La numerologia babilonese I Babilonesi ereditarono dai Sumeri il culto dei numeri divinizzati, che erano 10, 12, 15, 20, 30, 40, 50 e 60. Quest’ultimo, detto Anu (o Abu), era considerato il padre degli dei, e da esso derivavano tutte le altre divinità, che corrispondono alle sue parti frazionarie. Il numero 50 (5/6) era Enlil, il “dio sulla montagna”, speciale guardiano dell’umanità; il numero 40 era chiamato Ea, il “dio delle acque dolci” ed organizzatore della terra; il numero 30 (1/2) era Sin, la Luna, ed il numero 20 (1/3) Shamash, il Sole; il numero 15 (1/4) aveva nome Ishtar, e rappresentava la donna come vergine, moglie o padrona di tutti; il numero 12 (1/5) era impersonato da Nergal, il dio degli inferi; il numero 10 (1/6), infine, era detto Bel: si trattava di una divinità minore, che però, col passare dei millenni, finì per prendere il posto di Enlil. Da lui trassero origine le figure bibliche del (falso) dio Baal (Antico Testamento, Primo e Secondo Libro dei Re) e di Belzebù (Nuovo Testamento), principe dei demoni. Il misticismo dei numeri in Mesopotamia rifletteva pienamente la predilezione di Sumeri e Babilonesi per il numero 60, che era alla base dei loro sistemi di numerazione. Un’analoga fusione di religione ed aritmetica si ritroverà, decine di secoli più tardi, nella scuola di Pitagora.