Nonostante la mole di saggi usciti su Giacomo Matteotti

MITI A NUDO
La realtà oltre il martirologio
Matteotti fuori
Nonostante la mole di saggi usciti su Giacomo Matteotti,
praticamente nessuno ha studiato il deputato socialista ucciso da
una squadraccia nel 1924 al di fuori della vicenda criminale che l’ha
riguardato. Chi ha approfondito invece il Matteotti politico, il Matteotti
economista, il Matteotti uomo privato? L’autore di un nuovo saggio
impietoso verso il martire socialista spiega per «Storia in Rete» la reale
statura di una comparsa della politica italiana che una fine terribile
trasformò post mortem in un protagonista
di Enrico Tiozzo
T
ma ne è fisicamente lontano»), mentre il tono generale del libro rimane apologetico. Altre volte la dichiarata agiografia (pensiamo al celebre scritto di Piero
Gobetti del 1° luglio 1924) svela, suo malgrado, alcuni
elementi sconcertanti nella personalità di Matteotti:
«un’apparente arroganza», «la difficoltà di conoscere
le persone», «la difficoltà di comunicare, il disagio di
esprimersi», «un’indifferenza per le opinioni correnti»,
«completa mancanza del senso dell’opportunità», ecc.
In casi molto rari (pensiamo per esempio al libro del
2004 di Giuseppe Tamburrano, «Giacomo Matteotti.
Storia di un doppio assassinio», UTET) si apre un minimo spiraglio, non già di critica ma di lievissima riserva, e soltanto su alcuni aspetti strettamente privati
e caratteriali dell’uomo («Non ha una vera vita famigliare. [...] Ho notato che non riesce a essere vicino alla
moglie nemmeno nei giorni dei parti. Ama i suoi figli:
Ma si rimane nel campo degli aspetti biografici, sui
quali – come su tutto ciò che riguarda il «privato» di
Giacomo Matteotti – ha fatto chiarezza il lavoro di
Gianpaolo Romanato («Un italiano diverso Giacomo
Matteotti», Longanesi, 2011), che dichiara esplicitamente di non volersi occupare del delitto né di voler
analizzare l’attività politica del deputato socialista, ma
di avere come oggetto del libro «la sua vita, che conoscevamo molto meno». Lo studio di Romanato – impostato in modo solidamente oggettivo anche se talora
un po’ generoso nei confronti di Matteotti – è venuto a
colmare una lacuna, ma è inevitabile constatare come,
negli ultimi 70 anni, sia stata tolta dalla circolazione
in Italia ogni pagina davvero critica nei confronti di
Matteotti, studiato soltanto come un puro eroe e un
martire della libertà e sollevato quindi al di sopra di
ogni possibile giudizio negativo che, in quanto tale,
ra il 2014, in occasione del novantesimo
anniversario della morte, e la prima
metà del 2015 sono stati pubblicati in
Italia sei nuovi libri su Giacomo Matteotti e sono stati riproposti in nuove
edizioni alcuni studi classici sull’argomento (Gobetti, Arfè, Canali) a riprova del fatto che l’interesse per il segretario del PSU, vittima della violenza
fascista il 10 giugno del 1924, non conosce flessioni. È
ragionevole aspettarsi che entro il centenario dalla morte usciranno una cinquantina di nuovi titoli. La totalità
degli studi disponibili fino ad oggi è contraddistinta da
una caratteristica poco comune nel campo della ricerca
storica, vale a dire quella di un atteggiamento volutamente acritico e pieno d’incondizionata ammirazione,
se non spesso di aperta venerazione, nei confronti del
personaggio studiato, della sua vicenda umana e del
suo percorso politico.
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STORIA IN RETE 40
Ottobre 2015
MITI A NUDO
La realtà oltre il martirologio
dall’agiografia
Giacomo Matteotti
(1885-1924)
Ottobre 2015
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41 STORIA IN RETE
«Matteotti era a malapena un uomo così grande come adesso vogliono
farlo apparire gli oppositori del Fascismo. - dichiarò Amendola - Era solo
un dirigente di secondo piano nel partito socialista. Durante la guerra era
comunista e offese l’esercito quando esso doveva combattere delle difficili
battaglie. Sebbene milionario non aveva mai donato un soldo al partito»
verrebbe immancabilmente bollato come espressione di bieche simpatie fasciste.
Per trovare un giudizio non agiografico su Matteotti, pronunciato
da un personaggio che lo conosceva
bene ed era sicuramente al di sopra
di ogni accusa di fascismo, si deve ricorrere ad un’intervista con Giovanni Amendola (1882-1926), pubblicata
sul quotidiano svedese «Göteborgs
Handels-och Sjöfartstidning» (il più
importante della seconda città della
Svezia per numero di abitanti) il 1°
agosto 1924 e rilasciata da Amendola
al giornalista svedese il 1° luglio del
1924, dunque quando era già assodato che Matteotti era stato ucciso dai
fascisti. Così si esprime Amendola:
«Per quanto riguarda Matteotti, egli
era a malapena un uomo così grande
come adesso vogliono farlo apparire
gli oppositori del Fascismo. Dal punto di vista politico egli era soltanto
un dirigente di secondo piano nel
partito socialista, ed era soltanto a
proposito di alcune questioni di economia che aveva autorità. Durante la
guerra era pressoché comunista e, in
una situazione, offese violentemente
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Il primo saggio di Enrico Tiozzo sul
politico socialista «Matteotti senza aureola» (prefazione di Aldo A.
Mola) è dedicato alla sua attività
politica (Aracne Editrice, pp. 384,
€ 22,00 - www.aracneeditrice.it)
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STORIA IN RETE 42
l’esercito quando esso doveva combattere delle difficili battaglie. Sebbene fosse un milionario non aveva
mai donato nemmeno un soldo al
partito. E dall’essere stato un comunista puro si trasformò in un socialista più moderato solo per potersi
fare strada. Era uno che polemizzava molto ma era malvagio, rompeva
spesso le trattative e in generale era
una persona sgradevole».
Le parole di Amendola aprono la
strada ad una discussione sulla vera
azione politica di Matteotti, un tema
però sorprendentemente carente
di ricerche e presentato soltanto di
scorcio e nei consueti toni agiografici dagli studiosi quando si parla del
delitto o quando si rievoca la figura
dell’eroe [non a caso la voce wikipediana su Matteotti – che ricalca e
dà conto della letteratura esistente
sul personaggio – dedica oltre i nove
decimi dello spazio al delitto e solo
meno di un decimo alla vita privata
e all’attività politica dell’esponente
socialista NdR]. La versione ufficiale,
tuttora circolante e universalmente
accettata, è che Matteotti fosse un
politico abilissimo ed eccezionalmente preparato, soprattutto nel
campo economico-finanziario, un
maestro nel dibattito parlamentare
(«Nessuno l’ha mai battuto in un
contraddittorio» scrive Gobetti), un
imparziale accusatore sempre documentatissimo ed inesorabile nei
confronti dell’attività politica inefficiente e ignobilmente corrotta di
Mussolini, di cui seppe denunciare
alla Camera tutte le carenze e tutti
gli abusi fino al celeberrimo discorso del 30 maggio 1924 che gli costò
la vita. Senza contare che, quando
venne ucciso, aveva con sé (si narra) documenti esplosivi – repertati
in Inghilterra – che avrebbero trascinato nello scandalo Mussolini e
il Re d’Italia quando egli li avesse
potuti presentare alla Camera il
giorno seguente.
Qui l’analisi (o la pseudoanalisi)
dell’attività politica di Matteotti
fino al 10 giugno del 1924 si fonde
di colpo con il delitto, ne diventa la
spiegazione e viene, per ciò stesso,
travalicata e trasfigurata creando un
groviglio inestricabile, su cui 70 anni
di ricerche e decine e decine di volumi non sono ancora riusciti a fare
chiarezza (o hanno deliberatamente
evitato di volerla fare). Ma Matteotti
fu veramente il politico che la vulgata
ci ha tramandato? Era davvero preparatissimo e abile nella sua attività
parlamentare? Era un grande esperto
di problemi economici e finanziari?
Avanzò veramente nel discorso del
30 maggio 1924 elementi ed argomenti tali da scatenare la vendetta di
Mussolini? Era davvero in possesso
di documenti esclusivi repertati in
Inghilterra? A queste domande non
si può rispondere se non tracciando
una netta linea di demarcazione tra
tutto ciò che Matteotti realizzò politicamente fino al 10 giugno 1924 e tutto ciò che divenne leggenda, mito e
agiografia dall’11 giugno 1924 ai giorni nostri. I risultati di un tale lavoro
di ricerca, basato principalmente
sull’edizione completa dei «Discorsi
parlamentari di Giacomo Matteotti»,
editi dalla Camera dei Deputati in
tre volumi per 1.645 pagine totali nel
1970, sull’edizione originale di «Un
anno di dominazione fascista», pubblicata nel 1923, e sui documenti inediti riguardanti le vicende inglesi di
Matteotti, principalmente conservati
nell’Archivio dell’Istituto Internazionale di Storia Sociale di Amsterdam,
riserva delle straordinarie sorprese.
Giacomo Matteotti entrò nella Camera dei deputati dopo le elezioni
Ottobre 2015
Matteotti fu veramente il politico che la vulgata ci ha tramandato?
Era davvero preparatissimo e abile come parlamentare? Era un esperto
di problemi economici e finanziari? Avanzò veramente nel discorso
del 30 maggio 1924 argomenti tali da scatenare la vendetta di Mussolini?
Era davvero in possesso di documenti scottanti trovati a Londra?»
Giovanni Amendola (18821926), esponente liberale
dell’antifascismo, ebbe
parole durissime nei confronti
di Giacomo Matteotti sia per
la sua attività politica che
per la sua dimensione umana
del 16 novembre 1919, in cui il suo
partito (Partito Socialista Italiano),
con il 32% dei voti e 156 seggi, era
risultato di gran lunga il primo partito rispetto ai 100 seggi dei popolari
e ai 96 dei liberali. Nelle successive
elezioni del 1921 il suo partito scese
al 24% e a 123 seggi, rimanendo tuttavia ancora primo, anche se solo
per pochi seggi, di fronte ai popolari. Nella tornata elettorale del 1924
i socialisti (pur mettendo insieme i
voti dei due partiti in cui si erano
scissi) arrivarono solo al 15% e a 46
seggi. Matteotti fece il suo debutto
parlamentare nella tornata del 21 dicembre 1919 e concluse la sua attività
nella tornata del 4 giugno 1924. In
quei quattro anni e mezzo, trascorsi
alla Camera, egli si confrontò per tre
anni con i governi guidati da Nitti,
Giolitti, Bonomi e Facta e per un
anno e qualche mese con il governo
di coalizione e di unità nazionale
guidato da Mussolini e composto –
com’è noto – da una maggioranza
di ministri provenienti da vari partiti. Fin dal suo primo intervento
in Aula nel 1919 Matteotti dimostrò la sua aggressività verbale
contro tutti gli oppositori e la sua
irrinunciabile chiusura a priori ad
ogni possibile collaborazione con
gli altri partiti (i cattolici, i libera-
Ottobre 2015
li, ecc.), tenendo quindi una linea
politica, che non avrebbe mai abbandonato nei successivi quattro
anni e mezzo, del tutto improduttiva per ogni possibile progresso
del Paese. Come primo atto, nella
tornata del 21 dicembre 1919, egli
accusò Nitti di aver truccato le elezioni appena svoltesi procurandosi
i voti in modo truffaldino («Volete
che vi parli piuttosto delle migliaia di lire che il Ministero Nitti ha
dato per far trionfare le vostre liste
elettorali? Rumori e proteste vivissime al centro») attirandosi immediatamente le proteste dei colleghi
(«Sono calunnie! Ritiri le sue parole!»), che respinse in modo provocatorio («Non ritiro nulla, anzi le
mantengo! Rumori vivissimi»).
In quella prima tornata (a cui
nessuno mai accenna) Matteotti
fece dunque esattamente quello
che avrebbe fatto nei successivi
quattro anni e mezzo della sua
attività parlamentare e anche nel
discorso del 30 maggio 1924: senza avere mai in mano alcuna prova
documentale offese tutti i deputati
non socialisti accusandoli di essere
degli imbroglioni e dei truffatori,
attaccò violentemente il governo
liberale, giudicando «i provve-
dimenti finanziari proposti [...]
assolutamente insufficienti», ma
non fece alcuna controproposta
concreta e costruttiva limitandosi
a condannare «la politica di classe
della borghesia» e la mancanza di
coraggio del governo di «intaccare
la proprietà degli arricchiti e dei
capitalisti». Negli interventi degli
anni successivi, come si può constatare seguendo ogni suo passaggio parlamentare, Matteotti avrebbe continuato ad accusare, con
ugual livore, tutti i governi (Nitti
come Giolitti, Bonomi come Facta e Mussolini) di essere corrotti,
inefficienti e incompetenti in materia economica e finanziaria perché non riuscivano a raggiungere
immediatamente il pareggio nel
bilancio dello Stato e a ripagare il
debito pubblico accumulato. Come
sua ricetta per risolvere il problema propose poi, a più riprese,
l’espropriazione del capitale privato, una tassa di successione che
trasferisse direttamente allo Stato
le eredità al di sopra di una cifra
minima e, nella tornata del 18 febbraio 1921 con il governo Bonomi,
una patrimoniale secca pari a «un
ventesimo della ricchezza nazionale complessiva», che era allora
intorno ai trecento miliardi di lire.
Per capire l’enormità della proposta del sedicente esperto di economia Matteotti, basti dire che, ai
giorni nostri, si tratterebbe di una
patrimoniale secca di circa 400
miliardi di euro, su circa 8.000 miliardi di euro di ricchezza nazionale complessiva, vale a dire oltre il
25% del PIL annuo italiano che è
di 1.500 miliardi di euro, nonché
il 20% dell’intero debito pubblico italiano di oggi che è di oltre
2.000 miliardi di euro. Queste
proposte – come in generale tutte
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43 STORIA IN RETE
La sua ricetta per risolvere i problemi economici era l’esproprio del capitale
privato, una tassa di successione che avocasse allo Stato le eredità
al di sopra di una certa cifra e una patrimoniale secca pari a «un ventesimo
della ricchezza nazionale»: una stangata da 400 miliardi di euro di oggi
quelle avanzate da Matteotti negli
anni della sua attività parlamentare – venivano immancabilmente
respinte e accolte spesso dall’ilarità
generale. In numerose occasioni il
sottosegretario o il ministro competente, nei vari governi tra il 1919 e il
1924, chiamato a rispondere, gelava
Matteotti con efficaci argomenti facendogli rispettosamente osservare
come l’economia non fosse materia
per avventurosi dilettanti. Così, per
esempio rispose il ministro del Tesoro Vincenzo Tangorra (del Partito
Popolare di don Sturzo), nella tornata del 18 novembre 1922, a Matteotti il quale sosteneva, cercando
di appellarsi a Corrado Gini, che il
patrimonio dello Stato fosse stato
devastato mentre quello privato era
aumentato: «Gini non ha mai affermato che la ricchezza privata non è
diminuita. Lo contesto in modo assoluto. [...] E poi dove ha trovato il
collega Matteotti la strana teoria che
quella che è diminuita sia soltanto la
ricchezza collettiva e non la ricchezza privata? Ma la ricchezza collettiva
è la somma delle ricchezze private:
è un errore dei più grossolani che si
possa sostenere in economia, quel-
lo di ritenere che possa diminuire
la ricchezza collettiva senza che diminuisca quella privata». Matteotti
non replicò.
Vincenzo Tangorra era docente di
economia all’Università di Roma
e autore di una trentina di lavori
scientifici su economia e finanza e,
come tale, era in grado di mettere
spietatamente in luce la debolezza della preparazione di Matteotti nella materia in cui, per motivi
agiografici, viene celebrato come
«specialista» Le ricette del deputato
socialista, se mai fossero state prese sul serio, avrebbero provocato la
catastrofe economica in Italia. Su
problemi di fondamentale importanza, in quel delicato momento
storico, come il prezzo politico del
pane e le tasse da applicare sugli alcolici, le proposte di Matteotti sfioravano l’assurdo. Nel caso del vino
infatti, nella tornata del 16 febbraio
1921, propose che venisse tassato
secondo le intenzioni del bevitore
(«Innanzitutto il vino deve essere
distinto in quanto è consumo familiare e in quanto è consumo voluttuario. Sul consumo familiare [...]
la tassa dovrebbe essere la più lieve possibile [...]. Invece la tassa sul
consumo voluttuario [...] dovrebbe
essere, evidentemente, assai più elevata») introducendo una distinzione impossibile da applicare per un
venditore di alcolici, mentre – nel
caso del pane – raccomandava un
sistema discriminatorio, per italiani e turisti stranieri, che avrebbe
richiesto la presentazione del passaporto e della dichiarazione dei
redditi per acquistare un semplice
Vincenzo Tangorra (1866-1922)
economista e ministro del Tesoro,
esponente del Partito Popolare, liquidò
come «errore dei più grossolani»
il programma economico di Matteotti,
il quale non riuscì a replicare
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STORIA IN RETE 44
panino: «Se possiamo ammettere
che si possa imporre una tassazione su coloro che vengono in Italia
per goderne il clima, per goderne la
bellezza, non possiamo consentire,
invece, che la tassazione sia posta
a carico di coloro che sono in Italia per pure ragioni di lavoro [...].
Non consideriamo però certamente come lavoratori i diplomatici [...]
ma soltanto coloro che vivono col
frutto del loro lavoro».
Abituato ad offendere e a provocare, anche sul piano personale, tutti
i suoi avversari in Aula, Matteotti
attaccò sempre Giolitti, per esempio
nella tornata del 27 giugno 1920 dandogli del vecchio riciclato («Ma, dicono alcuni: c’è la marca nuova, c’è
l’uomo nuovo, c’è la marca Giolitti,
marca di fabbricazione nuovissima
che conta ottanta anni di fondazione (ilarità), ma nuovissima oggi per
riverniciamento. [...] Egli vi torna riverniciato, ma è l’uomo di una volta.
Noi vi conosciamo, onorevole Giolitti») e attaccò Benedetto Croce, nella
tornata del 7 dicembre 1920, dandogli dell’incapace e del rimbambito:
«Voi non pensate a nulla, voi studiate i problemi dell’altro mondo,
onorevole Croce, voi state speculando filosoficamente nelle nuvole.
(Interruzioni e rumori al centro)».
Entrambi uomini di provata fede liberale e certamente non fascisti. In
tutta la sua attività parlamentare e
nel corso di tutte le accuse (d’incompetenza, d’incapacità, di corruzione,
di complicità in atti criminosi) che
rovesciò su tutti i parlamentari che
non erano della sua parte politica,
Matteotti però non produsse mai
un semplice documento. Si riferiva
unicamente a quanto aveva letto la
mattina su giornali come «Il Corriere del Polesine», che vendeva tremila
copie, o «La Giustizia», che era l’organo del suo partito e che lui sostan-
Ottobre 2015
In tutta la sua attività parlamentare e nel corso di tutte le accuse che rovesciò
su i parlamentari che non erano della sua parte, Matteotti non citò
mai un vero documento. Si basava solo sul sentito dire da giornali come
«Il Corriere del Polesine» o «La Giustizia», che era l’organo del suo partito
zialmente dirigeva, come dimostra il
suo carteggio con Filippo Turati. E
considerava come «prove» inconfutabili delle sue accuse gli articoli di
questi giornali.
Nei casi però in cui «Il Corriere del
Polesine» smentiva una notizia, di
cui Matteotti si era servito come di
una prova inoppugnabile, il deputato dichiarava tranquillamente che
quel giornale era da ritenersi inattendibile in quanto era stato fatto
oggetto di pressioni politiche. Così
avvenne per esempio nella tornata
del 13 giugno 1922. In data 31 marzo
1922 Matteotti aveva riferito in Aula
come gravissimo ed inoppugnabile
un episodio riferito da «Il Corriere
del Polesine» secondo cui i fascisti,
a Villanova del Ghebbo, con la collaborazione dei carabinieri erano
penetrati in una casa e avevano malmenato degli innocenti socialisti.
Il sottosegretario di Stato per l’Interno, Antonio Casertano, svolte le
opportune indagini e munito della
relativa documentazione, rispose a
Matteotti in Aula il 22 giugno 1922
facendogli osservare che l’articolo in questione era stato «smentito
dallo stesso giornale nel numero
seguente». Inoltre Casertano fornì
una versione completamente diversa
dell’episodio, secondo cui un fascista era stato aggredito da otto socialisti, di cui alcuni muniti di armi da
fuoco, ed era stato ferito a una gamba, provocando così l’intervento dei
carabinieri che si erano recati a casa
del feritore dove erano stati accolti
a fucilate, con la conseguenza del
loro assalto alla casa in questione.
Casertano concluse osservando che
comunque avrebbe atteso i risultati del processo e che, ove vi fossero
state prove contro la forza pubblica,
egli avrebbe provveduto come di
dovere. Matteotti però, ignorando
completamente quanto aveva rife-
Ottobre 2015
rito Casertano, replicò che «il fatto
era rimasto come documentato» e
che «il comunicatino di smentita»
era inattendibile, dando così prova
(come molte altre volte nei suoi interventi alla Camera) di una logica
alquanto zoppicante, secondo cui lo
stesso giornale e a proposito dello
stesso episodio era inoppugnabile,
nel caso che gli tornasse comodo,
mentre era inattendibile, nel caso
che non gli tornasse comodo.
La sistematica mancanza di documenti e l’uso esclusivo, come «prova», di quanto era riferito da giornali
insignificanti o di parte, per tutto il
tempo della sua attività parlamentare, rende molto difficile credere che
Matteotti fosse venuto in possesso
di una qualsiasi documentazione
importante e per di più in Inghilterra. I documenti ancora inediti presenti nell’Archivio di Amsterdam
dimostrano in modo inequivocabile
come Matteotti, nel suo breve viaggio a Londra nell’aprile del 1924,
si occupò solo della possibilità di
far tradurre in inglese «Un anno di
dominazione fascista» e soprattutto come i laburisti inglesi, in quel
momento al governo, fossero completamente disinteressati tanto del
testo matteottiano, che liquidarono
come «un libretto di propaganda
antifascista» rifiutandosi di finanziarlo anche con un solo scellino,
quanto di Matteotti stesso, che infatti ripartì dalla capitale inglese dopo
qualche giorno e senza aver avuto
alcun contatto importante. Il mese
successivo i reali d’Italia andarono
in visita ufficiale a Londra in un
clima di dichiarata amicizia angloitaliana e di ammirazione per quanto stava facendo Mussolini, come
testimoniano inequivocabilmente le
accorate lettere della Kuliscioff a Turati, segnatamente quelle del 26 e del
28 maggio 1924. L’operazione della
«Un anno di dominazione fascista»
di Matteotti, libro-denuncia che poté
essere pubblicato in inglese solo con
un budget ridottissimo a causa dello
scarso interesse che suscitò a Londra
traduzione in inglese del libello, affidata da Matteotti a Londra al segretario dell’Internazionale operaia
e socialista, l’omicida ed ergastolano
graziato Friedrich Adler [1879-1960.
Nell’ottobre 1916 Adler aveva assassinato il primo ministro austriaco Karl
von Stürgkh, NdR], partita con un
costo preventivato di 200 sterline,
si concluse, dopo l’uniforme pioggia
di rifiuti di finanziamento da parte
degli inglesi, con un drastico sforbiciamento del testo che poté così
essere pubblicato al costo di 20 sterline e – come venne energicamente
sottolineato dallo stesso Adler – solo
dopo la morte di Matteotti, nella
speranza di suscitare l’interesse del
pubblico in seguito alla cruenta fine
del segretario del PSU.
In effetti «Un anno di dominazione fascista», pubblicato in Italia nel
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45 STORIA IN RETE
Matteotti era per la diminuzione delle università allora esistenti in Italia
opponendosi alla creazione di un ateneo a Milano; era contro la scuola
obbligatoria fino a 14 anni; voleva una diminuzione dell’80% delle forze
dell’ordine e che si era perfino dichiarato contrario al voto alle donne
1923 e presentato dagli agiografi di
Matteotti come un formidabile e documentatissimo atto di accusa contro il Fascismo, è non a caso di difficilissimo reperimento e non è mai
stato ripubblicato autonomamente
e integralmente dal secondo dopoguerra ai giorni nostri. Soltanto
Stefano Caretti (che di Matteotti ha
pubblicato ogni riga) lo ha ripubblicato integralmente, nel 1983 (dunque
oltre trent’anni fa), inserendolo nella
raccolta di testi matteottiani intitolata «Scritti sul Fascismo». Perché
oggi il libro non circola se non in
forma antologica accortamente
manipolata? Perché finché nessuno
lo rilegge integralmente e lo studia,
si può continuare a coltivare la leggenda del formidabile e documentatissimo atto di accusa. Il libello in
realtà è solo un centone di statistiche, reperibili anche altrove nelle
fonti dell’epoca, e di spezzoni di
articoli su vari episodi di violenza
fascista, estrapolati esclusivamente
da «La Giustizia» (l’organo ufficiale
del PSU) e commissionati da Matteotti ad hoc a qualche collaboratore del giornale, come documentano
le lettere spedite a Turati nelle settimane in cui Matteotti collazionò la
Tessera del PSU, partito di cui Matteotti
era segretario, che alle elezioni del
1924 prese il 5,9% dei voti e 24 seggi
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STORIA IN RETE 46
raccolta, messa in circolazione nel
1923 senza il nome di un autore ma
come «Numeri, fatti e documenti
raccolti a cura della S. statistica Segreteria P. Socialista Unitario». La
presenza e la voce di Matteotti non
sono riconoscibili nelle 91 pagine
di testo fittamente allineato su due
colonne, che ripete ossessivamente
due soli argomenti applicandoli,
con risultati poco felici, sui vari atti
compiuti dal primo governo Mussolini tra il novembre del 1922 e il
novembre del 1923.
Nel libello infatti viene rimproverato al primo governo Mussolini
di non avere risolto (in un anno!) i
problemi che da un secolo affliggono l’Italia e che nessun governo, dagli anni di Matteotti fino ad oggi,
è mai stato capace di risolvere: il
pareggio del bilancio (in effetti
Mussolini poi ci riuscì), l’azzeramento del debito pubblico, il buon
funzionamento della scuola, lo
snellimento della burocrazia, e via
di questo passo. Basterebbe questo
a spiegare la completa inutilità del
tanto celebrato libello matteottiano. Con quale bacchetta magica
avrebbe mai potuto il primo governo Mussolini risolvere in soli dodici
mesi carenze e difetti che l’Italia ha
dimostrato di non sapersi scrollare
di dosso attraverso governi di ogni
colore politico ivi compresi quelli
a guida socialista? E come poteva
Matteotti accusarlo d’inefficienza e
d’incapacità perché non era riuscito
in quello che sarebbe stato un miracolo? Come se ciò non bastasse,
Matteotti, dato che riferisce delle
statistiche, è spesso costretto a riconoscere, nel suo libello, che in varie situazioni economiche il primo
governo Mussolini nei suoi dodici
mesi ha avuto risultati migliori di
quelli degli anni precedenti ma, in
tali casi, il segretario del PSU sot-
tolinea energicamente che il merito
tocca solo ai buoni governi precedenti (proprio quelli che aveva ricoperto di critiche e di offese nei suoi
anni alla Camera) e che quindi il
governo Mussolini non ha realizzato alcun miracolo. Se questa è una
critica, non si può fare a meno di
chiedersi di che cosa fosse colpevole il governo Mussolini se raccoglieva gli effetti positivi dei precedenti
governi liberali? Avrebbe forse dovuto rifiutarli? Esauriti questi due
argomenti (il governo non ha fatto
miracoli e il governo si è avvalso
dei buoni risultati dei governi precedenti) Matteotti non ha più nulla
da dire ma impingua il libretto inserendovi una lunga serie di episodi
di bastonature fasciste, senz’altro
esecrabili ma che, in quanto tratti
esclusivamente dal suo giornale di
partito, hanno un valore probatorio
alquanto scarso.
Infine non si può non rilevare come
il celebre discorso di Matteotti alla
Camera il 30 maggio 1924 sia stato, in qualche modo, una summa
dell’atteggiamento politico che il
deputato socialista aveva tenuto nel
corso dei suoi anni di attività parlamentare. Il suo partito era uscito
clamorosamente sconfitto dalle elezioni e bisognava dare un segnale di
reazione. Toccò, come altre volte, a
Matteotti andare allo sbaraglio sorprendendo lo stesso Turati che nella lettera alla Kuliscioff dello stesso
giorno ammise di avere temuto che
nessuno dei deputati socialisti si fosse preparato a prendere la parola, ma
che Matteotti aveva risolto coraggiosamente il problema «improvvisando» il suo discorso. Matteotti
dunque improvvisò, come del resto
ammise egli stesso, nel corso del suo
intervento («L’Assemblea deve tenere conto che io debbo parlare per
improvvisazione») e quindi, senza
Ottobre 2015
avere in mano in quanto improvvisatore alcuna prova documentale di
quanto andava dicendo, accusò le
centinaia di deputati appena eletti
(fascisti, ma anche cattolici, liberali,
ecc.) di avere ottenuto il seggio alla
Camera con la truffa e con la violenza e impose agli accusati, contro
ogni norma giuridica, di provare essi
stessi la loro innocenza: «Io espongo
fatti che non dovrebbero provocare
rumori. I fatti o sono veri o li dimostrate falsi [sic]. Non c’è offesa, non
c’è ingiuria per nessuno in ciò che
dico; c’è una descrizione dei fatti».
Matteotti (cui peraltro gli agiografi
sorprendentemente attribuiscono
una competenza giuridica da cattedra universitaria) chiamava «fatti»
le affermazioni che non era in grado
di provare, chiedeva agli accusati di
dimostrare la loro innocenza e coronava il suo intervento sostenendo
(ma è possibile che fosse sincero?
ne dubitiamo) di non capire in qual
modo le sue parole potessero risultare offensive per i deputati che stava
chiamando imbroglioni e truffatori. Ma sostanzialmente questo tanto celebrato discorso del 30 maggio
1924 fu solo una nuova variante del
primo discorso che Matteotti aveva
tenuto alla Camera nel dicembre del
1919, quando aveva sconfessato e offeso già allora i suoi oppositori politici accusandoli di avere truccato le
elezioni. Era il Matteotti di sempre.
Quello che aveva chiesto una diminuzione delle poche università allora esistenti in Italia opponendosi alla
creazione di un ateneo a Milano, che
si era opposto alla scuola obbligatoria fino a 14 anni (e viene considerato dai suoi agiografi un grande
esperto dei problemi dell’istruzione), che voleva una diminuzione
dell’80% delle forze dell’ordine e che
si era perfino dichiarato contrario
alla concessione del voto alle donne.
Un politico che però la morte ha trasformato in un mito.
Enrico Tiozzo
Università di Göteborg
Ottobre 2015
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