La parabola del grano e della zizzania è formata da una storia e da

IL GRANO E LA ZIZZANIA
Espose loro un'altra parabola, dicendo: "Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha
seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo
nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo
crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di
casa e gli dissero: "Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove
viene la zizzania?". Ed egli rispose loro: "Un nemico ha fatto questo!". E i servi gli
dissero: "Vuoi che andiamo a raccoglierla?". "No, rispose, perché non succeda che,
raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l'una e
l'altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai
mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano
invece riponételo nel mio granaio".
(Mt 13, 24-30)
La parabola del grano e della zizzania è formata da una storia e da un dialogo. La
storia prende avvio da una constatazione: con stupore i contadini si accorgono che nel
campo del padrone è cresciuta la zizzania, un’erba infestante e velenosa, che,
all’inizio, non si distingue dalle pianticelle di frumento, ma, poi, attecchisce così bene
che, strappandola, si sradica anche lo stesso grano. Il dialogo, invece, si articola in
due battute, a botta e risposta. Il centro della parabola sta nel dialogo, non nella storia.
Ma è la storia a provocare le due domande che i servi pongono al padrone.
La narrazione si distende su tre tempi: 1) il momento in cui avvengono le cose sulle
quali, poi, i servi e il padrone discorreranno; 2) il momento del dialogo, in cui il
padrone e i servi confrontano i loro rispettivi punti di vista; 3) il tempo futuro della
mietitura e del giudizio. Il primo tempo costituisce l’antefatto: nella struttura della
parabola rappresenta ciò che l’ascoltatore deve sapere, non ciò su cui deve fermare la
propria attenzione; questo primo momento, quindi, è del tutto funzionale al secondo.
Ma anche il terzo tempo è funzionale al secondo: il parabolista anticipa ciò che
accadrà non perché vuole che l’ascoltatore vi si concentri, ma per rendere accettabile
l’inatteso ordine del padrone. Il tempo centrale, sul quale la narrazione indugia,
costringendo l’ascoltatore a fare altrettanto, è dunque il secondo.
La presenza della zizzania nel campo di grano non è il tratto più inatteso del
racconto. Il padrone non ne è affatto sorpreso. In un ambiente contadino, come quello
palestinese, poteva accadere che un uomo, per vendetta, seminasse zizzania nel
campo del proprio nemico. I servi, però, da parte loro, si mostrano sorpresi, come
dimostra la loro prima domanda. Qui, infatti, non si tratta di un campo di grano
qualunque, ma della “figura” del Regno. Nella sua genericità, la domanda dei servi è
universale e antica quanto l’uomo: se Dio è buono, perché esiste il male nel mondo?
Collocata qui, poi, essa assume un senso tutto particolare: se il tempo messianico è
giunto, perché ancora il peccato nel mondo, persino nella comunità cristiana? Il
padrone risponde laconicamente alla domanda dei servi, limitandosi a discolparsi.
D’altra parte, per la Scrittura, la domanda più importante non riguarda l’origine del
male, ma il modo in cui vivere nella storia, dove coesistono bene e male. Il primo è
un problema teorico, il secondo è un problema pratico. La parabola indugia su
quest’ultimo.
Anche la conclusione, in cui si racconta l’esito della parabola, non contiene nulla di
sorprendete. Tuttavia vi si dice qualcosa di molto importante. La certezza della
separazione finale mostra che l’ordine del padrone di non separare fin d’ora il grano
dalla zizzania non rivela una sua indifferenza nei confronti del bene e del male. La
cernita futura è la prova che Dio prende sul serio l’uomo. Al tempo stesso, fa sì che la
Chiesa non sia una setta di puri, ma sia aperta a tutti. Ma, proprio per questo, è bene
che tutti conoscano per intero la storia del grano e della zizzania, anche se ora, di
fatto, ne scorgono solo un momento: la crescita del grano accanto alla zizzania. Il
padrone non nega la necessità della separazione, ma, al presente, dice che il suo
tempo non è ancora giunto e che il compito di separare non spetta agli uomini.
La novità della parabola sta nella seconda risposta del padrone, che ordina di non
strappare la zizzania, ma di lasciarla crescere insieme al grano. Il contadino
palestinese era solito sarchiare prima della mietitura, liberando il campo dalla erbacce.
Perché il padrone vuole diversamente? Contravvenendo alle attese dei farisei, degli
esseni e dei battisti, Gesù non prende le distanze dai peccatori, ma si fa accanto a loro
e li perdona. Tra i suoi discepoli, uno sarà un traditore e tutti saranno pronti ad
abbandonarlo. Si comprende, a questo punto, tutta la forza polemica della parabola.
C’è un netto contrasto fra il comportamento di Dio, paziente e tollerante, e la
rigidezza dell’uomo, che vuole eliminare il male, causando molto spesso effetti
peggiori. Anche la comunità cristiana, ieri come oggi, è tentata da questa stessa
rigidezza. La parabola la invita ad una tolleranza, che non è indifferenza, ma amore,
sullo stile di Gesù.
L’insegnamento fondamentale di questa parabola, dunque, è che il bene e il male
crescono insieme, in un intreccio che non sta all’uomo districare. Lo farà il Signore a
suo tempo. Tutta la vita di Gesù è stata una illustrazione di questa verità. Gesù ha
vissuto le parabole prima di raccontarle. In ogni suo atteggiamento ha incarnato la
divina pazienza, mostrando che, in questo tempo, nessun peccato sottrae
definitivamente l’uomo alla misericordia di Dio. Il male non è per la sconfitta del
bene, ma per la sua esaltazione, attraverso la misericordia.