Teoria generale del diritto: Dispensa per gli studenti a.a. 2006-2007 Operatore Informatico-giuridico Prof.ssa Annalisa Verza DAL GIUSNATURALISMO AL DOPO-HART: UN PERCORSO IN 7 TAPPE Sinossi: 1) Il giusnaturalismo antico e moderno 2) La relatività del diritto: G. Vico e Ch. Montesquieu 3) Il diritto come prodotto dello spirito del popolo: Savigny 4) Il diritto come comando del sovrano: il giuspositivismo 5) Il realismo giuridico 6) H.L.A. Hart 7) Una Teoria della Giustizia: John Rawls. 1° TAPPA: IL GIUSNATURALISMO ANTICO E MODERNO E’ una delle concezioni del diritto più antiche. L’idea di fondo è che esistano dei criteri immutabili ed eterni di giustizia, principi “naturali” e dunque non scritti e non “emanati” da un sovrano ma precedenti alla costituzione dell’autorità. Esistono tre varianti: il giusnaturalismo volontaristico (questi principi derivano dalla volontà di Dio, la quale può anche far sì che ciò che oggi è male diventi bene e viceversa, es. Guglielmo da Occam) il giusnaturalismo naturalistico (questi principi si riscontrano nella natura e nelle sue leggi, es. Baruch Spinoza) il giusnaturalismo razionalistico (questi principi di origine divina sono razionali, non volontaristici, e possono dunque essere colti dalla ragione umana, es. S. Tommaso D’Aquino). Per il giusnaturalismo il vero diritto, quello a cui bisogna obbedire, è quello conforme ai principi naturali. Se il diritto emanato dal sovrano contrasta con il diritto naturale, esso non si può nemmeno definire “diritto” ma, come scriveva S. Tommaso, “corruptio legis” (corruzione della legge). Si ricordi la tragedia Antigone di Sofocle, dove la protagonista, combattuta tra l’obbedienza all’editto del re Creonte e l’obbedienza alle “leggi non scritte” che imponevano di seppellire il fratello morto, ha scelto le seconde. Il giusnaturalismo ha conosciuto un momento di particolare importanza nell’epoca moderna (giusnaturalismo moderno contrattualista). Tipico del giusnaturalismo di quest’epoca è il tema del contratto sociale, teso a spiegare perché – a partire dagli interessi dei consociati, non da quello del sovrano – sia razionale passare da uno stato di natura (condizione pre-sociale, nella quali i singoli sono dotati solo dei diritti naturali innati, non scritti né tutelati dalla forza di un potere sovrano) alla formazione della società e del potere sovrano. ۞ Thomas Hobbes (Il Leviatano 1642, De Cive 1651) Stato assoluto John Locke (Secondo trattato sul governo, 1690) Stato liberale Stato di natura Contratto sociale Riferimenti storia inglese Natura umana: aggressiva. Diritto naturale: il generalissimo diritto di tutti a tutto. Di conseguenza: GUERRA, pericolo di perdere la vita (homo homini lupus) Pactum subjectionis (sottomissione ad un sovrano assoluto, che assorbe i diritti naturali di cui ognuno si spoglia in suo favore). Col sovrano (autorità) nasce il vero diritto e la legge Pactum unionis e subjectionis Si crea la società, e ad un sovrano vengono attribuiti i diritti strumentali di ognuno, perché egli possa garantire i diritti alla vita, libertà e proprietà. Quindi il sovrano: a) non è assoluto: deve rispettare i diritti naturali che permangono in capo ai singoli; b) se non li rispetta, può essere destituito (“appeal to Heaven”, diritto di resistenza); c) il potere legislativo ed esecutivo sono separati. Dopo il 1603, estinta la dinastia Tudor con Elisabetta I, salgono al potere gli Stuart assolutistici che non rispettano la Magna Charta Natura umana: egoista ma pacifica. Diritti naturali: alla vita, alla libertà e alla proprietà, + diritti “strumentali” a offendere e difendere i propri diritti naturali. Di conseguenza: i diritti naturali ci sono, ma non sono garantiti. Questi diritti sono il nucleo da cui si sviluppa la concezione dei diritti civili (libertà da) che troviamo nelle nostre Costituzioni liberalidemocratiche (es. artt. 2, 8, 1319, 21, 24, 33 Cost.) 1688 Glorious Revolution (cacciata degli Stuart). 1689 la corona va a Guglielmo d’Orange che accetta di rispettare il Bill of Rights. Jean-Jacques Rousseau (Il contratto sociale, 1762) Stato democratico Natura umana: socievole e innocente. Né egoismo né aggressività. Diritto naturale: uguaglianza. PERO’: con l’introduzione della proprietà la corruzione è entrata nella storia e l’uguaglianza è andata perduta. Il diritto di uguaglianza nella concezione di Rousseau è il nucleo da cui si sviluppa la concezione dei diritti politici (libertà di) che troviamo nelle nostre Costituzioni liberalidemocratiche (es artt. 48, 50, 51 Cost.). In seguito, in relazione alla dottrina marxiana, nascerà una 3° generazione di diritti, quelli sociali (libertà dal bisogno), es. artt. 4, 32, 34, 36, 38 Cost. Ripristino dell’uguaglianza. Solo pactum unionis, non subjectionis: il potere non si delega. Democrazia diretta: coincidenza di governanti e governati. Concetto di “volonté generale”: non la somma delle volontà individuali ma la volontà di tutti (dissenso = errore). Popolo come “corpo morale collettivo”. Rivoluzione francese 1789. Democrazia. 2° TAPPA: LA RELATIVITA’ DEL DIRITTO (VICO E MONTESQUIEU) Relatività del diritto nel tempo (Vico) e nello spazio (Montesquieu). Giambattista Vico Giambattista Vico (La scienza nuova, 1730) espresse tra la fine del XVII secolo e l’inizio del seguente una visione relativistica del diritto naturale basata sull’importanza della storia. La storia, cioè tutto ciò che è stato concretamente fatto dall’uomo, è la sola cosa che può essere studiata e conosciuta. E come essa “corre in tempo”, così anche il diritto scivola in avanti e cambia forma, mutando nei diverso stadi di sviluppo della natura umana, dominata prima dalle passioni, poi dalla forza e poi dalla ragione. Ad ogni caratterizzazione della natura umana corrisponde una certa concezione del diritto naturale: per questo esso cambia, pur restando naturale. La storia conosce corsi e ricorsi. Metodi di studio originali: riferimenti al linguaggio, alle leggende, alla storiografia e alla produzione culturale della classicità. Tre epoche: Epoca degli dei Caratteristiche della natura umana: fierezza e passioni primitive, fantasia, natura poetica. Timore degli dei. Epoca degli eroi Caratteristiche della natura umana: nobiltà naturale, disprezzo del volgo; il nobile è capace di frenare le passioni. Diritto naturale divino: tutto decidono gli dei. Diritto naturale eroico: la base è la forza, mitigata dalla religione o da leggi, se ci sono. Governo divino: il diritto naturale si coglie con oracoli, sogni. Governo teocratico, patriarcato. Governo eroico: distinzione pochi (nobili)-molti (volgo). Il nobile interpreta il diritto naturale. Giurisprudenza: cerimonie simboliche e magiche. Giurisprudenza: formule rigide e solenni. Epoca degli uomini Caratteristiche della natura umana: ragione, coscienza, senso del dovere. La ragione dimostra l’uguaglianza delle persone. Diritto naturale umano: ragione e uguaglianza naturale di tutti gli uomini. Governo umano: uguaglianza e ragione sono meglio espresse nella forma della repubblica, o della monarchia che tutti eguaglia. Giurisprudenza: fondata su ragione, perizia e analisi dei fatti. Charles de Secondat, barone di Montesquieu Charles de Secondat, barone di Montesquieu (Lo spirito delle leggi, 1748), osserva durante un viaggio in Inghilterra la struttura della divisione del potere che, là frutto di esperienza storica, nella sua opera diviene oggetto di teorizzazione. Concezione della fragilità dell’uomo e della sua inevitabile attitudine ad abusare del potere → “che il potere stesso freni il potere!”. Necessità dunque di una divisione, sia della titolarità che della gestione dei 3 poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario. Ma la relativizzazione del diritto attiene ad un’altra caratteristica della sua opera. Montesquieu, utilizzando relazioni di viaggi, statistiche e notizie storiche, compie nell’Ésprit des lois un’analisi dei differenti substrati storico-ambientale di diversi paesi del mondo (analizzando fattori come il clima, la fertilità del suolo, la vicinanza al mare, il tipo di economia, ecc.), e a queste caratteristiche lega le relative tipologie di diritto, in quanto ADATTE alle diverse situazioni. Così, Montesquieu supera sia l’idea di stato di natura che quella di immutabilità del diritto naturale: già nel titolo della sua opera troviamo un riferimento non al diritto (al singolare) ma alle leggi (al plurale). La parola “spirito”, nel titolo dell’opera, riferita all’insieme di fattori che rendono unica ogni situazione socio-ambientale, riecheggia un concetto che nel romanticismo diventerà centrale: quello di “spirito del popolo”. 3° TAPPA: IL DIRITTO COME PRODOTTO DELLO SPIRITO DEL POPOLO: SAVIGNY Friedrich Carl von Savigny fu il padre della scuola storia del diritto che nacque in Germania all’inizio dell’800. L’epoca è quella del Romanticismo, senso della storia e delle tradizioni che rendono ogni popolo unico → il diritto, come il folklore e il linguaggio, è visto come un insieme di regole prodotte spontaneamente dalla società, e rispecchianti l’identità della società, il Volkgeist (spirito del popolo). Esso è dunque in primo luogo elemento politico, prodotto dal popolo. Solo in un secondo momento esso si tecnicizza (elemento tecnico) ad opera dei giuristi. Esiste dunque nel diritto un elemento politico ed un elemento tecnico (questo ultimo elemento sarà quello fondamentale per la Giurisprudenza dei Concetti tedesca). In “Sulla vocazione del nostro tempo per la giurisprudenza” (1814) Savigny respinge la proposta di Thibaut di realizzare una codificazione del diritto civile tedesco (allora coacervo di diritto giustinianeo e diritto statale), sostenendo che un codice così formato sarebbe artificiale, ben lontano dal diritto prodotto genuinamente dal popolo, e sarebbe inoltre bloccato nella sua spontanea evoluzione. Invece della codificazione propone una teoria generale del diritto forte e sviluppata, capace di formulare concetti generali applicabili ai diversi sistemi giuridici tedeschi. 4° TAPPA: IL DIRITTO COME COMANDO DEL SOVRANO. IL GIUSPOSITIVISMO Il giuspositivismo è la concezione del diritto che esclude l’esistenza del diritto naturale e considera come diritto solamente quello “posto”, formulato concretamente. Nell’ambito del giuspositivismo distinguiamo 3 scuole e 3 ambiti culturali: inglese, tedesco e francese. 4.A – INGHILTERRA In Inghilterra, Hobbes può essere considerato come un anello di congiunzione tra giusnaturalismo e giuspositivismo (per Hobbes, infatti, prima del pactum subjectionis il diritto naturale è troppo vago e produce solo guerra: dopo l’istituzione del sovrano invece il diritto è ciò che egli comanda). Dopo Hobbes possiamo ricordare Jeremy Bentham e l’analytical jurisprudence: Jeremy Bentham visse tra il 1748 e il 1832. Fu esponente della tradizione empirista inglese, e, sulla scia di Hobbes, concepì il diritto in chiave imperativistica, come il comando del sovrano. A differenza che nella concezione di Savigny, dunque, per Bentham il diritto non “segue” la società ma la “guida”, dettando le norme di condotta legate alla volontà del sovrano. Per questa ragione è bene: - che il diritto sia codificato, cosa che aumenterebbe la certezza dei cittadini riguardo alle possibili conseguenze delle loro azioni; - che il sovrano segua, nello scegliere le leggi, un criterio di giustizia e non l’arbitrio. Coerentemente con l’empirismo di fondo della sua dottrina, anche il criterio di giustizia proposto da Bentham ha valenza empirica: è quello dell’utilità. La legge giusta è cioè quella, tra le tante possibili, che realizza il maggior benessere aggregato nella società. Per Bentham dunque è necessario separare le due questioni: cosa sia il diritto (questione descrittiva, oggetto dunque della “expository jurisprudence”) e se il diritto esistente sia buono o possa essere migliorato (questione valutativa, oggetto dunque della “censorial jurisprudence”). Questa divisione rispetta la “legge di Hume” per cui non si può ricavare un’affermazione valutativa a partire da premesse solo descrittive. Allievo di Bentham fu John Austin che espanse e ridefinì la dottrina imperativistica nell’opera “The Province of Jurisprudence Determined”, la quale influenzò in maniera determinante la cultura giuridica anglosassone. Dal punto di vista metodologico Bentham e Austin sono i primi esponenti della scuola analitica inglese, per la quale uno strumento indispensabile per comprendere la realtà giuridica è l’analisi del linguaggio, sia profano che specialistico. 4.B – GERMANIA In Germania la scuola storica del diritto accentuò presto il suo carattere tecnicistico dimenticando la sua origine storico-romantica e acquisendo un carattere spiccatamente formalistico. La Giurisprudenza dei concetti, il prodotto di quest’evoluzione, finì infatti per occuparsi solo delle norme formalmente valide emanate dal sovrano (visto come rappresentante della coscienza del popolo). Secondo questa corrente, il compito della scienza giuridica era quello di classificare per via razionalistico-deduttiva le norme positive, ottenendo così un sistema unico, coerente e completo (senza antinomie e senza lacune), dotato di una sua logica interna e autosufficiente. Condizione di esistenza delle norme in tale sistema non era la loro efficacia di fatto, ma la loro validità giuridica. Per questa via si arrivò poi fino al giuspositivismo di Hans Kelsen e alla sua netta contrapposizione tra mondo del dover essere, dove si situa la logica del diritto, e mondo dell’essere, ad essa estraneo. Tanto netta è tale separazione nella concezione kelseniana, che egli si dedicò ad uno studio del diritto come fenomeno tanto staccato dal mondo dell’essere da potersi definire “puro” (La dottrina pura del diritto, 1934). Hans Kelsen parte dal presupposto di una divisione ontologica tra - mondo dell’essere (Sein), dominato dalla legge di causalità (il müssen deterministico e necessitato proprio delle leggi fisiche e biologiche per cui se x → y, per es. “se inciampo cado”), e - mondo del dover essere (Sollen) proprio delle norme di condotta umana come quelle giuridiche e morali, che hanno come sfondo la libertà (il wollen), esprimibili con la formula se x → deve essere y (rapporto di imputazione, per es. “se qualcuno ruba deve essere punito”). Per Kelsen le norme del sollen possono essere legate tra loro in modo da formare un sistema in 2 modi. Il primo è quello tipico degli ordinamenti statici, caratteristici della morale, che contengono solo norme di condotta legate tra di loro per ragioni contenutistiche, ovvero in ragione di ciò che prescrivono. Il secondo è quello proprio degli ordinamenti dinamici, caratteristici del diritto, che contengono oltre alle norme di condotta anche norme di competenza che stabiliscono le condizioni necessarie per l’emanazione di nuove norme valide. In questi ordinamenti le norme sono legate per il fatto di essere state emanate, in ossequio alle norme superiori di competenza, dal soggetto autorizzato e secondo le procedure previste. Ogni norma è cioè valida se emanata in conformità a quanto previsto nella norma superiore, la quale a sua volta è valida se emanata in modo conforme a quando previsto nella norma superiore, ecc. In questo modo si viene a creare una sorta di piramide a gradoni – uno stufenbau – che raggiunge il suo apice in una norma ultima, la quale conferisce validità all’intero ordinamento ma non ricava a sua volta la sua validità da una norma superiore. Se essa non esiste in quanto valida, nemmeno può essere considerata esistente in senso fattuale, altrimenti si ricadrebbe nel Sein e tutta la purezza della teoria kelseniana andrebbe persa. Kelsen allora considera questa norma ultima e fondamentale come elemento che va “presupposto” (Grundnorm = norma fondamentale presupposta), come si presuppone il postulato di un teorema scientifico. Uno dei frutti delle elaborazioni della teoria generale del diritto tedesca fu la teoria dei caratteri differenziali del diritto: 1 Bilateralità (legata alla schematizzazione dei diritti reali, della personalità e di obbligazione, e alla distinzione tra fatti giuridici, atti giuridici (sottocategoria dei fatti giuridici caratterizzata dalla volontarietà della produzione dell’evento a cui il diritto ricollega effetti giuridici) e negozi giuridici (sottocategoria degli atti giuridici caratterizzata, in aggiunta, dalla necessaria volontarietà della produzione degli effetti giuridici in questione). 2 Imperatività (concezione imperativistica del diritto: il diritto è comando e dunque linguaggio prescrittivi). Ma ciò è smentito dalla presenza di norme permissive (che non comandano ma permettono), strumentali (che non impongono obblighi ma conferiscono poteri) e dispositive (che vanno osservate solo se le parti non vogliono altrimenti). Kelsen riformulò dunque l’imperatività intendendola come appartenenza del diritto al mondo del dover essere. 3 Certezza. 4 Astrattezza (delle fattispecie oggetto di normazione). 5 Generalità (dei soggetti destinatari). 6 Coercibilità, cioè sanzionamento. Per la teoria generale del diritto classica le norme primarie sono quelle che impongono un comportamento e le secondarie sono quelle che impongono una sanzione nel caso in cui le primarie non siano osservate. Ma se la coercibilità è caratteristica di tutte le norme, allora anche le secondarie dovrebbero essere affiancate a terziarie che sanzionino la non osservanza delle secondarie, e così via → regresso all’infinito! Kelsen, come visto, per evitare ciò capovolge la definizione e considera primarie le norme del tipo “se x → deve essere applicata la sanzione y”, mentre le norme che impongono di tenere o non tenere il comportamento x diventano le secondarie, ridotte a meri frammenti della norma primaria. Ma in questo modo il senso del diritto cambia: i destinatari delle norme primarie di Kelsen sono i funzionari e i giudici, non più i cittadini, e addirittura il modello di condotta posto dalla norma passa in secondo piano rispetto al sanzionamento. 4.C - FRANCIA In Francia, successivamente alla pubblicazione del Codice napoleonico (1807), si sviluppò la Scuola dell’esegesi. Questa scuola esaltò rispetto alle altre fonti del diritto il valore della legge (legicentrismo) contenuta nel codice, vista, per le sue caratteristiche di generalità ed astrattezza, come baluardo contro il privilegio e il particolarismo giuridico e come fattore di certezza del diritto. Il codice napoleonico era visto come un’unità completa e autosufficiente. Diceva Joseph Bugnet: “Io non conosco il diritto civile: io insegno il codice Napoleone”. Secondo tale scuola lo studio del diritto doveva consistere nello stretto commento del codice napoleonico, secondo l’ordine dei suoi articoli e partizioni interne, con interpretazione strettamente letterale degli stessi. Il giudice dunque doveva limitarsi a dichiarare ciò che era la legge, fungendo da mera “bocca della legge” (in ossequio anche al principio della separazione dei poteri). Lo stato era visto come unica fonte delle leggi, in quanto interprete della “volonté generale”. 5° TAPPA: IL REALISMO GIURIDICO. Nell’ambito del giusrealismo distinguiamo il realismo giuridico americano (ingenuo) da quello scandinavo (normativistico). Realismo americano Nasce per reazione alla diffusione, in USA, del Case Method di Langdell, metodo di studio del diritto che richiedeva la selezione di alcuni casi considerati paradigmatici, a cui veniva dato un valore simile a quello della norma → formalismo anche in USA. Per questa corrente, invece che la Law in Books, utile al massimo come strumento di possibile previsione di ciò che il diritto sarà, è necessario studiare la Law in Action, cioè il diritto applicato nelle aule dei tribunali. La sentenza del giudice non dipende infatti dalle norme soltanto ma anche dai valori dei giudici, dalle loro intuizioni, pregiudizi, elementi vari: scetticismo sulle norme, caduta del mito della certezza del diritto. Il diritto è tale solo in quanto applicato. Roscoe Pound Sullo sfondo, il sistema giuridico americano (la stessa common law è interpretabile diversamente da giudici di stati differenti e poi ancora diversamente dalla Corte Suprema). Autori chiave: il giudice della Corte Suprema Oliver W. Holmes, e Roscoe Pound, per il quale i giudici, dal momento che producendo diritto contribuiscono a plasmare la società (ingegneristica sociale), devono affiancare al loro lavoro una continua analisi sociologica (Sociological Jurisprudence). Realismo scandinavo Per questa corrente il diritto è un fenomeno psichico collettivo consistente nel ritenere che esistano diritti soggettivi e doveri come entità non empiriche. Si tratta dunque di un fenomeno puramente psicologico: fuori dalla mente, nel mondo empirico, non esiste nessun referente reale per qualcosa come un “diritto soggettivo”. Tuttavia questa persuasione, a maggior ragione in quanto condivisa all’interno del gruppo sociale, ha notevole importanza in quanto determina il comportamento sociale degli individui, che osservano le norme. Questa corrente non nega la centralità del concetto di norma, la quale anzi ha importanti conseguenze pragmatiche: piuttosto, nell’area scandinava lo scetticismo è rivolto al fondamento (magico-immaginario) dell’esistenza delle norme. Padre della corrente fu Axel Hägerström (scuola di Uppsala) che, in connessione con i suoi studi sul concetto romano antico di obbligo, affermò che la credenza nel diritto come realtà vincolante deriva dall’antica idea che date parole o rituali possano creare magicamente vincoli e poteri. Altri autori importanti: Karl Olivecrona e Alf Ross. 6° TAPPA: H.L.A. HART H.L.A. Hart è assieme a Kelsen uno dei più importanti teorici del diritto del ‘900. La sua teoria (Il concetto di diritto, 1961) che vede l’ordinamento giuridico come unione di norme primarie imponenti obblighi e secondarie conferenti poteri, concilia elementi di giuspositivismo (la separazione tra diritto e morale, lo studio analitico del diritto), di giusrealismo (per l’importanza data all’effettività dell’accettazione della norma di riconoscimento, chiave di volta della sua costruzione teorica dell’ordinamento giuridico), giusnaturalismo (per il riconoscimento dell’esistenza necessaria nel diritto di un contenuto minimo di diritto naturale, almeno finché le caratteristiche degli uomini e del loro ambiente resteranno le stesse) e di sociologia descrittiva. 7° TAPPA: UNA TEORIA DELLA GIUSTIZIA Riflessione sui rapporti tra libertà ed uguaglianza (da N. Bobbio): ٠ Cosa sono? Libertà: un attributo dell’uomo, anche se ambiguo (libertà da? Libertà di?) Uguaglianza: un tipo di relazione, anche se indeterminato (uguaglianza tra chi? Sotto che aspetto?). Posso dire “X è libero”, ma non “X è uguale” senza ulteriori riferimenti. Liberalismo (Locke) individualista; egualitarismo (Rousseau, Marx) collettivista. ٠ Sono possibili? Tendenzialmente la massima espansione dell’uno prevede la compressione dell’altro. E’ possibile che tutti siano liberi ma in maniera disuguale, o che tutti siano ugualmente oppressi e non liberi. Una conciliazione si ha nel concetto di democrazia (uguale libertà di autogovernarsi). ٠ Sono desiderabili? E’ preferibile l’accoppiata libertà-uguaglianza o quella poteregerarchia? Anche la seconda è desiderabile, se ci si trova dalla parte del potere. Ma mentre è possibile essere TUTTI ugualmente liberi, è logicamente impossibile essere TUTTI potenti e superiori. Allora, se non so in anticipo quale sarà la mia posizione sociale, è razionale che io scelga l’accoppiata libertà-uguaglianza. E’ questa la nuova versione del contratto sociale prevista da John Rawls (Una teoria della giustizia, 1971), per cui i contraenti della futura società dovranno scegliere i principi che la governeranno a partire da una situazione di ignoranza (il “velo di ignoranza”) riguardo alle loro caratteristiche accidentali (essere maschi o femmine, bianchi, gialli, neri, ricchi, poveri, sani, ammalati, ecc). Adottando questa procedura giusta di scelta, ne deriveranno dei principi giusti (massima libertà per tutti compatibile con un’uguale libertà degli altri; differenze socioeconomiche ammesse solo se migliorano la condizione di chi sta peggio nella società), perché selezionati in una condizione che obbliga all’imparzialità.