UNITÀ L’ISLAM STO 1 10 Dolcezza a caro prezzo Dalla Nuova Guinea attraverso l’India, per giungere nel bacino del Mediterraneo e infine nel Nuovo Mondo. Ecco il lungo viaggio della canna da zucchero, dolcificante alla base di un antichissimo dolce siciliano di origine araba: la cassata. La coltivazione della canna da zucchero, miniatura del XII secolo. Vienna, Biblioteca Nazionale Austriaca. Sciroppi vari e una gran quantità di sorbetti alla frutta completavano il quadro di queste meraviglie. Nel 998, a Palermo, la città eletta degli emiri arabi a capitale della Sicilia, nacque la cassata. Il nome, secondo lo storico De Gregorio, deriverebbe dall’arabo qa’ sat, la scodella rotonda di circa 33 centimetri di diametro con cui si fa questo dolce a base di marzapane, pan di Spagna, ricotta, zucchero. Fonti: A. Barlucchi, Dolcezza a caro prezzo, «Medioevo» 9, De Agostini Rizzoli, Milano; A. Barlucchi, Peccati di gola, «Medioevo» 9, De Agostini Rizzoli, Milano. DOCUMENTI e STORIOGRAFIA La canna da zucchero venne addomesticata inizialmente nelle isole della Nuova Guinea circa diecimila anni fa; da qui iniziò un lungo e lentissimo cammino verso Occidente fino a raggiungere dopo duemila anni la penisola indiana, dove trovò un ambiente adattissimo alla sua crescita e una popolazione che la apprezzava molto. Nella letteratura indiana antica troviamo le prime attestazioni di un suo uso alimentare nella confezione di budini di riso, focacce, dolci e bevande. Nel I secolo a.C. lo zucchero raggiunse Roma: Plinio, Dioscoride e Galeno ne parlano, infatti, come di un’essenza medicinale. Con l’espansione araba nel bacino del Mediterraneo lo zucchero perse le caratteristiche di sostanza esotica. A partire dal IX secolo i grandi latifondisti arabi cominciarono a trovare conveniente investire in questo prodotto, e convertirono una parte delle loro sterminate fattorie alla produzione specializzata di canna. Essa venne impiantata in Egitto, Siria, Iraq, Yemen, Marocco, Cipro, Creta, persino nella penisola iberica e in Sicilia, al punto che la produzione e commercializzazione dello zucchero divenne un fattore primario della floridezza economica musulmana. Risale al 966, invece, la prima notizia certa di un carico di zucchero sbarcato nel porto di Venezia. Lo zucchero aveva un largo mercato e gli Arabi lo vendevano sia agli Europei sia alle popolazioni dell’Estremo Oriente. Questo sistema di scambi andò avanti per tutto il tardo Medioevo. Agli inizi del XV secolo assistiamo però a un vero e proprio crollo della produzione araba. Ma i tempi erano ormai maturi per nuovi e più ampi scenari. La canna venne portata in America da Cristoforo Colombo in occasione del viaggio del 1493 e il primo carico di zucchero prodotto nel Nuovo Mondo raggiunse l’Europa nel 1516: da questo momento inizia la sottomissione al dio-zucchero di intere tribù africane, deportate in schiavitù nei Caraibi per lavorare nelle piantagioni. Contemporaneamente comincia la deforestazione di vaste zone dell’America centro-meridionale per far posto alle nuove coltivazioni. Furono gli Arabi gli iniziatori di una vera e propria tradizione gastronomica basata sul gusto dolce dello zucchero. I viaggiatori e i mercanti europei in visita alle grandi metropoli del mondo musulmano si incantavano come bambini di fronte alle pasticcerie e ai negozi di dolciumi. Si trovavano le paste farcite di mandorle, datteri, noci, pistacchi; i bignè, realizzati invece con una pasta sottile, composta semplicemente di farina e acqua, fritti nell’olio e quindi spolverati di miele e acqua di rose; i torroni a base di miele; marzapane con mandorle tritate e zucchero, tagliati in forme geometriche. COMPRENSIONE • A partire dal XV secolo le grandi coltivazioni di canna da zucchero si trasferirono dal mondo arabo a un’altra area del pianeta. Quale? • Qual è l’origine del tipico dolce siciliano conosciuto come cassata? 137 LABORATORIO • Qual è l’area originaria in cui veniva inizialmente coltivata la canna da zucchero? • In quale secolo la canna da zucchero raggiunse Roma? • Quale popolazione introdusse la coltivazione della canna da zucchero su larga scala in area mediterranea? VOLUME 2 STO 2 DALLA CRISI DELLA REPUBBLICA ROMANA AL X SECOLO I misteri degli alchimisti LABORATORIO DOCUMENTI e STORIOGRAFIA Il sogno di trovare l’elisir di lunga vita o di trasmutare i metalli in oro affascinò intere generazioni del mondo antico. L’alchimia fu talvolta sostenuta, talvolta ostacolata dalle autorità costituite, ma furono gli Arabi che coltivarono maggior interesse per questa arte, praticandola persino alla corte del califfo. La parola “alchimia” deriva dal greco chumeia, in arabo al-kimiya: significa “arte di trasformare i metalli”. I primi alchimisti svolsero molti dei loro esperimenti ad Alessandria d’Egitto, che era uno dei maggiori centri di cultura e di scienza dell’antichità. Fu qui che la parola greca chumeia divenne al-kimiya in arabo. Anticamente l’alchimia veniva praticata anche in Cina e in India. Le prime testimonianze scritte sull’alchimia ci- 138 nese risalgono al 144 a.C. quando l’imperatore proclamò che chiunque avesse usato oro alchemico per stampare monete sarebbe stato condannato a morte. In India i primi riferimenti all’alchimia risalgono al II secolo a.C.: nel 325 a.C. infatti avvenne la spedizione di Alessandro Magno in India ed è probabile che gli Indiani avessero appreso i principi dell’alchimia dai Greci. Gli alchimisti credevano di poter trasformare i metalli vili in metalli preziosi – attraverso un processo conosciuto come trasmutazione – con l’aiuto della cosidddetta “pietra filosofale”. I principi che sostenevano questa teoria si basavano sulle idee del filosofo greco Aristotele (384-322 a.C.), precettore di Alessandro Magno, il quale riteneva che in natura tutto fosse soggetto a cambiamenti. Il primo alchimista conosciuto per nome fu Bolos di Mendes, detto anche Democrito, vissuto nei pressi di Alessandria d’Egitto nel 250 a.C. circa. Alcuni degli scritti di Democrito esistono ancora e furono scoperti in Egitto nel 1828. Vi sono descritti vari metodi per creare imitazioni dell’oro. Altri primitivi esperimenti sono descritti in un’enciclopedia sull’alchimia scritta da Zosimo intorno al 300 d.C. di cui esistono ancora alcuni framIn basso a sinistra, alchimista che prepara gli ingredienti mentre un aiutante separa “la terra dal fuoco e lo spesso dal sottile”, miniatura del XV secolo. Londra, British Museum. Sotto, l’alchimista arabo Senior Zadith consulta una tavoletta. I due giovani additano il vaso all’interno del quale giace un liquido aureo; miniatura dell’Aurora consurgens, XIV secolo. UNITÀ L’ISLAM Un bagno alchemico o “bagnomaria”. Il nome sembra provenire da Maria l’Ebrea, famosa alchimista. tornavano dalle loro battaglie contro i musulmani. Il primo a tradurre un testo sull’alchimia dall’arabo al latino fu Robert di Chester nel 1144 e così le opere di Jabir ibn-Hayyan vennero lette avidamente dai filosofi-scienziati medievali. Improvvisamente un nuovo fervore scientifico si diffuse in tutta Europa: era veramente possibile, come sostenevano gli antichi, acquisire grandi ricchezze grazie alla trasmutazione? La ricerca era in corso ed era destinata a durare per secoli. Gli alchimisti chiamano Grande Opera l’insieme delle operazioni necessarie alla trasmutazione. Quante e quali siano tali operazioni e in quale successione debbano svolgersi è un mistero gelosamente conservato. I manoscritti alchemici sono ricchi di immagini dedicate ai vari tipi di athanor (i forni alchemici) e di alambicchi. L’athanor viene spesso raffigurato come una specie di piccola torre in mattoni a due o più piani. Dalle aperture inferiori si introduceva il combustibile e si sorvegliava il fuoco. Sul tetto del forno era posto uno strato di cenere nel quale veniva parzialmente immerso il recipiente al cui interno era collocata la sostanza da lavorare. Il recipiente era di terracotta dotato di coperchio metallico; più tardi si adoperò un contenitore di vetro sigillato che gli alchimisti chiamavano Uovo filosofale. I prodotti finali della Grande Opera erano l’elisir di lunga vita e la Pietra filosofale. L’elisir era una pozione magica capace di far scorrere il tempo all’indietro o di rendere immortali. La Pietra filosofale poteva regalare al suo fortunato possessore ricchezze illimitate: era una polvere giallina, rossa o grigiastra che posta in una pallina di cera e gettata in un crogiolo contenente il piombo, trasformava il metallo in oro e argento. Fonte: adattato da R.Jackson, Alchimisti, Fabbri editori, Milano e da A. De Pascalis, L’arte dorata. Storia illustrata dell’alchimia, L’Airone, Roma 1995. COMPRENSIONE Contesto • Qual è il significato della parola “alchimia”? • Su quale principio teorico si fondava questa arte? • Che cosa si intende per “Grande Opera”? • Perché Diocleziano ordinò la distruzione di numerosi scritti alchemici? • Dopo una fase di stasi, per merito di chi e quando l’arte dell’alchimia riacquistò interesse? • In che periodo gli Arabi iniziarono la loro espansione verso l’impero bizantino? • Perché la conquista di territori bizantini da parte degli Arabi favorì la cultura? • Quali settori delle scienze interessarono gli Arabi? • Che cosa ha ereditato la cultura occidentale dal mondo arabo? 139 LABORATORIO Testo DOCUMENTI e STORIOGRAFIA menti. Dai suoi scritti si desume tra l’altro che gli alchimisti non erano tutti uomini. È citata infatti una donna di nome Cleopatra (da non confondere con la famosa regina egizia) che praticava l’alchimia e anche un’altra donna misteriosa, nota come Maria l’Ebrea, che inventò vari utensili, alcuni dei quali usati ancora oggi. La cottura detta “a bagnomaria” ad esempio (un tipo di cottura che prevede due pentole) sembra che prenda nome proprio da lei. Dopo la conquista dell’Egitto da parte dei Romani, gli alchimisti, che si erano diffusi ad Alessandria così come altrove, furono costretti a nascondersi. I Romani si preoccuparono che l’oro alchemico potesse essere usato per finanziare fazioni rivoluzionarie e quando nel 296 d.C., scoppiò una ribellione in Egitto, l’imperatore Diocleziano ordinò la distruzione di 290 scritti che trattavano la produzione di oro e argento con metodi alchemici. L’arte dell’alchimia entrò in una fase di stasi fino al 642, quando gli Arabi liberarono Alessandria dall’egemonia bizantina. Essi si interessarono subito all’alchimia e tradussero dal greco all’arabo molti dei testi esistenti. L’alchimista arabo più famoso di questo periodo fu Jabir ibn-Hayyan, che operava alla corte del califfo delle Mille e una notte. Durante l’XI e il XII secolo l’alchimia raggiunse l’Europa con i crociati che 10