MITI A NUDO La realtà oltre il martirologio Matteotti fuori Nonostante la mole di saggi usciti su Giacomo Matteotti, praticamente nessuno ha studiato il deputato socialista ucciso da una squadraccia nel 1924 al di fuori della vicenda criminale che l’ha riguardato. Chi ha approfondito invece il Matteotti politico, il Matteotti economista, il Matteotti uomo privato? L’autore di un nuovo saggio impietoso verso il martire socialista spiega per «Storia in Rete» la reale statura di una comparsa della politica italiana che una fine terribile trasformò post mortem in un protagonista di Enrico Tiozzo T ma ne è fisicamente lontano»), mentre il tono generale del libro rimane apologetico. Altre volte la dichiarata agiografia (pensiamo al celebre scritto di Piero Gobetti del 1° luglio 1924) svela, suo malgrado, alcuni elementi sconcertanti nella personalità di Matteotti: «un’apparente arroganza», «la difficoltà di conoscere le persone», «la difficoltà di comunicare, il disagio di esprimersi», «un’indifferenza per le opinioni correnti», «completa mancanza del senso dell’opportunità», ecc. In casi molto rari (pensiamo per esempio al libro del 2004 di Giuseppe Tamburrano, «Giacomo Matteotti. Storia di un doppio assassinio», UTET) si apre un minimo spiraglio, non già di critica ma di lievissima riserva, e soltanto su alcuni aspetti strettamente privati e caratteriali dell’uomo («Non ha una vera vita famigliare. [...] Ho notato che non riesce a essere vicino alla moglie nemmeno nei giorni dei parti. Ama i suoi figli: Ma si rimane nel campo degli aspetti biografici, sui quali – come su tutto ciò che riguarda il «privato» di Giacomo Matteotti – ha fatto chiarezza il lavoro di Gianpaolo Romanato («Un italiano diverso Giacomo Matteotti», Longanesi, 2011), che dichiara esplicitamente di non volersi occupare del delitto né di voler analizzare l’attività politica del deputato socialista, ma di avere come oggetto del libro «la sua vita, che conoscevamo molto meno». Lo studio di Romanato – impostato in modo solidamente oggettivo anche se talora un po’ generoso nei confronti di Matteotti – è venuto a colmare una lacuna, ma è inevitabile constatare come, negli ultimi 70 anni, sia stata tolta dalla circolazione in Italia ogni pagina davvero critica nei confronti di Matteotti, studiato soltanto come un puro eroe e un martire della libertà e sollevato quindi al di sopra di ogni possibile giudizio negativo che, in quanto tale, ra il 2014, in occasione del novantesimo anniversario della morte, e la prima metà del 2015 sono stati pubblicati in Italia sei nuovi libri su Giacomo Matteotti e sono stati riproposti in nuove edizioni alcuni studi classici sull’argomento (Gobetti, Arfè, Canali) a riprova del fatto che l’interesse per il segretario del PSU, vittima della violenza fascista il 10 giugno del 1924, non conosce flessioni. È ragionevole aspettarsi che entro il centenario dalla morte usciranno una cinquantina di nuovi titoli. La totalità degli studi disponibili fino ad oggi è contraddistinta da una caratteristica poco comune nel campo della ricerca storica, vale a dire quella di un atteggiamento volutamente acritico e pieno d’incondizionata ammirazione, se non spesso di aperta venerazione, nei confronti del personaggio studiato, della sua vicenda umana e del suo percorso politico. | STORIA IN RETE 40 Ottobre 2015 MITI A NUDO La realtà oltre il martirologio dall’agiografia Giacomo Matteotti (1885-1924) Ottobre 2015 | 41 STORIA IN RETE «Matteotti era a malapena un uomo così grande come adesso vogliono farlo apparire gli oppositori del Fascismo. - dichiarò Amendola - Era solo un dirigente di secondo piano nel partito socialista. Durante la guerra era comunista e offese l’esercito quando esso doveva combattere delle difficili battaglie. Sebbene milionario non aveva mai donato un soldo al partito» verrebbe immancabilmente bollato come espressione di bieche simpatie fasciste. Per trovare un giudizio non agiografico su Matteotti, pronunciato da un personaggio che lo conosceva bene ed era sicuramente al di sopra di ogni accusa di fascismo, si deve ricorrere ad un’intervista con Giovanni Amendola (1882-1926), pubblicata sul quotidiano svedese «Göteborgs Handels-och Sjöfartstidning» (il più importante della seconda città della Svezia per numero di abitanti) il 1° agosto 1924 e rilasciata da Amendola al giornalista svedese il 1° luglio del 1924, dunque quando era già assodato che Matteotti era stato ucciso dai fascisti. Così si esprime Amendola: «Per quanto riguarda Matteotti, egli era a malapena un uomo così grande come adesso vogliono farlo apparire gli oppositori del Fascismo. Dal punto di vista politico egli era soltanto un dirigente di secondo piano nel partito socialista, ed era soltanto a proposito di alcune questioni di economia che aveva autorità. Durante la guerra era pressoché comunista e, in una situazione, offese violentemente re quista per ac bro vai su li .it questo eriadistoria r ib .l www Il primo saggio di Enrico Tiozzo sul politico socialista «Matteotti senza aureola» (prefazione di Aldo A. Mola) è dedicato alla sua attività politica (Aracne Editrice, pp. 384, € 22,00 - www.aracneeditrice.it) | STORIA IN RETE 42 l’esercito quando esso doveva combattere delle difficili battaglie. Sebbene fosse un milionario non aveva mai donato nemmeno un soldo al partito. E dall’essere stato un comunista puro si trasformò in un socialista più moderato solo per potersi fare strada. Era uno che polemizzava molto ma era malvagio, rompeva spesso le trattative e in generale era una persona sgradevole». Le parole di Amendola aprono la strada ad una discussione sulla vera azione politica di Matteotti, un tema però sorprendentemente carente di ricerche e presentato soltanto di scorcio e nei consueti toni agiografici dagli studiosi quando si parla del delitto o quando si rievoca la figura dell’eroe [non a caso la voce wikipediana su Matteotti – che ricalca e dà conto della letteratura esistente sul personaggio – dedica oltre i nove decimi dello spazio al delitto e solo meno di un decimo alla vita privata e all’attività politica dell’esponente socialista NdR]. La versione ufficiale, tuttora circolante e universalmente accettata, è che Matteotti fosse un politico abilissimo ed eccezionalmente preparato, soprattutto nel campo economico-finanziario, un maestro nel dibattito parlamentare («Nessuno l’ha mai battuto in un contraddittorio» scrive Gobetti), un imparziale accusatore sempre documentatissimo ed inesorabile nei confronti dell’attività politica inefficiente e ignobilmente corrotta di Mussolini, di cui seppe denunciare alla Camera tutte le carenze e tutti gli abusi fino al celeberrimo discorso del 30 maggio 1924 che gli costò la vita. Senza contare che, quando venne ucciso, aveva con sé (si narra) documenti esplosivi – repertati in Inghilterra – che avrebbero trascinato nello scandalo Mussolini e il Re d’Italia quando egli li avesse potuti presentare alla Camera il giorno seguente. Qui l’analisi (o la pseudoanalisi) dell’attività politica di Matteotti fino al 10 giugno del 1924 si fonde di colpo con il delitto, ne diventa la spiegazione e viene, per ciò stesso, travalicata e trasfigurata creando un groviglio inestricabile, su cui 70 anni di ricerche e decine e decine di volumi non sono ancora riusciti a fare chiarezza (o hanno deliberatamente evitato di volerla fare). Ma Matteotti fu veramente il politico che la vulgata ci ha tramandato? Era davvero preparatissimo e abile nella sua attività parlamentare? Era un grande esperto di problemi economici e finanziari? Avanzò veramente nel discorso del 30 maggio 1924 elementi ed argomenti tali da scatenare la vendetta di Mussolini? Era davvero in possesso di documenti esclusivi repertati in Inghilterra? A queste domande non si può rispondere se non tracciando una netta linea di demarcazione tra tutto ciò che Matteotti realizzò politicamente fino al 10 giugno 1924 e tutto ciò che divenne leggenda, mito e agiografia dall’11 giugno 1924 ai giorni nostri. I risultati di un tale lavoro di ricerca, basato principalmente sull’edizione completa dei «Discorsi parlamentari di Giacomo Matteotti», editi dalla Camera dei Deputati in tre volumi per 1.645 pagine totali nel 1970, sull’edizione originale di «Un anno di dominazione fascista», pubblicata nel 1923, e sui documenti inediti riguardanti le vicende inglesi di Matteotti, principalmente conservati nell’Archivio dell’Istituto Internazionale di Storia Sociale di Amsterdam, riserva delle straordinarie sorprese. Giacomo Matteotti entrò nella Camera dei deputati dopo le elezioni Ottobre 2015 Matteotti fu veramente il politico che la vulgata ci ha tramandato? Era davvero preparatissimo e abile come parlamentare? Era un esperto di problemi economici e finanziari? Avanzò veramente nel discorso del 30 maggio 1924 argomenti tali da scatenare la vendetta di Mussolini? Era davvero in possesso di documenti scottanti trovati a Londra?» Giovanni Amendola (18821926), esponente liberale dell’antifascismo, ebbe parole durissime nei confronti di Giacomo Matteotti sia per la sua attività politica che per la sua dimensione umana del 16 novembre 1919, in cui il suo partito (Partito Socialista Italiano), con il 32% dei voti e 156 seggi, era risultato di gran lunga il primo partito rispetto ai 100 seggi dei popolari e ai 96 dei liberali. Nelle successive elezioni del 1921 il suo partito scese al 24% e a 123 seggi, rimanendo tuttavia ancora primo, anche se solo per pochi seggi, di fronte ai popolari. Nella tornata elettorale del 1924 i socialisti (pur mettendo insieme i voti dei due partiti in cui si erano scissi) arrivarono solo al 15% e a 46 seggi. Matteotti fece il suo debutto parlamentare nella tornata del 21 dicembre 1919 e concluse la sua attività nella tornata del 4 giugno 1924. In quei quattro anni e mezzo, trascorsi alla Camera, egli si confrontò per tre anni con i governi guidati da Nitti, Giolitti, Bonomi e Facta e per un anno e qualche mese con il governo di coalizione e di unità nazionale guidato da Mussolini e composto – com’è noto – da una maggioranza di ministri provenienti da vari partiti. Fin dal suo primo intervento in Aula nel 1919 Matteotti dimostrò la sua aggressività verbale contro tutti gli oppositori e la sua irrinunciabile chiusura a priori ad ogni possibile collaborazione con gli altri partiti (i cattolici, i libera- Ottobre 2015 li, ecc.), tenendo quindi una linea politica, che non avrebbe mai abbandonato nei successivi quattro anni e mezzo, del tutto improduttiva per ogni possibile progresso del Paese. Come primo atto, nella tornata del 21 dicembre 1919, egli accusò Nitti di aver truccato le elezioni appena svoltesi procurandosi i voti in modo truffaldino («Volete che vi parli piuttosto delle migliaia di lire che il Ministero Nitti ha dato per far trionfare le vostre liste elettorali? Rumori e proteste vivissime al centro») attirandosi immediatamente le proteste dei colleghi («Sono calunnie! Ritiri le sue parole!»), che respinse in modo provocatorio («Non ritiro nulla, anzi le mantengo! Rumori vivissimi»). In quella prima tornata (a cui nessuno mai accenna) Matteotti fece dunque esattamente quello che avrebbe fatto nei successivi quattro anni e mezzo della sua attività parlamentare e anche nel discorso del 30 maggio 1924: senza avere mai in mano alcuna prova documentale offese tutti i deputati non socialisti accusandoli di essere degli imbroglioni e dei truffatori, attaccò violentemente il governo liberale, giudicando «i provve- dimenti finanziari proposti [...] assolutamente insufficienti», ma non fece alcuna controproposta concreta e costruttiva limitandosi a condannare «la politica di classe della borghesia» e la mancanza di coraggio del governo di «intaccare la proprietà degli arricchiti e dei capitalisti». Negli interventi degli anni successivi, come si può constatare seguendo ogni suo passaggio parlamentare, Matteotti avrebbe continuato ad accusare, con ugual livore, tutti i governi (Nitti come Giolitti, Bonomi come Facta e Mussolini) di essere corrotti, inefficienti e incompetenti in materia economica e finanziaria perché non riuscivano a raggiungere immediatamente il pareggio nel bilancio dello Stato e a ripagare il debito pubblico accumulato. Come sua ricetta per risolvere il problema propose poi, a più riprese, l’espropriazione del capitale privato, una tassa di successione che trasferisse direttamente allo Stato le eredità al di sopra di una cifra minima e, nella tornata del 18 febbraio 1921 con il governo Bonomi, una patrimoniale secca pari a «un ventesimo della ricchezza nazionale complessiva», che era allora intorno ai trecento miliardi di lire. Per capire l’enormità della proposta del sedicente esperto di economia Matteotti, basti dire che, ai giorni nostri, si tratterebbe di una patrimoniale secca di circa 400 miliardi di euro, su circa 8.000 miliardi di euro di ricchezza nazionale complessiva, vale a dire oltre il 25% del PIL annuo italiano che è di 1.500 miliardi di euro, nonché il 20% dell’intero debito pubblico italiano di oggi che è di oltre 2.000 miliardi di euro. Queste proposte – come in generale tutte | 43 STORIA IN RETE La sua ricetta per risolvere i problemi economici era l’esproprio del capitale privato, una tassa di successione che avocasse allo Stato le eredità al di sopra di una certa cifra e una patrimoniale secca pari a «un ventesimo della ricchezza nazionale»: una stangata da 400 miliardi di euro di oggi quelle avanzate da Matteotti negli anni della sua attività parlamentare – venivano immancabilmente respinte e accolte spesso dall’ilarità generale. In numerose occasioni il sottosegretario o il ministro competente, nei vari governi tra il 1919 e il 1924, chiamato a rispondere, gelava Matteotti con efficaci argomenti facendogli rispettosamente osservare come l’economia non fosse materia per avventurosi dilettanti. Così, per esempio rispose il ministro del Tesoro Vincenzo Tangorra (del Partito Popolare di don Sturzo), nella tornata del 18 novembre 1922, a Matteotti il quale sosteneva, cercando di appellarsi a Corrado Gini, che il patrimonio dello Stato fosse stato devastato mentre quello privato era aumentato: «Gini non ha mai affermato che la ricchezza privata non è diminuita. Lo contesto in modo assoluto. [...] E poi dove ha trovato il collega Matteotti la strana teoria che quella che è diminuita sia soltanto la ricchezza collettiva e non la ricchezza privata? Ma la ricchezza collettiva è la somma delle ricchezze private: è un errore dei più grossolani che si possa sostenere in economia, quel- lo di ritenere che possa diminuire la ricchezza collettiva senza che diminuisca quella privata». Matteotti non replicò. Vincenzo Tangorra era docente di economia all’Università di Roma e autore di una trentina di lavori scientifici su economia e finanza e, come tale, era in grado di mettere spietatamente in luce la debolezza della preparazione di Matteotti nella materia in cui, per motivi agiografici, viene celebrato come «specialista» Le ricette del deputato socialista, se mai fossero state prese sul serio, avrebbero provocato la catastrofe economica in Italia. Su problemi di fondamentale importanza, in quel delicato momento storico, come il prezzo politico del pane e le tasse da applicare sugli alcolici, le proposte di Matteotti sfioravano l’assurdo. Nel caso del vino infatti, nella tornata del 16 febbraio 1921, propose che venisse tassato secondo le intenzioni del bevitore («Innanzitutto il vino deve essere distinto in quanto è consumo familiare e in quanto è consumo voluttuario. Sul consumo familiare [...] la tassa dovrebbe essere la più lieve possibile [...]. Invece la tassa sul consumo voluttuario [...] dovrebbe essere, evidentemente, assai più elevata») introducendo una distinzione impossibile da applicare per un venditore di alcolici, mentre – nel caso del pane – raccomandava un sistema discriminatorio, per italiani e turisti stranieri, che avrebbe richiesto la presentazione del passaporto e della dichiarazione dei redditi per acquistare un semplice Vincenzo Tangorra (1866-1922) economista e ministro del Tesoro, esponente del Partito Popolare, liquidò come «errore dei più grossolani» il programma economico di Matteotti, il quale non riuscì a replicare | STORIA IN RETE 44 panino: «Se possiamo ammettere che si possa imporre una tassazione su coloro che vengono in Italia per goderne il clima, per goderne la bellezza, non possiamo consentire, invece, che la tassazione sia posta a carico di coloro che sono in Italia per pure ragioni di lavoro [...]. Non consideriamo però certamente come lavoratori i diplomatici [...] ma soltanto coloro che vivono col frutto del loro lavoro». Abituato ad offendere e a provocare, anche sul piano personale, tutti i suoi avversari in Aula, Matteotti attaccò sempre Giolitti, per esempio nella tornata del 27 giugno 1920 dandogli del vecchio riciclato («Ma, dicono alcuni: c’è la marca nuova, c’è l’uomo nuovo, c’è la marca Giolitti, marca di fabbricazione nuovissima che conta ottanta anni di fondazione (ilarità), ma nuovissima oggi per riverniciamento. [...] Egli vi torna riverniciato, ma è l’uomo di una volta. Noi vi conosciamo, onorevole Giolitti») e attaccò Benedetto Croce, nella tornata del 7 dicembre 1920, dandogli dell’incapace e del rimbambito: «Voi non pensate a nulla, voi studiate i problemi dell’altro mondo, onorevole Croce, voi state speculando filosoficamente nelle nuvole. (Interruzioni e rumori al centro)». Entrambi uomini di provata fede liberale e certamente non fascisti. In tutta la sua attività parlamentare e nel corso di tutte le accuse (d’incompetenza, d’incapacità, di corruzione, di complicità in atti criminosi) che rovesciò su tutti i parlamentari che non erano della sua parte politica, Matteotti però non produsse mai un semplice documento. Si riferiva unicamente a quanto aveva letto la mattina su giornali come «Il Corriere del Polesine», che vendeva tremila copie, o «La Giustizia», che era l’organo del suo partito e che lui sostan- Ottobre 2015 In tutta la sua attività parlamentare e nel corso di tutte le accuse che rovesciò su i parlamentari che non erano della sua parte, Matteotti non citò mai un vero documento. Si basava solo sul sentito dire da giornali come «Il Corriere del Polesine» o «La Giustizia», che era l’organo del suo partito zialmente dirigeva, come dimostra il suo carteggio con Filippo Turati. E considerava come «prove» inconfutabili delle sue accuse gli articoli di questi giornali. Nei casi però in cui «Il Corriere del Polesine» smentiva una notizia, di cui Matteotti si era servito come di una prova inoppugnabile, il deputato dichiarava tranquillamente che quel giornale era da ritenersi inattendibile in quanto era stato fatto oggetto di pressioni politiche. Così avvenne per esempio nella tornata del 13 giugno 1922. In data 31 marzo 1922 Matteotti aveva riferito in Aula come gravissimo ed inoppugnabile un episodio riferito da «Il Corriere del Polesine» secondo cui i fascisti, a Villanova del Ghebbo, con la collaborazione dei carabinieri erano penetrati in una casa e avevano malmenato degli innocenti socialisti. Il sottosegretario di Stato per l’Interno, Antonio Casertano, svolte le opportune indagini e munito della relativa documentazione, rispose a Matteotti in Aula il 22 giugno 1922 facendogli osservare che l’articolo in questione era stato «smentito dallo stesso giornale nel numero seguente». Inoltre Casertano fornì una versione completamente diversa dell’episodio, secondo cui un fascista era stato aggredito da otto socialisti, di cui alcuni muniti di armi da fuoco, ed era stato ferito a una gamba, provocando così l’intervento dei carabinieri che si erano recati a casa del feritore dove erano stati accolti a fucilate, con la conseguenza del loro assalto alla casa in questione. Casertano concluse osservando che comunque avrebbe atteso i risultati del processo e che, ove vi fossero state prove contro la forza pubblica, egli avrebbe provveduto come di dovere. Matteotti però, ignorando completamente quanto aveva rife- Ottobre 2015 rito Casertano, replicò che «il fatto era rimasto come documentato» e che «il comunicatino di smentita» era inattendibile, dando così prova (come molte altre volte nei suoi interventi alla Camera) di una logica alquanto zoppicante, secondo cui lo stesso giornale e a proposito dello stesso episodio era inoppugnabile, nel caso che gli tornasse comodo, mentre era inattendibile, nel caso che non gli tornasse comodo. La sistematica mancanza di documenti e l’uso esclusivo, come «prova», di quanto era riferito da giornali insignificanti o di parte, per tutto il tempo della sua attività parlamentare, rende molto difficile credere che Matteotti fosse venuto in possesso di una qualsiasi documentazione importante e per di più in Inghilterra. I documenti ancora inediti presenti nell’Archivio di Amsterdam dimostrano in modo inequivocabile come Matteotti, nel suo breve viaggio a Londra nell’aprile del 1924, si occupò solo della possibilità di far tradurre in inglese «Un anno di dominazione fascista» e soprattutto come i laburisti inglesi, in quel momento al governo, fossero completamente disinteressati tanto del testo matteottiano, che liquidarono come «un libretto di propaganda antifascista» rifiutandosi di finanziarlo anche con un solo scellino, quanto di Matteotti stesso, che infatti ripartì dalla capitale inglese dopo qualche giorno e senza aver avuto alcun contatto importante. Il mese successivo i reali d’Italia andarono in visita ufficiale a Londra in un clima di dichiarata amicizia angloitaliana e di ammirazione per quanto stava facendo Mussolini, come testimoniano inequivocabilmente le accorate lettere della Kuliscioff a Turati, segnatamente quelle del 26 e del 28 maggio 1924. L’operazione della «Un anno di dominazione fascista» di Matteotti, libro-denuncia che poté essere pubblicato in inglese solo con un budget ridottissimo a causa dello scarso interesse che suscitò a Londra traduzione in inglese del libello, affidata da Matteotti a Londra al segretario dell’Internazionale operaia e socialista, l’omicida ed ergastolano graziato Friedrich Adler [1879-1960. Nell’ottobre 1916 Adler aveva assassinato il primo ministro austriaco Karl von Stürgkh, NdR], partita con un costo preventivato di 200 sterline, si concluse, dopo l’uniforme pioggia di rifiuti di finanziamento da parte degli inglesi, con un drastico sforbiciamento del testo che poté così essere pubblicato al costo di 20 sterline e – come venne energicamente sottolineato dallo stesso Adler – solo dopo la morte di Matteotti, nella speranza di suscitare l’interesse del pubblico in seguito alla cruenta fine del segretario del PSU. In effetti «Un anno di dominazione fascista», pubblicato in Italia nel | 45 STORIA IN RETE Matteotti era per la diminuzione delle università allora esistenti in Italia opponendosi alla creazione di un ateneo a Milano; era contro la scuola obbligatoria fino a 14 anni; voleva una diminuzione dell’80% delle forze dell’ordine e che si era perfino dichiarato contrario al voto alle donne 1923 e presentato dagli agiografi di Matteotti come un formidabile e documentatissimo atto di accusa contro il Fascismo, è non a caso di difficilissimo reperimento e non è mai stato ripubblicato autonomamente e integralmente dal secondo dopoguerra ai giorni nostri. Soltanto Stefano Caretti (che di Matteotti ha pubblicato ogni riga) lo ha ripubblicato integralmente, nel 1983 (dunque oltre trent’anni fa), inserendolo nella raccolta di testi matteottiani intitolata «Scritti sul Fascismo». Perché oggi il libro non circola se non in forma antologica accortamente manipolata? Perché finché nessuno lo rilegge integralmente e lo studia, si può continuare a coltivare la leggenda del formidabile e documentatissimo atto di accusa. Il libello in realtà è solo un centone di statistiche, reperibili anche altrove nelle fonti dell’epoca, e di spezzoni di articoli su vari episodi di violenza fascista, estrapolati esclusivamente da «La Giustizia» (l’organo ufficiale del PSU) e commissionati da Matteotti ad hoc a qualche collaboratore del giornale, come documentano le lettere spedite a Turati nelle settimane in cui Matteotti collazionò la Tessera del PSU, partito di cui Matteotti era segretario, che alle elezioni del 1924 prese il 5,9% dei voti e 24 seggi | STORIA IN RETE 46 raccolta, messa in circolazione nel 1923 senza il nome di un autore ma come «Numeri, fatti e documenti raccolti a cura della S. statistica Segreteria P. Socialista Unitario». La presenza e la voce di Matteotti non sono riconoscibili nelle 91 pagine di testo fittamente allineato su due colonne, che ripete ossessivamente due soli argomenti applicandoli, con risultati poco felici, sui vari atti compiuti dal primo governo Mussolini tra il novembre del 1922 e il novembre del 1923. Nel libello infatti viene rimproverato al primo governo Mussolini di non avere risolto (in un anno!) i problemi che da un secolo affliggono l’Italia e che nessun governo, dagli anni di Matteotti fino ad oggi, è mai stato capace di risolvere: il pareggio del bilancio (in effetti Mussolini poi ci riuscì), l’azzeramento del debito pubblico, il buon funzionamento della scuola, lo snellimento della burocrazia, e via di questo passo. Basterebbe questo a spiegare la completa inutilità del tanto celebrato libello matteottiano. Con quale bacchetta magica avrebbe mai potuto il primo governo Mussolini risolvere in soli dodici mesi carenze e difetti che l’Italia ha dimostrato di non sapersi scrollare di dosso attraverso governi di ogni colore politico ivi compresi quelli a guida socialista? E come poteva Matteotti accusarlo d’inefficienza e d’incapacità perché non era riuscito in quello che sarebbe stato un miracolo? Come se ciò non bastasse, Matteotti, dato che riferisce delle statistiche, è spesso costretto a riconoscere, nel suo libello, che in varie situazioni economiche il primo governo Mussolini nei suoi dodici mesi ha avuto risultati migliori di quelli degli anni precedenti ma, in tali casi, il segretario del PSU sot- tolinea energicamente che il merito tocca solo ai buoni governi precedenti (proprio quelli che aveva ricoperto di critiche e di offese nei suoi anni alla Camera) e che quindi il governo Mussolini non ha realizzato alcun miracolo. Se questa è una critica, non si può fare a meno di chiedersi di che cosa fosse colpevole il governo Mussolini se raccoglieva gli effetti positivi dei precedenti governi liberali? Avrebbe forse dovuto rifiutarli? Esauriti questi due argomenti (il governo non ha fatto miracoli e il governo si è avvalso dei buoni risultati dei governi precedenti) Matteotti non ha più nulla da dire ma impingua il libretto inserendovi una lunga serie di episodi di bastonature fasciste, senz’altro esecrabili ma che, in quanto tratti esclusivamente dal suo giornale di partito, hanno un valore probatorio alquanto scarso. Infine non si può non rilevare come il celebre discorso di Matteotti alla Camera il 30 maggio 1924 sia stato, in qualche modo, una summa dell’atteggiamento politico che il deputato socialista aveva tenuto nel corso dei suoi anni di attività parlamentare. Il suo partito era uscito clamorosamente sconfitto dalle elezioni e bisognava dare un segnale di reazione. Toccò, come altre volte, a Matteotti andare allo sbaraglio sorprendendo lo stesso Turati che nella lettera alla Kuliscioff dello stesso giorno ammise di avere temuto che nessuno dei deputati socialisti si fosse preparato a prendere la parola, ma che Matteotti aveva risolto coraggiosamente il problema «improvvisando» il suo discorso. Matteotti dunque improvvisò, come del resto ammise egli stesso, nel corso del suo intervento («L’Assemblea deve tenere conto che io debbo parlare per improvvisazione») e quindi, senza Ottobre 2015 avere in mano in quanto improvvisatore alcuna prova documentale di quanto andava dicendo, accusò le centinaia di deputati appena eletti (fascisti, ma anche cattolici, liberali, ecc.) di avere ottenuto il seggio alla Camera con la truffa e con la violenza e impose agli accusati, contro ogni norma giuridica, di provare essi stessi la loro innocenza: «Io espongo fatti che non dovrebbero provocare rumori. I fatti o sono veri o li dimostrate falsi [sic]. Non c’è offesa, non c’è ingiuria per nessuno in ciò che dico; c’è una descrizione dei fatti». Matteotti (cui peraltro gli agiografi sorprendentemente attribuiscono una competenza giuridica da cattedra universitaria) chiamava «fatti» le affermazioni che non era in grado di provare, chiedeva agli accusati di dimostrare la loro innocenza e coronava il suo intervento sostenendo (ma è possibile che fosse sincero? ne dubitiamo) di non capire in qual modo le sue parole potessero risultare offensive per i deputati che stava chiamando imbroglioni e truffatori. Ma sostanzialmente questo tanto celebrato discorso del 30 maggio 1924 fu solo una nuova variante del primo discorso che Matteotti aveva tenuto alla Camera nel dicembre del 1919, quando aveva sconfessato e offeso già allora i suoi oppositori politici accusandoli di avere truccato le elezioni. Era il Matteotti di sempre. Quello che aveva chiesto una diminuzione delle poche università allora esistenti in Italia opponendosi alla creazione di un ateneo a Milano, che si era opposto alla scuola obbligatoria fino a 14 anni (e viene considerato dai suoi agiografi un grande esperto dei problemi dell’istruzione), che voleva una diminuzione dell’80% delle forze dell’ordine e che si era perfino dichiarato contrario alla concessione del voto alle donne. Un politico che però la morte ha trasformato in un mito. Enrico Tiozzo Università di Göteborg Ottobre 2015 | 47 STORIA IN RETE