Tariffa R.O.C.: Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353 / 2003 (conv. in L. 27 / 02 /2004 n°46) art.1 comma 1, DCB Genova TGE22704_GiornaleN°16 5-05-2004 15:42 Pagina 1 soci fondatori COMUNE DI GENOVA PROVINCIA DI GENOVA REGIONE LIGURIA socio sostenitore maggio / giugno duemilaquattro numero sedici partner della stagione L’alchimista Candido Intervento di Michele Serra e Giovanna Zucconi Intervista a Jurij Ferrini Conversazione con Andrea Liberovici e Aldo Nove Mises en espace Esercitazione su Aiace pagina 4 Saggio Scuola pagina 8 pagina 3 pagina 2 Teatro in Germania Articolo Andreas Beck pagina 6 I mestieri del teatro I macchinisti: Maurizio Taverna e Angelo Palladino pagina 7 Due celebri testi rivisitati con uno sguardo sul contemporaneo da autori e registi giovani Il mondo d’oggi secondo i classici J U R I J F E R R I N I M E T T E I N S C E N A “ L’ A L C H I M I S T A ” ANDREA LIBEROVICI E ALDO NOVE TRASFORMANO D I B E N J O N S O N N E L L’ A D AT TA M E N T O D I M I C H E L E S E R R A I L “ C A N D I D O ” D I V O LTA I R E I N U N “ S O A P O P E R A M U S I C A L ” La stagione dello Stabile s’avvia alla conclusione con la messa in scena di due testi classici rivisitati da giovani registi con la collaborazione di autori contemporanei sempre molto attenti a cogliere nel presente i fermenti del futuro. Il primo a debuttare - dal 4 al 20 maggio alla Corte - è L’alchimista di Ben Jonson, adattato da Michele Serra sulla base della nuova traduzione di Giovanna Zucconi. La regia è di Jurij Ferrini, il quale ne è anche interprete al fianco di Eros Pagni, Frédérique Loliée e di un affiatato gruppo di attori composto da Sarah Biacchi, Silvio Laviano, Mimmo Mignemi, Andrea Nicolini, Aldo Ottobrino, Marco Sciaccaluga, Federico Vanni, Marco Zanutto, Antonio Zavatteri. La scena e i costumi sono di Valeria Manari, le luci di Sandro Sussi e la fonica di Claudio Torlai. Da martedì 18 maggio al 6 giugno, va quindi in scena al Duse la novità assoluta Candido - Soap opera musical che Andrea Liberovici e Aldo Nove hanno scritto ispirandosi molto liberamente al capolavoro di Voltaire. Regia e musica di Liberovici con Ivan Castiglione, Caterina Guzzanti, Fabrizio Matteini e Tea Sammarti interpreti dal vivo, mentre numerosi altri (tra cui Gianfranco Funari nel ruolo di Pangloss) intervengono attraverso immagini video e voci registrate. Direzione musicale di Gloria Clemente (in scena con i musicisti Pietro Sinigaglia, Davide L’Abbate, Roberto Fatticcioni, Francesco Carpena); scena di Paolo Giacchero; costumi di Silvia Aymonino e luci di Sandro Sussi. Nuovi attori alla prova Un musical con Voltaire Allegro cinismo «Il grande fascino di Voltaire, e in modo particolare del suo Candido, sta nella capacità di scandalizzarsi di quanto sta succedendo e, di conseguenza, nel saper mettere in ridicolo, con divertente ironia, le caratteristiche e le contraddizioni del proprio tempo» osserva Aldo Nove con il pieno consenso di Andrea Liberovici, Voltaire insieme al quale proprio al celebre romanzo di Voltaire si sono ispirati per scrivere il Candido in forma di “soap opera musical”, che è in scena al Teatro Duse dal 18 maggio al 6 giugno, per la produzione del Teatro Stabile di Genova, con il contributo del Comitato per Genova 2004. (segue a pag. 3) Un allegro, strepitoso cinismo. Questo è il segreto dell’Alchimista di Ben Jonson, apologia della truffa come necessità sociale, cinque atti di pura, deplorevole complicità tra i beffati e la beffa... Il ciarlatano Subtle e il suo scudiero Face, nei rari momenti di “dibattito” che la loro febbrile trama di imbrogli consente, riescono a spacciarsi, in cuor loro, per benefattori. Vendono sogni di sesso e denaro, di potere e seduzione sociale, a una metropoli ingrigita dall’anonimato e dalla fatica di campare, metafora perfetta di tutte le metropoli e di tutti gli anonimati di là da venire. È la Londra del Seicento, ma per farla assomigliare definitivamente ai nostri luo- Ben Jonson ghi di pena e di illusione, forse manca solamente la televisione... Oh, che cosa avrebbero potuto combinare, l’alchimista Subtle e il suo compare Face, se avessero potuto disporre con qualche secolo d’anticipo di quel fantastico alambicco che è la comunicazione di massa... Michele Serra e Giovanna Zucconi (segue a pag. 2) Candido e il Festival di Teatro Europeo per “Genova 2004” Candido - Soap opera musical nasce con il contributo del Comitato per Genova 2004, nell’ambito delle manifestazioni per Genova Capitale Europea della Cultura che a ottobre e novembre vedranno ancora una volta in prima fila lo Stabile di Genova con il già annunciato Festival di Teatro Europeo comprendente la produzione di La Centaura di Andreini, con Mariangela Melato e la regia di Ronconi, e l’ospitalità di Il giardino dei ciliegi messo in scena dal francese Georges Lavaudant, del nuovo spettacolo di Pina Bausch (Kontakthof mit Damen und Herren ab 65) e di Hamletas del lituano Eimuntas Nekrosius. Un classico del teatro di tutti i tempi (Aiace di Sofocle), tre opere di autori contemporanei mai rappresentate in Italia (Strade / Corridoi di Sonia Arienta; La riga nei capelli di William Holden di José Sanchís Sinisterra; Eden di Eugene O’Brien), il dittico di uno degli autori mitteleuropei più significativi del Novecento: Kasimir e Karoline e Fede, speranza e carità, uniti sotto il comune titolo Monaco ‘32 con riferimento al luogo e alla data in cui furono scritti dal fiumano Ödön von Horváth (1901 - 1938). A fianco dei due spettacoli di produzione in cartellone alla Corte (L’alchimista) e al Duse (Candido) l’ultimo scorcio di stagione del Teatro Stabile di Genova propone un ricco ventaglio di nuove produzioni rivolte soprattutto a un pubblico curioso del nuovo e articolate nella forma della “esercitazione” (Aiace) o delle “mises en espace” (il trittico contemporaneo) o del “saggio” della Scuola di Recitazione (von Horváth). Caratteristica comune di queste rappresentazioni, alle quali lo Stabile genovese dedica da anni particolare attenzione, cura e impegno produttivo (anche al fine di favorire la partecipazione dei giovani, gli spettacoli sono proposti con ingresso libero), è la loro dimensione di ricerca e di laboratorio sperimentale. Messa alla prova di nuovi testi per quanto riguarda le “mises”, ma anche preziosa occasione di sperimentare nuovi registi e nuovi attori (nel caso del “saggio” ancor prima del diploma), sovente mescolando le generazioni e le competenze professionali, nella convinzione che proprio da questo travaso di esperienze il teatro (e non solo quello genovese) possa trovare linfa vitale per guardare con ottimismo al proprio futuro. In alto: Jurij Ferrini, Eros Pagni e Frédérique Loliée durante le prove di L’alchimista. Sotto: Andrea Liberovici con gli attori e i musicisti durante le prove di Candido. (Foto: Bepi Caroli). TGE22704_GiornaleN°16 2 5-05-2004 15:43 Pagina 2 L’alchimista al Teatro della Corte Rappresentato per la prima volta nel 1610, “L’alchimista” è considerato da molti il capolavoro del drammaturgo post-elisabettiano Ben Jonson (1572-1637). Con reminescenza dell’antico teatro di Plauto, vi si racconta di come, approfittando dell’assenza del padrone fuggito da Londra a causa della peste, un servo introduca nella di lui casa un lestofante con la sua compagna e, insieme a loro, usi la dimora per attirarvi i gonzi cui il sedicente alchimista promette la pietra filosofale: vale a dire la soddisfazione di tutti i loro desideri. In una situazione drammaturgica fortemente connotata dalla comicità e dal proverbiale virtuosismo verbale di Ben Jonson, i truffatori hanno modo di imbrogliare una ridicola teoria di borghesi in cerca delle cose più assurde: un cavaliere avido e lascivo, due puritani poco ortodossi, un giovane attaccabrighe che spera in un buon partito per la sorella; e così via, in un continuo intrecciarsi di truffe e di truffati. Ciò che ne sortisce è una travolgente girandola di episodi incastrati con geometrica e ritmica perfezione, un affresco dedicato alla materialistica ansia di consumo e di successo nella Londra del primo Seicento, che non casualmente assomiglia tanto da vicino alla società in cui viviamo. Allegro cinismo «Ben vi sta, così imparate a farvi abbindolare» (segue da pag. 1) Pubblicitari ante-litteram, pionieri del marketing, sono costretti, in mancanza di ciò che verrà, a ricorrere alla pura parola per abbindolare il loro target: gente disposta a qualunque cosa pur di arraffare una fetta di identità, pur di indossare una maschera gratificante... ma che parole immaginifiche, che straordinario tessuto di frottole, che rilucente specchio delle vanità, quello che il vecchio Ben Jonson ha saputo allestire grazie alla sua coppia di verbosi delinquenti... Giovanna Zucconi ha tradotto, Michele Serra riadattato questo ilare dramma della stupidità umana. Le due traduzioni note, oramai vecchie di decenni, testimoniano di quanti orpelli la lingua italiana si sia liberata in così poco tempo. Giovanna Zucconi ha cercato di restituire a truffatori e truffati un linguaggio meno aulico, più quotidiano, più confacente allo spirito gaglioffo e volgare che aleggia attorno alla casa dell’alchimista. E, soprattutto, ha riesumato, da Ben Jonson, l’incredibile quantità di doppi sensi, la sfrontata trivialità, il sessismo travolgente, con un lavoro di vero e proprio restauro dei colori originali del testo, che erano e (così speriamo) sono tornati vividi e impudenti. Michele Serra ha cercato di ridurre la smisurata ripetitività di situazioni e dialoghi, che nel teatro elisabettiano, ricordiamo, non avevano urgenze di ritmo e di sintesi: in teatro si stazionava per ore, si mangiava e ci si ritrovava, spesso le ripetizioni erano veri e propri “riassunti delle precedenti puntate” per un pubblico non sempre attentissimo. Accorciato, mondato delle molte allusioni a minute situazioni politiche della Londra del tempo (satira politica ormai illeggibile, venendo a mancare ogni riferimento al bersaglio), valorizzato nella sua potente e modernissima natura comica (la manipolazione delle coscienze, la pubblica buonafede carpita sono, quattrocento anni dopo, di impressionante attualità), questo testo è un viaggio beffardo nella vanità sociale, nella vulnerabilità estrema di ogni pubblico di massa, disposto a credere qualunque cosa, anche la più inverosimile, purché lo si gratifichi di qualche residua speranza. Soprattutto, il suo autore ha saputo resistere alla tentazione di ogni possibile chiosa moralistica, e l’happy end è quanto di più cinicamente maggio / giugno 2004 Sopra: La scena di L’alchimista durante le prove. Sotto: Antonio Zavatteri, Federico Vanni e Andrea Nicolini immorale si possa concepire. Un gigantesco “ben vi sta, così imparate a farvi abbindolare”, che chiude con gelido umorismo il cerchio della truffa. Traduttrice e adattatore hanno cercato di rispettare nel profondo questa intenzione di Ben Jonson, che lasciò al pubblico il compito di giudicare se fossero più colpevoli i plagiatori o i plagiati. Si sono molto divertiti nel lavoro (non facile) di rianimazione del testo e dei personaggi, sepolti dal tempo. I personaggi li hanno molto aiutati: non aspettavano altro, non desideravano altro che ricominciare a imbrogliare, a imbrogliarsi, a rivivere la comica, patetica gara di una vita senza remore, ognuno con l’intenzione di divorare ingordamente, imprudentemente la propria illusione. Di abboccare felice al proprio amo, e farsene rovinare. Michele Serra Giovanna Zucconi Nella trappola del nostro scontento Conversazione con Jurij Ferrini: «Un’idea moderna di alchimia» Perché mettere in scena L’alchimista, oggi? Da tempo giravo intorno all’idea di portare sul palcoscenico questa commedia così ricca di riferimenti alla realtà contemporanea. Avevo però bisogno di un autore che, facendone un adattamento, liberasse L’alchimista dalle incrostazioni del suo tempo e sapesse compiutamente restituirne l’universalità; offrendo la possibilità di leggere la commedia secondo la prospettiva di un’idea moderna di alchimia. Come hai lavorato con Michele Serra? Soprattutto confrontandoci a fondo su quello che è stato il problema centrale del suo adattamento: come tradurre il rinascimentale linguaggio alchemico di Ben Jonson in forme capaci di parlare anche all’uomo di oggi. Avete fatto molti cambiamenti rispetto al testo originale? Si è trattato più di un lavoro di sintesi che di stravolgimento. Il testo di Ben Jonson è rimasto, infatti, complessivamente lo stesso per quanto riguarda la definizione dei personaggi e la struttura narrativa; mentre abbastanza drastici sono stati Aldo Ottobrino, Jurij Ferrini e Eros Pagni gli interventi sul linguaggio. La constatazione da cui siamo partiti è che l’alchimia c’entra in fin dei conti ben poco con L’alchimista. Ciò che si racconta nella commedia è una storia di truffatori e di truffati, non di maghi o di alchimisti. Certo, quei truffatori per riuscire meglio nella loro impresa usano un linguaggio un po’ ipnotico, che Ben Jonson tende a far corrispondere a quello forbito e in apparenza competente dell’alchimia, ma che oggi ci è sembrato corrispondere soprattutto a quello della propaganda, merceologica o politica che sia. La modifica del punto di vista sulla commedia vi ha indotto a cambiarne anche l’ambientazione? Lo spazio è diventato più astratto, mentre la scenografia e i costumi di Valeria Manari alludono a un’epoca vagamente ottocentesca, ma l’obiettivo non è mai stato quello di un aggiornamento ambientale o figurativo, quanto piuttosto quello di creare un mondo metaforico, essenzialmente allusivo, in cui gli originali riferimenti all’alchimia si aprissero verso espliciti riferimenti alla realtà contemporanea, senza per questo preten- dere di combaciarvi direttamente. Che rapporto c’è tra alchimia, lavoro in serie e propaganda? Il comune denominatore è dato dall’idea di sintesi: sintetizzare la materia per creare la pietra filosofale, concentrare il processo di lavorazione, usare lo slogan per indurre un bisogno e insieme illudere della sua immediata soddisfazione. Eppure i tre truffatori protagonisti di L’alchimista sono simpatici. È vero: fanno ridere. Durante le prove ci siamo posti continuamente il problema di come far ridere senza rinunciare all’anima nera, alla violenza che c’è sotto le parole e i comportamenti di quei personaggi. Il nostro sforzo è stato quello di trasmetterlo, questo orrore, senza rinunciare alla comicità; anzi, proprio attraverso di questa. Vediamoli un po’ più da vicino, questi truffatori. Sono due uomini e una donna, e gli uomini appartengono a generazioni diverse. Dol è la donna che vende il proprio corpo al fine di far dimenticare al cliente quello che sta comperando; ma il vero con- flitto è tra Subtle e Face. Questo è molto più spregiudicato di quello. In fin dei conti, Subtle, come molti di coloro che usano il linguaggio della propaganda, crede a quello che fa o, almeno, è un truffatore che ha bisogno di raccontare bugie innanzitutto a se stesso per poter continuare a lavorare; mentre Face è un vero criminale: rude, volgare, spregiudicato e ignorante. Se invece di essere truffatori fossero mafiosi, Face apparterrebbe alla nuova cupola, Subtle alla generazione di chi non si riconosce più in quel agire solo violento e senza giustificazioni morali. Di fronte a questi truffatori, si erge una schiera di personaggi che rappresentano le vittime, ma che spesso sembrano essere complici dei loro carnefici. Involontariamente, però. Nello stesso modo in cui tutti noi siamo complici di un sistema costruito sulla propaganda, che finiamo per accettare come un dato di fatto. Mi piacerebbe che dal nostro spettacolo risultasse evidente anche la volontà di snidare questo tipo di meccanismo sociale. a cura di Aldo Viganò TGE22704_GiornaleN°16 3 5-05-2004 15:43 Pagina 3 Candido al Teatro Duse Apologo, fiaba filosofica o racconto d’avventura, il “Candido” di Voltaire ha avuto nel corso dei secoli le più disparate interpretazioni, ma sempre tese a sottolineare la grande forza comunicativa della sua ironia e la costante attualità del suo assunto narrativo. Scacciato dal castello del suo benefattore per aver ruba- to un bacio alla di lui figlia Cunegonda, il giovane Candido impara a proprie spese la differenza tra la teoria e la vita, tra gli ottimistici insegnamenti del suo maestro, il filosofo Pangloss, e la realtà del mondo. Un viaggio pedagogico il suo, che nel libero adattamento in forma di “soap opera musical” di Andrea Liberovici e Aldo Nove si articola nella forma e nella struttura di un travolgente viaggio virtuale, con un debuttante nell’esistenza, Candido appunto, guidato alla scoperta del mondo e di se stesso dal fallimento dei modelli propostigli da un novello Pangloss, maestro di una molto contemporanea via al successo individuale e sociale, che si propone nell’aspetto attualissimo e materialisticamente concreto del venditore merceologico o televisivo. “Candido o del viaggio”, dunque. La via di una personale esperienza teatrale, caratterizzata da un linguaggio scenico che mescola ricerca e tradizione in un apparato visivo e sonoro multimediale. UN MUSICAL CON VOLTAIRE Candido venditore del Nulla nella novità di Andrea Liberovici e Aldo Nove (segue da pag. 1) «Il mondo di valori cui faceva riferimento Voltaire - prosegue Aldo Nove, di cui è appena uscito da Einaudi l’ultima fatica letteraria: La più grande balena morta della Lombardia - quello della borghesia trionfante, oggi è in crisi o non esiste più, ma la sua capacità di guardare alla cronaca con uno sguardo insieme etico e distaccato è sempre di grande attualità. Sapersi scandalizzare è una funzione fondamentale dello scrittore in tutti i tempi, e proprio da questo siamo partiti con Andrea: riflettere sul contemporaneo e cercare di capire, interpretare e non subire, proporre la letteratura e il teatro come ambiti di resistenza». Da qui, l’idea di raccontare il viaggio di Candido in un mondo virtuale, stracarico di informazioni, merci e spettacolo. «Come quello del Candido di Voltaire, il nostro protagonista è un ingenuo adepto della principale filosofia del proprio tempo, che non è certo più quella teologica del leibniziano “migliore dei mondi possibili”, ma quella molto più materialistica dell’economia», osserva Nove. E Liberovici specifica: «I nostri Candido e Cacambo sono due venditori di un prodotto chiamato “il Nulla” che compiono un viaggio da fermi, ma dentro a un luogo preciso quale è un teatro: cioè, in uno spazio molto concreto, forse metafora del mondo occidentale, popolato di tante immagini proiettate, e proprio per questo private di corpo e ripulite, eco di una realtà diventata ormai astratta». Con Voltaire come punto di riferimento, Andrea Liberovici e Aldo Nove hanno così scritto insieme («Impossibile oggi distinguere chi è il padre o la madre delle singole scene o delle specifiche soluzioni narrative») un testo che è nato, dopo una fuggevole collaborazione nell’ambito dell’iniziativa del teatro nei Musei (li aveva presentati Edoardo Sanguineti) e nel corso di lunghi viaggi in giro per l’Italia e all’estero, come sintesi di un rapporto tra letteratura, musica e teatro, sullo sfondo molto concreto della realtà contemporanea. Come avete lavorato insieme? «La cosa particolarmente interessante» risponde Aldo Nove «è stato l’incontro tra esperienze linguistiche molto diverse. Un incontro molto stimolante per me, anche ricco di conflitti e di ricerche di mediazioni, come quello tra pentagramma e metrica». «Quando vedevo una scena o avevo in testa una musica, la raccontavo ad Aldo» aggiunge Liberovici «e maggio / giugno 2004 Sopra: Aldo Nove e Andrea Liberovici durante le prove con gli attori di CandidoSoap opera musical: da sinistra Tea Sammarti, Fabrizio Matteini, Ivan Castiglione e Caterina Guzzanti. Sotto: Andrea Liberovici e Aldo Nove. lui la traduceva nel suo linguaggio: cioè, in un’altra visione che stimolava in me nuove proposte, in un continuo gioco di rimandi. Anche per me si è trattato di un’esperienza affascinante, in fondo alla quale ci sono stati dei personaggi che diventano musica e della musica che diventa personaggio. Credo che questo testo e questo spettacolo corrispondano molto bene alla mia idea di musical e di racconto teatrale». Una musica pensata e scritta in stretto rapporto con i caratteri dei personaggi, come tiene a sottolineare Liberovici: «Nella nostra immaginazione Candido e Cacambo sono due personaggi che vivono di miti televisivi e sonori, la loro cultura si alimenta soprattutto di musica pop che per l’estroso Cacambo si esprime in prevalenza nei ritmi del rock, mentre nel sentimentale Candido si apre verso solu- zioni melodiche, soprattutto nei momenti in cui il testo si sofferma sui suoi rapporti con la bella Cunegonda. E il gioco con i generi musicali trova una sintesi nella Vecchia, la quale con i suoi 250 anni ha attraversato due secoli e mezzo di sonorità, dal tardo barocco al rap, e di questi fa uso in funzione delle cose che vuole dire». Il viaggio del vostro Candido è anche un percorso nel mondo della televisione e della sua mercificazione, non è un po’ abusato questo riferimento? «Il punto da cui siamo partiti non è stato la critica dei programmi televisivi, che davvero poco ci interessa, ma la constatazione che la televisione ha cambiato profondamente il ritmo della nostra percezione della realtà, oltre a quello della comunicazione. È un dato di fatto che può portare, come è sotto gli occhi di tutti, anche alla comunica- zione del nulla: cioè, proprio di ciò che per ammaestramento di Pangloss si fanno venditori Candido e Cacambo. Ma se si riesce a usare questo stesso ritmo riempiendolo di altre informazioni forse, nel migliore dei casi, il circuito della comunicazione può essere riattivato», si appassiona Liberovici. E Nove puntualizza: «La televisione cui facciamo riferimento non è certo solo un contenitore elettrodomestico, ma quella che è diventata ormai una vera e propria forma mentis, un diverso tipo di approccio gnoseologico all’esistenza: metterla in discussione e scandalizzarsi di fronte a questi effetti diventa pertanto qualcosa che investe tutta la nostra realtà, dalla cronaca alla politica». Lungo il loro viaggio sorvegliato da un Pangloss virtuale che ha l’aspetto di Gianfranco Funari e commentato dalla duecentocinquantenaria Vecchia di Voltaire (Tea Sammarti) tenuta giovane da continui lifting, Candido (Ivan Castiglione) e Cacambo (Fabrizio Matteini) intrecciano la loro esistenza con quella della bella Cunegonda (Caterina Guzzanti), e il musical tende ad assumere l’andamento di una appassionante storia d’amore. A lieto fine? «La conclusione del nostro spettacolo sarà insieme simile e molto diversa da quella di Voltaire», sorride Liberovici: «Certo è che non ci lasciamo travolgere dal pessimismo e quel finale sarà per molti spettatori sorprendente». Il pubblico, appunto: quale commento vi piacerebbe ascoltare da chi esce da teatro dopo di aver assistito al vostro Candido? «Sono nati i nuovi Garinei e Giovannini», scherza il regista-musicista; mentre il romanziere già classificato tra i “cannibali” accetta di ricoprire il ruolo del serio della coppia e aggiunge: «Mi piacerebbe che gli spettatori uscissero divertiti dalla sala, dopo di aver assistito alla rappresentazione di Candido, ma anche avvertendo come sottofondo di questa sana dimensione ludica quel senso di disagio ben espresso dalla frase più ricorrente nelle ultime opere di Samuel Beckett: “Qui c’è qualcosa che non va”. Perché proprio questo, credo, il nostro spettacolo descrive: disagio per il mondo della comunicazione contemporanea, per le forme dominanti della nostra quotidianità». Ovviamente, sempre con un sorriso e con quel gusto epico per la divagazione che ben si addice a un “soap opera musical”. A. V. “Candido” alla facoltà di Architettura 20 maggio ore 16 nell’aula delle Tesi incontro con i protagonisti dello spettacolo. L’incontro è organizzato in collaborazione con il professor Brunetto De Batté. Ingresso libero. VI Settimana della Cultura 24 / 30 maggio 2004 Per il sesto anno consecutivo il Teatro Stabile di Genova partecipa con un proprio calendario di attività alla “Settimana della Cultura” promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali con lo slogan «La Cultura è uno spazio aperto». 24 maggio Teatro della Corte ore 20.30 Prova aperta di Aiace di Sofocle a seguire dibattito con il regista Marco Sciaccaluga e gli attori dell’Esercitazione 27 maggio Foyer Teatro della Corte ore 17.30 Incontro/dibattito con gli autori ed gli interpreti di Candido - Soap opera musical di Andrea Liberovici e Aldo Nove da Voltaire incontro organizzato da Provincia di Genova, Associazione Amici del Teatro Stabile di Genova in collaborazione con lo Stabile 30 maggio Teatro della Corte ore 10.30 Visita guidata al teatro 18/30 maggio Candido: riduzione biglietto (9 €) ai giovani entro i 26 anni per tutte le rappresentazioni TGE22704_GiornaleN°16 4 5-05-2004 15:43 Pagina 4 Mises en espace - Esercitazione alla Piccola Corte A fianco degli spettacoli allestiti alla Corte e al Duse con registi internazionali, grandi attori e collaboratori artistici di alto livello, il Teatro di Genova dedica ogni anno una particolare attenzione alla drammaturgia contemporanea, proponendo una rassegna di “mises en espace” intese come sperimentazione non solo di nuovi autori, ma anche di nuovi interpreti (registi e attori) e di un diverso rapporto con il pubblico. Ideata nel 1996 da Carlo Repetti, la rassegna delle “mises en espace” è giunta ormai alla nona edizione consecutiva ed è andata crescendo d’importanza e di durata nel corso degli anni, anche avvalendosi della collaborazione del Goethe Institut, del Centre Culturel Franco-Italien “Galliera”, del British Council, dell’Uni- versità di Genova e del Museo-Biblioteca dell’Attore. Le “mises en espace” del Teatro di Genova hanno permesso di conoscere numerose opere della drammaturgia contemporanea nazionale e internazionale (con quest’anno saranno complessivamente ventotto), favorendo per alcune di queste (ad esempio, “La bella regina di Leenane”, “Der Totmacher”, “Mojo Mickybo”) il passaggio a una vera e propria messa in scena con autonoma vita sui palcoscenici italiani. Quest’anno l’attenzione si è concentrata sulle drammaturgie italiana, spagnola e irlandese. Al fine soprattutto di favorire la partecipazione di un pubblico giovanile e grazie alla collaborazione della Banca Carige, tutte le “mises en espace” vengono proposte a ingresso libero. Sguardi sul teatro contemporaneo PICCOLA CORTE PICCOLA CORTE 8 / 12 giugno 15 / 19 giugno PICCOLA CORTE 22 / 26 giugno Strade / Corridoi La riga nei capelli di William Holden Eden di Sonia Arienta di José Sanchís Sinisterra di Eugene O’Brien regia di Riccardo Bellandi con Roberta Andreoni,Eva Cambiale, Sara Cianfriglia, Viviana Mattei regia di Massimo Mesciulam con Massimo Cagnina, Giselle Martino, Andrea Nicolini regia di Alberto Giusta con Alberto Giusta e Orietta Notari Rosa, Maria, Piera e Ornella sono quattro donne emarginate, forse degenti di un ospedale psichiatrico, forse prostitute ferme su di una tangenziale che rivivono e inscenano all’improvviso flashback della loro esperienza e dei loro traumi, scambiandosi i ruoli in vorticose metamorfosi, che ruotano attorno ai temi di difficili rapporti famigliari e tra uomo-donna. Entrambi i gruppi in cui si alternano le protagoniste (le pazze e le prostitute) sono alla ricerca di una tranquilla normalità; tuttavia gli sforzi, tesi a rendere vivibile e docile la loro esistenza, sono destinati a essere squassati dai loro stessi conflitti interiori, dovuti alle devastanti esperienze subite. Ogni personaggio (e il suo opposto) racconta la sua storia dando vita a episodi che riportano in superficie le porzioni di vissuto traumatiche, dimensioni oniriche e illusorie nelle quali si compiacciono di calarsi; e neanche il tragico evento che avviene poco prima del finale riesce a scuotere la diffidenza ad accettare la realtà cruda. La linea di fondo che guida le varie puntate-scene si individua nel perbenismo piccolo borghese che istiga le “matte” a nutrire una profonda ostilità nei confronti di chi diventa “una di quelle”, e nel terrore speculare mostrato dalle prostitute nei confronti della follia. Una riflessione sul tempo, sul cinema e sulla complessità delle relazioni umane. La romantica storia di un incontro “impossibile” tra due anime inquiete, alla presenza di un vecchio cieco con il ruolo di testimone, forse di destino. Esteban e Catalina s’incontrano in un cinema deserto di periferia. In attesa che il film abbia inizio, i due iniziano a parlare, dando vita a un mondo complesso dove realtà e simbolo continuamente si mescolano. Le citazioni di film abbondano. Lentamente, si fa strada l’idea che tra quel marinaio cinquantenne e quella eccentrica ragazza esista un rapporto che viene da lontano. Forse sono padre e figlia; ma forse è vero invece che, come in un sogno, Esteban, novello Ulisse, ritrova in quello squallido cinema la sua Penelope, dopo trent’anni di vagare per il mare. Tutto quel che accade è insieme molto concreto e, nello stesso tempo, portatore di possibili valenze metaforiche. Il dramma si mescola continuamente al comico, sino alla farsa; per chiudersi sui romantici fotogrammi di un film avventuroso di Raoul Walsh. La vita che si fa teatro e il tempo che si cristallizza nella memoria cinematografica. Beckett che s’incontra con Buñuel, sullo sfondo di una scrittura che mescola parodia e sentimento, gioco e pensiero. Week-end in una cittadina irlandese: birra, alcool, sesso e sogni impossibili di felicità o di riscatto esistenziale. Tutto viene raccontato attraverso i monologhi incrociati di due trentenni. Billy e Brenda sono marito e moglie. Si sono incontrati in una sala da ballo, si sono amati e hanno avuto due figlie. Poi lei è precipitata nella bulimia, dalla quale è appena uscita dopo una intensa cura dimagrante. È la fine di una settimana che s’immagina piena di frustrazioni. Ora lui sogna di conquistare la bella Imelda, soprattutto per dimostrare agli amici, e a se stesso, di non essere un fallito; mentre lei, che torna dopo tanto tempo ai riti del sabato sera, vagheggia la speranza di rivivere con il marito il bel tempo passato. Attraverso i monologhi dei due protagonisti, Eugene O’Brien dà realtà teatrale non solo ai sentimenti e alle psicologie individuali, ma anche agli ambienti e a numerosi personaggi. I pub avvolti di fumo e di musica frastornante, la gelosia di Billy per i successi di Tony, detto “l’uomo col flauto dorato”, le amiche di Brenda e le passioni di Evonne, la malinconica solitudine del venditore di tappeti erbosi. Quotidianità cruda e ricca di variazioni narrative, con sorpresa finale; ma anche teatralissima metafora di una universale condizione etica e sociale. Sonia Arienta nasce nel 1970 e compie studi di Lettere moderne e di Scenografia a Milano, città dove vive ancora oggi. Dopo un apprendistato in Italia e all’estero, avvia una propria carriera di regista/scenografa/costumista, collaborando con alcuni importanti teatri di lirica e di prosa. Coltiva interessi saggistici in ambito di sociologia musicale, cui desidera affiancare una produzione drammaturgica sia in ambito di teatro di prosa, sia come librettista. Strade/Corridoi è da considerare il suo debutto come autrice di un testo esclusivamente teatrale. José Sanchís Sinisterra nasce a Valencia nel 1940. Attivo nel campo teatrale sin dagli anni ‘60 è molto noto in patria, ma quasi sconosciuto in Italia, dove viene periodicamente per tenere corsi di drammaturgia teatrale. Regista e direttore di teatro è autore di opere che sanno sempre ben coniugare la tradizione con la contemporaneità. I temi affrontati vanno dalla storia antica (Trilogia americana) alla moderna (Ay Carmela!), dall’influenza di Beckett alla più radicale originalità. La riga nei capelli di William Holden parla di cinema come El lector por horas di letteratura. Eugene O’Brien è attore teatrale e cinematografico, oltre che uno dei molti giovani drammaturghi irlandesi cresciuti intorno e all’interno dell’Abbey Theatre di Dublino. Prima del grande successo di Eden, messo in scena nel gennaio 2001 da Conor McPherson, O’Brien ha scritto due monologhi (America 87 e Checking for Squirrels) e co-firmato la sceneggiatura di alcuni cortometraggi. Rappresentato a Dublino e a Londra, Eden ha vinto numerosi premi, tra i quali lo Stewart Parker Award 2001 e quello della migliore novità al The Irish Times/ESB Theatre Award 2001. Esercitazione su “Aiace”: un classico per i giovani Le “esercitazioni” su testi classici sono una componente significativa del lavoro produttivo del Teatro di Genova. Nate dalla finalità didattica di evidenziare il lavoro teatrale nel suo farsi e la complessità dei rapporti che in ogni allestimento scenico si stabilisce tra il testo e gli attori chiamati a interpretarlo, le “esercitazioni” si rivolgono innanzitutto agli spettatori più giovani, ma si aprono anche a un pubblico più vasto per la loro componente sperimentale di ipotesi di messa in scena. Dopo “Elena” di Euripide, Marco Sciaccaluga torna a cimentarsi con un classico del teatro greco, individuando nella grande tragedia di Sofocle materia ideale per una sua messa in scena in forma di laboratorio aperto, nel quale i giovani neodiplomati della Scuola di Recitazione dello Stabile recitano insieme a tre attori professionisti: Fiammetta Bellone, Massimo Mesciulam, Paolo Serra. OTELLO e AMLETO di William Shakespeare regie di Alberto Giusta e Antonio Zavatteri Rappresentazioni a ingresso libero: tutte le sere ore 20.30; 26 / 27 / 28 maggio anche alle ore 11.00 «La morte è povera cosa, ma chiude una ferita mortale». Questo famoso verso shakespeariano ben figurerebbe a conclusione della tragedia terrena di Aiace. La vita non sarebbe che una più o meno lenta agonia: lo spurgare di una ferita che fatalmente porterà alla morte. La morte non sarà gran cosa, non sarà forse la porta verso un dopo, un oltre che darà improvvisamente senso e significato al tutto, ma avrà per lo meno il merito di concludere questa insensata malattia che è l’esistenza. Il suicidio di Aiace, ancor prima di essere il gesto di un eroe (negativo?) che cerca nell’autodistruzione una forma estrema di vendetta su chi l’ha tradito, sui Greci che gli hanno rubato le armi di Achille e sugli dèi che gli hanno indotto la follia facendogli scambiare tori e vacche per gli Atridi, contiene questa maggio / giugno 2004 P i c c o l a C o r t e X2 5 / 2 9 m a g g i o Aiace di Sofocle adattamento e regia Marco Sciaccaluga personaggi e interpreti Atena in ordine di apparizione Giselle Martino Cristina Pasino Giulia Ragni Paolo Serra Massimo Mesciulam Fiammetta Bellone Massimo Cagnina Luca Giordana Alex Sassatelli Matteo Alfonso Tommaso Benvenuti Tarek Chebib Antonio Lombardi Odisseo Aiace Tecmessa Messaggero Teucro Menelao Coro inconscia speranza: chiudere una ferita, tacitare per sempre l’angoscia, riposare. Ma il suo atto non risolverà nulla. Chi gli sopravvive (la moglie schiava, il figlioletto, il fratello, i suoi seguaci) riceve in dono un’eredità di dolore, un’ulteriore insensatezza, così genialmente raccontata da Sofocle nello scontro finale dei suoi contro i capi greci mobilitati a impedire la sua sepoltura. Anche in uno sguardo così provocatoriamente laico sulla morte, per tutti noi c’è un oltre anche senza aldilà, il premio o la punizione non sono un problema divino, ma il peso e la responsabilità di chi ci sopravvive. Seppellire o meno il corpo di un traditore suicida, di un assassino di capre non mette tanto in gioco il contrasto fra punizione e perdono, quanto ricorda infallibilmente alla nostra specie che il tempo per morire e il tempo per vivere sono la stessa cosa. Che seppellire un uomo è accettare che le ferite vanno rimarginate dalla consapevolezza degli uomini. In attesa della saggezza e della fine di questa eterna guerra di Troia… Marco Sciaccaluga PICCOLA CORTE 3 / 6 giugno Due Shakespeare in un solo spettacolo, due classici messi in scena da una compagnia di giovani che ha rapporti molto stretti con il Teatro Stabile di Genova, alla cui Scuola di Recitazione quasi tutti i suoi componenti si sono formati. Nessuna dissacrazione o contaminazione forzata. Otello e Amleto vengono proposti nella loro struttura narrativa e drammaturgica originaria, dando origine a un dittico formato da spettacoli autonomi, resi però complementari dalla compresenza di molti attori e, soprattutto, dalla stessa idea di teatro che ha guidato la loro messa in scena. Spazio scenico nudo, la parola e gli attori. Molto scespiriano. Orari Particolari Per agevolare la partecipazione del pubblico, giovedì 3, venerdì 4 e sabato 5 giugno Amleto (durata un’ora e 50 minuti) sarà rappresentato con inizio alle ore 19.00 e Otello (durata un’ora e 15 minuti) alle ore 22.00. Nell’intervallo, gli spettatori che lo desiderano potranno usufruire della possibilità di cenare presso il bar del Teatro con un menù a prezzo speciale. Domenica 6 giugno, lo spettacolo inizierà regolarmente alle 16.00 con un intervallo di circa 20 minuti. TGE22704_GiornaleN°16 5-05-2004 15:43 Pagina 5 Foyer 5 “SURFACE”: VIDEOARTE ALLA CORTE S E M I N A R I " C O N O S C E R E I L T E AT R O " Nel corso della Stagione 2003-2004, il Teatro di Genova ha organizzato in 13 scuole della Liguria Seminari intesi a fornire ai giovani i fondamentali strumenti tecnici e culturali necessari per diventare spettatori teatrali consapevoli. Per la conduzione di questi Seminari, il Teatro di Genova si è avvalso della collaborazione, in qualità di docenti, di Sandro Baldacci e Mauro Pirovano. Sul tema di “Saper vedere il Teatro” sono stati organizzati anche due Seminari per Professori, uno per la CGIL e uno per il CRAL REGIONE. Le scuole che, tramite i loro referenti, hanno aderito alla proposta dello Stabile di Genova sono state le seguenti: ISTITUTO SUPERIORE C. BARLETTI PASCAL - OVADA (Prof.ssa Emanuela Palazzo) ISTITUTO CHAMPAGNAT (Prof.ssa Laura Scursatone) LICEO CLASSICO D’ORIA (Prof.ssa Carla Caroggio) LICEO LINGUISTICO DELEDDA (Prof.ssa Laura Cervellini) ISTITUTO S. MARIA AD NIVES (Suor Virgilia) SCUOLA ELEMENTARE DE ANDRE’ (Prof.ssa Mariangela Montaldo) ISTITUTO PROFESSIONALE MARSANO (Prof.ssa Caterina Gallamini) ISTITUTO FIRPO BUONARROTI (Prof.ssa Domenica Vittori) LICEO CLASSICO COLOMBO (Prof.ssa Patrizia Serra) SCUOLA MEDIA SARISSOLA (Prof.ssa Cappelletti) LICEO SCIENTIFICO CASSINI (Prof. Claudio Natali) ISTITUTO EMILIANI (Prof.ssa Alba Chicco) ISTITUTO CALASANZIO (Prof.ssa Laura Vozza) numero sedici • maggio / giugno duemilaquattro Edizioni Teatro di Genova, Piazza Borgo Pila 42, 16129 Genova. Presidente Avv. Giovanni Salvarezza • Direzione Carlo Repetti e Marco Sciaccaluga Direttore responsabile Aldo Viganò - Collaborazione Annamaria Coluccia Segretaria di redazione Monica Speziotto Autorizzazione del Tribunale di Genova n° 34 del 17/11/2000 Progetto grafico: www.firma.it • art: Bruna Arena, Genova (227/04) Stampa: Arti grafiche bicidi, Genova Ideato dal Centro della Creatività del Comune e dall’Accademia delle Belle Arti, in collaborazione con il Teatro Stabile di Genova, il progetto Surface, prevedeva due fasi di realizzazione: la prima consistente nella visione e selezione dei video-art inviati dai singoli autori liberamente invitati a partecipare con le loro opere realizzate negli ultimi anni; la seconda nella proiezione sulla parete esterna del Teatro della Corte dei video selezionati e nella possibilità, nel corso della settimana precedente l’evento, di vedere su appositi monitor collocati nel Foyer della Corte tutti i video partecipanti al concorso. La prima fase ha portato alla selezione - da parte di una commissione composta da Rosetta Marzola del Centro della Creatività, Cesare Viel dell’Accademia di Belle arti, Aldo Viganò del Teatro Stabile di Genova di cinque opere ritenute particolarmente meritevoli; mentre la seconda avrà il suo culmine nei giorni 3, 4 e 5 giugno. Nelle sere di quei giorni, infatti, dalle ore 21 in poi, saranno proiettati sulla facciata della Corte prospiciente i giardini di piazza Verdi i cinque video vincitori, che insieme agli altri potranno essere visti nel foyer della Corte per tutta la settimana precedente. 1) Una morte nostalgica di Cesare Bignotti e Matteo Forlì. La morte, rappresentata da uno scheletro, si trova a ricordare quanto le è più lontano, la vita. Immerso nelle tenebre, lo scheletro decide di ritornare alla vita, aprendo un varco, tra il mondo del buio e quello dei vivi. 2) Respiri di Francesco Arena. Alcune bocche di ragazze vengono riprese a inquadratura fissa davanti a una lastra di vetro e in questa loro performance denunciano ben altro che un bisogno fisiologico: affiorano insicurezze, bisogni, emotività nascoste. 3) Rebirtthing, I love to see corpicrudi, Pop di Samantha Cavagnaro. Trittico sulla precarietà della condizione umana e dello sguardo che tende a coglierne l’essenza. Corpi e azioni nello spazio alla ricerca di un difficile equilibrio. 4) AnnAcube di Francesca Capra. Anna è la storia di un incontro (in tre remake) che, come tanti altri, non va a buon fine. L’unico particolare è che il protagonista si innamora di un manichino, lo vede, lo corteggia, gli offre dei fiori, ma il suo cuore è già impegnato... 5) Sea Fx di Ugo Nuzzo. Un video sperimentale in fase di ultimazione: diversi aspetti e giochi sul movimento delle onde del mare, immagini artistiche naturali che catturano riflessi, colori, movimenti dell’acqua in differenti momenti, dalla calma al mare in burrasca. HELLZAPOPPIN PROGRAMMA Giovedì 6 maggio ore 19.15 Musica a teatro: concerto per violino, archi e contrabbasso musiche di J.S. Bach e B. Bartok a cura del Conservatorio Musicale “Niccolò Paganini” Mercoledì 12 maggio ore 17.30 Intorno a Candido di Andrea Liberovici e Aldo Nove da Voltaire relatori: Giorgio Bertone e Pier Luigi Pinelli in collaborazione con la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Genova Venerdì 14 maggio ore 17.30 Alchimia del verso: La città dei poeti Voci poetiche del passato e del presente di una capitale culturale in collaborazione con il Circolo Viaggiatori del Tempo Giovedì 20 maggio ore 19.15 Musica a teatro: concerto per violino musiche di J.S. Bach, J. Dowland, F.J. Haydn, P. Rode, J. Schenk, N. Vallet a cura del Conservatorio Musicale “Niccolò Paganini” I N G R E S S O L I B E R SCUOLA DI RECITAZIONE AUDIZIONI PER ATTORI Le prove di selezione per il primo anno del Corso di Qualificazione della Scuola di Recitazione dello Stabile si terranno a Genova, a partire da lunedì 21 giugno 2004, ore 10.00, presso il Teatro Duse, via Bacigalupo, n° 6. Requisiti per l’ammissione alla prova: ■ età minima 18 anni compiuti ■ diploma di Scuola Media Superiore ■ essere disoccupato Per iscriversi all’audizione telefonare al numero 010.5342212 dal 7 al 16 giugno, dalle 10 alle 13 (sabato 12 e domenica 13 esclusi). Per ulteriori informazioni rivolgersi alla Segreteria della Scuola: telefono 010.5342212 / fax 010.5342514 e-mail: [email protected] Senza ERG all’energia mancherebbe qualcosa. maggio / giugno 2004 O TGE22704_GiornaleN°16 5-05-2004 15:43 Pagina 6 Teatro in Germania 6 Germania: dal teatro di regia alla “rivoluzione” dei giovani drammaturghi Dopo la Francia e l’Inghilterra, protagoniste delle due puntate precedenti di questa rubrica di «Palcoscenico & Foyer», il viaggio tra i palcoscenici delle maggiori realtà teatrali europee giunge in Germania. Con particolare attenzione ai fermenti dei giovani registi e alla nuova drammaturgia, il “drama- turg” Andreas Beck traccia un profilo appassionato dei processi di rinnovamento in atto sui palcoscenici di lingua tedesca. Laureato al Dams di Bologna e già “dramaturg” in vari teatri tedeschi, ultimo dei quali lo Schauspielhaus d’Amburgo, Andreas Beck lavora attualmente al Burgtheater di Vienna. REGISTI-AUTORI PER UNANUOVASFIDA Il teatro in Germania è fortemente segnato dall’impronta del regista, quindi dal suo intervento sul testo e dalla sua interpretazione. Oggi non tutti, spettatori e critici, danno una valutazione positiva di tale realtà. Attualmente si sta inasprendo sempre più il dibattito che vorrebbe distinguere il buon teatro di regia da quello cattivo. Ma il problema è mal posto. Diciamo così: il teatro di regia degli anni Cinquanta e dei primi anni Sessanta - cito tra i suoi rappresentanti più significativi Fritz Kortner, volgimento dell’autore nel processo di produzione, la ricerca di drammi d’attualità, la realizzazione di spettacoli su materiali non immediatamente teatrali: racconti o romanzi, documenti storici o biografici, collage. Vengono sperimentate nuove forme di rappresentazione: soap-opera teatrali, teatro a puntate e abbozzi di testi teatrali dalla struttura aperta, spesso improvvisati. Come riporta il quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, l’accusa più sovente mossa a questa giovane generazione di registi è Bettina Stucky, Melanie Wandel, Altea Garrido, Olivia Grigolli in Goldenes Zeitalter di Christoph Marthaler, Meg Stuart e Stefan Pucher Rudolf Noelte, Jürgen Fehling, Gustaf Gründgens - fu rovesciato dai giovani registi della generazione “politica” del ‘68 e molti di questi registi divennero potenti direttori di teatro. Solo alcuni nomi: Claus Peymann, Klaus Grüber, Peter Zadek, Jürgen Flimm, Peter Stein. E al “parricidio” dei registi, si accompagnò anche un ricambio generazionale nell’ambito della critica. Da un po’ di tempo, però, una nuova generazione di registi si sta affermando a Stoccarda, Basilea, Francoforte, Berlino, Zurigo, Hannover, Amburgo e Vienna, rispecchiando con la sua interpretazione - sia dei classici, sia dei giovani autori - un nuovo gusto per la vita, considerato meglio conforme ai tempi. Caratteristiche operative di questa nuova generazione sono la riscoperta del coin- maggio / giugno 2004 Der Würgeengel di Karst Woudstras con la regia di Thomas Ostermeier stessi e la loro epoca soprattutto nei classici, trasformati in contemporanei dalla loro regia. Questo processo, che trovò in Franz Castorf il suo (ultimo) maestro, fu, però, a un certo punto, spinto all’estremo. E la generazione seguente, quella oggi accusata di preferire il gesto alla parola, non ha voluto né potuto inserirsi dentro a questa idea di teatro di regia, preferendo invece riscoprire il ruolo dell’autore teatrale. Da qui, la sollecitazione di una nuova drammaturgia, di soggetti attuali, di un autentico cambio generazionale. Grazie a loro è nata e ha potuto imporsi una nuova generazione di autori Caroline Peters (al centro) in Splatterboulevard di René Polleschs che tendono a prediligere il gesto alla parola, la corporeità al testo. In realtà, secondo me, le cose stanno diversamente. I padri putativi del teatro tedesco di regia (quindi la generazione che oggi ha circa 60 anni) tendevano a rispecchiare se teatrali: Martin Kusej, Stephan Kimmig, Nicolas Stemann, Michael Thalheimer, Stefan Pucher, Stefan Bachmann, Amélie Niermeyer, Barbara Frey, Thomas Ostermeier, Cristiane Pohle, Sebastian Nübling, Christina Paulhofer, ecc. Il successo è stato notevole, tanto che oggi è possibile vedere su tutto il territorio di lingua tedesca spettacoli scritti e messi in scena da giovani. E non solo nelle città di grande tradizione teatrale come Berlino, Vienna, Zurigo, Monaco, Amburgo, Hannover e Stoccarda; ma anche in centri minori quali Bochum, Jena, Dresda, Basilea, Lucerna, Graz, Mannheim. È vero che la generazione precedente di registi aveva come propri compagni di strada grandi autori quali Heiner Müller, Botho Strauß, Peter Handke, Thomas Bernhard (gli ultimi due, a dire il vero, sono austriaci), ma, benché importanti e grandiosi, questi autori sono isolati, quasi monolitici, in un’epoca dominata dai classici, rivisitati e letti con moderna attenzione. Così come Frank Castorf rappresenta il punto di svolta nel teatro di regia, ugualmente deve essere individuato nell’austriaco Werner Schwab, prematuramente scomparso dieci anni fa, il principale riferimento per la nascita del dramma contemporaneo. È con lui, infatti, che la drammaturgia in lingua tedesca si trasforma. Come? In maggio e in giugno - cioè, nei mesi dei festival teatrali - si svolgono nel mondo germanico le grandi manifestazioni che coinvolgono i nuovi autori teatrali: lo “Stückemarkt” di Heidelberg, lo “Stückemarkt” del “Theatertreffen” di Berlino, i “Mühlheimer Theatertage”, gli “Autorentheatertage” ad Am- burgo e i “Werkstattage” di Vienna. Scopo di tali manifestazioni è di offrire un momento di incontro e confronto - serrato, ma rispettoso; critico e radicale, ma creativo - tra autori e testi, registi e attori. Molte di queste manifestazioni non presentano spettacoli compiuti, ma messe in scena in forma di laboratori, affinché anche l’autore diventi una figura centrale, evitando la sua subordinazione al regista. Si tratta di un nuovo metodo di lavoro, che viene qui sperimentato sulla scia di alcuni esempi anglosassoni, secondo il principio del workshop- scrivono per sé e per altri, rappresentano una generazione di autori e registi del tutto nuova. E René Pollesch è stato colui che, senza dubbio, ha maggiormente determinato e influenzato il teatro di lingua tedesca negli ultimi due anni. Ancora due anni fa, egli era considerato un enfant terrible, tanto che la decisione di assegnargli il Premio per la Drammaturgia al Festival di Mühlheim nel 2001 fu accompagnato da accese proteste. Ma già poco dopo i contrasti si appianarono, quando, nel 2002, egli fu dichiarato miglior drammaturgo Stefan Hunstein e Sunnyi Melles in Zio Vania rivisitato da Barbara Freys ping. Giovani autori e registi si conoscono in un nuovo contesto di lavoro e imparano ad aver fiducia reciproca. In tal modo si dà nuova vita a un’antica discussione: che cosa è la drammaturgia e che cosa è drammatico? Perché è un dato di fatto che un canone per la definizione di questo genere letterario non esiste più. In questo ambito di continua promozione di nuovi autori ha in Germania sovente un ruolo importante anche il dramaturg, mentre accade sempre più di frequente che il ruolo del regista e quello dell’autore vadano confondendosi per il bene del teatro. Basti citare il regista Petras, che scrive utilizzando lo pseudonimo Fritz Kater; e, accanto a lui, registi-autori quali Igor Bauersima, Falk Richter e René Pollesch. Tutti questi uomini di teatro, che dell’anno. Con Pollesch e con gli altri registi-autori citati appare all’orizzonte del teatro tedesco una generazione che porta nel teatro una svolta analoga a quella che nel cinema degli anni Sessanta ha comportato l’avvento dei “cineasti-autori”: da costoro proviene un nuovo forte impulso, anche perché la componente propriamente artistica si unisce inscindibilmente in loro con quella concretamente produttiva, dando vita a una forma esemplare di impresa individuale che, non solo ben s’addice al modello produttivo fermamente e insistentemente promosso dal governo tedesco, ma soprattutto fa ben pensare che il teatro tedesco del XXI secolo continuerà a essere appassionante. Andreas Beck traduzione di Roberta Canu TGE22704_GiornaleN°16 5-05-2004 15:43 Pagina 7 I mestieri del teatro 7 I mestieri del teatro: incontro con Maurizio Taverna e Angelo Palladino, capo macchinisti del Teatro Stabile di Genova I “motori” della scena È dedicata ai macchinisti l’ultima (almeno per questa stagione) puntata del nostro itinerario alla scoperta delle attività che si svolgono dietro le quinte del palcoscenico. Protagonisti sono i due capo macchinisti del Teatro Stabile di Genova: Maurizio Taverna e Angelo Palladino. Taverna ha sempre lavorato allo Stabile, dove iniziò una quindicina di anni fa come attrezzista. In questa stagione è stato impegnato nella tournée di “Madre Courage e i suoi figli” e negli allestimenti di “Lotta di negro e cani”, “Il tenente di Inishmore” e “L’alchimista”. Palladino, invece, è alla sua seconda stagione allo Stabile, ma ha alle spalle una lunga carriera, iniziata nel 1977 a Foggia, sua città natale, come tecnico “tuttofare” in cooperative teatrali, e proseguita poi con diverse produzioni, pubbliche e private: fra le altre Teatro Stabile di Torino, Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Plexus. In questa stagione ha lavorato nella lunga tournée del “Cerchio di gesso del Caucaso” ed è impegnato nell’allestimento di “Candido”. Conoscono tutti i segreti della scena ma non vedono mai, o quasi mai, l’effetto che fa con gli occhi degli spettatori. I macchinisti, maestri nell’arte di costruire, cambiare, montare e smontare le scene di uno spettacolo teatrale, di solito devono accontentarsi di qualche fugace occhiata di sguincio da dietro le quinte. «Io non vedo mai gli spettacoli in cui ho lavorato dalla sala, perché devo stare dietro per seguire i cambi di scena, controllare carriera, Palladino ricorda quello con il regista Luca Ronconi allo Stabile di Torino: «È stata un’esperienza fondamentale sia dal punto di vista professionale che umano» racconta. «Ricordo in particolare l’allestimento di Gli ultimi giorni dell’umanità, perché in quell’occasione capii che testa ha Ronconi. Erano i primi tempi in cui s’iniziavano a usare i computer a teatro e lui chiamò per collaborare all’allestimento un disegnatore “Cad”. Ronconi sosteneva che un determinato movimento di scena si potesse fare, mentre io e gli altri macchinisti dicevamo che non si poteva fare. E, invece, ci dimostrò che aveva ragione lui… Ha davvero una razionalità eccezionale». La necessità di affrontare, per ogni spettacolo, problemi nuovi e imprevisti e la complessità di una scenografia, richiede al macchinista anche una serie di conoscenze e di Maurizio Taverna sul palcoscenico di L’alchimista che tutto funzioni ed essere pronto a intervenire se c’è qualche inconveniente. Poi, di solito guardo le registrazioni in video» spiega Maurizio Taverna, capo macchinista al Teatro Stabile di Genova. Angelo Palladino, pure lui capo macchinista allo Stabile, ogni tanto, però, una sbirciatina se la concede: «Se mi è possibile - racconta - cerco di andare almeno per qualche minuto in sala, ma una cosa che mi dispiace tanto è proprio il fatto di non riuscire mai a vedere gli spettacoli in cui lavoro: li vedo da dietro le quinte, ma non è la stessa cosa». Dal debutto in poi, il lavoro dei macchinisti, che è maggio / giugno 2004 fatto anche di fatica fisica, si svolge tutto nelle “retrovie”, a meno che non abbiano anche come spesso succede - il ruolo di comparsa in qualche scena. Quando lo spettacolo è ancora “in costruzione”, invece, l’impegno è molto più vario. «Quello dell’allestimento è il momento più interessante, perché è il più creativo ed è sempre diverso» concordano Taverna e Palladino. «Si lavora fianco a fianco con lo scenografo - spiega Taverna - e, quindi, è molto importante avere un buon rapporto di collaborazione. Ci sono scenografi che non si vedono quasi mai, perché mandano un loro collaboratore a seguire l’allestimento. Io, però, preferisco lavorare con quelli che sono presenti, perché mi posso confrontare direttamente. Una volta che ci sono le piante della scenografia si riportano le misure, si assemblano i pezzi e poi, quando la scena è montata, s’iniziano a fare le modifiche, per adattarla alle esigenze tecniche e artistiche, anche in base alle richieste del regista. Il capo macchinista coordina montaggio e smontaggio delle scene, verifica che queste operazioni siano fatte correttamente e che tutti i momenti scenici e i cambi di scena funzionino». In questa fase, però, può esserci anche un intervento creativo «perché sta a te trovare le soluzioni tecniche alle idee dello scenografo e tradurle praticamente nel giro di poco tempo» sottolinea Taverna. «Io ho lavorato spesso anche nella progettazione delle scenografie e quella dell’allestimento resta per me la parte più stimolante, quella che, all’inizio della mia carriera, mi ha dato le motivazioni per scegliere questo lavoro» racconta Palladino. «Credo che un macchinista debba sapere anche come si costruisce una scena perché questo lo fa crescere professionalmente e gli permette di dare un contributo creativo al suo lavoro. Anche nella routine della tournée, infatti, ha la possibilità di dare qualcosa di suo, sia come esperienza che come inventiva. L’anno scorso, per esempio, per la tournée del Cerchio di gesso del Caucaso, ho progettato il ponte tibetano a cannocchiale che si può chiudere, perché siamo andati in teatri molto piccoli e serviva una soluzione scenografica di questo tipo». Durante le tournée, infatti, la sfida con cui deve misurarsi il capo macchinista è proprio quella di trovare le soluzioni tecniche migliori per adattare la scena ai diversi teatri. «Uno spettacolo viene costruito in base alle esigenze e agli spazi del teatro in cui si allestisce ma non tutti i teatri hanno le stesse dimensioni - spiega Taverna - e, quindi, il compito del capo macchinista è quello di riuscire a montare la scena nello spazio di cui dispone, senza penalizzare lo spettacolo. A volte si va, però, in teatri che non possono contenere quella scena e allora può capitare che il risultato sia un po’ “sporco”, non soddisfacente dal punto di vista professionale. Mi è successo, per esempio, durante la tournée di La dame de chez Maxim, perché aveva una scena molto difficile da montare in altri teatri». Fra gli allestimenti che gli hanno dato particolare soddisfazione, invece, Taverna ricorda quelli preparati con lo scenografo Jean-Marc Stehlé e con il regista Benno Besson per Tuttosà e Chebestia e Mille franchi di ricompensa: «Erano due spettacoli con scenografie molto complesse ma il risultato finale era davvero buono» spiega. «Io sono soddisfatto - racconta Palladino - quando tutto funziona, quando si riesce a rendere lo spettacolo nella sua complessità e, oltre a “funzionare”, lo spettacolo è anche bello. Con il Cerchio di gesso del Caucaso, per esempio, abbiamo avuto grosse soddisfazioni: c’erano attori molto bravi e c’era fra di noi un grosso feeling». Fra gli incontri importanti della sua lunga Angelo Palladino competenze diverse. «Avere, per esempio, nozioni minime di falegnameria è utile» osserva Taverna, che ha un diploma di ragioniere. «In questi anni c’è stata un’evoluzione del mestiere e, quindi, anche delle conoscenze. Così come sono cambiati i materiali utilizzati. Fino a qualche tempo fa, per esempio, si usavano legno, metalli, chiodi, adesso ci sono viti, avvitatori, ferro, alluminio, plastica e, soprattutto, i motori per spostare e sollevare parti della scena, mentre prima si utilizzavano soltanto le corde. Le corde si usano ancora, ma con i motori, ovviamente, si risparmiano tempo e fatica. Questo, comun- que - aggiunge - è un lavoro che s’impara soprattutto facendolo. Io prima ho fatto l’attrezzista e l’aiuto macchinista ma non c’è qualcuno che ti insegni davvero il mestiere: rubi un po’ da uno e un po’ dall’altro». A Palladino si sono rivelate utili una serie di nozioni tecniche imparate all’istituto per geometri, dove si era diplomato prima d’iniziare a lavorare in teatro, ma «in questo lavoro - sottolinea - serve soprattutto molta pazienza e poi bisogna avere l’umiltà di imparare dagli altri, anche dall’ultimo aiuto, perché tutti possono dare il proprio contributo». Il “maestro di teatro”, però, per lui è stato Carlo Tonarelli, “storico” direttore di scena della Plexus, l’impresa teatrale fondata da Lucio Ardenzi. «Tonarelli fu per più di vent’anni direttore di scena, soprattutto con Anna Proclemer e Giorgio Albertazzi - racconta - da lui ho imparato a stare in palcoscenico e a rapportarmi con gli altri. Nel 1981 mi chiamò per dirmi di andare a firmare il mio primo contratto da capo macchinista con la Plexus, per l’allestimento di Enrico IV con la regia di Antonio Calenda. Io avevo solo 24 anni: ricordo che mi presentai nell’ufficio della Plexus e che l’amministratore di allora mi guardò senza dirmi niente. Le sue uniche parole furono: “Se l’ha detto Carlo…; speriamo…”». Da allora Palladino ha lavorato in teatri diversi e anche al Festival dei due Mondi di Spoleto, dove, nel 1998, conobbe Andrea Liberovici, con il quale sta lavorando all’allestimento di Candido, ultima produzione dello Stabile per questa stagione. «Io ero uno dei capo macchinisti al Festival di Spoleto e un giorno mi chiamarono, con la mia squadra di allestimento, a San Nicolò, dove Liberovici stava provando Macbeth Remix» racconta. «Trovai una situazione di grande caos, però l’allestimento mi piacque e rimasi per tutto il tempo a dargli una mano con la mia squadra. Poi, alla ripresa dello spettacolo, Liberovici mi chiamò e, visto che ero libero, lavorai con lui nella tournée del Macbeth Remix». Qualche rammarico per il fatto di svolgere un lavoro “invisibile” agli occhi del pubblico? «Credo che gli spettatori siano comunque consapevoli di quello che avviene dietro le quinte - afferma Palladino - anche se forse sarebbe interessante mostrarlo anche a loro qualche volta, perché possano conoscere meglio la macchina teatrale». «Il lavoro dietro le quinte ha un suo fascino - commenta Taverna - anche se, quando racconto a qualcuno che non mi conosce che faccio il macchinista, capita che mi dica: “Ah, ma allora lavori in ferrovia…”». Annamaria Coluccia Angelo Palladino (nel cerchio) con i tecnici di Gli ultimi giorni dell’umanità TGE22704_GiornaleN°16 5-05-2004 15:43 Pagina 8 8 Saggio Scuola di Recitazione con gli allievi del primo anno del Corso di Qualificazione Monaco ‘32 due wolkstücke di Ödön von Horváth traduzione Umberto Gandini e Emilio Castellani regia Anna Laura Messeri musiche e canzoni a cura di Giovanni Dagnino luci e fonica a cura di Stefano Ciraulo Kasimir e Karoline Karoline Stefania Pascali • Kasimir Pier Luigi Pasino • Schürzinger Federico Ferrario •Franz Matteo Cremon •Erna Kati Markkanen • Rauch Fabrizio Careddu • Speer Daniele Gatti • Elli Barbara Moselli • Maria Fiorenza Pieri • L’imbonitore Marco Taddei • Juanita Fiorenza Pieri • Il lillipuziano Vito Saccinto • La donna cannone Barbara Moselli • L’uomo dalla testa di bulldog Tommaso Benvenuti • Il barista Vito Saccinto • 1° avventore Marco Taddei • 2° avventore Tommaso Benvenuti Elizabeth (Fede, speranza e carità) Elizabeth Barbara Moselli • Un poliziotto Tommaso Benvenuti • Il preparatore Fabrizio Careddu • Il preparatore capo Marco Taddei • Il barone in lutto Federico Ferrario • La Prandl Fiorenza Pieri • La moglie del pretore Kati Markkanen • Un invalido Vito Saccinto • Un assisitito Marco Taddei • Maria Stefania Pascali • Un ispettore Daniele Gatti • 2° poliziotto Marco Taddei • 3° poliziotto Matteo Cremon • Un ometto Vito Saccinto • Il salvatore Pier Luigi Pasino Teatro Duse da venerdì 18 a lunedì 21 giugno ore 20,30 INGRESSO LIBERO VIAGGIO AD ALGERI Gli allievi dello Stabile all’incontro delle Scuole di Teatro del Mediterraneo Quello che più li ha colpiti, e sorpresi, è l’ostinata e orgogliosa voglia di fare teatro che hanno scoperto nei loro giovani “colleghi” algerini, siriani, egiziani, quasi a dispetto di una realtà che, intorno, racconta soprattutto storie di povertà e di fatica di vivere. È il segno più forte che le cinque giornate trascorse ad Algeri hanno lasciato in Luca Giordana, Giulia Ragni, Tarek Chebib e Antonio Lombardi, allievi dell’ultimo anno della Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova. Dal 12 al 17 aprile hanno partecipato, insieme alla direttrice Anna Laura Messeri, alla quarta edizione dell’Incontro internazionale delle Scuole di Teatro del Mediterraneo, che si è svolta ad Algeri, appunto, organizzata dalla E.C.U.M.E. di Marsiglia. Per l’Italia c’era anche l’Accademia di Arte drammatica di Roma, mentre gli altri Paesi rappresentati, oltre all’Algeria, con la scuola statale della capitale, che ospitava l’evento, erano Spagna (Siviglia), Francia (Marsiglia), Grecia (Atene), Egitto (Il Cairo) e Siria (Damasco). Il programma prevedeva atelier, conferenze ed esibizioni degli studenti delle diverse scuole, ciascuna delle quali aveva preparato uno spettacolo: i ragazzi genovesi hanno proposto le loro interpretazioni teatrali di alcuni racconti di Cechov, applaudite, raccontano, con “cori da stadio”. Ma l’esperienza più nuova, per loro, è stata l’incontro con l’altra faccia del Mediterraneo, con i coetanei arabi che condividono il sogno del palcoscenico in una realtà completamente diversa. «La cosa che mi ha stupito di più - racconta Luca - è la voglia, l’entusiasmo, quasi l’urgenza che hanno di fare teatro e cultura in un contesto che certo non li favorisce». «È impressionante la gioia e la vitalità che hanno nel fare questo lavoro che contrasta tantissimo con le situazioni di povertà e di degrado che ci sono intorno» aggiunge Giulia. «Per loro è certamente più difficile che per noi poter frequentare una scuola di recitazione, innanzitutto perché ce ne sono poche osserva Tarek - e poi lì ci sono ancora, verso chi fa teatro, quei pregiudizi che erano diffusi anche in Italia fino a un po’ di tempo fa. Per fare questo lavoro devono avere, quindi, motivazioni più forti di noi. Ma sono anche molto legati e molto orgogliosi delle loro tradizioni culturali: sognano di venire a lavorare in Europa ma non vogliono uniformarsi alla cultura europea, vogliono conservare anche il loro patrimonio tradizionale, e hanno una grande voglia di farlo conoscere agli altri». Sebbene da queste tradizioni affiorino anche, di tanto in tanto, alcuni condizionamenti e pregiudizi culturali «visibili per esempio - spiega Luca - nei rapporti fra ragazzi e ragazze, oppure nel fatto che nella registrazione in video della Lisistrata, rappresentata dai ragazzi greci, fosse stata eliminata la scena più “audace”». «A me ha colpito molto - racconta Giulia - che, per esempio, c’invitassero a vedere quello su cui stavano lavorando, come se fosse uno spettacolo. Da noi non sarebbe spontaneo, mentre per loro è normale. Un ragazzo che studiava coreografia, per esempio, stava facendo una ricerca sul corpo e ci ha fatto vedere una serie di esercizi di espressione corporea che “raccontavano” diversi momenti della vita di un giovane algerino». «Dal punto di vista teatrale - afferma Luca - mi ha impressionato la loro coscienza del corpo, della fisicità, che è molto più forte della nostra». Un’altra differenza importante riguarda l’organizzazione dei corsi: «Nella scuola di Algeri - spiegano - ci sono quattro indirizzi: recitazione, scenografia, coreografia, critica teatrale, e, diversamente che da noi, all’inizio tutti studiano un po’ di tutto. La scuola, poi, è organizzata come un collegio, dove gli studenti mangiano e dormono e hanno accesso a tutte le strutture, aule e due anfiteatri, 24 ore su 24». «Avere così tanto tempo a disposizione per provare e stare insieme osserva Tarek - è sicuramente un fatto positivo e li aiuta anche a vivere senza frenesia, quasi in un contesto atemporale, oltre che a sviluppare lo spirito di gruppo: sono meno individualisti di noi, si aiutano di più». Annamaria Coluccia A6 3.0 TDI 165 kW/225 CV tiptronic quattro. Consumi max urbano/extraurbano/combinato (l/100 km): 12,0/6,5/8,5. Emissioni max CO2 (g/km): 229. All’avanguardia della tecnica. www.audi.it Nuova Audi A6. Seguire regole nuove. Per rompere le regole bisogna conoscerle bene. Ci vogliono anni di studi e di risultati. Come la trazione quattro®, le motorizzazioni TDI e FSI®, i cambi tiptronic e multitronic®. Risultati che sono solo i punti di partenza per la nuova Audi A6. Un’auto che utilizza materiali d’avanguardia come l’alluminio. 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