CancerStat Umbria Anno II No. 3-4 Marzo-Aprile 2011 Registro Tumori Umbro di Popolazione ISSN 2039-814X Registro Nominativo delle Cause di Morte Registro Regionale dei Mesoteliomi Direttore: Francesco La Rosa Il Cancro della Prostata Luigi Mearini, Elisabetta Nunzi, Massimo Porena Coordinatore: Fabrizio Stracci Nicola Buonora, Antonella Monsignori Fabrizio Stracci, Francesco La Rosa Dipartimento di Specialità MedicoChirurgiche e Sanità pubblica. Sezione di Sanità Pubblica. Università degli Studi di Perugia. Regione dell’Umbria. Direzione regionale Salute, coesione sociale e società della conoscenza INDICE: Parte I Epidemiologia pag. 1 Eziologia, fattori di rischio e fattori protettivi pag. 5 Bibliografia pag. 10 Parte II Anatomia patologica pag. 13 Sintomatologia e quadro clinico pag. 16 Diagnosi pag. 17 Terapia pag. 21 Bibliografia pag. 30 IL CANCRO DELLA PROSTATA CancerStat Umbria Registro Tumori Umbro di Popolazione Registro Nominativo delle Cause di Morte Registro Regionale dei Mesoteliomi Direttore: Anno II No. 3-4, Marzo-Aprile 2011 ISSN 2039-814X Codice CINECA-ANCE E205269 Pubblicato da: Registro Tumori Umbro di Popolazione Francesco La Rosa Coordinatore: Fabrizio Stracci Collaboratori: Anna Maria Petrinelli Daniela Costarelli Fortunato Bianconi Valerio Brunori Daniela D’Alò Cinzia Santucci Massimo Scheibel Francesco Spano Dipartimento di Specialità Medico-Chirurgiche e Sanità Pubblica. Sezione di Sanità Pubblica. Università degli Studi di Perugia. Via del Giochetto 06100 Perugia Tel.: +39.075.585.7329 - +39.075.585.7366 Fax: +39.075.585.7317 Email: [email protected] URL: www.rtup.unipg.it Segreteria: Luisa Bisello Regione dell’Umbria. Direzione regionale Salute, coesione sociale e società della conoscenza Emilio Duca Paola Casucci Marcello Catanelli Mariadonata Giaimo IL CANCRO DELLA PROSTATA IL CANCRO DELLA PROSTATA Con questo numero di CancerStat Umbria inizia la pubblicazione di una serie di monografie riguardanti gli aspetti epidemiologici e clinici di tumori di diverse sedi. Lo scopo di tale iniziativa è anche quello di aggiornare coloro che non sono specialisti del settore sia sugli aspetti epidemiologici, e di prevenzione primaria e secondaria, più recenti, sia su quelli prettamente clinici che riguardano le tecniche diagnostiche e gli interventi terapeutici e riabilitativi più attuali. La parte epidemiologica è svolta dai Ricercatori del RTUP, da altri della Sezione di Sanità Pubblica del Dipartimento di Specialità medico-chirurgiche e Sanità Pubblica, e da Medici specializzandi della Scuola di “Igiene e medicina preventiva” dell’Università di Perugia; quella clinica da Specialisti che operano nella nostra Regione. E’ evidente che la sinteticità delle monografie porti a trascurare molti aspetti delle problematiche affrontate, che evidentemente non possono esaurirsi in poche decine di pagine. Tuttavia questa iniziativa può essere utile a sollecitare una integrazione, anche se limitata, delle diverse competenze che nella regione Umbria operano nel campo dell’oncologia. Pur nella sua modestia, essa può essere di supporto ad altri più importanti progetti di integrazione tra competenze di tipo oncologico che hanno portato alla realizzazione del Centro di Riferimento Oncologico dell’Umbria e successivamente alla concretizzazione della Rete Oncologica Regionale. Gli Operatori del registro tumori, e redattori di questa rivista elettronica, nel ringraziare i Colleghi che hanno prestato, e presteranno, la loro opera per la realizzazione delle monografie, invitano tutti coloro che ritengano di “avere qualcosa da dire” sui temi affrontati a inviare le loro osservazioni, ed eventualmente i loro contributi, per l’eventuale pubblicazione su CancerStat Umbria. IL CANCRO DELLA PROSTATA IL CANCRO DELLA PROSTATA Il Cancro della Prostata Luigi Mearini1, Elisabetta Nunzi1, Massimo Porena1,2 Nicola Buonora3, Antonella Monsignori3 Fabrizio Stracci2, Francesco La Rosa2 1 2 3 Clinica Urologica, Azienda Ospedaliera di Perugia Dipartimento di Specialità medico-chirurgiche e Sanità pubblica, Università degli studi di Perugia Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina preventiva, Università degli studi di Perugia polmone (13%), cancro del colon-retto (12%), tumore della vescica (6%). L’incidenza mostra un gradiente Nord-Sud con valori più elevati Nord. Tra il 2003 e il 2005, il tasso di incidenza grezzo medio annuo nell’area coperta dall’AIRTUM, è stato 141,0 casi per 100.000 uomini. Nello stesso periodo il tasso grezzo di incidenza in Umbria è stato pari a 157,0 casi per 100.000 abitanti. Nel 2008, ultimo anno per il quale è stata pubblicata l’incidenza regionale, il tasso grezzo risulta inferiore (130,7). Il carcinoma prostatico è inoltre la terza causa di morte per cancro in Umbria dopo polmone e colon-retto. I dati di prevalenza al 1° gennaio 2006, mostrano che in Italia circa 217.000 uomini hanno avuto nel corso della vita una diagnosi di tumore maligno della prostata; ciò si traduce in un tasso di prevalenza molto elevato pari a 896 ogni 100.000 abitanti. Di questi 217.000, 67.000 circa hanno avuto una diagnosi da meno di 2 anni; 73.000 circa da 2 a 5 anni; 54.000 circa da 5 a 10 anni; 18.000 circa da 10 a 15 anni. Nella classe di età 60-74 anni la prevalenza è di 2,6 casi per 100 uomini ed è quasi pari al 6% dopo i 75 anni. La prevalenza a 5 anni dalla diagnosi è di 573 casi 100.000 (64%). Parte I Nicola Buonora, Antonella Monsignori, Fabrizio Stracci, Francesco La Rosa EPIDEMIOLOGIA Il tumore della prostata rappresenta una neoplasia ad elevata incidenza, con notevoli implicazioni sia dal punto di vista sociale che economico. Il cancro della prostata è un tumore particolarmente rilevante negli anziani. I tassi di incidenza e di mortalità aumentano esponenzialmente con il crescere dell’età con una pendenza maggiore di ogni altro tumore maligno. L’incidenza è elevata nel Nord America e nell’Europa Settentrionale, intermedia nell’Europa Meridionale e in Sud America, bassa nei Paesi dell’Estremo Oriente come il Giappone (incidenza di circa 2-3 casi su 100000 maschi). In Italia, i più recenti dati AIRTUM indicano che il cancro della prostata è il più frequentemente tumore maligno tra gli uomini; si stima che 1112.000 nuovi casi di cancro della prostata siano diagnosticati ogni anno in Italia. In termini di incidenza percentuale i principali tumori nel sesso maschile sono stati nel periodo 2003-2005: cancro della prostata (19%), tumori non melanomatosi della cute (16%), cancro del 1 IL CANCRO DELLA PROSTATA La selezione del modello spiegato da un unico segmento lineare per l’incidenza nel periodo in studio rispetto al modello con una variazione di pendenza nel 2003 dei registri italiani rappresenta una differenza minore e una certa riduzione della pendenza dal 2003 sembra presente anche in Umbria se si considerano i tassi osservati. Gli andamenti temporali dell’incidenza e della mortalità. L’incidenza della malattia ha subito un forte aumento in Europa e negli US in concomitanza con la diffusione del dosaggio dell’Antigene Specifico della Prostata (PSA) dai primi anni ’90. In anni recenti l’andamento risulta più altalenante. Ad esempio negli US si succedono periodi di riduzione ed incremento dell’incidenza [1]. La mortalità per la malattia è generalmente in riduzione. Negli US il tasso standardizzato di mortalità è in diminuzione dal 1994 (APC -4.1%) sebbene dal 2005 con una pendenza inferiore (2.6%). In Europa una riduzione della mortalità si osserva in diversi paesi occidentali, incluse Francia, Germania e Regno Unito [2]. In Italia, nelle aree coperte da registri tumori, si osserva un aumento di incidenza dal 1998 al 2003 con una pendenza più accentuata (APC +7.3* con 95% IC da 6.1 a 8.6 ) e dal 2003 al 2005 con una qualche tendenza alla stabilizzazione (APC +3.4). In Umbria il trend di incidenza del cancro della prostata evidenzia un incremento dagli inizi degli anni ’90 (APC +3.5%*). Contemporaneamente la mortalità è diminuita in modo regolare (APC -1.7 nell’ultimo periodo). Il trend umbro di incidenza e mortalità non si discosta particolarmente dal trend italiano. 616 2085 3165 Incidenza Tasso Tasso grezzo standard.* 31.2 45.1 105.6 108.4 150.4 139.0 Anni di N. totale riferimento morti 1978-1982 449 1994-1998 739 2004-2008 723 Mortalità Tasso Tasso grezzo standard.* 10.2 40.1 37.4 42.7 34.4 32.3 Anni di riferimento N. totale casi 1978-1982 1994-1998 2004-2008 (*) popolazione standard: italiana m+f censimento 2001 Umbria Periodo APC L inf L sup Incidenza 1994-2008 2.5* 1.3 3.8 Mortalità 1994-2008 -2.7* -3.9 -1.4 L’aumento della frequenza della malattia non risulta omogeneo se si osserva la distribuzione per classe d’età. Nel periodo di osservazione del registro l’incidenza nelle classi di età più anziane (>80 anni) si riduce e nelle classi d’età inferiori a 80 anni si osserva con varia intensità un andamento opposto. Standardized incidence and mortality rates x 100,000 120 100 80 60 40 20 0 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 APC 1994-2008 incidence (95% CI) +3.5* (+2.2; +4.8) APC 1994-2008 mortality (95% CI) -2.7* (-3.8; -1.5) 2 IL CANCRO DELLA PROSTATA Nel periodo 1978-82 l’incidenza era bassa e la malattia era associata ad una bassa sopravvivenza (39% a 5 anni). Per i casi diagnosticati nel periodo 2004-2008 – periodo caratterizzato da frequenza molto più elevata – la sopravvivenza a 5 anni ha superato il 92% e si avvicina agli elevatissimi valori riportati negli US. Commento Il quadro epidemiologico tracciato per il cancro della prostata è complesso ma è possibile individuare alcuni elementi evidenti e altri altamente probabili. Un elemento rilevante ed evidente è la riduzione significativa e durevole della mortalità specifica. Ecco un primo problema: perché la mortalità si riduce? Due sono le possibili spiegazioni non alternative: un miglioramento del trattamento e il successo della diagnosi precoce mediante dosaggio del PSA. La questione piuttosto imbarazzante è che mentre il ruolo del miglioramento terapeutico è in genere accettato, attualmente nonostante i risultati di quattro trial clinici (studi sperimentali che hanno confrontato un gruppo sottoposto a screening mediante PSA con un gruppo di controllo) e una serie numerosissima di studi osservazionali (basati sulla registrazione passiva delle attività cliniche) non vi è evidenza definitiva riguardo alla capacità dello screening di salvare vite, cioè di ridurre la mortalità. Un secondo elemento evidente è che la frequenza della malattia è attualmente molto più elevata rispetto al periodo precedente la diffusione del PSA come test di screening. Vi Sopravvivenza relativa La sopravvivenza relativa misura la probabilità di sopravvivere al cancro della prostata negli anni successivi alla diagnosi come se il cancro della prostata fosse l’unica causa di decesso. Per il cancro della prostata come per gli altri tumori maligni soggetti a interventi di diagnosi precoce la sopravvivenza non è necessariamente indice di successo terapeutico e deve quindi essere interpretata con cautela. In Umbria si evidenzia un incremento progressivo e notevole della sopravvivenza. 3 IL CANCRO DELLA PROSTATA l’obiettivo di esporre i dati essenziali in estrema sintesi. Informazioni complementari sono fornite per quanto riguarda le conseguenze delle attività di diagnosi precoce nella precedente sezione dedicata al quadro epidemiologico e, per quanto riguarda le caratteristiche diagnostiche del test, il dosaggio dell’antigene prostata specifico (PSA) in una sezione successiva. Dal punto di vista storico è opportuno sottolineare che lo screening per il cancro della prostata si è diffuso molto prima della disponibilità di evidenze di efficacia fornite da esperimenti clinici per la semplicità del test (dosaggio PSA nel sangue) da un lato e per l’assunto clinico che la ricerca di tumori in fase precoce in una popolazione asintomatica sia garanzia di miglior esito clinico [3]. Dagli inizi degli anni ’90 l’utilizzo del PSA per la diagnosi precoce del cancro della prostata si è ampiamente diffuso nel mondo anche se con intensità molto diversa. Ad esempio l’impiego negli US è ed è stato molto maggiore rispetto al Regno Unito [4]. Diversamente da altri screening la cui efficacia era supportata da studi sperimentali, lo screening per il cancro della prostata si è diffuso nel mondo, Italia inclusa, come intervento spontaneo in larga misura determinato dalla interazione tra le persone e il medico di famiglia o uno specialista (screening opportunistico). Questa forma di screening presenta diverse caratteristiche: la tendenza alla personalizzazione e la flessibilità, l’assenza di invito organizzato e di percorsi diagnostico-terapeutici così come di un sistema di valutazione mediante indicatori [5]. Gli screening organizzati hanno anche un limite di età ben definito dal programma anche se non sempre identico (ad esempio 50-69 anni per il cancro della mammella, 50-74 per il grosso intestino). Lo screening opportunistico non ha in genere limite netto né vi è un invito che cessa, ma per quanto concerne lo screening per il cancro della prostata anche in assenza di evidenze, diverse raccomandazioni concordavano sulla scarsità dei benefici possibili e quindi sulla inappropriatezza dello screening dopo i 75 anni [6]. sono pochi dubbi sul fatto che la diffusione della diagnosi precoce con PSA abbia avuto un ruolo importante o preminente nell’incremento di frequenza. Per il cancro della prostata questo effetto dello screening è, di nuovo con pochi dubbi, causa di uno svantaggio netto, di un peggioramento della salute, in un certo numero di persone. Lo screening con PSA individua infatti due tipi di lesione: i cancri della prostata aggressivi che progrediscono fino a provocare sintomi e in una quota di persone la morte e i cancri non progressivi o con un tempo di crescita così lento da non arrivare a provocare sintomi e tantomeno la morte nel corso della vita. Purtroppo non siamo attualmente in grado di distinguere con sufficiente certezza la malattia progressiva dai cancri che in assenza di screening non sarebbero mai scoperti. La diagnosi di cancri latenti non progressivi (sovradiagnosi) è evidentemente una conseguenza negativa dello screening. La sovradiagnosi causa un danno psicologico alle persone. Ogni trattamento eseguito per una malattia non progressiva è evidentemente inutile e può produrre solo effetti dannosi (disabilità temporanea legata all’intervento, effetti indesiderati quali impotenza e incontinenza). La sovradiagnosi e il sovra trattamento consumano inoltre risorse economiche. In conclusione il quadro epidemiologico per il cancro della prostata è caratterizzato da aspetti favorevoli anche importanti come la riduzione della mortalità specifica e la riduzione dell’incidenza nella popolazione più anziana, e sfavorevoli come l’elevata frequenza che include con ogni probabilità una quota non trascurabile di sovra diagnosi e sovra trattamento. La diagnosi precoce prostata. del cancro della La diagnosi precoce del cancro della prostata è un argomento controverso oggetto di numerosissime pubblicazioni scientifiche e di interminabili dibattiti. Questo paragrafo ha 4 IL CANCRO DELLA PROSTATA Le curve di incidenza età specifiche riportate sopra potrebbero riflettere l’adesione a queste raccomandazioni in Umbria. Recentemente i trial clinici per la valutazione di efficacia sono stati pubblicati ed è stata prodotto anche uno studio che riassume i risultati degli studi disponibili (una meta-analisi dei trial) [7]. Nel complesso gli studi hanno confermato che lo screening con PSA è associato ad un elevato rischio di sovra diagnosi (sono diagnosticati tumori maligni che non avrebbero mai prodotto un danno clinico nel corso della vita) mentre per quanto riguarda la riduzione della mortalità questa risulta ancora incerta sebbene con una maggiore probabilità che lo screening non sia in grado di migliorare sensibilmente la mortalità. Di conseguenza le nuove raccomandazioni tendono ad essere più restrittive e si focalizzano sulla scelta individuale del test nell’ambito del rapporto tra medico e paziente. In questo quadro è essenziale che le persone siano ampiamente e correttamente informate sui potenziali benefici, sulle incertezze e sui rischi del test. [8]. Quindi le prospettive attuali riguardano da un lato la ricerca che ha tra i principali obiettivi quello di distinguere le lesioni non aggressive (da non trattare) da quelle pericolose (da curare) e dall’altro il controllo dello screening opportunistico (sistema di valutazione) e della corretta informazione (ad esempio distribuzione di sintesi informative condivise a tutti i candidati allo screening). Il modello che appare più appropriato nel descriverne lo sviluppo è quello multifasico, dal momento che sembra esistere una differenza tra i fattori che determinano la comparsa della neoplasia rispetto a quelli che ne caratterizzano l'evoluzione. L’età avanzata e la presenza di ormoni androgeni biologicamente attivi nel sangue circolante e nel tessuto prostatico rappresentano ancora oggi i fattori causali più rilevanti.[9]. Età Riguardo all'importanza del fattore età tutti i dati epidemiologici ne sottolineano il ruolo centrale: infatti raramente il cancro della prostata colpisce uomini sotto i 40 anni e la sua incidenza aumenta esponenzialmente dopo i 50 anni di età fino a raggiungere il picco nell'ottava decade di vita. Inoltre studi autoptici hanno evidenziato che negli uomini oltre la quinta decade di vita la prevalenza di tale neoplasia oscilla tra il 15% ed il 30%, salendo drammaticamente fino ai soggetti di ottant'anni circa in cui la percentuale è prossima al 70%. Questi valori sono riferiti a neoplasie in uno stato latente o comunque non clinicamente evidenti nel corso della vita. I carcinomi silenti costituiscono un bacino di lesioni che possono essere diagnosticate in caso di screening o incidentalmente e contribuire in tal modo all’incidenza della malattia dal momento che attualmente le lesioni non progressive e quelle progressive non sono distinguibili. EZIOLOGIA, FATTORI DI RISCHIO E FATTORI PROTETTIVI Familiarità e fattori genetici La storia familiare appare come uno dei più importanti determinanti del rischio; i casi familiari/ereditari oscillerebbero tra il 5 ed il 10% [10]. I parenti di primo grado di pazienti con tumore hanno un rischio di sviluppare la malattia aumentato di circa 2-4 volte rispetto alla popolazione generale [11]. Il rischio è inversamente proporzionale all’età di diagnosi del caso e con l’aumento del numero di familiari affetti; se il tumore colpisce un fratello il rischio è Non vi è dubbio che, come per la maggior parte dei tumori solidi, l’eziologia del carcinoma prostatico sia multifattoriale e sia il risultato di una complessa interazione di fattori genetici (responsabili della familiarità e della diversa incidenza nelle razze umane) ed ambientali (fattori dietetici, cancerogeni presenti nell’ambiente). 5 IL CANCRO DELLA PROSTATA sensibilmente maggiore rispetto a quanto sia per un padre [12]. La familiarità sembra costituire un fattore importante nei pazienti giovani affetti da un carcinoma prostatico: nel 18% dei pazienti con meno di 65 anni e diagnosi di carcinoma prostatico esiste una storia familiare positiva. In particolare, il rischio di sviluppare tumore della prostata aumenta di 24 volte nei parenti di primo grado. Si è visto che i fratelli di pazienti con diagnosi di carcinoma prostatico fatta a 62 anni o prima hanno loro stessi un rischio di sviluppare un tumore alla prostata quattro volte superiore rispetto alla popolazione generale; analogamente, i fratelli e i padri di portatori di carcinoma prostatico hanno un rischio superiore del 76% di sviluppare questa neoplasia, sempre rispetto alla popolazione generale. Inoltre, c'è da considerare l'aspetto ereditario. Molti studi suggeriscono la presenza di un allele dominante responsabile di queste forme ereditarie. L'ereditarietà nel Ca prostatico rappresenta il 10% circa di tutti i carcinomi. Le prime mappature per verificare su quali cromosomi si trovassero le lesioni risalgono al 1996 e hanno evidenziato come uno dei cromosomi imputato dell'insorgenza della malattia sia una anomalia genica nel sito 24-25 del braccio lungo del cromosoma 1 (1q, 24-25). Questa lesione è stata riscontrata nel 30% delle famiglie con carcinoma prostatico ereditario. Non è stato ancora ad oggi possibile determinare un modello univoco di trasmissione ereditaria della neoplasia prostatica. E’ molto probabile che la malattia sia a trasmissione poligenica. Le ipotesi più accreditate affermano che l'inizio della patologia sia rappresentato dall'inattivazione di un gene oncosoppressore, cui faranno seguito l'attivazione di più oncogeni, e dall'instaurarsi di aberrazioni cromosomiche. Questa ipotesi è supportata dal fatto che le aberrazioni cromosomiche sono molto limitate nei tumori primari, in cui prevalentemente si osservano delezioni (che verosimilmente determinano la scomparsa o inattivazione del/degli oncosoppressori). In fase di progressione si osserva invece l'espansione di regioni cromosomiche che sono interpretate come l'amplificazione di regioni contenenti oncogeni. Nel caso del tumore prostatico i cromosomi interessati da delezioni sono l'1, il 19 ed il 20 mentre le espansioni riguardano i cromosomi 8,18 ed X. Altri studi hanno indagato i geni codificanti per il recettore androgenico (AR), quello della 5 alfa reduttasi (srd5A2) ed il recettore per la vitamina D (VDR). Il recettore androgenico AR, localizzato sul braccio lungo del cromosoma X (Xq27-28), ha un ruolo documentato soprattutto nella fase di progressione dei tumori prostatici insensibili alla terapia ormonale. Tuttavia in questo fenomeno sembrano coinvolti anche altri elementi come il co-attivatore del recettore androgenico ARA70 ed il protooncogene HER-2/neu la cui overespressione sembra promuovere la progressione della neoplasia alla fase ormono-indipendente, come recentemente suggerito da studi in vivo ed in vitro. Un secondo gene, quello codificante per la 5reduttasi tipo II, è stato studiato per il suo ruolo nella stimolazione prostatica. Sono state identificate varie forme alleliche, tra cui una sostituzione aminoacidica di valina (V) per leucina (L) che sembra distribuirsi in modo non omogeneo nei vari gruppi etnici con una significativa maggiore frequenza negli omozigoti LL della popolazione cinese (che e' notoriamente a basso rischio di cancro della prostata). Dal momento che è stato dimostrato con analisi in vitro che i livelli sierici di SRD5A2 sono significativamente più bassi nei genotipi LL, è quindi possibile stabilire una relazione diretta tra genotipo LL (frequente negli asiatici e raro nei neri americani), bassi livelli di SRD5A2 e ridotta produzione di DHT. Tale processo determinerebbe, come risultato finale, una ridotta stimolazione della proliferazione cellulare prostatica (grazie ad una bassa produzione di DHT) e ciò potrebbe giustificare la limitata incidenza di tumore della prostata osservato appunto negli asiatici. E' da notare che un altro 6 IL CANCRO DELLA PROSTATA allele, SRD5A2 (sostituzione aminoacidica A49T), presente a bassa frequenza (0.5%-1.8%) nelle persone sane, aumenta significativamente di frequenza nei soggetti affetti soprattutto in fase avanzata della malattia (6.1%-7%). Anche altri geni sembrano avere un ruolo nell'aumento del rischio, soprattutto se all'interno della famiglia si sono già avuti altri casi: gli uomini che hanno la mutazione del gene BRCA1 o 2 (gli stessi implicati nel tumore del seno) hanno un rischio che è da 2 a 5 volte superiore a quello degli uomini con i geni non mutati. Per queste ragioni si apre il dibattito sulla necessità di “counseling” genetico e di screening precoce per gli uomini appartenenti a famiglie ad alto rischio [13]. L’alta incidenza in questo gruppo selezionato, insieme all’età precoce di esordio del cancro ereditario, influenza in modo positivo il bilancio costo-beneficio rispetto allo screening nella popolazione generale [14]. Prima che test genetici appropriati diventino disponibili, lo screening in uomini con aggregazione familiare di cancro della prostata potrebbe risultare un utile strumento di diagnosi precoce [10-11,15]. maggiori e che tali masse più grosse possano progredire verso la forma clinicamente manifesta con maggiore rapidità. In effetti, negli afroamericani il carcinoma prostatico si manifesta a stadi più avanzati e spesso ad età inferiore, con conseguente superiore incidenza sulla mortalità [16-17]. Tra la razza bianca l’incidenza più alta si ritrova tra i Paesi Occidentali ed in particolare nella Scandinavia e nella Nuova Zelanda. Questi dati sono anche legati a due fattori di importanza prioritaria: in primis il progressivo invecchiamento della popolazione, che ha visto aumentare in Italia il numero degli over 65 del 100% e degli ultraottantenni del 300% dalla metà del nostro secolo sino ai nostri giorni, e secondo l’utilizzo del PSA, che ha permesso di individuare un numero nettamente maggiore di carcinomi prostatici in fase molto precoce. I fattori ambientali influirebbero pertanto sulla progressione verso la forma clinicamente evidente e non sulla iniziazione del tumore stesso. Fattori dietetici Razza Alimenti di derivazione animale Gli studi ecologici hanno stabilito alta correlazione tra incidenza e mortalità per cancro prostatico e una dieta ricca in alimenti di derivazione animale (carne, grassi, prodotti caseari in genere ) ed una protezione per diete ricche in cereali e riso [18-19]. La dieta potrebbe influenzare i livelli ormonali e, in particolare, il livello di testosterone che stimola la proliferazione del tessuto prostatico. Questa ipotesi, anche se molto probabile, deve essere ancora dimostrata, ma a confortarla c'è anche l'evidenza di una maggiore incidenza della neoplasia nei paesi più industrializzati e nelle classi sociali più agiate. Le differenze nell'incidenza del carcinoma prostatico tra popolazioni di ceppo diverso, come per esempio quello africano e caucasico, sono significative. Prendendo in esame la popolazione statunitense, emerge chiaramente come gli afroamericani abbiano un'incidenza di carcinoma prostatico più elevata di 1,5 rispetto ai bianchi e di quasi tre volte superiore rispetto agli asiatici. Anche per quanto riguarda i dati relativi alla mortalità i rapporti non sono gli stessi: gli afroamericani hanno il doppio di probabilità di morire per carcinoma della prostata. Sembra che l'elevata incidenza del carcinoma prostatico tra gli afroamericani non sia dovuta alle differenze nella distribuzione dei fattori dietetici e dei fattori ambientali, ma piuttosto al ceppo di appartenenza. Inoltre, sembra che i maschi di razza nera presentino, rispetto a quelli di razza bianca, focolai di carcinoma di dimensioni La carne La carne rossa può essere considerata un fattore di rischio ma i risultati sono di difficile interpretazione perché implicati i costituenti della 7 IL CANCRO DELLA PROSTATA carne quali acidi grassi saturi, il tipo di lavorazione e quello di cottura (sviluppo ad alte temperature di cancerogeni) [20-22]. avanzato, la protezione aumentava fino al 40% [32-33]. L’azione protettiva della vitamina E (tocoferolo) e del selenio è stata a lungo ipotizzata. Tuttavia recenti studi (SELECT) hanno dimostrato che il selenio o la vitamina E, impiegati singolarmente o in associazione, non hanno alcun effetto sulla prevenzione del cancro alla prostata. [34]. La bassa incidenza nei paesi dell’estremo oriente potrebbe essere dovuta alla ricchezza in fitoestrogeni derivanti dall’assunzione di soia. Si riscontra un effetto protettivo del 30-50% [3537]. I grassi La maggioranza degli studi disponibili evidenzia un aumento di rischio statisticamente significativo per una più alta assunzione di grassi (grassi totali o grassi saturi, comunemente di origine animale). A fronte di questo effetto negativo esistono dati per un effetto protettivo degli acidi grassi polinsaturi e omega 3 [23]. Il latte Dagli studi ecologici emerge un’associazione tra alto consumo di latte o prodotti caseari ed eccesso di rischio per cancro della prostata [8,9]. Occorre rifarsi ai costituenti essenziali, grassi e calcio per interpretare tale correlazione. Dalla letteratura recente l’assunzione di latticini e calcio sembra correlata con il rischio aumentato rispettivamente di circa 10 ed il 40% [24-25]. Il ruolo del latte e dei prodotti caseari come fattori di rischio per il cancro della prostata è controverso [26]. Fattori endocrini Nello sviluppo e nella progressione del carcinoma prostatico gli androgeni, il testosterone e il diidrotestosterone, giocano un ruolo rilevante. Adulti afroamericani hanno livelli di testosterone plasmatico maggiori rispetto ai bianchi (10-20 per cento) e agli asiatici. Esiste una variazione razziale nella lunghezza del gene dei recettori androgenici e questo può in parte spiegare l'eccessivo rischio di sviluppare carcinoma prostatico che presentano gli afroamericani rispetto ai bianchi [16-17]. Tuttavia ancora oggi non esiste una consistente evidenza che un primitivo disturbo endocrino sia necessario nell’eziopatogenesi di tale tumore. Secondo le ipotesi più accreditate gli androgeni svolgerebbero non un ruolo nella iniziazione della neoplasia, ma un effetto permissivo, consentendo la crescita della componente tumorale. È stato infatti evidenziato che le cellule carcinomatose sono sensibili agli ormoni sessuali maschili. Incertezze sussistono anche per il ruolo degli estrogeni nella cancerogenesi prostatica; come è stato ampiamente dimostrato nell’ipertrofia prostatica benigna, questi avrebbero ruolo permissivo sull'azione del testosterone stesso, avendo come risultato la sinergia nell'accrescimento della massa neoplastica. Tuttavia gli estrogeni avrebbero anche una importante capacità nel ritardare la Alimenti di origine vegetale Per quanto riguarda il consumo di vegetali sembrano emergere evidenze abbastanza chiare circa un ruolo protettivo. Esiste omogeneità degli studi esaminati nel riportare rischi più ridotti in soggetti con diete ricche in vegetali. Il rischio per gli uomini con più alto rispetto a quelli con più basso consumo di verdura si riduce di circa il 3050% [27-31]. Tra gli specifici prodotti va sottolineato il ruolo protettivo di pomodori e di tutti i loro derivati. L’azione protettiva potrebbe essere collegata all’altissimo contenuto in questi vegetali, di licopene, un carotenoide con potenti capacità antiossidanti. Due ampi studi di coorte hanno dimostrato che gli uomini che consumavano quantità abbondanti di pomodoro e quindi di licopene avevano circa un 20% di probabilità in meno di sviluppare il tumore prostatico; inoltre, se l’analisi era ristretta ai soli cancri in stadio 8 IL CANCRO DELLA PROSTATA comparsa delle metastasi del cancro della prostata un aumento dello stimolo proliferativo è correlata ad un aumento del rischio [45]. “Insulin-like growth factor” (IGF1) IGF1 è un potente mitogeno ed anti apoptotico, coinvolto nella regolazione della proliferazione, differenziazione e apoptosi. Nei modelli animali studiati, IGF1 modula la crescita di linee cellulari di carcinoma prostatico; l’insulina determina la disponibilità biologica di IGF1. L’intero asse è influenzato dalle caratteristiche dietetiche ed è in stretto rapporto con il Body Mass Index (BMI ) e la massa adiposa corporea. Esiste ora una certa sicurezza che un aumento di IGF1 rappresenta un fattore di rischio. I soggetti con un consumo più alto di prodotti definibili “a rischio” (latte e latticini, calcio, carboidrati e acidi grassi) avevano concentrazioni più alte di IGF1 mentre valori più bassi per soggetti con diete ricche in verdura, in particolare pomodori [38-40]. Fattori di rischio occupazionali Esistono prove che lavoratori agricoli, specie se a contatto con pesticidi, hanno un’incidenza o una mortalità per cancro della prostata significativamente più, elevata della popolazione generale [46]. In letteratura esistono numerosi altri studi con indagini su alti rischi occupazionali ma nessun settore lavorativo in generale presenta evidenze significative. Altri determinanti del rischio Nessuna relazione tra assunzione di alcol e rischio aumentato. Per il fumo i risultati non possono né escludere né confermare alcuna associazione. In generale si può confermare che a tutt’oggi non esistono evidenze che fumo e alcol aumentino il rischio di cancro della prostata. L’aspirina e gli atri FANS dimostrano un ruolo protettivo [47]. Obesità e attività fisica Non sembra esistere un’associazione diretta tra obesità e cancro della prostata. Esistono però grosse discordanze a livello di letteratura e importanti studi prospettici hanno dimostrato un rischio aumentato specie per tumori più aggressivi, metastatici o fatali [41]. Una esaustiva pubblicazione della Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha stimato che con 30-60 minuti di attività fisica giornaliera si può ridurre del 20-40% il rischio di sviluppare un cancro del colon, della mammella, del corpo dell’utero e della prostata [42-43]. Attività sessuale, malattie trasmesse e prostatite sessualmente Le malattie sessualmente trasmesse aumentano il rischio di sviluppare cancro della prostata (dal 40 al 100%), per agenti infettivi o azione dell’infiammazione in sé [44]. La prostatite, con 9 IL CANCRO DELLA PROSTATA BIBLIOGRAFIA 1. Kohler BA, Ward E, McCarthy BJ, Schymura MJ, Ries LA, Eheman C, Jemal A, Anderson RN, Ajani UA, Edwards BK. Annual Report to the Nation on the Status of Cancer, 1975-2007, Featuring Tumors of the Brain and Other Nervous System. J Natl Cancer Inst. 2011 Mar 31. [Epub ahead of print] 2. La Vecchia C, Bosetti C, Lucchini F, Bertuccio P, Negri E, Boyle P, Levi F. Cancer mortality in Europe, 2000-2004, and an overview of trends since 1975. Ann Oncol. 2010;21:1323-1360. 3. Catalona W. Screening for prostate cancer: enthusiasm. Urology 1993;42:113-115. 4. Collin SM, Martin RM, Metcalfe C, Gunnell D, Albertsen PC, Neal D, Hamdy F, Stephens P, Lane JA, Moore R, Donovan J. 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Metastasi: impianto da parte di neoplasie ampiamente disseminate (raro) Una classificazione della varietà di tumori maligni che possono essere riscontrati nella ghiandola prostatica è la seguente: D. Linfoma (raro) 1. EPITELIALE L'adenocarcinoma rappresenta più del 95% dei tumori primitivi maligni della prostata. In meno del 5% dei casi sono riscontrabili gli altri istotipi, dei quali soprattutto si individua il carcinoma a cellule transizionali, seguito da quello a cellule squamose, dai tumori neuroendocrini ed infine dai sarcomi. A. Adenocarcinoma -adenocarcinoma dei piccoli dotti e degli acini -adenocarcinoma dei grandi dotti -adenocarcinoma papillare -adenocarcinoma cribriforme -adenocarcinoma solido L'adenocarcinoma può derivare dall'epitelio degli acini o dai dotti prostatici; per quanto concerne la sede di origine esso nasce nel 70% dei casi nella zona periferica della ghiandola, localizzata nella prostata caudale o sottomontanale; in più del 20% delle volte, la neoplasia si forma in corrispondenza della zona di transizione, cranialmente al veru montanum; il restante 510% dei casi ha sede iniziale nella zona centrale, in corrispondenza della base dell’organo. Si deve precisare che nel 65% dei casi la neoplasia è multifocale. -adenocarcinoma indifferenziato -adenocarcinoma endometroide -adenocarcinoma mucinoso B.Carcinoma a cellule transizionali -carcinoma intraduttale a cellule transizionali -carcinoma invasivo a cellule transizionali -carcinoma a cellule squamose C. Carcinoma neuroendocrino (spesso misto) -adenocarcinoma con peptidi neuroendocrini -tumore carcinoide -carcinoma a piccole cellule Macroscopicamente il tessuto neoplastico appare duro e stridente, ma nel contesto della ghiandola può essere estremamente difficile distinguerlo dal corrispettivo normale, mentre la differenza è più evidente nella esplorazione rettale. È necessario ricordare che, seppur raramente, il carcinoma della prostata può non essere particolarmente duro al tatto, soprattutto nelle forme con scarsa componente stromale. 2. STROMALE (raro, ampia varietà di tipi conosciuti come sarcomi): A.Rabdomiosarcoma (soprattutto in pazienti di età< a 10 anni) B.Leiomiosarcoma (26% dei sarcomi, la maggior parte dei pazienti ha età superiore ai 42 anni) La diagnosi differenziale del carcinoma prostatico può essere particolarmente difficile, 13 IL CANCRO DELLA PROSTATA soprattutto quando si esaminino campioni ridotti di tessuto, quali quelli da agobiopsia prostatica. Le difficoltà principali per una diagnosi differenziale riguardano la distinzione dell'adenocarcinoma ben differenziato dalle iperplasie adenomatose atipiche (adenosi) della prostata e da alcuni quadri di atrofia della ghiandola (che simulano un adenocarcinoma infiltrante). Gli adenocarcinomi scarsamente differenziati, con cellule neoplastiche che infiltrano lo stroma senza costituire formazioni ghiandolari evidenti, vanno differenziati dalle prostatiti granulomatose con intensa reazione infiammatoria cronica. In aggiunta ai criteri morfologici tradizionali, la possibilità di identificare specifici marcatori cellulari mediante l'uso di tecniche immunoistochimiche è di grande aiuto nella diagnosi differenziale dei casi più difficili. In particolare, un elemento utile per la diagnosi differenziale è il riscontro di cellule basali che sono presenti nelle ghiandole prostatiche benigne e regolarmente assenti in quelle maligne, così come è possibile identificare cellule di carcinoma scarsamente differenziato che infiltrano lo stroma ghiandolare, utilizzando antisieri contro le citocheratine, la fosfatasi acida prostatica (PAP) o il PSA. Diffusione La diffusione neoplastica avviene per contiguità, per via linfatica ed ematica. L'accrescimento del tumore della prostata è generalmente lento e molto importante è la sede di origine, di solito periferica rispetto all'asse centrale della ghiandola, dal momento che la diffusione del cancro è soprattutto per contiguità. Tendono ad essere precocemente coinvolte la capsula prostatica e i tessuti perighiandolari, più tardivamente le vescicole seminali ed eventualmente il trigono vescicale. L'estensione della neoplasia alle vescichette seminali ha un significato prognostico sfavorevole, in quanto il 50% dei pazienti svilupperà poi metastasi in cinque anni. Estremamente più raro è l'interessamento della parete rettale, probabilmente per la resistenza offerta dalla fascia di Denonvilliers. È frequente, al contrario, l'interessamento dei tronchi nervosi che decorrono in stretto contatto con la ghiandola stessa. Per via ematogena questa neoplasia metastatizza soprattutto alle ossa, in particolare all'asse scheletrico centrale, mentre molto più raramente si localizza a distanza in corrispondenza dei visceri. Le metastasi ossee possono essere di tipo osteolitico, ma molto più frequentemente osteoblastico e queste ultime costituiscono un forte indizio, quando individuate, di neoplasia prostatica metastatica. Le sedi più frequentemente coinvolte sono la colonna lombare, il femore prossimale, la pelvi, la colonna toracica e le coste. La diffusione per via linfatica ha come prima stazione i linfonodi otturatori, seguono quindi i perivescicali, gli ipogastrici, gli iliaci esterni e poi i comuni, i presacrali ed infine i paraaortici. Questa modalità di estensione della malattia è di solito più precoce ed importante di quella ematogena. Di particolare importanza è il riconoscimento di una lesione peculiare dell'epitelio ghiandolare, nota come neoplasia intraepiteliale della prostata (PIN), e graduata in PIN di basso LG ed alto grado HG, in funzione della gravità delle alterazioni di tipo displastico che caratterizzano le cellule epiteliali. Alcuni ritengono che, analogamente a quanto si verifica nell'epitelio della cervice uterina e di altri organi, queste alterazioni costituiscano una lesione premaligna, e che la HGPIN sia assimilabile al carcinoma in situ. Pur se una tale interpretazione non è ancora stata definitivamente provata, è indubbio che il PIN, soprattutto di alto grado, sia associato in modo statisticamente significativo alla contemporanea o successiva presenza di un carcinoma della prostata. Grading Il grading di un tumore consiste nel rappresentare, in maniera scalare, l'entità delle alterazioni morfologiche o la perdita della capacità di differenziazione che la neoplasia 14 IL CANCRO DELLA PROSTATA presenta in rapporto alle strutture da cui essa origina. Più brevemente il grading indica la malignità e la potenzialità di diffusione della neoplasia dopo una accurata tipizzazione istologica [1]. 4. La perdita o la ridotta espressione di caderina E; 5. La differenziazione neuroendocrina; 6. L'entità della neoangiogenesi; 7. La frazione di cellule proliferanti; Il sistema di grading più utilizzato è il GLEASON che considera solo il parametro riguardante la differenziazione ghiandolare e il tipo di crescita tumorale in relazione allo stroma, prescindendo dalle caratteristiche citologiche. Sui campioni ottenuti si effettua quindi l'esame al microscopio e viene dapprima assegnato un punteggio (primary pattem) da 1 (per le aree meglio differenziate) a 5 (per le aree meno differenziate) alle diverse aree della neoplasia in esame, e in un secondo tempo si sommano i punteggi delle due aree più estese nel campione in esame. Si ottiene così il punteggio (GLEASON SCORE) finale, che può andare da un minimo di 2 ad un massimo di 10. Tumori con punteggi finali da 2 a 6 sono considerati ben differenziati, 7 mediamente differenziati e da 8 a 10 scarsamente differenziati. 8. La presenza di cellule neoplastiche nel torrente circolatorio, dimostrata mediante l'impiego dell'amplificazione dell'RNA messaggero per il PSA, ed il contenuto di DNA, quale indicatore di prognosi negli stadi precoci e di risposta al trattamento negli stadi avanzati Stadiazione La stadiazione del carcinoma prostatico, secondo il sistema TNM, è un mezzo universalmente accettato per stimare la prognosi, definire la terapia più adatta e per valutare i risultati [2]. Consente una descrizione dell'estensione della malattia neoplastica in un dato momento, ricorrendo a tre parametri: - l'estensione del tumore primario (fattoreT); - il coinvolgimento linfonodale (fattore N); Un sistema di grading alternativo ma oramai non utilizzato è quello proposto da MOSTOFI, che prevede una loro suddivisione in tre gradi in relazione all'entità dell'anaplasia cellulare, valutando soprattutto l'atipia nucleare, e in base agli aspetti strutturali della neoplasia, cioè la sua differenziazione. - le metastasi a distanza (fattore M). La combinazione dei tre elementi permette di assegnare il singolo tumore a uno stadio, che ha una prognosi e una terapia proprie. La stadiazione clinica (cTNM) è impiegata per valutare l'estensione della malattia prima d'intraprendere qualsiasi terapia. La stadiazione chirurgica o patologica (pTNM) consente l'acquisizione di elementi aggiuntivi sull'estensione del processo neoplastico nei pazienti sottoposti a prostatectomia. Studi recenti stanno vagliando la possibilità d'identificare indicatori biologici più precisi di progressione della malattia, che possano essere considerati come utili parametri prognostici. Tra questi vanno citati: 1. L'assetto recettoriale per gli ormoni androgeni; TNM 2. L'iperespressione dell'oncogene bcl-2 (che consente di predire una refrattarietà della neoplasia alla terapia antiandrogenica); T Tumore primitivo Il tumore primitivo non può essere TX valutato 3. L'anomala espressione del gene oncosoppressore p53 (che in taluni studi si è dimostrata un fattore prognostico sfavorevole sia in termini di sopravvivenza globale sia di sopravvivenza libera da malattia); T0 Nessuna evidenza di tumore primitivo T1 Tumore clinicamente non rilevabile, non palpabile o visibile, mediante ecografia o TC 15 IL CANCRO DELLA PROSTATA T1a Tumore di riscontro incidentale nel 5% o meno del tessuto resecato o asportato SINTOMATOLOGIA E QUADRO CLINICO T1b Tumore di riscontro incidentale in più del 5% del tessuto resecato o asportato La sintomatologia del cancro della prostata risulta essere estremamente tardiva, dal momento che il tumore ha preferenzialmente un'insorgenza periferica, ragione per cui i sintomi minzionali non compaiono di solito in fase precoce. T1c Tumore identificato con una biopsia (eseguita per un valore elevato di PSA) T2 Tumore confinato alla prostata In base al quadro clinico il tumore prostatico può essere suddiviso in carcinoma occulto, che si rende evidente con la sintomatologia delle metastasi a distanza; in carcinoma latente o indicentale non riconoscibile clinicamente, ma individuato o durante l'autopsia o incidentalmente su materiale proveniente da adenomectomia o resezione endoscopica, o in seguito a valori elevati del PSA; infine in carcinoma clinico, che si manifesta più o meno precocemente con sintomi minzionali e\o da diffusione locale. T2a Tumore che coinvolge meno di metà lobo T2b Tumore che coinvolge un lobo T2c Tumore che coinvolge due lobi T3 Tumore che si estende al di fuori della capsula prostatica T3a Estensione extracapsulare su un lobo T3b Estensione extracapsulare di entrambi i lobi T3c Tumore che coinvolge le vescicole seminali I sintomi minzionali sono per molti aspetti sovrapponibili a quelli dell’ipertrofia prostatica benigna, cioè con il quadro dell’uropatia ostruttiva bassa, con la fondamentale differenza che in alcuni casi di neoplasia i sintomi hanno una evoluzione molto più rapida. T4 Tumore fisso o che invade le strutture adiacenti oltre alle vescicole seminali T4a Tumore che coinvolge uno dei seguenti: collo vescicale, sfintere esterno, retto T4b Tumore che coinvolge i muscoli elevatori o che è fisso alla parete pelvica N I sintomi in assoluto più frequenti sono la pollachiuria ingravescente sia diurna, ma soprattutto notturna, la disuria con mitto ipovalido, difficoltà nello svuotamento vescicale e molto frequentemente, soprattutto nelle fasi avanzate, la ritenzione urinaria acuta. Linfonodi regionali NX I linfonodi regionali non possono essere valutati N0 Assenza di metastasi ai linfonodi regionali N1 Metastasi linfonodale < 2 cm N2 Metastasi linfonodale 2-5 cm N3 Metastasi linfonodale > 5 cm M Metastasi M0 Assenza di metastasi a distanza M1 Presenza di metastasi a distanza I sintomi da diffusione locale: logicamente interessano il soggetto in una fase più avanzata della malattia, con comparsa di stranguria per infiltrazione del trigono. Invece per interessamento dei meati ureterali si può avere ureteroidronefrosi sino all’anuria escretoria. Si può presentare emospermia per interessamento delle vie genitali, che talvolta, seppur raramente, può essere segno di presentazione della neoplasia. Infine per coinvolgimento del retto, a causa della crescita in tale direzione del tumore, si può avere stipsi, difficoltà alla defecazione, feci nastriformi per restringimento del lume. M1a linfonodi non regionali M1b osso M1c altre sedi 16 IL CANCRO DELLA PROSTATA dell’ipertrofia prostatica benigna spesso copresente. Sintomi da diffusione metastatica a distanza: sono caratterizzati dal prevalere di dolori ossei notturni diffusi al bacino ed al rachide e nel 510% dei casi costituiscono il sintomo di esordio della neoplasia, precedendo anche di molto tempo le manifestazioni minzionali. Esplorazione rettale (ER) ed esame obiettivo generale È la componente dell'esame obiettivo più importante e deve essere sempre praticato, non solo nel sospetto della neoplasia, ma per tutte le patologie di questa ghiandola. Buona regola sarebbe effettuare tale esame di routine circa una volta all'anno in tutti gli uomini di età superiore a 50 anni. Una grave conseguenza delle metastasi localizzate al rachide è la frattura patologica dei corpi vertebrali, che può portare a veri e propri quadri di paraplegia. Un ulteriore danno può essere conseguenza della sostituzione massiva del midollo osseo da parte di metastasi localizzate alla colonna vertebrale, con sindromi anemiche e leucopeniche anche molto gravi. Con questo esame si palpano facilmente le superfici posteriori dei lobi laterali, dove più spesso origina il tumore. Si dovrebbe anche apprezzare l'incisura mediana situata proprio tra queste due strutture, tuttavia quest’ultima non si individua spesso in uomini di età sopra i cinquant'anni, scomparendo con il naturale aumento di volume cui va incontro la ghiandola con l'aumentare dell'età. Normalmente non è possibile apprezzare le vescicole seminali. In fasi avanzate della diffusione della neoplasia, per interessamento delle stazioni linfatiche regionali, si può avere linfedema per blocco del ritorno linfatico e/o stasi venosa con flebite degli arti inferiori per ostacolo del ritorno venoso. Una prostata normale appare alla palpazione di consistenza teso-elastica, liscia, simmetrica; di norma è possibile apprezzarne la superficie superiore, distinguerne i limiti e constatare l’assenza di aree di dolorabilità. DIAGNOSI La diagnosi del carcinoma prostatico si avvale di: 1 anamnesi 2 sintomatologia e quadro clinico Nel caso di una prostata con tumore i reperti sono molto importanti: è possibile avvertire la presenza di uno o più noduli di varia grandezza, di consistenza dura, talvolta lignea o lapidea, a superficie irregolare, a limiti non bene definiti talora dolenti alla palpazione. La ghiandola puo’ avere una struttura alterata e perdere la propria simmetria. È importante sottolineare che tale descrizione non è patognomonica del cancro della prostata, potendola individuare anche in corso di altre patologie tra cui la calcolosi prostatica, la prostatite granulomatosa, la fibrosi ghiandolare post-operatoria. 3 esplorazione rettale ed esame obiettivo generale 4 marcatori biochimici 5 diagnostica per immagini 6 biopsia Anamnesi L'anamnesi è il primo momento diagnostico per ogni patologia, anche se nel cancro della prostata offre scarse indicazioni ed i dati di maggiore interesse riguardano soprattutto l'anamnesi familiare. Al contrario, per quella personale ci si basa fondamentalmente sul quadro clinico. Anche perché i dati sono scarsamente indicativi, e possono essere del tutto sovrapponibili a quelli Negli stadi più avanzati l'organo appare totalmente o parzialmente di consistenza dura e a superficie bernoccoluta. In questo stadio oltre all'infiltrazione della capsula è possibile avere anche l'interessamento delle vescicole seminali, 17 IL CANCRO DELLA PROSTATA che all'esame obiettivo appariranno come due strutture cordoniformi, di consistenza dura, di volume aumentato, che originano a partire dal profilo prostatico, con aspetto a "corna di bue". seguito a manipolazioni della ghiandola stessa, come accade dopo l’esplorazione rettale, un intervento chirurgico, una agobiopsia, una cistoscopia, etc. Nello stadio T4, oltre alle caratteristiche già descritte, si potrà evidenziare la diffusione della neoplasia agli organi adiacenti come fissità del tumore e impossibilità di determinarne i contorni. Nei rarissimi casi in cui la neoplasia è estremamente diffusa, si potrà arrivare ad avere l'interessamento della mucosa rettale testimoniato dal mancato scorrimento di quest'ultima sulla superficie della ghiandola. La specificità di questo marcatore tumorale è relativamente bassa e oscilla tra il 32 % e il 72%, con un valore medio del 47%, mentre la sua sensibilità è discreta, con un valore medio dell'83%. I valori di PSA normali sono inferiori a 4 ng/ml; valori tra 4 e 10 ng/ml rappresentano la cosiddetta "zona grigia", cioè situazione borderline; per valori superiori a 10 ng/ml è forte il sospetto di neoplasia, come si verifica nel 55% dei pazienti con cancro della prostata e solo nel 2% in quelli con iperplasia benigna. La sensibilità della esplorazione rettale è bassa, attorno al 50%, soprattutto quando la malattia è intracapsulare, al contrario elevata quando è extracapsulare. La specificità e la sensibilità verranno aumentate con i successivi step diagnostici. Questi valori del PSA devono tenere conto dell’età del paziente, che risulta essere un fattore di importanza fondamentale per quella piccola percentuale di pazienti in cui la neoplasia si sviluppa prima dei 50 anni e per i quali il valore da considerare limite è 2.5 ng/ml. L’esame obiettivo generale è indicativo dell’eventuale presenza di localizzazioni secondarie del tumore, come per la presenza di linfedema degli arti inferiori da stasi linfatica. Per migliorare l'affidabilità del test come marker di tumore prostatico sono state sviluppate alcune valutazioni, quali la PSA density, PSA velocity, PSA di riferimento età specifico ed il più usato cioè il rapporto PSA libero/PSA totale. Marcatori biochimici Antigene Prostatico Specifico (PSA): La misurazione dei livelli di PSA è un test estremamente importante per la valutazione precoce del cancro della prostata. PSA density: questo test si basa sul concetto che il tumore prostatico produce una quantità di marcatore maggiore rispetto alla iperplasia prostatica benigna a parità di dimensione misurata ecograficamente. Tale test si prefigge di effettuare una diagnosi differenziale tra queste due forme specie quando si ha un valore compreso nella zona grigia, cioè tra 4 e 10 ng/ml. Tuttavia la maggior parte degli urologi e degli autori considera questo esame non affidabile. Questo antigene è una glicoproteina ed esattamente una proteasi appartenente al gruppo delle callicreine umane, identificato per la prima volta nel 1970 in estratti ghiandolari, estremamente sensibile dal momento che è prodotto principalmente dalla prostata e dalle ghiandole periureterali, per cui è organo specifico. Tale proteina ha come funzione fisiologica quella di fluidificare lo sperma. E’ una molecola estremamente sensibile, tuttavia tale marker non è altrettanto specifico di cancro della prostata essendo presente in maggiore concentrazione anche in corso di altre patologie, come ad esempio ipertrofia prostatica benigna, prostatiti, ritenzione urinaria acuta, oppure in PSA velocity: questo esame introdotto da Carter nel 1992 valuta le modificazioni che subisce il valore del PSA durante un intervallo di tempo, considerando un valore maggiore o uguale a 0,75ng/ml/anno indicativo di carcinoma della prostata. Più recentemente viene valutato il PSA-doubling time, ovverosia il rapporto 18 IL CANCRO DELLA PROSTATA ruolo nell’identificare carcinomi prostatici in pazienti con biopsie prostatiche negative e valori elevati di PSA, la sua determinazione rimane ad oggi sperimentale [4-7]. temporale rispetto al raddoppio dei valori del PSA. Questo ultimo test è estremamente utile negli studi di sorveglianza attiva e in generale nel follow-up post-trattamento dei pazienti, ma non ha ad oggi indicazioni nella valutazione diagnostica del tumore della prostata. DIAGNOSTICA PER IMMAGINI PSA di riferimento età-specifico: questo esame si prefigge il fine di rapportare i livelli sierici di PSA all'età specie nei pazienti giovani (sotto i 60 anni), così da migliorare la sensibilità dell’uso di tale marker. Ecografia Attualmente tale metodica rappresenta un’indagine insostituibile ed affidabile per la diagnosi sia dell’esistenza che della stadiazione della neoplasia. L’ecografia può essere effettuata con più tecniche, cioè per via addominale sovrapubica o per via transrettale. Rapporto PSA libero/ totale o PSA-ratio: questo esame si basa sul principio che nei soggetti affetti da carcinoma della prostata la percentuale di PSA libero tende a decrescere. Infatti il PSA nel siero viaggia veicolato da alcune proteine, soprattutto l’alfa-1-antichimotripsina ed in piccolissima parte l’alfa-2-macroglobulina, in percentuale pari al 30% del PSA totale. Effettuando il rapporto tra PSA libero/ PSA totale, si considera un valore indicativo di cancro della prostata quello inferiore al 20%, anche in presenza di esplorazione rettale negativa ed è quindi giustificabile l'esecuzione di una biopsia prostatica randomizzata. Tale esame è entrato nell'uso della pratica clinica. Il massimo contributo offerto dal PSA è nel monitoraggio terapeutico del cancro della prostata [3]. La via addominale sovrapubica mostra la prostata come una formazione ovalare, posizionata al di sotto della vescica. La tecnica consente di valutare le dimensioni globali dell’organo, i rapporti con gli organi circostanti come la vescica, ma non permette di mostrare in modo accurato le porzioni posteriori dell’organo, ove di solito si riscontrano le neoplasie. L’ecografia transrettale (TRUS=trans rectal ultrasonography) rappresenta in assoluto il metodo più utilizzato e che offre le maggiori informazioni; permette di visualizzare l’ecostruttura parenchimale di tutta la ghiandola, con un’ottima definizione dell’immagine grazie alla possibilità di utilizzo di trasduttori ad alta frequenza. L’esame, condotto con scansioni lineari o radiali, offre un’ideale visualizzazione dell’intero organo, specie delle sue porzioni periferiche, permettendo di identificare eventuali alterazioni dell’ecostruttura parenchimale (come le zone ipoecogene) altamente indicative di neoplasia. Consente inoltre di effettuare la stadiazione locale della malattia, evidenziando l’interessamento capsulare, vescicolare o agli organi adiacenti (vescica, retto). Indipendentemente dalla scansione utilizzata si possono individuare alcuni aspetti comuni del carcinoma prostatico, generalmente situato in sede sotto capsulare posteriore, che provoca un’alterazione della normale struttura parenchimale della ghiandola, che presenta Fosfatasi Acida Prostatica (PAP) Questo marker, dall'introduzione del PSA nella pratica clinica, non è stato più utilizzato; infatti rispetto a quest'ultimo ha minore specificità dal momento che può essere prodotto, anche se in minore quantità, da reni, fegato, piastrine, leucociti. PCA3 La presenza di frammenti di RNA-m specifico (PCA3) nelle urine dopo massaggio prostatico presenta un’alta sensibilità e specificità, i livelli aumentano significativamente in presenza di biopsia prostatica positiva e non vengono influenzati dal volume della prostata o da stati infiammatori. Sebbene il PCA3 possa avere un 19 IL CANCRO DELLA PROSTATA un'area nodulare o "a placca" spesso mal delimitabile, solitamente ipoecogena. Con il progredire del fenomeno neoplastico la prostata appare aumentata di dimensioni e ha margini irregolari ed ecostruttura sempre più disomogenea. Talvolta l'ecografia mostra un rimaneggiamento strutturale più o meno diffuso senza nodularità tipica: in questi casi è indicata l'esecuzione di più prelievi bioptici. Negli stati exracapsulari, questa strumentazione puo’ documentare l'infiltrazione della capsula e l'eventuale interessamento delle vescicole seminali. L'individuazione di un'area di ipoecogenicità, dovuta all'aumentata cellularità del tumore stesso, non è sempre segno di tumore, infatti questo quadro ecografico può essere riscontrato anche in corso di flogosi acute, noduli di ipertrofia prostatica benigna, infarti. Inoltre circa il 70% dei carcinomi può essere difficilmente rilevabile perché appaiono isoecogeni o, nell’1%- 2% dei casi, iperecogeni [8]. periferica, l’apice prostatico, la zona di transizione [9,10]. La via transrettale ha il pregio di essere di più semplice esecuzione, meno dolorosa, ma può esporre ad un serio rischio di infezione della prostata da germi di origine fecale; anche questa tecnica è eseguita sotto guida ecografia come la precedente. Tale esame può essere dubbio, dando origine a pericolosi falsi negativi, quasi sempre per scarsità del materiale prelevato. RMN con bobina endorettale Negli ultimi anni, per la definizione della situazione locale del carcinoma prostatico è stata introdotta la Risonanza Magnetica Nucleare con bobina endorettale. E’ un esame che mima tecnicamente l’ecografia transrettale, ma che nelle ipotesi iniziali avrebbe dovuto aggiungere qualche elemento in più sia in fase diagnostica (migliore efficacia nel riconoscimento delle forme T1c) che in corso di stadiazione (migliore definizione della malattia extracapsulare o vescicolare) grazie alla buona definizione del segnale tissutale ottenuto nelle varie scansioni. In realtà sensibilità e specificità sono molto simili a quelle ottenibili con una ecografia transrettale eseguita da un buon operatore, e pertanto non è un esame di routine, visti anche i costi elevati. Di recente, l’introduzione della RMN in spettroscopia, sfruttando i reperti del diverso rapporto colina/citrato presenti nel tessuto neoplastico rispetto a quello sano, ha consentito uno studio più accurato della neoplasia, sia come metodica di staging, ma soprattutto come imaging di controllo nelle forme non sottoposte ad intervento chirurgico [11]. Sensibilità e specificità della metodica sono ancora in corso di definizione. Biopsia E’ il passo successivo fondamentale ed unico per la diagnosi definitiva di esistenza del carcinoma prostatico. L'agobiopsia è una tecnica che può essere praticata attraverso varie vie: transrettale e transperineale, sulla scorta del reperto palpatorio o sotto guida ecografia, e con molteplici strumenti, come gli aghi di Franklin e di VimSilverman, Tru-Cut, in grado di sezionare ed asportare carote di tessuto prostatico su cui effettuare l'esame istologico. La via transperineale ha il vantaggio di essere sterile, evitando così il rischio potenziale di propagazione alla prostata di batteri presenti in ambiente rettale; viene eseguita con l'ausilio dell’ecografia transrettale, che permette di guidare la biopsia verso le aree sospette o di eseguire comunque le biopsie a random nei casi in cui la neoplasia non è evidente; necessita di anestesia locale. Nel caso in cui devono essere eseguiti prelievi a random, vengono effettuate normalmente almeno 6 biopsie per lobo, comprendendo la zona Tomografia Computerizzata La tomografia computerizzata non è un esame utilizzato per la diagnosi del tumore della prostata, dal momento che non può differenziare un aumento benigno di volume ghiandolare da 20 IL CANCRO DELLA PROSTATA un carcinoma ma trova indicazione soprattutto nell’analisi delle stazioni linfonodali, a completamento o chiarimento dell’ecografia addominale, in particolare per i gruppi retroperitoneali o pelvici, e per valutare lo stato dei parenchimi. Positron Emission Tomography) consente di ottenere immagini dei processi biochimici e delle funzioni biologiche (immagini metaboliche o funzionali) che, nel corso di una malattia, si manifestano molto più precocemente rispetto alle modificazioni anatomiche rilevate mediante l’imaging radiologico convenzionale (TAC, ecografia, ecc.). Mediante la PET si ottengono immagini di distribuzione di un tracciante radioattivo in sezioni dell’organismo e si misura la concentrazione regionale di radioattività. Vari studi hanno dimostrato che la PET-TC glucosio ha un’elevata sensibilità e specificità nella determinazione di metastasi ossee [16,17] da carcinoma prostatico ma il suo impiego non risulta essere ottimale in quanto alcuni tumori, come quello prostatico, presentano un basso metabolismo glucidico. Recentemente è stato proposto l'impiego della Colina marcata con Carbonio 11, questo tracciante si accumula nelle membrane delle cellule prostatiche sia normali ma soprattutto patologiche. L'impiego della PET con Colina è ad oggi limitato alla valutazione del paziente, operato con asportazione totale della prostata, o sottoposto a radioterapia, con innalzamento del valore di PSA (marcatore del tumore prostatico) e con risultati negativi dei comuni esami che aiutano a identificare la presenza di neoplasia recidiva. L’applicazione della PET-colina in fase diagnostica è ad oggi solo sperimentale, in quanto possiede sensibilità e specificità ancora basse, soprattutto per bassi valori di PSA. Questa limitazione è ancora più evidente nella valutazione del paziente operato, in quanto per valori di PSA inferiori a 1 ng/ml l’esame è gravato da alta sensibilità ma bassa specificità [17,18]. Non consente tuttavia di evidenziare le adenopatie microscopiche o comunque di dimensioni inferiori a 1-1.5 cm. Scintigrafia ossea total body La scintigrafia ossea è un esame fondamentale per la diagnosi precoce delle metastasi ossee, impiega radiotraccianti tra i quali il più utilizzato in assoluto è il Tecnezio99. L'indagine volta a ricercare le metastasi ossee è prioritaria, dal momento che il cancro della prostata colpisce soprattutto questo tessuto ed in ordine di frequenza le sedi principalmente interessate sono la colonna, il bacino, le coste, anche se logicamente qualsiasi segmento può essere coinvolto. La presenza di una metastasi può essere sospettata quando nell'immagine scintigrafica si evidenzia un accumulo del tracciante in un punto focale dell'osso, mentre il tessuto circostante risulta indenne. La tecnica offre una sensibilità estrema, pari al 100%, mentre il numero dei falsi positivi si approssima al 16%, dal momento che quadri scintigrafici simili sono riscontrabili anche in caso di trauma osseo, lesioni degenerative, ecc. Indiscussa è la maggiore sensibilità di questa tecnica rispetto all'indagine radiografica, dal momento che, il 23% dei soggetti con radiografie del tutto normali mostrerà all'esame scintigrafico la presenza di metastasi [12-13]. La scintigrafia ossea total body non viene effettuata in tutti i pazienti viene riservata a pazienti con rischio medio-alto. TERAPIA PET-colina La terapia della prostata rappresenta un argomento estremamente ampio, che necessita conseguentemente di una trattazione organizzata in base alle opzioni esistenti. La PET è la più recente applicazione diagnostica nell’ambito dello studio delle neoplasie. La Tomografia con Emittenti di Positroni (PET – 21 IL CANCRO DELLA PROSTATA Le opzioni terapeutiche sono le seguenti: (Gleason score 2-4) la probabilità di andare incontro a metastasi è estremamente basso, con una sopravvivenza a 10 anni del 87%, mentre per i soggetti portatori di neoplasia con Gleason score 7-10 la sopravvivenza raggiunge un massimo del 26% a 10 anni dalla diagnosi [1922]. 1. Vigile attesa o watchful waiting – sorveglianza attiva 2. Terapia chirurgica 3. Radioterapia esterna 4. Brachiterapia 5. Crioterapia 6. Trattamento con ultrasuoni focalizzati ad Sorveglianza attiva alta intensità (HIFU) La sorveglianza attiva è una evoluzione della semplice vigile attesa; rispetto a quest’ultima, per la quale il paziente viene seguito ed eventualmente sottoposto a terapia sintomatica, il paziente entra in uno schema di protocollo particolare con il quale viene ‘sorvegliato’ attivamente, intraprendendo una terapia ‘attiva’ per la comparsa di segni compatibili con una evoluzione aggressiva della neoplasia. Gli studi di fase II attualmente in corso hanno cercato di delineare le indicazioni alla sorveglianza attiva: paziente con aspettativa di vita > 10 anni, presenza di una malattia clinicamente non significativa (Epstein criteria: PSA < 10 ng/m, Gleason score <= 6 con non più di un core interessato ed inferiore al 50%, stadio T1-T2a), elevata compliance all’aderenza al protocollo [23,24]. La sorveglianza attiva prevede stretti controlli periodici del PSA, con visita, ER ed ecografia transrettale. Di solito, una biopsia prostatica di controllo viene programmata a 1224 mesi, e comunque in ogni caso di variazione dei parametri biochimici (PSA) o clinici (ER, TRUS) basali. In caso di incremento temporale del PSA, evoluzione clinica, o in caso di upgrading bioptico il paziente sarà indirizzato ad un trattamento attivo, radicale (chirurgia, radioterapia) o palliativo (es. terapia ormonale). 7. Ormonoterapia 8. Chemioterapia Vigile attesa o watchful waiting La vigile attesa è un momento di attiva collaborazione tra il paziente e il medico, durante il quale questi due soggetti decidono insieme di non intraprendere una terapia nei confronti della malattia, limitandosi ad un attento monitoraggio degli eventuali segni e sintomi di progressione della neoplasia. La vigile attesa termina solo quando vi sia testimonianza dell'evoluzione del fenomeno neoplastico cambiando decisamente atteggiamento ed intraprendendo una attiva terapia. Logicamente non tutti i pazienti possono godere di una scelta terapeutica così particolare, ma solamente coloro che rispondono ai seguenti requisiti: aspettativa di vita inferiore a 10 anni, stadio T1a, buona differenziazione tumorale. Le neoplasie che si presentano nello stadio T1a rappresentano meno del 10% del totale e di solito questi focolai di neoplasia vengono casualmente scoperti nel 5-25% dei pazienti sottoposti a intervento chirurgico o endoscopico di adenomectomia prostatica. In questa condizione la prognosi è ottima e la sopravvivenza è quasi sovrapponibile a quella della popolazione generale a parità di età. Terapia chirurgica La terapia chirurgica del carcinoma prostatico è il trattamento di scelta nei pazienti con neoplasia localizzata, cioè per gli stadi T1 (T1b, T1c) e T2, con malattia N0 ed M0 [25]. I criteri di indicazione alla prostatectomia radicale sono: In recenti studi di valutazione prognostica, è stato dimostrato che il grading istologico è il migliore fattore predittivo di una eventuale progressione della malattia, giungendo al risultato che per pazienti con lesioni ben differenziate 22 IL CANCRO DELLA PROSTATA presenza di un carcinoma in stadio clinico localizzato, aspettativa di vita superiore ai 10 anni, assenza di controindicazioni alla terapia chirurgica, adeguato consenso informato. Le controindicazioni, assolute o relative, a questa opzione terapeutica sono: età avanzata, alto rischio anestesiologico e/o operatorio, alto rischio per patologie trombo-emboliche, turbe della coagulazione, forte motivazione al mantenimento della potenza sessuale e di una perfetta continenza urinaria. sono situati dorsalmente e lateralmente alla prostata, al di fuori della capsula e della fascia di Denonvilliers fino all’apice della ghiandola. Da questa sede i nervi erigendi attraversano il diaframma urogenitale e terminano innervando i corpi cavernosi del pene. La tecnica "nerve sparing" ha permesso di salvaguardare questa fondamentale struttura in un’alta percentuale dei casi. Per ottenere un più precoce recupero della potenza sessuale è necessario effettuare una riabilitazione precoce con terapia farmacoerettiva o, attualmente, con il sildenafil. L'incontinenza urinaria è un'altra complicanza molto importante, ma che rispetto all'impotenza ha una incidenza nettamente inferiore e spesso di modesta entità. L'incontinenza può derivare dalla lesione dell'apparato sfinterico: la sezione uretrale cade infatti a livello dell'uretra membranosa, ove risiede il meccanismo della continenza. Nei casi in cui per necessità oncologiche la sezione dell’apice deve essere generosa, o nelle situazioni in cui la struttura sfinterica è già ipotonica, l'intervento può più facilmente esitare in una incontinenza urinaria, che generalmente si presenta come incontinenza da stress: il paziente perde urina con i colpi di tosse, durante sforzi fisici, nel passaggio dalla posizione clinostatica alla ortostatica. Logicamente l'entità e la durata dell’incontinenza sono in funzione della lesione che si è creata, ma generalmente, in una percentuale che oscilla tra l'80 e il 90% dei casi, la condizione originaria viene comunque recuperata entro 6- 9 mesi dall'intervento. Nell'eventualità in cui non viene ristabilita una continenza, è necessario riabilitare con tecniche particolari l'apparato sfinterico attraverso un programma di rieducazione del piano perineale; solo in una piccolissima percentuale di pazienti si dovrà ricorrere al posizionamento di materiale protesico. La terapia chirurgica consiste nella asportazione in blocco della prostata nella sua interezza e delle vescicole seminali, assieme all’esecuzione, quando tecnicamente possibile (per la via di accesso), di una linfadenectomia loco-regionale, con successivo confezionamento di anastomosi vescico-uretrale. Può essere eseguita attraverso accesso sovrapubico (prostatectomia radicale retropubica), per via perineale o, infine, in laparoscopia o robot-assistita. I vantaggi che può apportare sono: asportazione completa del tumore con stadiazione patologica, trattamento e risoluzione della sintomatologia ostruttiva legata all'aumento di volume della ghiandola, diminuzione dello stato d'ansia del paziente, follow-up più semplice e sicuro. Logicamente qualsiasi intervento chirurgico ha degli svantaggi che devono essere tenuti in considerazione e dei quali il paziente deve essere accuratamente informato. La mortalità operatoria è inferiore allo 0.5%, mentre quella perioperatoria varia dallo 0% all’1.5%. Le maggiori complicanze postoperatorie sono l’impotenza sessuale e l’incontinenza urinaria. L'impotenza è uno dei problemi cui può andare incontro il paziente che si sottopone a prostatectomia radicale, con una percentuale che oscilla tra il 30% e l'80% a seconda delle casistiche. In particolare negli ultimi anni, grazie ad una maggiore conoscenza delle strutture anatomiche, è stato possibile identificare con maggiore dettaglio il decorso dei fasci vascolonervosi in cui decorrono i nervi erigendi e che Durante l'intervento chirurgico di prostatectomia radicale la preservazione delle fibre circolari del collo vescicale, del muscolo retto-uretrale, la riabilitazione precoce dello sfintere e la salvaguardia delle fibre nervose del fascio 23 IL CANCRO DELLA PROSTATA vascolonervoso, riduce sensibilmente la percentuale assoluta di incontinenza e i tempi necessari ad un corretto ripristino della fisiologia della minzione. somministrazione esterna delle radiazioni, oppure tramite brachiterapia, successivamente trattata [36]. La radioterapia a fasci esterni consente, attraverso radiazioni ad alta energia emesse da un acceleratore lineare, di danneggiare in modo irreversibile le cellule tumorali maligne. Le indicazioni ideali alla radioterapia sono simili a quelle della prostatectomia radicale: presenza di un carcinoma in stadio clinico localizzato, aspettativa di vita maggiore di 10 anni, assenza di malattie del colon e del retto, assenza di malattie della vescica, assenza di uropatia ostruttiva bassa di grado severo, paziente con condizioni cliniche che non consentono la terapia chirurgica, adeguato consenso informato. Questa strategia terapeutica è gravata dai seguenti svantaggi ed effetti collaterali: danni da radiazione su vescica e intestino, peggioramento dell’uropatia ostruttiva bassa, incontinenza urinaria, tempo di trattamento prolungato, difficile valutazione del risultato della terapia. Gli effetti collaterali sono negli anni divenuti sempre meno gravi per il progressivo perfezionarsi della tecnica di esecuzione [37]. L'irradiazione degli organi contigui alla prostata determina i più comuni e noti effetti collaterali a breve e a lungo termine a carico dell'apparato genitourinario ed intestinale: precocemente possono verificarsi un aumento della frequenza delle minzioni diurne e notturne (15% di grado severo), bruciore e urgenza minzionale, diarrea e urgenza alla defecazione, sanguinamento rettale (10%-15% di grado severo). In genere questi effetti collaterali iniziano a manifestarsi durante il trattamento per poi risolversi, dietro adeguata terapia, entro tre mesi dal termine dello stesso. A lungo termine si possono riscontrare gravi cistiti da raggi con retrazione della vescica, ritenzione cronica urinaria (3%), incontinenza urinaria (2%), deficit erettile (40-70%), proctiti (6%), sanguinamento rettale persistente (meno dell’1%), necrosi delle teste femorali (meno dell’1%). Nelle condizioni più gravi queste complicazioni possono talora richiedere interventi chirurgici aggiuntivi, soprattutto per risolvere l’uropatia ostruttiva bassa (resezione transuretrale della prostata). Per Uno dei possibili risultati della prostatectomia radicale è la presenza, all’esame istopatologico, della positività dei margini di resezione chirurgica. E’ un elemento estremamente importante in termini prognostici, dal momento che questo fenomeno di diffusione neoplastica può modificare sia la strategia terapeutica sia la prognosi della malattia, a causa dell’aumentato rischio di recidive locali. Nei casi in cui dopo prostatectomia radicale i margini di resezione chirurgica risultino positivi per la localizzazione neoplastica, quindi lo stadio patologico risulti essere superiore a quello clinico, può essere necessario completare il trattamento con una terapia adiuvante, come la radioterapia o la terapia ormonale, al fine di ridurre la possibilità di recidiva locale e/o di diffusione sistemica della malattia [26,27]. La terapia ormonale neoadiuvante, eseguita prima dell’intervento chirurgico dovrebbe ridurre l’incidenza di malattia extracapsulare e quindi di margini chirurgici positivi [28,29]. I risultati della terapia chirurgica radicale in termini di sopravvivenza libera da malattia e di sopravvivenza globale a 15 anni sono elevate negli stadi anatomo-patologici pT1 e pT2, attestandosi entrambe attorno al 50-60%, mentre nelle fasi più avanzate di malattia, corrispondenti a pT3 e pT4, la percentuale di successi cala fortemente tra lo 0% e il 10% [30-33]. Radioterapia esterna La radioterapia, analogamente alla chirurgia radicale, costituisce una condotta terapeutica volta al trattamento definitivo del carcinoma della prostata, per tumori di stadio T1 e T2, nei quali si ottiene il massimo dei risultati; è applicabile anche negli stadi clinici T3 e T4, con risultati oncologici ovviamente minori [34,35]. La radioterapia può essere eseguita secondo varie modalità, ma principalmente per mezzo di 24 IL CANCRO DELLA PROSTATA quanto sopra riportato si intuisce come malattie del colon, del retto, uropatia ostruttiva bassa rappresentino controindicazioni all'esecuzione della terapia radiante. Uno svantaggio di questo tipo di approccio è anche la durata del trattamento, che se da un lato non richiede il ricovero ospedaliero prolungato, tuttavia necessita di una serie di applicazioni giornaliere della durata di 10 minuti, 5 giorni alla settimana per complessive 7-8 settimane consecutive. Aspetto che pone una grossa problematica in corso di terapia radiante è la valutazione del risultato, per la difficoltà di utilizzo del PSA nel follow-up clinico, e ciò induce nel paziente un notevole stato di ansia. È in quest'ottica che diviene imperativa l'esecuzione di biopsie mirate dopo radioterapia, in relazione a numerosi studi che hanno dimostrato una elevata percentuale di presenza di tumore residuo in loggia prostatica (sino al 68%), elemento che diverrà essenziale nella progressione della malattia e nella sua conseguente diffusione metastatica. Infatti la sopravvivenza offerta dalla radioterapia è indicativamente sovrapponibile a quella della prostatectomia radicale, con una percentuale a 5 anni dell'85%, a 10 anni del 60%, mentre nell'eventualità dell'individuazione di residuo neoplastico sul materiale bioptico dopo terapia radiante, il risultato diminuisce nettamente a 35% a 10 anni. Per ridurre il campo di irradiazione e quindi gli effetti collaterali viene sempre eseguita una terapia ormonale neoadiuvante, che andrà procrastinata nelle forme pT3-pT4 o nei pazienti ad alto rischio di diffusione sistemica [38]. recenti dimostrano come il fattore "dose" in radioterapia abbia un ruolo fondamentale nel determinare la probabilità di guarigione del paziente. Le varie tecniche di radioterapia si differenziano proprio per la dose che consentono di rilasciare a livello prostatico e per il risparmio delle strutture contigue. Radioterapia convenzionale: è la tecnica più datata ma è anche l'unica per la quale si disponga di risultati con follow-up a oltre 10 anni dal trattamento. Poiché utilizza campi piuttosto ampi che coinvolgono anche strutture adiacenti alla prostata, non consente di erogare dosi molto elevate alla ghiandola. A 10 anni dal trattamento i dati di sopravvivenza senza progressione biochimica di malattia sono per i tumori localizzati intorno al 50%-60% (75% per lo stadio T1, 66% per lo stadio T2, 30% per lo stadio T3). Radioterapia conformazionale: è una tecnica di trattamento che consente, col procedere della terapia, di ridurre progressivamente il volume bersaglio irradiato "conformandolo" alle dimensioni della ghiandola prostatica. Questo permette di raggiungere dosaggi decisamente più elevati rispetto alla convenzionale con un maggior risparmio delle strutture adiacenti ed una riduzione degli effetti collaterali. Intensity Modulated Radiation Therapy (IMRT): è la tecnica più recente: dovrebbe consentire, con l'utilizzo di software dedicati e di particolari accessori, di risparmiare maggiormente i tessuti sani adiacenti alla prostata, permettendo al contempo di irradiare quest'ultima con dosi molto elevate. I risultati preliminari sono molto interessanti, anche se l'esecuzione del trattamento risulta decisamente più complessa e presenta quindi potenziali margini di errore superiori rispetto alle precedenti tecniche. La terapia radiante può essere utilizzata inoltre non solo nelle condizioni sopra elencate, ma anche come trattamento adiuvante in pazienti che presentano recidiva locale dopo prostatectomia radicale e come trattamento palliativo nei pazienti con metastasi ossee localizzate sintomatiche. Brachiterapia La Brachiterapia permanente (BT) è una forma di radioterapia in cui delle piccole capsule ("semi") contenenti sorgenti radioattive (Palladio 103/Pd103 o Iodio 125/I-125) vengono impiantate nella prostata sotto guida ecografica. Si tratta di una Dal punto di vista tecnico la radioterapia per i tumori prostatici può essere eseguita con diverse modalità: convenzionale, conformazionale 3D, "intensity modulated" (IMRT). Tutti gli studi più 25 IL CANCRO DELLA PROSTATA procedura minimamente invasiva che si completa in un'unica seduta operatoria della durata di circa 90 minuti [39,40]. I "semi" vengono posizionati nella prostata mediante aghi infissi per via transperineale. La sonda ecografica e gli aghi vengono estratti al termine della procedura. Ciascun "seme" rilascia continuamente una piccola quantità di energia radiante ad una limitata porzione di tessuto prostatico: questo consente di trattare il tumore con una dose di radiazione estremamente elevata senza danneggiare le strutture adiacenti. La Brachiterapia (BT) può essere proposta in alternativa all'intervento chirurgico di prostatectomia radicale nei pazienti affetti da adenocarcinoma prostatico clinicamente localizzato. Non sono a tutt'oggi disponibili risultati oncologici a lungo termine (15 anni dopo l'impianto). differenza delle tecniche di radioterapia che tendono a peggiorare sensibilmente questo aspetto della sintomatologia [43]. High-Intensity focused ultrasound (HIFU) L’HIFU (acronimo di high-intensity focused ultrasound) è una tecnologia relativamente nuova, mininvasiva, che è in grado di indurre una istantanea ed irreversibile necrosi in tutti i tessuti biologici per un effetto termico (assorbimento di energia ad ultrasuoni convertito in calore) e per cavitazione. Gli ultrasuoni sono emessi da un trasduttore ed assorbiti nella zona interessata, con danni limitati ai tessuti circostanti rendendo così questa forma di terapia interessante. Nel punto focale l'alta intensità produce un intenso aumento della temperatura, fino a 100° C, risultante nella denaturazione proteica e nella necrosi coagulativa. A questo danno termico si aggiunge inoltre la formazione di aree di cavitazione per interazione con le microbolle a livello tissutale. La tecnica, ancora in fase sperimentale, viene eseguita in anestesia spinale o generale, in posizione litotomica o laterale. E’ indicata in pazienti non candidabili ad intervento chirurgico, con aspettativa di vita inferiore a 10 anni, malattia prostatica localizzata e basso rischio. I risultati in termini di sopravvivenza a lungo termine non sono ancora disponibili ma buoni risultati si sono registrati in pazienti con indicazioni elettive a breve-medio termine [4346]. Crioterapia La tecnica di criochirurgia consiste nell'inserimento di 5-7 aghi dentro la prostata fino a coprire tutta la zona tumorale da distruggere. Gli aghi vengono poi sostituiti da alcuni dilatatori per permettere l'ingresso di sonde che provocano il raffreddamento a -180 °C, inducendo necrosi tissutale [41,42]. La procedura, eseguita con guida ecografia ed in anestesia epidurale, dura circa 45 minuti, il paziente viene dimesso il giorno dopo e dovrà portare solamente un catetere per 1-2 settimane. Le indicazioni sono le stesse della prostatectomia radicale. Per quanto riguarda i risultati di questa tecnica non si è ancora giunti ad una conclusione definitiva, anche se sembra che la sopravvivenza sia sovrapponibile a quella della prostatectomia radicale, almeno negli stadi iniziali della malattia. Grazie al perfezionamento della tecnica oggi le complicanze sono nettamente diminuite, tuttavia la percentuale di impotenza varia dal 65% al 100% a seconda delle casistiche, ed anche la recidiva locale si manifesta in una percentuale non trascurabile di pazienti. Un vantaggio offerto da questa metodica è l'effetto disostruttivo, a Ormonoterapia L'ormonoterapia costituisce la terapia ottimale nelle forme avanzate della neoplasia prostatica [47-48]. Le indicazioni a questo tipo di trattamento sono essenzialmente: carcinoma prostatico localizzato in paziente non operabile per età o per patologia concomitante, carcinoma prostatico localmente avanzato, carcinoma prostatico metastatico, pazienti sottoposti a chirurgia o a radioterapia che presentano un rischio elevato di recidiva di malattia (terapia adiuvante) o che presentano una ripresa 26 IL CANCRO DELLA PROSTATA biochimica, come terapia neoadiuvante prima di trattamenti ad intento radicale (radioterapia o prostatectomia radicale). Le neoplasie che solitamente vengono trattate sono in stadio T3T4 N+ e/o M+ secondo la stadiazione TNM, che rappresentano attualmente meno del 30%50% dei pazienti. Ovviamente in queste fasi avanzate il tumore presenta la prognosi peggiore, non è più suscettibile di un trattamento radicale, ma solo di terapie palliative, in grado di ridurre la sintomatologia, di migliorare la qualità di vita dei malati e talvolta di allungare la sopravvivenza. La terapia ormonale si fonda sul razionale che il carcinoma della prostata è ormono-dipendente: lo scopo principale è pertanto quello di contrastare la produzione di testosterone e di androgeni e di bloccare l'azione degli ormoni sessuali maschili prodotti dai testicoli (testosterone) e dai surreni [49,50]. Questo determina un rallentamento della proliferazione cellulare neoplastica e riduce le dimensioni del tumore. Questo tipo di “blocco androgenico” può essere ottenuto attraverso l’ablazione degli organi produttori degli androgeni (castrazione chirurgica con l’orchiectomia bilaterale o castrazione chimica, con la soppressione dell'increzione ipofisaria di gonadotropine, utilizzando gli analoghi dell’LHRH), o con il blocco periferico dell'azione degli androgeni (farmaci antiandrogeni, steroidei o non steroidei), da soli o in associazione. castrazione chirurgica trova oggi scarso impiego pratico. Soppressione dell'increzione ipofisaria di gonadotropine (Estrogeni o analoghi dell'LHRH): gli estrogeni hanno rappresentato, per molti anni, l'unica scelta terapeutica in alternativa o in associazione alla castrazione chirurgica. Attualmente non trovano largo consenso nella pratica clinica, essendo ormai utilizzati solo come terapia di seconda scelta a causa dei notevoli effetti collaterali, i principali dei quali sono perdita della libido, impotenza, ginecomastia, cardiopatie e rischio di trombosi. Gli analoghi dell’LH-RH sono una classe di composti che ha sicuramente rappresentato un passo in avanti nel trattamento del carcinoma prostatico, sostituendo l’orchiectomia e la terapia con estrogeni ed entrando a far parte di terapie combinate con altri farmaci che offrono dei risultati nettamente migliori. Il meccanismo di azione è la stimolazione centrale dell'ipofisi che produce FSH, LH, gonadotropine. Questi farmaci causano una azione continua a livello dell'ipofisi, la quale andrà incontro ad un esaurimento funzionale delle proprie cellule, che cessano di secernere tali ormoni. All’iniziale somministrazione degli analoghi dell’LHRH segue un fenomeno definito "flare ", che consiste in un aumento del rilascio di testosterone nelle fasi iniziali della terapia dovuto alla stimolazione centrale dell'ipofisi, con un peggioramento della sintomatologia; tale inconveniente è facilmente circoscrivibile con l'associazione di un antiandrogeno [51]. Il trattamento con gli analoghi dell'LH-RH, disponibili in formulazioni deposito di durata variabile (goserelin, triptorelina, leuprolide, buserelin), è in grado di assicurare una buona compliance anche da parte dei pazienti più anziani, consentendo una somministrazione intramuscolo o sottocute ogni 28 giorni e più recentemente ogni 12 settimane. Rispetto all'orchiectomia, il trattamento con agonisti dell'LH-RH ha il vantaggio di evitare un trauma chirurgico e di essere meglio tollerato dal punto di vista psicologico. La castrazione, Ablazione degli organi produttori degli androgeni: la castrazione chirurgica è stata la prima metodica ad essere adottata ed essa basa il proprio principio di azione sulla brusca caduta del testosterone sierico, pari al 90%-95% dei livelli preesistenti, seguita frequentemente e rapidamente da un miglioramento clinico. Tuttavia questo è di durata più o meno breve, principalmente in relazione alla produzione extratesticolare di androgeni. Un altro effetto estremamente negativo della castrazione è costituito dall'impatto traumatico sulla psiche del paziente: sotto questo aspetto l’orchiectomia sottocapsulare è più facilmente accettata. La 27 IL CANCRO DELLA PROSTATA comunque ottenuta, è un trattamento ben tollerato, privo sostanzialmente di effetti collaterali sull'apparato cardiovascolare, che induce solamente i disturbi legati alla deprivazione androgenica, come vampate di calore, impotenza, perdita della libido, astenia, aumento di peso. Nell’ambito della castrazione chimica, di recente sono stati introdotti gli antagonisti LH-RH (degarelix, abarelix) che agiscono inibendo direttamente il recettore LHRH. Questi farmaci, di cui è in corso la commercializzazione, hanno il vantaggio principale nella inibizione diretta ipofisaria, con effetti immediati, evitando la fase iniziale di flare androgenico che è tipica degli agonisti LH-RH. La Flutamide, sintetizzata per la prima volta nel 1970, è un farmaco antiandrogeno puro non steroideo. Agisce impedendo il legame degli ormoni androgeni a livello dei recettori nucleari delle cellule della prostata, ma la sua azione non è selettiva, esplicando conseguentemente la propria azione anche a livello centrale, cioè nell'ipotalamo e nell'ipofisi. Conseguentemente blocca il meccanismo di feed-back negativo che dovrebbe svolgere il testosterone circolante, provocando così un fenomeno simile a quello di “flare”. La Bicalutamide, sintetizzata nel 1982, costituisce il più recente farmaco antiandrogeno puro non steroideo. Questo farmaco offre un vantaggio non trascurabile, cioè la selettività per i recettori periferici, conseguenza del fatto che non è in grado di oltrepassare la barriera emato-encefalica. In base a questa proprietà, il farmaco non può provocare l'innalzamento delle concentrazioni sieriche dell’LH e pertanto i livelli di testosterone circolante non subiscono un incremento. La mancanza dell'azione di questo composto a livello dell'asse ipotalamo-ipofisario favorisce il mantenimento della libido e dell'erezione. Blocco periferico dell'azione degli androgeni: si ottiene con farmaci che agiscono in modo differente rispetto a quelli trattati in precedenza, in quanto il loro sito di azione è a livello della cellula prostatica: essi, infatti, agiscono come inibitori competitivi degli androgeni sul recettore nucleare delle cellule prostatiche. Gli effetti collaterali più comuni che derivano dalla somministrazione di questo gruppo di farmaci sono la ginecomastia, disturbi dispeptici ed epatopatia per il loro metabolismo epatico. Gli antiandrogeni utilizzati possono essere steroidei e non steroidei. L’ormonoterapia può essere utilizzata da sola o in associazione secondo vari protocolli: Il ciproterone acetato è un composto farmacologico steroideo di sintesi scoperto nel 1962 ed è stato il primo ad essere utilizzato clinicamente. Il suo meccanismo d’azione è complesso dal momento che non essendo un antiandrogeno puro e possedendo anche una notevole attività progestinica, non agisce solo a livello dei recettori bersaglio delle cellule della prostata, ma anche a livello del sistema nervoso centrale (ipotalamo). Il blocco androgenico completo è una strategia terapeutica che unisce la somministrazione degli analoghi dell’LHRH ad un farmaco antiandrogeno. Il primo non elimina, infatti, gli androgeni prodotti dal surrene, mentre il secondo è in grado di rendere inefficaci tutti gli androgeni; conseguentemente i due farmaci possono agire sinergicamente con risultati nettamente superiori. Un ulteriore vantaggio, dato da questa associazione, è impedire il manifestarsi del fenomeno del "flare". Inibisce pertanto la sintesi dei fattori di rilascio riducendo in tal modo la produzione di LH e conseguentemente la produzione di testosterone mentre l’attività progestinica provoca una riduzione marcata della libido e della potenza sessuale. Il blocco androgenico periferico è una strategia terapeutica che unisce la somministrazione di un farmaco antiandrogenico ad un inibitore della 5alfa-reduttasi. Con questa strategia le concentrazioni di testosterone restano elevate con mantenimento della normale attività sessuale. 28 IL CANCRO DELLA PROSTATA Il blocco antiandrogenico intermittente ha assunto negli ultimi anni un ruolo sempre più importante, dal momento che gran parte dei pazienti trattati, dopo un tempo variabile in rapporto ad una serie di parametri tra cui stadio e grado della neoplasia, mostrano un rialzo delle concentrazioni plasmatiche del PSA, segno di ripresa della malattia per perdita del controllo ormonale. La causa è da ricercare nel possibile sviluppo di cloni cellulari ormono-indipendenti dovuto ad un meccanismo adattativo della cellula in condizioni di deprivazione androgenica e non ad un'alterazione del genoma, con conseguente evoluzione della malattia anche con concentrazioni minime di testosterone circolante. Un altro possibile meccanismo di resistenza alla terapia ormonale potrebbe essere rappresentato dalle alterazioni metaboliche ed enzimatiche cellulari che causano una parziale attività del farmaco stesso. La terapia intermittente è quindi stata proposta per minimizzare il problema, sospendendo la somministrazione dei farmaci prima che si formino i cloni resistenti, prolungando così la sensibilità del tumore. Un ulteriore vantaggio offerto da questa strategia terapeutica è che nel periodo intermedio fra sospensione e ripresa della somministrazione dei farmaci i pazienti possono tornare ad avere una normale vita sessuale, in quanto il blocco ormonale non è irreversibile. Alla sospensione della terapia medica c'è pertanto il ripristino dei livelli plasmatici di testosterone con regolare ripresa della libido e della potenza sessuale, inoltre si ha un significativo miglioramento nel tono muscolare, del tono dell'umore e la scomparsa degli effetti collaterali come le vampate di calore. Tale strategia di somministrazione intermittente dei farmaci sembra avere teorici effetti positivi sulla progressione del tumore, testimoniata dall'intervallo libero da malattia clinicamente evidente di durata sempre maggiore e conseguentemente sulla sopravvivenza del paziente. Terapia delle forme ormonoresistenti Nella neoplasia prostatica la durata di risposta al trattamento ormonale è circa 18 mesi, in accordo con la situazione clinica presente all'inizio della terapia, mentre sale a 24-36 mesi se condotta con metodica di somministrazione intermittente. Un quarto dei pazienti con carcinoma della prostata metastatico non risponde alle terapie ormonali. La mediana della sopravvivenza in questi pazienti è di 9-12 mesi. Molto spesso il trattamento di questi casi ha un intento puramente palliativo, con gli obiettivi di alleviare i sintomi, il dolore in particolare, e migliorare la qualità della vita. In questa fase di malattia sono stati proposti diversi trattamenti: sospensione degli antiandrogeni se somministrati o loro introduzione, modifiche delle terapie ormonali in atto, manovre ormonali alternative con dietilsilbestrolo (DES) o con l'estramustina fosfato (EMP), chemioterapia di I o di II linea: mitoxantrone, ciclofosfamide o taxani, che ad oggi costituiscono il gold standard del trattamento chemioterapico della neoplasia prostatica castration-resistant, inibitori dei fattori di crescita (suramina), trattamento cortisonico, sempre abbinato ai trattamento chemioterapici, trattamento radiante e/o con radioisotopi. I pazienti divenuti refrattari al trattamento ormonale, in presenza di livelli di castrazione del testosterone, possono trarre giovamento da terapie ormonali di seconda linea e occasionalmente mostrare una risposta con durata limitata fra i 3 e i 10 mesi [52]. Il trattamento cortisonico può ridurre il PSA e migliorare i sintomi in una discreta percentuale di pazienti, cosi come la sospensione dei trattamenti antiandrogenici in atto (withdrawal response) [43-56]. La chemioterapia del carcinoma prostatico ormonoresistente, nonostante numerosi anni di studi clinici, ha portato benefici limitati. Dalle revisioni dei numerosi studi clinici è stato dimostrato che i trattamenti chemioterapici 29 IL CANCRO DELLA PROSTATA possono ottenere tra il 4-5% di risposte complessive ed il 20% di stabilizzazioni di malattia, con una durata di risposta di 12-15 settimane. Ciò nonostante, gli agenti chemioterapici usati singolarmente hanno dimostrato di poter ottenere risposte parziali e riduzioni del 50% del PSA [57-74]. BIBLIOGRAFIA La reale efficacia dei chemioterapici è comunque difficile da stabilire, sia per il notevole numero di protocolli introdotti nella clinica, sia perché talora negli studi non viene inserito il PSA come parametro di valutazione, sia perché talora la risposta osservata è di tipo misto, cioè si ha il miglioramento clinico di un aspetto della malattia e il peggioramento su altri fronti; come accade talvolta con evoluzione più favorevole delle metastasi molli, accompagnate però da un aggravarsi di quelle ossee. 2. Sobin LH, WitterkindCH, (Eds), InternationalUnion Against Cancer. TNM Classification of Malignant Tumors, 5th ed. New York, John Wiley & Sons, pp. 170-173. 1. Epstein JI, Allsbrook WC Jr, Amin MB, Egevad LL; ISUP grading committee. 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