I racconti mesopotamici del Diluvio L`Epopea di Gilgamesh Feci

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I racconti mesopotamici del Diluvio
L’Epopea di Gilgamesh
Feci imbarcare nel vascello tutta la mia famiglia e i miei amici,
Gli animali del campo, il bestiame del campo, gli artigiani, tutti li feci imbarcare.
Entrai nel vascello e chiusi la porta...
Dalle radici del cielo una nera nuvola si levò...
Tutto ciò che luceva divenne oscuro...
Gli dei temevano il Diluvio,
essi fuggirono, salirono fino al cielo di Anu,
gli dei si raggomitolarono come un cane contro il muro, e si stesero a terra...
Per sei notti e giorni
vento e acque avanzarono, l’uragano s’impadronì della terra.
Quando l’alba del settimo giorno si levò,
l’uragano si era calmato, e così le onde
Che avevano fatto guerra come un esercito.
Il mare si placò, il vento sottile fu calmato, il Diluvio cessò.
Osservai il mare, la sua voce taceva,
e tutto il genere umano era mutato in fango!
La palude raggiungeva i tetti!
Osservai il mondo, la distesa del mare,
A dodici misure emergeva un’isola;
fino al Monte Nisir arrivò il vascello,
il Monte Nisir trattenne il vascello e non lo fece più muovere...
Quando sorse il settimo giorno,
presi una colomba e la liberai;
andò la colomba, e tornò.
Mandai una rondine e tornò;
non vi era più luogo e tornò.
Presi un corvo e lo liberai;
andò il corvo, e osservò le acque che scendevano;
mangia, sguazza, gracchia e non torna.
Epopea di Gilgamesh: Poema epico assiro-babilonese, scritto in caratteri cuneiformi su
tavolette d’argilla nel III-II millennio a.C. Prende nome dal protagonista, il re
babilonese di Uruk (Erech nella Bibbia, attualmente Warka in Iraq), l’eroe che con il
compagno Enkidu affronta avventure di ogni genere, alla ricerca del segreto
dell’immortalità. Per conoscere tale segreto Gilgamesh si rivolge al saggio
Utnapishtim, scampato al Diluvio universale; questi gli narra la storia del Diluvio e
infine gli rivela che in fondo al mare esiste la pianta dell’eterna giovinezza. Gilgamesh
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riesce a raggiungerla ma la perde per colpa di un serpente; torna allora a Uruk dove
terminerà i suoi giorni, avendo ormai compreso che l’immortalità appartiene solo agli
dei e non spetta agli uomini. Nel poema compaiono molte affinità con i testi biblici e
con l’epica classica; si pensa che alcuni temi fossero largamente diffusi nel mondo
antico, e che la loro attestazione testimoni rapporti culturali fra i popoli, altrimenti
non documentati (Enciclopedia Microsoft Encarta, 1993-1997, Microsoft Corporation. Tutti i diritti riservati).
Il racconto babilonese del Diluvio
Il Poema di Atrahasis o del Grande Saggio fu scritto in accadico nel XVII secolo
avanti Cristo, ma risale per molte parti a testi e tradizioni sumere. Nel poema vengono
affrontati i temi della creazione dell’uomo (impasto di argilla con carne e sangue di un
dio immolato), del suo compito nell’universo (continuare l’opera degli dei inferiori) e
del problema della sovrappopolazione (epidemie, carestie e Diluvio universale). Il testo
originale è stato rinvenuto nella Biblioteca di Assurbanipal (668-627 a.C.); Località:
Mesopotamia - Babilonia. Epoca: Composto nel periodo 1646-1626 a.C.- durante il
regno di Ammisaduqa, quarto successore di Hammurabi - sulla base di antichi testi e
tradizioni sumeriche e accadiche
Enlil convoca allora una nuova assemblea per risolvere una volta per tutte la
controversia e inizia il suo intervento ricordando come i suoi ordini sono stati
scherniti da Adad e da Enki. Enki scoppia a ridere. Enlil, sempre insonne, riprende per
l’ennesima volta le sue accuse verso Enki e l’umanità. Poi annuncia il Diluvio universale
per sterminare tutta la popolazione. Enki si oppone al Diluvio: perchè mai devono
essere sterminati gli uomini, creati per sollevare gli dei dalle loro fatiche, e fatti con
la carne e il sangue di un dio immolato? Ma il parere di Enlil prevale. L’assemblea
decide il Diluvio, che sarà eseguito dallo stesso Enlil, dio del cielo. Gli altri dei vengono
impegnati da un giuramento a non intervenire a favore degli uomini.
Il Grande Saggio, devoto di Enki, ha un sogno durante il quale riceve da Enki l’ordine di
costruire una grande barca molto resistente e di abbandonare la sua casa e i suo beni
allo scopo di salvare la sua vita. Il Grande Saggio inventa una scusa per giustificare il
suo strano comportamento con i maggiorenti della città dove abita. Annuncia di voler
abbandonare la città per abbandonare il territorio di Enlil, ostile ad Enki, a cui è
devoto.
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Sulla barca vennero caricati: oro, argento, animali di ogni tipo, i famigliari del Grande
Saggio. Poi il tempo cambiò, allora il Grande Saggio chiuse il boccaporto con bitume, si
levò un vento impetuoso e vennero rotti gli ormeggi. Il Diluvio aveva avuto inizio. Il
sole scomparve, il vento ululava, la tempesta colpiva la terra, le genti morivano. Il
fragore atterriva anche gli dei. Enki era stravolto nel vedere i suo figli travolti. Beletili era in singhiozzi, gemeva e piangeva. E con lei piangevano gli altri dei, le labbra
secche per l’angoscia.
Il Diluvio continuò per sette giorni. Poi ebbe termine. La barca si arenò sulla cima di un
monte. Il Grande Saggio liberò degli uccelli per vedere se poteva sbarcare, poi scese a
terra e fece un pasto per gli dei, che sentito il buon odore si radunarono intorno al
banchetto come mosche. Quando Enlil vide la barca si arrabbiò moltissimo e accusò gli
altri dei di aver tradito il giuramento. Enki venne immediatamente sospettato.
Confessò e si assunse ogni responsabilità. Spiegò i motivi del suo comportamento e
covinse gli altri dei che decisero anche di concedere l’immortalità al Grande Saggio,
sopravvissuto al diluvio.
Lo storico e sacerdote babilonese Beroso scrisse che il superstite del Diluvio fu
Xisuthros (Zisudra, in babilonese), ritenuto l’ultimo re dinastico prima del cataclisma.
Xisuthros fu preavvertito dal dio Cronos che gli ordinò di costruire una grossa
imbarcazione e di portarvi la famiglia, gli amici, gli animali e le provviste. Con la
lodevole considerazione dello storico per gli archivi, Beroso precisa che Cronos disse a
Xisuthros di raccogliere tutte le documentazioni del tempo e di seppellirle nella città
di Sippara. Quando il Diluvio finì la famiglia reale si recò a Sippara e le recuperò.
Secondo un’altra versione assiro-babilonese il sopravvissuto fu Ubaratutu o
Khasistrata e la lunghezza della nave era di seicento cubiti, con larghezza e un’altezza
di sessanta. Queste dimensioni enormi sono probabilmente da imputare al sistema di
calcolo babilonese, basato su multipli di sei.
Un’altra versione attribuisce all’Arca le dimensioni mostruose di cinque stadi di
lunghezza e cinque di larghezza. La versione mesopotamica usa alternativamente i
nomi di Ubaratutu, Khasistrata, Xisuthros o Baisbarata per il protagonista, e alcune
leggende specificano che la deposizione dell’Arca avvenne sul Monte Nisir, mentre
un’altra indica le montagne Gordiene di Urartu (Armenia). Quest’ultima coinciderebbe
con la teoria dell’Arca arenata sull’Ararat, dato che questo era la montagna più
importante e più alta dell’Armenia, che anticamente era chiamata Urartu.
Non sembra che esistano legami linguistici tra i nomi dei sopravvissuti con quello di
Noè: nell’Epopea di Gilgamesh si tratta di Utnapishtim; in altre leggende babilonesi il
nome è Ubaratutu, Khasistrata, Xisuthros o Baisbarata; in quelle dell’Iran antico è
Yima; nelle leggende greco-romane è Deucalione; nella mitologia indù è Baisbasbata. In
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Egitto, patria di una delle più antiche civiltà, non esiste invece alcuna traccia di una
vera tradizione sul Diluvio nella letteratura, mitologia o cronologia.
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