dal giusnaturalismo al dopo-hart: un percorso in 7 tappe

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Teoria generale del diritto: Dispensa per gli studenti a.a. 2006-2007
Operatore Informatico-giuridico
Prof.ssa Annalisa Verza
DAL GIUSNATURALISMO AL DOPO-HART: UN PERCORSO IN 7 TAPPE
Sinossi:
1) Il giusnaturalismo antico e moderno
2) La relatività del diritto: G. Vico e Ch. Montesquieu
3) Il diritto come prodotto dello spirito del popolo: Savigny
4) Il diritto come comando del sovrano: il giuspositivismo
5) Il realismo giuridico
6) H.L.A. Hart
7) Una Teoria della Giustizia: John Rawls.
1° TAPPA: IL GIUSNATURALISMO ANTICO E MODERNO
E’ una delle concezioni del diritto più antiche. L’idea di fondo è che esistano dei criteri immutabili
ed eterni di giustizia, principi “naturali” e dunque non scritti e non “emanati” da un sovrano ma
precedenti alla costituzione dell’autorità.
Esistono tre varianti:
il giusnaturalismo
volontaristico (questi principi
derivano dalla volontà di Dio,
la quale può anche far sì che
ciò che oggi è male diventi
bene e viceversa, es.
Guglielmo da Occam)
il giusnaturalismo naturalistico
(questi principi si riscontrano
nella natura e nelle sue leggi,
es. Baruch Spinoza)
il giusnaturalismo
razionalistico (questi principi
di origine divina sono razionali,
non volontaristici, e possono
dunque essere colti dalla
ragione umana, es. S.
Tommaso D’Aquino).
Per il giusnaturalismo il vero diritto, quello a cui bisogna obbedire, è quello conforme ai principi
naturali. Se il diritto emanato dal sovrano contrasta con il diritto naturale, esso non si può nemmeno
definire “diritto” ma, come scriveva S. Tommaso, “corruptio legis” (corruzione della legge).
Si ricordi la tragedia Antigone di Sofocle, dove la protagonista, combattuta tra l’obbedienza
all’editto del re Creonte e l’obbedienza alle “leggi non scritte” che imponevano di seppellire il
fratello morto, ha scelto le seconde.
Il giusnaturalismo ha conosciuto un momento di particolare importanza nell’epoca moderna
(giusnaturalismo moderno contrattualista).
Tipico del giusnaturalismo di quest’epoca è il tema del contratto sociale, teso a spiegare perché – a
partire dagli interessi dei consociati, non da quello del sovrano – sia razionale passare da uno stato
di natura (condizione pre-sociale, nella quali i singoli sono dotati solo dei diritti naturali innati, non
scritti né tutelati dalla forza di un potere sovrano) alla formazione della società e del potere sovrano.
۞
Thomas Hobbes
(Il Leviatano 1642, De Cive
1651)
Stato assoluto
John Locke
(Secondo trattato sul governo,
1690)
Stato liberale
Stato di natura
Contratto sociale
Riferimenti
storia inglese
Natura umana: aggressiva.
Diritto naturale: il
generalissimo diritto di tutti a
tutto.
Di conseguenza: GUERRA,
pericolo di perdere la vita
(homo homini lupus)
Pactum
subjectionis
(sottomissione
ad un sovrano
assoluto, che
assorbe i diritti
naturali di cui
ognuno si
spoglia in suo
favore). Col
sovrano
(autorità) nasce
il vero diritto e
la legge
Pactum unionis
e subjectionis
Si crea la
società, e ad un
sovrano vengono
attribuiti i diritti
strumentali di
ognuno, perché
egli possa
garantire i diritti
alla vita, libertà
e proprietà.
Quindi il
sovrano: a) non è
assoluto: deve
rispettare i diritti
naturali che
permangono in
capo ai singoli;
b) se non li
rispetta, può
essere destituito
(“appeal to
Heaven”, diritto
di resistenza); c)
il potere
legislativo ed
esecutivo sono
separati.
Dopo il
1603, estinta
la dinastia
Tudor con
Elisabetta I,
salgono al
potere gli
Stuart
assolutistici
che non
rispettano la
Magna
Charta
Natura umana: egoista ma
pacifica.
Diritti naturali: alla vita, alla
libertà e alla proprietà, + diritti
“strumentali” a offendere e
difendere i propri diritti
naturali.
Di conseguenza: i diritti
naturali ci sono, ma non sono
garantiti.
Questi diritti sono il nucleo da
cui si sviluppa la concezione
dei diritti civili (libertà da) che
troviamo nelle nostre
Costituzioni liberalidemocratiche (es. artt. 2, 8, 1319, 21, 24, 33 Cost.)
1688
Glorious
Revolution
(cacciata
degli Stuart).
1689 la
corona va a
Guglielmo
d’Orange che
accetta di
rispettare il
Bill of
Rights.
Jean-Jacques Rousseau
(Il contratto sociale, 1762)
Stato democratico
Natura umana: socievole e
innocente. Né egoismo né
aggressività.
Diritto naturale: uguaglianza.
PERO’: con l’introduzione
della proprietà la corruzione è
entrata nella storia e
l’uguaglianza è andata perduta.
Il diritto di uguaglianza nella
concezione di Rousseau è il
nucleo da cui si sviluppa la
concezione dei diritti politici
(libertà di) che troviamo nelle
nostre Costituzioni liberalidemocratiche (es artt. 48, 50,
51 Cost.).
In seguito, in relazione alla
dottrina marxiana, nascerà una
3° generazione di diritti, quelli
sociali (libertà dal bisogno), es.
artt. 4, 32, 34, 36, 38 Cost.
Ripristino
dell’uguaglianza.
Solo pactum
unionis, non
subjectionis: il
potere non si
delega.
Democrazia
diretta:
coincidenza di
governanti e
governati.
Concetto di
“volonté
generale”: non
la somma delle
volontà
individuali ma la
volontà di tutti
(dissenso =
errore). Popolo
come “corpo
morale
collettivo”.
Rivoluzione
francese
1789.
Democrazia.
2° TAPPA: LA RELATIVITA’ DEL DIRITTO (VICO E MONTESQUIEU)
Relatività del diritto nel tempo (Vico) e nello spazio (Montesquieu).
Giambattista Vico
Giambattista Vico (La scienza nuova, 1730) espresse tra la fine del XVII
secolo e l’inizio del seguente una visione relativistica del diritto naturale
basata sull’importanza della storia. La storia, cioè tutto ciò che è stato
concretamente fatto dall’uomo, è la sola cosa che può essere studiata e
conosciuta. E come essa “corre in tempo”, così anche il diritto scivola in
avanti e cambia forma, mutando nei diverso stadi di sviluppo della natura
umana, dominata prima dalle passioni, poi dalla forza e poi dalla ragione.
Ad ogni caratterizzazione della natura umana corrisponde una certa
concezione del diritto naturale: per questo esso cambia, pur restando
naturale. La storia conosce corsi e ricorsi.
Metodi di studio originali: riferimenti al linguaggio, alle leggende, alla
storiografia e alla produzione culturale della classicità.
Tre epoche:
Epoca degli dei
Caratteristiche della natura
umana: fierezza e passioni
primitive, fantasia, natura
poetica. Timore degli dei.
Epoca degli eroi
Caratteristiche della natura
umana: nobiltà naturale,
disprezzo del volgo; il nobile è
capace di frenare le passioni.
Diritto naturale divino: tutto
decidono gli dei.
Diritto naturale eroico: la base
è la forza, mitigata dalla
religione o da leggi, se ci sono.
Governo divino: il diritto
naturale si coglie con oracoli,
sogni. Governo teocratico,
patriarcato.
Governo eroico: distinzione
pochi (nobili)-molti (volgo). Il
nobile interpreta il diritto
naturale.
Giurisprudenza: cerimonie
simboliche e magiche.
Giurisprudenza: formule rigide
e solenni.
Epoca degli uomini
Caratteristiche della natura
umana: ragione, coscienza,
senso del dovere. La ragione
dimostra l’uguaglianza delle
persone.
Diritto naturale umano: ragione
e uguaglianza naturale di tutti
gli uomini.
Governo umano: uguaglianza e
ragione sono meglio espresse
nella forma della repubblica, o
della monarchia che tutti
eguaglia.
Giurisprudenza: fondata su
ragione, perizia e analisi dei
fatti.
Charles de Secondat, barone di Montesquieu
Charles de Secondat, barone di Montesquieu (Lo spirito delle
leggi, 1748), osserva durante un viaggio in Inghilterra la struttura
della divisione del potere che, là frutto di esperienza storica, nella sua
opera diviene oggetto di teorizzazione.
Concezione della fragilità dell’uomo e della sua inevitabile attitudine
ad abusare del potere → “che il potere stesso freni il potere!”.
Necessità dunque di una divisione, sia della titolarità che della
gestione dei 3 poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario.
Ma la relativizzazione del diritto attiene ad un’altra caratteristica
della sua opera. Montesquieu, utilizzando relazioni di viaggi,
statistiche e notizie storiche, compie nell’Ésprit des lois un’analisi dei
differenti substrati storico-ambientale di diversi paesi del mondo
(analizzando fattori come il clima, la fertilità del suolo, la vicinanza
al mare, il tipo di economia, ecc.), e a queste caratteristiche lega le
relative tipologie di diritto, in quanto ADATTE alle diverse
situazioni.
Così, Montesquieu supera sia l’idea di stato di natura che quella di
immutabilità del diritto naturale: già nel titolo della sua opera
troviamo un riferimento non al diritto (al singolare) ma alle leggi (al
plurale).
La parola “spirito”, nel titolo dell’opera, riferita all’insieme di fattori
che rendono unica ogni situazione socio-ambientale, riecheggia un
concetto che nel romanticismo diventerà centrale: quello di “spirito
del popolo”.
3° TAPPA: IL DIRITTO COME PRODOTTO DELLO SPIRITO DEL POPOLO: SAVIGNY
Friedrich Carl von Savigny fu il padre della scuola storia del
diritto che nacque in Germania all’inizio dell’800. L’epoca è
quella del Romanticismo, senso della storia e delle tradizioni
che rendono ogni popolo unico → il diritto, come il folklore e
il linguaggio, è visto come un insieme di regole prodotte
spontaneamente dalla società, e rispecchianti l’identità della
società, il Volkgeist (spirito del popolo).
Esso è dunque in primo luogo elemento politico, prodotto dal
popolo. Solo in un secondo momento esso si tecnicizza
(elemento tecnico) ad opera dei giuristi. Esiste dunque nel
diritto un elemento politico ed un elemento tecnico (questo
ultimo elemento sarà quello fondamentale per la
Giurisprudenza dei Concetti tedesca).
In “Sulla vocazione del nostro tempo per la giurisprudenza”
(1814) Savigny respinge la proposta di Thibaut di realizzare
una codificazione del diritto civile tedesco (allora coacervo di
diritto giustinianeo e diritto statale), sostenendo che un codice
così formato sarebbe artificiale, ben lontano dal diritto
prodotto genuinamente dal popolo, e sarebbe inoltre bloccato
nella sua spontanea evoluzione.
Invece della codificazione propone una teoria generale del
diritto forte e sviluppata, capace di formulare concetti generali
applicabili ai diversi sistemi giuridici tedeschi.
4° TAPPA: IL DIRITTO COME COMANDO DEL SOVRANO. IL GIUSPOSITIVISMO
Il giuspositivismo è la concezione del diritto che esclude l’esistenza del diritto naturale e considera
come diritto solamente quello “posto”, formulato concretamente.
Nell’ambito del giuspositivismo distinguiamo 3 scuole e 3 ambiti culturali: inglese, tedesco e
francese.
4.A – INGHILTERRA
In Inghilterra, Hobbes può essere considerato come un anello di congiunzione tra giusnaturalismo e
giuspositivismo (per Hobbes, infatti, prima del pactum subjectionis il diritto naturale è troppo vago
e produce solo guerra: dopo l’istituzione del sovrano invece il diritto è ciò che egli comanda).
Dopo Hobbes possiamo ricordare Jeremy Bentham e l’analytical jurisprudence:
Jeremy Bentham visse tra il 1748 e il 1832. Fu esponente della
tradizione empirista inglese, e, sulla scia di Hobbes, concepì il
diritto in chiave imperativistica, come il comando del sovrano. A
differenza che nella concezione di Savigny, dunque, per Bentham
il diritto non “segue” la società ma la “guida”, dettando le norme
di condotta legate alla volontà del sovrano. Per questa ragione è
bene:
- che il diritto sia codificato, cosa che aumenterebbe la certezza
dei cittadini riguardo alle possibili conseguenze delle loro azioni;
- che il sovrano segua, nello scegliere le leggi, un criterio di
giustizia e non l’arbitrio. Coerentemente con l’empirismo di
fondo della sua dottrina, anche il criterio di giustizia proposto da
Bentham ha valenza empirica: è quello dell’utilità. La legge
giusta è cioè quella, tra le tante possibili, che realizza il maggior
benessere aggregato nella società.
Per Bentham dunque è necessario separare le due questioni: cosa
sia il diritto (questione descrittiva, oggetto dunque della
“expository jurisprudence”) e se il diritto esistente sia buono o
possa essere migliorato (questione valutativa, oggetto dunque
della “censorial jurisprudence”). Questa divisione rispetta la
“legge di Hume” per cui non si può ricavare un’affermazione
valutativa a partire da premesse solo descrittive.
Allievo di Bentham fu John Austin che espanse e ridefinì la
dottrina imperativistica nell’opera “The Province of
Jurisprudence Determined”, la quale influenzò in maniera
determinante la cultura giuridica anglosassone.
Dal punto di vista metodologico Bentham e Austin sono i primi
esponenti della scuola analitica inglese, per la quale uno
strumento indispensabile per comprendere la realtà giuridica è
l’analisi del linguaggio, sia profano che specialistico.
4.B – GERMANIA
In Germania la scuola storica del diritto accentuò presto il suo carattere tecnicistico dimenticando la
sua origine storico-romantica e acquisendo un carattere spiccatamente formalistico. La
Giurisprudenza dei concetti, il prodotto di quest’evoluzione, finì infatti per occuparsi solo delle
norme formalmente valide emanate dal sovrano (visto come rappresentante della coscienza del
popolo). Secondo questa corrente, il compito della scienza giuridica era quello di classificare per via
razionalistico-deduttiva le norme positive, ottenendo così un sistema unico, coerente e completo
(senza antinomie e senza lacune), dotato di una sua logica interna e autosufficiente. Condizione di
esistenza delle norme in tale sistema non era la loro efficacia di fatto, ma la loro validità giuridica.
Per questa via si arrivò poi fino al giuspositivismo di Hans Kelsen e alla sua netta contrapposizione
tra mondo del dover essere, dove si situa la logica del diritto, e mondo dell’essere, ad essa estraneo.
Tanto netta è tale separazione nella concezione kelseniana, che egli si dedicò ad uno studio del
diritto come fenomeno tanto staccato dal mondo dell’essere da potersi definire “puro” (La dottrina
pura del diritto, 1934).
Hans Kelsen parte dal presupposto di una divisione ontologica tra
- mondo dell’essere (Sein), dominato dalla legge di causalità
(il müssen deterministico e necessitato proprio delle leggi
fisiche e biologiche per cui se x → y, per es. “se inciampo
cado”), e
- mondo del dover essere (Sollen) proprio delle norme di
condotta umana come quelle giuridiche e morali, che hanno
come sfondo la libertà (il wollen), esprimibili con la formula
se x → deve essere y (rapporto di imputazione, per es. “se
qualcuno ruba deve essere punito”).
Per Kelsen le norme del sollen possono essere legate tra loro in
modo da formare un sistema in 2 modi.
Il primo è quello tipico degli ordinamenti statici, caratteristici della
morale, che contengono solo norme di condotta legate tra di loro
per ragioni contenutistiche, ovvero in ragione di ciò che
prescrivono.
Il secondo è quello proprio degli ordinamenti dinamici,
caratteristici del diritto, che contengono oltre alle norme di condotta
anche norme di competenza che stabiliscono le condizioni
necessarie per l’emanazione di nuove norme valide. In questi
ordinamenti le norme sono legate per il fatto di essere state
emanate, in ossequio alle norme superiori di competenza, dal
soggetto autorizzato e secondo le procedure previste. Ogni norma è
cioè valida se emanata in conformità a quanto previsto nella norma
superiore, la quale a sua volta è valida se emanata in modo
conforme a quando previsto nella norma superiore, ecc.
In questo modo si viene a creare una sorta di piramide a gradoni –
uno stufenbau – che raggiunge il suo apice in una norma ultima, la
quale conferisce validità all’intero ordinamento ma non ricava a sua
volta la sua validità da una norma superiore.
Se essa non esiste in quanto valida, nemmeno può essere
considerata esistente in senso fattuale, altrimenti si ricadrebbe nel
Sein e tutta la purezza della teoria kelseniana andrebbe persa.
Kelsen allora considera questa norma ultima e fondamentale come
elemento che va “presupposto” (Grundnorm = norma fondamentale
presupposta), come si presuppone il postulato di un teorema
scientifico.
Uno dei frutti delle elaborazioni della teoria generale del diritto tedesca fu la teoria dei caratteri
differenziali del diritto:
1 Bilateralità (legata alla schematizzazione dei diritti reali, della personalità e di obbligazione, e alla
distinzione tra fatti giuridici, atti giuridici (sottocategoria dei fatti giuridici caratterizzata dalla
volontarietà della produzione dell’evento a cui il diritto ricollega effetti giuridici) e negozi giuridici
(sottocategoria degli atti giuridici caratterizzata, in aggiunta, dalla necessaria volontarietà della
produzione degli effetti giuridici in questione).
2 Imperatività (concezione imperativistica del diritto: il diritto è comando e dunque linguaggio
prescrittivi). Ma ciò è smentito dalla presenza di norme permissive (che non comandano ma
permettono), strumentali (che non impongono obblighi ma conferiscono poteri) e dispositive (che
vanno osservate solo se le parti non vogliono altrimenti). Kelsen riformulò dunque l’imperatività
intendendola come appartenenza del diritto al mondo del dover essere.
3 Certezza.
4 Astrattezza (delle fattispecie oggetto di normazione).
5 Generalità (dei soggetti destinatari).
6 Coercibilità, cioè sanzionamento. Per la teoria generale del diritto classica le norme primarie sono
quelle che impongono un comportamento e le secondarie sono quelle che impongono una sanzione
nel caso in cui le primarie non siano osservate. Ma se la coercibilità è caratteristica di tutte le
norme, allora anche le secondarie dovrebbero essere affiancate a terziarie che sanzionino la non
osservanza delle secondarie, e così via → regresso all’infinito!
Kelsen, come visto, per evitare ciò capovolge la definizione e considera primarie le norme del tipo
“se x → deve essere applicata la sanzione y”, mentre le norme che impongono di tenere o non
tenere il comportamento x diventano le secondarie, ridotte a meri frammenti della norma primaria.
Ma in questo modo il senso del diritto cambia: i destinatari delle norme primarie di Kelsen sono i
funzionari e i giudici, non più i cittadini, e addirittura il modello di condotta posto dalla norma
passa in secondo piano rispetto al sanzionamento.
4.C - FRANCIA
In Francia, successivamente alla pubblicazione del Codice napoleonico (1807), si sviluppò la
Scuola dell’esegesi. Questa scuola esaltò rispetto alle altre fonti del diritto il valore della legge
(legicentrismo) contenuta nel codice, vista, per le sue caratteristiche di generalità ed astrattezza,
come baluardo contro il privilegio e il particolarismo giuridico e come fattore di certezza del diritto.
Il codice napoleonico era visto come un’unità completa e autosufficiente. Diceva Joseph Bugnet:
“Io non conosco il diritto civile: io insegno il codice Napoleone”. Secondo tale scuola lo studio del
diritto doveva consistere nello stretto commento del codice napoleonico, secondo l’ordine dei suoi
articoli e partizioni interne, con interpretazione strettamente letterale degli stessi. Il giudice dunque
doveva limitarsi a dichiarare ciò che era la legge, fungendo da mera “bocca della legge” (in
ossequio anche al principio della separazione dei poteri).
Lo stato era visto come unica fonte delle leggi, in quanto interprete della “volonté generale”.
5° TAPPA: IL REALISMO GIURIDICO.
Nell’ambito del giusrealismo distinguiamo il realismo giuridico americano (ingenuo) da quello
scandinavo (normativistico).
Realismo americano
Nasce per reazione alla diffusione, in USA, del Case Method di
Langdell, metodo di studio del diritto che richiedeva la selezione di
alcuni casi considerati paradigmatici, a cui veniva dato un valore simile
a quello della norma → formalismo anche in USA.
Per questa corrente, invece che la Law in Books, utile al massimo come
strumento di possibile previsione di ciò che il diritto sarà, è necessario
studiare la Law in Action, cioè il diritto applicato nelle aule dei
tribunali. La sentenza del giudice non dipende infatti dalle norme
soltanto ma anche dai valori dei giudici, dalle loro intuizioni,
pregiudizi, elementi vari: scetticismo sulle norme, caduta del mito della
certezza del diritto. Il diritto è tale solo in quanto applicato.
Roscoe Pound
Sullo sfondo, il sistema giuridico americano (la stessa common law è
interpretabile diversamente da giudici di stati differenti e poi ancora
diversamente dalla Corte Suprema).
Autori chiave: il giudice della Corte Suprema Oliver W. Holmes, e
Roscoe Pound, per il quale i giudici, dal momento che producendo
diritto contribuiscono a plasmare la società (ingegneristica sociale),
devono affiancare al loro lavoro una continua analisi sociologica
(Sociological Jurisprudence).
Realismo scandinavo
Per questa corrente il diritto è un fenomeno psichico collettivo consistente nel
ritenere che esistano diritti soggettivi e doveri come entità non empiriche. Si
tratta dunque di un fenomeno puramente psicologico: fuori dalla mente, nel
mondo empirico, non esiste nessun referente reale per qualcosa come un “diritto
soggettivo”.
Tuttavia questa persuasione, a maggior ragione in quanto condivisa all’interno
del gruppo sociale, ha notevole importanza in quanto determina il
comportamento sociale degli individui, che osservano le norme.
Questa corrente non nega la centralità del concetto di norma, la quale anzi ha
importanti conseguenze pragmatiche: piuttosto, nell’area scandinava lo
scetticismo è rivolto al fondamento (magico-immaginario) dell’esistenza delle
norme.
Padre della corrente fu Axel Hägerström (scuola di Uppsala) che, in
connessione con i suoi studi sul concetto romano antico di obbligo, affermò che
la credenza nel diritto come realtà vincolante deriva dall’antica idea che date
parole o rituali possano creare magicamente vincoli e poteri. Altri autori
importanti: Karl Olivecrona e Alf Ross.
6° TAPPA: H.L.A. HART
H.L.A. Hart è assieme a Kelsen uno dei più importanti teorici del
diritto del ‘900. La sua teoria (Il concetto di diritto, 1961) che vede
l’ordinamento giuridico come unione di norme primarie imponenti
obblighi e secondarie conferenti poteri, concilia elementi di
giuspositivismo (la separazione tra diritto e morale, lo studio
analitico del diritto), di giusrealismo (per l’importanza data
all’effettività dell’accettazione della norma di riconoscimento,
chiave di volta della sua costruzione teorica dell’ordinamento
giuridico), giusnaturalismo (per il riconoscimento dell’esistenza
necessaria nel diritto di un contenuto minimo di diritto naturale,
almeno finché le caratteristiche degli uomini e del loro ambiente
resteranno le stesse) e di sociologia descrittiva.
7° TAPPA: UNA TEORIA DELLA GIUSTIZIA
Riflessione sui rapporti tra libertà ed uguaglianza (da N.
Bobbio):
٠ Cosa sono?
Libertà: un attributo dell’uomo, anche se ambiguo (libertà da?
Libertà di?)
Uguaglianza: un tipo di relazione, anche se indeterminato
(uguaglianza tra chi? Sotto che aspetto?).
Posso dire “X è libero”, ma non “X è uguale” senza ulteriori
riferimenti.
Liberalismo (Locke) individualista; egualitarismo (Rousseau,
Marx) collettivista.
٠ Sono possibili?
Tendenzialmente la massima espansione dell’uno prevede la
compressione dell’altro. E’ possibile che tutti siano liberi ma in
maniera disuguale, o che tutti siano ugualmente oppressi e non
liberi. Una conciliazione si ha nel concetto di democrazia
(uguale libertà di autogovernarsi).
٠ Sono desiderabili?
E’ preferibile l’accoppiata libertà-uguaglianza o quella poteregerarchia? Anche la seconda è desiderabile, se ci si trova dalla
parte del potere.
Ma mentre è possibile essere TUTTI ugualmente liberi, è
logicamente impossibile essere TUTTI potenti e superiori.
Allora, se non so in anticipo quale sarà la mia posizione sociale,
è razionale che io scelga l’accoppiata libertà-uguaglianza.
E’ questa la nuova versione del contratto sociale prevista da
John Rawls (Una teoria della giustizia, 1971), per cui i
contraenti della futura società dovranno scegliere i principi che
la governeranno a partire da una situazione di ignoranza (il “velo
di ignoranza”) riguardo alle loro caratteristiche accidentali
(essere maschi o femmine, bianchi, gialli, neri, ricchi, poveri,
sani, ammalati, ecc).
Adottando questa procedura giusta di scelta, ne deriveranno dei
principi giusti (massima libertà per tutti compatibile con
un’uguale libertà degli altri; differenze socioeconomiche
ammesse solo se migliorano la condizione di chi sta peggio nella
società), perché selezionati in una condizione che obbliga
all’imparzialità.
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