Il tempo profondo della geologia - Mario Tozzi

Il tempo profondo della geologia
Mario Tozzi
Un calendario per il pianeta Terra
Quanti hanno una nozione esatta di cosa sia il Pleistocene, o il Cretacico, e --soprattutto-- di quando possa essere
collocato in una retrospettiva temporale che raramente si spinge al di là dei natali dei nonni ?
Se c'è un contributo importante che le Scienze della Terra -- la paleontologia in particolare-- hanno dato
all'approfondimento delle conoscenze dell'uomo, anche nel campo della filosofia della scienza, questo sta
nell'ampliamento della dimensione temporale. Il concetto di tempo ha acquistato una prospettiva più corretta da
quando --solo nel XIX secolo-- ci si è cominciati ad avvicinare al valore reale dell'età della Terra. Prima di
Buffon e Hutton la Terra aveva l'età del Diluvio: secondo l'arcivescovo irlandese James Ussher (recentemente
rivalutato) le Sacre Scritture permettevano di stabilire il momento della creazione della Terra a circa 6000 anni
prima. In seguito la vera età della Terra fu solo approssimata, e nemmeno tanto da vicino, se si pensa che Lord
Kelvin la stimò in circa 20-30 milioni di anni --eravamo già nel 1900-- e che una trentina di anni dopo l'inizio
del XX secolo, ci si attestava ancora attorno a valori di qualche centinaio di milioni di anni.
La Terra ha --invece-- oltre 4,5 miliardi di anni, valore che non sembra neppure percettibile dalla mente
dell'uomo, abituato a ragionare in termini di decenni o secoli. Già, quanti sono quattro miliardi e mezzo di anni ?
Per farsene un'idea i geologi usano da sempre lo stesso --peraltro efficace-- paragone: se quei 4500 milioni di
anni fossero resi uguali a un solo anno, ogni secondo varrebbe circa 140 anni e ogni giorno circa 12 milioni di
anni; quindi, se la Terra è “nata” allo scoccare della mezzanotte del primo gennaio, lo scorcio di secolo in cui
viviamo corrisponde alle 24 dell'ultimo giorno di dicembre. La storia dell'uomo, le sue civiltà, le sue produzioni
artistiche, per quanto antiche, non arrivano a coprire più degli ultimi 30 secondi del 31 dicembre, il primo
animale è comparso verso la fine di novembre e, fatto sconcertante, di tutto quest'anno noi conosciamo con un
certo dettaglio --grazie soprattutto alla paleontologia-- soltanto gli ultimi due mesi. Sulla base di una
documentazione frammentaria --quella delle rocce e dei fossili-- i geologi hanno costruito una scala geologica
apparentemente continua, ma non perdono mai di vista la differenza tra il corso uniforme del tempo e la
documentazione irrimediabilmente discontinua su cui viene ricostruito il passato più lontano. I fossili come exvivi sono praticamente l'unica documentazione che abbiamo della biosfera del passato: la paleontologia fra
biologia e geologia consente un raccordo scientifico integrato fra le due aree di ricerca.
La paleontologia ruota tutta intorno al problema dell'età della Terra, alla sua acquisizione e ai metodi di
datazione della storia passata del nostro pianeta. Il problema-base della geologia ha anzi coinvolto studiosi di
aree scientifiche anche molto diverse e la sua soluzione ha permesso di ancorare al progresso scientifico generale
quella che per finanziamento e considerazione pubblica resta a tutt'oggi una specie di Cenerentola nel panorama
culturale e di scolarizzazione non solo italiano. Non è questo il solo aspetto in cui le Scienze della Terra sono
protagoniste di una rivoluzione culturale di portata più ampia rispetto al loro alveo naturale: la "Terra perfetta"
del Creatore subì il primo violentissimo contraccolpo addirittura nel 1669, quando Nicolas Stenon istituì lo strato
(unità-base delle rocce sedimentarie) e stabilì, di conseguenza, che non solo la Terra non è stabile, ma è soggetta
a rivolgimenti di cui ancora era prematura la comprensione.
Il presente è ancora la chiave per comprendere il passato (come recita l’attualismo), ma non in modo
diretto, ci si deve piuttosto orientare verso un'interazione conoscitiva in cui qualche volta è il passato ad aiutarci
a capire meglio il presente. In questo senso eventi improvvisi (le catastrofi) trovano la loro appropriata
collocazione in una storia della Terra caratterizzata da velocità differenti dei processi evolutivi e quindi da
periodi altrettanto importanti di evoluzione rapida e di stasi.
Sono passati molti anni da quando l'età del pianeta è stata determinata con precisione in base all'uso dei
metodi radiometrici (che sfruttano il naturale decadimento di alcuni elementi) e le Scienze della Terra hanno
ormai tutta la dignità e il rigore di discipline anche quantitative. Non dispiace però pensare che i metodi
paleontologici di datazione relativa delle età della Terra hanno ancora un grado di precisione maggiore di quelli
radiometrici.
Utilizzando alcuni metodi semplici, già nei primi anni del XIX secolo la storia della Terra era stata
parzialmente ricostruita con un certo dettaglio, ma non si immaginava neppure quante migliaia di anni fossero
stati realmente necessari per lo sviluppo di una catena montuosa come le Alpi o per l'accumulo di sedimenti in
una zona di delta fluviale delle dimensioni del fiume Niger o del Po. Già i Babilonesi e i Caldei avevano provato
a stabilire una data di "emersione della Terra dal Disordine Primordiale", stimata in cifre variabili da alcune
migliaia a due milioni di anni, anche se non è chiaro fino a che punto potessero essere comprese valutazioni di
questo tipo dai più antichi popoli del nostro pianeta.
Tentativi scientifici per precisare in maniera più circostanziata l'età della Terra furono portati avanti
solo a partire dai primi anni del nostro secolo; fra questi quelli di un chimico irlandese che arrivo' a calcolare
ben novanta milioni di anni sulla base di un metodo del tutto nuovo. Egli aveva supposto che la quantità di sali
scaricati dai fiumi nel mare --e poi disciolti in esso-- non fosse più ceduta alla Terra (cioè che aumentasse
costantemente) e che, quindi, per arrivare al tasso di salinità che si poteva misurare in quel periodo, fossero
occorsi circa novanta milioni di anni. Si è poi visto che questo metodo possiede un certo valore, ma anche molti
limiti: se infatti si prendesse il silicio come sale di esempio, l'età sarebbe di circa ottomila anni; considerando
invece il magnesio questa salirebbe a circa cinquanta milioni di anni. In ogni caso il calcolo era sbagliato, rifatto
oggi il conto di Joly darebbe, comunque, circa 260 milioni di anni.
Questo calcolo parve comunque eccessivo ai contemporanei di Joly che ripresero in esame la questione
considerando altri punti di vista. Tra questi il tentativo più famoso resta quello di Lord Kelvin il quale parti'
dalla considerazione di fondo che l'unica fonte di energia conosciuta dovesse essere quella posseduta dalla Terra
al momento della sua formazione, quando essa aveva le caratteristiche di una sfera infuocata. Teoricamente è
possibile stimare il tasso di raffreddamento di una sfera fusa avente le dimensioni del nostro pianeta tramite
alcuni calcoli relativamente complicati: in base a questi Kelvin stimò l'età della Terra in circa 25 milioni di anni,
ben al di sotto dell'età calcolata da Joly, ma comunque molto al di sopra di quella stimata dai loro predecessori.
Essendo la voce di Lord Kelvin di fatto la più importante nel campo della Fisica per la comunità scientifica di
quel periodo, i suoi calcoli hanno avuto per molto tempo un'autorevolezza fuori discussione, e solo qualcuno osò
controbattere che anche in Fisica si potevano fare degli errori o che potevano esistere fonti di energia
supplementari oltre a quella del primordiale riscaldamento.
La scoperta della radioattività posseduta naturalmente da alcuni minerali che costituiscono le rocce ha
provocato una vera e propria rivoluzione nelle scienze naturali (oltre che in quelle applicate come, per esempio,
nella medicina), smentendo in maniera clamorosa le asserzioni di Lord Kelvin, mostrando che esisteva un'altra
importante fonte di energia e --nello stesso tempo-- fornendo la base per calcolare in via diretta e assoluta il
tempo geologico e , quindi, la data di nascita della Terra. Fu il premio Nobel Pierre Curie a scoprire che alcuni
elementi come il radio non erano stabili nel tempo, ma si disintegravano naturalmente, dando luogo ad altri
elementi quasi uguali, ma con caratteristiche diverse: gli isotopi.
Ora, non tutti gli isotopi sono stabili, cioè mantengono inalterate le loro caratteristiche nel tempo, per
esempio il carbonio 14 (14C) non lo è e viene detto instabile o, più comunemente, radioattivo. Gli isotopi
radioattivi si trasformano spontaneamente in un altro elemento (decadono) o in un altro isotopo: il 14C diventa
azoto, mentre, per esempio, l'uranio si trasforma in piombo. Ogni isotopo ha un tasso di decadimento che è una
sua propria caratteristica costante nel tempo che non puo' essere fatta variare dall'esterno (ossia la sua
trasformazione in un altro elemento procede per tappe ben definite e dipende solo dal tempo che passa). Il
tempo di trasformazione (o di decadimento) è molto variabile per ciascun elemento: dai pochi minuti che sono
necessari ad un isotopo del piombo, ai 4,5 miliardi di anni dell'isotopo 238U dell'uranio. Poiché la radioattività
dipende solamente dal tempo, essa rappresenta un metodo diretto per assegnare un'età alle rocce (in gergo
geologico, datare) ed è estesamente utilizzata per stabilire una cronologia della storia della Terra.
Al giorno d'oggi, la durata del tempo geologico risulta ampliata di molte volte rispetto alle nostre
conoscenze di qualche decennio fa e questo tempo sembra essere sufficientemente in grado di comprendere al
suo interno tutti gli avvenimenti che hanno marcato la storia fisica della Terra. In realtà, pero', le rocce che
costituiscono la crosta terrestre non hanno registrato compiutamente tutti gli avvenimenti, ma, piuttosto, solo
quelli che hanno avuto maggiore importanza e che sono anche, in genere, di più breve durata rispetto ai lunghi
periodi di relativa tranquillità superficiale. La documentazione che abbiamo a disposizione è, quindi, non solo
largamente incompleta, ma anche non obiettiva: come un orologio che continua a segnare l’ora giusta, anche se
si è fermato molte volte, solo perché qualcuno lo rimette correttamente di tanto in tanto.
Nel calendario geologico si distinguono innanzitutto due fasi, l’Archeozoico (“età della vita nascosta”), o
Precambriano (sino a 570 milioni di anni fa) e il Fanerozoico (“età della vita manifesta”, da allora a oggi). Le
prime rocce risalgono appunto all’Archeozoico, hanno 3,8 miliardi di anni e sono state trovate in Groenlandia.
Non ci si aspetta di trovarne altre molto più antiche in quanto solo poco prima la Terra era ancora fusa. Il calore
e la pressione hanno modificato questo rocce in modo tale che che gli eventuali fossili non si sarebbero potuti
conservare. Le prime rocce con fossili risalgono a 3,4-3,2 miliardi di anni fa e contengono le testimonianze
fossili di batteri e alghe, le prime forme di vita. A 700-570 milioni di anni fa risale l’evoluzione dei organismi
multicellulari e con gusci.
A queste distinzione segue quella in ere per cui il Fanerozoico è diviso nelle tre ere paleozoica (o
semplicemente il Paleozoico, durato 350-400 milioni di anni, da 570 a 225 milioni di anni fa), mesozoica (o
Mesozoico, durato 150 circa, da 225 a 65 milioni di anni fa) e cenozoica (o Cenozoico, da 65 milioni di anni fa a
oggi). Le ere, a loro volta, sono divise in periodi, indicati in genere col nome delle località dove stati trovati i
reperti più significativi. Per esempio, il Giurassico deve il suo nome ai rilievi del Giura francese e svizzero
mentre il termine Carbonifero deriva dalle rocce sedimentarie dell’Europa e dell’America settentrionale, ricche
di carbon fossile. I periodi, infine, sono divisi in epoche.
Questa scala dei tempi è stata costruita in base a eventi importanti della vita biologica, per esempio a
grandi estinzioni o proliferazioni, e della storia geologica. Il passaggio dal Precambriano al Paleozoico segna
l’inizio dell’esplosione cambriana, il passaggio dal Paleozoico al Mesozoico l’estinzione permiana e quello tra
Mesozoico e Cenozoico la seconda grande estinzione, quella di dinosauri, rettili volanti, rettili marini giganti e
delle ammoniti. I confini tra periodi, invece, si riferiscono a estinzioni di portata minore, ma non per questo
meno importante così che, per esempio, la maggioranza delle trilobiti morì alla fine del Cambriano.
Questo calendario geologico ha il limite di essere costruito in base ai risultati della documentazione
fornita dalle rocce che sono discontinui a causa del fatto che gli affioramenti rocciosi non possono rappresentare
completamente ogni istante della storia della Terra. In pratica si tratta di una scala continua, come il tempo che
misura, ma basata su una documentazione discontinua, priva di interi lassi di tempo.
Le estinzioni hanno avuto cause generali e cause particolari. Tra le prime, una delle più importanti fu il
fatto che gli organismi che ne rimasero vittima vivevano in aree limitate come accadde, per esempio, a tutte le
forme di nautiloidi, eccetto una che sopravvive ancora, che furono soppiantate dalle ammonniti, altri cefalopodi
casualmente più adatti alle mutate condizioni ambientali. Variazioni climatiche e cambiamenti ambientali su
scala regionale sono due cause generali aggiuntive, ma per avere un qualche effetto devono incidere su ambienti
già frammentati, su cui insistono gruppi molto specializzati. Infine, va tenuta in considerazione la cosiddetta
estinzione di fondo, cioè quella a cui ogni genere è destinato dal momento stesso della sua comparsa. Tra le
cause particolari, invece, possono esserci l'instabilità delle scorte di cibo o la riduzione delle zone di mare poco
profondo, fattori entrambi sostenibili per la crisi permiana. Il fattore decisivo delle estinzioni, comunque, fu
legato alla dinamica della Terra, a prescindere dalla debolezza specifica e dalla successiva comparsa di
organismi più efficienti. I continenti e gli oceani non hanno occupato sempre le attuali posizioni sulla faccia del
pianeta, ma si sono riuniti e suddivisi più volte alla ricerca di equilibri in continua trasformazione. La deriva dei
continenti sembra sia stata una causa determinante per spiegare sia le estinzioni sia le esplosioni demografiche,
più numerose e non meno interessanti, nella storia della Terra prima della comparsa dell'uomo.
Il passato dei continenti
In base ai dati disponibili, anche con l’aiuto di calcolatori elettronici i geologi hanno ricostruito il mosaico delle
placche in passato e immaginato una possibile evoluzione futura.
Le prime formazioni geologiche assimilabili a dei continenti si sono formate circa due miliardi di anni fa. Il
processo iniziò con il raffreddamento e la divisione del materiale caldo iniziale nei tre strati del nucleo, della
crosta e del mantello terrestre dove si formò un sottile strato iniziale di crosta. In seguito, per le tensioni che si
sviluppavano in profondità la parte superiore della litosfera si frammentò in un certo numero di placche che
iniziarono a muoversi. Nel corso di circa 200 milioni di anni, poi, le placche si mossero le une verso le altre sino
a quando i continenti si urtarono formando, circa 300-250 milioni di anni fa, il supercontinente Pangea
circondato dal superoceano Pantalassa, l’oceano Pacifico primordiale. La nascita del supercontinente fu
contraddistinta da collisioni gigantesche che portarono all’innalzamento di intere regioni e alla formazione delle
prime catene montuose. Dalla documentazione delle rocce, si può immaginare che Pangea fosse un ambiente
piuttosto arido, simile ai deserti della odierna Mongolia di oggi.
La Pangea non resistette per molto tempo. Dopo qualche decina di milioni di anni cominciò a scindersi
in placche di aspetto simile a quelle attuali. All’inizio vi fu innalzamento della crosta che divenne subito anche
più calda, in risposta ad un rigonfiamento del mantello sottostante. In seguito la crosta, relativamente fragile, si
ruppe e cominciò a spaccarsi lasciando spazio per la formazione di faglie distensive e bacini dove cominciarono
a collassare grandi blocchi di crosta spaccata. Poi la zona di separazione si allargò e da sotto la crosta cominciò a
risalire materiale magmatico con sviluppo di vulcani e, finalmente, di nuova crosta oceanica che piano piano
prese il posto di quella continentale, mentre al di sopra della nuova crosta il mare invase la fossa in allargamento.
Dopo qualche milione di anni i due margini della fossa si trovavano già distanziati di centinaia di chilometri,
separati da un oceano vero e proprio.
Il processo di rigonfiamento e rottura partì probabilmente da un originario “punto caldo”, o hot-spot,
una zona anomalmente calda e in rilievo in grado di "perforare" la crosta continentale che si trovasse per caso a
passarvi sopra. La Pangea stessa potrebbe essersi disintegrata per l'azione combinata di molti di questi punti
caldi, anche se attualmente gli hot-spots attivi non sembrano dover portare a sviluppi paragonabili a quelli
ipotizzati per il Paleozoico.
Da quel momento il supercontinente si frantumò in masse più piccole anche se più grandi degli antichi
continenti, che sarebbero andate alla deriva fino a raggiungere la situazione attuale. 180 milioni di anni fa, alla
fine del Triassico, dopo 20 milioni di anni di deriva, si formarono due supercontinenti, il Laurasia a nord e il
Gondwana a sud, iniziò l’apertura dell’oceano Atlantico mentre l’oceano Tetide iniziò a espandersi. 135 milioni
di anni fa, verso la fine del Giurassico, dopo 65 milioni di anni di deriva, mentre proseguiva l’allontanamento dei
due blocchi precedenti, l’America del sud si separò dall’Africa, nasceva l’Atlantico meridionale, mentre la
regione dell’India attuale si avvicinava alla sua collocazione odierna. 65 milioni di anni fa, al termine del
Cretacico, dopo 135 milioni di anni di deriva, le due Americhe, già separate si allontanarono progressivamente,
quella del sud dall’Africa e quella del Nord dall’Eurasia, il blocco unitario di Asia ed Europa, mentre si ridusse
la Tetide, i cui resti sono costituiti oggi dall’Adriatico e dal Mediterraneo attuale. L’insieme aveva iniziato ad
assumere l’aspetto attuale. Si formò un lembo di Terra che unisce le due Americhe, e l’India si unì all’Asia
urtando violentemente e determinando la formzazione del gruppo di montagne più alto del mondo, l’Himalaya.
A nord, poi, si staccò definitivamente la Groenlandia.
A tutti questi movimenti ha corrisposto la formazione e lo spostamento di un enorme massa di fondali
oceanici. E’ stato stimato che negli ultimi 130 milioni di anni sia scomparsi per subduzione sotto il continente
americano una superficie estesa quanto quella di gran parte dell’oceano Pacifico, circa 7000 km di fondale dello
stesso oceano.
La nascita della vita
Le più antiche forme di vita sono state rinvenute nelle rocce di circa 3,4-3,2 miliardi di anni fa dell’Africa. Si
tratta di batteri e di organismi unicellulari, per esempio le alghe azzurre, considerate i progenitori più antichi
degli esseri viventi. Il primo riscontro paleontologico di forme di vita organizzata è costituito da rocce calcaree
di origine biologica chiamate stromatoliti, molto comuni nel Precambriano, ma più rare al giorno d’oggi.
Nel corso del Precambriano, la diversificazione dei viventi era limitata e tutti gli animali avevano il
corpo molle. In seguito, nell’arco di 10 milioni di anni, all’inizio del Cambriano comparvero tutti i principali tipi
d’invertebrati con scheletro, e ciò dette avvio alla più grande esplosione e diversificazione registrata sul nostro
pianeta detta appunto esplosione cambriana. L’organizzazione delle forme di vita testimoniate dai fossili
diventano un fattore caratterizzante della biofera negli oceani di tutta la Terra. Di quel periodo restano
soprattutto le scogliere fossili costituite dai coralli, paragonabili alle attuali barriere coralline del Pacifico, e un
gran numero di Artropodi chiamati Trilobiti, vere dominatrici delle acque di 400 milioni di anni fa. Le Trilobiti
ebbero uno straordinario sviluppo nella parte centrale del Paleozoico, differenziandosi in numerose forme e
adattandosi ai diversi fondali che gli oceani del tempo mettevano a disposizione. Verso la fine del Paleozoico
l’eccessiva specializzazione portò alcune Trilobiti ad estinguersi nel momento in cui le condizioni ambientali
mutarono bruscamente, mentre la loro nicchia ecologica veniva presa díassalto da numerosi predatori. Così, un
insieme di cause le portò verso l’estinzione completa.
Attualmente c’è un solo animale, sulla faccia della Terra, che ricorda da vicino le Trilobiti, il Limulus,
che vive sulle coste atlantiche del continente nord-americano e che, per questa discendenza, è definito fossile
vivente. L’espressione è usata per gli organismi che conservano più o meno invariate le loro caratteristiche
fisiologiche nonostante il passare delle ere geologiche. In genere, si tratta di organismi semplici che occupano
nicchie ecologiche non particolarmente appetibili da altri organismi e che hanno vissuto, quasi sempre, un’
esistenza di “secondo piano”. Così la Lingula, vive da qualche centinaio di milioni di anni (come specie)
infossata negli stessi sedimenti dello stesso ambiente, senza cambiare sostanzialmente, di forma e di abitudini.
Ma anche un grosso rettile, il varano di Komodo, ha conservato forme e abitudini di vita simili da circa 100
milioni di anni a oggi.
Il cerchio del tempo, la freccia del tempo
Niccolò Stenone era nato nel 1638 a Copenaghen (il suo nome era Niels Steensen, in
seguito latinizzato in Nicolaus Steno) e si era dedicato con successo allo studio dell’anatomia.
Nei suoi viaggi presso università e studiosi di varie città europee giunse in Italia e vi rimase
alcuni anni, ospite del fratello del granduca di Toscana (e non a caso è sepolto nella basilica
di San Lorenzo a Firenze). E qui, a contatto con il fertile ambiente culturale di Pisa e Firenze,
dove, a fianco dell’interesse per le lettere, fioriva quello per le scienze sperimentali, Stenone
trovò modo di dedicarsi a studi e ricerche nel campo geologico, che andavano dai fossili e
minerali alla struttura dell’Appennino toscano.
Nei brevi anni trascorsi in Toscana, la mente vivace e acuta di Stenone, portata a ragionare
su dati raccolti attraverso l’osservazione, aveva imboccato vie nuove e promettenti verso la
comprensione dei fenomeni naturali, un campo in cui poche e luminose intuizioni erano
vanificate e offuscate da credi mitologici, superstizioni e dogmatismi. Nel suo famoso
Prodromus (“Su un corpo solido contenuto naturalmente entro un altro solido. Prodromo a
una dissertazione.”), scritto, nel 1669, prima del suo rientro in patria e rimasto come un
testamento scientifico, si incontrano spunti e idee appoggiate a concreti ragionamenti, che
diventeranno patrimonio comune solo dopo oltre un secolo. Tra queste ricordiamo
l’intuizione della costanza delle forme cristallografiche negli abiti dei minerali, che verrà
formulata come rigorosa legge solo nel 1772, dal mineralogista francese Romé de l’Isle, e, nel
campo della Stratigrafia, i principi di orizzontalità originaria e di sovrapposizione.
Ma la modernità del pensiero di Stenone appare ancor più quando parla “dei diversi
cambiamenti che sono accaduti in Toscana”. Le sue numerose e attente osservazioni,
effettuate in molte località, lo portano ad affermare che “lo stato attuale di una certa cosa
svela lo stato passato della medesima cosa”; come dire che alla storia geologica di un’area si
può risalire dallo studio di come si presentano oggi le rocce che vi affiorano. Come esempio,
Stenone ricostruisce la storia della Toscana, in un’area che potrebbe essere il Valdarno o
un’altra delle conche intramontane, e lo fa con modernissime sezioni geologiche. La struttura
geologica del Valdarno si può schematizzare come segue: due rilievi paralleli, formati di
rocce sedimentarie antiche di origine marina, ben stratificate, separati da un settore
sprofondato lungo faglie e riempito in parte da altre rocce sedimentarie più giovani (sabbie e
argille), depostesi in un lago ora scomparso; lungo il settore ribassato scorre attualmente
l’Arno, che va accumulando propri sedimenti.
Ma lasciamo parlare Stenone (figurazione originaria di Stenone):
«Le sei figure, mentre mostrano in che modo possiamo dedurre sei aspetti della Toscana
differenti da quello suo attuale, allo stesso tempo servono a comprendere più facilmente ciò
che abbiamo detto a riguardo degli strati della Terra. Le linee disegnate con punti
rappresentano gli strati arenacei di terra, definiti in tal modo sulla base dell’elemento
principale, sebbene a essi siano frammisti strati diversi, sia argillacei sia rocciosi; le linee
restanti rappresentano gli strati rocciosi parimenti così definiti sulla base dell’elemento
principale, pur essendo situati fra essi, talvolta, altri strati di sostanza più molle. La figura 25
presenta appunto la sezione verticale della Toscana nell’epoca in cui gli strati rocciosi erano
ancora intatti e paralleli all’orizzonte. La figura 24 presenta notevoli cavità scavate dalle forze
delle acque e del fuoco, senza alcun intaccamento degli strati superiori. La figura 23 mostra i
monti e le valli sorti dal crollo degli strati superiori. La figura gli strati nuovi creati dal mare
nelle suddette valli. La figura 21 la parte erosa degli strati inferiori, senza alcun intaccamento
degli strati superiori. La figura 20, infine, presenta le alture e le valli prodotte ivi dal crollo
degli strati superiori arenacei.»
Al là dei “dettagli tecnici”, sorpassati dalle successive conoscenze (i “vuoti” che
precedono i crolli corrispondono evidentemente a settori sprofondati per movimenti tettonici),
rimane intatta l’intuizione che «è certamente incessante il cambiamento delle cose naturali»,
espresso in un tempo in cui si riteneva comunemente che la Terra si fosse formata così com’è
fin dalla sua origine. «Riconosciamo sei distinti aspetti nella Toscana – afferma Stenone -- ,
giacché è stata due volte fluida, due volte piana e asciutta, due volte disuguale (=frantumata
dai crolli)».
Come Leonardo da Vinci, anche Stenone può essere considerato un fondatore del moderna geologia, nel
senso di un precursore illuminato, che aveva chiaramente intuito la via da seguire per cominciare a conoscere il
nostro pianeta.
Sintesi geocronologica
Verso la geologia moderna
All’inizio del 1600 William Gilbert pubblica il “De Magnete”, nasce così la fisica terrestre. Egli
afferma che la Terra è un’immensa calamita con due poli opposti e che il campo magnetico terrestre influenza gli
aghi delle bussole.
Nel 1669 Niels Stensen, studioso di fenomeni naturali, fonda la mineralogia e la sedimentologia.
Danese di nascita, si trasferì e lavorò a lungo in Italia, alla corte dei Medici, come anatomista e come geologo,
prima di essere travolto da una ineluttabile vocazione religiosa che gli impedì, di fatto, di creare le basi di una
vera e propria scuola di scienziati e naturalisti. Tra le sue osservazioni più significative, quelle sulla costanza
dell'angolo nei minerali che fu provata sperimentalmente, e poi codificata, in una legge della cristallografia
ancora oggi conosciuta come legge di Stenone. Egli viene da molti considerato tra i padri della geologia e la sua
geniale capacità di osservazione e sintesi ne fa un uomo di spicco tra gli eruditi del XVII secolo.
Nel 1687 Newton pubblica i “Principi matematici della filosofia naturale” in cui, oltre a sviluppare la
sua teoria della gravitazione universale, calcola l'appiattimento terrestre e giudica ellissoidale la forma della
Terra. Egli può essere considerato il fondatore della geodesia.
Per tutto il XVII secolo si susseguono teorie sulla Terra e sul cosmo, ma tutte
congegnate in modo tale da non contraddire le Sacre Scritture, piegando, spesso, e
deformando anche l'osservazioni dei fatti alle idee prestabilite.
Tra il 1680 e il 1690 Burnet pubblica la “Teoria sacra della Terra” in cui tutto si spiega con l'acqua e il
fuoco e addirittura si fanno previsioni sul futuro diluvio. Nel 1696 William Whiston nella “New Theory of the
Earth” suppone che la rotazione della Terra non sia originaria, ma sia cominciata dopo la Creazione a causa
della collisione con la coda di una cometa.
Al di là degli indubbi protagonisti di rilievo nelle scienze fisiche, il XVIII secolo può essere considerato a
ragione come quello che segna la nascita delle scienze della Terra intese in chiave moderna. Non solo
classificazione di minerali e tentativi di paragonare a animali viventi i fossili del passato, ma sforzi ormai
sistematici di organizzare la geologia come scienza sperimentale.
Passi importanti vengono fatti in geofisica (che si sviluppa allora in coincidenza con le grandi campagne
di misura che cominciavano a svilupparsi in tutto il mondo), per esempio, con Bouguer che dimostrò come le
catene montuose producano una forte attrazione gravitazionale. Nel momento in cui il catastrofismo di Cuvier
imperava nello spiegare l'evoluzione della vita sulla Terra, Lamarck non trovava solo il tempo per fornire
spiegazioni alternative (uso e non uso degli organi), ma anche di pubblicare un trattatello di idrogeologia in cui si
discute della dinamica delle acque superficiali e dei fenomeni di trasgressione marini, ponendo così le basi di una
nuova branca della geologia e della geologia applicata in generale. Del resto anche il livello del mare non veniva
più ritenuto fisso: in Svezia era noto che esso si era spostato negli anni e qualcuno poteva già intuire che l'intera
Fennoscandia si stava risollevando, provocando così un abassamento relativo del livello del mare, a causa del
sollevamento isosatico dovuto alla fusione dei ghiacciai pleistocenici.
La mineralogia si slega completamente dal passato e assume caratteri moderni anche nella sistematica,
oltre che nello studio delle caratteristiche fisiche "oggettive" dei minerali (non più solo colore o proprietà
taumaturgiche), attraverso l'opera di Hauy e di Mohs. Nel frattempo qualcuno cominciava a porsi il problema di
distinguere le diverse regioni geologiche delle terre emerse, per esempio in base alla loro età e costituzione, che
appaiono già intimamentte legate: il tedesco Lehmann stabilì che in Europa settentrionale esistevano monti
primitivi, monti secondari e le alluvioni recenti.
Jean Etienne Guettard va considerato il fondatore della geologia stratigrafica moderna e, inoltre, fu tra i
primi (se non il primo) a costruire carte geologiche, oltre a aver condotto ricerche di mineralogia e geografia
fisica e ad aver praticamente fondato la paleontologia in Francia. La geologia regionale intanto continuava a
svilupparsi con il moltiplcarsi delgi studi a carattere locale, condottti anche in regioni di cui si conosceva ancora
poco perfino la geografia, come la Siberia (Lomonosov e Loaxmann).
Idee che verranno poi sviluppate con maggiore successo da altri (Lyell, Hutton) si trovano già --in forma
primitiva-- negli studi di Antonio Lazzaro Moro che può esser considerato uno dei più conosciuti e brillanti
precorritori dell'attualismo di Lyell. La geologia stratigrafica trova le sue fondamenta anche nell'opera di
Giovanni Arduino che è stato anche un notevole geologo regionale.(esecutore di profili geolgici ancora
parzialmente attuali nel Veneto). Arduino fu, tra l'altro, il primo istitutore della terminolgia Primario,
Secondario, Terziario e Quaternario ancora oggi adottata nella scansione del tempo geologico.
NETTUNISTI E PLUTONISTI
Si deve perciò arrivare all'affermazione di quella che è stata poi definita "l'età dei Lumi" (cioè del prevalere del
ragionamento e dell'intelletto) perché la geologia emerga definitivamente dalle paludi delle osservazioni colorite,
ma ancora slegate tra loro ed entri a far parte delle conoscenze organizzate razionalmente dall'uomo.
Tra il 1700 e il 1800 alcuni studiosi di scienze naturali tedeschi, francesi ed inglesi, sottolinearono, in alcuni
trattati scientifici, il ruolo fondamentale che doveva avere avuto l'acqua nella formazione delle rocce che
costituiscono la superficie terrestre. Essi furono chiamati nettunisti vista la loro vicinanza ideale al mitico dio
delle acque. Tra essi Bendict de la Saussure rese conto delle sue ricerche nel primo studio moderno di geologia
regionale conosciuto, Voyages dans les Alpes, in cui armato di martello e a dorso di mulo esplorò tutte le cime
accessibili. Il suo studio resta ancora moderno nella descrizione dei terreni sedimentari, ma fu anche di grande
aiuto alla causa dei nettunisti quando si avventura nella descrizione del Monte Bianco come un enorme cristallo
generatosi sul fondo del mare.
Nella visione dei nettunisti le montagne stesse erano state formate da una serie di precipitazioni derivate da un
oceano immenso che ricopriva tutta la Terra e perfino gli strati inclinati o piegati venivano spiegati con il fatto
che si erano deposti adattandosi a superfci già inclinate, come succede nelle soluzioni che, precipitando, si
depongono anche sui lati del recipiente oltre che sul fondo. Werner, l'iniziatore dei nettunisti, fu un uomo degno
di essere ricordato per aver basato la sua costruzione non su fantasiose teorie, ma sulle osservazioni da lui stesso
condotte nei distretti minerari tedeschi. Per Werner l'età della Terra è molto più lunga di quella stabilita dalla
Bibbia e le formazioni geologiche si dispongono ordinatamente in strati uno sull'altro deposti in maniera
graduale. Ancora secondo Werner il nucleo primordiale della Terra era stato sommerso da un oceano enorme dal
quale si erano andati sedimentando tutti i tipi di rocce, graniti e basalti compresi. In questa ricostruzione le
catene montuose e i bacini di sedimentazione erano già esistenti e dunque gli strati si deponevano naturalmente
inclinati e piegati (non si avevano ancora nozioni di tettonica).
Oggi è noto che effettivamente la maggior parte delle rocce sedimentarie si sono depositate dall'acqua del mare,
ma sappiamo anche che esistono forze interne alla Terra (la cui attività è nota con il nome di tettonica) che
possono piegare gli strati e formare le montagne. Per gli uomini di quel tempo, invece, l'insieme delle
considerazioni a favore di una netta prevalenza dell'acqua dovevano suscitare un grande fascino.
Però, già a quel tempo, alcuni studiosi non erano affatto convinti che le idee dei nettunisti spiegassero
soddisfacentemente tutti i fenomeni geologici. Soprattutto l'esistenza dei vulcani e delle rocce vulcaniche fece
nascere una corrente di pensiero che --invece-- riteneva tutte le rocce di origine ignea, cioè provocate dal calore
interno della Terra e non collegabili a processi di deposizione dalle acque. Plutonismo fu il nome con cui poi
venne chiamata questa serie di idee e osservazioni (dal nome del dio degli Inferi e del fuoco Pluto).
Plutonisti e nettunisti costituivano effettivamente due correnti di pensiero (come si direbbe oggi) diametralmente
opposte, ed è fin troppo facile --al giorno d'oggi-- pensare che si trattasse di una disputa condotta con
argomentazioni spesso poco convincenti e, qualche volta, dettata dalla paura di andare contro il pensiero
dominante. Quella fra nettunisti e plutonisti fu, comunque, una vera e propria battaglia polemica, condotta senza
mezzi termini e senza esclusione di attacchi: curiosamente, però, una polemica così violenta si spense in maniera
indolore e rapidamente già agli inizi del XIX secolo, non tanto perché le idee di Hutton (considerato il maggior
esponente dei plutonisti) prevalsero su quelle di Werner (primo fra i nettunisti). Anzi, rispetto a quelle di Hutton
che erano un vero e proprio "modello" (nel senso che questa parola ha poi assunto in fisica), le idee di Werner
avevano una "stratigrafia" (cioè il riconoscimento di una successione ordinata di rocce) di base che al primo
mancava. I nettunisti si erano, cioè, basati su dati concreti di terreno, magari male interpretati, ma pur sempre
dati "reali".
Segdwich e Desmarest furono plutonisti convinti, a testimonianza che ormai si trattava sempre di osservatori e
sperimentatori, quest'ultimo riconobbe, fra l'altro, la vera origine ignea dei plateaux basaltici dell'Alvernia,
pensando anche a una loro origine da un unico centro comune.
Probabilmente lo sviluppo che andava assumendo una nuova tecnica di ricerca geologica proprio in quegli anni
fu responsabile della fine della controversia nettunisti - plutonisti: le correlazioni stratigrafiche dei diversi strati
tramite i fossili preludevano a un nuovo modo di pensare la Terra.
IL CATASTROFISMO
Come i nettunisti, così anche i cosiddetti catastrofisti non hanno goduto di buona fama nell'opinione dei
posteri del XX secolo. Catastrofista era chi indirizzava le proprie ricerche geologiche in base alle convinzioni
religiose, invocando cause soprannaturali e traumatiche per rendere conto delle principali variazioni nella storia
della Terra. Ad essi si contrapponevano gli attualisti, in genere ritenute persone più equilibrate e metodiche che,
facendo leva su di un famoso principio (il presente è la chiave per capire il passato), lo utilizzavano in ogni
occasione per spiegare anche le più piccole caratteristiche dell'evoluzione geologica della Terra.
Lo svizzero - francese Georges Cuvier è ritenuto il caposcuola dei catastrofisti, cosa che ha fatto spesso
passare in secondo piano l'importante contributo che egli ha comunque dato alla paleontologia, soprattutto nel
campo dell'anatomia a confronto fra i diversi gruppi di viventi (anatomia comparata). Ripetute incursioni e ritiri
violenti e improvvisi delle acque del mare hanno caratterizzato, secondo Cuvier, l'evoluzione della vita sulla
Terra: interi gruppi di animali sarebbero stati uccisi in massa dal succedersi di queste catastrofi e i ritrovamenti
di mammuth congelati nei ghiacci siberiani perfettamente integri (provvisti di carne, pelo e zanne) veniva
intelligentemente utlizzato per dimostrare che questi cambiamenti erano stati davvero molto improvvisi. Le
specie naturali venivano ritenute fisse e immutabili anche nell'opera di Cuvier che sistematicamente si oponeva a
ogni relazione fra fossili, animali attuali e cambiamenti in natura.
Strati inclinati e sollevamento delle montagne erano, anche essi, dovuti ad eventi particolarmente
catastrofici. Dalle inondazioni successive alla teoria che il diluvio universale della Bibbia altro non fosse che
una prova della ciclicità e dell'esistenza stessa delle catastrofi il passo fu breve: si cercò, in poche parole, di
dimostrare che i dati geologici bene si accordavano con la Creazione e la storia del diluvio di Noé con la sua
arca.
Prima che fossero anche solo formulate le idee dell'attualismo --che costituiscono il principale motivo di
caduta del catastrofismo-- erano già, comunque, evidenti le critiche che potevano essere mosse alle idee di
Cuvier. Già nelle stesse Scritture, infatti, non si parla che di una marea che era salita molto placidamente,
lasciando come unica traccia, addirittura, solo un arcobaleno. Niente, dunque, a che fare con immense e
repentine catastrofi come quelle invocate dai seguaci di Cuvier; non c'era inoltre, nessuna traccia di estinzioni
complete, se lo stesso Noé aveva potuto salvare almeno due individui per ogni specie.
E' abbastanza facile, con gli occhi di oggi, pensare che le catene montuose si siano sollevate con una certa
gradualità in tempi abbastanza lunghi (qualche centinaio di migliaia o qualche milione di anni) e già i
contemporanei di Cuvier obiettavano che anche la costruzione delle piramidi di Egitto non poteva essere
avvenuta in un solo giorno (se non si volevano invocare forze al di sopra dell'uomo). Questo, però, non basta per
liquidare il catastrofismo e la teoria dei diluvi come argomentata da studiosi ottusi e incapaci di stare al passo coi
tempi. Inoltre, proprio la presenza delle idee dei catastrofisti --facendo da contrapposizione ai nuovi modi di
pensare la Terra-- ha, paradssalmente, permesso lo sviluppo delle nuove idee.
L'ATTUALISMO
Se c'è una cosa che può sembrare dura da accettare a chi si avvicina per la prima volta alla geologia, è
proprio il pensiero che da un insieme di fenomeni così (apparentemente) disordinato, si possano ricavare leggi e
"disposizioni" non casuali. I minerali, per esempio, rappresentano una varietà talmente vasta di combinazioni di
elementi che già il solo pensarli "organizzati" a costituire le rocce può impressionare per la vastità dei tipi che se
ne può ricavare. Come è noto, poi, le rocce sono di vari tipi ancora e si formano in tutti gli ambienti naturali:
alcune conservano tracce fossili, altre sono del tutto prive di forme di vita, altre ancora provengono da zone
molto calde e alcune sono diffuse solo in un ristretto territorio.
Eppure ci sono alcune "leggi" che permettono di mettere ordine nella gamma apparentemente casuale
delle rocce e dei corpi geologici che ci circonda. Queste leggi sono, in realtà, basate su considerazioni non
sempre supportate da equazioni matematiche, ma sono verificate nella quasi totalità delle volte in cui si cerca di
applicarle alla "realtà". La più importante di queste leggi fu enunciata dal geologo inglese James Hutton, alla
fine del XVIII secolo, e fu poi ripresa da un altro geologo inglese, Charles Lyell, qualche lustro più tardi.
L'essenza di questa legge si può riassumere in poche parole: il presente è la chiave per capire il passato
(geologico), cioè i fenomeni che osserviamo in atto possono essere dovuti a cause che hanno agito anche nel
passato, ragione per cui è possibile trovare una spiegazione dei fenomeni del passato in quelli attuali.
Se ci si rivolge al passato, si devono a Stenone alcune osservazioni che devono essere considerate come
propedeutiche (cioè, necessarie) alla formulazione della teoria dell'attualismo da parte di Hutton quasi due secoli
più tardi. Ricordiamo ancora che prima di Hutton il presente e il passato, in geologia, erano rigidamente
separati: quello che accadeva tutti i giorni nel mondo naturale aveva le sue spiegazioni in cause molto vicine o
troppo lontane e le Sacre Scritture costituivano il filtro attraverso il quale dovevano essere visti e compresi i
fenomeni della Terra.
La “Teoria della Terra” di James Hutton
E’ abbastanza sorprendente notare come la fisica e l’astronomia, pur essendo spesso di difficile
comprensione e richiedendo apparecchiature sofisticate e conoscenze matematiche sviluppate, si siano evolute
come “scienze” ben prima della geologia. Per molto tempo la geologia, pur essendo apparentemente più
semplice e non richiedendo altri strumenti che non una lente, la bussola e un martello, non è, invece, stata
considerata come una vera scienza, ma piuttosto come un esercizio naturalistico o come una semplice collezione
di oggetti.
Se consideriamo la Theory of Earth (Teoria della Terra) di Hutton come una delle prime formulazioni
complete, cioè come un reale primo passo verso la geologia - scienza, si può notare che essa viene riconosciuta
un centinaio di anni dopo (nel 1785) che Copernico e Galileo avevano concepito in forma definitiva i loro lavori.
La geologia come scienza fu, in realtà, illustrata in maniera organica da Lyell che sistemò e riorganizzò il
pensiero e l’opera scientifica di Hutton.
Un geologo importante: Charles Lyell
Dopo aver abbandonato gli studi di giurisprudenza, Charles Lyell decise di dedicarsi alla sua vera
passione: le scienze naturali. Per questo intraprese una serie di viaggi, prima in Inghilterra, poi in Francia e,
infine, in Italia, dove visitò soprattutto la Sicilia. Dai suoi viaggi e dalle sue osservazioni Lyell ricavò gli
elementi essenziali per la costruzione della sua teoria dell'attualismo. Secondo Lyell le leggi fisiche che
regolano i fenomeni terrestri sono immutabili e costanti, tanto da fargli affermare che "la nostra idea del valore di
tutti i dati geologici e l'interesse che deriva dallo studio della storia della Terra debbono dipendere interamente
dalla fiducia che abbiamo nella stabilità delle leggi naturali. Soltanto il fatto che esse siano immutabili e costanti
ci permette di ragionare per analogia ...".
In base a questa ferrea concezione della natura Lyell poteva permettersi di attaccare a fondo alcune teorie
che si reggevano in piedi saldamente da moltissimi anni, tra cui quella del raffreddamento della Terra. Infatti,
non c'erano prove che l'attività vulcanica fosse stata, in passato, più intensa di oggi e quelle che sembravano
pause tanto lunghe tra un periodo di attività e l'altro di certi vulcani, lo erano solo perché i tempi dell'uomo non
sono paragonabili a quelli della Terra. Non solo, tutte le teorie cosiddette catastrofiste ricevettero dalla
pubblicazione dei Principi di geologia di Lyell un colpo mortale: molti fra quelli che erano stati fra i più convinti
assertori dell'esistenza di un diluvio e di varie e fantasiose catastrofi si convertirono all'attualismo, anche grazie
all'abiltà dialettica e al rigore scientifico dell'avvocato mancato.
Per queste ragioni e per l'importanza che viene attribuita alle osservazioni fatte sul terreno, oltre che per la
sua notevole capacità di sintesi e di iluustrazione scientifica (in pratica per il metodo), Lyell è considerato il vero
padre della geologia moderna.
Non per questo va dimenticato che, grosso modo nello stesso periodo, cominciano a operare anche i primi
studiosi statunitensi, Dwight Dana e James Hall che sono responsabili dell'introduzione della geodinamica nella
teoria geologica. Il termine geosinclinale e la teora ad essa collegata sono state per anni alla base delle teorie
dinamiche della Terra più accettate e usate e fino all'avvento della tettonica delle placche anche le uniche.
Movimenti orizzontali della crosta terrestre cominciano a essere considerati possibili solo dopo l'opera di
Suess, che ribaltò le idee passate secondo cui le spinte che generavano le montagne dovevano per forza partire
"da sotto" (e non potevano partire "da dietro"), e insieme con lo sviluppo del concetto di isostatia di Dutton
(dopo gli esperimenti e le deduzioni di Airy e Pratt).
Nel 1840 Charles Darwin pubblica “Viaggio di un naturalista intorno al mondo”. Egli oltre che ad un
illustre naturalista fu anche un ottimo geologo. Nel suo viaggio intorno al mondo egli vide e studiò la genesi
delle scogliere coralline e, in particolare, degli atolli; osservò l’evolversi attuale del vulcanismo in molte di isole,
assisté al movimento verticale di una grande faglia nelle Ande occidentali, movimento che causò un grande
terremoto in Cile; cercò minuziosamente le piccole variazioni evolutive nei molluschi fossili. Darwin con i suoi
numerosi apporti scientifici diede un solido contributo al principio dell’attualismo.
Alcuni esempi
1) Le grandi estinzioni di massa
Contrariamente a quanto si pensa, la famigerata estinzione di massa del Cretacico non fu né l'unica della
storia della Terra, né quella più gravida di conseguenze catastrofiche. Alla fine del Permiano --l'ultimo periodo
dell'era paleozoica, circa 250 milioni di anni fa-- quasi il 90% delle specie scomparve dai mari epicontinentali, e
l'alba della successiva era mesozoica fu animata da flora e fauna marine completamente rinnovate. Non si sa
molto sulle cause del cosiddetto collasso del Permiano, si può solo ipotizzare che avvenne lentamente e che fu
localizzato nei mari poco profondi, non toccando quasi le forme viventi a terra (dove allora camminavano solo i
primi anfibi). Tra le cause generali delle estinzioni l'insuccesso di un gruppo di organismi limitato arealmente e
la sua sostituzione da parte di competitori più agguerriti è uno dei processi più chiamato in causa e ha un
esemplificazione classica proprio alla fine del Permiano, quando tutte le forme di nautiloidi (le conchiglie dal
guscio a spirale con cui tipicamente si rappresenta un fossile) --eccetto una che sopravvive ancora oggi-- furono
soppiantate da altri cefalopodi casualmente più adatti e premiati dalle mutate condizioni ambientali, le ammoniti.
Variazioni climatiche e cambiamenti ambientali a scala regionale sono due cause generali aggiuntive, ma per
avere un qualche effetto devono incidere su ambienti frammentati, su cui insistono gruppi molto specializzati.
Infine, va tenuta in considerazione la cosiddetta estinzione di fondo, cioè quella a cui ogni genere è destinato dal
momento stesso della sua comparsa. Tra le cause particolari ci possono essere --invece-- l'instabilità delle scorte
di cibo o la riduzione delle zone di mare poco profonde (fattori entrambi sostenibili per la crisi permiana),
mentre sembra non sia più il caso di affidarsi a presunte senescenze filetiche o stress faunistici.
Il fattore decisivo delle estinzioni deve risiedere nella dinamica della Terra, a prescindere dalla
debolezza specifica e dalla successiva comparsa di organismi più efficienti. I continenti e gli oceani non hanno
occupato sempre le attuali posizioni sulla faccia del pianeta, ma si sono riuniti e suddivisi più volte alla ricerca di
equilibri in continua trasformazione. Questa sembra essere una causa determinante per spiegare sia le estinzioni
sia le esplosioni demografiche (più numerose e non meno interessanti da capire) nella storia della Terra prima
della comparsa dell'uomo. L'applicazione alla crisi permiana ha un riscontro immediato: le masse continentali
allora si andavano riunendo in un supercontinente (Pangea) circondato da un unico immenso oceano
(Pantalassa), di conseguenza i mari poco profondi andavano diminuendo e invece di molte piattaforme
continentali se ne aveva --in pratica-- una sola, che comportava una superficie disponibile molto minore. Gli
spazi --cioè-- si restringevano e gli organismi ormai molto specializzati che colonizzavano quei mari non ebbero
tempo e modo di adattarsi, nonostante la lentezza del fenomeno, e nuovi organismi già adattati ne occuparono le
nicchie ecologiche.
Della crisi permiana non importa molto a nessuno, invece il fascino dei dinosauri è intrinseco e si
capisce perché: si parla di animali di grande mole e di supposta ferocia (sangue e carne hanno sempre un
successo direttamente proporzionale alla loro esibizione), ma soprattutto si tratta di animali veri e per di più
estinti. Ci sono tutti gli elementi dell' ancestrale lotta contro il drago, soddisfano il bisogno di avventura e di
mistero, specie se ci si concentra sulla loro scomparsa.
Fermo restando che la fossilizzazione di dinosauri resta un evento abbastanza eccezionale (visto che
deve avvenire in ambiente continentale --quelli ritratti in acqua non sono dinosauri, ma altri rettili acquatici,
come i coccodrilli), è ormai chiaro che tanto lenti i dinosauri non dovevano essere, anzi i carnivori potevano
raggiungere i 40 km/h, e muoversi con agilità, usando la coda come contrappeso dinamico. Non tutti erano
giganti, ce ne erano di grandi come galline, e il loro metabolismo non era sempre lento, come per l'immenso
Apatosauro (il più noto insieme al Tirannosauro). Il loro cervello era piccolo --se paragonato alla mole--, ma
non tanto da impedirgli di organizzare forme sociali di caccia e di difesa. In un famoso articolo del 1968 il
paleontologo americano Robert Bakker sosteneva provocatoriamente la superiorità dei dinosauri e la recente
scoperta di fossili in zone dell'Australia caratterizzate, al tempo, da climi polari sembra contribuire a dargli
ragione: come potevano creature a sangue freddo resistere a temperature così basse ? Lo sviluppo di sistemi
interni di regolazione della temperatura (omeotermia) era forse già stato fatto proprio dai dinosauri e qualcuno -sulla base dei ritrovamenti fossili-- suggerisce che alcuni prestassero tali e tante cure parentali ai piccoli da poter
far pensare addirittura a una gestazione senza uova.
Sulla scomparsa dei dinosauri si sanno molte cose, ma nessuna decisiva per ascriverla a una sola causa
(del resto non necessaria in quanto unica). Se si affronta scientificamente la questione è necessaria una premessa
di metodo: non si sa e forse non si saprà mai con precisione in quanto tempo si sono estinti i dinosauri. I metodi
che si utilizzano oggi in paleontologia e in geochimica hanno sempre un margine di errore che definire grande e
un eufemismo, per esempio su 100 milioni di anni l'errore minimo è di 100.000 anni, non molto per la Terra,
moltissimo per un uomo. Inoltre, la documentazione geologica- paleontologica --quella più attendibile-- la sola
su cui si possano ricostruire le condizioni di milioni di anni fa è largamente incompleta: solo una piccolissima
percentuale degli organismi viventi si fossilizza, e la percentuale diminuisce drasticamente per gli animali
terrestri. Quindi ci sono limiti intrinseci, metodologici --errori sistematici, se si vuole--, che però non è poi
possibile sottrarre a conti fatti. Non è cioè possibile stabilire se un'estinzione sia avvenuta in 10.000 anni o -tantomeno-- in 1000 o 100 anni, mentre si possono fare ipotesi sul fatto che essa abbia colpito in maniera lenta o
più veloce, ma sempre su indizi deboli e indiretti.
Quali sono i dati che abbiamo a disposizione per spiegare l'estinzione di vari gruppi di organismi
terrestri e marini --e i "problemi" di molti altri-- alla fine del Cretacico, circa 65 miliioni di anni fa ?
Scomparvero i dinosauri, le ammoniti, molti molluschi e parte del plancton marino, mentre continuarono a
vivere --egregiamente-- altri rettili (coccodrilli, tartarughe), uccelli, insetti e mammiferi. Non si può dire che
scomparvero le piante: la rivoluzione floristica cominciò prima e le piante con fiori (angiosperme) erano già
presenti prima della fine del Cretacico. Va poi specificato che l'estinzione può essere intesa come ricambio: i
primi dinosauri del Triassico, così come le prime ammoniti, erano già estinti prima della fine del Cretacico e
"sostituiti" da altri. Dire che i dinosauri si sono estinti alla fine del Mesozoico è tautologico, perché la fine
dell'éra è stata posta a quell'altezza stratigrafica proprio sulla base dei "ricambi" evolutivi. Insomma i dinosauri
non sono stati inghiottiti da un metaforico buco nero alla fine del Cretacico, molti si erano già estinti prima e per
molti gruppi (non ritenuti così importanti ai fini dell'istituzione di quel limite) il limite Cretacico - Terziario è
passato indenne. Questi sono tutti i dati di cui siamo a conoscenza, il resto è interpretazione, anzi,
interpretazioni perché sono almeno una sessantina le ipotesi che sono state avanzate sull'estinzione del
Cretacico, se si includono anche le più fantasiose.
Come per il Permiano, sono state chiamate in causa ragioni generali e particolari, "esterne" e "interne".
A questo proposito il disaccordo fra gli scienziati è grave e coinvolge aspetti di sostanza e di metodo. Due punti
sembrano --però-- acquisiti: che la dinamica della Terra sia stata importante e che un qualche cambiamento
climatico sia intervenuto. La reciproca disposizione delle masse continentali e oceaniche e, più in generale, la
geodinamica prevista dalla tettonica delle placche deve aver giocato --come per la crisi permiana-- un ruolo
fondamentale, per esempio recando una minore disponibilità di grandi spazi o di piattaforme continentali. D'altro
canto un cambiamento nel clima potrebbe essere stato un fenomeno di portata globale che avrebbe agito su tutto
il pianeta: nubi di polvere e conseguenti cambiamenti climatici avrebbero portato --fra l'altro-- all'arresto della
fotosintesi e quindi l'indisponibilità di cibo e alla caduta di piogge acide. Ecco un altro problema notevole: i
mutamenti climatici dovrebbero colpire più o meno indiscriminatamente i generi e le specie, almeno quelli
simili, come è possibile che si estinguessero i dinosauri e non gli uccelli o --meglio-- i coccodrilli che avevano
un metabolismo da veri rettili (che erano cioè intrinsecamente più "indifesi" rispetto al freddo) ? E che dire delle
piante ? In altre parole, quale peso si deve dare agli eventi climatici quando tutte le estinzioni --e soprattutto
quella cretacica-- sono state selettive ?
Per gli studiosi di Berkeley (Walter Alvarez, premio Nobel per la Fisica, e suo figlio Luis) --che danno
per risolto il quesito-- la nube di polvere si sarebbe sprigionata in seguito allo scontro con un meteorite (o con
una cometa) che avrebbe raggiunto il suolo terrestre nello Yucatàn, a più di 10 km/s, alzando una gigantesca
nuvola di polvere che avrebbe oscurato il Sole. La fuliggine che viene ritrovata in alcuni sedimenti di quell'età
sarebbe appunto il residuo di colossali incendi che avrebbero contribuito allo sterminio dei grandi vertebrati.
Secondo questi studiosi la catastrofe sarebbe stata improvvisa --qualche decina di anni !-- e troverebbe conferma
nella anomala concentrazione di Iridio che viene rinvenuta in un livello argilloso della successione sedimentaria
umbra (alle Gole del Bottaccione, presso Gubbio). Per i ricercatori francesi (Vincent Courtillot e altri) i tempi
invece sarebbero stati lunghi (centinaia di migliaia di anni) , paragonabili a quelli di messa in posto delle famose
colate basaltiche del Deccan, in India (i trapps). Queste eruzioni avrebbero avuto anche un saltuario carattere
esplosivo (il basalto fuoriesce in genere tranquillamente) e sarebbero state in grado di produrre polveri
vulcaniche e quanto altro potesse provocare oscuramento, piogge acide e tutte le conseguenze di cui sopra.
Come si vede si tratta di due ipotesi catastrofiste, e un certo cambiamento brusco sembra sia
effettivamente avvenuto (senza per questo dover scomodare diluvi e demiurghi). I ricercatori francesi
dell'Institute de Physique du Globe si spingono oltre sostenendo che tali eruzioni devono essere cicliche nella
storia della Terra, come cicliche sarebbero le crisi biologiche e citano al proposito i grandi trapps siberiani di età
paleozoica che spiegherebbero anche quell'estinzione. Dal loro canto gli americani sostengono che anche le
cadute di oggetti meteorici notevoli sono cicliche e le mettono in rapporto con la stessa ciclicità delle estinzioni.
Sferule basaltiche, cristalli di quarzo deformati e altri minerali possono essere ricondotti a forti shock e sono stati
ritrovati nei pressi dei crateri da impatto, non solo in corrispondenza del passaggio al Terziario, ma anche in
tempi più antichi e più recenti, a testimonianza che il bombardamento meteoritico era un fenomeno frequente,
non necessariamente collegabile a periodi di crisi faunistica. Il problema --cioè-- non è tanto che un asteroide
colpisca la superficie del pianeta Terra, quanto che ciò possa provocare coeve estinzioni: i tempi delle crisi
biologiche sembrano di qualche ordine di grandezza maggiori di quelli dell'impatto meteoritico.
All'ipotesi dell'asteroide possiamo ascrivere più di un difetto di confezionamento. Metodologico il
primo: se il metodo non permette di distinguere a meno di 50.000 -100.000 anni, come si fa a sostenere che le
estinzioni siano avvenute in secoli ? Per lo stesso motivo non c'è alcuna possibilità di mettere in relazione le crisi
biologiche --peraltro non sincrone in senso stretto-- di tutte le specie con l'eventaule impatto (cioè con lo strato
arricchito in Iridio). Va infine notato che non c'è un solo livello arricchito in Iridio e che gli altri non sembrano
in alcun modo --nei limiti del metodo-- associabili a estinzioni; non sono poi chiari i dati analitici che fanno
ascrivere l'Iridio di quel livello a sorgenti extraterrestri e non, piuttosto, al vulcanismo (i rapporti isotopici non
sono ancora risolutivi).
E' molto probabile che un insieme combinato di varie cause-effetti come l'oscuramento atmosferico (da
asteroidi o da eruzioni che sia), le piogge acide, la grande regressione marina del Cretacico abbiano contribuito a
fiaccare i generi che si sono poi estinti; specie se inseriamo tutto ciò in un quadro di frammentazione
continentale che provocava una marcato provincialismo e una maggiore attività vulcanica, rendendo quindi
difficili le migrazioni in caso di necessità. I dinosauri riuscivano ad adattarsi molto bene come dimostrano i resti
trovati a latitudini un tempo polari: un raffreddamento solo temporaneo non avrebbe potuto ucciderli e forse essi
sono sopravvissuti a lungo anche al di là del fatidico limite Cretacico-Terziario nella remota Australia.
2) Il diluvio universale
Le tecticti (o tektiti) sono scaglie vetrose di composizione silicatica dalle forme affusolate --come gocce
di ferro fuso e poi raffreddato--, dovute all'erosione aereodinamica subìta a velocità supersonica durante la
caduta. Le tectiti sono essenzialmente di due tipi: o sono vere e proprie schegge di meteoriti precipitate sulla
Terra dagli spazi siderali, oppure sono frammenti di materiale terrestre fuso a causa dell'impatto di una meteora
con il suolo, proiettati verso l'alto e poi ricaduti tutto intorno. Queste “scorie” di meteoriti sono state ritrovate in
molte regioni della Terra e hanno, generalmente, un'età compresa fra qualche milione e qualche migliaio di anni.
Per iniziare la nostra storia ci interessano particolarmente le tectiti di Kofels (Tirolo) e di Port Campbell
(Australia meridionale), perché hanno la particolarità di avere circa 10.000 anni di età. Dare un’età a schegge di
roccia provenienti dallo spazio non è proprio un’operazione facilissima e non dà sempre risultati affidabili, ma
alcune delle tectiti di Port Campbell sono state trovate infisse nei tronchi degli alberi ai margini di una radura.
Sfruttando le dendrocronologia (cioè la possibilità di datare gli alberi contando gli anelli del tronco) a quegli
alberi è stata attribuita un'età di 9520 +/- 200 anni e molte altre tectiti provenienti da altri luoghi hanno più o
meno la stessa età. Tra 9.500 e 10.000 anni fa --come molte altre volte nel passato più remoto-- un'intensa
pioggia di meteoriti deve aver colpito diffusamente la superficie della Terra, lasciando un po' dovunque tracce
indelebili di quel fenomeno.
Ma come si presentava la Terra diecimila anni fa, alla fine di quel periodo che i geologi chiamano
Pleistocene ? Da un punto di vista del paesaggio non si dovevano riscontrare grandi differenze: c'erano --come
oggi-- vaste pianure e catene montuose come le Alpi e gli Appennini (che sono fra le montagne più giovani)
avevano già raggiunto le attuali quote topografiche e anche continenti e oceani si trovavano più o meno dove si
trovano ora. Ciò nonostante un'ipotetica istantanea di diecimila anni fa, scattata negli stessi luoghi, presenterebbe
qualche significativa differenza. Intanto non ci sarebbero gli stessi animali. I grandi, placidi erbivori come il
mammuth e gli altri elefanti a pelo lungo, i loro predatori, come la tigre dai denti a sciabola, e molti altri viventi
mancherebbero inspiegabilmente all'appello, che fine hanno fatto ?
I più importanti ritrovamenti di mammuth fossili sono stati fatti in Siberia, là dove i ghiacciai sono
ancora attualmente in ritiro a causa del riscaldamento progressivo del clima terrestre. Molti di quei rinvenimenti
sono stati spettacolari: non più fossili, ma vere e propri animali mummificati, completi di pelo, zanne, carni (si
narra che alcuni cercatori si siano addirittura cibati di quelle carni “liofilizzate”) e pelle. Spesso poi i mammuth -insieme con altri grandi mammiferi-- sono stati ritrovati in posizione fisiologica, cioè come se fossero morti
solo qualche ora prima e fossero stati poi immediatamente inglobati dai ghiacci in avanzamento. Quello che ha
colpito i paleontologi, però, è che in alcuni di questi giacimenti fossili le ossa sembravano essere state
accumulate in seguito a una catastrofe naturale, come un’inondazione improvvisa o una gigantesca onda di
marea. Le datazioni precise dei mammuth siberiani danno un'età compresa fra 9.300 e 9.900 anni fa.
Neanche il clima pleistocenico sarebbe stato proprio uguale a quello attuale: la Terra stava uscendo
lentamente dall'ultimo grande periodo glaciale, le calotte artiche avevano ricoperto fino a qualche millennio
prima quasi tutta l'Europa continentale e le temperature avevano iniziato a risalire solo da poco tempo; si andava,
cioè, verso il clima di oggi. Improvvisamente un momentaneo cambiamento climatico riportava le temperature a
valori molto più bassi rispetto all'andamento che stavano assumendo. Nei sedimenti di circa 10.000 anni fa la
Dryas fossile --un bel fiore ancora oggi molto diffuso-- viene rinvenuta al livello del mare: niente di male, se
non fosse che la Dryas octopetala è una pianta di alta montagna che attualmente vive al di sopra dei 1800 metri.
Ciò significa che abbiamo prove geologiche che il clima avesse subìto, all'interno di un generale processo di
riscaldamento, un momentaneo peggioramento improvviso (chiamato, per l'appunto, evento a Younger Dryas).
Per restare ai ghiacci e ai ghiacciai, c'è un’ultima tessera che va aggiunta al nostro mosaico, quella delle
sostanze acide --provenienti probabilmente da precipitazioni in cui sono disciolte grandi concentrazioni di acido
carbonico, un po' come le moderne piogge acide-- che vengono messe in luce da opportune analisi geochimiche
condotte su carote provenienti dai ghiacciai artici e antartici. Le concentrazioni più importanti di sostanze acide
sono singolarmente coincidenti e portano la fatidica data di 9.630 +/- 1170 anni, cioè ancora quei circa diecimila
anni dello Younger Dryas, delle ecatombi di mammuth e della pioggia di meteoriti: che si tratti di una pura
coincidenza ?
Circa 10.000 anni fa un nucleo cometario di grandi dimensioni in rotta di collisione con la Terra si
scheggia in mille frammenti appena entra in contatto con l’atmosfera, generando una serie di eventi naturali
catastrofici che sconvolgono il clima e la superficie del pianeta, provocando estinzioni di massa e
scompaginando anche il relativo ordine tribale delle prime comunità umane. Circa il 70% dei mammiferi e molti
degli insediamenti antropici dell'America del Nord e delle grandi pianure euroasiatiche subiscono una crisi quasi
istantanea, tanto che molti resti fossili di grandi animali erbivori sembrano essere stati accumulati tutti insieme
da gigantesche onde di piena. Nello stesso periodo si registrano importanti migrazioni di grandi mammiferi e di
comunità umane. Ed è molto significativo che --in un tempo immediatamente successivo-- sia stato possibile
trovare le tracce di un ripopolamento esplosivo di vasti areali, come spesso succede dopo le grandi estinzioni di
massa (l’Arca di Noé non è forse una chiara metafora dei ripopolamenti ?). Un oggetto spaziale, dunque,
asteroide o cometa che sia, che viaggia alla velocità di circa 20 km al secondo (cioè a circa 70.000 km all'ora)
arriva nell'atmosfera del pianeta Terra, dissipando un'energia pari a circa 10.000 volte quella contenuta in tutti
gli attuali arsenali nucleari (108 megatoni). Il cratere che si forma a causa dell’impatto di quanto non è stato
distrutto durante il tragitto nell'atmosfera potrebbe avere avuto circa 100 km di diametro e sono aperte le ricerche
per individuarne i resti. Il racconto di questa catastrofe, che sopravvive nei miti e nelle leggende di tutti i popoli
del mondo, è il racconto dei sopravvissuti ed è, soprattutto, il racconto del diluvio.
Il primo effetto dell'impatto è una immane onda di calore, provocata da una sorta di palla di fuoco che
innesca incendi generalizzati nei boschi e nelle foreste anche a distanze superiori ai 1000 km dall’area
dell’impatto. Alla grande luce iniziale segue il grande buio: settimane o mesi di buio quasi totale causati
dall'immissione nell'atmosfera e nella stratosfera delle immense quantità di polveri sollevate dall'impatto del
corpo celeste e dalla fuliggine degli incendi successivi. Come già nel caso dell’estinzione dei dinosauri,
l’assenza di luce può provocare la soppressione della fotosintesi clorofilliana e la rottura della base delle catene
alimentari per gli animali superiori. Dopo l'ondata di calore la temperatura crolla, in tutte le aree continentali, al
di sotto di 0 °C, con un raffreddamento paragonabile a quello degli scenari proposti da molti scienziati per
l'inverno nucleare. Dopo il freddo, ancora il caldo: le polveri sparse nell'atmosfera si coagulano e ricadono,
lasciando spazio al ritorno della luce solare, ma creando le condizioni di un effetto-serra generalizzato che porta
a un riscaldamento globale (enfatizzato se l'impatto avviene in mare).
Finalmente il diluvio ! Le enormi quantità di vapore acqueo creano le condizioni per precipitazioni
copiose e dalle spiccate caratteristiche acide, con effetti devastanti sulla vegetazione terrestre; la reazione fra
azoto e ossigeno, in determinate condizioni, genera grandi quantità di acido nitrico che possono colorare di rosso
le piogge (le "piogge di sangue" dei miti). Se l'oggetto spaziale cade negli oceani si creano onde di marea
gigantesche che colpiscono regioni costiere anche molto distanti fra loro. Gli tsunami (i maremoti) possono
essere composti da onde alte anche più di trenta metri che si spostano a oltre 200 km all'ora. La combinazione di
tutte queste cause provoca generali inondazioni soprattutto nelle grandi pianure costiere che sono quelle più
popolate dai grandi erbivori e dalle prime comunità umane. Il diluvio universale è l'evento catastrofico per
antonomasia, ma non è solo un evento metereologico: ad esso sono associati i terremoti, i maremoti, le continue
piogge acide e bollenti, gli incendi, i venti violenti, le frane e le alluvioni. Al diluvio vengono inoltre sempre
associate le comparse nei cieli di una o più comete o stelle (in genere sei o sette, seguendo le suggestioni
magiche della cabala) e di sorgenti luminose in genere (“lune”, “soli”).
Di un diluvio, causa della sommersione temporanea della Terra sott’acqua, narrano quasi tutte le antiche
tradizioni che si trovano tanto nel mondo classico, quanto presso i popoli orientali e cosiddetti primitivi. In
particolare, le leggende del diluvio si tramandano nelle regioni fluviali e costiere come in Mesopotamia e lungo
il Nilo, sul litorale della Grecia e dell’Europa settentrionale, nel Pacifico meridionale (Oceania), in molte aree
dell’America meridionale e settentrionale. Dall’epopea di Gilgamesh, alla Bibbia, alla narrazione egizia intorno
alla “distruzione degli uomini”, al Satapathabrahmana indiano, ai canti dell’Edda della Scandinavia, i temi della
catastrofe naturale ritornano con una coincidenza sorprendente. In qualche caso questo evento viene descritto
come una successione di fenomeni che alcuni scienziati hanno già cercato di ricondurre a una catastrofe del
recente passato veramente accaduta.
La ricostruzione di un evento catastrofico corrispondente al diluvio universale avvenuto circa diecimila
anni fa presenta un’indubbia capacità di suggestione per i non specialisti e una notevole forza attrattiva anche per
i geologi. Nonostante le molte prove e gli indizi che si stanno raccogliendo in tutto il mondo ci sono ancora molti
elementi che mancano alla composizione del quadro finale. Intanto perché non tutte le specie animali consimili
si sono estinte ? In altre parole perché alcuni grandi mammiferi sono sopravvissuti alla crisi biologica mentre
tutti gli altri perivano ? D’altro canto, si può pensare che non sia necessario l’impatto di un corpo celeste per
provocare sconvolgimenti climatici paragonabili a quelli del passaggio Pleistocene-Olocene (la distinzione più
importante dell’era quaternaria, quella in cui viviamo). Importanti e ripetute eruzioni vulcaniche contemporanee
in diverse regioni della Terra possono alzare grandi quantità di polveri che inneschino processi simili a quelli già
descritti. Da un lato dunque la suggestiva ricostruzione neo-catastrofista per cui l’evoluzione della biosfera è
fortemente condizionata dal ripetersi di eventi catastrofici non prevedibili, dall’altro la tradizione attualistagradualista nella quale trovano maggiore importanza i fattori “interni” alla Terra, come i movimenti delle
placche litosferiche e le eruzioni vulcaniche: la disputa è ancora lontana dall’essere ricomposta.