marc Stehlé e con il regista Benno Besson per Tuttosà
e Chebestia e Mille franchi di
ricompensa: «Erano due spettacoli con scenografie molto
complesse ma il risultato finale era davvero buono» spiega.
«Io sono soddisfatto - racconta
Palladino - quando tutto funziona, quando si riesce a rendere lo spettacolo nella sua
complessità e, oltre a “funzionare”, lo spettacolo è anche
bello. Con il Cerchio di gesso
del Caucaso, per esempio,
abbiamo avuto grosse soddisfazioni: c’erano attori molto
bravi e c’era fra di noi un grosso feeling». Fra gli incontri
importanti della sua lunga
Angelo Palladino
competenze diverse. «Avere,
per esempio, nozioni minime
di falegnameria è utile» osserva Taverna, che ha un diploma di ragioniere. «In questi
anni c’è stata un’evoluzione
del mestiere e, quindi, anche
delle conoscenze. Così come
sono cambiati i materiali utilizzati. Fino a qualche tempo
fa, per esempio, si usavano
legno, metalli, chiodi, adesso
ci sono viti, avvitatori, ferro,
alluminio, plastica e, soprattutto, i motori per spostare e
sollevare parti della scena,
mentre prima si utilizzavano
soltanto le corde. Le corde si
usano ancora, ma con i motori,
ovviamente, si risparmiano
tempo e fatica. Questo, comun-
que - aggiunge - è un lavoro che
s’impara soprattutto facendolo. Io prima ho fatto l’attrezzista e l’aiuto macchinista ma
non c’è qualcuno che ti insegni
davvero il mestiere: rubi un po’
da uno e un po’ dall’altro».
A Palladino si sono rivelate
utili una serie di nozioni tecniche imparate all’istituto per
geometri, dove si era diplomato prima d’iniziare a lavorare
in teatro, ma «in questo lavoro
- sottolinea - serve soprattutto
molta pazienza e poi bisogna
avere l’umiltà di imparare
dagli altri, anche dall’ultimo
aiuto, perché tutti possono
dare il proprio contributo». Il
“maestro di teatro”, però, per
lui è stato Carlo Tonarelli,
“storico” direttore di scena
della Plexus, l’impresa teatrale fondata da Lucio Ardenzi.
«Tonarelli fu per più di vent’anni direttore di scena,
soprattutto con Anna Proclemer e Giorgio Albertazzi - racconta - da lui ho imparato a
stare in palcoscenico e a rapportarmi con gli altri. Nel
1981 mi chiamò per dirmi di
andare a firmare il mio primo
contratto da capo macchinista
con la Plexus, per l’allestimento di Enrico IV con la regia di
Antonio Calenda. Io avevo
solo 24 anni: ricordo che mi
presentai nell’ufficio della
Plexus e che l’amministratore
di allora mi guardò senza
dirmi niente. Le sue uniche
parole furono: “Se l’ha detto
Carlo…; speriamo…”». Da
allora Palladino ha lavorato in
teatri diversi e anche al
Festival dei due Mondi di
Spoleto, dove, nel 1998, conobbe Andrea Liberovici, con il
quale sta lavorando all’allestimento di Candido, ultima produzione dello Stabile per questa stagione. «Io ero uno dei
capo macchinisti al Festival di
Spoleto e un giorno mi chiamarono, con la mia squadra di
allestimento, a San Nicolò,
dove Liberovici stava provando Macbeth Remix» racconta.
«Trovai una situazione di
grande caos, però l’allestimento mi piacque e rimasi per
tutto il tempo a dargli una
mano con la mia squadra. Poi,
alla ripresa dello spettacolo,
Liberovici mi chiamò e, visto
che ero libero, lavorai con lui
nella tournée del Macbeth
Remix». Qualche rammarico
per il fatto di svolgere un lavoro “invisibile” agli occhi del
pubblico? «Credo che gli spettatori siano comunque consapevoli di quello che avviene
dietro le quinte - afferma Palladino - anche se forse sarebbe
interessante mostrarlo anche
a loro qualche volta, perché
possano conoscere meglio la
macchina teatrale».
«Il lavoro dietro le quinte ha un
suo fascino - commenta Taverna - anche se, quando racconto a qualcuno che non mi conosce che faccio il macchinista,
capita che mi dica: “Ah, ma
allora lavori in ferrovia…”».
Annamaria Coluccia
Angelo Palladino (nel cerchio) con i tecnici di Gli ultimi giorni dell’umanità
TGE22704_GiornaleN°16
5-05-2004
15:43
Pagina 8
8
Saggio Scuola di Recitazione
con gli allievi del primo anno del Corso di Qualificazione
Monaco ‘32
due wolkstücke di Ödön von Horváth
traduzione Umberto Gandini e Emilio Castellani
regia Anna Laura Messeri
musiche e canzoni a cura di Giovanni Dagnino
luci e fonica a cura di Stefano Ciraulo
Kasimir e Karoline
Karoline Stefania Pascali • Kasimir Pier Luigi Pasino •
Schürzinger Federico Ferrario •Franz Matteo Cremon
•Erna Kati Markkanen • Rauch Fabrizio Careddu •
Speer Daniele Gatti • Elli Barbara Moselli • Maria
Fiorenza Pieri • L’imbonitore Marco Taddei • Juanita
Fiorenza Pieri • Il lillipuziano Vito Saccinto • La donna
cannone Barbara Moselli • L’uomo dalla testa di bulldog
Tommaso Benvenuti • Il barista Vito Saccinto • 1° avventore Marco Taddei • 2° avventore Tommaso Benvenuti
Elizabeth
(Fede, speranza e carità)
Elizabeth Barbara Moselli • Un poliziotto Tommaso
Benvenuti • Il preparatore Fabrizio Careddu • Il
preparatore capo Marco Taddei • Il barone in lutto
Federico Ferrario • La Prandl Fiorenza Pieri • La
moglie del pretore Kati Markkanen • Un invalido Vito
Saccinto • Un assisitito Marco Taddei • Maria Stefania
Pascali • Un ispettore Daniele Gatti • 2° poliziotto Marco
Taddei • 3° poliziotto Matteo Cremon • Un ometto Vito
Saccinto • Il salvatore Pier Luigi Pasino
Teatro Duse
da venerdì 18 a lunedì 21 giugno ore 20,30
INGRESSO LIBERO
VIAGGIO AD ALGERI
Gli allievi dello Stabile all’incontro delle Scuole di Teatro del Mediterraneo
Quello che più li ha colpiti, e
sorpresi, è l’ostinata e orgogliosa voglia di fare teatro
che hanno scoperto nei loro
giovani “colleghi” algerini,
siriani, egiziani, quasi a dispetto di una realtà che,
intorno, racconta soprattutto storie di povertà e di fatica di vivere. È il segno più
forte che le cinque giornate
trascorse ad Algeri hanno
lasciato in Luca Giordana,
Giulia Ragni, Tarek Chebib
e Antonio Lombardi, allievi
dell’ultimo anno della Scuola
di Recitazione del Teatro
Stabile di Genova. Dal 12 al
17 aprile hanno partecipato,
insieme alla direttrice Anna
Laura Messeri, alla quarta
edizione dell’Incontro internazionale delle Scuole di
Teatro del Mediterraneo,
che si è svolta ad Algeri, appunto, organizzata dalla
E.C.U.M.E. di Marsiglia. Per
l’Italia c’era anche l’Accademia di Arte drammatica di
Roma, mentre gli altri Paesi
rappresentati, oltre all’Algeria, con la scuola statale
della capitale, che ospitava
l’evento, erano Spagna (Siviglia), Francia (Marsiglia),
Grecia (Atene), Egitto (Il
Cairo) e Siria (Damasco). Il
programma prevedeva atelier, conferenze ed esibizioni
degli studenti delle diverse
scuole, ciascuna delle quali
aveva preparato uno spettacolo: i ragazzi genovesi
hanno proposto le loro interpretazioni teatrali di alcuni
racconti di Cechov, applaudite, raccontano, con “cori da
stadio”. Ma l’esperienza più
nuova, per loro, è stata l’incontro con l’altra faccia del
Mediterraneo, con i coetanei
arabi che condividono il
sogno del palcoscenico in
una realtà completamente
diversa. «La cosa che mi ha
stupito di più - racconta
Luca - è la voglia, l’entusiasmo, quasi l’urgenza che
hanno di fare teatro e cultura in un contesto che certo
non li favorisce». «È impressionante la gioia e la
vitalità che hanno nel fare
questo lavoro che contrasta
tantissimo con le situazioni
di povertà e di degrado che ci
sono intorno» aggiunge
Giulia. «Per loro è certamente più difficile che per noi
poter frequentare una scuola
di recitazione, innanzitutto
perché ce ne sono poche osserva Tarek - e poi lì ci sono ancora, verso chi fa teatro, quei pregiudizi che
erano diffusi anche in Italia
fino a un po’ di tempo fa. Per
fare questo lavoro devono
avere, quindi, motivazioni
più forti di noi. Ma sono
anche molto legati e molto
orgogliosi delle loro tradizioni culturali: sognano di venire a lavorare in Europa ma
non vogliono uniformarsi
alla cultura europea, vogliono conservare anche il loro
patrimonio tradizionale, e
hanno una grande voglia di
farlo conoscere agli altri».
Sebbene da queste tradizioni
affiorino anche, di tanto in
tanto, alcuni condizionamenti e pregiudizi culturali
«visibili per esempio - spiega
Luca - nei rapporti fra ragazzi e ragazze, oppure nel fatto
che nella registrazione in
video della Lisistrata, rappresentata dai ragazzi greci,
fosse stata eliminata la
scena più “audace”». «A me
ha colpito molto - racconta
Giulia - che, per esempio,
c’invitassero a vedere quello
su cui stavano lavorando,
come se fosse uno spettacolo.
Da noi non sarebbe spontaneo, mentre per loro è normale. Un ragazzo che studiava coreografia, per esempio, stava facendo una ricerca sul corpo e ci ha fatto
vedere una serie di esercizi
di espressione corporea che
“raccontavano” diversi momenti della vita di un giovane algerino». «Dal punto di
vista teatrale - afferma Luca
- mi ha impressionato la loro
coscienza del corpo, della
fisicità, che è molto più forte
della nostra». Un’altra differenza importante riguarda
l’organizzazione dei corsi:
«Nella scuola di Algeri - spiegano - ci sono quattro indirizzi: recitazione, scenografia, coreografia, critica teatrale, e, diversamente che da
noi, all’inizio tutti studiano
un po’ di tutto. La scuola,
poi, è organizzata come un
collegio, dove gli studenti
mangiano e dormono e hanno accesso a tutte le strutture, aule e due anfiteatri, 24
ore su 24». «Avere così tanto
tempo a disposizione per
provare e stare insieme osserva Tarek - è sicuramente un fatto positivo e li aiuta
anche a vivere senza frenesia, quasi in un contesto
atemporale, oltre che a sviluppare lo spirito di gruppo:
sono meno individualisti di
noi, si aiutano di più».
Annamaria Coluccia
A6 3.0 TDI 165 kW/225 CV tiptronic quattro. Consumi max urbano/extraurbano/combinato (l/100 km): 12,0/6,5/8,5. Emissioni max CO2 (g/km): 229.
All’avanguardia della tecnica. www.audi.it
Nuova Audi A6.
Seguire regole nuove.
Per rompere le regole bisogna conoscerle bene.
Ci vogliono anni di studi e di risultati. Come la trazione quattro®,
le motorizzazioni TDI e FSI®, i cambi tiptronic e multitronic®.
Risultati che sono solo i punti di partenza per la nuova Audi A6.
Un’auto che utilizza materiali d’avanguardia come l’alluminio.
Un’auto che concilia uno stile impeccabile con una sportività
esuberante, ad esempio nella versione 3.0 TDI da 225 CV.
Perché in fondo, se si vuole rompere una regola, bisogna
metterci molta energia.
Audi Credit finanzia la vostra Audi.
Venite a provarla da:
Autocorsica
Via Varese 2 - Genova - tel. 010 2910950
Via Piave 3r - Genova - tel. 010 2910780
maggio / giugno 2004