Il Cancro della Prostata - RTUP - Università degli Studi di Perugia

CancerStat Umbria
Anno II No. 3-4
Marzo-Aprile
2011
Registro Tumori
Umbro di Popolazione
ISSN 2039-814X
Registro Nominativo
delle Cause di Morte
Registro Regionale
dei Mesoteliomi
Direttore:
Francesco La Rosa
Il Cancro della Prostata
Luigi Mearini, Elisabetta Nunzi,
Massimo Porena
Coordinatore:
Fabrizio Stracci
Nicola Buonora, Antonella Monsignori
Fabrizio Stracci, Francesco La Rosa
Dipartimento di
Specialità MedicoChirurgiche e Sanità
pubblica.
Sezione di Sanità
Pubblica.
Università degli Studi
di Perugia.
Regione dell’Umbria.
Direzione regionale
Salute, coesione sociale
e società della
conoscenza
INDICE:
Parte I
Epidemiologia
pag. 1
Eziologia, fattori di rischio e fattori protettivi
pag. 5
Bibliografia
pag. 10
Parte II
Anatomia patologica
pag. 13
Sintomatologia e quadro clinico
pag. 16
Diagnosi
pag. 17
Terapia
pag. 21
Bibliografia
pag. 30
IL CANCRO DELLA PROSTATA
CancerStat Umbria
Registro Tumori
Umbro di Popolazione
Registro Nominativo
delle Cause di Morte
Registro Regionale
dei Mesoteliomi
Direttore:
Anno II No. 3-4, Marzo-Aprile 2011
ISSN 2039-814X
Codice CINECA-ANCE E205269
Pubblicato da:
Registro Tumori Umbro di Popolazione
Francesco La Rosa
Coordinatore:
Fabrizio Stracci
Collaboratori:
Anna Maria Petrinelli
Daniela Costarelli
Fortunato Bianconi
Valerio Brunori
Daniela D’Alò
Cinzia Santucci
Massimo Scheibel
Francesco Spano
Dipartimento di Specialità Medico-Chirurgiche e Sanità
Pubblica. Sezione di Sanità Pubblica.
Università degli Studi di Perugia.
Via del Giochetto
06100 Perugia
Tel.: +39.075.585.7329 - +39.075.585.7366
Fax: +39.075.585.7317
Email: [email protected]
URL: www.rtup.unipg.it
Segreteria:
Luisa Bisello
Regione dell’Umbria.
Direzione regionale
Salute, coesione sociale
e società della
conoscenza
Emilio Duca
Paola Casucci
Marcello Catanelli
Mariadonata Giaimo
IL CANCRO DELLA PROSTATA
IL CANCRO DELLA PROSTATA
Con questo numero di CancerStat Umbria inizia la pubblicazione di una serie di
monografie riguardanti gli aspetti epidemiologici e clinici di tumori di diverse sedi. Lo
scopo di tale iniziativa è anche quello di aggiornare coloro che non sono specialisti del
settore sia sugli aspetti epidemiologici, e di prevenzione primaria e secondaria, più
recenti, sia su quelli prettamente clinici che riguardano le tecniche diagnostiche e gli
interventi terapeutici e riabilitativi più attuali.
La parte epidemiologica è svolta dai Ricercatori del RTUP, da altri della Sezione di Sanità
Pubblica del Dipartimento di Specialità medico-chirurgiche e Sanità Pubblica, e da
Medici specializzandi della Scuola di “Igiene e medicina preventiva” dell’Università di
Perugia; quella clinica da Specialisti che operano nella nostra Regione.
E’ evidente che la sinteticità delle monografie porti a trascurare molti aspetti delle
problematiche affrontate, che evidentemente non possono esaurirsi in poche decine di
pagine. Tuttavia questa iniziativa può essere utile a sollecitare una integrazione, anche se
limitata, delle diverse competenze che nella regione Umbria operano nel campo
dell’oncologia. Pur nella sua modestia, essa può essere di supporto ad altri più importanti
progetti di integrazione tra competenze di tipo oncologico che hanno portato alla
realizzazione del Centro di Riferimento Oncologico dell’Umbria e successivamente alla
concretizzazione della Rete Oncologica Regionale.
Gli Operatori del registro tumori, e redattori di questa rivista elettronica, nel ringraziare i
Colleghi che hanno prestato, e presteranno, la loro opera per la realizzazione delle
monografie, invitano tutti coloro che ritengano di “avere qualcosa da dire” sui temi
affrontati a inviare le loro osservazioni, ed eventualmente i loro contributi, per
l’eventuale pubblicazione su CancerStat Umbria.
IL CANCRO DELLA PROSTATA
IL CANCRO DELLA PROSTATA
Il Cancro della Prostata
Luigi Mearini1, Elisabetta Nunzi1, Massimo Porena1,2
Nicola Buonora3, Antonella Monsignori3
Fabrizio Stracci2, Francesco La Rosa2
1
2
3
Clinica Urologica, Azienda Ospedaliera di Perugia
Dipartimento di Specialità medico-chirurgiche e Sanità pubblica,
Università degli studi di Perugia
Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina preventiva,
Università degli studi di Perugia
polmone (13%), cancro del colon-retto (12%),
tumore della vescica (6%).
L’incidenza mostra un gradiente Nord-Sud con
valori più elevati Nord.
Tra il 2003 e il 2005, il tasso di incidenza grezzo
medio annuo nell’area coperta dall’AIRTUM, è
stato 141,0 casi per 100.000 uomini.
Nello stesso periodo il tasso grezzo di incidenza
in Umbria è stato pari a 157,0 casi per 100.000
abitanti. Nel 2008, ultimo anno per il quale è
stata pubblicata l’incidenza regionale, il tasso
grezzo risulta inferiore (130,7). Il carcinoma
prostatico è inoltre la terza causa di morte per
cancro in Umbria dopo polmone e colon-retto.
I dati di prevalenza al 1° gennaio 2006, mostrano
che in Italia circa 217.000 uomini hanno avuto
nel corso della vita una diagnosi di tumore
maligno della prostata; ciò si traduce in un tasso
di prevalenza molto elevato pari a 896 ogni
100.000 abitanti. Di questi 217.000, 67.000 circa
hanno avuto una diagnosi da meno di 2 anni;
73.000 circa da 2 a 5 anni; 54.000 circa da 5 a 10
anni; 18.000 circa da 10 a 15 anni.
Nella classe di età 60-74 anni la prevalenza è di
2,6 casi per 100 uomini ed è quasi pari al 6%
dopo i 75 anni. La prevalenza a 5 anni dalla
diagnosi è di 573 casi 100.000 (64%).
Parte I
Nicola Buonora, Antonella
Monsignori, Fabrizio Stracci,
Francesco La Rosa
EPIDEMIOLOGIA
Il tumore della prostata rappresenta una
neoplasia ad elevata incidenza, con notevoli
implicazioni sia dal punto di vista sociale che
economico. Il cancro della prostata è un tumore
particolarmente rilevante negli anziani. I tassi di
incidenza
e
di
mortalità
aumentano
esponenzialmente con il crescere dell’età con una
pendenza maggiore di ogni altro tumore maligno.
L’incidenza è elevata nel Nord America e
nell’Europa
Settentrionale,
intermedia
nell’Europa Meridionale e in Sud America, bassa
nei Paesi dell’Estremo Oriente come il Giappone
(incidenza di circa 2-3 casi su 100000 maschi).
In Italia, i più recenti dati AIRTUM indicano che
il cancro della prostata è il più frequentemente
tumore maligno tra gli uomini; si stima che 1112.000 nuovi casi di cancro della prostata siano
diagnosticati ogni anno in Italia.
In termini di incidenza percentuale i principali
tumori nel sesso maschile sono stati nel periodo
2003-2005: cancro della prostata (19%), tumori
non melanomatosi della cute (16%), cancro del
1
IL CANCRO DELLA PROSTATA
La selezione del modello spiegato da un unico
segmento lineare per l’incidenza nel periodo in
studio rispetto al modello con una variazione di
pendenza nel 2003 dei registri italiani rappresenta
una differenza minore e una certa riduzione della
pendenza dal 2003 sembra presente anche in
Umbria se si considerano i tassi osservati.
Gli andamenti temporali dell’incidenza e
della mortalità.
L’incidenza della malattia ha subito un forte
aumento in Europa e negli US in concomitanza
con la diffusione del dosaggio dell’Antigene
Specifico della Prostata (PSA) dai primi anni ’90.
In anni recenti l’andamento risulta più
altalenante. Ad esempio negli US si succedono
periodi di riduzione ed incremento dell’incidenza
[1]. La mortalità per la malattia è generalmente in
riduzione. Negli US il tasso standardizzato di
mortalità è in diminuzione dal 1994 (APC -4.1%)
sebbene dal 2005 con una pendenza inferiore (2.6%).
In Europa una riduzione della mortalità si
osserva in diversi paesi occidentali, incluse
Francia, Germania e Regno Unito [2]. In Italia,
nelle aree coperte da registri tumori, si osserva un
aumento di incidenza dal 1998 al 2003 con una
pendenza più accentuata (APC +7.3* con 95%
IC da 6.1 a 8.6 ) e dal 2003 al 2005 con una
qualche tendenza alla stabilizzazione (APC +3.4).
In Umbria il trend di incidenza del cancro della
prostata evidenzia un incremento dagli inizi degli
anni ’90 (APC +3.5%*). Contemporaneamente la
mortalità è diminuita in modo regolare (APC -1.7
nell’ultimo periodo).
Il trend umbro di incidenza e mortalità non si
discosta particolarmente dal trend italiano.
616
2085
3165
Incidenza
Tasso Tasso
grezzo standard.*
31.2
45.1
105.6
108.4
150.4
139.0
Anni di
N. totale
riferimento morti
1978-1982
449
1994-1998
739
2004-2008
723
Mortalità
Tasso Tasso
grezzo standard.*
10.2
40.1
37.4
42.7
34.4
32.3
Anni di
riferimento N. totale casi
1978-1982
1994-1998
2004-2008
(*) popolazione standard: italiana m+f
censimento 2001
Umbria
Periodo
APC
L inf
L sup
Incidenza 1994-2008
2.5*
1.3
3.8
Mortalità 1994-2008
-2.7*
-3.9
-1.4
L’aumento della frequenza della malattia non
risulta omogeneo se si osserva la distribuzione
per classe d’età. Nel periodo di osservazione del
registro l’incidenza nelle classi di età più anziane
(>80 anni) si riduce e nelle classi d’età inferiori a
80 anni si osserva con varia intensità un
andamento opposto.
Standardized incidence and mortality rates
x 100,000
120
100
80
60
40
20
0
1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008
APC 1994-2008 incidence (95% CI) +3.5* (+2.2; +4.8)
APC 1994-2008 mortality (95% CI) -2.7* (-3.8; -1.5)
2
IL CANCRO DELLA PROSTATA
Nel periodo 1978-82 l’incidenza era bassa e la
malattia era associata ad una bassa sopravvivenza
(39% a 5 anni). Per i casi diagnosticati nel
periodo 2004-2008 – periodo caratterizzato da
frequenza molto più elevata – la sopravvivenza a
5 anni ha superato il 92% e si avvicina agli
elevatissimi valori riportati negli US.
Commento
Il quadro epidemiologico tracciato per il cancro
della prostata è complesso ma è possibile
individuare alcuni elementi evidenti e altri
altamente probabili.
Un elemento rilevante ed evidente è la riduzione
significativa e durevole della mortalità specifica.
Ecco un primo problema: perché la mortalità si
riduce? Due sono le possibili spiegazioni non
alternative: un miglioramento del trattamento e il
successo della diagnosi precoce mediante
dosaggio del PSA.
La questione piuttosto imbarazzante è che
mentre il ruolo del miglioramento terapeutico è
in genere accettato, attualmente nonostante i
risultati di quattro trial clinici (studi sperimentali
che hanno confrontato un gruppo sottoposto a
screening mediante PSA con un gruppo di
controllo) e una serie numerosissima di studi
osservazionali (basati sulla registrazione passiva
delle attività cliniche) non vi è evidenza definitiva
riguardo alla capacità dello screening di salvare
vite, cioè di ridurre la mortalità.
Un secondo elemento evidente è che la
frequenza della malattia è attualmente molto più
elevata rispetto al periodo precedente la
diffusione del PSA come test di screening. Vi
Sopravvivenza relativa
La sopravvivenza relativa misura la probabilità di
sopravvivere al cancro della prostata negli anni
successivi alla diagnosi come se il cancro della
prostata fosse l’unica causa di decesso. Per il
cancro della prostata come per gli altri tumori
maligni soggetti a interventi di diagnosi precoce
la sopravvivenza non è necessariamente indice di
successo terapeutico e deve quindi essere
interpretata con cautela. In Umbria si evidenzia
un incremento progressivo e notevole della
sopravvivenza.
3
IL CANCRO DELLA PROSTATA
l’obiettivo di esporre i dati essenziali in estrema
sintesi. Informazioni complementari sono fornite
per quanto riguarda le conseguenze delle attività
di diagnosi precoce nella precedente sezione
dedicata al quadro epidemiologico e, per quanto
riguarda le caratteristiche diagnostiche del test, il
dosaggio dell’antigene prostata specifico (PSA) in
una sezione successiva. Dal punto di vista storico
è opportuno sottolineare che lo screening per il
cancro della prostata si è diffuso molto prima
della disponibilità di evidenze di efficacia fornite
da esperimenti clinici per la semplicità del test
(dosaggio PSA nel sangue) da un lato e per
l’assunto clinico che la ricerca di tumori in fase
precoce in una popolazione asintomatica sia
garanzia di miglior esito clinico [3].
Dagli inizi degli anni ’90 l’utilizzo del PSA per la
diagnosi precoce del cancro della prostata si è
ampiamente diffuso nel mondo anche se con
intensità molto diversa. Ad esempio l’impiego
negli US è ed è stato molto maggiore rispetto al
Regno Unito [4].
Diversamente da altri screening la cui efficacia
era supportata da studi sperimentali, lo screening
per il cancro della prostata si è diffuso nel
mondo, Italia inclusa, come intervento spontaneo
in larga misura determinato dalla interazione tra
le persone e il medico di famiglia o uno
specialista (screening opportunistico). Questa
forma
di
screening
presenta
diverse
caratteristiche: la tendenza alla personalizzazione
e la flessibilità, l’assenza di invito organizzato e di
percorsi diagnostico-terapeutici così come di un
sistema di valutazione mediante indicatori [5].
Gli screening organizzati hanno anche un limite
di età ben definito dal programma anche se non
sempre identico (ad esempio 50-69 anni per il
cancro della mammella, 50-74 per il grosso
intestino). Lo screening opportunistico non ha in
genere limite netto né vi è un invito che cessa,
ma per quanto concerne lo screening per il
cancro della prostata anche in assenza di
evidenze, diverse raccomandazioni concordavano
sulla scarsità dei benefici possibili e quindi sulla
inappropriatezza dello screening dopo i 75 anni
[6].
sono pochi dubbi sul fatto che la diffusione della
diagnosi precoce con PSA abbia avuto un ruolo
importante o preminente nell’incremento di
frequenza. Per il cancro della prostata questo
effetto dello screening è, di nuovo con pochi
dubbi, causa di uno svantaggio netto, di un
peggioramento della salute, in un certo numero
di persone. Lo screening con PSA individua
infatti due tipi di lesione: i cancri della prostata
aggressivi che progrediscono fino a provocare
sintomi e in una quota di persone la morte e i
cancri non progressivi o con un tempo di crescita
così lento da non arrivare a provocare sintomi e
tantomeno la morte nel corso della vita.
Purtroppo non siamo attualmente in grado di
distinguere con sufficiente certezza la malattia
progressiva dai cancri che in assenza di screening
non sarebbero mai scoperti. La diagnosi di cancri
latenti non progressivi (sovradiagnosi) è
evidentemente una conseguenza negativa dello
screening. La sovradiagnosi causa un danno
psicologico alle persone. Ogni trattamento
eseguito per una malattia non progressiva è
evidentemente inutile e può produrre solo effetti
dannosi
(disabilità
temporanea
legata
all’intervento, effetti indesiderati quali impotenza
e incontinenza). La sovradiagnosi e il sovra
trattamento
consumano
inoltre
risorse
economiche.
In conclusione il quadro epidemiologico per il
cancro della prostata è caratterizzato da aspetti
favorevoli anche importanti come la riduzione
della mortalità specifica e la riduzione
dell’incidenza nella popolazione più anziana, e
sfavorevoli come l’elevata frequenza che include
con ogni probabilità una quota non trascurabile
di sovra diagnosi e sovra trattamento.
La diagnosi precoce
prostata.
del cancro
della
La diagnosi precoce del cancro della prostata è
un argomento controverso oggetto di
numerosissime pubblicazioni scientifiche e di
interminabili dibattiti. Questo paragrafo ha
4
IL CANCRO DELLA PROSTATA
Le curve di incidenza età specifiche riportate
sopra potrebbero riflettere l’adesione a queste
raccomandazioni in Umbria.
Recentemente i trial clinici per la valutazione di
efficacia sono stati pubblicati ed è stata prodotto
anche uno studio che riassume i risultati degli
studi disponibili (una meta-analisi dei trial) [7].
Nel complesso gli studi hanno confermato che lo
screening con PSA è associato ad un elevato
rischio di sovra diagnosi (sono diagnosticati
tumori maligni che non avrebbero mai prodotto
un danno clinico nel corso della vita) mentre per
quanto riguarda la riduzione della mortalità
questa risulta ancora incerta sebbene con una
maggiore probabilità che lo screening non sia in
grado di migliorare sensibilmente la mortalità. Di
conseguenza le nuove raccomandazioni tendono
ad essere più restrittive e si focalizzano sulla
scelta individuale del test nell’ambito del
rapporto tra medico e paziente. In questo quadro
è essenziale che le persone siano ampiamente e
correttamente informate sui potenziali benefici,
sulle incertezze e sui rischi del test. [8]. Quindi le
prospettive attuali riguardano da un lato la ricerca
che ha tra i principali obiettivi quello di
distinguere le lesioni non aggressive (da non
trattare) da quelle pericolose (da curare) e
dall’altro
il
controllo
dello
screening
opportunistico (sistema di valutazione) e della
corretta informazione (ad esempio distribuzione
di sintesi informative condivise a tutti i candidati
allo screening).
Il modello che appare più appropriato nel
descriverne lo sviluppo è quello multifasico, dal
momento che sembra esistere una differenza tra i
fattori che determinano la comparsa della
neoplasia rispetto a quelli che ne caratterizzano
l'evoluzione.
L’età avanzata e la presenza di ormoni androgeni
biologicamente attivi nel sangue circolante e nel
tessuto prostatico rappresentano ancora oggi i
fattori causali più rilevanti.[9].
Età
Riguardo all'importanza del fattore età tutti i dati
epidemiologici ne sottolineano il ruolo centrale:
infatti raramente il cancro della prostata colpisce
uomini sotto i 40 anni e la sua incidenza
aumenta esponenzialmente dopo i 50 anni di età
fino a raggiungere il picco nell'ottava decade di
vita. Inoltre studi autoptici hanno evidenziato
che negli uomini oltre la quinta decade di vita la
prevalenza di tale neoplasia oscilla tra il 15% ed il
30%, salendo drammaticamente fino ai soggetti
di ottant'anni circa in cui la percentuale è
prossima al 70%. Questi valori sono riferiti a
neoplasie in uno stato latente o comunque non
clinicamente evidenti nel corso della vita. I
carcinomi silenti costituiscono un bacino di
lesioni che possono essere diagnosticate in caso
di screening o incidentalmente e contribuire in tal
modo all’incidenza della malattia dal momento
che attualmente le lesioni non progressive e
quelle progressive non sono distinguibili.
EZIOLOGIA,
FATTORI DI RISCHIO
E FATTORI PROTETTIVI
Familiarità e fattori genetici
La storia familiare appare come uno dei più
importanti determinanti del rischio; i casi
familiari/ereditari oscillerebbero tra il 5 ed il 10%
[10]. I parenti di primo grado di pazienti con
tumore hanno un rischio di sviluppare la malattia
aumentato di circa 2-4 volte rispetto alla
popolazione generale [11]. Il rischio è
inversamente proporzionale all’età di diagnosi del
caso e con l’aumento del numero di familiari
affetti; se il tumore colpisce un fratello il rischio è
Non vi è dubbio che, come per la maggior parte
dei tumori solidi, l’eziologia del carcinoma
prostatico sia multifattoriale e sia il risultato di
una complessa interazione di fattori genetici
(responsabili della familiarità e della diversa
incidenza nelle razze umane) ed ambientali
(fattori
dietetici,
cancerogeni
presenti
nell’ambiente).
5
IL CANCRO DELLA PROSTATA
sensibilmente maggiore rispetto a quanto sia per
un padre [12].
La familiarità sembra costituire un fattore
importante nei pazienti giovani affetti da un
carcinoma prostatico: nel 18% dei pazienti con
meno di 65 anni e diagnosi di carcinoma
prostatico esiste una storia familiare positiva. In
particolare, il rischio di sviluppare tumore della
prostata aumenta di 24 volte nei parenti di primo
grado. Si è visto che i fratelli di pazienti con
diagnosi di carcinoma prostatico fatta a 62 anni o
prima hanno loro stessi un rischio di sviluppare
un tumore alla prostata quattro volte superiore
rispetto alla popolazione generale; analogamente,
i fratelli e i padri di portatori di carcinoma
prostatico hanno un rischio superiore del 76% di
sviluppare questa neoplasia, sempre rispetto alla
popolazione generale.
Inoltre, c'è da considerare l'aspetto ereditario.
Molti studi suggeriscono la presenza di un allele
dominante responsabile di queste forme
ereditarie. L'ereditarietà nel Ca prostatico
rappresenta il 10% circa di tutti i carcinomi. Le
prime mappature per verificare su quali
cromosomi si trovassero le lesioni risalgono al
1996 e hanno evidenziato come uno dei
cromosomi imputato dell'insorgenza della
malattia sia una anomalia genica nel sito 24-25
del braccio lungo del cromosoma 1 (1q, 24-25).
Questa lesione è stata riscontrata nel 30% delle
famiglie con carcinoma prostatico ereditario.
Non è stato ancora ad oggi possibile determinare
un modello univoco di trasmissione ereditaria
della neoplasia prostatica. E’ molto probabile che
la malattia sia a trasmissione poligenica. Le
ipotesi più accreditate affermano che l'inizio della
patologia sia rappresentato dall'inattivazione di
un gene oncosoppressore, cui faranno seguito
l'attivazione di più oncogeni, e dall'instaurarsi di
aberrazioni cromosomiche. Questa ipotesi è
supportata dal fatto che le aberrazioni
cromosomiche sono molto limitate nei tumori
primari, in cui prevalentemente si osservano
delezioni (che verosimilmente determinano la
scomparsa
o
inattivazione
del/degli
oncosoppressori). In fase di progressione si
osserva invece l'espansione di regioni
cromosomiche che sono interpretate come
l'amplificazione di regioni contenenti oncogeni.
Nel caso del tumore prostatico i cromosomi
interessati da delezioni sono l'1, il 19 ed il 20
mentre le espansioni riguardano i cromosomi
8,18 ed X.
Altri studi hanno indagato i geni codificanti per il
recettore androgenico (AR), quello della 5 alfa
reduttasi (srd5A2) ed il recettore per la vitamina
D (VDR). Il recettore androgenico AR,
localizzato sul braccio lungo del cromosoma X
(Xq27-28), ha un ruolo documentato soprattutto
nella fase di progressione dei tumori prostatici
insensibili alla terapia ormonale.
Tuttavia in questo fenomeno sembrano coinvolti
anche altri elementi come il co-attivatore del
recettore
androgenico
ARA70
ed
il
protooncogene HER-2/neu la cui overespressione sembra promuovere la progressione
della neoplasia alla fase ormono-indipendente,
come recentemente suggerito da studi in vivo ed
in vitro.
Un secondo gene, quello codificante per la 5reduttasi tipo II, è stato studiato per il suo ruolo
nella stimolazione prostatica. Sono state
identificate varie forme alleliche, tra cui una
sostituzione aminoacidica di valina (V) per
leucina (L) che sembra distribuirsi in modo non
omogeneo nei vari gruppi etnici con una
significativa maggiore frequenza negli omozigoti
LL della popolazione cinese (che e' notoriamente
a basso rischio di cancro della prostata). Dal
momento che è stato dimostrato con analisi in
vitro che i livelli sierici di SRD5A2 sono
significativamente più bassi nei genotipi LL, è
quindi possibile stabilire una relazione diretta tra
genotipo LL (frequente negli asiatici e raro nei
neri americani), bassi livelli di SRD5A2 e ridotta
produzione
di
DHT.
Tale
processo
determinerebbe, come risultato finale, una ridotta
stimolazione della proliferazione cellulare
prostatica (grazie ad una bassa produzione di
DHT) e ciò potrebbe giustificare la limitata
incidenza di tumore della prostata osservato
appunto negli asiatici. E' da notare che un altro
6
IL CANCRO DELLA PROSTATA
allele, SRD5A2 (sostituzione aminoacidica
A49T), presente a bassa frequenza (0.5%-1.8%)
nelle persone sane, aumenta significativamente di
frequenza nei soggetti affetti soprattutto in fase
avanzata della malattia (6.1%-7%).
Anche altri geni sembrano avere un ruolo
nell'aumento del rischio, soprattutto se all'interno
della famiglia si sono già avuti altri casi: gli
uomini che hanno la mutazione del gene BRCA1
o 2 (gli stessi implicati nel tumore del seno)
hanno un rischio che è da 2 a 5 volte superiore a
quello degli uomini con i geni non mutati.
Per queste ragioni si apre il dibattito sulla
necessità di “counseling” genetico e di screening
precoce per gli uomini appartenenti a famiglie ad
alto rischio [13]. L’alta incidenza in questo
gruppo selezionato, insieme all’età precoce di
esordio del cancro ereditario, influenza in modo
positivo il bilancio costo-beneficio rispetto allo
screening nella popolazione generale [14]. Prima
che test genetici appropriati diventino disponibili,
lo screening in uomini con aggregazione familiare
di cancro della prostata potrebbe risultare un
utile strumento di diagnosi precoce [10-11,15].
maggiori e che tali masse più grosse possano
progredire verso la forma clinicamente manifesta
con maggiore rapidità. In effetti, negli
afroamericani il carcinoma prostatico si manifesta
a stadi più avanzati e spesso ad età inferiore, con
conseguente superiore incidenza sulla mortalità
[16-17].
Tra la razza bianca l’incidenza più alta si ritrova
tra i Paesi Occidentali ed in particolare nella
Scandinavia e nella Nuova Zelanda.
Questi dati sono anche legati a due fattori di
importanza prioritaria: in primis il progressivo
invecchiamento della popolazione, che ha visto
aumentare in Italia il numero degli over 65 del
100% e degli ultraottantenni del 300% dalla metà
del nostro secolo sino ai nostri giorni, e secondo
l’utilizzo del PSA, che ha permesso di individuare
un numero nettamente maggiore di carcinomi
prostatici in fase molto precoce.
I fattori ambientali influirebbero pertanto sulla
progressione verso la forma clinicamente
evidente e non sulla iniziazione del tumore
stesso.
Fattori dietetici
Razza
Alimenti di derivazione animale
Gli studi ecologici hanno stabilito alta
correlazione tra incidenza e mortalità per cancro
prostatico e una dieta ricca in alimenti di
derivazione animale (carne, grassi, prodotti
caseari in genere ) ed una protezione per diete
ricche in cereali e riso [18-19].
La dieta potrebbe influenzare i livelli ormonali e,
in particolare, il livello di testosterone che stimola
la proliferazione del tessuto prostatico. Questa
ipotesi, anche se molto probabile, deve essere
ancora dimostrata, ma a confortarla c'è anche
l'evidenza di una maggiore incidenza della
neoplasia nei paesi più industrializzati e nelle
classi sociali più agiate.
Le differenze nell'incidenza del carcinoma
prostatico tra popolazioni di ceppo diverso,
come per esempio quello africano e caucasico,
sono significative. Prendendo in esame la
popolazione statunitense, emerge chiaramente
come gli afroamericani abbiano un'incidenza di
carcinoma prostatico più elevata di 1,5 rispetto ai
bianchi e di quasi tre volte superiore rispetto agli
asiatici. Anche per quanto riguarda i dati relativi
alla mortalità i rapporti non sono gli stessi: gli
afroamericani hanno il doppio di probabilità di
morire per carcinoma della prostata. Sembra che
l'elevata incidenza del carcinoma prostatico tra gli
afroamericani non sia dovuta alle differenze nella
distribuzione dei fattori dietetici e dei fattori
ambientali, ma piuttosto al ceppo di
appartenenza. Inoltre, sembra che i maschi di
razza nera presentino, rispetto a quelli di razza
bianca, focolai di carcinoma di dimensioni
La carne
La carne rossa può essere considerata un fattore
di rischio ma i risultati sono di difficile
interpretazione perché implicati i costituenti della
7
IL CANCRO DELLA PROSTATA
carne quali acidi grassi saturi, il tipo di
lavorazione e quello di cottura (sviluppo ad alte
temperature di cancerogeni) [20-22].
avanzato, la protezione aumentava fino al 40%
[32-33].
L’azione protettiva della vitamina E (tocoferolo)
e del selenio è stata a lungo ipotizzata. Tuttavia
recenti studi (SELECT) hanno dimostrato che il
selenio o la vitamina E, impiegati singolarmente
o in associazione, non hanno alcun effetto sulla
prevenzione del cancro alla prostata. [34].
La bassa incidenza nei paesi dell’estremo oriente
potrebbe essere dovuta alla ricchezza in
fitoestrogeni derivanti dall’assunzione di soia. Si
riscontra un effetto protettivo del 30-50% [3537].
I grassi
La maggioranza degli studi disponibili evidenzia
un aumento di rischio statisticamente
significativo per una più alta assunzione di grassi
(grassi totali o grassi saturi, comunemente di
origine animale). A fronte di questo effetto
negativo esistono dati per un effetto protettivo
degli acidi grassi polinsaturi e omega 3 [23].
Il latte
Dagli studi ecologici emerge un’associazione tra
alto consumo di latte o prodotti caseari ed
eccesso di rischio per cancro della prostata [8,9].
Occorre rifarsi ai costituenti essenziali, grassi e
calcio per interpretare tale correlazione. Dalla
letteratura recente l’assunzione di latticini e calcio
sembra correlata con il rischio aumentato
rispettivamente di circa 10 ed il 40% [24-25]. Il
ruolo del latte e dei prodotti caseari come fattori
di rischio per il cancro della prostata è
controverso [26].
Fattori endocrini
Nello sviluppo e nella progressione del
carcinoma prostatico gli androgeni, il
testosterone e il diidrotestosterone, giocano un
ruolo rilevante. Adulti afroamericani hanno livelli
di testosterone plasmatico maggiori rispetto ai
bianchi (10-20 per cento) e agli asiatici. Esiste
una variazione razziale nella lunghezza del gene
dei recettori androgenici e questo può in parte
spiegare l'eccessivo rischio di sviluppare
carcinoma prostatico che presentano gli
afroamericani rispetto ai bianchi [16-17].
Tuttavia ancora oggi non esiste una consistente
evidenza che un primitivo disturbo endocrino sia
necessario nell’eziopatogenesi di tale tumore.
Secondo le ipotesi più accreditate gli androgeni
svolgerebbero non un ruolo nella iniziazione
della neoplasia, ma un effetto permissivo,
consentendo la crescita della componente
tumorale. È stato infatti evidenziato che le cellule
carcinomatose sono sensibili agli ormoni sessuali
maschili. Incertezze sussistono anche per il ruolo
degli estrogeni nella cancerogenesi prostatica;
come è stato ampiamente dimostrato
nell’ipertrofia
prostatica
benigna,
questi
avrebbero ruolo permissivo sull'azione del
testosterone stesso, avendo come risultato la
sinergia
nell'accrescimento
della
massa
neoplastica. Tuttavia gli estrogeni avrebbero
anche una importante capacità nel ritardare la
Alimenti di origine vegetale
Per quanto riguarda il consumo di vegetali
sembrano emergere evidenze abbastanza chiare
circa un ruolo protettivo. Esiste omogeneità degli
studi esaminati nel riportare rischi più ridotti in
soggetti con diete ricche in vegetali. Il rischio per
gli uomini con più alto rispetto a quelli con più
basso consumo di verdura si riduce di circa il 3050% [27-31].
Tra gli specifici prodotti va sottolineato il ruolo
protettivo di pomodori e di tutti i loro derivati.
L’azione protettiva potrebbe essere collegata
all’altissimo contenuto in questi vegetali, di
licopene, un carotenoide con potenti capacità
antiossidanti. Due ampi studi di coorte hanno
dimostrato che gli uomini che consumavano
quantità abbondanti di pomodoro e quindi di
licopene avevano circa un 20% di probabilità in
meno di sviluppare il tumore prostatico; inoltre,
se l’analisi era ristretta ai soli cancri in stadio
8
IL CANCRO DELLA PROSTATA
comparsa delle metastasi del cancro della
prostata
un aumento dello stimolo proliferativo è
correlata ad un aumento del rischio [45].
“Insulin-like growth factor” (IGF1)
IGF1 è un potente mitogeno ed anti apoptotico,
coinvolto nella regolazione della proliferazione,
differenziazione e apoptosi. Nei modelli animali
studiati, IGF1 modula la crescita di linee cellulari
di carcinoma prostatico; l’insulina determina la
disponibilità biologica di IGF1. L’intero asse è
influenzato dalle caratteristiche dietetiche ed è in
stretto rapporto con il Body Mass Index (BMI ) e
la massa adiposa corporea. Esiste ora una certa
sicurezza che un aumento di IGF1 rappresenta
un fattore di rischio. I soggetti con un consumo
più alto di prodotti definibili “a rischio” (latte e
latticini, calcio, carboidrati e acidi grassi) avevano
concentrazioni più alte di IGF1 mentre valori più
bassi per soggetti con diete ricche in verdura, in
particolare pomodori [38-40].
Fattori di rischio occupazionali
Esistono prove che lavoratori agricoli, specie se a
contatto con pesticidi, hanno un’incidenza o una
mortalità
per
cancro
della
prostata
significativamente più, elevata della popolazione
generale [46]. In letteratura esistono numerosi
altri studi con indagini su alti rischi occupazionali
ma nessun settore lavorativo in generale presenta
evidenze significative.
Altri determinanti del rischio
Nessuna relazione tra assunzione di alcol e
rischio aumentato. Per il fumo i risultati non
possono né escludere né confermare alcuna
associazione. In generale si può confermare che a
tutt’oggi non esistono evidenze che fumo e alcol
aumentino il rischio di cancro della prostata.
L’aspirina e gli atri FANS dimostrano un ruolo
protettivo [47].
Obesità e attività fisica
Non sembra esistere un’associazione diretta tra
obesità e cancro della prostata. Esistono però
grosse discordanze a livello di letteratura e
importanti studi prospettici hanno dimostrato un
rischio aumentato specie per tumori più
aggressivi, metastatici o fatali [41].
Una esaustiva pubblicazione della Agenzia
Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC)
ha stimato che con 30-60 minuti di attività fisica
giornaliera si può ridurre del 20-40% il rischio di
sviluppare un cancro del colon, della mammella,
del corpo dell’utero e della prostata [42-43].
Attività sessuale, malattie
trasmesse e prostatite
sessualmente
Le malattie sessualmente trasmesse aumentano il
rischio di sviluppare cancro della prostata (dal 40
al 100%), per agenti infettivi o azione
dell’infiammazione in sé [44]. La prostatite, con
9
IL CANCRO DELLA PROSTATA
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IL CANCRO DELLA PROSTATA
3. SECONDARI
Parte II
A. Invasione diretta dalla vescica: carcinoma a
cellule transizionali
Luigi Mearini, Elisabetta
Nunzi, Massimo Porena
B. Invasione diretta da un adenocarcinoma del
colon (raro)
ANATOMIA PATOLOGICA
Classificazione dei tumori della prostata
C. Metastasi: impianto da parte di neoplasie
ampiamente disseminate (raro)
Una classificazione della varietà di tumori maligni
che possono essere riscontrati nella ghiandola
prostatica è la seguente:
D. Linfoma (raro)
1. EPITELIALE
L'adenocarcinoma rappresenta più del 95% dei
tumori primitivi maligni della prostata. In meno
del 5% dei casi sono riscontrabili gli altri istotipi,
dei quali soprattutto si individua il carcinoma a
cellule transizionali, seguito da quello a cellule
squamose, dai tumori neuroendocrini ed infine
dai sarcomi.
A. Adenocarcinoma
-adenocarcinoma dei piccoli dotti e degli acini
-adenocarcinoma dei grandi dotti
-adenocarcinoma papillare
-adenocarcinoma cribriforme
-adenocarcinoma solido
L'adenocarcinoma può derivare dall'epitelio degli
acini o dai dotti prostatici; per quanto concerne
la sede di origine esso nasce nel 70% dei casi
nella zona periferica della ghiandola, localizzata
nella prostata caudale o sottomontanale; in più
del 20% delle volte, la neoplasia si forma in
corrispondenza della zona di transizione,
cranialmente al veru montanum; il restante 510% dei casi ha sede iniziale nella zona centrale,
in corrispondenza della base dell’organo. Si deve
precisare che nel 65% dei casi la neoplasia è
multifocale.
-adenocarcinoma indifferenziato
-adenocarcinoma endometroide
-adenocarcinoma mucinoso
B.Carcinoma a cellule transizionali
-carcinoma intraduttale a cellule transizionali
-carcinoma invasivo a cellule transizionali
-carcinoma a cellule squamose
C. Carcinoma neuroendocrino (spesso misto)
-adenocarcinoma con peptidi neuroendocrini
-tumore carcinoide
-carcinoma a piccole cellule
Macroscopicamente il tessuto neoplastico appare
duro e stridente, ma nel contesto della ghiandola
può essere estremamente difficile distinguerlo dal
corrispettivo normale, mentre la differenza è più
evidente nella esplorazione rettale. È necessario
ricordare che, seppur raramente, il carcinoma
della prostata può non essere particolarmente
duro al tatto, soprattutto nelle forme con scarsa
componente stromale.
2. STROMALE (raro, ampia varietà di tipi
conosciuti come sarcomi):
A.Rabdomiosarcoma (soprattutto in pazienti di
età< a 10 anni)
B.Leiomiosarcoma (26% dei sarcomi, la maggior
parte dei pazienti ha età superiore ai 42 anni)
La diagnosi differenziale del carcinoma
prostatico può essere particolarmente difficile,
13
IL CANCRO DELLA PROSTATA
soprattutto quando si esaminino campioni ridotti
di tessuto, quali quelli da agobiopsia prostatica.
Le difficoltà principali per una diagnosi
differenziale
riguardano
la
distinzione
dell'adenocarcinoma ben differenziato dalle
iperplasie adenomatose atipiche (adenosi) della
prostata e da alcuni quadri di atrofia della
ghiandola (che simulano un adenocarcinoma
infiltrante). Gli adenocarcinomi scarsamente
differenziati, con cellule neoplastiche che
infiltrano lo stroma senza costituire formazioni
ghiandolari evidenti, vanno differenziati dalle
prostatiti granulomatose con intensa reazione
infiammatoria cronica. In aggiunta ai criteri
morfologici tradizionali, la possibilità di
identificare specifici marcatori cellulari mediante
l'uso di tecniche immunoistochimiche è di grande
aiuto nella diagnosi differenziale dei casi più
difficili. In particolare, un elemento utile per la
diagnosi differenziale è il riscontro di cellule
basali che sono presenti nelle ghiandole
prostatiche benigne e regolarmente assenti in
quelle maligne, così come è possibile identificare
cellule di carcinoma scarsamente differenziato
che infiltrano lo stroma ghiandolare, utilizzando
antisieri contro le citocheratine, la fosfatasi acida
prostatica (PAP) o il PSA.
Diffusione
La diffusione neoplastica avviene per contiguità,
per via linfatica ed ematica. L'accrescimento del
tumore della prostata è generalmente lento e
molto importante è la sede di origine, di solito
periferica rispetto all'asse centrale della ghiandola,
dal momento che la diffusione del cancro è
soprattutto per contiguità. Tendono ad essere
precocemente coinvolte la capsula prostatica e i
tessuti perighiandolari, più tardivamente le
vescicole seminali ed eventualmente il trigono
vescicale. L'estensione della neoplasia alle
vescichette seminali ha un significato prognostico
sfavorevole, in quanto il 50% dei pazienti
svilupperà poi metastasi in cinque anni.
Estremamente più raro è l'interessamento della
parete rettale, probabilmente per la resistenza
offerta dalla fascia di Denonvilliers. È frequente,
al contrario, l'interessamento dei tronchi nervosi
che decorrono in stretto contatto con la
ghiandola stessa.
Per via ematogena questa neoplasia metastatizza
soprattutto alle ossa, in particolare all'asse
scheletrico centrale, mentre molto più raramente
si localizza a distanza in corrispondenza dei
visceri. Le metastasi ossee possono essere di tipo
osteolitico, ma molto più frequentemente
osteoblastico e queste ultime costituiscono un
forte indizio, quando individuate, di neoplasia
prostatica
metastatica.
Le
sedi
più
frequentemente coinvolte sono la colonna
lombare, il femore prossimale, la pelvi, la colonna
toracica e le coste. La diffusione per via linfatica
ha come prima stazione i linfonodi otturatori,
seguono quindi i perivescicali, gli ipogastrici, gli
iliaci esterni e poi i comuni, i presacrali ed infine i
paraaortici. Questa modalità di estensione della
malattia è di solito più precoce ed importante di
quella ematogena.
Di particolare importanza è il riconoscimento di
una lesione peculiare dell'epitelio ghiandolare,
nota come neoplasia intraepiteliale della prostata
(PIN), e graduata in PIN di basso LG ed alto
grado HG, in funzione della gravità delle
alterazioni di tipo displastico che caratterizzano
le cellule epiteliali. Alcuni ritengono che,
analogamente a quanto si verifica nell'epitelio
della cervice uterina e di altri organi, queste
alterazioni costituiscano una lesione premaligna,
e che la HGPIN sia assimilabile al carcinoma in
situ. Pur se una tale interpretazione non è ancora
stata definitivamente provata, è indubbio che il
PIN, soprattutto di alto grado, sia associato in
modo
statisticamente
significativo
alla
contemporanea o successiva presenza di un
carcinoma della prostata.
Grading
Il grading di un tumore consiste nel
rappresentare, in maniera scalare, l'entità delle
alterazioni morfologiche o la perdita della
capacità di differenziazione che la neoplasia
14
IL CANCRO DELLA PROSTATA
presenta in rapporto alle strutture da cui essa
origina. Più brevemente il grading indica la
malignità e la potenzialità di diffusione della
neoplasia dopo una accurata tipizzazione
istologica [1].
4. La perdita o la ridotta espressione di
caderina E;
5. La differenziazione neuroendocrina;
6. L'entità della neoangiogenesi;
7. La frazione di cellule proliferanti;
Il sistema di grading più utilizzato è il
GLEASON che considera solo il parametro
riguardante la differenziazione ghiandolare e il
tipo di crescita tumorale in relazione allo stroma,
prescindendo dalle caratteristiche citologiche. Sui
campioni ottenuti si effettua quindi l'esame al
microscopio e viene dapprima assegnato un
punteggio (primary pattem) da 1 (per le aree
meglio differenziate) a 5 (per le aree meno
differenziate) alle diverse aree della neoplasia in
esame, e in un secondo tempo si sommano i
punteggi delle due aree più estese nel campione
in esame. Si ottiene così il punteggio
(GLEASON SCORE) finale, che può andare da
un minimo di 2 ad un massimo di 10. Tumori
con punteggi finali da 2 a 6 sono considerati ben
differenziati, 7 mediamente differenziati e da 8 a
10 scarsamente differenziati.
8. La presenza di cellule neoplastiche nel torrente
circolatorio, dimostrata mediante l'impiego
dell'amplificazione dell'RNA messaggero per il
PSA, ed il contenuto di DNA, quale indicatore di
prognosi negli stadi precoci e di risposta al
trattamento negli stadi avanzati
Stadiazione
La stadiazione del carcinoma prostatico, secondo
il sistema TNM, è un mezzo universalmente
accettato per stimare la prognosi, definire la
terapia più adatta e per valutare i risultati [2].
Consente una descrizione dell'estensione della
malattia neoplastica in un dato momento,
ricorrendo a tre parametri:
- l'estensione del tumore primario (fattoreT);
- il coinvolgimento linfonodale (fattore N);
Un sistema di grading alternativo ma oramai non
utilizzato è quello proposto da MOSTOFI, che
prevede una loro suddivisione in tre gradi in
relazione all'entità dell'anaplasia cellulare,
valutando soprattutto l'atipia nucleare, e in base
agli aspetti strutturali della neoplasia, cioè la sua
differenziazione.
- le metastasi a distanza (fattore M).
La combinazione dei tre elementi permette di
assegnare il singolo tumore a uno stadio, che ha
una prognosi e una terapia proprie.
La stadiazione clinica (cTNM) è impiegata per
valutare l'estensione della malattia prima
d'intraprendere qualsiasi terapia. La stadiazione
chirurgica o patologica (pTNM) consente
l'acquisizione
di
elementi
aggiuntivi
sull'estensione del processo neoplastico nei
pazienti sottoposti a prostatectomia.
Studi recenti stanno vagliando la possibilità
d'identificare indicatori biologici più precisi di
progressione della malattia, che possano essere
considerati come utili parametri prognostici. Tra
questi vanno citati:
1. L'assetto recettoriale per gli ormoni androgeni;
TNM
2. L'iperespressione dell'oncogene bcl-2 (che
consente di predire una refrattarietà della
neoplasia alla terapia antiandrogenica);
T
Tumore primitivo
Il tumore primitivo non può essere
TX
valutato
3.
L'anomala
espressione
del
gene
oncosoppressore p53 (che in taluni studi si è
dimostrata un fattore prognostico sfavorevole sia
in termini di sopravvivenza globale sia di
sopravvivenza libera da malattia);
T0
Nessuna evidenza di tumore primitivo
T1
Tumore clinicamente non rilevabile, non
palpabile o visibile, mediante ecografia o TC
15
IL CANCRO DELLA PROSTATA
T1a Tumore di riscontro incidentale nel 5% o
meno del tessuto resecato o asportato
SINTOMATOLOGIA E QUADRO
CLINICO
T1b Tumore di riscontro incidentale in più del
5% del tessuto resecato o asportato
La sintomatologia del cancro della prostata risulta
essere estremamente tardiva, dal momento che il
tumore ha preferenzialmente un'insorgenza
periferica, ragione per cui i sintomi minzionali
non compaiono di solito in fase precoce.
T1c Tumore identificato con una biopsia
(eseguita per un valore elevato di PSA)
T2
Tumore confinato alla prostata
In base al quadro clinico il tumore prostatico può
essere suddiviso in carcinoma occulto, che si
rende evidente con la sintomatologia delle
metastasi a distanza; in carcinoma latente o
indicentale non riconoscibile clinicamente, ma
individuato
o
durante
l'autopsia
o
incidentalmente su materiale proveniente da
adenomectomia o resezione endoscopica, o in
seguito a valori elevati del PSA; infine in
carcinoma clinico, che si manifesta più o meno
precocemente con sintomi minzionali e\o da
diffusione locale.
T2a Tumore che coinvolge meno di metà
lobo
T2b Tumore che coinvolge un lobo
T2c Tumore che coinvolge due lobi
T3
Tumore che si estende al di fuori della
capsula prostatica
T3a Estensione extracapsulare su un lobo
T3b Estensione extracapsulare di entrambi i
lobi
T3c Tumore che coinvolge le vescicole
seminali
I sintomi minzionali sono per molti aspetti
sovrapponibili a quelli dell’ipertrofia prostatica
benigna, cioè con il quadro dell’uropatia
ostruttiva bassa, con la fondamentale differenza
che in alcuni casi di neoplasia i sintomi hanno
una evoluzione molto più rapida.
T4
Tumore fisso o che invade le strutture
adiacenti oltre alle vescicole seminali
T4a Tumore che coinvolge uno dei seguenti:
collo vescicale, sfintere esterno, retto
T4b Tumore che coinvolge i muscoli elevatori
o che è fisso alla parete pelvica
N
I sintomi in assoluto più frequenti sono la
pollachiuria ingravescente sia diurna, ma
soprattutto notturna, la disuria con mitto
ipovalido, difficoltà nello svuotamento vescicale
e molto frequentemente, soprattutto nelle fasi
avanzate, la ritenzione urinaria acuta.
Linfonodi regionali
NX I linfonodi regionali non possono essere
valutati
N0
Assenza di metastasi ai linfonodi regionali
N1
Metastasi linfonodale < 2 cm
N2
Metastasi linfonodale 2-5 cm
N3
Metastasi linfonodale > 5 cm
M
Metastasi
M0
Assenza di metastasi a distanza
M1
Presenza di metastasi a distanza
I sintomi da diffusione locale: logicamente
interessano il soggetto in una fase più avanzata
della malattia, con comparsa di stranguria per
infiltrazione
del
trigono.
Invece
per
interessamento dei meati ureterali si può avere
ureteroidronefrosi sino all’anuria escretoria. Si
può presentare emospermia per interessamento
delle vie genitali, che talvolta, seppur raramente,
può essere segno di presentazione della
neoplasia. Infine per coinvolgimento del retto, a
causa della crescita in tale direzione del tumore, si
può avere stipsi, difficoltà alla defecazione, feci
nastriformi per restringimento del lume.
M1a linfonodi non regionali
M1b osso
M1c altre sedi
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IL CANCRO DELLA PROSTATA
dell’ipertrofia prostatica benigna spesso copresente.
Sintomi da diffusione metastatica a distanza:
sono caratterizzati dal prevalere di dolori ossei
notturni diffusi al bacino ed al rachide e nel 510% dei casi costituiscono il sintomo di esordio
della neoplasia, precedendo anche di molto
tempo le manifestazioni minzionali.
Esplorazione rettale (ER) ed esame obiettivo generale
È la componente dell'esame obiettivo più
importante e deve essere sempre praticato, non
solo nel sospetto della neoplasia, ma per tutte le
patologie di questa ghiandola. Buona regola
sarebbe effettuare tale esame di routine circa una
volta all'anno in tutti gli uomini di età superiore a
50 anni.
Una grave conseguenza delle metastasi
localizzate al rachide è la frattura patologica dei
corpi vertebrali, che può portare a veri e propri
quadri di paraplegia.
Un ulteriore danno può essere conseguenza della
sostituzione massiva del midollo osseo da parte
di metastasi localizzate alla colonna vertebrale,
con sindromi anemiche e leucopeniche anche
molto gravi.
Con questo esame si palpano facilmente le
superfici posteriori dei lobi laterali, dove più
spesso origina il tumore. Si dovrebbe anche
apprezzare l'incisura mediana situata proprio tra
queste due strutture, tuttavia quest’ultima non si
individua spesso in uomini di età sopra i
cinquant'anni, scomparendo con il naturale
aumento di volume cui va incontro la ghiandola
con l'aumentare dell'età. Normalmente non è
possibile apprezzare le vescicole seminali.
In fasi avanzate della diffusione della neoplasia,
per interessamento delle stazioni linfatiche
regionali, si può avere linfedema per blocco del
ritorno linfatico e/o stasi venosa con flebite degli
arti inferiori per ostacolo del ritorno venoso.
Una prostata normale appare alla palpazione di
consistenza teso-elastica, liscia, simmetrica; di
norma è possibile apprezzarne la superficie
superiore, distinguerne i limiti e constatare
l’assenza di aree di dolorabilità.
DIAGNOSI
La diagnosi del carcinoma prostatico si avvale di:
1 anamnesi
2 sintomatologia e quadro clinico
Nel caso di una prostata con tumore i reperti
sono molto importanti: è possibile avvertire la
presenza di uno o più noduli di varia grandezza,
di consistenza dura, talvolta lignea o lapidea, a
superficie irregolare, a limiti non bene definiti
talora dolenti alla palpazione. La ghiandola puo’
avere una struttura alterata e perdere la propria
simmetria. È importante sottolineare che tale
descrizione non è patognomonica del cancro
della prostata, potendola individuare anche in
corso di altre patologie tra cui la calcolosi
prostatica, la prostatite granulomatosa, la fibrosi
ghiandolare post-operatoria.
3 esplorazione rettale ed esame obiettivo
generale
4 marcatori biochimici
5 diagnostica per immagini
6 biopsia
Anamnesi
L'anamnesi è il primo momento diagnostico per
ogni patologia, anche se nel cancro della prostata
offre scarse indicazioni ed i dati di maggiore
interesse riguardano soprattutto l'anamnesi
familiare. Al contrario, per quella personale ci si
basa fondamentalmente sul quadro clinico.
Anche perché i dati sono scarsamente indicativi,
e possono essere del tutto sovrapponibili a quelli
Negli stadi più avanzati l'organo appare
totalmente o parzialmente di consistenza dura e a
superficie bernoccoluta. In questo stadio oltre
all'infiltrazione della capsula è possibile avere
anche l'interessamento delle vescicole seminali,
17
IL CANCRO DELLA PROSTATA
che all'esame obiettivo appariranno come due
strutture cordoniformi, di consistenza dura, di
volume aumentato, che originano a partire dal
profilo prostatico, con aspetto a "corna di bue".
seguito a manipolazioni della ghiandola stessa,
come accade dopo l’esplorazione rettale, un
intervento chirurgico, una agobiopsia, una
cistoscopia, etc.
Nello stadio T4, oltre alle caratteristiche già
descritte, si potrà evidenziare la diffusione della
neoplasia agli organi adiacenti come fissità del
tumore e impossibilità di determinarne i
contorni. Nei rarissimi casi in cui la neoplasia è
estremamente diffusa, si potrà arrivare ad avere
l'interessamento
della
mucosa
rettale
testimoniato dal mancato scorrimento di
quest'ultima sulla superficie della ghiandola.
La specificità di questo marcatore tumorale è
relativamente bassa e oscilla tra il 32 % e il 72%,
con un valore medio del 47%, mentre la sua
sensibilità è discreta, con un valore medio
dell'83%.
I valori di PSA normali sono inferiori a 4 ng/ml;
valori tra 4 e 10 ng/ml rappresentano la
cosiddetta "zona grigia", cioè situazione
borderline; per valori superiori a 10 ng/ml è forte
il sospetto di neoplasia, come si verifica nel 55%
dei pazienti con cancro della prostata e solo nel
2% in quelli con iperplasia benigna.
La sensibilità della esplorazione rettale è bassa,
attorno al 50%, soprattutto quando la malattia è
intracapsulare, al contrario elevata quando è
extracapsulare. La specificità e la sensibilità
verranno aumentate con i successivi step
diagnostici.
Questi valori del PSA devono tenere conto
dell’età del paziente, che risulta essere un fattore
di importanza fondamentale per quella piccola
percentuale di pazienti in cui la neoplasia si
sviluppa prima dei 50 anni e per i quali il valore
da considerare limite è 2.5 ng/ml.
L’esame obiettivo generale è indicativo
dell’eventuale
presenza
di
localizzazioni
secondarie del tumore, come per la presenza di
linfedema degli arti inferiori da stasi linfatica.
Per migliorare l'affidabilità del test come marker
di tumore prostatico sono state sviluppate alcune
valutazioni, quali la PSA density, PSA velocity,
PSA di riferimento età specifico ed il più usato
cioè il rapporto PSA libero/PSA totale.
Marcatori biochimici
Antigene Prostatico Specifico (PSA):
La misurazione dei livelli di PSA è un test
estremamente importante per la valutazione
precoce del cancro della prostata.
PSA density: questo test si basa sul concetto che
il tumore prostatico produce una quantità di
marcatore maggiore rispetto alla iperplasia
prostatica benigna a parità di dimensione
misurata ecograficamente. Tale test si prefigge di
effettuare una diagnosi differenziale tra queste
due forme specie quando si ha un valore
compreso nella zona grigia, cioè tra 4 e 10 ng/ml.
Tuttavia la maggior parte degli urologi e degli
autori considera questo esame non affidabile.
Questo antigene è una glicoproteina ed
esattamente una proteasi appartenente al gruppo
delle callicreine umane, identificato per la prima
volta nel 1970 in estratti ghiandolari,
estremamente sensibile dal momento che è
prodotto principalmente dalla prostata e dalle
ghiandole periureterali, per cui è organo
specifico. Tale proteina ha come funzione
fisiologica quella di fluidificare lo sperma. E’ una
molecola estremamente sensibile, tuttavia tale
marker non è altrettanto specifico di cancro della
prostata essendo presente in maggiore
concentrazione anche in corso di altre patologie,
come ad esempio ipertrofia prostatica benigna,
prostatiti, ritenzione urinaria acuta, oppure in
PSA velocity: questo esame introdotto da Carter
nel 1992 valuta le modificazioni che subisce il
valore del PSA durante un intervallo di tempo,
considerando un valore maggiore o uguale a
0,75ng/ml/anno indicativo di carcinoma della
prostata. Più recentemente viene valutato il
PSA-doubling time, ovverosia il rapporto
18
IL CANCRO DELLA PROSTATA
ruolo nell’identificare carcinomi prostatici in
pazienti con biopsie prostatiche negative e valori
elevati di PSA, la sua determinazione rimane ad
oggi sperimentale [4-7].
temporale rispetto al raddoppio dei valori del
PSA. Questo ultimo test è estremamente utile
negli studi di sorveglianza attiva e in generale nel
follow-up post-trattamento dei pazienti, ma non
ha ad oggi indicazioni nella valutazione
diagnostica del tumore della prostata.
DIAGNOSTICA PER IMMAGINI
PSA di riferimento età-specifico: questo esame si
prefigge il fine di rapportare i livelli sierici di PSA
all'età specie nei pazienti giovani (sotto i 60 anni),
così da migliorare la sensibilità dell’uso di tale
marker.
Ecografia
Attualmente
tale
metodica
rappresenta
un’indagine insostituibile ed affidabile per la
diagnosi sia dell’esistenza che della stadiazione
della neoplasia. L’ecografia può essere effettuata
con più tecniche, cioè per via addominale
sovrapubica o per via transrettale.
Rapporto PSA libero/ totale o PSA-ratio: questo
esame si basa sul principio che nei soggetti affetti
da carcinoma della prostata la percentuale di PSA
libero tende a decrescere. Infatti il PSA nel siero
viaggia veicolato da alcune proteine, soprattutto
l’alfa-1-antichimotripsina ed in piccolissima parte
l’alfa-2-macroglobulina, in percentuale pari al
30% del PSA totale. Effettuando il rapporto tra
PSA libero/ PSA totale, si considera un valore
indicativo di cancro della prostata quello inferiore
al 20%, anche in presenza di esplorazione rettale
negativa ed è quindi giustificabile l'esecuzione di
una biopsia prostatica randomizzata. Tale esame
è entrato nell'uso della pratica clinica. Il massimo
contributo offerto dal PSA è nel monitoraggio
terapeutico del cancro della prostata [3].
La via addominale sovrapubica mostra la prostata
come una formazione ovalare, posizionata al di
sotto della vescica. La tecnica consente di
valutare le dimensioni globali dell’organo, i
rapporti con gli organi circostanti come la
vescica, ma non permette di mostrare in modo
accurato le porzioni posteriori dell’organo, ove di
solito si riscontrano le neoplasie.
L’ecografia transrettale (TRUS=trans rectal
ultrasonography) rappresenta in assoluto il
metodo più utilizzato e che offre le maggiori
informazioni;
permette
di
visualizzare
l’ecostruttura parenchimale di tutta la ghiandola,
con un’ottima definizione dell’immagine grazie
alla possibilità di utilizzo di trasduttori ad alta
frequenza. L’esame, condotto con scansioni
lineari o radiali, offre un’ideale visualizzazione
dell’intero organo, specie delle sue porzioni
periferiche, permettendo di identificare eventuali
alterazioni dell’ecostruttura parenchimale (come
le zone ipoecogene) altamente indicative di
neoplasia. Consente inoltre di effettuare la
stadiazione locale della malattia, evidenziando
l’interessamento capsulare, vescicolare o agli
organi
adiacenti
(vescica,
retto).
Indipendentemente dalla scansione utilizzata si
possono individuare alcuni aspetti comuni del
carcinoma prostatico, generalmente situato in
sede sotto capsulare posteriore, che provoca
un’alterazione
della
normale
struttura
parenchimale della ghiandola, che presenta
Fosfatasi Acida Prostatica (PAP)
Questo marker, dall'introduzione del PSA nella
pratica clinica, non è stato più utilizzato; infatti
rispetto a quest'ultimo ha minore specificità dal
momento che può essere prodotto, anche se in
minore quantità, da reni, fegato, piastrine,
leucociti.
PCA3
La presenza di frammenti di RNA-m specifico
(PCA3) nelle urine dopo massaggio prostatico
presenta un’alta sensibilità e specificità, i livelli
aumentano significativamente in presenza di
biopsia prostatica positiva e non vengono
influenzati dal volume della prostata o da stati
infiammatori. Sebbene il PCA3 possa avere un
19
IL CANCRO DELLA PROSTATA
un'area nodulare o "a placca" spesso mal
delimitabile, solitamente ipoecogena. Con il
progredire del fenomeno neoplastico la prostata
appare aumentata di dimensioni e ha margini
irregolari
ed
ecostruttura
sempre
più
disomogenea. Talvolta l'ecografia mostra un
rimaneggiamento strutturale più o meno diffuso
senza nodularità tipica: in questi casi è indicata
l'esecuzione di più prelievi bioptici. Negli stati
exracapsulari, questa strumentazione puo’
documentare l'infiltrazione della capsula e
l'eventuale interessamento delle vescicole
seminali. L'individuazione di un'area di
ipoecogenicità, dovuta all'aumentata cellularità
del tumore stesso, non è sempre segno di
tumore, infatti questo quadro ecografico può
essere riscontrato anche in corso di flogosi acute,
noduli di ipertrofia prostatica benigna, infarti.
Inoltre circa il 70% dei carcinomi può essere
difficilmente
rilevabile
perché
appaiono
isoecogeni o, nell’1%- 2% dei casi, iperecogeni
[8].
periferica, l’apice prostatico, la zona di
transizione [9,10]. La via transrettale ha il pregio
di essere di più semplice esecuzione, meno
dolorosa, ma può esporre ad un serio rischio di
infezione della prostata da germi di origine fecale;
anche questa tecnica è eseguita sotto guida
ecografia come la precedente. Tale esame può
essere dubbio, dando origine a pericolosi falsi
negativi, quasi sempre per scarsità del materiale
prelevato.
RMN con bobina endorettale
Negli ultimi anni, per la definizione della
situazione locale del carcinoma prostatico è stata
introdotta la Risonanza Magnetica Nucleare con
bobina endorettale. E’ un esame che mima
tecnicamente l’ecografia transrettale, ma che nelle
ipotesi iniziali avrebbe dovuto aggiungere
qualche elemento in più sia in fase diagnostica
(migliore efficacia nel riconoscimento delle
forme T1c) che in corso di stadiazione (migliore
definizione della malattia extracapsulare o
vescicolare) grazie alla buona definizione del
segnale tissutale ottenuto nelle varie scansioni. In
realtà sensibilità e specificità sono molto simili a
quelle ottenibili con una ecografia transrettale
eseguita da un buon operatore, e pertanto non è
un esame di routine, visti anche i costi elevati. Di
recente,
l’introduzione della
RMN in
spettroscopia, sfruttando i reperti del diverso
rapporto colina/citrato presenti nel tessuto
neoplastico rispetto a quello sano, ha consentito
uno studio più accurato della neoplasia, sia come
metodica di staging, ma soprattutto come
imaging di controllo nelle forme non sottoposte
ad intervento chirurgico [11]. Sensibilità e
specificità della metodica sono ancora in corso di
definizione.
Biopsia
E’ il passo successivo fondamentale ed unico per
la diagnosi definitiva di esistenza del carcinoma
prostatico. L'agobiopsia è una tecnica che può
essere praticata attraverso varie vie: transrettale e
transperineale, sulla scorta del reperto palpatorio
o sotto guida ecografia, e con molteplici
strumenti, come gli aghi di Franklin e di VimSilverman, Tru-Cut, in grado di sezionare ed
asportare carote di tessuto prostatico su cui
effettuare l'esame istologico. La via transperineale
ha il vantaggio di essere sterile, evitando così il
rischio potenziale di propagazione alla prostata di
batteri presenti in ambiente rettale; viene eseguita
con l'ausilio dell’ecografia transrettale, che
permette di guidare la biopsia verso le aree
sospette o di eseguire comunque le biopsie a
random nei casi in cui la neoplasia non è
evidente; necessita di anestesia locale. Nel caso in
cui devono essere eseguiti prelievi a random,
vengono effettuate normalmente almeno 6
biopsie per lobo, comprendendo la zona
Tomografia Computerizzata
La tomografia computerizzata non è un esame
utilizzato per la diagnosi del tumore della
prostata, dal momento che non può differenziare
un aumento benigno di volume ghiandolare da
20
IL CANCRO DELLA PROSTATA
un carcinoma ma trova indicazione soprattutto
nell’analisi delle stazioni linfonodali, a
completamento o chiarimento dell’ecografia
addominale, in particolare per i gruppi
retroperitoneali o pelvici, e per valutare lo stato
dei parenchimi.
Positron Emission Tomography) consente di
ottenere immagini dei processi biochimici e delle
funzioni biologiche (immagini metaboliche o
funzionali) che, nel corso di una malattia, si
manifestano molto più precocemente rispetto
alle modificazioni anatomiche rilevate mediante
l’imaging radiologico convenzionale (TAC,
ecografia, ecc.). Mediante la PET si ottengono
immagini di distribuzione di un tracciante
radioattivo in sezioni dell’organismo e si misura
la concentrazione regionale di radioattività. Vari
studi hanno dimostrato che la PET-TC glucosio
ha un’elevata sensibilità e specificità nella
determinazione di metastasi ossee [16,17] da
carcinoma prostatico ma il suo impiego non
risulta essere ottimale in quanto alcuni tumori,
come quello prostatico, presentano un basso
metabolismo glucidico.
Recentemente è stato proposto l'impiego della
Colina marcata con Carbonio 11, questo
tracciante si accumula nelle membrane delle
cellule prostatiche sia normali ma soprattutto
patologiche. L'impiego della PET con Colina è
ad oggi limitato alla valutazione del paziente,
operato con asportazione totale della prostata, o
sottoposto a radioterapia, con innalzamento del
valore di PSA (marcatore del tumore prostatico)
e con risultati negativi dei comuni esami che
aiutano a identificare la presenza di neoplasia
recidiva. L’applicazione della PET-colina in fase
diagnostica è ad oggi solo sperimentale, in
quanto possiede sensibilità e specificità ancora
basse, soprattutto per bassi valori di PSA. Questa
limitazione è ancora più evidente nella
valutazione del paziente operato, in quanto per
valori di PSA inferiori a 1 ng/ml l’esame è
gravato da alta sensibilità ma bassa specificità
[17,18].
Non consente tuttavia di evidenziare le
adenopatie microscopiche o comunque di
dimensioni inferiori a 1-1.5 cm.
Scintigrafia ossea total body
La scintigrafia ossea è un esame fondamentale
per la diagnosi precoce delle metastasi ossee,
impiega radiotraccianti tra i quali il più utilizzato
in assoluto è il Tecnezio99.
L'indagine volta a ricercare le metastasi ossee è
prioritaria, dal momento che il cancro della
prostata colpisce soprattutto questo tessuto ed in
ordine di frequenza le sedi principalmente
interessate sono la colonna, il bacino, le coste,
anche se logicamente qualsiasi segmento può
essere coinvolto. La presenza di una metastasi
può essere sospettata quando nell'immagine
scintigrafica si evidenzia un accumulo del
tracciante in un punto focale dell'osso, mentre il
tessuto circostante risulta indenne.
La tecnica offre una sensibilità estrema, pari al
100%, mentre il numero dei falsi positivi si
approssima al 16%, dal momento che quadri
scintigrafici simili sono riscontrabili anche in caso
di trauma osseo, lesioni degenerative, ecc.
Indiscussa è la maggiore sensibilità di questa
tecnica rispetto all'indagine radiografica, dal
momento che, il 23% dei soggetti con radiografie
del
tutto
normali mostrerà
all'esame
scintigrafico la presenza di metastasi [12-13].
La scintigrafia ossea total body non viene
effettuata in tutti i pazienti viene riservata a
pazienti con rischio medio-alto.
TERAPIA
PET-colina
La terapia della prostata rappresenta un
argomento estremamente ampio, che necessita
conseguentemente di una trattazione organizzata
in base alle opzioni esistenti.
La PET è la più recente applicazione diagnostica
nell’ambito dello studio delle neoplasie. La
Tomografia con Emittenti di Positroni (PET –
21
IL CANCRO DELLA PROSTATA
Le opzioni terapeutiche sono le seguenti:
(Gleason score 2-4) la probabilità di andare
incontro a metastasi è estremamente basso, con
una sopravvivenza a 10 anni del 87%, mentre per
i soggetti portatori di neoplasia con Gleason
score 7-10 la sopravvivenza raggiunge un
massimo del 26% a 10 anni dalla diagnosi [1922].
1. Vigile attesa o watchful waiting –
sorveglianza attiva
2. Terapia chirurgica
3. Radioterapia esterna
4. Brachiterapia
5. Crioterapia
6. Trattamento con ultrasuoni focalizzati ad
Sorveglianza attiva
alta intensità (HIFU)
La sorveglianza attiva è una evoluzione della
semplice vigile attesa; rispetto a quest’ultima, per
la quale il paziente viene seguito ed
eventualmente sottoposto a terapia sintomatica, il
paziente entra in uno schema di protocollo
particolare con il quale viene ‘sorvegliato’
attivamente, intraprendendo una terapia ‘attiva’
per la comparsa di segni compatibili con una
evoluzione aggressiva della neoplasia. Gli studi di
fase II attualmente in corso hanno cercato di
delineare le indicazioni alla sorveglianza attiva:
paziente con aspettativa di vita > 10 anni,
presenza di una malattia clinicamente non
significativa (Epstein criteria: PSA < 10 ng/m,
Gleason score <= 6 con non più di un core
interessato ed inferiore al 50%, stadio T1-T2a),
elevata compliance all’aderenza al protocollo
[23,24]. La sorveglianza attiva prevede stretti
controlli periodici del PSA, con visita, ER ed
ecografia transrettale. Di solito, una biopsia
prostatica di controllo viene programmata a 1224 mesi, e comunque in ogni caso di variazione
dei parametri biochimici (PSA) o clinici (ER,
TRUS) basali. In caso di incremento temporale
del PSA, evoluzione clinica, o in caso di
upgrading bioptico il paziente sarà indirizzato ad
un trattamento attivo, radicale (chirurgia,
radioterapia) o palliativo (es. terapia ormonale).
7. Ormonoterapia
8. Chemioterapia
Vigile attesa o watchful waiting
La vigile attesa è un momento di attiva
collaborazione tra il paziente e il medico, durante
il quale questi due soggetti decidono insieme di
non intraprendere una terapia nei confronti della
malattia, limitandosi ad un attento monitoraggio
degli eventuali segni e sintomi di progressione
della neoplasia. La vigile attesa termina solo
quando vi sia testimonianza dell'evoluzione del
fenomeno neoplastico cambiando decisamente
atteggiamento ed intraprendendo una attiva
terapia.
Logicamente non tutti i pazienti possono godere
di una scelta terapeutica così particolare, ma
solamente coloro che rispondono ai seguenti
requisiti: aspettativa di vita inferiore a 10 anni,
stadio T1a, buona differenziazione tumorale.
Le neoplasie che si presentano nello stadio T1a
rappresentano meno del 10% del totale e di
solito questi focolai di neoplasia vengono
casualmente scoperti nel 5-25% dei pazienti
sottoposti a intervento chirurgico o endoscopico
di adenomectomia prostatica. In questa
condizione la prognosi è ottima e la
sopravvivenza è quasi sovrapponibile a quella
della popolazione generale a parità di età.
Terapia chirurgica
La terapia chirurgica del carcinoma prostatico è il
trattamento di scelta nei pazienti con neoplasia
localizzata, cioè per gli stadi T1 (T1b, T1c) e T2,
con malattia N0 ed M0 [25]. I criteri di
indicazione alla prostatectomia radicale sono:
In recenti studi di valutazione prognostica, è
stato dimostrato che il grading istologico è il
migliore fattore predittivo di una eventuale
progressione della malattia, giungendo al risultato
che per pazienti con lesioni ben differenziate
22
IL CANCRO DELLA PROSTATA
presenza di un carcinoma in stadio clinico
localizzato, aspettativa di vita superiore ai 10
anni, assenza di controindicazioni alla terapia
chirurgica, adeguato consenso informato. Le
controindicazioni, assolute o relative, a questa
opzione terapeutica sono: età avanzata, alto
rischio anestesiologico e/o operatorio, alto
rischio per patologie trombo-emboliche, turbe
della coagulazione, forte motivazione al
mantenimento della potenza sessuale e di una
perfetta continenza urinaria.
sono situati dorsalmente e lateralmente alla
prostata, al di fuori della capsula e della fascia di
Denonvilliers fino all’apice della ghiandola. Da
questa sede i nervi erigendi attraversano il
diaframma urogenitale e terminano innervando i
corpi cavernosi del pene. La tecnica "nerve
sparing" ha permesso di salvaguardare questa
fondamentale struttura in un’alta percentuale dei
casi. Per ottenere un più precoce recupero della
potenza sessuale è necessario effettuare una
riabilitazione precoce con terapia farmacoerettiva
o, attualmente, con il sildenafil. L'incontinenza
urinaria è un'altra complicanza molto importante,
ma che rispetto all'impotenza ha una incidenza
nettamente inferiore e spesso di modesta entità.
L'incontinenza può derivare dalla lesione
dell'apparato sfinterico: la sezione uretrale cade
infatti a livello dell'uretra membranosa, ove
risiede il meccanismo della continenza. Nei casi
in cui per necessità oncologiche la sezione
dell’apice deve essere generosa, o nelle situazioni
in cui la struttura sfinterica è già ipotonica,
l'intervento può più facilmente esitare in una
incontinenza urinaria, che generalmente si
presenta come incontinenza da stress: il paziente
perde urina con i colpi di tosse, durante sforzi
fisici, nel passaggio dalla posizione clinostatica
alla ortostatica. Logicamente l'entità e la durata
dell’incontinenza sono in funzione della lesione
che si è creata, ma generalmente, in una
percentuale che oscilla tra l'80 e il 90% dei casi, la
condizione originaria viene comunque recuperata
entro 6- 9 mesi dall'intervento. Nell'eventualità in
cui non viene ristabilita una continenza, è
necessario riabilitare con tecniche particolari
l'apparato sfinterico attraverso un programma di
rieducazione del piano perineale; solo in una
piccolissima percentuale di pazienti si dovrà
ricorrere al posizionamento di materiale
protesico.
La terapia chirurgica consiste nella asportazione
in blocco della prostata nella sua interezza e delle
vescicole seminali, assieme all’esecuzione,
quando tecnicamente possibile (per la via di
accesso), di una linfadenectomia loco-regionale,
con successivo confezionamento di anastomosi
vescico-uretrale.
Può essere eseguita attraverso accesso
sovrapubico
(prostatectomia
radicale
retropubica), per via perineale o, infine, in
laparoscopia o robot-assistita.
I vantaggi che può apportare sono: asportazione
completa del tumore con stadiazione patologica,
trattamento e risoluzione della sintomatologia
ostruttiva legata all'aumento di volume della
ghiandola, diminuzione dello stato d'ansia del
paziente, follow-up più semplice e sicuro.
Logicamente qualsiasi intervento chirurgico ha
degli svantaggi che devono essere tenuti in
considerazione e dei quali il paziente deve essere
accuratamente informato. La mortalità operatoria
è inferiore allo 0.5%, mentre quella
perioperatoria varia dallo 0% all’1.5%. Le
maggiori complicanze postoperatorie sono
l’impotenza sessuale e l’incontinenza urinaria.
L'impotenza è uno dei problemi cui può andare
incontro il paziente che si sottopone a
prostatectomia radicale, con una percentuale che
oscilla tra il 30% e l'80% a seconda delle
casistiche. In particolare negli ultimi anni, grazie
ad una maggiore conoscenza delle strutture
anatomiche, è stato possibile identificare con
maggiore dettaglio il decorso dei fasci vascolonervosi in cui decorrono i nervi erigendi e che
Durante l'intervento chirurgico di prostatectomia
radicale la preservazione delle fibre circolari del
collo vescicale, del muscolo retto-uretrale, la
riabilitazione precoce dello sfintere e la
salvaguardia delle fibre nervose del fascio
23
IL CANCRO DELLA PROSTATA
vascolonervoso,
riduce
sensibilmente
la
percentuale assoluta di incontinenza e i tempi
necessari ad un corretto ripristino della fisiologia
della minzione.
somministrazione esterna delle radiazioni, oppure
tramite brachiterapia, successivamente trattata
[36]. La radioterapia a fasci esterni consente,
attraverso radiazioni ad alta energia emesse da un
acceleratore lineare, di danneggiare in modo
irreversibile le cellule tumorali maligne. Le
indicazioni ideali alla radioterapia sono simili a
quelle della prostatectomia radicale: presenza di
un carcinoma in stadio clinico localizzato,
aspettativa di vita maggiore di 10 anni, assenza di
malattie del colon e del retto, assenza di malattie
della vescica, assenza di uropatia ostruttiva bassa
di grado severo, paziente con condizioni cliniche
che non consentono la terapia chirurgica,
adeguato consenso informato. Questa strategia
terapeutica è gravata dai seguenti svantaggi ed
effetti collaterali: danni da radiazione su vescica e
intestino, peggioramento dell’uropatia ostruttiva
bassa, incontinenza urinaria, tempo di
trattamento prolungato, difficile valutazione del
risultato della terapia. Gli effetti collaterali sono
negli anni divenuti sempre meno gravi per il
progressivo perfezionarsi della tecnica di
esecuzione [37]. L'irradiazione degli organi
contigui alla prostata determina i più comuni e
noti effetti collaterali a breve e a lungo termine a
carico dell'apparato genitourinario ed intestinale:
precocemente possono verificarsi un aumento
della frequenza delle minzioni diurne e notturne
(15% di grado severo), bruciore e urgenza
minzionale, diarrea e urgenza alla defecazione,
sanguinamento rettale (10%-15% di grado
severo). In genere questi effetti collaterali
iniziano a manifestarsi durante il trattamento per
poi risolversi, dietro adeguata terapia, entro tre
mesi dal termine dello stesso. A lungo termine si
possono riscontrare gravi cistiti da raggi con
retrazione della vescica, ritenzione cronica
urinaria (3%), incontinenza urinaria (2%), deficit
erettile (40-70%), proctiti (6%), sanguinamento
rettale persistente (meno dell’1%), necrosi delle
teste femorali (meno dell’1%). Nelle condizioni
più gravi queste complicazioni possono talora
richiedere interventi chirurgici aggiuntivi,
soprattutto per risolvere l’uropatia ostruttiva
bassa (resezione transuretrale della prostata). Per
Uno dei possibili risultati della prostatectomia
radicale è la presenza, all’esame istopatologico,
della positività dei margini di resezione
chirurgica. E’ un elemento estremamente
importante in termini prognostici, dal momento
che questo fenomeno di diffusione neoplastica
può modificare sia la strategia terapeutica sia la
prognosi della malattia, a causa dell’aumentato
rischio di recidive locali. Nei casi in cui dopo
prostatectomia radicale i margini di resezione
chirurgica risultino positivi per la localizzazione
neoplastica, quindi lo stadio patologico risulti
essere superiore a quello clinico, può essere
necessario completare il trattamento con una
terapia adiuvante, come la radioterapia o la
terapia ormonale, al fine di ridurre la possibilità
di recidiva locale e/o di diffusione sistemica della
malattia
[26,27].
La
terapia
ormonale
neoadiuvante, eseguita prima dell’intervento
chirurgico dovrebbe ridurre l’incidenza di
malattia extracapsulare e quindi di margini
chirurgici positivi [28,29].
I risultati della terapia chirurgica radicale in
termini di sopravvivenza libera da malattia e di
sopravvivenza globale a 15 anni sono elevate
negli stadi anatomo-patologici pT1 e pT2,
attestandosi entrambe attorno al 50-60%, mentre
nelle fasi più avanzate di malattia, corrispondenti
a pT3 e pT4, la percentuale di successi cala
fortemente tra lo 0% e il 10% [30-33].
Radioterapia esterna
La radioterapia, analogamente alla chirurgia
radicale, costituisce una condotta terapeutica
volta al trattamento definitivo del carcinoma
della prostata, per tumori di stadio T1 e T2, nei
quali si ottiene il massimo dei risultati; è
applicabile anche negli stadi clinici T3 e T4, con
risultati oncologici ovviamente minori [34,35]. La
radioterapia può essere eseguita secondo varie
modalità, ma principalmente per mezzo di
24
IL CANCRO DELLA PROSTATA
quanto sopra riportato si intuisce come malattie
del colon, del retto, uropatia ostruttiva bassa
rappresentino controindicazioni all'esecuzione
della terapia radiante. Uno svantaggio di questo
tipo di approccio è anche la durata del
trattamento, che se da un lato non richiede il
ricovero ospedaliero prolungato, tuttavia
necessita di una serie di applicazioni giornaliere
della durata di 10 minuti, 5 giorni alla settimana
per complessive 7-8 settimane consecutive.
Aspetto che pone una grossa problematica in
corso di terapia radiante è la valutazione del
risultato, per la difficoltà di utilizzo del PSA nel
follow-up clinico, e ciò induce nel paziente un
notevole stato di ansia. È in quest'ottica che
diviene imperativa l'esecuzione di biopsie mirate
dopo radioterapia, in relazione a numerosi studi
che hanno dimostrato una elevata percentuale di
presenza di tumore residuo in loggia prostatica
(sino al 68%), elemento che diverrà essenziale
nella progressione della malattia e nella sua
conseguente diffusione metastatica. Infatti la
sopravvivenza offerta dalla radioterapia è
indicativamente sovrapponibile a quella della
prostatectomia radicale, con una percentuale a 5
anni dell'85%, a 10 anni del 60%, mentre
nell'eventualità dell'individuazione di residuo
neoplastico sul materiale bioptico dopo terapia
radiante, il risultato diminuisce nettamente a 35%
a 10 anni. Per ridurre il campo di irradiazione e
quindi gli effetti collaterali viene sempre eseguita
una terapia ormonale neoadiuvante, che andrà
procrastinata nelle forme pT3-pT4 o nei pazienti
ad alto rischio di diffusione sistemica [38].
recenti dimostrano come il fattore "dose" in
radioterapia abbia un ruolo fondamentale nel
determinare la probabilità di guarigione del
paziente. Le varie tecniche di radioterapia si
differenziano proprio per la dose che consentono
di rilasciare a livello prostatico e per il risparmio
delle
strutture
contigue.
Radioterapia
convenzionale: è la tecnica più datata ma è anche
l'unica per la quale si disponga di risultati con
follow-up a oltre 10 anni dal trattamento. Poiché
utilizza campi piuttosto ampi che coinvolgono
anche strutture adiacenti alla prostata, non
consente di erogare dosi molto elevate alla
ghiandola. A 10 anni dal trattamento i dati di
sopravvivenza senza progressione biochimica di
malattia sono per i tumori localizzati intorno al
50%-60% (75% per lo stadio T1, 66% per lo
stadio T2, 30% per lo stadio T3). Radioterapia
conformazionale: è una tecnica di trattamento
che consente, col procedere della terapia, di
ridurre progressivamente il volume bersaglio
irradiato "conformandolo" alle dimensioni della
ghiandola prostatica. Questo permette di
raggiungere dosaggi decisamente più elevati
rispetto alla convenzionale con un maggior
risparmio delle strutture adiacenti ed una
riduzione degli effetti collaterali. Intensity
Modulated Radiation Therapy (IMRT): è la
tecnica più recente: dovrebbe consentire, con
l'utilizzo di software dedicati e di particolari
accessori, di risparmiare maggiormente i tessuti
sani adiacenti alla prostata, permettendo al
contempo di irradiare quest'ultima con dosi
molto elevate. I risultati preliminari sono molto
interessanti, anche se l'esecuzione del trattamento
risulta decisamente più complessa e presenta
quindi potenziali margini di errore superiori
rispetto alle precedenti tecniche.
La terapia radiante può essere utilizzata inoltre
non solo nelle condizioni sopra elencate, ma
anche come trattamento adiuvante in pazienti
che
presentano
recidiva
locale
dopo
prostatectomia radicale e come trattamento
palliativo nei pazienti con metastasi ossee
localizzate sintomatiche.
Brachiterapia
La Brachiterapia permanente (BT) è una forma di
radioterapia in cui delle piccole capsule ("semi")
contenenti sorgenti radioattive (Palladio 103/Pd103 o Iodio 125/I-125) vengono impiantate nella
prostata sotto guida ecografica. Si tratta di una
Dal punto di vista tecnico la radioterapia per i
tumori prostatici può essere eseguita con diverse
modalità: convenzionale, conformazionale 3D,
"intensity modulated" (IMRT). Tutti gli studi più
25
IL CANCRO DELLA PROSTATA
procedura minimamente invasiva che si completa
in un'unica seduta operatoria della durata di circa
90 minuti [39,40]. I "semi" vengono posizionati
nella prostata mediante aghi infissi per via
transperineale. La sonda ecografica e gli aghi
vengono estratti al termine della procedura.
Ciascun "seme" rilascia continuamente una
piccola quantità di energia radiante ad una
limitata porzione di tessuto prostatico: questo
consente di trattare il tumore con una dose di
radiazione
estremamente
elevata
senza
danneggiare
le
strutture
adiacenti.
La
Brachiterapia (BT) può essere proposta in
alternativa
all'intervento
chirurgico
di
prostatectomia radicale nei pazienti affetti da
adenocarcinoma
prostatico
clinicamente
localizzato. Non sono a tutt'oggi disponibili
risultati oncologici a lungo termine (15 anni dopo
l'impianto).
differenza delle tecniche di radioterapia che
tendono a peggiorare sensibilmente questo
aspetto della sintomatologia [43].
High-Intensity focused ultrasound (HIFU)
L’HIFU (acronimo di high-intensity focused
ultrasound) è una tecnologia relativamente
nuova, mininvasiva, che è in grado di indurre una
istantanea ed irreversibile necrosi in tutti i tessuti
biologici per un effetto termico (assorbimento di
energia ad ultrasuoni convertito in calore) e per
cavitazione. Gli ultrasuoni sono emessi da un
trasduttore ed assorbiti nella zona interessata,
con danni limitati ai tessuti circostanti rendendo
così questa forma di terapia interessante. Nel
punto focale l'alta intensità produce un intenso
aumento della temperatura, fino a 100° C,
risultante nella denaturazione proteica e nella
necrosi coagulativa. A questo danno termico si
aggiunge inoltre la formazione di aree di
cavitazione per interazione con le microbolle a
livello tissutale. La tecnica, ancora in fase
sperimentale, viene eseguita in anestesia spinale o
generale, in posizione litotomica o laterale. E’
indicata in pazienti non candidabili ad intervento
chirurgico, con aspettativa di vita inferiore a 10
anni, malattia prostatica localizzata e basso
rischio. I risultati in termini di sopravvivenza a
lungo termine non sono ancora disponibili ma
buoni risultati si sono registrati in pazienti con
indicazioni elettive a breve-medio termine [4346].
Crioterapia
La
tecnica
di
criochirurgia
consiste
nell'inserimento di 5-7 aghi dentro la prostata
fino a coprire tutta la zona tumorale da
distruggere. Gli aghi vengono poi sostituiti da
alcuni dilatatori per permettere l'ingresso di
sonde che provocano il raffreddamento a -180
°C, inducendo necrosi tissutale [41,42]. La
procedura, eseguita con guida ecografia ed in
anestesia epidurale, dura circa 45 minuti, il
paziente viene dimesso il giorno dopo e dovrà
portare solamente un catetere per 1-2 settimane.
Le indicazioni sono le stesse della prostatectomia
radicale. Per quanto riguarda i risultati di questa
tecnica non si è ancora giunti ad una conclusione
definitiva, anche se sembra che la sopravvivenza
sia sovrapponibile a quella della prostatectomia
radicale, almeno negli stadi iniziali della malattia.
Grazie al perfezionamento della tecnica oggi le
complicanze sono nettamente diminuite, tuttavia
la percentuale di impotenza varia dal 65% al
100% a seconda delle casistiche, ed anche la
recidiva locale si manifesta in una percentuale
non trascurabile di pazienti. Un vantaggio offerto
da questa metodica è l'effetto disostruttivo, a
Ormonoterapia
L'ormonoterapia costituisce la terapia ottimale
nelle forme avanzate della neoplasia prostatica
[47-48]. Le indicazioni a questo tipo di
trattamento sono essenzialmente: carcinoma
prostatico localizzato in paziente non operabile
per età o per patologia concomitante, carcinoma
prostatico localmente avanzato, carcinoma
prostatico metastatico, pazienti sottoposti a
chirurgia o a radioterapia che presentano un
rischio elevato di recidiva di malattia (terapia
adiuvante) o che presentano una ripresa
26
IL CANCRO DELLA PROSTATA
biochimica, come terapia neoadiuvante prima di
trattamenti ad intento radicale (radioterapia o
prostatectomia radicale). Le neoplasie che
solitamente vengono trattate sono in stadio T3T4 N+ e/o M+ secondo la stadiazione TNM,
che rappresentano attualmente meno del 30%50% dei pazienti. Ovviamente in queste fasi
avanzate il tumore presenta la prognosi peggiore,
non è più suscettibile di un trattamento radicale,
ma solo di terapie palliative, in grado di ridurre la
sintomatologia, di migliorare la qualità di vita dei
malati e talvolta di allungare la sopravvivenza. La
terapia ormonale si fonda sul razionale che il
carcinoma della prostata è ormono-dipendente:
lo scopo principale è pertanto quello di
contrastare la produzione di testosterone e di
androgeni e di bloccare l'azione degli ormoni
sessuali maschili prodotti dai testicoli
(testosterone) e dai surreni [49,50]. Questo
determina un rallentamento della proliferazione
cellulare neoplastica e riduce le dimensioni del
tumore. Questo tipo di “blocco androgenico”
può essere ottenuto attraverso l’ablazione degli
organi produttori degli androgeni (castrazione
chirurgica con l’orchiectomia bilaterale o
castrazione chimica, con la soppressione
dell'increzione ipofisaria di gonadotropine,
utilizzando gli analoghi dell’LHRH), o con il
blocco periferico dell'azione degli androgeni
(farmaci antiandrogeni, steroidei o non steroidei),
da soli o in associazione.
castrazione chirurgica trova oggi scarso impiego
pratico.
Soppressione dell'increzione ipofisaria di
gonadotropine
(Estrogeni
o
analoghi
dell'LHRH): gli estrogeni hanno rappresentato,
per molti anni, l'unica scelta terapeutica in
alternativa o in associazione alla castrazione
chirurgica. Attualmente non trovano largo
consenso nella pratica clinica, essendo ormai
utilizzati solo come terapia di seconda scelta a
causa dei notevoli effetti collaterali, i principali
dei quali sono perdita della libido, impotenza,
ginecomastia, cardiopatie e rischio di trombosi.
Gli analoghi dell’LH-RH sono una classe di
composti che ha sicuramente rappresentato un
passo in avanti nel trattamento del carcinoma
prostatico, sostituendo l’orchiectomia e la terapia
con estrogeni ed entrando a far parte di terapie
combinate con altri farmaci che offrono dei
risultati nettamente migliori. Il meccanismo di
azione è la stimolazione centrale dell'ipofisi che
produce FSH, LH, gonadotropine. Questi
farmaci causano una azione continua a livello
dell'ipofisi, la quale andrà incontro ad un
esaurimento funzionale delle proprie cellule, che
cessano di secernere tali ormoni. All’iniziale
somministrazione degli analoghi dell’LHRH
segue un fenomeno definito "flare ", che consiste
in un aumento del rilascio di testosterone nelle
fasi iniziali della terapia dovuto alla stimolazione
centrale dell'ipofisi, con un peggioramento della
sintomatologia; tale inconveniente è facilmente
circoscrivibile con l'associazione di un
antiandrogeno [51]. Il trattamento con gli
analoghi dell'LH-RH, disponibili in formulazioni
deposito di durata variabile (goserelin,
triptorelina, leuprolide, buserelin), è in grado di
assicurare una buona compliance anche da parte
dei pazienti più anziani, consentendo una
somministrazione intramuscolo o sottocute ogni
28 giorni e più recentemente ogni 12 settimane.
Rispetto all'orchiectomia, il trattamento con
agonisti dell'LH-RH ha il vantaggio di evitare un
trauma chirurgico e di essere meglio tollerato dal
punto di vista psicologico. La castrazione,
Ablazione degli organi produttori degli
androgeni: la castrazione chirurgica è stata la
prima metodica ad essere adottata ed essa basa il
proprio principio di azione sulla brusca caduta
del testosterone sierico, pari al 90%-95% dei
livelli preesistenti, seguita frequentemente e
rapidamente da un miglioramento clinico.
Tuttavia questo è di durata più o meno breve,
principalmente in relazione alla produzione extratesticolare di androgeni. Un altro effetto
estremamente negativo della castrazione è
costituito dall'impatto traumatico sulla psiche del
paziente: sotto questo aspetto l’orchiectomia
sottocapsulare è più facilmente accettata. La
27
IL CANCRO DELLA PROSTATA
comunque ottenuta, è un trattamento ben
tollerato, privo sostanzialmente di effetti
collaterali sull'apparato cardiovascolare, che
induce solamente i disturbi legati alla
deprivazione androgenica, come vampate di
calore, impotenza, perdita della libido, astenia,
aumento di peso. Nell’ambito della castrazione
chimica, di recente sono stati introdotti gli
antagonisti LH-RH (degarelix, abarelix) che
agiscono inibendo direttamente il recettore LHRH. Questi farmaci, di cui è in corso la
commercializzazione, hanno il vantaggio
principale nella inibizione diretta ipofisaria, con
effetti immediati, evitando la fase iniziale di flare
androgenico che è tipica degli agonisti LH-RH.
La Flutamide, sintetizzata per la prima volta nel
1970, è un farmaco antiandrogeno puro non
steroideo. Agisce impedendo il legame degli
ormoni androgeni a livello dei recettori nucleari
delle cellule della prostata, ma la sua azione non è
selettiva, esplicando conseguentemente la propria
azione anche a livello centrale, cioè
nell'ipotalamo e nell'ipofisi. Conseguentemente
blocca il meccanismo di feed-back negativo che
dovrebbe svolgere il testosterone circolante,
provocando così un fenomeno simile a quello di
“flare”.
La Bicalutamide, sintetizzata nel 1982, costituisce
il più recente farmaco antiandrogeno puro non
steroideo. Questo farmaco offre un vantaggio
non trascurabile, cioè la selettività per i recettori
periferici, conseguenza del fatto che non è in
grado di oltrepassare la barriera emato-encefalica.
In base a questa proprietà, il farmaco non può
provocare l'innalzamento delle concentrazioni
sieriche dell’LH e pertanto i livelli di testosterone
circolante non subiscono un incremento. La
mancanza dell'azione di questo composto a
livello dell'asse ipotalamo-ipofisario favorisce il
mantenimento della libido e dell'erezione.
Blocco periferico dell'azione degli androgeni: si
ottiene con farmaci che agiscono in modo
differente rispetto a quelli trattati in precedenza,
in quanto il loro sito di azione è a livello della
cellula prostatica: essi, infatti, agiscono come
inibitori competitivi degli androgeni sul recettore
nucleare delle cellule prostatiche. Gli effetti
collaterali più comuni che derivano dalla
somministrazione di questo gruppo di farmaci
sono la ginecomastia, disturbi dispeptici ed
epatopatia per il loro metabolismo epatico. Gli
antiandrogeni utilizzati possono essere steroidei e
non steroidei.
L’ormonoterapia può essere utilizzata da sola o
in associazione secondo vari protocolli:
Il ciproterone acetato è un composto
farmacologico steroideo di sintesi scoperto nel
1962 ed è stato il primo ad essere utilizzato
clinicamente. Il suo meccanismo d’azione è
complesso dal momento che non essendo un
antiandrogeno puro e possedendo anche una
notevole attività progestinica, non agisce solo a
livello dei recettori bersaglio delle cellule della
prostata, ma anche a livello del sistema nervoso
centrale (ipotalamo).
Il blocco androgenico completo è una strategia
terapeutica che unisce la somministrazione degli
analoghi
dell’LHRH
ad
un
farmaco
antiandrogeno. Il primo non elimina, infatti, gli
androgeni prodotti dal surrene, mentre il
secondo è in grado di rendere inefficaci tutti gli
androgeni; conseguentemente i due farmaci
possono agire sinergicamente con risultati
nettamente superiori. Un ulteriore vantaggio,
dato da questa associazione, è impedire il
manifestarsi del fenomeno del "flare".
Inibisce pertanto la sintesi dei fattori di rilascio
riducendo in tal modo la produzione di LH e
conseguentemente la produzione di testosterone
mentre l’attività progestinica provoca una
riduzione marcata della libido e della potenza
sessuale.
Il blocco androgenico periferico è una strategia
terapeutica che unisce la somministrazione di un
farmaco antiandrogenico ad un inibitore della 5alfa-reduttasi.
Con
questa
strategia
le
concentrazioni di testosterone restano elevate
con mantenimento della normale attività sessuale.
28
IL CANCRO DELLA PROSTATA
Il blocco antiandrogenico intermittente ha
assunto negli ultimi anni un ruolo sempre più
importante, dal momento che gran parte dei
pazienti trattati, dopo un tempo variabile in
rapporto ad una serie di parametri tra cui stadio e
grado della neoplasia, mostrano un rialzo delle
concentrazioni plasmatiche del PSA, segno di
ripresa della malattia per perdita del controllo
ormonale. La causa è da ricercare nel possibile
sviluppo di cloni cellulari ormono-indipendenti
dovuto ad un meccanismo adattativo della cellula
in condizioni di deprivazione androgenica e non
ad un'alterazione del genoma, con conseguente
evoluzione
della
malattia
anche
con
concentrazioni minime di testosterone circolante.
Un altro possibile meccanismo di resistenza alla
terapia ormonale potrebbe essere rappresentato
dalle alterazioni metaboliche ed enzimatiche
cellulari che causano una parziale attività del
farmaco stesso. La terapia intermittente è quindi
stata proposta per minimizzare il problema,
sospendendo la somministrazione dei farmaci
prima che si formino i cloni resistenti,
prolungando così la sensibilità del tumore. Un
ulteriore vantaggio offerto da questa strategia
terapeutica è che nel periodo intermedio fra
sospensione e ripresa della somministrazione dei
farmaci i pazienti possono tornare ad avere una
normale vita sessuale, in quanto il blocco
ormonale non è irreversibile. Alla sospensione
della terapia medica c'è pertanto il ripristino dei
livelli plasmatici di testosterone con regolare
ripresa della libido e della potenza sessuale,
inoltre si ha un significativo miglioramento nel
tono muscolare, del tono dell'umore e la
scomparsa degli effetti collaterali come le
vampate di calore. Tale strategia di
somministrazione intermittente dei farmaci
sembra avere teorici effetti positivi sulla
progressione
del
tumore,
testimoniata
dall'intervallo libero da malattia clinicamente
evidente di durata sempre maggiore e
conseguentemente sulla sopravvivenza del
paziente.
Terapia delle forme ormonoresistenti
Nella neoplasia prostatica la durata di risposta al
trattamento ormonale è circa 18 mesi, in accordo
con la situazione clinica presente all'inizio della
terapia, mentre sale a 24-36 mesi se condotta con
metodica di somministrazione intermittente.
Un quarto dei pazienti con carcinoma della
prostata metastatico non risponde alle terapie
ormonali. La mediana della sopravvivenza in
questi pazienti è di 9-12 mesi. Molto spesso il
trattamento di questi casi ha un intento
puramente palliativo, con gli obiettivi di alleviare
i sintomi, il dolore in particolare, e migliorare la
qualità della vita.
In questa fase di malattia sono stati proposti
diversi
trattamenti:
sospensione
degli
antiandrogeni se somministrati o loro
introduzione, modifiche delle terapie ormonali in
atto, manovre ormonali alternative con
dietilsilbestrolo (DES) o con l'estramustina
fosfato (EMP), chemioterapia di I o di II linea:
mitoxantrone, ciclofosfamide o taxani, che ad
oggi costituiscono il gold standard del
trattamento chemioterapico della neoplasia
prostatica castration-resistant, inibitori dei fattori
di crescita (suramina), trattamento cortisonico,
sempre abbinato ai trattamento chemioterapici,
trattamento radiante e/o con radioisotopi.
I pazienti divenuti refrattari al trattamento
ormonale, in presenza di livelli di castrazione del
testosterone, possono trarre giovamento da
terapie ormonali di seconda linea e
occasionalmente mostrare una risposta con
durata limitata fra i 3 e i 10 mesi [52].
Il trattamento cortisonico può ridurre il PSA e
migliorare i sintomi in una discreta percentuale di
pazienti, cosi come la sospensione dei trattamenti
antiandrogenici in atto (withdrawal response)
[43-56].
La chemioterapia del carcinoma prostatico
ormonoresistente, nonostante numerosi anni di
studi clinici, ha portato benefici limitati. Dalle
revisioni dei numerosi studi clinici è stato
dimostrato che i trattamenti chemioterapici
29
IL CANCRO DELLA PROSTATA
possono ottenere tra il 4-5% di risposte
complessive ed il 20% di stabilizzazioni di
malattia, con una durata di risposta di 12-15
settimane.
Ciò
nonostante,
gli
agenti
chemioterapici usati singolarmente hanno
dimostrato di poter ottenere risposte parziali e
riduzioni del 50% del PSA [57-74].
BIBLIOGRAFIA
La reale efficacia dei chemioterapici è comunque
difficile da stabilire, sia per il notevole numero di
protocolli introdotti nella clinica, sia perché
talora negli studi non viene inserito il PSA come
parametro di valutazione, sia perché talora la
risposta osservata è di tipo misto, cioè si ha il
miglioramento clinico di un aspetto della malattia
e il peggioramento su altri fronti; come accade
talvolta con evoluzione più favorevole delle
metastasi molli, accompagnate però da un
aggravarsi di quelle ossee.
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I farmaci citotossici rimangono dunque di
seconda scelta dal momento che, oltre ad
efficacia limitata e strettamente variabile da
paziente a paziente, sono gravati da una notevole
tossicità sistemica, particolarmente pericolosa nei
soggetti anziani, spesso già sottoposti a
radioterapia o affetti da aplasia midollare come
conseguenza delle metastasi ossee.
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Molti pazienti possono, in ogni caso, trarre
giovamento da un trattamento combinato con
analgesici, radioterapia e steroidi [75]. Importante
che questo tipo di approccio multidisciplinare a
finalità unicamente palliativa sia condotto in
modo corretto, in altre parole con dosi e schemi
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