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INDICE
Premessa
pag.
5
Capitolo Primo.
Uno sguardo sullo scenario italiano
SEZIONE I
1. Un passo indietro: esegesi del delitto di schiavitù, definizioni
ed evoluzioni
1.1.La Costituzione
1.2 Dal delitto di “plagio” al delitto di riduzione o mantenimento in
schiavitù o servitù
1.3 Schiavitù e plagio nel codice Rocco
1.4. La svolta della Corte Costituzionale: la sentenza n.96/1981
dichiara l’illegittimità costituzionale del delitto di plagio
1.5 La Sentenza Ceric introduce un concetto “estensivo” di schiavitù.
1.6 Criticità e rischi di una lettura troppo elastica: la necessità di una riforma.
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10
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SEZIONE II
2. La risposta alla necessità di una riforma: la legge 11 agosto 2003, n. 228,
“Misure contro la tratta delle persone”.
2.1. L’art. 600: la nuova riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù.
2.2 La nuova fattispecie della “riduzione in servitù”.
2.3. Incertezze circa la finalità dello sfruttamento: necessità di un movente
economico?
2.4. Modalità di realizzazione del fatto.
2.5 Trattamento sanzionatorio
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SEZIONE III
3. La tratta di persone
3.1. La tratta di persone nel riformulato art. 601 c.p.
3.2.Le principali novità della riforma.
3.3. Art. 416,c.p., sesto comma, aspetti criminologici della tratta.
4. La formula residuale dell’art. 602: il delitto di acquisto e alienazione
di schiavi.
5. L’Italia, uno stato pioniere nella tutela e nella protezione delle vittime.
1
39.
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43
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Capitolo Secondo.
Schiavitù e tratta nell’ordinamento francese.
Introduzione
pag.
63
SEZIONE I
Il reato di schiavitù e tratta nel diritto francese pre-riforma 2013.
1.“La Loi sur la sécurité intérieure” del 2003 introduce il reato di tratta
nell’ordinamento francese
1.1.Una necessaria definizione di sfruttamento: focus sul reato di
riduzione in schiavitù.
1.2.Una protezione delle vittime ineguale ed insufficiente
(pre-riforma 2013):Il Permesso di soggiorno.
2. La necessità di una riforma: le due condanne della Cedu.
2.1. Il rapporto Greta, trampolino di lancio per la Riforma del 2013
in merito ai reati di tratta
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SEZIONE II.
La riforma francese del 2013 in comparazione con il sistema italiano.
3. L’iter di approvazione.
3.1. Il nuovo reato di tratta.
3.2. Il reato di tratta a confronto: legislazione italiana e legislazione francese.
3.3. La Francia introduce i nuovi reati di schiavitù, servitù e lavoro forzato.
3.4. Reati di schiavitù e servitù a confronto: legislazione italiana e francese
3.5. Reato di Servitù a confronto: legislazione italiana e francese
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SEZIONE III.
Gli indirizzi dell’Unione europea: adempimento da parte dell’Italia e della Francia
4. La Francia e l’Italia si confrontano con l’Europa.
4.1. Recepimento della direttiva da parte della Francia ed inadempimento
dell’Italia
4.2. Le inadempienze dell’Italia.
4.3. Adempimento integrale della Francia alla Direttiva 2011/36/Ue?
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Capitolo Terzo
Il delitto di schiavitù e tratta in una dimensione europea.
SEZIONE I
Lotta alle nuove schiavitù e tratta in una prospettiva europea.
1.Il diritto internazionale ed europeo di fronte alla schiavitù.
2. Il diritto internazionale di fronte al reato di tratta.
2.1 La convenzione di Palermo e i due protocolli: tratti generali.
2.2 La Convenzione di Palermo verso un’armonizzazione
normativa a livello internazionale
2.3. Le disposizioni in materia di cooperazione giudiziaria:
la richiesta di assistenza giudiziaria nella Convenzione ONU
2.4. Altri strumenti di cooperazione giudiziaria nella fase investigativa
e di prevenzione.
2.5.Un tentativo fallito? Limiti della Convenzione di Palermo
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SEZIONE II
3. L’Europa verso la creazione di un Diritto penale europeo.
3.1.Verso un rafforzamento della competenza penale dell’Unione:
il Trattato di Lisbona.
3.2. Altre forme di cooperazione giudiziaria: gli organi e gli strumenti della
cooperazione operativa
3.2.1. Cooperazione di polizia: Europol e le squadre investigative comuni.
3.2.2. Europol dal Trattato di Amsterdam al Trattato di Lisbona.
3.2.3.Le squadre investigative comuni.
3.3. Gli attori della cooperazione europea a livello giudiziario:
Eurojust e il Procuratore europeo.
3.3.1. La procura europea.
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SEZIONE III
4. Punizione, prevenzione e protezione degli esseri umani nelle
politiche europee: approccio olistico ed integrato.
4.1. La difficile attuazione di una tutela della vittima nei primi
strumenti normativi europei di lotta alla tratta: la Decisione quadro del consiglio
europeo 2002/629/GAI.
4.2. Il permesso di soggiorno temporaneo in una deludente
logica premiale: la direttiva 2004/81/CE.
4.3 Il rapporto del gruppo di esperti sulla tratta di esseri umani.
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4.4. La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro
la tratta degli esseri umani.
5. Esigenza di una riforma: la Direttiva 2011/36/UE.
5.1. I contenuti della nuova Direttiva: aspetti generali.
5.2.Profili di assistenza e tutela della vittima.
5.3. La prevenzione del reato di tratta nella Direttiva.
5.4.Il recepimento della Direttiva 2011/36/UE in Europa.
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Conclusioni
192
Bibliografia
194
4
PREMESSA.
La schiavitù è una parola dal forte impatto evocativo, rimanda a mondi lontani nel
tempo e nello spazio, fatti di catene e pelle nera.
Noi, “uomini moderni”, abitanti di un mondo civilizzato, ci sentiamo estranei e lontani
da questa pratica così selvaggia: proprio quest’inganno probabilmente ci permette di
ignorare le 27 milioni di vittime della “schiavitù moderna” 1, dato che ovviamente non
considera tutti quei casi che sfuggono all’ufficialità di una statistica. Vi sono molti più
schiavi viventi oggi di quanti non ne furono portati via dall’Africa durante l’intero
periodo della tratta transcontinentale2.
È vero, per millenni gli esseri umani sono stati fatti schiavi: nell’Antico Egitto come
nella Grecia antica o sotto l’impero romano la schiavitù era parte integrante del sistema
sociale: una pratica accettata e legalizzata3. Ed è attraverso le economie schiavistiche
dell’America e del Brasile del secolo scorso che la schiavitù legale di vecchio tipo si è
trasformata, assumendo forme nuove, quelle di oggi 4.
La schiavitù in effetti non è mai scomparsa: le sue radici sono così profonde e salde da
sembrare impresa impossibile estirparle: essa si presenta come un enorme business,
garantisce ghiotti introiti economici che troppo spesso molti governi son portati ad
ignorare, se non ad appoggiare.
1
DEPARTEMENT OF STATE, UNITED STATES OF AMERICA, Trafficking in persons report, June
2013.
2
K. BALES, I nuovi schiavi, la merce umana nell’economia globale , Feltrinelli editore, 2010, pg. 22.
3
A.G. CANNEVALE, C. LAZZARRI, voce schiavitù e servitù (diritto penale), in Digesto delle
discipline penalistiche, a cura di Alfredo Gaito, Utet giuridica, IV edizione, “…in effetti, sia l’antichità
greco romana, sia quella del vicino oriente, conobbero la schiavitù, si pensi che di essa vi è traccia già
nelle XII tavole, intorno alla metà del V sec a.C.. Senza dubbio la condizione degli schiavi non fu uguale
nei vari luoghi e nei vari tempi. E cosi come non fu uguale in Grecia e a Roma nel periodo antico e nei
periodi successivi. Tuttavia, al di là delle varianti, anche di rilievo, una comune situazione di fondo
sussisteva, e può individuarsi nel punto fondamentale per cui lo schiavo non aveva capacità giuridica, e
quindi non poteva essere titolare di nessuna situazione giuridica. L’esperienza giuridico romana è
caratterizzata dalla circostanza che lo schema del potere del padrone sullo schiavo coincide con la figura
in genere della proprietà (…) Nella societas romana,perciò la posizione e lo status dello schiavo
coincidevano perfettamente con quella condizione che i tempi moderni hanno poi definito la reificazione
della persona, la riduzione cioè dell’essere umano a cosa; con la conseguenza che la concezione di
schiavitù altro non è se non quel complesso fenomeno che consente una supremazia totale dell’uomo
sull’uomo, e quindi la possibilità di utilizzare l’uomo come strumento, come res.(…) il regime giuridico
della servitù in diritto romano coincide, sostanzialmente, con lo schema della proprietà, ma
nell’esperienza romana si riscontrano delle situazioni che potrebbero chiamarsi “paraservili”,intermedie
cioè fra la schiavitù e la libertà.(…)Ciò posto, se il diritto romano e il diritto intermedio conoscono istituti
giuridici qualificabili come situazioni di assoggettamento di fatto (permanente e continuativo) di un uomo
al servizio di un altro uomo, i nexi al creditore, i colini al signore, i servi della gleba al feudatario, è in
esse che vanno ricercati gli antecedenti storici e le origini dell’istituto della servitù”.
4
M. MELTZER, Slavery: a world history, De Capo press, New York,1993.
5
Troppi gli interessi coinvolti, troppi i vantaggi economici a livello internazionale, la
stretta connessione fra schiavitù e mondo degli affari,
ed ultima ma non ultima,
l’immutata/immutabile natura umana con il suo istinto di sopraffazione.
La schiavitù è senza dubbio l’estrema violazione dei diritti umani- seconda solo
all’assassinio- e per un’efficace azione di contrasto sono necessari due ingredienti
fondamentali: la volontà politica (che si esprime attraverso le leggi) e la volontà di
proteggere la vittima.
In questo il diritto ha una grande responsabilità, che è quella di disporre leggi chiare e
precise, che permettano di individuare le violazioni da perseguire5 e la necessità di
predisporre strumenti che siano in grado di contrastare efficacemente il problema, che
operino non solo a livello interno ma in un’ottica di armonizzazione con le politiche di
altre nazioni: quest’esigenza nasce dal fatto che il problema della schiavitù pare
intimamente connesso con il fenomeno della tratta, crimine che può essere
efficacemente combattuto solo con un’azione coordinata fra più stati.
Ed è proprio partendo da questa consapevolezza che intendiamo condurre uno studio di
ricerca sul tema delle “Nuove forme di schiavitù”, con l’intenzione di svolgere
un’analisi comparata del concetto di schiavitù, in una prospettiva europea.
Nello spazio Schengen in cui abitiamo, uno spazio di libera circolazione che non
conosce frontiere, un’analisi del fenomeno prettamente locale corre il rischio di non
raffrontarsi con la realtà, restando ancorata a concezioni del passato, nelle quali ogni
Stato poteva e sapeva risolvere i suoi problemi da sé.
Oggi le cose sono decisamente cambiate.
Risulterebbe così miope, o quantomeno obsoleto, il tentativo di analizzare il fenomeno
da una prospettiva esclusiva, quale può esser la nostra realtà italiana o quella di un
qualsiasi altro paese dell’Unione.
Da qui nasce l’idea di approfondire il fenomeno in senso “europeo”.
Ancor più esaustivo sarebbe uno studio a livello internazionale, qui però ci limiteremo
ad un confronto fra due sistemi legislativi (caso francese e caso italiano) per giungere
infine ad un’analisi delle risposte fornite dall’Unione al fenomeno della schiavitù e della
tratta degli esseri umani.
5
K. BALES, op.cit, pg. 35.
6
Difatti, sempre più pressante emerge la necessità di una strategia comune, di una
cooperazione fra Stati, l’urgenza di una sinergia che potrebbe condurre finalmente, se
non proprio al completo superamento del fenomeno, per lo meno ad una drastica
riduzione dello stesso.
Per arrivare a queste conclusioni però, occorrerà lavorare per gradi, fare un passo
indietro e “scomporre i pezzi “: Partendo dell’esperienza dei singoli stati, intendo
indagare sull’evoluzione delle rispettive legislazioni in materia, dalle prime leggi alle
ultimissime novità.
Cercheremo di ricostruire il lungo percorso intrapreso che ci ha condotti sino allo
scenario attuale, non solo dal punto di vista del legislatore, ma considerando anche il
contributo fondamentale di giurisprudenza e dottrina.
Come dicevo, lo studio si occuperà in particolare di due paesi dell’Unione Europea: da
una parte la Francia, paese di estremo interesse in quanto protagonista di un
recentissimo intervento riformistico su reati di schiavitù e tratta, e dell’altra l’Italia, il
mio paese.
Il confronto fra i due servirà per comprendere l’approccio che i relativi ordinamenti
hanno riservato al tema della schiavitù e tratta; in una prospettiva comparatistica,
faremo emergere le differenze e le analogie, le distanze che corrono fra le due
concezioni, per valutare infine se e quanto i rispettivi paesi possano dirsi in linea con le
indicazioni poste dall’Unione europea, in un tentativo di armonizzazione della materia.
In particolare mi soffermerò sulle novità della riforma francese, per valutar gli aspetti di
novità introdotti rispetto alla disciplina previgente e al fine di compararli con la
legislazione del nostro paese.
Nella ricerca, cercheremo di indagare inoltre sulle politiche nazionali messe in atto dai
due paesi nella lotta contro la riduzione in schiavitù, ed infine le possibili implicazioni
di criminalità organizzata in questo genere di reati.
Il nostro viaggio nell’intricato e nebuloso mondo della legislazione in materia di
schiavitù partirà nel prossimo capitolo proprio da un’analisi dei concetti base e delle
definizioni che il nostro ordinamento ha teorizzato, spinta soprattutto dalla necessità di
rintracciare una definizione chiara e univoca che permetta di individuare con precisione
le violazioni che la legge intende perseguire.
7
”Fil rouge” dell’intera trattazione saranno delle domande chiave alle quali tenteremo di
dare riposta: quali sono gli strumenti che i singoli stati presi in esame predispongono
per contrastare le moderne forme di schiavitù ? Sono sufficienti? E ancora, quali sono
invece le misure predisposte dall’Unione europea? Un’armonizzazione della
legislazione a livello europeo potrebbe effettivamente essere d’aiuto a contrastare
efficacemente il fenomeno?
L’obiettivo finale del lavoro è quello di ottenere un quadro completo della situazione a
livello nazionale ed europeo, prendere atto di quella che è la situazione attuale, i
possibili scenari futuri ed infine le azioni auspicabili affinché finalmente si spezzino le
vergognose catene di questi “schiavi del nostro tempo”.
8
CAPITOLO PRIMO.
Uno sguardo sullo scenario italiano.
1.Un passo indietro: esegesi del delitto di schiavitù,
definizioni ed evoluzioni.
Il concetto di schiavitù nel nostro ordinamento penale certo non è nuovo: i suoi antenati
giacciono fra le pagine del codice Toscano del 18536 ,passando attraverso il codice
penale Zanardelli del 1889, per approdare infine
nell’art.600 del codice fascista
“Rocco” e in ultimo modificato con l’intervento ad opera del’art. 1,l. 11 agosto 2003,
n°228, sotto la rubrica “Riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù””, che punisce
con la reclusione da otto a venti anni “chiunque esercita su una persona poteri
corrispondenti a quelli del diritto di proprietà”.
La novella del 2003 ha altresì previsto la medesima pena per “chiunque riduce o
mantiene una persona in uno stato di soggezione continuativa, costringendola
a
prestazioni lavorative o sessuali ovvero all’accattonaggio o comunque a prestazioni
che ne comportino lo sfruttamento”.7
Occorre fare un passo indietro per cogliere i passaggi fondamentali e le circostanze
storico-giuridiche che hanno portato questo delitto a trasformarsi nel corso del tempo ed
assumere le dimensioni e le definizioni che possiede attualmente.
L’ideologia illuministico-liberale e la visione contrattualistica sottesa al codice penale
Zanardelli 8 emergono chiaramente dalla sistemazione del delitto di schiavitù all’interno
del codice: rubricato sotto il nome di “plagio” all’art. 145,contemplava la condotta di
chi avesse ridotto una persona in schiavitù o in una condizione analoga. 9 Il delitto
6
Il codice penale Toscano del 1853 prevedeva, all’art.358 il delitto di plagio, consistente nel fatto di
chiunque “per qualsivoglia scopo,in grazia del quale il fatto non trapassi il titolo di un altro delitto,si è
ingiustamente impadronito d’una persona,suo malgrado, od anche d’una persona consenziente,che sia
minore di anni quattordici”.
7
S.APRILE, Delitti contro la personalità individuale, CEDAM , Torino,2006, pg. 47.
8
F. RESTA, Vecchie e nuove schiavitù, Giuffrè editore, 2008, “…una concezione propria di quel
contrattualismo classico- secondo cui l’abdicazione, da parte del singolo, alla propria sfera di libertà
originaria è funzionale all’instaurazione di un ordinamento idoneo a garantire la tutela delle posizioni
giuridico soggettive. Fini questi, che concorrevano a legittimare ab externo la sovranità statuale, ferma
restando l’idea lockiana della conservazione, nello Stato, della naturale indipendenza dell’uomo
dall’esercizio assoluto ed arbitrario del potere”
9
G. CARUSO, Delitti di schiavitù e dignità umana nella riforma degli art. 600, 601 e 602 del Codice
Penale, contributo all’interpretazione della l. 11 agosto 2003, n.228,CEDAM,2005, pg. 14.
9
trovava spazio al titolo secondo cap.3° del codice nella sezione dei “delitti contro la
libertà”, titolo autonomo (e precedente ) rispetto ai “delitti contro la persona”. Inoltre, lo
stesso era in una posizione immediatamente successiva alla parte relativa ai “delitti
contro lo Stato”.
Questa sistemazione mostrava la forte valorizzazione del carattere metapositivo della
libertà, quale diritto inalienabile e valore unitario la cui essenza non deriva da una
creazione politica ma da una prerogativa connaturale all’uomo, nell’ottica di una
concezione tipicamente contrattualistica che concepisce la libertà come un bene naturale
preesistente alla costituzione della società giuridica.10
Il codice penale Zanardelli insomma s’inseriva appieno in quella corrente liberale che
caratterizzava l’Italia di quel periodo.
Le cose cambiarono drasticamente con l’irrompere dell’ideologia fascista e
l’introduzione del nuovo codice penale del 1930, il “Codice Rocco”.
La formulazione degli articoli sulla schiavitù è ispirata dalla ideologia fascista e dal
ripensamento del bene giuridico della libertà individuale: la libertà è ridotta a mero
riflesso del riconoscimento normativo e dell’ordinamento giuridico l’uomo non è più il
fondamento, bensì il prodotto.11
Nell’ottica del legislatore fascista, era proprio dall’ordinamento statuale che discendeva
il diritto di libertà
del singolo;lo Stato è inteso quale unica fonte, autonoma e
volontaria, di creazione dei diritti dei cittadini.12
1.1. La Costituzione.
È con l’avvento della Costituzione che si assiste ad una rielaborazione del concetto di
libertà di ogni singolo uomo, determinando un’inversione della “scala valori” rispetto a
quella affermatasi precedentemente. Essa si preoccupa di garantire e tutelare i diritti
inviolabili dell’uomo (art. 2) fra questi naturalmente ricomprendendo lo stato di uomo
10
F.RESTA ,voce personalità individuale (delitti contro la),in Dizionario di diritto pubblico, A. Giuffrè
Editore Milano, anno 2006, pg.6.
11
Relazione ministeriale sul progetto del codice penale, II, 364 “La libertà individuale è intesa non già
come una concezione astratta di un bene naturale preesistente alla costituzione della società giuridica,
sibbene come il complesso delle condizioni necessarie allo svolgimento delle attività consentite per la
libera esplicazione della personalità umana”.
12
V. MANZINI, Trattato di diritto penale, a cura di P.Nuvolone e G.D.Pisapia ,VIII, pg. 623, in cui si
afferma la centralità dello Stato quale fonte dei diritti del cittadino.
10
libero. La novità risiede nel fatto che questi diritti inviolabili vengono per l’appunto
“riconosciuti” e non “introdotti dall’ordinamento” ,come si sosteneva sotto il previgente
ordinamento albertino e fascista, ove si rinveniva la fonte dei diritti del singolo
rispettivamente nel sovrano e nello stato.13 L’articolo 2 della Costituzione valorizza la
natura ontologica, e dunque pre-costituzionale, dei “diritti inviolabili” dell’uomo, quali
diritti fondamentali riconosciuti e garantiti dall’ordinamento, non da esso creati.14
I tre fattori di fondamentale importanza nel riconoscimento della libertà, attraverso cui
la personalità di ogni individuo può esprimersi, diventano: indipendenza, autonomia e
dignità. Si afferma cosi quell’importantissimo principio personalistico, che impedisce di
considerare l’uomo in funzione di fini che lo trascendano, e che lo attesta titolare di
diritti anteriori alla costituzione dello Stato, centro dell’organizzazione sociale e politica
dello stesso.
Dall’analisi condotta dall’illustre giurista Vincenzo Manzini, emerge che il bene
giuridico tutelato dagli art.600 ss del codice penale del 1930 è esattamente “la libertà
individuale,in quanto particolarmente si attiene all’interesse dello Stato di salvaguardare
in ogni persona lo “status
libertatis” contro i fatti individuali consistenti nella
sottoposizione di una o più persone alla schiavitù od altra condizione analoga, di diritto
o di fatto, o che contribuiscono al mantenimento in tale stato”. L’idea esposta dal
Manzini conferma l’indirizzo della dottrina dell’epoca, che considerava lo “status
libertatis” come il complesso delle singole manifestazioni di libertà, non riducibile ad
una specifica forma; questo si concretizzava nello stato di uomo libero, presupposto
indefettibile per il riconoscimento stesso dei singoli diritti di libertà.15
Dunque, a prescindere
dall’aggressione ad un particolare aspetto della libertà
individuale, la condizione primaria affinché la persona stessa potesse godere delle
singole libertà di determinazione, sarebbe stato il completo godimento dello status di
libertà individuale. Ecco perché nasce l’esigenza di reprimere la costituzione di rapporti
di padronanza, in quanto un uomo verrebbe cosi a trovarsi privato delle capacità relative
13
S.APRILE, op.cit, pg. 45.
P. SCEVI, Premesse per uno studio sui delitti di schiavitù e tratta di persone nel quadro della tutela
del diritto alla libertà, in Rivista penale, n.10/2012, pg.934.
15
VIGANO’ F. ,in Codice penale commentato, Parte speciale, a cura di DOLCINI E., G. MARINUCCI,
Milano, 1999, pg. 3115.
14
11
alla personalità individuale.16 La libertà di status si mostra quindi come la ineliminabile
e massima fra le libertà individuali: senza di essa ogni altra libertà è priva di senso.
Alla luce di questi chiarimenti, si noterà com’è proprio la “reificazione della persona” il
profilo caratterizzante gli illeciti descritti dagli art. 600 e ss. del codice penale, in cui
l’idoneità lesiva risiede nella privazione in capo alla vittima dello status dell’habeas
corpus, negandole la libertà di autodeterminazione e la possibilità di realizzare se stessa
come fine in se, impedendole di esercitare quelle libertà caratterizzanti lo status
libertatis.17
1.2Dal delitto di “plagio” al delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù o
servitù.
La fattispecie descritta dal codice Zanardelli all’art.145, descriveva il fatto di plagio 18
come il fatto di “chiunque riduce una persona in ischiavitù o in altra condizione
analoga”.
La laconicità della norma poneva molti problemi esegetici e sistematici. Per anni
giurisprudenza e dottrina si sono cimentate nel tentativo di attribuirle un significato
preciso e chiaro, mostrandosi entrambe le tipologie fortemente carenti dal punto di vista
descrittivo e lasciando all’interprete l’arduo compito di dare un contenuto al termine
“schiavitù” (a quel tempo non si poteva ancora far riferimento alla definizione data nella
Convenzione di Ginevra del 1926) 19
La dottrina unanime convenne nella necessità di considerare la nozione di schiavitù
come una “schiavitù di diritto” ossia lo status di schiavo doveva, per assumere rilevanza
16
G.CARUSO, Delitti di schiavitù e dignità umana nella riforma degli art. 600, 601 e 602 del Codice
Penale, contributo all’interpretazione della l. 11 agosto 2003, n.228,CEDAM,2005, pg.19.
17
F. RESTA, op. cit.,pg 75 ss.
18
Il nomen juris attribuito alla fattispecie dal legislatore del 1889 riprendeva il termine che nella
tradizione greco-romana indicava la sottrazione di un servus al proprio dominus, così mutando lo status
giuridico. In ordinamenti arcaici che, come quello greco o quello romano, legittimavano l’istituto della
servitus quale diritto di proprietà dell’uomo su altri uomini il plagio rappresentava quini un’ipotesi
qualificata di furto, il cui più significativo disvalore risiedeva nell’avere ad oggetto una persona
considerata alla stregua di una res.
19
M.C. BARBIERI, La riduzione in schiavitù:un passato che non vuole passare. Un’indagine storica
sulla costruzione e i limiti del tipo, in Quad. Fiorent, 2010, n°30, pg 229 ss.
12
ai fini dell’integrazione della fattispecie in esame, essere consacrato e disciplinato in un
ordinamento.20
Maggiori perplessità sollevava l’ermeneutica della formula “condizione analoga di
schiavitù” la quale secondo alcuni doveva essere intesa come situazione di mero fatto,
caratterizzate dall’assoggettamento servile di un uomo ad un altro individuo. 21
Di contro vi era la tesi di coloro i quali, nell’intento di limitare l’arbitrio del giudice e
ridimensionare la vaghezza della formula, la riferirono alle sole schiavitù di diritto,
riferendo questa norma unicamente ad istituti giuridicamente riconosciuti. 22
Interpretazioni di questo tipo determinavano inevitabilmente un restringimento
dell’applicazione della stessa, se non addirittura una sua sostanziale disapplicazione,
escludendo la sua operatività in Italia, ove non esisteva la schiavitù né tantomeno
istituti giuridici ad essa assimilabili. Secondo quest’interpretazione, la norma avrebbe
trovato applicazione solo in relazione a fatti commessi all’estero, causando così un
grave deficit di effettività della stessa.
1.3 Schiavitù e plagio nel codice Rocco.
Fu probabilmente proprio a causa di queste incertezze esegetiche che i redattori del
progetto del Codice Rocco, all’esito di un controverso dibattito in sede di lavori
preparatori, decisero di scindere l’articolo in due ipotesi differenti: l’art. 600, riduzione
in schiavitù (sostanzialmente identico all’art. 145 del delitto di plagio) e art. 603, delitto
di plagio (chiunque sottopone una persona al proprio potere in modo da ridurla in uno
stato di totale soggezione).
Di questi, il primo previsto al fine di reprimere le condotte di schiavitù di diritto, il
secondo le condotte di schiavitù di fatto.23
20
A.G. CANNEVALE, C. LAZZARI, voce schiavitù e servitù (dirtto penale), in Digesto delle discipline
penalistiche, a cura di Alfredo Gaito, Utet giuridica, IV edizione.
21
Si veda MANZINI V., Trattato di diritto penale, op. cit, pg. 69:egli riteneva che la legge,con entrambe
le espressioni, avesse inteso riferirsi a situazioni di fatto,incriminando tutte le condotte capaci di ridurre
un individuo “nello stato tradizionale dello schiavo, cioè nella più ampia soggezione servile verso un
padrone”.
22
NOSEDA E., Enciclopedia del diritto penale italiano,diretta dal prof. Enrico Pessina, Milano, 1909
23
Cosi come lucidamente esplicato nella relazione del Ministro guardasigilli sul progetto definitivo del
nuovo codice penale: “ Sono note le discussioni alle quali ha dato luogo l’art.145 del codice del 1889,
intese a stabilire se per schiavitù o altra condizione fosse da intendere schiavitù e condizione di diritto,
ovvero anche di fatto. Il progetto ha eliminato ogni dubbio,considerando la condizione di diritto quella
dell’art. 600 e quella di fatto nell’art.603. Di fronte al vantaggio indiscutibile della chiarezza e per la
13
Come si vedrà in realtà questa scissione fu tutt’altro che risolutiva delle incertezze
relative alla norma in esame. Come osserva l’Antolisei: “la scissione operata dai
compilatori del codice Rocco costituì un esempio tipico di quella deplorevole tendenza
alla moltiplicazione delle norme legali e allo spezzettamento delle figure criminose,
tendenza che rappresentava e rappresenta uno dei maggiori difetti tecnici del codice
medesimo”. 24
In sostanza i problemi prospettati dalla vaghezza del codice Zanardelli si ripetono in
egual misura: continuano le incertezze circa la natura della schiavitù, numerosi sono i
dubbi in relazione alle possibili applicazione a casi concreti, impedendo di comprendere
ancora una volta il significato esatto di “condizioni analoghe alla schiavitù”.
Innanzitutto si dovette rispondere alla necessità di dare delle definizioni: al concetto di
schiavitù, in assenza di un preciso indirizzo del legislatore, s’impose la formula
elaborata dalla Convenzione di Ginevra del 1926, che cosi recitava: “la schiavitù è lo
stato o condizione di un individuo sul quale si esercitano gli attributi del diritto di
proprietà o alcuni di essi”25.
Maggiori dissensi si registrarono in relazione alla “condizione analoga alla schiavitù”,
secondo alcuni ricavabile dalla Convenzione di Ginevra del 1956, 26 secondo altri
svincolata da qualsiasi riferimento al diritto positivo e rinvenibile in una situazione
socio economica riconoscibile dal comune sentire, qualificabile secondo le
caratteristiche sostanziali dello stato obiettivo dello schiavo.
La dottrina era ancora profondamente divisa e così, nonostante la chiarissima
esplicazione fatta nella relazione del ministro del Guardasigilli sul progetto definitivo
del nuovo codice (vedi nota 23), non mancava in dottrina chi sosteneva che nella
formulazione dell’art. 600 non vi fossero elementi sufficienti per escludere dal suo
considerazione che trattasi di figure delittuose distinte,non ho creduto di accogliere la proposta di
fondere i due articoli” in Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, V, pt.
II,Roma, 1929,
24
ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, parte speciale, vol.I, Giuffrè, Milano 2008, pg. 275.
25
MARINI G., Delitti contro la persona, Torino, 1996: “La dottrina si rifà alle convenzioni internazionali
sulla schiavitù e alla Dichiarazione europea sui diritti dell’uomo, chiarendo che la schiavitù cui si riferisce
il legislatore è solo quella in senso giuridico(…..), Pg. 147 ss.
26
La Convenzione supplementare sulla schiavitù di Ginevra in data 7/9/ 1956,ratificata e resa esecutiva in
Italia con l.20/12/1957, n° 1304, parifica ad ogni effetto alla schiavitù talune condizioni tassativamente
elencate: “la servitù per debiti, il servaggio o servitù della gleba; le istituzioni e pratiche sociali che
consentano: la vendita di una donna nubile come sposa anche in assenza del di lei consenso, la cessione
di una donna a un terzo a titolo oneroso da parte del marito, della famiglia o del clan, il trasferimento
della donna per successione alla morte del marito, la vendita di un minore di anni diciotto da parte dei
genitori o del tutore, in vista dello sfruttamento del suo lavoro o della sua persona”.
14
ambito di applicazione le situazioni di assoggettamento di mero fatto27.Difatti non vi è
nulla che faccia riferimento alla necessaria esistenza di un istituto giuridico che legittimi
la reificazione umana.
Nonostante l’indiscutibile correttezza di queste osservazioni, la dottrina prevalente e la
giurisprudenza costante sostennero per lungo periodo
l’ipotesi elaborata dal
Guardasigilli, identificando i concetti di schiavitù e condizione analoga con situazioni di
diritto, determinando l’impossibilità dell’applicazione della fattispecie sul territorio
italiano e condannando gli stessi ad un destino di inutilizzazione pratica, considerato
che gli istituti di schiavitù, del lavoro forzato e della servitù della gleba erano stati da
molto tempo aboliti nel nostro ordinamento. La norma poteva trovare applicazione solo
all’estero, in ordinamenti in cui queste pratiche fossero ancora previste dalla legge.
Al contrario, le situazioni di schiavitù di fatto venivano ricondotte alla diversa norma
incriminatrice del plagio28, così allontanando l’ipotesi di un’interpretazione letterale
che avrebbe esposto l’articolo a facili censure d’indeterminatezza da parte della Corte
Costituzionale.29 Inoltre, venivano ricomprese nell’ambito di applicazione del 603
anche quelle ipotesi di “servaggio psichico”: pertanto il plagio poteva configurarsi non
solo tramite l’uso della violenza fisica ma anche per mezzo di violenza psicologica, in
maniera tale che il soggetto passivo, in virtù di un vincolo di assoluta soggezione
psicologica, fosse sottoposto al potere completo del reo, con una quasi integrale
soppressione della libertà e dell’autonomia della persona.30
27
ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, parte speciale, Vol. I, Milano, 1977.
S.LA ROCCA, La schiavitù nel diritto internazionale e nazionale, in AA.VV, Il lavoro servile e le
nuove schiavitù, a cura di F. Carchedi, G.Mottura, E. Pugliese, Milano 2003, pg. 186.
29
Difatti,nel tentativo di conferire maggiore determinatezza alla fattispecie, ed evitare una pronuncia
d’incostituzionalità per mancato rispetto art. 25 cost, che sanciva il principio di tassatività, la dottrina
prevalente optò per un’interpretazione tassativa della fattispecie riferibile all’elenco prefigurato all’art. 1
della Convenzione di Ginevra del 1956.
30
S.LA ROCCA, La schiavitù nel diritto internazionale e nazionale, op. cit., pg. 186.
28
15
1.4. La svolta della Corte Costituzionale: la sentenza n.96/1981 dichiara
l’illegittimità costituzionale del delitto di plagio.
Questa situazione di stallo durò fino all’intervento della Corte Costituzionale, che con la
sentenza n°96/198131 dichiarò l’illegittimità costituzionale del delitto di plagio, ex art.
603 del codice penale, in quanto in contrasto con gli art. 21 e 25 della Costituzione.
Sino a quel momento giurisprudenza e dottrina, come già indicato, inquadravano la
fattispecie del delitto di plagio nella situazione di permanente e fattuale soggezione al
potere altrui, derivante da una condotta violenta, minacciosa o anche solo suggestiva in
grado di operare sul piano psicologico, sacrificando la personalità del plagiato tanto da
eliminarne le facoltà di autodeterminazione;32di contro, la riduzione in schiavitù veniva
ristretta alle sole ipotesi di azione secondo diritto, escludendo la punibilità delle
schiavitù di fatto.
La Corte Costituzionale abbracciò un orientamento del tutto differente, affermando che
il delitto ex art. 600 avrebbe ricompreso non solo situazioni di diritto ma altresì
situazioni di fatto, in particolare dovendosi leggere
la locuzione “schiavitù” e
“condizioni analoghe alla schiavitù” alla luce delle definizioni date dalla Convenzione
di Ginevra, stipulate dal nostro paese per contrastare la schiavitù e la tratta di schiavi.
Conseguenze immediate ricadono sulla fattispecie di plagio che depurata dalla nozione
di schiavitù di fatto che giurisprudenza e dottrina le attribuivano, si riduceva ai soli casi
di soggezione psicologica: in tal modo, la norma superava i limiti costituzionali di
determinatezza della fattispecie, violando il principio di tassatività e determinatezza
imposti dalla Costituzione.33 La norma risultava così espunta dall’ordinamento.34
31
C. cost, 8 giugno 1981 n°96 (in G.U. del 10 giugno 1981 n°153) ne Il foro Italiano, I, 275.
Cass, 30 settembre 1971, Braibanti, CED 119.95, FI 1972, II, diviene emblematico il caso Braibanti, in
cui la corte di Cassazione diede delle definizioni esaustive del reato di plagio e dei suoi confini rispetto
alla schiavitù. Cosi si legge: << L’evento del reato di plagio consistente in una situazione permanente di
fatto (e non di diritto come nella schiavitù) può essere utilizzato non soltanto con minacce o violenza
fisiche ovvero con sostanze droganti o allucinogene, ma anche mediante una condotta suggestiva, che
operando precipuamente sul piano psicologico, sia idonea a sacrificare totalmente, anche se non in senso
assoluto, la personalità della vittima, sopprimendone le facoltà di autodeterminazione in modo da farla
sottostare al dominio esclusivo del sopraffattore, senza possibilità di critica e ribellione>>.
33
L’impossibilità di accertare nella realtà, l’esistenza di uno stato di soggezione psichica, tale da
sopprimere integralmente ogni libertà o autonomia del soggetto plagiato, spinse la Corte a dichiarare
l’illegittimità dell’art. 603 cod.penale alla luce dell’art. 25 co 2 della cost.
34
S.APRILE, Delitti contro la personalità individuale, CEDAM , Torino,2008.
32
16
Come già precisato, il richiamo operato dalla Corte Costituzionale è rivolto alla
Convenzione di Ginevra del 1926, e alla convenzione supplementare
del 1956: tali
testi definiscono le “istituzioni e pratiche analoghe alla schiavitù”, ove figurano non
solo condizioni di diritto ma altresì condizioni di fatto, realizzabili cioè senza che alcun
fatto o atto normativo che le autorizzi.
Pertanto la locuzione “condizioni analoghe alla schiavitù” contenuta nell’art. 600 dovrà
essere interpretata alla luce delle definizioni dei patti internazionali, al fine di eliminare
l’arbitrio interpretativo del giudice.
Dopo qualche resistenza iniziale, dottrina e giurisprudenza iniziarono ad avvalersi della
fattispecie di riduzione in schiavitù così come ridisegnata dalla corte di legittimità.
Il caso pilota dell’applicazione del delitto di riduzione in schiavitù di fatto si registra
con un caso esaminato dalla Corte d’Assise di Milano,35 al fine di reprimere il
fenomeno dei c.d. minori argati,36 <<la spregevole pratica di sfruttamento e commercio
di bambini, specie di origine slava>>.37 La decisione costituisce il primo esempio di
applicazione del delitto di riduzione in schiavitù a fatti commessi in luogo ove non
esiste lo schiavismo: è la prima pronuncia concreta in tema di schiavitù non secondo
diritto, resa possibile solo grazie alla precedente sentenza ablativa del reato di plagio.
In realtà però, non tutti i dubbi furono sciolti: resta irrisolta ancora una questione, e cioè
se il collegamento fra art. 600 c.p. e la normativa internazionale avesse una rilevanza
meramente esemplificativa, e non tassativa della catalogazione contenuta nell’art. 1
della Convenzione ginevrina del 1956.
La tecnica del rinvio alla normativa convenzionale infatti vide dominare due
contrapposti orientamenti in ordine all’individuazione delle situazioni di fatto: il primo,
individuava la “condizione analoga alla schiavitù” in base all’elencazione tassativa
convenzionale; il secondo, al contrario,attribuiva all’elencazione un valore meramente
esemplificativo.
35
C. Ass.Milano, 27 ottobre 1986, Iskender, IP 1987, 113, con nota di PISANI, I bambini argati e la
riduzione in schiavitù. Il caso in esame s’interessa della cessione, avvenuta nella repubblica federale
Jugoslava, di minori da parte dei rispettivi genitori ad altri cittadini slavi-rom,che successivamente
impiegavano i medesimi bambini acquistati, quale proprietà dominicale oggetto di sfruttamento
economico, nel territorio italiano, per la commissione di furti. Esso ricadeva sotto il divieto imposto dalla
norma convenzionale art. 1 lett.d.
36
Dallo slavo “argat” letteralmente “operaio”.
37
VISCONTI C. , Riduzione in schiavitù:un passo avanti o due indietro delle Sezioni Unite? in Foro it.,
1997, II 313 ss.
17
La giurisprudenza era ancora una volta divisa sul fatto: fautori del primo orientamento,
sentenze come quella emanata dalla Corte d’Assise di Milano, il caso Salihi, sempre in
relazione alla pratica di minori argati. In essa si ribadisce la necessità di riferire l’art.
600 a situazioni di fatto, oltreché di diritto, precisando che il “significato e il contenuto
dei termini <<schiavitù>> e <<condizione analoga>> derivano dagli strumenti pattizi
internazionali”.38
Allo stesso modo si espresse la Corte di legittimità, con la sentenza 7 dicembre 1989 39
che avvallò definitivamente tale ricostruzione
affermando che la schiavitù e le
condizioni analoghe possono essere costituite da situazioni indifferentemente di diritto o
di fatto; tuttavia limitò le situazioni di fatto rilevanti alla casistica di cui all’art. 1 della
Convenzione di Ginevra del 1956.
In opposta direzione si levarono le voci di chi riteneva che le condizioni analoghe alla
schiavitù non fossero solo quelle tassativamente indicate dalla Convenzione ginevrina,
bensì anche altre situazioni di fatto: in tal modo si sarebbe estesa di gran lunga la tutela
della persona anche al di fuori di casi non contemplati dalla sintetica definizione
normativa: a sostegno di questa tesi vi era l’idea che la Convenzione di Ginevra non
persegue lo scopo di individuare in maniera tassativa le condizioni analoghe alla
schiavitù, bensì quella di estendere quanto più possibile la tutela della personalità,
attraverso la specificazione di alcune situazioni che, sebbene rappresentino vere e
proprie forme di manifestazione della schiavitù, potrebbero non rientrare nella concisa
definizione della stessa come “stato o condizione di un individuo sul quale si esercitino
gli attributi del diritto di proprietà”, fornita dalla Convenzione del 1926. Del resto
l’eventuale carattere tassativo dell’elenco contenuto nell’art. 1 della Convenzione del
1956 avrebbe generato difficoltà applicative. In primo luogo, si sarebbe configurato
implicitamente il delitto di riduzione in schiavitù in forma vincolata, in contrasto sia con
l’art. 600 c.p. sia con la definizione stessa contenuta nella Convenzione di Ginevra del
1926, richiedendo entrambe le norme esclusivamente la realizzazione dell’evento
corrispondente alla reificazione dell’essere umano, senza attribuire alcuna importanza al
mezzo utilizzato per raggiungere tale scopo. In secondo luogo, appariva incongruente
identificare la condizione analoga con situazioni di soggezione di mero fatto e poi
38
C. Assise Milano, 18 maggio 1988, Salihi, FI 1989, II, 121, con nota di SOLA, Il delitto di riduzione in
schiavitù un caso di applicazione, FI 1989, II, 121.
39
Cass, 7 dicembre 1989, Izet Elmaz, FI 1990, II, 369.
18
escludere che tali situazioni possano essere diverse da quelle previste dalle fonti
normative , da invocarsi in via esclusiva ad integrazione della norma penale Sulla base
di queste considerazioni si propose
una nuova qualificazione della “condizione
analoga” quale elemento normativo “extragiuridico” integrabile non solo con fonti
normative ma anche con l’applicazione di parametri storico-sociali che consentano la
repressione di fenomeni caratterizzati dai medesimi aspetti di offesa della personalità
della personalità individuale connotanti le figure di schiavitù storicamente note.
Si sostiene così il passaggio dal carattere “tassativo” a quello “esemplificativo” della
catalogazione delle situazioni di fatto racchiuse nella disposizione convenzionale del
1956.
In tal orientamento s’inserisce la sentenza 23 marzo 1993 emanata dalla Corte d’Assise
di Firenze,40 secondo la quale i concetti di schiavitù e condizione analoga dovevano
esser considerati come elementi elastici della fattispecie, e rispetto ad essi le
disposizioni di fonte internazionale sarebbero state essenzialmente “orientative”,
dovendosi integrare il precetto con definizioni legali o nozioni storico-culturali
elaborate nel corso dei secoli. La decisione della corte d’Assise di Firenze “apriva la
strada ad un’interpretazione del precetto di grande originalità, riconoscendo all’art. 600
c.p. una vitalità espansiva della nozione di condizione analoga, positivamente
riscontrabile ogni qual volta si configurasse una condotta alla quale fosse dato
ricollegare l’asservimento di un essere umano alla signoria dell’agente”.41
1.5 La Sentenza Ceric introduce un concetto “estensivo” di schiavitù.
La parola fine a questo lungo dibattito fu messa dalla sentenza emanata dalle Sezioni
Unite della Corte di Cassazione nel 1996 42,il caso Ceric43:in esso la Corte afferma che
40
Corte d’Assise di Firenze, sent. 23 marzo 1993, Tahiri,in Foro it.1994, II, pg. 298 ss.
BENATI L., Il delitto di riduzione in schiavitù in una pronuncia della Corte d’Assise di Roma, nota a
Ass. Roma, 23 Febbraio 2001.
42
Cass. Sez Un., 20 novembre 1996, Ceric, Foro It. 1997, II, pg 313 ss, con nota di SALAROLI, Il delitto
di riduzione in schiavitù come fattispecie a forma non vincolata, RDPP, 1997, pg 713 ss.
43
Cass, sez un, 20 nov 1996, Ceric, cit., il caso riguardava una fattispecie collegata al fenomeno della
tratta di persone. Una minorenne cecoslovacca, Eva Kindlova, avvicinata nel proprio paese da un tale
Mehedalia Osmanovic, da questi convinta a seguirlo in Italia con la promessa di una vita migliore.La
stessa era stata venduta ad un terzo, tale Ceric, per la somma di tre milioni. Osmanovic era stato
condannato per il delitto di riduzione in condizione analoga alla schiavitù in primo e secondo grado,
mentre la condotta di Ceric era stata ritenuta sussumibile nella condotta descritta dall’art. 602.La
cassazione doveva decidere del ricorso presentato dai legali di Osmanovic, i quali lamentavano la
41
19
“il concetto di schiavitù, essendosi ormai tradotto in una nozione storica e culturale, il
significato della locuzione “condizione analoga” può essere recepito come espressivo
della condizione di un individuo che- per via dell’attività da altri esplicata sulla sua
persona- venga a trovarsi (pur conservando nominativamente lo status di soggetto
dell’ordinamento giurdico) ridotto nell’esclusiva signoria dell’agente, il quale
materialmente ne usi, ne tragga frutto o profitto o ne disponga, similmente al modo in
cui-secondo le conoscenze storiche, confluite nell’attuale patrimonio socio-culturale dei
membri della collettività-il “padrone”, un tempo, esercitava la propria signoria sullo
schiavo”.
Alla luce di quanto detto, l’intero art.600 doveva essere inteso come complessivamente
riferito a forme di asservimento della persona, indifferentemente di fatto o di diritto, da
cui risultasse l’assoggettamento della vittima all’altrui potere dispositivo, e sulla quale
venissero esercitate le potestà proprie del diritto dominicale. Questa lettura trovava il
suo fondamento sulla base delle osservazioni fatte dalla corte di legittimità per cui “le
condizioni analoghe alla schiavitù” devono essere interpretate con riferimento alla
definizione di schiavitù compresa nell’art.1 della convenzione di Ginevra del 1926.
Questa attua una distinzione tra “status” e “condition” di un individuo sul quale si
esercitano gli attributi del diritto di proprietà.
L’articolo 600 ricalcherebbe questa dicotomia, attribuendo allo status il significato di
schiavitù, nel senso di uno status giuridicamente fondato, e “condition” intesa come
condizione analoga alla schiavitù, ossia una “situazione di fatto identica alla condizione
materiale dello schiavo, con la sola particolarità che-a differenza di quest’ultimo- la
vittima non può perdere lo stato giuridico di uomo libero”.44
Nella sentenza si precisa inoltre che le condizioni analoghe alla schiavitù, le “institution
et pratiques” di cui alla Convenzione di Ginevra del 1926 e del 1956 realizzano
un’elencazione meramente esemplificativa e non tassativa, non essendo definizioni
idonee ad esaurire la virtualità espansiva della nozione di condizione analoga. 45
violazione o erronea applicazione dell’art.600, per avere il giudice di merito sanzionato come condizione
analoga alla schiavitù una condotta non compresa nei casi della convenzione del 1956.Il giudice respinse
il ricorso, dovendosi ritenere la locuzione “condizione analoga alla schiavitù” non solo con riferimento al
tassativo elenco art. 1 conv. di Ginevra 1956.
44
Cass, sez un, 20 nov 1996, Ceric, cit.
45
P. DUBOLINO, commento agli art. da 600 a 604, in Commento al codice penale,II ed.,
CasaeditriceLaTribuna, pg.1941 ss.
20
La giurisprudenza ha così voluto rendere elastica la (non-) definizione codicistica di
schiavitù optando per una soluzione esegetica evolutiva dell’art. 600, tesa a ricondurre
nella sfera applicativa della norma le insidiose forme di neoschiavismo emergenti nella
realtà attuale, quali accattonaggio minorile, prostituzione forzata, asservimento delle
persone al fine di prelevarne gli organi da destinare al mercato nero etc…
La considerazione della schiavitù quale elemento normativo di
natura culturale
permetterà di avere la massima duttilità e mutevolezza del concetto, e consentirà di
aggiornare ed adattare il precetto a quelle che saranno le evoluzioni del fenomeno
schiavistico.
La soluzione proposta dalle Sezioni unite è stata confermata dalla giurisprudenza
successiva46 che ha applicato l’art. 600 ai più svariati casi, anche se non tassativamente
rientranti nelle definizioni normative. Facciamo riferimento ai casi di sfruttamento
sessuale femminile, servitù domestica, lavoro forzato.
Inoltre
è stata resa possibile l’applicabilità dell’art. 600 anche alle ipotesi in cui
residuasse in capo alla vittima un margine di autodeterminazione concesso dal reo, sulla
base di un’interpretazione del concetto di condizione analoga alla schiavitù, quale
esercizio su di una persona non necessariamente di una signoria assoluta, bensì di
attributi tipici dell’istituto dominicale o di altro diritto reale.47
1.6 Criticità e rischi di una lettura troppo elastica: la necessità di una riforma.
Ma la nuova lettura dell’art. 600 così come proposta dalle Sezioni Unite non è stata
esente da critiche da parte della dottrina, critiche decisamente consistenti che resero
46
Vedi C. Cass., Sez V, 16 dicembre 1997, Hrustic N., in Guida al diritto del sole 24 ore, 18 aprile
1988, n°15, in cui si legge che “gli elementi costituivi o di tipicizzazione dei reati di schiavitù non si
desumono solo da specifiche previsioni della Convenzione di Ginevra, bensì proprio dalle nozioni che le
stesse convenzioni propongono, sia di schiavitù come istituzione, quando in un ordinamento una persona
può essere oggetto di proprietà, che di condizione analoga alla schiavitù quale pratica sociale per via
della replica di fatto della schiavitù in qualsiasi comunità.” Altri casi in cui la giurisprudenza di merito
ha aderito all’interpretazione data dalle sezioni Unite: C. Ass. Roma, 23 febbraio 2001, Bibilushi, in Cass,
Penale 2001, pg 2212, con nota di L.BENATI, Il delitto di riduzione in schiavitù in una pronuncia della
corte d’Assise di Roma. In questo si legge come venga condiviso l’interpretazione della norma resa dalle
sezioni unite in modo conforme alle odierne esigenze di tutela della libertà da forme di aggressione in
continua modificazione, in quanto non in contrasto con il principio costituzionale di determinatezzatassatività della fattispecie.
47
F. RESTA, op. cit., pg.155 ss.
21
evidente la necessità di una riformulazione degli articoli in questione ad opera della
novella del 2003.
Due i punti maggiormente discussi: in primis, l’interpretazione culturale del concetto di
schiavitù sottraeva la fattispecie al principio di tassatività; in secundis, il rischio che tale
linea interpretativa conducesse all’utilizzo dell’analogia in materia penale.
In merito al primo punto, le Sezioni unite, richiamandosi ad un concetto di schiavitù
riferito ad una categoria storico-culturale non offrono all’interprete un criterio
sufficientemente univoco, non garantendo così certezza ai confini applicativi della
fattispecie. Quel che più si contesta, non è tanto il fatto che il concetto penale di
schiavitù ricada al di fuori di situazioni descritte da una rigida casistica convenzionale.
Il problema risiede nel voler qualificare la schiavitù alla luce di parametri culturali,
quale elemento normativo descrittivo di origine sociale. In verità, sarebbe più corretto
ed auspicabile individuare la schiavitù come un elemento normativo di origine legaleextrapenale, rintracciando un significato alla luce della legislazione interna ed
internazionale, o sulla base dell’art. 10 della Cost.
Solo cosi facendo si potrebbe sfuggire al rischio di violazione del divieto di tassatività e
si potrebbe sottrarre al libero arbitrio del giudice di merito delle definizioni che invece
devono essere precisate a monte.48
La proposta di qualificare la schiavitù e le condizioni ad essa analoghe come elementi
descrittivi di natura normativo-legale consente sia una sufficiente elasticità
interpretativa,sia il rispetto di tassatività e determinatezza, in quanto gli elementi
normativi invocati restano saldi ai parametri descrittivi contenuti nella norma
extrapenale, e sottratte alle mutevoli e nebuolose valutazioni del giudice. Sarà proprio a
partire da queste criticità che si svilupperà la consapevolezza di una riforma normativa
delle fattispecie in esame: riforma che approderà nella novella legislativa del 2003.
48
S. APRILE, op. cit.pg. 134 ss.
22
2. La risposta alla necessità di una riforma: la legge 11 agosto 2003, n. 228,
“Misure contro la tratta delle persone”.
A seguito di questa lunga querelle, condotta a colpi di sentenze e dispute dottrinali, il
legislatore si ritrovò faccia a faccia con la necessità impellente di una riforma dovuta
alle gravi lacune e carenze delle norme in questione. 49
Nello specifico, le esigenze più urgenti che condussero a questo intervento riformistico
furono: in primis, la carenza di determinatezza e tassatività della fattispecie
incriminatrice, che aveva fatto versare fiumi d’inchiostro a dottrina e giurisprudenza nel
tentativo di trovare definizioni esatte e condivise. Difatti, come ampliamente
sottolineato nel paragrafo precedente, vi furono moltissime divisioni circa il significato
da attribuire alla nozione di “schiavitù” e “condizioni ad essa analoghe”.
Il legislatore riformistico ha così abbandonato il vecchio modello di descrizione
sintetica e di costruzione analogica della fattispecie per adottare un modello di
descrizione analitica del contenuto prescrittivo delle disposizioni incriminatrici: in
questo modo il legislatore non ha più lasciato all’interprete il compito di dare
definizioni, con un notevole sforzo di tipizzazione delle condotte illecite.
In questo modo si sarebbero, presumibilmente, dissipati gli ormai noti dubbi e
incertezze interpretative sulla fattispecie.
La seconda importante necessità alla quale la riforma ha tentato di dare risposta, è stata
la diffusa presa coscienza da parte di giuristi, ma anche dell’opinione pubblica,
dell’emergere di nuove forme di schiavismo e delle diverse declinazioni assunte dal
fenomeno. In particolare
destava gravissimo allarme, anche a livello di comunità
internazionale, il salto di qualità rappresentato dalla presenza della criminalità
organizzata transnazionale nella gestione del traffico degli esseri umani, in particolare di
donne e bambini, per il loro sfruttamento ai vari livelli di prostituzione, accattonaggio,
lavoro nero, prelievo di organi etc… per far fronte a questi fenomeni di criminalità
49
La “ratio” di questo intervento riformistico viene esplicata sinteticamente dal relatore della seduta della
Commissione Giustizia della Camera, destinata al primo esame del progetto di legge n°1255, progetto che
verrà poi approvato con legge 11 agosto 2003, n. 228:trattasi della “necessità di adeguare il testo
codicistico ad un orientamento giurisprudenziale della Suprema corte che con difficoltà individua il
ricorrere degli estremi del reato di riduzione in schiavitù, fuori dalle ipotesi in cui la parte offesa sia un
minore, e ciò a ragione della difficoltà di provare uno stato di assoggettamento analogo alla schiavitù
quando la persona mantiene un certo ambito di autodeterminazione” G. AMATO, Un nuovo sistema
sanzionatorio e investigativo per una lotta efficace contro la schiavitù, in Guida al diritto, n.35, pg 40 ss.
23
organizzata si è intervenuti con l’introduzione del 5°comma dell’art. 416 del c.p.,
fattispecie originariamente prevista per la repressione dei reati di associazione a
delinquere, ora estesa ai reati in materia di tratta e riduzione in schiavitù.
Infine, è apparso doveroso adeguare la legislazione nazionale agli standard indicati dalla
normativa internazionale ed europea. Difatti, in seguito all’emanazione dalla
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, emanata nel 1950, e la
convenzione supplementare di Ginevra del 1956, si registrarono interventi sul tema
anche da parte dell’Unione europea.
Di particolare importanza, in proposito, l’adozione da parte del Consiglio dell’Unione,
di un’azione comune, nel febbraio del 1997, che obbligava gli stati membri a
criminalizzare la tratta delle persone (97/154/GAI) . Inoltre, in occasione della
conferenza interministeriale dell’Aja dell’aprile del 1997, l’Unione aveva formulato
delle <<linee guida europee per misure efficaci di prevenzione e lotta contro la tratta
delle donne a scopo di sfruttamento sessuale>>. Infine l’Assemblea generale dell’ONU
aveva approvato la “Convenzione sulla criminalità organizzata transnazionale” e i due
protocolli addizionali,50 seguita dalla decisione quadro 2002/629/GAI.
Alla luce di questi interventi è sorta l’esigenza di allineare la nostra normativa nazionale
ai richiami provenienti dall’Europa e dal resto del mondo.51
Grazie alla novella del 2003 – preceduta, peraltro , dall’importantissima legge n.
269/1998 recante le “Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della
pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in
schiavitù” – la tutela della libertà individuale e della dignità della persona viene estesa
anche a forme di reificazione che, sebbene più sottili e meno evidenti, presentano la
stessa gravità delle classiche forme di schiavitù.
Questo ci dà conto anche di un’evoluzione del concetto di dignità della persona, inteso
ora in chiave rivendicativa e non più esclusivamente difensiva, quale catalizzatore per
la garanzia di tutti i diritti fondamentali.52
50
La convenzione è stata aperta alla firma il 12 dicembre 2000 e firmata da 127 stati dopo negoziati
durati due anni. E’ entrata in vigore con la ratifica da parte del quarantesimo stato. Il testo degli accordi è
stato elaborato da un Comitato nominato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite 53/111 del 9
dicembre 1998. L’altro protocollo addizionale disciplina il contrasto al fenomeno dell’immigrazione
clandestina (smuggling of migrants) . In conseguenza del carattere addizionale dei due Protocolli rispetto
alla Convenzione, l’adesione ai Protocolli è consentita ai soli stati che hanno sottoscritto la Convenzione
e le disposizioni dei protocolli devono essere interpretati secondo i principi stabiliti dalla Convenzione.
51
G. FIANDACA, E. MUSCO, I delitti contro la persona, Bologna 2008, pg.178.
24
Nei paragrafi successivi affronteremo un’analisi tecnica della legge riformata, che si
compone di 16 articoli, solo alcuni dei quali rilevanti per i profili di diritto penale
sostanziale. Questi sono: gli articoli 600/601/602 così come riformulati; l’introduzione
del
5°comma dell’art. 416 c.p., fattispecie previgente che punisce il reato di
associazione a delinquere, adesso estesa al compimento dei reati di tratta e riduzione in
schiavitù.53
A tal proposito, ci dilungheremo in un’analisi approfondita del ruolo chiave svolto dalle
organizzazioni criminali (nazionali e transnazionali) nella commissione del reato di
riduzione in schiavitù e tratta di esser umani, aspetto assolutamente non secondario di
un crimine che nella maggior parte dei casi trova in questi i principali responsabili.
Rivolgeremo infine la nostra attenzione alle politiche di prevenzione e tutela della
vittima adottate dal nostro Paese: in quest’ottica non potrà sfuggire alla trattazione
l’analisi di un articolo di fondamentale importanza e dalla portata rivoluzionaria:
parliamo dell’art. 18 T.U. n. 286 del 1998: in esso rinveniamo l’istituto del “permesso
di soggiorno per motivi di protezione sociale”, un istituto progressista, successivamente
preso ad esempio da molti paesi d’Europa. Si tratta della possibilità di concedere uno
speciale permesso di soggiorno all’immigrato sottoposto a violenza, sfruttamento o
quando vi sia pericolo per la sua incolumità per effetto del tentativo di sottrarsi ai
condizionamenti di un’associazione criminale o delle dichiarazioni rese in un
procedimento penale: con il rilascio del permesso si dà l’opportunità allo straniero di
sottrarsi alla violenza e di partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione
sociale, su richiesta o previo
parere del Procuratore della repubblica. 54 Da non
trascurare, inoltre, la predisposizione di un fondo anti-tratta e uno speciale programma
di protezione ed assistenza in favore delle vittime.
Dall’analisi delle questioni in gioco cercheremo di comprendere la situazione italiana,
l’effettiva efficacia delle misure di contrasto e l’effettiva applicazione delle norme
predisposte.
52
F. RESTA, op. cit.pg.24.
A.M. PECCIOLI, Giro di vite contro i trafficanti di esseri umani:le novità della legge sulla tratta di
persone, in Dir. pen e proc, 2004 n°1, pg 32 ss.
54
D.PETRINI, V. FERRARIS, <<Analisi dell’art.18 nel quadro della legislazione sull’immigrazione e
della lotta alla criminalità organizzata.Storie e premialità dell’istituto e suoi antecedenti>> in AAVV,
“Articolo 18:tutela delle vittime del traffico di esseri umani e lotta alla criminalità (l’Italia e gli scenari
europei) Rapporto di ricerca, On the road edizioni, Martinsicuro (Te),pg. 25 ss.
53
25
2.1. L’art. 600: la nuova riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù.
In via preliminare, occorre evidenziare come il legislatore abbia fatto ricorso ad una
tecnica novellatrice, intervenendo sulle figure codicistiche di cui agli artt.600 e ss. c.p.,
mantenendone quantomeno il nomen juris. Tale scelta, seppur criticabile su altri fronti,
ha il pregio di rimarcare l’intento del legislatore di escludere l’ipotesi di abrogazione del
precedente delitto e di realizzare una successione di leggi penali: ciò in ragione di un
“rapporto di continuità” realizzato, nella specie, per via della maggiore ampiezza di
contenuto della normativa più recente. 55
Si assiste, infatti, ad una operazione tesa a ribadire, anche terminologicamente, la
condotta
precedentemente incriminata e ad allargare il campo del penalmente
perseguibile con la descrizione di una serie corposa e dettagliata di comportamenti che,
alla luce della nuova realtà sociale, si ritengono, in sostanza, ugualmente offensivi del
bene giuridico tutelato.
Come già ampliamente sottolineato, fra le tante ragioni che indussero alla
riformulazione degli articoli56, la più impellente sembrava proprio quella di attribuire
maggiore determinatezza alle fattispecie. In risposta a quest’esigenza, per la prima volta
il diritto penale conosce una nozione di schiavitù dettata direttamente dal legislatore,
affiancata dal nuovo concetto di servitù57. Lo si legge esplicitamente nel primo comma
dell’art. 600, che descrive una fattispecie causalmente orientata (a forma libera)
rubricato “Riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù”, che recita:
55
B. ROMANO, Riflessioni penalistiche sulle misure contro la tratta di persone, in AA.VV., Contro
ogni schiavitù.Programma di assistenza ed integrazione sociale ex. art. 18 T.U. sull’immigrazione Legge
n. 228/2003 “Misure contro la tratta di persone”, Roma, 2006, pg. 182.
56
L’attuale novella del 2003 trova i suoi antenati nel progetto Pagliaro,1996,che ai tempi si era già fatto
portavoce dell’esigenza di una riforma. Il progetto Pagliaro inseriva i reati di schiavitù tra i reati contro la
dignità dell’essere umano: la definizione di schiavo veniva attribuita ad una persona che venisse
sottoposta, anche solo di fatto, a poteri corrispondenti all’esercizio del diritto di proprietà o di un altro
diritto reale o quando era vincolata al servizio di una cosa. Questa era una definizione che presentava
maggiore chiarezza rispetto al previgente art. 600 e che non riprendeva il modello dell’elencazione
casistica della Convenzione di Ginevra. Successivamente, venne presentato un tentativo di riforma dei
reati in materia di schiavitù: un disegno di legge, d’iniziativa governativa, C. 5839, approvato dalla
camera nel febbraio 2001, ma arenatosi in sede d’esame nella 2° Commissione giustizia del Senato.
Infine, dall’esame congiunto di due distinti elaborati, la proposta di legge n° 1255, presentata nel luglio
del 2001 e il disegno di legge n° 1584, presentato nel settembre 2001, approvati in un testo unificato dalla
Camera dei deputati il 27 novembre 2001, sottoposti a successive modifiche, prese definitivamente corpo
la legge n°228/2003.
57
A.G. CANNEVALE, C. LAZZARI, Schiavitù e servitù nel diritto penale, in L’Indice penale, 2006,
anno IX,n°1, pg. 325 ss.
26
“Chiunque esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli del diritto di
proprietà ovvero chiunque riduce o mantiene una persona in uno stato di soggezione
continuativa,
costringendola
a
prestazioni
lavorative
o
sessuali
ovvero
all’accattonaggio o comunque a prestazioni che ne comportino lo sfruttamento, è
punito con la reclusione da otto a venti anni”.
L’articolo può essere diviso in due condotte distinte: la prima, ascrivibile nella nozione
di schiavitù, la seconda alla nozione di servitù.
In quanto alla prima, la schiavitù viene descritta come quella condotta determinata
“dall’esercizio su una persona dei poteri corrispondenti al diritto di proprietà”.
Come già specificato, uno degli obiettivi principali del legislatore riformatore era quello
di raggiungere determinatezza e conferire tipicità alla fattispecie.
Ed è così che per la prima volta, la schiavitù trova esatta definizione nella stessa norma
penale, a differenza della formulazione contenuta nel vecchio Codice Rocco, che
rinviava alla definizione della Convenzione ginevrina del 1926. 58
La maggior parte della dottrina ha ricondotto il concetto di schiavitù così come
riformulato, alla nozione di “schiavitù di fatto”, non volendo relegare il fenomeno ad
una dimensione esclusivamente giuridico-normativa.59 Difatti, il rischio è quello di
comprimere il fenomeno schiavistico nell’alveo di fenomeni puramente giuridici, che in
verità non troveranno mai validi titoli giustificativi o fondamenti normativi, essendo
ormai definitivamente bandita in tutti gli ordinamenti la pratica schiavistica.
Proprio dal timore che il nuovo art. 600 venga così condannato ancora una volta ad un
destino di “parziale desuetudine”, così com’era toccato alla vecchia formulazione dello
stesso, la maggior parte della dottrina intende riferirsi alla schiavitù facendo riferimento
sia a situazioni di fatto che di diritto.60
58
L. PICCOTTI, Nuove forme di schiavitù e nuove incriminazioni penali fra normativa interna ed
internazionale, in L’indice penale, 2007, Anno X, n°1, pg.26 ss.
59
“ (…) i delitti di schiavitù ledono innanzitutto il bene primario dello status libertatis, cioè non questa o
quella forma di manifestazione della libertà individuale, bensì il complesso delle manifestazioni che in
tale stato si riassumono o che si risolvono in una reificazione, ad un tempo de jure e de facto della
personalità(…) così F.MANTOVANI, La legislazione penale sulle nuove frontiere di schiavitù, in
AA.VV., Contro ogni schiavitù, op.cit., pg.160.
60
In tal senso si veda G.FIANDACA-E.MUSCO, Diritto penale parte speciale, pg. 120, cosi: <<La”
corrispondenza dei poteri” è formula in grado di contenere sia situazioni di fatto che di diritto>>. Sulla
stessa linea si veda anche: AG CANNEVALE, C.LAZZARI, Schiavitù e servitù nel diritto penale, op.
cit., ove si legge: << l’espressione esercizio di poteri corrispondenti chiarisce, senza possibilità di
equivoci, che la nozione penalistica di schiavitù è- stavolta anche nelle intenzioni del legislatore-una
27
Una parte minoritaria invece, insiste nel voler ascrivere il delitto di schiavitù alle sole
situazioni di diritto61, ma quest’orientamento pare non convincere, specie se giudicato
alla luce delle intenzioni manifestate dal legislatore in sede di lavori preparatori della
novella del 2003. Questi prevedevano l’espresso riferimento alla connotazione fattuale
della schiavitù. Questa esplicita menzione è stata poi eliminata dal testo di legge
definitivo in quanto considerata superflua; difatti, in un ordinamento nel quale non sia
possibile ipotizzare un diritto di proprietà sulla persona, giuridicamente valido ed
azionabile, la norma va a punire il rapporto possessorio di fatto instauratosi fra
individui, al di là di un riconoscimento giuspositivo nell’ordinamento statale, incentrato
sull’imposizione da parte del dominus alla vittima di obblighi e di uno status personale
caratterizzato dall’assenza di diritti.62
Altro problema esegetico nasce dall’equiparazione della condizione di schiavitù al
concetto civilistico di proprietà, o quantomeno dell’esercizio sulla vittima di alcuni
degli attributi tipici del diritto reale.63
Il problema nasce dunque dalla necessità di stabilire se ricondurre alla fattispecie
normativa anche l’esercizio dei poteri dispositivi propri dei diritti reali parziali, (ossia
l’esercizio anche di alcune soltanto delle potestà costitutive del diritto di proprietà).
In tal senso ci si chiedeva se anche l’eventuale esercizio di uno solo dei poteri
corrispondenti al diritto di proprietà potesse integrare la fattispecie delittuosa in esame,
o se al contrario, fosse necessario esercitare l’intero ventaglio di diritti e facoltà
connessi al diritto di proprietà.64 L’interpretazione letterale della fattispecie indurrebbe a
fare riferimento al solo diritto di proprietà, e parte della dottrina appoggia
condizione di fatto.>> si legga infine V.MUSACCHIO, La nuova normativa penale, cit., pg. 2448 ove
specifica: <<….il soggetto attivo si comporta come se fosse titolare di un diritto di proprietà (inteso in
senso sostanziale e non formale..>>.
61
In tal senso si veda: PECCIOLI, Giro di vite contro i trafficanti di esseri umani, in Diritto penale e
processo, n. 1/2004, pg. 37, ove si legge: “ La prima forma di realizzazione del novellato art. 600 è
rappresentato dall’esercizio su una persona dei poteri corrispondenti al diritto di proprietà: è una
condotta riconducibile alla schiavitù di diritto(…..) ed è esclusa l’ipotesi dell’esercizio di altri diritti
reali.” Della stessa opinione anche:E. ROSI, La moderna schiavitù e la tratta di persone: analisi della
riforma, in Dir.e Giust., 2004,III,pg. 52, ove chiarisce che “viene sanzionato il comportamento di chi
<<esercita su una persona i poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà>>. Si tratta della
nozione giuridica di schiavitù, nel senso di reificazione della persona umana, infatti la formulazione pone
l’accento sul semplice esercizio dei poteri spettanti al proprietario.” Ed infine si veda G.CARUSO, in
Delitti di schiavitù e dignità umana, op.cit., pg. 6, che aderisce all’opinione fornita da Peccioli.
62
F.RESTA, op cit., pg.43 ss.
63
S. APRILE, I delitti contro la personalità individuale, op.cit., pg.39.
64
A.ROSSETTI, Riduzione in schiavitù e nuovo art. 600 c.p.: riflessioni in tema di selezione delle
condotte punibiili,in Cassazione penale, 2007/1, pg. 167 ss.
28
quest’orientamento.65Ma questa conclusione si scontra inevitabilmente con le
indicazioni rinvenibili nel variegato universo di fonti normative
intervenute a
disciplinare la materia e che orientano l’interprete verso l’opzione estensiva, in virtù
della quale per l’integrazione della condotta punibile non sarà necessaria la presenza di
tutti i diritti e le facoltà connessi al diritto di proprietà, bensì anche uno solo di questi. 66
In tal senso, al fine dell’instaurazione della condotta criminosa in questione, il soggetto
attivo potrà comportarsi sia come titolare di un diritto di proprietà sia come titolare di
un altro diritto reale nei confronti della vittima,67
riferendosi la norma
indifferentemente all’esercizio di qualche o di tutti i poteri connessi al diritto di
proprietà e dunque della disposizione e del godimento dello stesso. Pertanto, potrà
configurarsi il delitto di riduzione in schiavitù ogni qualvolta si eserciti su un altro
individuo un diritto di proprietà o uno degli attributi dello stesso.68
In ogni modo, così come lucidamente affermato dal Botti, <<…il riferimento al diritto
di proprietà, per quanto suggestivo ed efficace sul piano mediatico (…) crea non pochi
imbarazzi in sede interpretativa>>.69
Dubbi non sussistono, invece, circa la natura di reato a forma libera: difatti non è
richiesto che l’azione si articoli con particolari modalità o mezzi: non è necessario l’uso
della violenza fisica o psichica, droghe o altri strumenti capaci di limitare le possibilità
di autodeterminazione del soggetto, modalità necessarie come lo si vedrà per la seconda
fattispecie di reato prevista dall’art. in questione.70
65
Così in dottrina:G.FIANDACA, E.MUSCO, Diritto penale parte speciale, op.cit., pg.120, ove si
legge:<< …deve trattarsi solo dei poteri tipici del diritto di proprietà e non anche degli altri diritti reali.
Non appare invero condivisibile una interpretazione estensiva del termine proprietà finno ad includervi i
diritti reali: siffatta tesi cozza non solo contro il chiaro dettato normativo ma finisce per di più, per
risolversi in un’indebita alterazione degli equilibri di tutela perché amplierebbe a dismusira l’ambito di
applicazione degli art. 600 a scapito dei delitti di cui agli art. 01/602>>, AMATO, Un nuovo sistema
sanzionatorio, cit., pg 42; PECCIOLI, Giro di vite, op. cit., pg.37; CARUSO, Delitti di schiavitù, op. cit.,
pg. 4 ss.
66
A.ROSSETTI, Riduzione in schiavitù e nuovo art. 600 c.p.: riflessioni in tema di selezione delle
condotte punibiili,in Cassazione penale, 2007/1, pg. 167 ss.
67
V.MUSACCHIO, La nuova normativa penale contro la riduzione in schiavitù e la tratta di persone
(L.11 Agosto 2003, n°228) in Giurisprudenza italiana, 2004 n°3, pg. 2448
68
S.LA ROCCA, La schiavitù nel diritto internazionale e nazionale, op.cit., pg.187 ss.
69
BOTTI, Legislatore miope e giudici ciechi. La cassazione cerca di ricondurre a razionalità l’art. 600
c.p., in Dir e giust., 2004, n°42, pg. 48.
70
S. APRILE, op. cit. pg.34.
29
2.2 La nuova fattispecie della “riduzione in servitù”.
La seconda parte dell’articolo, che invero costituisce la vera novità della riforma, si
occupa della riduzione o del mantenimento in servitù.
I profili maggiormente innovativi si riscontrano nella definitiva soppressione della
tanto discussa formula delle “condizioni analoghe alla schiavitù” ed inoltre nella
previsione della condotta di “mantenimento”.
In particolare, la previsione della condotta di mantenimento, (che in verità interessa
anche i delitti di schiavitù) potrebbe apparire pleonastica, poiché il reato di schiavitù è
un reato permanente, in cui la consumazione si realizza quando viene a cessare la
privazione della libertà personale. Ma in realtà la previsione della condotta di
mantenimento potrebbe consentire di dare rilevanza anche a condotte penali ulteriori.
Ad esempio, si potranno incriminare coloro i quali non hanno partecipato inizialmente
alla riduzione in schiavitù del soggetto passivo ma che intervengono in un momento
successivo.71
La formula condizioni analoghe alla schiavitù è stata invece sostituita dal termine
“servitù”, ossia la situazione di “soggezione continuativa”: questa qualifica il reato
come abituale e rende necessaria per la sua configurazione una pluralità di condotte del
soggetto attivo e di prestazioni del soggetto passivo: tale condizione non dovrà
realizzarsi in maniera occasionale ma sarà necessario che assuma il carattere della
continuità.72
Lo stato di soggezione continuativa è l’evento causalmente determinato dalla condotte
di costrizione della vittima a prestazioni lavorative o sessuali o all’accattonaggio.
L’elencazione delle condotte, peraltro, si conclude con una clausola aperta tesa a
ricomprendere il costrizione a prestazioni che comportino lo sfruttamento della vittima
Proprio con il compimento di tali atti, dipendenti da un agere (pur se non liberamente
scelto) della vittima stessa, si consuma il reato, definibile come ipotesi di reato a
cooperazione artificiosa della vittima.73
71
A.M.PECCIOLI, Giro di vite, op. cit. pg.38.
TRANSCRIME, Rapporto di ricerca, raccolta ragionata di giurisprudenza in materia, Milano, 2010,
si veda: Cass. Pen., sez. III, 26 ott 2006 n°2841; Cass.pen., sez. VI, 23 nov 2004, n°81; Cass.pen., sez V,
24 apr 2008, n° 21195, pg.19.
73
PICCOTTI L., I delitti di tratta e schiavitù. Novità e limiti della legislazione italiana, in Diritto
immigrazione e cittadinanza, anno IX n°1/2007, pg. 54 ss.
72
30
Il
secondo comma determina un’ulteriore tipizzazione normativa, ove vengono
precisate le modalità attraverso cui devono essere realizzate le condotte di riduzione o
mantenimento nello stato di soggezione, che peraltro ricalcano le previsioni definitorie
dell’art.1 par.1 della decisione quadro europea 2002/629/GAI.
La riduzione o il mantenimento nello stato di soggezione dovrà avvenire <<mediante
violenza, minaccia, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di inferiorità
fisica o psichica o di una situazione di necessità, ovvero ancora frutto di promessa o di
dazione di somme di danaro o di altri vantaggi a chi ha autorità sulla persona>>.74
La struttura è quella di un reato a forma vincolata, in risposta all’esigenza di una più
puntuale formulazione normativa; inizialmente la maggior parte della dottrina ha
salutato con entusiasmo e soddisfazione questa nuova formula, individuando “il
maggior pregio della riforma nella capacità di soddisfare appieno le esigenze di tipicità
della fattispecie incriminatrice, attraverso una più concreta e puntuale definizione delle
condotte incriminate”.75
Ma alle prime applicazioni iniziano a profilarsi i primi dubbi e le prime incertezze
interpretative: le espressioni utilizzate per la puntigliosa descrizione degli elementi
costitutivi sembrano essere suscettibili di interpretazioni non uniformi.76 Il maggior
punctum dolens si rintraccia nella nozione di sfruttamento, rinvenibile a chiusura della
formula che descrive le specifiche modalità di realizzazione della condotte offensive
della dignità umana. Quest’ultima termina con il riferimento a “prestazioni che
comunque ne comportino lo sfruttamento”: è sufficiente questo per causare la perdita di
tassatività dell’elenco e far emergere la necessità di assegnare al termine condivise
interpretazioni.
Lo sfruttamento è l’elemento che caratterizza la prestazione ottenuta dalla vittima: la
costrizione della persona umana ad una prestazione di lavoro o di attività caratterizzata
74
F. RESTA, op. cit., pg.50 ss.
AMATO G., Un nuovo sistema sanzionatorio e investigativo per una lotta efficace contro la schiavitù,
cit., pg.42..
76
Così come descrivono G.CANNEVALE, C.LAZZARI, in Schiavitù e servitù nel diritto penale, op.
cit.,pg. 67 “la diligente tipizzazione delle condotte punibili non deve generare illusioni: i contorni di
questa ipotesi di reato sono ben lontani dallo stagliarsi con luminoso nitore nel panorama delle
fattispecie incriminatrice.”
75
31
dallo sfruttamento rappresenta l’evento naturalistico e giuridico della fattispecie,
necessario per il perfezionamento del reato.77
È
lo
sfruttamento,
connesso
all’assoggettamento
della
vittima,
l’elemento
caratterizzante il delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù: idoneo a
distinguerlo da ogni altra forma di <<inibizione della libertà personale>>. 78
2.3. Incertezze circa la finalità dello sfruttamento: necessità di un movente
economico?
Ci si chiede se questa nozione di sfruttamento debba necessariamente assumere una
connotazione di tipo economico-patrimoniale o se sia sufficiente un’utilizzazione a fini
egoistici di un soggetto da parte di un altro, trascurando eventuali fini di lucro della
persona.
La maggior parte della dottrina ha appoggiato quest’ultimo orientamento, stabilendo che
lo sfruttamento della vittima non necessariamente assume una connotazione di tipo
economico. Difatti, in un’ottica di reificazione della stessa, il disvalore della condotta di
sfruttamento può essere determinato anche da pretese di natura diversa, che non
comportino necessariamente la finalità patrimoniale: si pensi al caso in cui si pretenda
da una donna prestazioni sessuali contro la sua volontà, pur senza sfruttare l’attività di
prostituzione. Peraltro il concetto di sfruttamento rileva non già in termini economici,
ma quale strumentalizzazione e negazione della dignità e del valore della persona come
fine in sé.79
Ulteriori argomentazioni a sostegno di questa tesi possono derivare dalla previsione
della clausola di chiusura della costrizione a <<prestazioni che comportino comunque
lo sfruttamento>> ipotesi in grado di garantire l’applicabilità art. 600 anche ad ipotesi
prive di connotazione economico- patrimoniale. L’interpretazione estensiva della
nozione di sfruttamento ricalca inoltre i dettami della decisione quadro del 19 luglio
2002, ove si dà una definizione di sfruttamento comprensiva di sfruttamento lavorativo,
77
E. ROSI, La moderna schiavitù e la tratta di persone: analisi della riforma, in Dir.e Giust., 2004,III,
pg.55.
78
Cosi F.RESTA, Schiavitù e sfruttamento fra vecchia e nuova disciplina, in Giur. di merito, 11/2010,
n°11, pg.390 ss.
79
F. RESTA, op. cit., pg. 51.
32
della prostituzione ma anche di ogni altra e diversa forma di sfruttamento sessuale della
vittima del reato.80
Ma vi è una parte della dottrina più recente che si distacca da quest’orientamento: dal
loro punto, la nozione di sfruttamento assumerebbe una necessaria connotazione
economico-patrimoniale. Dunque ai fini della configurazione del reato in questione sarà
indispensabile il conseguimento di un vantaggio economico in capo all’autore del
reato.81 Una interpretazione dello stesso segno viene suggerita da una sentenza della
Corte di Cassazione82. In quest’occasione la suprema Corte annulla senza rinvio la
pronuncia del tribunale del riesame che intendeva affermare la configurabilità della
fattispecie riformulata dalla l. n°228/2003 in un’ipotesi di compravendita di un neonato,
ma del tutto priva di finalità di sfruttamento economico. I giudici di legittimità
sottolineano come la nuova norma incriminatrice dia fondamentale rilievo alla “cifra
utilitaristica” delle condotte vietate. Viene ribadito ancora una volta come lo
sfruttamento della vittima sia il tratto caratterizzante la fattispecie tipica di riferimento,
elemento che permette di distinguere il reato previsto ex. art. 600 dalle altre forme di
inibizione della libertà personale, intesa quale facoltà di spostamento nel tempo e nello
spazio e tutelata dagli art. 605/609-decies. Indubbiamente bisognerà riconoscere
movente principale delle forme di schiavismo moderno proprio la possibilità di
sfruttamento economico-patrimoniale delle vittime. Per tanto, la fattispecie in esame
potrà dirsi integrata solo <<allorché l’affermata signoria (in senso meramente
fenomenico, dell’uomo sull’uomo) si traduca, o sia finalizzata a tradursi, nello
sfruttamento della persona o del lavoro>> .83
2.4. Modalità di realizzazione del fatto.
Qualche chiarimento in più meritano i requisiti modali di realizzazione della condotta
descritti al secondo comma: mentre le nozioni di violenza, minaccia e condotta
80
A.M.PECCIOLI, Prime applicazioni delle nuove norme in materia di riduzione in schiavitù: è una vera
riforma? In Diritto penale e processo, n°1/2006, pg.72 ss.
81
In tal senso si veda: ROSI, La tratta di persone e la riduzione in schiavitù, op. cit., pg. 55 “Lo
sfruttamento coincide, insomma, con l’ottenimento di un utile finanziario od economico per l’autore.”
82
Sent. C.Cass, 10 sett 2004 n°39044, in Cassazione penale, n°1/2007, con nota di ANDREA
ROSSETTI, Riduzione in schiavitù e nuovo art. 600 c.p.: riflessioni in tema di selezione delle condotte
punibili, pg. 161.
83
Sent. C.Cass,10 sett 2004, in Cass.Pen.,cit.
33
ingannatoria risultano ampliamente definite in dottrina e giurisprudenza, qualche
perplessità potranno destare le nozioni di “stato di necessita” e le “situazioni di
inferiorità fisica o psichica”.
In quanto al primo punto, parte della dottrina lo ha interpretato con un rimando ai
requisiti descritti all’art 54 c.p., ma la giurisprudenza di legittimità ha smentito in più
pronunce quest’indirizzo, richiamandosi invece allo “stato di bisogno” previsto dall’art.
1448 c.c.84
Lo stato di necessità deve essere inteso inoltre, alla luce dei requisiti esposti dalla
normativa di fonte internazionale: ci riferiamo all’”abuse of a position of vulnerability”
del Protocol on Trafficking dell’ONU, e dalla definizione contenuta nella decisione
quadro 2002/629/GAI, ove si precisa che tale è la condizione di chi non “abbia altra
scelta effettiva ed accettabile se non cedere all’abuso di cui è vittima”. 85
Rischio molto forte nasce dall’eventuale possibilità di riconoscere lo stato di necessità
con riferimento ad ipotesi generiche di stato di bisogno, implicite per la qualità di
soggetti passivi: in caso di soggetti provenienti da Paesi dell’est europeo o dal Terzo
mondo che versano in una situazione di evidente povertà, lo stato di necessità potrebbe
esser considerato in re ipsa, a prescindere da una prova concreta dello stesso, rischiando
un’indiscriminata applicazione art. 600.86 Al fine di evitare squilibri di questo genere,
sarà opportuno misurare l’effettivo stato di necessità in concreto,
prendendo in
considerazione la reale condizione di difficoltà in cui versa la vittima nel suo Paese
d’origine.
84
Cass. pen. Sez. III, 20 dicembre 2004, n. 3368: lo «stato di necessità
cui fa riferimento la norma non va inteso nel senso indicato dall'articolo 54 del c.p., perché non è una
causa di giustificazione del reato, bensì è un elemento della fattispecie, e più precisamente un
presupposto della condotta approfittatrice dell'agente. Per l'effetto, tale nozione è piuttosto paragonabile
con la nozione di «bisogno» di cui all'articolo 1448 del c.c. (rescissione del contratto per lesione) e va
intesa come qualsiasi situazione di «debolezza» o di «mancanza materiale o morale», adatta a
condizionare la volontà della persona. Infatti, come nel caso di rescissione del contratto per lesione,
nell'ipotesi di riduzione in schiavitù di cui si tratta si verifica una sproporzione tra la prestazione della
vittima e quella del soggetto attivo, che deriva dallo stato di bisogno della prima di cui il secondo
approfitti per trarne vantaggio>>. Così anche:Cass. pen. Sez. III, 12 aprile 2005, n. 33757: <<lo "stato
di necessità" cui fa riferimento la norma riflette la nozione di "stato di bisogno " di cui all'articolo 1448
del codice civile e va intesa come qualsiasi situazione di "debolezza" o di "mancanza materiale o
morale", adatta a condizionare la volontà della persona.>> Infine, si legga anche: Cass. pen. Sez. V, 15
dicembre 2005, n. 4012: <<nel reato di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù di cui all'art.
600 c.p., la situazione di necessità, che costituisce presupposto della condotta approfittatrice dell'agente,
non si identifica nello stato di necessità cui fa riferimento l'art. 54 c.p., bensì nello stato di
bisognomenzionato dall'art. 1448 c.c..>>
85
F.RESTA, op cit.pg.78.
86
Per ulteriori approfondimenti sul tema si legga: A.M. PECCIOLI, Prime applicazioni in materia di
riduzione in schiavitù e servitù, op.cit., pg.73 ss.
34
In merito al secondo punto, ossia alla situazione di inferiorità fisica o psichica, il
riferimento non è necessariamente ad un’ipotesi in cui l’autore abbia commesso il fatto
ai danni di una persona in stato d’infermità o minoranza psichica, con ciò intendendo
l’alterazione della capacità d’intendere e volere, non necessariamente in grado di
configurare una vera e propria patologia mentale, ma piuttosto derivante da una
disparità socio-culturale o da una vulnerabilità fisica da cui derivi un’incapacità di
opporre resistenza al reo.87
Vi sono state comunque delle critiche al riferimento alla soggezione psichica del
soggetto: una formula cosi indeterminata potrebbe essere interpretata come il tentativo
di “far rientrare dalla finestra” la tanto discussa norma incriminatrice del plagio. Difatti,
non pare semplice dimostrare senza un appiglio a specifici parametri di riferimento, il
limite oltre al quale venga a configurarsi una situazione di soggezione e dipendenza fra
due o più soggetti, tale da privare la vittima della capacità di autodeterminazione e della
propria libertà.88
Per quel che concerne “l’abuso di autorità” non vi sono particolari osservazioni: questa
condotta si riferisce a tutte quelle situazioni nelle quali, in virtù di un rapporto di
gerarchia e superiorità, la vittima si trovi legittimamente soggetta al potere di un altro
uomo che abusi della sua posizione di superiorità sino a realizzare la fattispecie di
riduzione in schiavitù o servitù, mediante la costrizione al compimento delle attività
descritte dall’articolo in questione.
Infine, l’ultima azione illecita prevista dal comma in esame, si riferisce alla “promessa o
dazione di somme di danaro o altri vantaggi a chi ha autorità sulla persona oggetto del
reato”:
questa ipotesi sembra da ricondurre a quelle di negoziazione di persone,
soprattutto minori, sia reale (si pensi alla vendita di bambini) che mascherata (quando
la persona viene ceduta in forza di una persuasione operata verso il minore affinché
segua il terzo al quale è affidato). Qui l’atto di sottomissione, apparentemente
volontario, si realizza perché il soggetto adempie un ordine impartito da quel soggetto
che ha autorità nei suoi confronti.89
Ciò che distingue l’ipotesi in questione di
87
S.APRILE, I delitti contro la personalità individuale, op. cit. pg., 46 ss.
A.M. PECCIOLI, op. cit. pg. 38
89
ROSI, La moderna schiavitù e la tratta di persone, analisi della riforma, op. cit., pg.56.
88
35
compravendita rispetto alla vendita, qualificabile come esercizio di potere
corrispondente al diritto di proprietà, è la direzione unilaterale dello sfruttamento.90
2.5 Trattamento sanzionatorio
Un’attenzione particolare merita il trattamento sanzionatorio previsto per le due
condotte di schiavitù e servitù: queste, seppur ben distinte fra loro, si trovano
accomunate dalla pena prevista dal legislatore in caso di commissione dei rispettivi
reati: è prescritta la reclusione dagli otto ai venti anni.
Le circostanze aggravanti sono descritte in un articolo ad hoc, il 602-ter del codice
penale91, che prevede un inasprimento del livello sanzionatorio da un terzo alla metà
rispetto alla pena base nel caso in cui la vittima sia un minore degli anni 18; qualora i
fatti siano diretti allo sfruttamento della prostituzione o al fine di sottoporre la persona
offesa al prelievo di organi ed infine nel caso in cui dal fatto derivi un grave pericolo
per la vita o l’integrità fisica o psichica della persona offesa. La pena verrà egualmente
elevata nel caso in cui i delitti relativi alla falsità in atti vengano commessi al fine di
agevolare o commettere i delitti di schiavitù, servitù e tratta.
Per il caso specifico in cui la vittima risulti essere un minore, oltre all’ipotesi già su
menzionata, una riforma recentissima92 ha provveduto ad inserire ulteriori circostanze
aggravanti. L’ulteriore inasprimento di pena, che giunge dalla metà sino ai due terzi
della sanzione stabilita, viene applicata nel caso in cui il fatto sia commesso nei riguardi
di un minore degli anni 16, o qualora la vittima sia comunque minore dei 18 anni, ma il
fatto sia realizzato: da un ascendente, dal genitore adottivo,
dal loro coniuge o
convivente, dal coniuge o da affini entro il secondo grado, da parenti fino al quarto
grado collaterale, dal tutore o da persona a cui il minore è stato affidato per ragioni di
cura, educazione, istruzione, vigilanza, custodia, lavoro, ovvero da pubblici ufficiali o
incaricati di pubblico servizio nell'esercizio delle loro funzioni ovvero se è commesso in
90
A.G.CANNEVALE, C.LAZZARI, Schiavitù e servitù nel diritto penale, op. cit., pg. 353 ss.
L’articolo è stato introdotto dalla Legge 2 Luglio 2010, n.108 che ha provveduto ad eliminare il terzo
comma degli articoli 600 e 601 del codice penale (descrivevano tre ipotesi di circostanze aggravanti) ed
ha introdotto il nuovo articolo 602-ter.L’articolo è stato ulteriormente integrato dalla Legge 01.10.2012,
n. 172.
92
Legge 01.10.2012, n. 172, “Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa per la
protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007,
nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno, in G.U. 08.10.2012, n. 235.
91
36
danno di un minore in stato di infermità o minorazione psichica, naturale o provocata.
L’aumento della pena dalla metà ai due terzi si registra infine nel caso in cui il fatto
venga commesso mediante somministrazione di sostanze alcoliche, narcotiche,
stupefacenti o comunque pregiudizievoli per la salute fisica o psichica del minore
ovvero se viene commesso nei confronti di tre o più persone93.Pertanto, grazie
all’intervento riformistico avutosi nell’ottobre 2012 con la legge n.172, l’Italia ha
dimostrato non solo un’attenzione particolare nei riguardi dei minori ma si è peraltro
posta in linea con gli impegni presi a livello europeo94.
Il legislatore della riforma, come vedremo, ha inoltre inteso parificare il trattamento
sanzionatorio anche per i delitti previsti agli art. 600, 601, 602, in virtù della loro
ritenuta pari idoneità lesiva nei riguardi del bene giuridico tutelato.
In verità, non pare una scelta particolarmente condivisibile quella di appiattire le diverse
fattispecie di reato ad una eguale capacità lesiva: la risposta al perché di questa scelta ci
viene suggerita da parte della dottrina, che ha rintracciato questa soluzione in risposta
alla probabile progressione criminosa che potrebbe realizzarsi in caso di commissione di
uno dei delitti in questione. Ad esempio, alla tratta potrebbe seguire la riduzione in
schiavitù, ulteriormente si potrebbe verificare l’ipotesi della cessione ad un terzo etc
etc..In quest’ottica di idee, ogni condotta criminosa sarebbe punita con la medesima
sanzione95.
Questa equiparazione dal punto di vista sanzionatorio, non dovrà comunque far perdere
di vista la distinzione fondamentale che corre fra le due condotte previste ex art. 600.
Differenza, questa, che non essendo rintracciabile sulla base di dati positivi, riferendosi
ad una maggiore o minore <<completezza>>, <<totalità>> o <<intensità>> della
soggezione, può ravvisarsi nella direzione nella quale il rapporto potestà-soggezione
riesce ad affermarsi. In quest’ottica d’idee, la schiavitù è caratterizzata dall’esercizio di
93
Le suddette circostanze aggravanti previste per l’ipotesi in cui la vittima sia un minore sono frutto
dell’ulteriore integrazione legislativa avutasi ad opera della Legge 01.10.2012, n. 172, “Ratifica ed
esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento
e l'abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento
interno, in G.U. 08.10.2012, n. 235.
94
Ci riferiamo alla “Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione dei bambini contro l’abuso e lo
sfruttamento sessuale”, anche conosciuta come “Convenzione di Lanzarote”, adottata dal Comitato dei
Ministri del Consiglio d’Europa il 12 luglio 2007 ed aperta alla firma il 25 ottobre 2007 a Lanzarote, dopo
un’intensa attività di negoziato avviata nel 2006. L’Italia ha sottoscritto il testo il 7 novembre 2007 con la
legge n.172/2012.
95
ROSI, La moderna schiavitù e la tratta di persone: analisi della riforma, in Dir e Giust., 2004, n°3,
pg.59.
37
un potere corrispondente al diritto di proprietà, come manifestazione concreta di una
potestà che si realizza in tutte le direzioni nelle quali si può godere e disporre dell’essere
umano: si potrà esercitare anche un unico potere, ma questo dovrà essere qualificabile
come corrispondente al diritto di proprietà.
La condizione di servitù, invece, viene designata in maniera unilaterale: si fa riferimento
a singole destinazioni di sfruttamento della persona (lavoro, prostituzione,
accattonaggio ….). La potestà esercitata sulla vittima, e il correlativo sfruttamento, sono
indirizzati verso una specifica destinazione ed un particolare uso della persona offesa.
Naturalmente, trattandosi di rapporti interpersonali, non sempre sarà agevole per il
giudice decifrare le situazioni nelle quali la relazione fra due soggetti possa
effettivamente tradursi nella dialettica servo-padrone. Questo potrà essere accertato
verificando se il soggetto attivo eserciti sulla persona offesa una potestà giuridicamente
piena (è il caso della schiavitù) o se piuttosto sia limitata al particolare uso a quale è
finalizzato lo sfruttamento (ed è questo il caso della servitù).96
Appare inoltre compatibile il realizzarsi del reato di riduzione in schiavitù o servitù con
un margine di status libertatis riconosciuto in capo alla vittima, ben potendo lo stesso
essere ridotto in schiavitù o servitù pur conservando spazi di libertà personale. Lungi
dal rappresentare quello stato di libertà e di autodeterminazione che ad ogni uomo
dovrebbe essere garantito, queste “concessioni”, per altro revocabili da parte del reo,
altro non sono che semplici concessioni sotto lo stretto controllo dello sfruttatore, in cui
il soggetto passivo resta comunque privato della possibilità di estrinsecazione della
propria personalità.97
Altrettanto ininfluente ai fini del realizzarsi della condotta schiavistica sarà l’eventuale
consenso prestato dalla vittima98: difatti appare difficile immaginare il caso in cui un
soggetto accetti di essere ridotto in condizione di schiavo, se non in virtù di una
condizione di estrema sottomissione e in mancanza di alternative. L’irrilevanza del
consenso è stata esplicitamente prevista da varie fonti internazionali (si pensi all’art. 1
96
A.G.CANNEVALE, C.LAZZARI, Schiavitù e servitù nel diritto penale, op.cit., pg.353 ss.
F.RESTA, op cit., pg.58
98
La commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani della Camera dei deputati
cosi si esprimeva in data 5 giugno 2002 sul d.d.l. n.576: “…si ritiene da una parte ininfluente il consenso
della vittima, poiché la riduzione in schiavitù e tratta delle persone si sviluppa proprio per la condizione
di grande vulnerabilità(dipendenza psicologica e materiale) in cui versano le vittime potenziali.”
97
38
cpv della decisione quadro 2002/629/GAI e l’art. 3b del Protocol on Trafficking
dell’Onu).
Il legislatore del 2003 non ha introdotto nessun riferimento al consenso nell’articolo
riformato. Una tale omissione non sembra affatto diretta ad escludere la rilevanza
penale della condotta in presenza di un qualsivoglia consenso della vittima, piuttosto la
ragione di tale omissione dovrà essere rintracciata nella natura indisponibile del bene
tutelato (lo status libertatis). Anche la giurisprudenza di legittimità ha ampliamente
appoggiato quest’orientamento, rendendolo esplicito in diverse pronunce.99
Dopo aver analizzato le caratteristiche squisitamente tecniche introdotte con la riforma
del 2003 in merito al reato di schiavitù e servitù, passeremo al vaglio di un’analisi
tecnico normativa del reato di tratta, null’altro che “un’altra faccia, della stessa terribile
medaglia”.
3. La tratta di persone.
Une delle forme più diffuse e terribili in cui si manifesta la schiavitù moderna è
senz’altro il reato di tratta di persone. Negli ultimi anni peraltro il fenomeno ha assunto
dimensioni sempre più preoccupanti, con numeri crescenti di anno in anno. Si stima che
almeno un milione di esseri umani siano vittime di questo traffico, spinti con l’inganno
e con la forza ad affrontare questi drammatici viaggi. 100
La crescita del fenomeno trova molteplici cause, tra le quali la caduta dei regimi
comunisti, l’impoverimento della popolazione sottoposta alla “terapia choc”
dell’economia di mercato, e i principali cambiamenti verificatisi a livello europeo, quali
l’aumento dei tassi di disoccupazione, lo stravolgimento delle strutture statali e
99
Cass. Pen., sez V, 13 maggio 2008, n°24178, la giurisprudenza di legittimità ha confermato questa
opinione affermando: “non è immaginabile che un soggetto (che non sia affetto da particolari turbe
psichiche) possa prestare il proprio consenso alla sua reificazione. Ed è altrettanto evidente che, se pure
tale consenso venisse prestato, esso non avrebbe, sul piano giuridico, alcun rilievo e certo
non sarebbe penalmente scriminante nei confronti dello "schiavista". Quale che sia la "cultura" dalla
quale i soggetti - attivi e passivi - di un rapporto interpersonale quale quello descritto dagli artt. 600 e
601 c.p. siano portatori, cosa certa è che, in presenza degli elementi costitutivi di una delle due
fattispecie criminose (o di entrambe), un eventuale consenso del soggetto passivo non sarebbe affatto
efficace al fine di escludere
l'antigiuridicità. Come bene ha notato il giudice di secondo grado; la libertà personale non è bene
disponibile e dunque non può essere oggetto di rinunzia”.
100
M.CHERIF BASSIOUNI, Introduzione a A.A.V.V., Il traffico internazionale di persone, a cura di
G.TINEBRA, A.CENTONZE, Milano, 2004, pg.XII.
39
soprattutto l’abbattimento delle frontiere nello spazio Schengen, che ha comportato una
liberalizzazione dei confini ed un’estrema facilità di movimento delle persone. Il tutti
ulteriormente aggravato dall’inasprimento delle politiche d’immigrazione dei vari paesi
dell’Unione Europea. 101
Tutto ciò, si trasforma inevitabilmente in un’ottima occasione per i trafficanti di esseri
umani per implementare i loro mercati: è sufficiente pensare che questo traffico
rappresenta oggi la terza attività criminale più redditizia dopo il traffico di sostanze
stupefacenti e quello delle armi.
Alla luce di queste osservazioni ci si rende conto di come siano mutati gli scenari: se nel
passato il reato di tratta poteva essere ascritto ad una dimensione puramente
nazionale102, oggi questa soluzione apparirebbe anacronistica e quantomeno inutile. Di
questo hanno preso coscienza le autorità europee ed internazionali, che sono intervenute
sul tema cercando soluzioni coordinate, in virtù di una cooperazione ed una sinergia fra
stati, alla ricerca di un’armonizzazione fra i vari ordinamenti: questa dimensione
transnazionale del fenomeno sarà oggetto di trattazione specifica nel capitolo terzo. Per
il momento ci focalizzeremo sulla legislazione italiana, sulla riforma che ha interessato
il reato di tratta, ancora una volta sulle novità principali introdotte rispetto al passato e
con un occhio di riguardo alla conformità della nostra normativa ai principi ed agli
obiettivi indicati dalle disposizioni europee ed internazionali, per capire a che punto si
trova il nostro paese in questo processo di armonizzazione.
3.1. La tratta di persone nel riformulato art. 601 c.p.
I motivi che spingo ad una riforma sono sostanzialmente gli stessi che hanno portato
alla modifica del reato di schiavitù: la forte carenza di determinatezza della fattispecie, e
l’impellente bisogno di un intervento riformistico che allineasse la legislazione
previgente agli strumenti predisposti dall’Unione. Questa arretratezza ordinamentale
101
S.DAMBRUOSO, L’industria della tratta e le misure per contrastarla, in I diritti dell’uomo, 2010,
pg.60.
102
E.LANZA, La condizione soggettiva dello straniero vittima del traffico di esseri umani, in Dottrina e
ricerche 2010, che spiega : “Nel modello originario dello Stato nazionale lo straniero riceveva tutela nei
limiti della copertura fornita dal Paese di provenienza. In un sistema, cioè in cui gli unici attori delle
vicende internazionali erano gli stati sovrani, chi si recava all’estero, per qualsivoglia ragione, rimaneva
sottoposto all’egida dello Stato d’origine, che era l’unico soggetto abilitato a pretendere il rispetto del
proprio cittadino da parte del paese in cui questi si trovava.
40
diveniva una lacuna sempre più urgente da colmare, specie in relazione ai richiami e
agli obiettivi imposti dall’Unione europea e dal diritto internazionale.
In quanto al primo dei due punti, è importante ricordare come la norma, nella sua
formulazione originaria contenuta nel Codice Rocco, si limitava ad incriminare tout
court la tratta di persone, senza lasciare spazio a definizioni precise e corrette103.
Lo stesso codice, nonostante gli interventi modificativi ai quali fu successivamente
sottoposto104, conservò inalterata quella incompletezza e insufficienza definitoria tale da
non assicurare un’adeguata tutela alla libertà e alla dignità della persona, rispetto ai
nuovi fenomeni di tratta di persone che si stavano diffondendo105.
I dubbi maggiori risiedevano nella fattispecie centrale di tratta descritta nel primo
comma dell’art. 601: questa disponeva modalità alternative di realizzazione della
condotta quali la tratta (concetto non ulteriormente specificato) ed il fare commercio di
schiavi o di persone in condizioni analoghe alla schiavitù. La dottrina era intervenuta
cercando di fare luce sulla definizione, esigendo innanzitutto la finalità di lucro della
tratta. Inoltre, si riteneva che affinché potesse configurarsi il reato in questione, fosse
necessaria oltre all’attività lucrativa anche un minimo di attività imprenditoriale che, per
mezzo di un’organizzazione criminale, si occupasse della cattura, del trasporto e della
compravendita di persone libere da ridurre in schiavitù. Questo, come si vedrà, sarà uno
dei punti principali sui quali interverrà la riforma del 2003106.
In merito al secondo punto, il legislatore è intervenuto sulla normativa interna allo
scopo di allinearsi ai richiami internazionali contenuti nella Convenzione ONU sulla
criminalità organizzata del 2000 (Conv. di Palermo), unitamente ai due protocolli
supplementari (dei quali uno dedicato alla prevenzione, repressione e punizione del
traffico di esseri umani finalizzato al loro successivo sfruttamento -trafficking of human
103
Il legislatore del codice Rocco sanzionava con l’art. 600 la riduzione in schiavitù delle persone libere,
con l’art. 601, rubricato “Tratta e commercio di schiavi” il commercio, l’intermediazione ed il trasporto di
persone già ridotte a schiave. L’articolo in esame puniva con la reclusione da cinque a vent’anni chiunque
commettesse tratta o comunque facesse commercio di schiavi o di persone in condizioni analoghe alla
schiavitù”.
104
In particolare ci riferiamo all’intervento modificativo prodotto dalla Legge Merlin, e alla L. n.
269/1998,che aggiunse un secondo comma all’art. 601, per cui “Chiunque commetta tratta o comunque fa
commercio di minori degli anni diciotto al fine di indurli alla prostituzione è punito con la reclusione da
sei a venti anni”.
105
F.RESTA, Vecchie e nuove schiavitù, Op.cit., pg.106.
106
G.SPAGNOLO, voce Schiavitù (dir.pen.) in Enc. Dir,, XLI, 1989, Milano, pg. 638.
41
beings e l’altro dedicato al traffico dei migranti -smuggling of migrants) e l’emanazione
della Decisione quadro 2002/629/GAI. 107
Si noti come dalle fonti internazionali si delinei per la prima volte la distinzione fra
“trafficking in human beings” e “smuggling of migrants”108: la prima espressione, ossia
“tratta di esseri umani”, si caratterizza per l’abductio (il trasferimento spaziale, sia esso
intra- o trans-nazionale) della vittima, per mezzo di condotte costrittive, decettive o
attraverso l’approfittamento della situazione di vulnerabilità della stessa.
Altro elemento di caratterizzazione sarà la finalità di sfruttamento (inteso in senso non
solo economico, a differenza del passato in cui la dottrina, come già accennato,
individuava la finalità di sfruttamento economico un requisito indefettibile). 109 La
possibilità di sfruttamento rappresenta dunque l’obiettivo finale della tratta di esseri
umani110.
In quanto alla seconda locuzione “smuggling of migrants”, con ciò intendendosi il
favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, s’indicano quelle attività delittuose
tendenti all’ingresso illegale di una o più persone in uno Stato straniero. Si farà
riferimento dunque a tutte le attività illecite poste in essere da organizzazione criminali
transnazionali, al fine del trasporto e dell’ingresso illegale degli immigrati clandestini in
uno Stato straniero.
111
Pertanto, mentre con il “trafficking in human beings” si avrà
come finalità principale lo sfruttamento delle persone trasferite clandestinamente e
destinate ad un mercato criminale allo Stato straniero d’ingresso, il “favoreggiamento
dell’immigrazione clandestina” è finalizzato all’introduzione illegale all’interno del
107
In sede di lavori preparatori, in Seduta della II commissione permanente della camera del 26 luglio
2001, l’intervento introduttivo del relatore On. Anna Maria Finocchiaro, chiarisce come uno tra gli
obiettivi principali del legislatore della riforma sia quello di riprodurre nel diritto interno i modelli
definitori delineati nel contesto normativo internazionale”.
108
Il legislatore immagina nel favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, il caso in cui lo straniero,
desideroso di giungere in Italia o altro paese, consapevole di non possedere i requisiti previsti dalla legge,
si rivogle ad un vettore, che si limita a prestare un servizio, che verrà retribuito, cosi rendendosi autore del
delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
109
F.RESTA, I delitti contro la personalità individuale alla luce delle recenti riforme, in Giurisprudenza
di merito, 2006/2, pg. 1052.
110
E. ROSI, Le misure internazionali per la lotta contro le forme di criminalità connesse al fenomeno
migratorio, in Riv. Giur. Circ. e trasp.,2002,II, pg.184 ss.
111
G. TINEBRA., A. CENTONZE, Il traffico internazionale di persone ed il controllo dell’immigrazione
clandestina: una prima delimitazione del campo d’indagine, in A.A.V.V., Il traffico internazionale di
persone, a cura di G.TINEBRA, A.CENTONZE, Milano, 2004, pg.16.
42
territorio di uno Stato straniero, a prescindere dal loro successivo inserimento in un
mercato illegale e un loro sfruttamento.112
Inoltre è da sottolineare il fatto che il delitto di tratta viene sanzionato con una pena di
reclusione dagli otto ai vent’anni113, mentre quella prevista per il delitto di
favoreggiamento dell’immigrazione clandestina è da cinque a quindici anni (reato
previsto ex. art. 12 comma 3 d.lgs. n°286/1989). Questa differenziazione del trattamento
sanzionatorio, discende dalla diversità del bene giuridico tutelato: nel caso della tratta,
la libertà personale, nell’altro caso, la sicurezza interna:114 difatti, nel delitto di
favoreggiamento, manca il profilo di offesa alla libertà di autodeterminazione della
vittima, oltre il fine specifico di sfruttamento115.
3.2.Le principali novità della riforma.
Passiamo ad analizzare le novità della riforma del 2003116.
In primis si noterà che il legislatore predispone due condotte criminose diverse, a
seconda o meno che la vittima si trovi già in una condizione di schiavitù o servitù: la
prima condotta
punisce dunque la tratta di schiavi o servi, di quelle persone già
sottoposte alle condizioni descritte all’art. 600; la seconda invece, si rivolge ai casi in
cui la persona versi ancora in uno stato di libertà.117
Lo schema descrittivo di questa ricalca quello della precedente incriminazione: occorre
quindi che il soggetto versi già in una situazione di schiavitù, servitù o comunque in uno
stato di soggezione. Pertanto, le ipotesi nelle quali l’agente abbia egli stesso ridotto la
112
G. CARUSO, Delitti di schiavitù, op. cit., pg. 38.
Per quel che concerne la disciplina delle circostanze aggravanti previste per la fattispecie di tratta si fa
riferimento all’articolo 602-ter, per il quale si rimanda al paragrafo 2.5. del presente capitolo.
114
A.M. PECCIOLI, Giro di vite, op. cit., pg.43.
115
PICCOTTI, I delitti di tratta e schiavitù. Novità e limiti della legislazione italiana, in Diritto
immigrazione e cittadinanza, anno IX, N:1/2007, pg..58 SS.
116
Di seguito il testo del nuovo articolo cosi come riformulato: “Chiunque commette tratta di persona
che si trova nelle condizioni di cui all’art. 600 ovvero, al fine di commettere i delitti di cui al primo
comma del medesimo articolo, la induce mediante inganno o la costringe mediante violenza, minaccia,
abuso di autorità o approfittamento di una situazione di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di
necessità o mediante promessa o dazione di somme di danaro o di altri vantaggi alla persona che su di
essa ha autorità, a fare ingresso o a soggiornare o a uscire dal territorio dello Stato o a trasferirsi al suo
interno è punito con la reclusione da otto a venti anni.”
117
C. BERNASCONI, La repressione penale della tratta di esseri umani nell’ordinamento italiano, in
AA.VV., La lotta alla tratta di esseri umani fra dimensione internazionale e ordinamento interno, a cura
di S. FORLATI, Napoli 2013, pg.69.
113
43
vittima in quelle condizioni, esulano dal delitto de quo, integrando solo il reato ex art.
600.
Restano comunque dubbi sul contenuto della condotta tipica, la tratta per l’appunto, che
non viene meglio specificata; per essa si predilige l’interpretazione per la quale con il
concetto di “tratta” ci si riferisca alla descrizione contenuta nella seconda ipotesi
incriminatrice, e cioè ai soli eventi dell’ingresso, del soggiorno, dell’uscita o del
trasferimento nel territorio dello Stato.118
Quanto alla seconda condotta,
la cosiddetta “cattura a scopo schiavistico”, pare
decisamente più determinata. Si fa riferimento al comportamento criminale di chi ha
come obiettivo finale la riduzione di una persona in schiavitù o servitù e la induce a tal
fine ad uno spostamento transfrontaliero, o all’interno della stessa nazione; a differenza
dell’ipotesi precedente, presupposto del delitto in questione è lo stato di libertà della
vittima. In tal modo la fattispecie offre una tutela prodromica, punendo le condotte
finalizzate allo schiavismo119.
Nel tentativo di conferire maggiore determinatezza,
inoltre, vengono descritte le
modalità tipiche attraverso le quali debbono realizzarsi le condotte di costrizione o
induzione: con riferimento allo schema ex. art. 600 si fa menzione della violenza,
minaccia, abuso di autorità, approfittamento di una situazione di inferiorità fisica o
psichica, di uno stato di necessità o della promessa di dazione di somme di danaro. 120
Per mezzo, poi, dell’induzione e della costrizione si realizza l’ingresso, il soggiorno, il
trasferimento o l’uscita dal territorio italiano delle vittime della tratta. 121
Altri profili di novità sono rinvenibili nella possibilità di configurazione del reato anche
nel caso in cui la vittima sia una sola, novità molto importante rispetto ad un passato in
cui
la tratta
doveva
avere
necessariamente
una
dimensione
organizzativo-
imprenditoriale, e poteva realizzarsi solo nel caso in cui le condotte avessero ad oggetto
più soggetti passivi122.
In favore di questa interpretazione depone anche la previsione, da parte del legislatore
della riforma, di un ulteriore e specifico comma (il sesto) all’art. 416 c.p., che individua
118
ROSI, La tratta di persone, op. cit., pg. 57.
C. BERNASCONI, La repressione penale della tratta, op.cit., pg.79.
120
PECCIOLI, Giro di vite, op. cit., pg 43.
121
Dal punto di vista esegetico dei termini utilizzati, si rinvia a quanto già analizzato nel paragrafo 2
relativo alla riduzione o il mantenimento in servitù o schiavitù in G.FIANDACA, E. MUSCO, I delitti
contro la persona, op. cit., pg.126.
122
G.CARUSO, Delitti di schiavitù, op. cit., pg.12.
119
44
una circostanza aggravante nel caso in cui il reato di associazione a delinquere risulti
finalizzato alla commissione dei delitti ex. art. 600/601/602. La previsione di
un’autonoma figura incriminatrice della tratta in forma organizzata avvalora la tesi testé
esposta123.
Irrilevante l’eventuale consenso rilasciato da parte della vittima, (cosi come anche
previsto per i delitti di schiavitù e servitù); a tal proposito si parla di una “non
configurabilità di un consenso, validamente prestato dal soggetto titolare del diritto,
come base sufficiente a costituire una scriminante all’illecito comportamento dell’autore
del reato, essendo di solare evidenza l’ambito di indisponibilità dei diritti in gioco nella
fattispecie criminosa in esame”124.
3.3. Art. 416,c.p., sesto comma, aspetti criminologici della tratta.
L’introduzione di un sesto comma al previgente art. 416 c.p. 125, nasce dalla
consapevolezza del legislatore dello stretto legame esistente fra delitti di schiavitù e
tratta con la criminalità organizzata. L’ulteriore disposizione incriminatrice, relativa alle
associazione a delinquere finalizzata al compimento di uno dei delitti di cui agli art.
600, 601, 602, punisce con la reclusione da cinque a dieci anni i promotori, costitutori,
organizzatori e capi, e con la reclusione dai quattro ai nove anni i meri partecipanti. 126
Nella quasi totalità dei casi, il fenomeno della tratta viene interamente gestito da
organizzazioni criminali, sicché la fattispecie in esame potrà essere definita come un
“fatto delittuoso a necessaria struttura associativa”127.
Attualmente, i delitti di schiavitù e tratta rappresentano il principale campo d’azione
della criminalità organizzata, specie transnazionale. La gestione di questi flussi
123
F.RESTA, Vecchie e nuove schiavitù, op. cit., pg. 111.
Cosi E. ROSI, Le misure internazionali per la lotta contro le forme di criminalità connesse al
fenomeno migratorio, in Riv. Giur. Circ. e trasp.,2002,II, pg.178.
125
Articolo 416 codice penale, 6°comma: “…Se l'associazione è diretta a commettere taluno dei delitti di
cui agli articoli 600, 601 e 602, nonché all'articolo 12, comma 3-bis, del testo unico delle disposizioni
concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286, si applica la reclusione da cinque a quindici anni nei casi previsti dal
primo comma e da quattro a nove anni nei casi previsti dal secondo comma. “
126
A.M. PECCIOLI, Giro di vite, op. cit., pg 46.
127
S.ALEO, “La repressione penale del traffico internazionale delle persone nel quadro delle
problematiche generali dell’organizzazione e della globalizzazione,
in A.A.V.V., Il traffico
internazionale di persone, a cura di G.TINEBRA, A.CENTONZE, Milano, 2004, pg.281
124
45
migratori illegali, e le correlative attività di sfruttamento costituiscono una delle fonti di
maggior profitto per il crimine organizzato.
Il sistema criminale si presenta in forme articolate e complesse: ciò che lo caratterizza
maggiormente è un sistema integrato, a rete: difatti fra le varie organizzazioni criminali
esistono rapporti di interdipendenza e di complementarietà fra i vari livelli in cui si
situano queste organizzazioni128.
Dietro i movimenti di clandestini e dietro quei trasferimenti da un paese ad un altro si
cela l’operatività di organizzazioni ben consolidate, che operano a livello nazionale ma
soprattutto a livello transnazionale.
La transnazionalità è di certo una caratteristica peculiare di questo genere di reati 129,
anche se non si esclude l’esistenza di una dimensione prettamente nazionale del
fenomeno, a prescindere dal coinvolgimento di un gruppo criminale organizzato.
Generalmente però, la commissione del reato vede coinvolte varie organizzazioni
malavitose, di solito appartenenti a diverse etnie, uniti da un vincolo differente rispetto a
quello che teneva unite le mafie più tradizionali –vale a dire le origini comuni-ma
piuttosto il comune interesse dei profitti ricavabili da queste attività130.
Questi gruppi criminali di diverse etnie o nazioni collaborano efficacemente fra di loro,
con la conseguenza che ogni singola struttura trae un valore aggiunto, in termine di
potenziale criminale, dai rapporti e dalla collaborazione con altri gruppi131.
Solitamente s’intrecciano relazioni fra le organizzazioni criminali straniere dedite alla
tratta e quelle autoctone. Il rapporto si basa sul reciproco vantaggio che le
128
F.Spiezia, F. Frezza, N.M.Pace, Il traffico e lo sfruttamento di esseri umani, Giuffrè editore,
2002.pg.33 ss.
129
“La mobilità delle <<cose>> oggetto dei traffici- che debbono essere spostate dal paese di produzione
a quello di destinazione, passando attraverso i territori di <<paesi ponte>> - ha determinato il sorgere ed
il consolidarsi di sinergie tra i gruppi criminali di vari stati, dando cosi luogo alla transnazionalità che
caratterizza la moderna criminalità .” cosi: F.SPIEZIA, F. FREZZA, N.M.PACE,ne Il traffico e lo
sfruttamento di esseri umani, Giuffrè editore, 2002, pg. XVI.
130
F. SPEZIA, Relazione tenuta presso il Congresso del Consiglio superiore della magistratura, 14
ottobre 2008, La tratta di esseri umani: gli strumenti investigativi di cooperazione internazionale, pg.5.
131
In particolare, è emerso che le organizzazioni criminali che gestiscono la tratta di persone si articolano
su tre livelli. Livello alto: sono le organizzazioni di base etnica che pianificano e gestiscono lo
spostamento di connazionali dal paese di origine a quello di destinazione. I capi non vedono e non
entrano in contatto con gli immigrati clandestini. Essi si occupano solo di spostare questa “merce umana”
da un continente ad un altro, attraverso una rete appositamente costituita; Livello medio: sono le
organizzazioni che operano in punti strategici, normalmente nelle zone di confine. Ad esse è affidata la
fase operativa del viaggio: predisporre i documenti falsi, corrompere i funzionari, scegliere i mezzi di
trasporto, consegnare i clandestini agli emissari nel Paese di transito o di arrivo; Livello basso: sono le
organizzazioni minori che si occupano di ricevere e smistare i clandestini, avviarli alla prostituzione,
ricevere i compensi.
46
organizzazioni riescono ad ottenere: ad esempio, le mafie italiane consentono lo sbarco
dei clandestini sulle coste meridionali del paese, grazie ad un controllo del territorio al
fine di prevenire eventuali azioni di contrasto delle Forze dell’ordine. In cambio,
ricevono droga, armi, tabacchi o in alternativa, un compenso monetario132.
Ma non necessariamente la commissione di questi delitti richiede un’organizzazione
così sofisticata e complessa: in alcuni casi difatti, agiscono in maniera decisamente più
modesta e semplificata. Pensiamo al caso della Romania, ove soggetti attivi del reato
sono spesso singoli o piccoli imprenditori (agenzie di viaggio, gruppi familiari etc…)
che possono operare allo scoperto, tramite ad esempio pubblicizzazione di offerte di
viaggi di trasporto verso i paese dell’Unione europea; ciò a causa di una legislazione
molto permissiva, priva di serie misure di contrasto, che ha trasformato il traffico di
clandestini in un mercato di fatto libero e alla portata di chiunque133.
Torneremo successivamente sull’aspetto transnazionale della criminalità organizzata e
sugli strumenti predisposti a livello internazionale ed europeo per contrastarla,
limitando ora la nostra indagine conoscitiva all’ordinamento italiano.
Come anticipato, il nostro legislatore è intervenuto sul preesistente art. 416 c.p.,
fattispecie che configura il reato di associazione a delinquere 134, introducendo una
circostanza aggravante al sesto comma, operante nei casi in cui l’associazione sia
finalizzata al compimento di reati in materia di tratta e riduzione in schiavitù.
I primi dubbi sono sorti in relazione alla possibilità di configurarla come un’autonoma
ipotesi di reato associativo oppure come un’aggravante ad effetto speciale e di natura
oggettiva.
Nell’originaria versione del progetto di legge 135 si preferì l’ipotesi della creazione di una
fattispecie ad hoc ed autonoma, ipotesi che venne successivamente ribaltata dal Senato
132
F. SPEZIA, Relazione tenuta presso il Congresso del Consiglio superiore della magistratura, 14
ottobre 2008, La tratta di esseri umani, op.cit., pg.8.
133
F.SPIEZIA, F. FREZZA, N.M.PACE, Il traffico e lo sfruttamento di esseri umani, op.cit., pg. 5
134
G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale, parte speciale, op. cit., pg.476, in cui si legge: “Secondo
un orientamento giurisprudenziale abbastanza consolidato, i requisiti che caratterizzano l’associazione
sono: il vincolo associativo tendenzialmente stabile o permanente fra tre o più soggetti, cioè destinato a
durare anche dopo l’eventuale realizzazione di ciascun delitto programmato; l’indeterminatezza del
programma criminoso; la presenza di una struttura organizzativa adeguata a realizzare gli obiettivi
criminosi presi di mira.”
135
In favore di questa ipotesi si veda ROSI, La moderna schiavitù e la tratta di persone, op. cit., pg. 60,
spiega come “sia evidente che il comma 6 disciplina una fattispecie autonoma di reato, non solo come
consegue ad un’attenta esegesi del dettato normativo, ma anche in considerazione del richiamo alla
fattispecie criminosa operato ripetutamente dalle disposizioni processuali contenute nella legge”.
47
che al posto della previsione di un delitto associativo specifico, modulato in relazione
alle peculiari finalità perseguite, preferì classificarlo come un’ipotesi di circostanza
aggravante all’interno dell’art. 416, al fine di evitare un inutile moltiplicarsi delle
fattispecie associative autonomamente disciplinate136.
Proprio a causa di questa natura circostanziale dell’associazione finalizzata alla tratta,
si configura il rischio dell’applicabilità del giudizio di bilanciamento delle circostanze
aggravanti con le circostanze attenuanti, e la conseguente possibile eliminazione e
vanificazione della circostanza aggravante137. In definitiva, di fronte alla dimensione
quasi sempre organizzata di questa attività criminosa, appare decisamente riduttiva la
costruzione della circostanza aggravante del delitto di associazione a delinquere e non la
configurazione di una autonoma ipotesi di reato associativo138.
Un altro aspetto da sottolineare riguarda il locus commissi delicti, profilo che interessa
anche l’individuazione dell’autorità giurisdizionale territorialmente competente. Aspetto
particolarmente problematico questo, se posto in relazione alla transnazionalità dei
delitti
in questione. Sul tema è intervenuta la Corte di legittimità, la quale ha stabilito che la
competenza territoriale viene stabilita in base al luogo in cui ha avuto inizio la
consumazione, con esso intendendosi il luogo di costituzione del sodalizio criminoso a
prescindere dalla localizzazione dei reati fine eventualmente realizzati. Di verso
contrario parte della dottrina, che invece trova difficilmente applicabile il criterio che
considera determinante il luogo in cui l’associazione diviene in concreto operante,
prescindendo dal luogo di realizzazione dei delitti di scopo.
Un ulteriore profilo problematico è rappresentato dalla possibile concorrenza di questo
reato con l’associazione di stampo mafioso ex art.416-bis139, potendosi rintracciare le
caratteristiche tipiche del sodalizio criminoso mafioso in organizzazioni straniere le
136
A sostegno di questa tesi che vede la configurazione di una circostanza aggravante e non come una
fattispecie autonoma, si veda F. RESTA, Vecchie e nuove schiavitù, op.cit. pg.160.ss., e AMATO,
Dubbio aggravante per le associazioni a delinquere, in Guida al dir., 2003,
pg. 48.
137
A.M. PECCIOLI, Giro di vite, op. cit, pg.46.
138
S.ALEO, “La repressione penale del traffico internazionale, op. cit., pg. 303.
139
G.FIANDACA, E.MUSCO, Diritto penale, parte spec, op cit, pg. 481, individua i profili
caratterizzanti l’associazione di tipo mafioso, quali: il ricorso alla forza intimidatrice accompagnata da
una condizione di assoggettamento e omertà della vittima.
48
quali, riescono ad assoggettare al proprio potere criminale persone immigrate o fatte
immigrare clandestinamente, con l’ausilio di metodi tipicamente mafiosi. 140
La Corte di legittimità in un caso specifico, ha riconosciuto il carattere della “mafiosità”
in un sodalizio criminoso di soggetti stranieri dediti allo sfruttamento della prostituzione
di alcune donne, clandestinamente introdotte nel nostro paese, avendo dimostrato, nel
caso di specie, la presenza degli elementi caratteristici del vincolo associativo di tipo
mafioso141.
Ma a tutt’oggi, l’utilizzo dell’art. 416 bis c.p. nell’ambito del contrasto ai traffici di
esseri umani resta un’ipotesi non frequentemente utilizzata nelle decisioni della Corte.
Per tirare le somme, potremmo concludere con un’osservazione circa i principali profili
di criticità di questo nuovo comma ex art. 416 c.p., propri delle fattispecie associative e
della logica emergenziale spesso ad esse sottesa.
Quanto al primo punto, v’è da sottolineare il fatto che generalmente, nella repressione
della criminalità organizzata si ha una sovraesposizione della figura dell’autore,
rinunciando ad una distinzione fra ruoli centrali e marginali. In queste ipotesi criminose
l’autore del fatto viene percepito come un “nemico”, e lo Stato per tutta risposta si arma
di una legislazione d’emergenza. I limiti della stessa, tuttavia, sono insiti nella sua
natura, “emergenziale” per l’appunto, caratterizzata dunque da un notevole rigore
sanzionatorio, spesso sproporzionato all’idoneità lesiva del fatto. Fra gli altri disvalori
evidenziamo: l’anticipazione della soglia della tutela penale ed una notevole riduzione
delle garanzie processuali e sostanziali per il tendenziale ricorso a strategie premiali
incentrate sul dissociazionismo e sulla collaborazione processuale. Tutto ciò conduce
inevitabilmente ad una sostanziale ineffettività delle norme e ad una disfunzionalità
rispetto al fine dichiarato, soprattutto in ragione della pretesa di voler risolvere un
problema di siffatta portata con lo strumento del diritto penale.
La questione in realtà coinvolge moltissimi e diversi fattori e si gioca piuttosto sul
piano sociale, economico, istituzionale; l’idea di voler ridurre un fenomeno così
140
E. ROSI, La tratta di persone, op. cit., pg. 61.
Sent. Cass. Pen., Sez V, 20 novembre 2007, n. 10431,in TRANSCRIME , DIPARTIMENTO DELLE
PARI OPPORTUNITA’, Rapporto di ricerca, pg.44 ove si legge in motivazione: “nello sfruttamento
della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che
ne derivava, (…) i giudici di merito hanno ravvisato la connotazione mafiosa, sulla base di una corretta
lettura delle norme di cui all’art. 416 bis c.p., (…) riconnettendo la caratteristica della mafiosità
all’irresistibile forza di intimidazione conseguente al vincolo associativo e, ad un tempo, allo
sfruttamento della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva”.
141
49
complesso ad un mero problema di ordine pubblico, da risolvere con lo strumento
penale, pare una soluzione insufficiente, oltreché limitata e limitante142.
4. La formula residuale dell’art. 602: il delitto di acquisto e alienazione di schiavi.
L’ipotesi prevista dall’art. 602, è senz’altro quella che ha subito meno modifiche da
parte del legislatore del 2003. Le condotte incriminate consistono nell’acquistare,
alienare o cedere una persona che si trovi in uno stato di schiavitù o servitù, fuori dai
casi indicati nell’art. 601. La pena prevista della reclusione va dagli otto ai vent’anni143.
Rispetto alla pregressa formula normativa, non costituiscono più oggetto di previsione
né l’impossessamento né il mantenimento della persona in condizione di schiavitù,
ipotesi ora riconducibili al riformulato art. 600. La nuova formula presenta un carattere
complementare rispetto alla fattispecie prevista all’attuale art. 600, essendo rivolta
all’incriminazione delle condotte che si inseriscono cronologicamente dopo l’avvenuta
riduzione in schiavitù o servitù dell’uomo. Presupposto per l’operatività della norma
dunque è la preesistente condizione di schiavitù in capo alla vittima.144
Qualche problema interpretativo si può porre nel rapporto fra il nuovo art. 602 e il
novellato delitto di tratta.
Attualmente la fattispecie presenta un carattere di assoluta alternatività rispetto al delitto
di tratta, carattere esplicitamente dichiarato nella clausola di riserva, che stabilisce: la
norma si applica “fuori dai casi indicati dall’art. 601”. La stessa clausola di riserva,
peraltro, può essere ricondotta al principio di specialità, in quanto l’art. 602 si
configurerebbe come norma generale rispetto all’art. 601, poiché ogni caso di tratta di
persone che si trovino in condizione di schiavitù o di servitù è anche acquisto o
alienazione di schiavi, mentre il ragionamento contrario non pare valido145.
Divisioni sussistono circa gli elementi che differenziano le due condotte: nella
formulazione precedente, era più chiara la diversità, di tipo eminentemente quantitativo,
che correva fra le due fattispecie: il delitto di tratta si configurava nel caso dell’esistenza
142
F.RESTA, Delitti di schiavitù, op.Cit.,pg.155 ss.
G.FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale, parte speciale, op. cit., pg 127.
144
S.APRILE, I delitti contro la personalità individuale, op. cit., pg.63.
145
P. SCEVI, Premesse per uno studio sui delitti di schiavitù e tratta di persone nel quadro della tutela
del diritto alla libertà, in Riv. Pen., n.10/2012, pg.943.
143
50
di una dimensione organizzativa mentre il vecchio 602 nei casi di singole alienazioni,
cessioni, etc...146.
Ad oggi, ancora parte della dottrina insiste nell’individuare come tratto distintivo fra le
due fattispecie la dimensione necessariamente imprenditoriale del delitto di tratta, o
quantomeno organizzativa, relativamente ampia e stabile, requisiti del tutto assenti nei
delitti di alienazione e acquisto di schiavi147.
Di tutt’altro avviso invece altra parte della dottrina che partendo dall’idea per cui il
delitto di tratta non ha carattere necessariamente imprenditoriale, individua quali criteri
interpretativi che potrebbero guidare alla distinzione delle due norme, quelli della
condizione in cui versa la vittima e l’ambito territoriale del reato.
In merito al primo profilo, sarà sempre l’art. 601 ad esser chiamato in causa qualora le
vittime non versino già in uno stato di schiavitù o servitù; in caso contrario occorre una
distinzione. Non operando il requisito della pluralità delle vittime né l’imprenditorialità
della tratta, unico criterio discretivo sarà il contesto spaziale dell’operazione criminale.
Qualora si limiti al territorio nazionale, ricadremo nel caso descritto dal 602, quando al
contrario assumi una dimensione transnazionale, saremo nel caso descritto ex. art
601148.
La modalità di realizzazione della condotta criminosa è un altro prezioso elemento che
separa la fattispecie in esame dal delitto di tratta: il 602 troverà applicazione solo
quando i comportamenti incriminati di “alienazione-cessione-acquisto” siano attuati
senza ricorrere alle modalità tipiche della tratta, ovvero violenza, minaccia, etc…. 149
Come anticipato, le condotte perseguite sono: l’alienazione di uno schiavo, la cessione e
l’acquisto. Le prime due sono perfettamente sovrapponibili, in quanto con il termine
alienazione intendiamo ogni atto di trasferimento, per volontà del titolare del diritto, del
potere dominicale sullo schiavo ad un altro soggetto. In tal senso, il concetto di
alienazione prescinde dalla natura onerosa o meno della traslazione, essendo punibili
anche atti gratuiti di trasferimento. La cessione è perfettamente ascrivibile alla condotta
146
E.LANZA, Gli stranieri, o. cit., pg. 594.
Di quest’avviso vedi PICCOTTI, I delitti di tratta e schiavitù, novità e limiti della legislazione italiana,
op. cit., ed E.LANZA, Gli stranieri e il diritto penale, op. cit., pg.594.
148
G.CARUSO, in Delitti di schiavitù, op. cit., pg. 14 e AMATO G., Un nuovo sistema sanzionatorio, op
cit., pg 46.
149
G.FIANDACA, E.MUSCO, Diritto penale, parte speciale, op. cit., pg.128.
147
51
esaminata. Infine, l’acquisto, comprende ogni atto di appropriazione del diritto
dominicale sullo schiavo che taluno faccia.
Fra le condotte incriminate è stata trascurata il caso della mera “recezione” della
persona offesa: in tal caso, resterebbe sostanzialmente impunito il comportamento di
colui che riceve.
Secondo parte della dottrina la condotta di acquisto dovrebbe essere interpretata in
senso atecnico, comprensiva dunque anche del ricevimento del bene a titolo gratuito.
Difatti, in caso contrario, la condotta complementare a quella del cedente resterebbe
impunita150.
V’è da sottolineare infine, come venga individuata la finalità di sfruttamento della
vittima come un requisito necessario ed ineliminabile ai fini del realizzarsi della
fattispecie di reato, in assenza del quale sarà impossibile la configurazione dell’art. 602:
viene richiesto il fine di mantenere lo stato di schiavitù o di servitù (o di alienare o
cedere lo schiavo acquistato)151.
Dal punto di vista sanzionatorio, il reato in esame è stato ritenuto di pari gravità rispetto
ai delitti di riduzione o mantenimento in schiavitù e tratta, per i quali è stato previsto
uno stesso trattamento punitivo. Questo ha portato parte della dottrina a dubitare
dell’effettiva utilità della norma in esame, in quanto l’identità edittale renderebbe
scarsamente rilevante la distinzione e probabilmente superflua la fattispecie, se non in
vista di una puntualizzazione dei contenuti minimi che la tratta, non altrimenti definita
dal codice, deve avere152. Per quel che concerne la disciplina delle circostanze
aggravanti, anche in questo caso si rimanda all’articolo 602-ter, già precedentemente
analizzato 153.
Per concludere, si veda come ancora una volta oggetto della tutela è la libertà della
persona e della dignità umana, non suscettibile di strumentalizzazione e reificazione
alcuna. Dunque è lo status libertatis ad essere ancora una volta difeso dalla norma
rispetto alle deplorevoli condotte di mercificazione dell’uomo, che trascinano lo stesso
nella dimensione di mera cosa, negandone inevitabilmente la sua dignità e libertà.
150
In tal senso si veda F.RESTA, Vecchie e nuove schiavitù, op. cit., pg.134/135
P. SCEVI, Premesse per uno studio, op. cit. pg. 943.
152
PICCOTTI, Nuove forme di schiavitù e nuove incriminazioni penali, fra normativa interna ed
internazionale, op. cit., pg.33.
153
Si rinvia al paragrafo 2.5. del presente capitolo.
151
52
5. L’Italia, uno stato pioniere nella tutela e nella protezione delle vittime.
Nell’indagine conoscitiva condotta, sarà utile al fine di una profonda comprensione
indagare, oltre che sulle norme modificate con l’intervento riformistico del 2003, anche
sui precetti che orbitano attorno alle disposizioni codicistiche in esame e preesistenti
alla modifica legislativa stessa.
Il vaglio di queste norme pre-riforma, testimonia come il nostro legislatore abbia sin dal
passato impostato la disciplina normativa riservando un’attenzione particolare per le
vittime, in vista della loro protezione.
Prendendo come punto di partenza l’art. 601, ci accorgiamo come sia del tutto
irrilevante, ai fini di una tutela penalistica, che la persona oggetto del traffico risulti
essere italiana o straniera, regolare o clandestina: la cittadinanza non viene presa in
considerazione, trattandosi della tutela di beni assoluti e intangibili, quali lo status
libertatis dell’individuo e la sua dignità umana, che di certo non potranno dipendere dal
riconoscimento o meno di un diritto di cittadinanza154.Tali diritti difatti, non vengono
creati mediante norme: possono solo essere riconosciuti dagli Stati come ad essi
preesistenti, poiché i diritti umani sono innati, indisponibili e incedibili, e soprattutto
preesistenti allo Stato. La loro promozione e il loro rispetto sono valori fondanti ed
ineliminabili degli Stati democratici moderni, in assenza dei quali l’appellativo
“democratico” risulterebbe quanto meno inadeguato e paradossale155. Nell’ottica del
legislatore italiano dunque, la tutela dell’individuo e dell’uomo non vengono mai messe
in discussione, risultando peculiari e sovraordinate rispetto ad ogni altra esigenza:
questa lodevole convinzione non è altrettanto forte e radicata in altri paesi europei, che,
come analizzeremo nel terzo capitolo, preferiscono dare la precedenza alla difesa
dell’ordine pubblico interno, disconoscendo del tutto la dimensione di libertà che ogni
Stato di diritto, per potersi definire tale, dovrebbe garantire ad ogni uomo. Libertà, la cui
titolarità “ha sempre costituito, nella storia dell’uomo e delle società, il requisito
distintivo della condizione giuridica dei liberi rispetto ai servi, e che oggi rappresenta
154
E. LANZA, La condizione soggettiva dello straniero clandestino vittima del traffico di esseri umani,
in Dottrina e ricerche, 2010, pg.12.
155
P. SCEVI, Premesse per uno studio sui delitti di schiavitù e tratta di persone nel quadro della tutela
del diritto alla libertà, in Rivista Penale, n.10/2012, pg.934.
53
non un mero attributo dello statuto della cittadinanza, ma la qualità essenziale e
costitutiva dell’essere umano, in quanto tale e non in quanto civis”. 156
A testimonianza di ciò, osserviamo come gli stati in questione adottino politiche di
forte restrizione in materia d’immigrazione, le cui ripercussioni inevitabilmente
ricadranno sui soggetti più deboli.157 Il nostro paese al contrario, cerca di conciliare il
principio di accoglienza dello straniero con l’esigenza della comunità nazionale di non
subire politiche migratorie eccedenti la capacità di assorbimento economico e lavorativo
da parte del proprio tessuto produttivo e sociale: in questa direzione si considera il Testo
unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione, approvato con
decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, che rappresenta un tentativo di disciplinare i
flussi migratori.158
L’Italia, accompagnata dai solo due casi di Belgio ed Austria, è riconosciuta a livello
europeo ed internazionale come pioniera della salvaguardia dei diritti dell’uomo, a
differenza degli altri stati, che spesso preferiscono non guardare.
Il nostro sistema tenta di conciliare da un lato, una politica “di contrasto e repressione”
con la tutela, protezione ed assistenza alle vittime, e dall’altro non trascura l’ambizioso
obiettivo di “prevenzione” del crimine, al fine di intervenire sulle cause prima ancora
che sulle conseguenze dello stesso. Questi gli obiettivi che hanno mosso il legislatore
nella sua riforma del 2003, che in vista di una protezione e tutela della vittima ha
previsto un fondo per le misure anti-tratta all’art.12, accompagnato da uno speciale
programma di protezione ed assistenza delle vittime dei reati di tratta e riduzione in
schiavitù, all’art. 13. Inoltre, nell’ottica di prevenzione del crimine, all’art. 14 è stata
prevista l’adozione di misure al fine di evitare ogni forma di assoggettamento degli
individui.159
In verità il legislatore italiano, come sopra accennato, non è nuovo ad indirizzi di questo
genere: egli ha sempre riservato un’attenzione particolare alla tutela delle vittime. Un
piccolo passo indietro ci permette di recuperare un istituto assolutamente avanguardista
e rivoluzionario: parliamo dell’art. 18 T.U. immigrazione, antesignano ed ispiratore
156
Così F.RESTA, in Vecchie e nuove schiavitù,
op. cit., pg.14.
157
STEFANO DAMBRUOSO, L’industria della tratta e le misure per contrastarla, in I diritti dell’uomo,
2010, pg.60.
158
G.CARUSO, Delitti di schiavitù, op. cit., pg. 34.
159
E. LANZA, Gli stranieri e il diritto penale, CEDAM, 2011, pg. 538.
54
dell’istituto del “permesso di soggiorno a fini di protezione sociale”, che verrà
successivamente preso a modello dalla legislazione europea.
Quest’articolo 18160 previsto nel decreto legislativo 286/1998 consentì di dare vita ad
un’esperienza per quei tempi unica a livello europeo,
basata su una protezione
incondizionata dei diritti della persona e su un capovolgimento dello schema
premiale161.
La norma prevede la possibilità del rilascio da parte del questore di un permesso di
soggiorno allo straniero sottoposto a violenza o grave sfruttamento, nel caso in cui
sussista un pericolo per la sua incolumità per effetto del tentativo di sottrarsi ai
condizionamenti dell’organizzazione criminale o per le dichiarazioni rese nel corso di
un procedimento penale. Aspetto peculiare di tale previsione, unica nel suo genere al
tempo in cui venne emanata, è data dal fatto che le condizioni suddette di violenza o
sfruttamento possono essere accertate sia nel corso di operazioni di polizia, sia nel corso
di interventi assistenziali dei servizi sociali e degli enti locali.
La finalità del rilascio del permesso di soggiorno è quella di consentire allo straniero di
partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione sociale, su richiesta o previo
parere del Procuratore della Repubblica162. Dubbi sussistevano circa la necessità o
meno del parere
del Procuratore della Repubblica in merito alla concessione del
permesso di soggiorno, anche nei casi in cui la situazione di violenza sfruttamento e
pericolo fosse emersa durante gli interventi dei servizi sociali. La dottrina maggioritaria,
e gli interventi successivi da parte di legislatore e Ministero dell’interno 163 non ritennero
160
Art. 18 t.u. immigrazione, 1°comma:” quando, nel corso di operazioni di polizia, di indagini o di un
procedimento per taluno dei delitti di cui all’art.3 della legge 20 febbraio 1958, n.75 (la c.d. Legge
Merlin in materia di prostituzione) o di quelli previsti dall’art. 380 del codice di procedura penale,
ovvero nel corso di interventi assistenziali dei servizi sociali degli enti locali, siano accertate situazioni di
violenza o di grave sfruttamento nei confronti di uno straniero, ed emergano concreti pericoli per la sua
incolumità, per effetto dei tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di un’associazione dedita ad uno dei
predetti delitti o delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio il questore,
anche su proposta del procuratore della repubblica, o con il parere favorevole della stessa autorità,
rilascia uno speciale permesso di soggiorno per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza ed ai
condizionamenti dell’organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza ed
integrazione sociale”.
161
M.G.GIAMMARINARO, Aspetti positivi e nodi critici della normativa contro la tratta di persone, in
Questione giustizia, n.3/2005, pg.456.
162
S. CENTONZE, Diritto penale dell’immigrazione, op. cit., pg.362.
163
Ci riferiamo all’art. 27 del Testo unico d.P.R. 31 Agosto 1999, n. 394, che indica chiaramente che “la
proposta per il rilascio del permesso di soggiorno può essere effettuata anche dai servizi sociali degli
enti locali, dalle associazioni, enti o altri organismi qualora rilevino situazioni di violenza o grave
sfruttamento e il questore in questo caso deve valutare la sussistenza del pericolo anche sulla base degli
elementi contenuti nella proposta senza acquisire alcun parere del pubblico ministero, che risulta
55
indefettibile il parere del P.M : in caso contrario, la portata e l’importanza del percorso
sociale verrebbe del tutto vanificata poiché implicherebbe l’apertura di un procedimento
penale ed un’eventuale audizione della vittima, in modo analogo a quanto accadeva nel
classico iter giudiziario. Qui invece è possibile seguire la via del “percorso sociale”,
opzione che introduce nel nostro sistema l’innovativo sistema del “doppio binario”: il
titolo di soggiorno potrà essere richiesto sia per via giudiziaria (e qui il p.m. gioca un
ruolo fondamentale)
o altrimenti seguendo la via di un percorso sociale, 164
che
consente alla persona trafficata di chiedere aiuto ad un’associazione o ad enti e ONG,
ancor prima e indipendentemente dalla presentazione di una denuncia, con un approccio
certamente più agevole e meno traumatico. Sarà l’associazione stessa a richieder in sua
vece il permesso di soggiorno, e solo in un secondo momento la persona offesa potrà
essere chiamata a rendere testimonianza165.
Questo consentirà la protezione e l’integrazione sociale dello straniero, al quale, in
attuazione del programma di assistenza verrà rilasciato un permesso di soggiorno valido
per l’accesso allo studio o al lavoro, in una prospettiva che determina una piena rottura
con il passato e con le vicende da cui ha tratto origine la sua presenza irregolare in
Italia.
La via del percorso sociale diventa così perfetta sintesi fra l’esigenza di accertamento
giudiziario ed un’azione di sostegno e protezione nei confronti delle vittime. Nel primo
caso, l’esigenza di accertamento trova soddisfacimento in quanto il percorso sociale è
comunque destinato a sfociare in un procedimento giudiziario (il questore è un pubblico
ufficiale e ha l’obbligo di riferire all’autorità giudiziaria le situazioni di violenza o
sfruttamento, estremi che costituiscono delitti procedibili in ufficio); in quanto al
sostegno delle vittime, esso sarà realizzato dallo speciale rapporto di fiducia che si crea
necessario solo nei casi in cui sia iniziato un procedimento penale”. O ancora si faccia riferimento
all’indicazione proveniente dall’Ufficio legislativo del Dipartimento per le pari opportunità, che afferma
esplicitamente in una nota informativa al Comitato per i Diritti Civili delle prostitute del 21 aprile 2000
che “la novità dell’art. 18 del testo Unico è sganciare la concessione del permesso di soggiorno dalla
collaborazione, permetterne il rilascio tempestivamente indipendentemente dalla comunicazione della
notizia di reato alla Procura che seguirà il suo corso con tempi diversi”.
164
D.PETRINI, V. FERRARIS, I riferimenti generali e la collocazione della ricerca nel contesto delle
riflessioni sull’art. 18, in A.A.V.V., Articolo 18: tutela delle vittime del traffico di esseri umani e lotta
alla criminalità (l’Italia e gli scenari europei) Rapporto di ricerca, On the road edizioni, 2002, pg.40 ss.
165
M.G.GIAMMARINARO, Aspetti positivi e nodi critici, op. cit., pg.457.
56
con le associazioni, ed anche con le istituzioni, incentivo per la collaborazione
giudiziaria successiva166.
La ratio essenziale della disposizione potrà comprendersi anche in riferimento alla
natura nient’affatto premiale dell’istituto: il suo rilascio non è minimamente influenzato
dalla collaborazione della vittima alle indagini (almeno inizialmente), la quale può
ricevere protezione a prescindere dalla denuncia dei fatti di sfruttamento nei quali è
coinvolta.
Le persone trafficate, vittime di gravi violazioni dei loro diritti umani, hanno diritto alla
protezione, all’assistenza e al risarcimento indipendentemente dal loro valore come
testimoni nell’ambito giudiziario167. Si muove dunque in una logica del tutto estranea a
quella premiale di un contributo dato al corso delle indagini, che caratterizzava la
legislazione del passato168 e le classiche norme a protezione del “testimone di giustizia”
(pensiamo ad esempio al permesso di soggiorno a fini investigativi, contenuto nel
pacchetto anti-terrorismo, tipico esempio di una previsione espressiva della logica
premiale)169. Il permesso di soggiorno in questione invece, ha come obiettivo non tanto
la protezione del teste, al fine di garantire la genuinità delle sue dichiarazioni, quanto
piuttosto mira all’emersione alla legalità di uno straniero vittima di tratta e al suo
inserimento in un contesto sociale-lavorativo, la pianificazione di un intervento
pubblico di reintegrazione e valorizzazione dei diritti fondamentali delle persone. Una
vita normale, prima di tutto.
Questa disposizione ha anticipato di qualche anno la legislazione europea sul tema,
rendendo superfluo il recepimento della direttiva europea 2004/81, che prendendo come
modello il sistema italiano, indirizzava gli Stati europei al rilascio del titolo di
166
D. MANCINI, Traffico di migranti e tratta di persone, tutela dei diritti umani e azioni di contrasto,
Milano 2008, pg.77.
167
D. MANCINI, Traffico di migranti, op. cit., pg. 81.
168
L’art. 18 in questione è stato difatti preceduto dalla rapida apparizione dell’art. 5 del decreto legge 13
settembre 1996, n. 477, improntato ad una logica strettamente premiale e di scarsa efficacia, nel marzo
1988, nell’ambito di un più ampio intervento sulla disciplina dell’immigrazione, il nostro legislatore ha
adottato l’art. 16 della legge 6 marzo 1998, n.40, poi divenuto l’art. 18 del testo unico 25 luglio 1998,
n.286, coniugando il rafforzamento delle azioni repressive della tratta di persone e la tutela dei diritti delle
vittime, in M.G.GIAMMARINARO, Il permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale previsto
dall’art. 18 del T.U. immagrazione, in Diritto immigrazione e cittadinanza, n.4/1999.
169
“Nella previsione contenuta nel pacchetto anti-terrorismo si dà la possibilità allo straniero,
clandestino o irregolare, che non presenti i requisiti per ottenere altre forme di legalizzazione della
presenza nel territorio dello Stato, di ottenere un titolo di soggiorno qualora dia un contributo rilevante
nella lotta contro la criminalità terroristica. La finalità perseguita con questo strumento è di tipo
eminentemente investigativo o giudiziario, eslcludendo qualsiasi connotazione protezionistica” cosi
E.LANZA in Gli stranieri e il diritto penale, op. cit., pg. 610.
57
soggiorno ai cittadini di paesi terzi vittime di tratta di persone o di traffico di migranti;
si pensi ancora alla Convenzione n.197 del 2005 del Consiglio d’Europa sulla tratta, che
sanciva l’obbligo in capo agli Stati membri di istituire nei rispettivi ordinamenti un
istituto analogo al nostro art. 18.
Notevoli sono stati i vantaggi ottenuti nel campo dell’azione penale , grazie al tentativo
di coniugare gli interessi investigativi con quelli della vittima; proprio muovendo da un
approccio di tutela della stessa si è giunti, grazie alla sua collaborazione,
all’accertamento giudiziario di condotte gravissime. Non è un caso se dall’entrata in
vigore dell’articolo in questione il numero dei procedimenti penali sul tema sia passato
da poco più di 200 a 2.930, con l’ottimo risultato che quasi tutti i processi sono
terminati con delle condanne170.
Il permesso ha durata di sei mesi, prorogabile per un anno o per il maggior periodo
necessario per motivi di giustizia. Inoltre, il titolo potrà essere convertito in permesso
di soggiorno indipendentemente dall’esito della vicenda processuale, instaurata con la
denuncia della vittima (nel caso del percorso giudiziario) o a seguito di notitia criminis
proveniente dalla Questura (nel percorso sociale) in presenza di specifiche condizioni
legate a motivi di studio o lavoro171. Eccoci giunti al cuore della disposizione, qui
comprendiamo come il fine ultimo sia la piena acquisizione dei diritti di cittadinanza172.
Il passaggio da vittima di tratta a status di cittadino è separato da una strada che pare
infinita, una strada sulla quale però il nostro paese si è coraggiosamente messo in
cammino, tentando di colmare le distanze.
Infine, resta da osservare come la disposizione in questione presentava, così come
originariamente formulata, un limite molto forte: era sostanzialmente rivolta a soggetti
stranieri, ossia cittadini non di area europea: ciò determinava una grande imparzialità
rispetto ai cittadini neo-comunitari vittime di tratta (si pensi ad esempio al caso della
Romania o della Bulgaria, stati comunitari dal gennaio 2007). I popoli di questi stati
sarebbero iniquamente rimasti privi delle tutela ex. art. 18, in quanto non più stranieri
bensì cittadini comunitari a tutti gli effetti, perdendo la possibilità di accedere ai
programmi di protezione sociale. A sanare la paradossale situazione è intervenuta la
170
M.G.GIAMMARINARO, Aspetti positivi, op. cit., pg. 457.
F.SPIEZIA, F. FREZZA, N.M.PACE, Il traffico e lo sfruttamento di esseri umani, op.cit, pg. 152.
172
D.PETRINI, V. FERRARIS, I riferimenti generali e la collocazione della ricerca nel contesto delle
riflessioni sull’art. 18, in A.A.V.V., Articolo 18: tutela delle vittime del traffico di esseri umani e lotta
alla criminalità (l’Italia e gli scenari europei) Rapporto di ricerca, On the road edizioni, 2002, pg.56
171
58
legge 26 febbraio 2007, n.17, che ha aggiunto all’art. 18 un comma 6-bis, in cui estende
l’applicabilità delle disposizioni anche ai cittadini di stati membri dell’Unione europea
in situazione di gravità ed attualità di pericolo. Naturalmente la suddetta estensione non
riguarda il rilascio del permesso di soggiorno, ma piuttosto si riferisce all’applicabilità
dei programmi di assistenza e tutela delle vittime173.
Con un’eredità così preziosa alle sue spalle, il legislatore di oggi non poteva che
continuare sulla stessa scia. Così nella riforma del 2003 ecco spuntare tre nuovi articoli,
sempre fortemente orientati in vista di una protezione e di tutela della vittima.
Parliamo in primis dell’art. 12, che prevede l’istituzione di un fondo anti-tratta destinato
a programmi di assistenza e integrazione sociale in favore delle vittime dei reati ex art.
600-601-602. Con le somme stanziate per il fondo s’intendono finanziare: i programmi
di assistenza e d’integrazione sociale in favore delle vittime; le misure di protezione
sociale previste dall’art. 18 d.lg. n. 286 del 1998, consistenti in programmi di assistenza
e d’integrazione sociale, in favore di stranieri per i quali siano accertate situazioni di
violenza o grave sfruttamento ovvero concreti pericoli per l’incolumità per effetto del
tentativo di sottrarsi ai condizionamenti di un’organizzazione dedita a reati in
questione174.
Il fondo è finanziato con le somme già destinate alla realizzazione delle attività di cui
all’art. 18 , con i proventi della confisca ordinata a seguito di sentenza di condanna o di
patteggiamento, per i reati di cui agli art. 600-601-602 ed infine, con i proventi della
confisca ordinata nelle particolare ipotesi di cui all’art. 12 sexies d.l. n. 306 del 1992.
Anche in questo settore si attua la destinazione sociale dei beni confiscati alle
organizzazioni criminali, già sperimentata con successo nel terreno della legislazione
anti-mafia: i proventi dei reati vengono devoluti in favore delle vittime, in funzione
(seppur parzialmente) risarcitoria. Realisticamente parlando però, come osserva parte
della dottrina critica nei riguardi di quest’iniziativa, due delle tre fonti indicate, almeno
nel medio periodo, risulteranno inevitabilmente “secche”, riferendosi ai canali di
finanziamento relativi alle somme derivanti dalla confisca. 175 Per ottenerle difatti,
bisognerebbe attendere non solo il passaggio in giudicato, dopo anni e traversie
processuali, delle sentenze dei relativi processi, ma anche che si provveda alla
173
E.LANZA, Gli stranieri e il diritto penale, op. cit., pg 607.
F.RESTA, Vecchie e nuove schiavitù, op. cit.pg. 22.
175
FORLENZA, Dal fondo di assistenza un aiuto concreto, in Guida dir., 2003, n.35, pg. 60.
174
59
successiva vendita dei beni confiscati. Per farla breve, di fatto il fondo sarà
principalmente finanziato dalle somme già destinate alla realizzazione delle attività di
cui all’art. 18, contributi da reperire dai capitoli di spesa dello Stato, ergo dalle tasche
dei contribuenti.
Ma c’è di più: il ricorso all’ennesima politica dei “Fondi di sostegno delle vittime” (pare
che il nostro ordinamento ci sia particolarmente affezionato: si pensi al fondo di
solidarietà per le vittime dell’usura, al fondo di solidarietà per le vittime dei reati di tipo
mafioso etc etc…) presenta il rischio di una deresponsabilizzazione del reo, il quale non
è chiamato direttamente a riparare il danno provocato, ma sarà lo Stato ad accollarsi
ogni responsabilità. Questo in coerenza con l’impostazione del nostro stato sociale,
onde evitare un’inaccettabile colpevolizzazione della vittima.176
Il legislatore, ad ulteriore conferma del percorso intrapreso, introduce l’art. 13,
riaffermando la volontà di valorizzare strumenti giuridici di assistenza e sostegno alle
vittime con la previsione di uno speciale programma di assistenza in favore delle vittime
di cui agli art. 600/601/602, anche in caso di vittime di nazionalità italiana, volto a
garantire, in via transitoria, adeguate condizioni di alloggio, di vitto e di assistenza
sanitaria; il programma di assistenza verrà realizzato da enti locali o da soggetti privati
accreditati.177
Le misure predisposte si applicano al di fuori dei casi previsti per la concessione delle
speciali misure di protezione per i testimoni di giustizia, anche di concerto con quelle
previste ex. art. 18 d.lgs. n. 286 del 1998. Questo è un articolo d’importanza
fondamentale, poiché interviene nel cuore del problema, cercando materialmente di
recidere vincoli di dipendenza e assoggettamento che corrono tra sfruttatore e vittima,
ed al fine di paventare soluzioni alternative vengono proposti programmi di assistenza
consistenti in interventi che assicurino condizioni di alloggio, vitto, assistenza sanitaria
e d’integrazione sociale. Anche in questo caso, come per l’art. 18, il legislatore ha
messo al primo posto la tutela e il riconoscimento dei diritti delle persone, punto di
partenza nei rapporti tra autorità e vittime di tratta,178 affinché la vittima recuperi una
dignità annichilita dalla tragica esperienza subita.
176
A.FIADINO, La vittima della tratta di persone e la ricorrente politica dei fondi di sostegno, in Dir.
Pen.e proc, n.9/2004, pg.1153 ss.
177
E.LANZA, La condizione soggettiva dello straniero clandestino, op. cit., pg 14.
178
D.MANCINI, Traffico di migranti, op. cit., pg. 81.
60
Ma il legislatore non si è fermato solo a questo: ha tentato di intervenire a monte del
problema, disponendo l’adozione di opportune misure operative nella fase di
prevenzione, per quanto sia possibile incidere su un fenomeno così complesso e
radicato, di certo non risolvibile solo con gli strumenti del diritto penale, ma piuttosto
con interventi strutturali di più ampia portata179.
In ogni modo e nei limiti suddetti, all’art. 14 è previsto che il Ministro degli affari esteri
definisca le politiche di cooperazione nei confronti dei paesi interessati dai fenomeni in
esame. Egli dovrà provvedere all’organizzazione, di concerto con il Ministro per le pari
opportunità, d’incontri internazionali, campagne d’informazione e corsi di formazione
del personale coinvolgendo anche i Ministri dell’interno, per le pari opportunità,
giustizia, lavoro e delle politiche sociali. Nulla da eccepire, se non fosse per l’ultimo
comma della disposizione in esame che lascia quantomeno perplessi e porta a dubitare
della effettiva capacità di realizzazione delle misure previste. Questo comma difatti, con
l’introduzione di una clausola d’invarianza della spesa, sbarra di fatto la possibilità di
ottenere fondi aggiuntivi per la concreta realizzazione di queste iniziative. Innegabile il
ridimensionamento dell’efficacia della previsione in esame, 180 che sprovvista di
finanziamenti ad hoc difficilmente riuscirà a concretizzarsi.
Per tirare le fila del nostro discorso, al di là di quelli che possono essere e sono delle
lacune ed inesattezze della normativa in materia, probabilmente inevitabili
nell’affrontare un problema cosi complesso e di cosi ampia portata, v’è da premiare un
sistema come il nostro che pone l’uomo, in quanto individuo al centro delle sue
preoccupazioni, che combatte per la salvaguardia della dignità dello stesso, e che si è
accorto prima di molti altri paesi europei dell’importanza di tutto ciò. Una lotta
combattuta innanzitutto in nome del rispetto dei diritti umani.
Nel prossimo capitolo, getteremo uno sguardo d’insieme sull’ordinamento della vicina
Francia, presa come punto di riferimento in quanto patria dei diritti umani per
eccellenza. L’idea di un confronto nasce dall’esigenza di vagliare un sistema diverso
dal nostro al fine di far emergere differenze, analogie, lacune e aspetti positivi, dell’uno
come dell’altro. Tutto ciò nel tentativo di soddisfare l’obiettivo principale ed ultimo che
è quello di trovare un punto d’incontro fra diversi sistemi normativi e creare una
179
180
F.RESTA,Vecchie e nuove schiavitù, op. cit., pg.24.
E.LANZA, Gli stranieri e il diritto penale, op.cit., pg.538.
61
sinergia fra Stati: questa, l’unica via possibile da percorrere per cercare di vincere
questa battaglia contro le vergognose schiavitù del nostro tempo.
62
CAPITOLO SECONDO.
Schiavitù e tratta nell’ordinamento francese.
Introduzione.
Il 2013 è stato un anno di notevoli cambiamenti per l’ordinamento francese in tema di
reati di schiavitù, servitù e tratta. Una profonda riforma ha interessato l’ordinamento su
questi temi, introducendo delle importanti modifiche, che da tempo venivano invocate
da più parti e che hanno trovato compiuta attuazione nella “Loi 2013-711” dello scorso
6 Agosto.
L’obiettivo era quello di allineare la Francia ai dettami imposti dall’ordinamento
europeo ed internazionale introducendo nuove definizioni ( le travail forcé et la
reduction en servitude) ed ampliandone altre già esistenti (la traite des etres humains).
L’esigenza di una riforma che interessasse il sistema era divenuta una priorità assoluta,
dettata dalle forti carenze e lacune evidenziata nell’ambito della legislazione francese.
Basti pensare al fatto che dall’inizio del XX° secolo e sino al 2003, solo la tratta di una
persona ai fini di prostituzione veniva incriminata nel diritto francese, sotto la
denominazione di “proxénétisme,181mentre il divieto di tratta ai fini di schiavitù,
contenuto nella Convenzione del 1926 e definito dal diritto internazionale come “il
trasporto o il commercio di uno schiavo o di una persona destinata a divenirlo” non
aveva lasciato alcuna traccia nel Codice penale francese.
La situazione d’immobilità venne scossa dall’adesione della Francia alla Convenzione
di Palermo, nel 2000, e da un successivo Rapporto del 2001, realizzato da una
commissione d’inchiesta parlamentare e consegnato all’Assemblea Nazionale, in cui
venne evidenziata la necessità di creare una nuova infrazione incriminante la tratta di
essere umani e di una maggiore attenzione nei riguardi degli stranieri che, in situazione
irregolare ed esposti al pericolo dell’espulsione, rinunciavano a denunciare i propri
aguzzini.
181
C. pén., art. 225-5, 3°: “ Il prossenetismo è il fatto commesso da chiunque con qualsiasi mezzo: (…) di
assumere, di portare o distogliere una persona in vista della prostituzione o di esercitare su quest’ultima
una pressione al fine che essa si prostituisca o continui a farlo.” L’art. 225-5 veniva utilizzato per punire
la tratta di donne ridotte allo sfruttamento della prostituzione e al prossenetismo aggravato (nei casi in cui
venisse commesso nei confronti di un minore)
63
Seguì la legge n°2003-2391, 18 marzo 2003, la “Loi sur la sécurité intérieure”.
Tuttavia, la nuova legge non riuscì a colmare le notevoli carenze esistenti.
La situazione si aggravò quando, due anni più tardi, la Francia venne colpita da una
pesante sentenza da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo, per il caso “Siliadin
contre France” sentenza resa il 26 luglio 2005, n. 73316/01, ove si condannò la Francia
per l’inosservanza dei parametri minimi di legislazione penale in relazione all’articolo 4
della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo e
per la mancata previsione
d’incriminazioni specifiche in tema di schiavitù, servitù e lavoro forzato obbligatorio.
La Francia veniva chiamata a rispondere dei suoi obblighi internazionali ed a rinforzare
la sua legislazione così poco determinata e garantista nei riguardi dei diritti umani delle
vittime.
Dopo questo pesantissimo ammonimento la Francia interviene con l’approvazione di
una
legge nel corso del 2007, la “Loi n° 2007-1631 relative à la maitrise de
l’immigration, à l’intégration et à l’asile”, che introdusse alcune modifiche alla legge
del 2003; tuttavia, neanche quest’ultima riuscirà a centrare l’obiettivo e colmare le
profonde lacune esistenti.
Il biennio seguente 2008-2010 fu segnato da molte iniziative sul tema: deposito al
Senato di una proposta di legge per la lotta contro le nuove forme di schiavitù (in data
16 ottobre 2008) e l’elaborazione di un progetto di piano nazionale d’iniziativa dei
ministri della Giustizia e dell’interno, nel dicembre 2008. Poi più nulla. La proposta di
Legge del 2008 fallì miseramente, e i poteri pubblici cessarono di incontrarsi in virtù del
piano d’azione iniziato un anno e mezzo prima, ed una volta elaborato il progetto, lo
stesso non ebbe più alcun seguito.
Questo lassismo dei poteri pubblici francesi dovrà presto fare i conti con una seconda
condanna per la Francia, ancora una volta dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo, per
il caso “C.N. et V. contre France”, risalente all’11 ottobre 2012. L’urgenza di
intervenire seriamente sul tema diviene improcrastinabile, ancor più dopo il rapporto
reso dalla delegazione Greta sulla situazione della legislazione francese, messa nera su
bianco nel “Rapporto del Gruppo di esperti sulla lotta contro la tratta degli esseri
umani”, pubblicato il 28 gennaio 2013.
La delegazione Greta, istituita dalla Convenzione del Consiglio d’Europa del 2005,
(vedi capitolo 3°), ha l’obiettivo di verificare l’attuazione da parte degli Stati delle
64
misure predisposte dalla Convenzione. I risultati del Rapporto e le raccomandazioni
segnalate dovranno essere tenute in conto dagli attori della legislazione francese, che
intanto si apprestavano a presentare un progetto di legge per l’adattamento delle
disposizioni esistenti nell’ambito della giustizia, in applicazione del diritto dell’Unione
europea e degli obblighi internazionale della Francia. Seguì un complesso iter di
approvazione che fra rimandi e modifiche trovò infine il suo esito positivo
nell’adozione definitiva, il 5 agosto 2013 della “Loi n° 2013-711 du 5 aout 2013”.
La Francia dunque può finalmente trovarsi in linea con gli obblighi internazionali ed
europei? Soddisfa le esigenze fondamentali di repressione, protezione e tutela della
vittima? A conti fatti, la nuova legge ha disposto un sistema più o meno garantista
rispetto quello italiano?
Queste ed altre le domande a cui tenteremo di dare una risposta nel corso di questo
secondo capitolo, ripercorrendo le tappe fondamentali che hanno condotto la Francia
sino a questa recentissima riforma e confrontandola con la legislazione del nostro paese.
65
SEZIONE I
Il reato di schiavitù e tratta nel diritto francese pre-riforma 2013.
1.“La Loi sur la sécurité intérieure” del 2003 introduce il reato di tratta
nell’ordinamento francese.
Il reato di tratta fa la sua prima comparsa nel codice penale francese grazie alla riforma
legislativa del 2003, che introduce all’articolo 225-4-1182 il reato di “Traite des etres
humains”,183 in netto ritardo rispetto agli obblighi assunti dalla Francia sia a livello
internazionale- si pensi all’adesione al Protocollo di Palermo inerente la tratta- sia a
livello europeo- si pensi alla ratifica della Decisione quadro del 19 Luglio 2002 contro
la tratta degli esseri umani, all’epoca in vigore.
L’idea d’introdurre questo delitto nasce da una specifica inchiesta parlamentare
condotta nel 2001, conclusa con un Rapporto consegnato all’Assemblea Nazionale 184, in
cui venivano evidenziate due priorità: la prima, quella di creare una nuova infrazione
incriminante il reato di tratta degli esseri umani; la seconda, quella di prestare una
maggiore attenzione nei riguardi delle vittime straniere che, in situazione irregolare e
sotto la minaccia di essere espulsi dal territorio francese, preferivano non denunciare i
propri sfruttatori.
In prima battuta, venne presentato un progetto di legge dal Parlamento, il quale ebbe
vita breve e sfortunata a causa dell’interruzione della sessione parlamentare, che impedì
che il testo venisse tradotto in legge. Qualche mese più tardi, il 18 marzo 2003,
finalmente si adottò la legge sulla sicurezza interiore (Loi n.2003-239), introducendo
182
Articolo 225-4-1: “La tratta degli esseri umani è il fatto, in cambio di una remunerazione o di qualsiasi
altro vantaggio o di una promessa di remunerazione o di vantaggio, di reclutare una persona, di
trasportarla, di trasferirla, di ospitarla o di accoglierla, per metterla a sua disposizione o a disposizione di
un terzo, anche non identificato, al fine sia di permettere la commissione ai danni di questa persona dei
reati di prossenetismo, di violenza o abusi sessuali, di sfruttamento dell’accattonaggio, di condizioni di
lavoro o di alloggio contrarie alla sua dignità, sia di costringere questa persona a commettere qualsiasi
crimine o delitto. La tratta degli esseri umani è punita con sette anni di prigione e 150000 euro di
ammenda.”
183
Atto n. 2003-239, Journal Officiel N. 66, 19/03/03, pg. 4761, consultabile sul sito
<www.legifrance.gouv.fr>
184
L’esclavage en France, aujourd’hui, N. 3459, registrato all’Assemblea Nazionale il 12.12.01,
rintracciabile sul sito internet www.assemblee-nationale.fr.
66
per la prima volta un’infrazione generale di tratta all’articolo 225-4-1- del codice penale
francese.
V’è da notare però come quest’ultima presenti delle profonde differenze rispetto al
progetto di legge fallito nel 2002: questi era decisamente orientato verso una maggiore
protezione dei diritti umani delle vittime di tratta, al contrario della legge in ultimo
adottata, il cui scopo principale sembra quello di una maggiore garanzia di sicurezza nei
riguardi dei cittadini francesi185.
Il reato di tratta così come descritto nel nuovo articolo, nonostante si sia ispirato alle
definizioni contenute nella Convenzione di Palermo e nella Decisione quadro del 2002,
si allontana parzialmente dalle stesse, con il risultato di una definizione del reato che
risulta
al contempo più stretta e più estesa rispetto a quelle suggerite dal diritto
internazionale ed europeo.
Tale maggiore estensione viene resa principalmente dalla scelta del legislatore francese
di non considerare i mezzi utilizzati dal trafficante per realizzare la fattispecie criminosa
quali elementi costituitivi del fatto di reato, bensì piuttosto come semplici circostanze
aggravanti, ai sensi dell’articolo 225-4-2 del code pénal.186
Il diritto francese, peraltro, non si accontenta di rispettare i dettami imposti
dall’ordinamento internazionale, spingendosi ben al di là ed estendendo anche ai
soggetti maggiorenni la stessa protezione riservata precedentemente ai soli minorenni,
così come previsto nel Protocollo di Palermo e nella Decisione quadro del 2002.
Ulteriore elemento a riconferma dell’estensione della reato di tratta, discende
dall’anticipazione della soglia di punibilità: anche il semplice tentativo e la complicità
185
J. VERNIER, French Criminal and Administrative law concerning smuggling of migrants and
trafficking in human beings: punishing trafficked people for their protection? in AA.VV., Immigration
and criminal law in the European union, Martinus Nijhoff Publishers,2006,pg.16.
186
Agli articoli 225-4-2 e seguenti sono indicate le circostanze aggravanti considerate, fra le quali alcune
sanzionano il ricorso a dei mezzi di coercizione, ed altre tengono conto della vulnerabilità della vittima.
Da una parte si legge <<L'uso di minacce, coercizione, violenza o manovre fraudolente nei riguardi dell’
interessato, dei familiari o di una persona che ha un rapporto abituale con lui; l’ abuso di autorità, o
ancora il ricorso a delle torture o barbarie>>.
D’altra parte, s’incontra:<< La vulnerabilità della vittima, senza che sia necessario provare il fatto che
l’autore ne abbia abusato. Sarà sufficiente che al momento dei fatti ella sia stata: minore,
particolarmente vulnerabile in ragione della sua età, , di una malattia, di un’infermità, di una disabilità
fisica o psichica o dal suo stato di gravidanza, nel caso in cui la sua condizione risulti vidente o
conosciuta all’autore; od ancora, vulnerabile in ragione del fatto che la stessa si trovava al di fuori del
territorio francese o che vi stesse arrivando>>.
67
saranno soggette a sanzioni,187ed in caso di associazione a delinquere (association de
malfaiteurs)188, sarà possibile intervenire per reprimere il fatto, nel caso in cui più
persone siano riunite allo scopo della preparazione di un fatto qualunque rientrante nella
nozione di tratta, ai sensi dell’articolo 225-4-1.
Dunque, nel diritto francese, i mezzi utilizzati nel compiere il reato assumono
un’importanza del tutto secondaria: quel che più conta è il movente perseguito, che è
quello di facilitare lo sfruttamento altrui. Il delitto di tratta viene difatti concepito come
“un’infrazione ostacolo”, strutturata in tal modo al fine di poter intervenire a monte
dello sfruttamento della persona, ed impedirne la sua realizzazione.189
D’altra parte però e malgrado una riforma intervenuta nel 2007, la definizione francese
di tratta si mostrava per altri versi, più “stretta e limitata” rispetto a quella
internazionale.
In primis, si consideri che inizialmente, con la riforma del 2003, solo chi facilitava lo
sfruttamento di una persona a favore di un terzo veniva qualificato come trafficante e
poteva essere punito ai sensi dell’articolo 225-4-1. Era necessario dimostrare che il
trafficante avesse reclutato, trasportato, trasferito o accolto una persona per metterla a
disposizione di un terzo, anche non identificato, ai fini di uno sfruttamento. Da ciò
derivava la paradossale situazione nella quale moltissime forme di tratta restavano
impunite, quali ad esempio, il caso in cui il trafficante fosse stato lui stesso l’autore
dello sfruttamento della vittima. Questi, in virtù della riforma del 2003, non avrebbe
potuto subire condanna alcuna.
Sul tema intervenne la legge n.2007-1631190, che allineandosi con la Decisione quadro
e il Protocollo di Palermo, stabilì la punibilità di tutti i trafficanti, indipendentemente
dal fatto che fossero o meno gli stessi a sfruttare la vittima.
Altro elemento che faceva della definizione di tratta ex art. 225-4-1 un concetto
alquanto ridotto rispetto alle definizioni internazionali, era la necessità di un profitto
economico in capo al trafficante.
187
Articolo 121-7 del Codice penale: la complicità nel diritto francese è considerata sia come il fatto di
facilitare la preparazione o la consumazione di un crimine o di un delitto nell’apportare coscientemente il
proprio aiuto o la propria assistenza, sia come il fatto di provocare o di organizzare la commissione di
un’infrazione per dono, promessa, minaccia, ordine, abuso d’autorità o potere.
188
Articolo 450-1 e seguenti del code pénal.
189
J. VERNIER, La traite et l’explotation des etres humains en France, étude réalisée par la Commision
nationale consultative des droits de l’homme, La Documentation française, 2010, pg. 58 ss.
190
Loi n°2007.-1631 relative à la maitrise de l’immigration, à l’intégration et à l’asile, 20 Novembre
2007.
68
Un trafficante dunque, per essere considerato in quanto tale e subire le punizioni del
caso, doveva necessariamente poter trarre dalle sue azioni una remunerazione o altri tipi
di vantaggi 191, disposizione questa che non permetteva di rispettare la soglia minima di
repressione della tratta da parte degli Stati, così come fissata nel diritto internazionale.
Eventuali punizioni sarebbero sorte solo nel momento in cui lo sfruttamento fosse
portato a termine, e il trafficante punito in quanto “autore del reato” 192.
Infine, ultimo aspetto da rilevare, sarà la sostanziale incompletezza delle condotte di
sfruttamento punite ai sensi dell’articolo 225-4-1193, il quale non fa riferimento allo
sfruttamento nella sua “accezione larga” così come concepita nel diritto internazionale.
L’articolo in questione, piuttosto, si limita ad enunciare una lista esaustiva d’infrazioni
che caratterizzano lo sfruttamento, idonee a qualificare il reato di tratta ( più
precisamente il prossenetismo, l’aggressione o le minacce sessuali, lo sfruttamento
dell’accattonaggio e quelle condizioni di lavoro o di alloggio contrarie alla dignità
umana) trascurando altre rilevanti ipotesi -peraltro previste nel Protocollo di Palermo e
nella Direttiva del 5 aprile 2011194- quali lavoro forzato, la servitù e la schiavitù.
Queste potranno essere ricomprese in alcune delle infrazioni enumerate, seppur in
maniera del tutto imperfetta.
In particolare, mentre il prossenetismo copriva quelle ipotesi di sfruttamento della
prostituzione e le aggressioni o minacce sessuali riguardavano tutte le altre forme di
sfruttamento sessuale, al contrario, il lavoro forzato, la servitù e la schiavitù- non
presentando un carattere sessuale- non potevano essere ricomprese fra queste venendo
ricondotte, in maniera imperfetta, nell’alveo delle altre infrazioni enumerate
nell’articolo (condizioni di lavoro o di alloggio contrarie alla dignità umana).
In quanto alla tratta al fine del prelievo di organi, essa non viene ricompresa
nell’articolo 225-4-1, bensì la si rintraccia all’articolo 511-3 del codice penale, (sezione
191
Art. 225-4-1 code pénal: <<…in cambio di una remunerazione o di qualsiasi altro vantaggio o di una
promessa di remunerazione o di vantaggio>>
192
J. VERNIER, La lutte contre la traite des etres humains en France depuis 10 ans. Quel bilan? In La
semaine juridique, édition génèrale- supplement au n°19-20-6 mai 2013, pg.13.
193
Art. 225-4-1, versione in vigore sino al 7 agosto 2013: “La traite des êtres humains est le fait, en
échange d'une rémunération ou de tout autre avantage ou d'une promesse de rémunération ou d'avantage,
de recruter une personne, de la transporter, de la transférer, de l'héberger ou de l'accueillir, pour la mettre
à sa disposition ou à la disposition d'un tiers, même non identifié, afin soit de permettre la commission
contre cette personne des infractions de proxénétisme, d'agression ou d'atteintes sexuelles, d'exploitation
de la mendicité, de conditions de travail ou d'hébergement contraires à sa dignité, soit de contraindre
cette personne à commettre tout crime ou délit.”
194
La direttiva 2011/36/UE che sostituisce la Decisione quadro 2002/629/Gai.
69
del codice dedicata alla salute pubblica), ove si sanziona il fatto di prelevare un organo
da un minore in vita o di un maggiorenne in vita, nel caso in cui non sia stato ottenuto il
consenso da parte di quest’ultimo secondo la normativa in vigore. Resta pertanto privo
di tutela il caso in cui vengano poste in essere le condotte tipiche del reato di tratta
(reclutamento, trasporto ed accoglienza di una persona) finalizzate al prelievo illecito di
organi.195
Considerato che il reato di tratta nel codice francese vuole essere una “disposizione
ostacolo” al realizzarsi dello sfruttamento della persona, si noti come in realtà l’articolo
così come riformato nel 2003 poneva in essere una copertura assolutamente imperfetta
delle forma di sfruttamento alle quali può esser finalizzata la tratta, determinando uno
scarto tra i possibili fatti di sfruttamento e le risposte previste in termini di sanzione
penale.
Pertanto la Francia pareva rispettare solo parzialmente i suoi obblighi internazionali: le
infrazioni dirette a colpire i fatti di sfruttamento lo fanno in maniera decisamente
insoddisfacente, lasciando scoperte alcune tra le forme più gravi.
Infine, si noti come l’infrazione generale del reato di tratta, inserito all’articolo 225-4-1,
conviveva con delle disposizioni speciali preesistenti, sulle quali non si pensò
d’intervenire abrogandole. Parliamo del reato di tratta in vista della prostituzione e della
tratta in vista dell’accattonaggio o del lavoro di strada. Il fatto che non si sia provveduto
all’abrogazione di questi articoli preesistenti determinò una ridondanza e confusione
nella scelta dell’applicazione delle norme, da poter superare solo tramite l’eliminazione
delle disposizioni speciali previste, lasciando in vigore la novella generale di tratta.
1.1.Una necessaria definizione di sfruttamento: focus sul reato di riduzione in
schiavitù.
Indubbiamente l’ordinamento francese doveva fare i conti con un “vuoto giuridico” non
indifferente, dato dalla continua necessità di rinviare a diverse infrazioni presenti
all’interno del codice incriminanti l’insieme delle forme di sfruttamento; queste
risultavano generalmente inadatte o incomplete ed impedivano il realizzarsi di una
politica criminale coerente in materia. Difatti, nel diritto francese, lo sfruttamento non è
195
J. VERNIER, La traite et l’exploitation des etres humains en France, op. cit., pg.59 ss.
70
oggetto di alcuna definizione specifica, essendo disgregato all’interno del codice fra
diverse fattispecie incriminatrici. Il reato di tratta, ad esempio, copre il limitato elenco di
forme di sfruttamento su elencate; accanto ad esso convivono altre disposizioni che
incriminano direttamente la situazione di sfruttamento di una persona. Questi sono i
reati di prostituzione (225-5. 3°comma del Code pènal), di accattonaggio(225-12-5 code
Pénal) ed infine di schiavitù (212-1 Code Pènal).196
Proprio su quest’ultimo concentreremo la nostra attenzione, per valutare quanto
l’articolo fosse effettivamente in linea con le definizioni dettate dal diritto
internazionale.
Nonostante l’adesione della Francia alle Convenzioni del 1926 e del 1956 che vietavano
tutte le forme di schiavitù, non vi era traccia alcuna nel codice penale francese di
un’infrazione che permettesse la condanna dell’esercizio di alcuni attributi del diritto di
proprietà su di una persona, a meno che questi comportamenti non s’inscrivessero in un
contesto particolare, vale a dire quello nel quale vengono commessi i crimini contro
l’umanità.197
Difatti, l’articolo 212-1 che incriminava il reato di riduzione in schiavitù era compreso
nella sezione del codice destinata ai “crimini contro l’umanità”. Pertanto, risultava
perseguibile solo nel caso in cui <<fosse ispirato da motivi politici, filosofici, razziali o
religiosi ed organizzato, in esecuzione di un piano d’attacco contro la popolazione
civile>>.198 Questa fattispecie delineava il reato aggravato di schiavitù; tuttavia, in
assenza delle circostanze richieste, il fatto di esercitare un diritto di proprietà o alcuni
dei suoi attributi su di una persona non poteva essere penalmente perseguito, non
essendo oggetto di alcuna disposizione specifica. Difatti, la riduzione in schiavitù di una
persona, nel caso in cui non fosse inscrivibile nell’alveo dei crimini contro l’umanità
non risultava punibile, se non facendo riferimento ad altri fatti commessi in parallelo
nella stessa occasione. Ad esempio possiamo fare riferimento alla violenza, al sequestro,
alle condizioni indegne di lavoro o di alloggio, ossia a tutte le infrazioni correlate che
196
L’articolo 212-1 del Code Pénal nella sua versione originaria in vigore sino alla riforma dell’agosto
2013: “La deportazione, la riduzione in schiavitù o la pratica diffusa e sistematica di esecuzioni
sommarie, di rapimenti di persone seguite dalla loro scomparsa, della tortura o di atti inumani, ispirati
da motivi politici, filosofici, razziali o religiosi ed organizzati in esecuzione di un piano concertato contro
un gruppo di popolazione civile sono puniti con la pena dell’ergastolo.” L’articolo è poi stato
profondamente modificato dalla Loi 2013-711, della quale ci occuperemo più avanti.
197
J. VERNIER, La traite et l’exploitation, op. cit., pg.71.
198
Articolo 212-1 Code Pénal.
71
tuttavia non permettevano di racchiudere tutti gli elementi del fatto, né tantomeno di
cogliere la sua gravità.199
Nel 2001, all’occasione dell’inchiesta parlamentare d’informazione, si prese coscienza
della necessità impellente di inserire un reato specifico di riduzione in schiavitù, che
fosse all’altezza della gravità della condotta e dei valori in gioco, ed inoltre che fosse in
grado di adeguarsi agli obblighi internazionali assunti dalla Francia.200
Il divieto di schiavitù in effetti, è considerato come uno dei principi fondamentali ed
universali ai quali gli Stati dovranno necessariamente allinearsi.
A tal scopo,
successivamente diversi progetti di legge vennero proposti al fine di colmare questo
vuoto giuridico nella legislazione francese, ma senza alcun successo. 201
Bisognerà attendere il 2013 per ottenere un’inversione di rotta, che finalmente porterà
all’adozione dello specifico delitto di “réduction en esclavage” nel codice penale
francese, agli articoli 224-1-A e seguenti, dei quali ci occuperemo più avanti.
1.2.Una protezione delle vittime ineguale ed insufficiente (pre-riforma 2013):
Il Permesso di soggiorno.
L’inchiesta parlamentare condotta nel 2001202 rappresenta a tutti gli effetti l’inizio di un
riconoscimento ufficiale dell’esistenza di situazioni di schiavitù e tratta di esseri umani
nell’ordinamento francese. Il Rapporto svelò non solo le forti carenze legislative e
giuridiche presenti nell’ordinamento, ma puntò il dito anche contro lo scarso sistema
predisposto a tutela e protezione delle vittime di tratta, raccomandando l’adozione di
misure coerenti con gli standard minimi previsti a livello internazionale 203.
199
J. VERNIER, French criminal and Administrative law, op. cit., pg. 22 ss.
LAZERGES C., VIDALIES A., L’esclavage en France aujourd’hui, Rapport d’information
parlamentaire n. 3459, tome II, 2001, pg. 350, in cui si constatava: <<certes, un arsenal de textes
permet, à la périphérie, de poursuivre les auteurs de pratiques d’esclavage (…), mais les incriminations
ne sont ni spécifique ni à la hauteur des enjeux et ne correspondent pas aux valeurs qu’il s’agit de
protéger, et cela au mépris de nos engagements internationaux>>
201
Progetto di legge deposto al Senato il 21 Novembre 2005; proposta di legge n° 3116 deposta a
l’Assemblea nazionale, il 31 maggio 2006; proposta n° 384 deposta a l’Assemblea nazionale il 7
novembre 2007; proposta di legge deposta al Senato il 16 ottobre 2008.
202
LAZERGES C., VIDALIES A., L’esclavage en France aujourd’hui, Rapport d’information
parlamentaire n. 3459, op.cit, pg. 46.
203
VAZ CABRAL G., “La traite des etres humains- Réalité de l’esclavage contemporaire”, La
decouverte, 2006, pg. 189.
200
72
La Francia, posta di fronte a queste urgenti sollecitazioni, opta per un modello
nient’affatto garantista nel rispetto dei diritti umani delle vittime ed ispirato da una
logica repressiva, piuttosto che d’ aiuto ed assistenza.
Punto di partenza per un’effettiva realizzazione di tutela e protezione delle vittime è la
possibilità di avere accesso alla giustizia, che si concretizza nel diritto di denuncia,
diritto ad essere ascoltati e nel diritto di ottenere una riparazione del pregiudizio subito.
Condicio sine qua non per aver accesso a queste tipo di misure sarà il riconoscimento di
un titolo di soggiorno in capo agli stranieri vittime del reato204.
Da questa consapevolezza, nel 2003 l’articolo 76 della “Loi pour la sécurité
intérieure”, codificato all’articolo L. 316-1 del “Code d’entrée et du séjour des
étrangers et du droit d’asile”205, apre la possibilità agli stranieri vittime o testimoni di
fatti di tratta o prossenetismo di far richiesta di un’autorizzazione provvisoria di
soggiorno (APS), concessa dai prefetti in maniera del tutto discrezionale che li abilita
ad un inserimento di tipo lavorativo. Per ottenere il rilascio di questa autorizzazione sarà
necessaria la partecipazione al processo penale in veste di testimoni o l’aver sporto
denuncia contro i propri aguzzini.
La ratio del rilascio dell’autorizzazione provvisoria è quella di incoraggiare (o per
meglio dire costringere) le vittime a testimoniare e collaborare con le autorità di
giustizia in cambio del soggiorno provvisorio sul territorio francese 206.
Tuttavia la misura predisposta dovrà fare i conti con il diritto europeo, che nel frattempo
ha approvato sul tema la Direttiva 2004/81/CE207.
In ottemperanza alle modificazioni introdotte dalla stessa, l’autorizzazione provvisoria
di soggiorno prevista all’art. L.316-1 del Ceseda viene convertita in una carta di
soggiorno temporanea, con la denominazione “vita privata e famigliare”.208 Questa
viene concessa agli stranieri che denuncino una persona per aver commesso i reati di
204
J. VERNIER, La Traite et l’exploitation des etres humains, op. cit., pg. 218.
Articolo 76 della “Loi n° 2003-239 du 18 mars 2003 pour la sécurité intérieure” rinvenibile su
www.legifrance.gouv.fr.
206
J. VERNIER, La lutte contre la traite, op. cit., pg. 14.
207
La direttiva riconosce un titolo di soggiorno valido per almeno sei mesi e fino al termine del processo
penale, a condizione sempre di cooperare utilmente ed in buona fede con le autorità, purché la
permanenza dello straniero non rappresenti una minaccia all’ordine pubblico e sotto la condizione di
rompere ogni legame con i proprio sfruttatori. Per altro la Direttiva prevede un periodo di riflessione di
una durata minima di 30 giorni nel corso dei quali le vittime non potranno essere allontanate dal territorio.
Per approfondimenti, si veda paragrafo 4.2. del capitolo terzo.
208
Modifica introdotta dall’articolo 39 della “Loi relative à l’immigration et à l’intégration” du 24
Juillet 2006, n. 2006-911.
205
73
tratta degli esseri umani o di prossenetismo o nel caso in cui decidano di rendere
testimonianza nell’ambito di un processo nei riguardi di una persona imputata per gli
stessi reati. La carta di soggiorno temporaneo ha una durata minima di sei mesi ed
assicura la possibilità di esercitare un’attività professionale, e nel caso di condanna
definitiva dell’imputato, potrà essere convertita in carta di residenza permanente. 209
In un secondo tempo, agli articoli R.316-1 e seguenti del Ceseda sono state chiarite le
condizioni di attuazione della disposizione. Vengono prescritti obblighi d’informazione
in capo ai servizi di polizia nei riguardi delle potenziali vittime di tratta o di
prossenetismo, quali: il diritto di beneficiare di un periodo di riflessione di 30 giorni 210
(in mancanza di questa informazione, le eventuali misure di allontanamento predisposte
nei confronti dello straniero dovranno essere annullate); la possibilità di ottenere la carta
di soggiorno; il diritto di ottenere una riparazione del pregiudizio subito; quello di
rivolgersi alla “Commission d’indemnisation des victimes d’infractions” (CIVI) per
ottenere un aiuto giuridico per far valere propri diritti ed infine, la possibilità di ottenere
l’aiuto delle associazioni operanti sul campo211.
Nonostante i correttivi apportati, il sistema francese riconferma l’adozione di un sistema
retrogrado, vale a dire il “permesso di soggiorno a scopo premiale”, di protezione contro
cooperazione.212
Si concedono misure di assistenza e protezione agli stranieri esclusivamente a
condizione della loro collaborazione con le autorità di giustizia ponendo le vittime di
reati così atroci di fronte ad un vero e proprio ricatto assolutamente inaccettabile, la cui
posta in gioco è la libertà e la vita stessa di queste persone. Siamo lontani anni luce dal
dispositivo introdotto nel ’98 dall’Italia, il “permesso di soggiorno per motivi di
protezione sociale” ed il suo garantista sistema del doppio binario213.
Qui al contrario, la sicurezza e la protezione delle vittime diventano del tutto secondarie
rispetto all’esigenza di ottenere delle condanne penali degli autori. Non si ha
209
VAZ GABRAL G., La traite des etres humains- Réalité de l’esclavage contemporaire, op. cit., pg.
192 ss.
210
L’articolo R-316-2 del Ceseda prevede che lo straniero vittima di tratta o di prossenetismo in grado di
collaborare con ke autorità di giustizia deve essere informato della possibilità di beneficiare di un periodo
di riflessione di 30 giorni nell’ambito del quale non potrà essere allontanato dal territorio francese, a men
che non vi rinunci di sua iniziativa o nel caso in cui rappresenti una minaccia per l’ordine pubblico. Allo
spirare del termine potrà decidere se cooperare o meno con la giustizia.
211
J. VERNIER, La lutte contre la traite, op. cit., pg. 14.
212
N. MARTIN, Victimes de la traite et migrations, in La sem.Jurid, op.cit, pg 30 ss.
213
Si veda capitolo primo, paragrafo 5.
74
minimamente la percezione di trovarsi innanzi delle vittime, piuttosto degli “stranieri
pentiti”, il cui soggiorno è previsto in maniera del tutto provvisoria in relazione alla
collaborazione delle stesse al processo.
V’è da notare come l’istituto del permesso di soggiorno abbia trovato scarsa
applicazione nella pratica: nel 2010 solo 150 CST sono state rilasciati sulla base
dell’articolo L.316-1.214 Questo innanzitutto a causa della natura discrezionale del
rilascio dello stesso: difatti l’articolo L.316-1 non impone nessun obbligo di rilascio o di
rinnovo del permesso di soggiorno alle vittime straniere -nonostante le stesse rientrino
nelle condizioni richieste- spettando una tale decisione al prefetto, il quale, con la
massima discrezione, stabilirà in quali casi sia opportuno rilasciarlo o meno. La
decisione verrà presa essenzialmente sull’utilità della permanenza delle vittime in
territorio francese, e più precisamente sulla base della loro utilità nell’economia del
processo. Pertanto, e contrariamente alla Direttiva europea del 2004 relativa al titolo di
soggiorno, il diritto francese fa del rilascio del titolo di soggiorno e del suo rinnovo una
semplice possibilità lasciata all’apprezzamento da parte dei prefetti. Ciò conduce a delle
importanti differenze pratiche fra prefetti, e dunque un trattamento ineguale delle
vittime.215Il parlamento francese si è preoccupato di giustificare questo discutibile
sistema discrezionale con la necessità di evitare flussi di migranti che sostengano di
essere vittime di tratta al solo scopo di ottenere il titolo. E dunque, la necessità di
discernere le false vittime da quelle autentiche dovrebbe bastare a giustificare questo
sistema diseguale, discrezionalmente garantista nonché incapace di fornire la medesima
protezione alle vittime216.
La scarsa applicazione del permesso trova spiegazione anche nello stretto campo
d’applicazione della norma e della sua formulazione.
In primis, solo gli stranieri vittime di tratta o di prossenetismo potranno vedersi
accordato il permesso. Tuttavia, raramente si è giunti alla condanna di episodi di tratta
in applicazione dell’articolo 225-4-1 e ciò a causa della configurazione della fattispecie
normativa di tratta spesso accessoria o in concorrenza con altre disposizioni. Di
conseguenza, saranno esclusi dalla concessione del permesso di soggiorno gli stranieri
214
GRETA, Rapport concernant la mise en ouvre de la Convention du Conseil de l’Europe sur la traite
des etres humains par la France: Conseil d’Europe, Strasbourg, 2013, pg.167.
215
C. LAZERGES, Propos conclusifs et recommandations, in La sem.jurid., op.cit., pg. 32
216
J. VERNIER, French criminal and Administrative law, op.cit., pg. 72.
75
vittime di forme di sfruttamento diverse dallo sfruttamento della prostituzione e la
maggior parte delle vittime di tratta217.
Saranno ulteriormente esclusi quegli stranieri che, benché rientranti nelle condizioni su
esposte, si trovino nell’impossibilità di avviare un procedimento penale a causa ad
esempio, della carenza di elementi di prova o nel caso in cui rinuncino a parteciparvi
per paura di ritorsioni nei propri confronti o della propria famiglia. Inoltre, sussistono
numerosi altri casi nei quali, nonostante vi siano le condizioni per qualificare gli
stranieri come vittime di tratta o prossenetismo, gli stessi si vedranno negare il
permesso di soggiorno. Questi casi discendono dall’ipotesi in cui gli stranieri
rappresentino una minaccia per l’ordine pubblico; nel caso in cui non abbiano reciso
tutti i legami con i loro aguzzini; ancora, nei casi in cui il procuratore e il giudice non
abbiano ancora qualificato il fatto come rientrante nei casi di tratta o prossenetismo ed
infine, qualora non rispettino più le condizioni richieste a causa del ritardo con il quale è
stata esaminata la domanda218.
Date le condizioni esposte, l’accesso alla giustizia per le vittime straniere di
sfruttamento rischia di trasformarsi in una chimera, e la maggior parte di questi che si
vedono concesso un titolo di soggiorno, lo otterranno sulla base di altre disposizioni
rispetto a quelle descritte dall’articolo L.316-1 del Ceseda: ci riferiamo all’articolo 31314 del Ceseda ed alla domanda di asilo o del beneficio della protezione sussidiaria.
Nel primo caso viene prevista la possibilità di concedere il permesso di soggiorno alle
vittime che decidano di non collaborare con la giustizia per paura di ritorsioni nei propri
riguardi o della propria famiglia. In questo caso, si potrà rilasciare uno speciale titolo di
soggiorno per “considerazioni umanitarie o motivi eccezionali”, sulla base di
valutazioni effettuate dal prefetto.
La possibilità di inoltrare domanda d’asilo o richiedere il beneficio della protezione
sussidiaria219 viene riservata agli stranieri che non rientrino nelle condizioni stabilite
dall’articolo L.316-1 e la cui eventuale espulsione e ritorno nel proprio paese d’origine
potrebbe esporli ad una minaccia grave e ad un serio pericolo di vita. In tali situazioni,
217
J. VERNIER, La lutte contre la traite, op. cit., pg. 15.
J. VERNIER, La traite et l’exploitation en France, op. cit., pg. 224 ss.
219
La protezione sussidiaria è rivolta alle persone che non rientrano nelle condizioni di “rifugiato” così
come stabilito nella Convenzione di Ginevra, che tuttavia risultano esposti ad una minaccia grave nel caso
in cui facciano ritorno al proprio paese d’origine. La necessità di una protezione si traduce per loro nella
concessione, in pieno diritto, di una carta di soggiorno di un anno dalla menzione “vita privata e
famigliare”, in conformità dell’articolo L.313-13 del Ceseda.
218
76
le vittime straniere potranno inoltrare domanda d’asilo (ai sensi dell’articolo L. 712-1b
del Ceseda). I beneficiari della protezione sussidiaria si vedranno accordare una carta di
soggiorno di un anno, denominata “vita privata e famigliare”.220
Il meccanismo predisposto dal diritto francese si presenta così fortemente lacunoso e
soprattutto ineguale, incapace di fornire la stessa protezione alle vittime di tratta, troppo
spesso basato su valutazioni discrezionali del prefetto.
Il rilascio del titolo rappresenta difatti il punto cardine della protezione e tutela offerta
alle vittime: tramite il permesso le stesse potranno ottenere accesso alla giustizia ed
inoltre usufruire dei diritti economici e sociali, condizione essenziale per sottrarsi dalla
situazione di sfruttamento e fattore decisivo per il loro reinserimento.
L’irregolarità del soggiorno, al contrario, costituisce di fatto un ostacolo maggiore tanto
al loro reinserimento quanto al loro accesso alla giustizia, ed un allontanamento dal
territorio li condannerebbe ad una perdita di tutti i diritti economici e sociali dei quali
potrebbero beneficiare.
Sulla base di ciò, nel 2009 la CNCDH invoca un urgente intervento di modificazione
della legislazione francese sul tema affinché si arrivasse ad affermare che tutte le
vittime di tratta o sfruttamento, qualunque forma esso abbia, possano avere accesso al
diritto di soggiornare sul territorio francese a prescindere dalla loro collaborazione con
le autorità di giustizia, per garantire loro accesso alla giustizia e misure di assistenza e
protezione.221
Un altro tipo di protezione disposto a favore delle vittime e di estremo interesse è
rappresentato dall’articolo 122-2222 del Codice penale, il quale introduce una clausola di
non punibilità in capo alle vittime di tratta, per i reati da loro commessi in queste
circostanze e sotto costrizione. La fattispecie legislativa però fallisce nel suo intento di
tutela in quanto le stesse, per sfuggire effettivamente alla sanzione, dovrebbero provare
di non aver potuto resistere alla costrizione fisica subita, essendo la costrizione di natura
psicologica, sotto forma di minaccia o provocazione, raramente ammessa e considerata.
220
Séminaire OCSE Rome, Sur la coopération pour prévenir la traite des etres humains, 8 Février 2013,
Rome.
221
C. LAZERGES, Propos conclusifs et recommandations, in La sem.jurid., op.cit., pg. 32
222
Article 122-2: “Non è penalmente responsabile la persona che ha agito sotto l’influenza di una forza o
di una costrizione alla quale non ha potuto resistere.”
77
Molti di loro finiscono così per l’essere sanzionati per migrazione irregolare,
accattonaggio, borseggio etc…nonostante la coercizione subita, trovandosi al banco
degli imputati accanto ai loro stessi sfruttatori.
Alla luce della direttiva del 5 aprile 2011 s’imponeva così un adeguamento obbligatorio
della legislazione francese, in particolare in merito alla tutela offerta alla vittima: tutela
questa caratterizzata da trattamenti ineguali e altamente discriminatori. L’obiettivo è
quello del riconoscimento di uno status universale di vittime, che sia capace di garantire
l’accesso agli stessi diritti per tutti.
2. La necessità di una riforma: le due condanne della Cedu.
La Francia incassa un record tanto negativo quanto esclusivo: ben due sentenze di
condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo, a distanza fra loro di soli
sette anni. La prima, risalente al 2005, per il caso Siliadin contre France223 e la seconda,
C.N. et V. contre France224, dell’ottobre 2012.
Il capo d’accusa si ripete sostanzialmente identico in ambedue le condanne: la Francia
non adempie agli obblighi imposti dall’articolo 4 Cedu225, che ordina agli Stati di
incriminare gli atti di schiavitù, servitù o di lavoro forzato e disporre un sistema capace
di punire gli autori in maniera effettiva.
La Francia viene dunque accusata di non rispondere efficacemente ai suoi obblighi
d’incriminazione penale che impongono di reprimere e punire in maniera adeguata le
condotte vietate dall’articolo 4 Cedu, di modo che i soggetti riconosciuti responsabili
possano essere condannati a pene congrue e proporzionate alla gravità del fatto di
reato.226
In particolare, in entrambe le condanne, la Corte ha riconosciuto l’esistenza di obblighi
positivi in capo agli Stati, i quali dovranno adottare norme penali atte a criminalizzare e
reprimere la riduzione o il mantenimento di una persona in schiavitù e servitù o a
223
CEDH, 26 Julliet 2005, n°73316/01, Siliadin contre France: JurisData n°2005-400043
CEDH, 11 oct. 2012, n° 67724/09, C.N. et V. contre France: JurisData n° 2012-024813.
225
Articolo 4, CEDU. Proibizione della schiavitù e del lavoro forzato: 1. Nessuno può essere tenuto in
condizioni di schiavitù o servitù. 2. Nessuno può essere costretto a compiere un lavoro forzato od
obbligatorio(…)
226
A. COLELLA, La giurisprudenza di Strasburgo 2008-2010: il divieto di schiavitù e del lavoro
forzato, in Diritto penale contemporaneo, 2011, pg.253.
224
78
sottometterla ad un lavoro forzato227. Il fatto che uno Stato si astenga dal violare i diritti
garantiti non è condizione sufficiente per concludere che lo stesso abbia adempiuto ai
propri obblighi internazionali, dovendo questo rispettare anche obblighi positivi di
criminalizzazione.228
A conti fatti, la Corte stimava che le disposizioni penali della Francia, in vigore
all’epoca dei fatti, non avevano assicurato ai richiedenti una protezione concreta ed
effettiva.
Nello specifico, il caso esaminato nel 2005 229 naufragò clamorosamente in
un’assoluzione dei responsabili, non avendo la Francia disposto un sistema repressivo
adeguato .La Corte ha concluso che le disposizioni penali applicabili alla situazione di
servitù domestica in considerazione, non avessero assicurato alla richiedente una
protezione concreta ed effettiva contro gli atti di sfruttamento di cui era stata vittima.
Ma questo non è tutto, poiché dopo sette anni di silenzio, ecco pronta una nuova
condanna a carico della Francia, con la sentenza C.N.et V. contre France, in cui la
vicenda si ripete pressoché identica: identici sono gli attori (la Corte europea dei diritti
dell’uomo e la Francia), identica la condanna (infrazione dell’articolo 4 CEDU).Data la
rarità della giurisprudenza esistente in tema di violazioni dell’articolo 4 Cedu 230,
stupisce il fatto che la Corte Edu sia tornata ad occuparsene nuovamente e per una
seconda volta nei riguardi della Francia, la quale incassa una doppia condanna per
violazione dell’obbligazione positiva a capo dello Stato di realizzare un quadro
legislativo ed amministrativo in grado di reprimere i reati di servitù e lavoro forzato,
con particolare riferimento all’inadeguatezza degli articoli predisposti dall’ordinamento,
227
P. SCEVI, Premesse per uno studio sui delitti di schiavitù e tratta di persone nel quadro della tutela
del diritto alla libertà, in Riv. Pen., n.10/2012, pg.936.
228
Cour européenne des droits de l’homme, Guide sur l’article 4,interdiction de l’esclavage et du travail
forcé, article 4 de la Convention, Strasbourg, December 2012, pg.12.
229
Sent. 26 Luglio 2005, Siliadin c. France (ric. N. 73316/01): il caso descrive la vicenda di Siliadin, una
giovane togolese giunta in Francia nel 1994 e ridotta in condizione di servitù. La giovane fu privata per
diversi anni della libertà personale e sottoposta a sfruttamento e lavoro forzato, trovandosi costretta a
prestare la propria attività lavorativa per 15 ore al giorno e senza la benchè minima retribuzione. La
ragazza denunciò i propri aguzzini alle autorità francesi. Il procedimento penale si concluse con
un’assoluzione, in quanto all’epoca dei fatti la legislazione francese non prevedeva uno specifico reato di
tratta degli esseri umani, di riduzione in servitù o lavoro forzato, e, seppur modificata successivamente,
la legislazione francese comunque non poteva esser applicata al caso in questione.
230
Sino a questa nuova condanna la Corte si era occupata solo due volte di violazioni ex.articolo 4 Cedu:
la prima, nella Sentenza Siliadin contre France, la seconda, per il caso Rantsev contre Chypre et Russie
del 2010. Così DAMIEN ROETS, L’article 4 de la Convention Européenne des droit de l’homme une
nouvelle fois violé par la France, in Dalloz, revue de science criminelle,2013, pg 149 ss.
79
il 225-13 e il 225-14231 del codice penale, che sanzionavano le condizioni di lavoro e di
alloggio contrari alla dignità della persona umana.
La vicenda esaminata nella sentenza C.N. et V. contre France232 riconferma la
giurisprudenza preesistente della Corte in materia, ribadendo la necessità dello Stato di
adempiere ai propri obblighi positivi e dell’obbligazione procedurale di avviare attività
d’inchiesta sulle situazioni di potenziale sfruttamento, nel caso in cui le autorità ne
vengano a conoscenza. In particolare poi, la Corte considera insufficienti le disposizioni
legislative in vigore al momento della commissione dei fatti incriminati, commessi
anteriormente all’entrata in vigore della legge del 2003 233, caratterizzati da una
formulazione vaga e soggetta ad interpretazioni differenti.
Questa seconda condanna in capo alla Francia pare forse anche più imbarazzante
rispetto alla prima poiché mostra come, a distanza di sette anni di tempo, nulla sia
effettivamente cambiato, fotografando una situazione pressoché immobile. Gli
ammonimenti contenuti nella prima sentenza non hanno minimamente inciso sulle
politiche legislative del paese, il quale non ha provveduto a criminalizzare e reprimere
effettivamente tutti gli atti previsti all’articolo 4 della Cedu, ignorando non solo la
condanna ricevuta nel 2005, ma anche gli appelli da parte della Commissione nazionale
consultativa dei diritti dell’uomo, che nel 2009 deliberò una serie di raccomandazioni in
cui si incitava la Francia a chiarire e completare la
legislazione penale. Tuttavia, nulla fu fatto e così, all’occasione della nuova sentenza
del 2012, la Corte fu costretta a constatare il fatto che lo stato di diritto riscontrato nel
231
Articolo 225-13: Il fatto di ottenere da una persona, abusando della sua vulnerabilità o della sua
situazione di dipendenza, la prestazione di servizi non retribuiti o in cambio di una retribuzione
chiaramente sproporzionata rispetto all’importanza dei lavori compiuti è punito con la pena di due anni di
prigione e di 500000 F di ammenda.
Articolo 225-14: Il fatto di sottomettere una persona, abusando della sua vulnerabilità o della sua
situazione di dipendenza, a delle condizioni di lavoro o di alloggio incompatibili con la dignità umana è
punito dalla reclusione di due anni di prigione e di 500000 F di ammenda.(entrambe le versione risalgono
alla formulazione pre-riforma 2003)
232
Sent. C.N. et V. contre France, Jurisdata n°2012- 024813: La vicenda vede protagoniste due sorelle del
Burundi, giunte in Francia nel ’94 rispettivamente all’età di 16 e 10 anni. La sorella maggiore, sotto la
costante minaccia di essere rispedita in Burundi e senza aver ricevuto la minima formazione scolastica,
era costretta a svolgere tutti i lavori domestici, sette giorni su sette, senza alcun riposo né retribuzione di
sorta. La ragazza per altro conviveva con la convinzione di non poter sfuggire a questa tragica situazione
e di non aver nessuna via d’uscita.
233
Le disposizioni imputate sono gli articoli 225-13, 225-14 del codice penale, rispettivamente riferibili,
in maniera imperfetta, alle ipotesi di condotte di servitù e lavoro forzato, nella loro versione precedente
all’entrata in vigore della legge del 2003.
80
presente caso era sostanzialmente lo stesso di quello vigente all’epoca della sentenza
Siliadin.
Potrebbe allora far tirare un sospiro di sollievo l’idea che queste condanne si riferiscano
alla legislazione vigente pre-riforma del 2003, confidando proprio in quest’ultima dei
passi in avanti. A ben guardare però, lo stato del diritto francese ai tempi della condanna
del 2012, nonostante la riforme intervenuta in particolare con riferimento agli articoli
incriminati (225-13, 225-14), era caratterizzato ancora dall’incapacità di riconoscere le
vittime in quanto tali e segnato dalle profonde lacune legislative date dalla mancata
integrazione nel codice dei delitti di servitù, schiavitù e lavoro forzato che continuavano
a trovare una copertura del tutto imperfetta 234.
2.1. Il rapporto Greta, trampolino di lancio per la Riforma del 2013 in merito ai
reati di tratta.
Le leggere modifiche introdotte dalla legge del 2003 risultavano così insufficienti per un
allineamento effettivo della Francia agli standard europei ed in tal senso veniva invocata
a gran voce una riforma sostanziale del sistema, capace di colmare le lacune esistenti 235.
La superficialità con la quale la Francia si era rapportata sino a quel momento a reati di
tale gravità non era più accettabile e l’urgenza di affrontare seriamente il tema divenne
improcrastinabile, specie a seguito della diffusione del rapporto reso dalla delegazione
Greta sulla situazione della legislazione francese in tema di tratta messa nero su bianco
nel “Rapporto del Gruppo di esperti sulla lotta contro la tratta degli esseri umani”,
pubblicato il 28 gennaio 2013.
La delegazione Greta, istituita dalla Convenzione del Consiglio d’Europa del 2005,
(vedi capitolo 3°), ha l’obiettivo di verificare l’attuazione da parte degli Stati delle
misure predisposte dalla Convenzione: nel marzo 2012 ha svolto un’inchiesta
conoscitiva nel territorio francese dalla quale sono scaturite una trentina di proposte atte
a migliorare la lotta contro la tratta236. I risultati del Rapporto e le raccomandazioni
234
-M. XAVIERE CATTO, Etat des lieux de la lutte contre la traite des êtres humains en France, in
Actualités Droits-Libertés du CREDOF, 2013.
235
L.B.LARSEN, Actualité de la Convention européenne des droits de l’homme (juillèt-december
2012), in AJDA,2013, pg.169.
236
C. FLEURIOT, Traite des etres humains: vers une nouvelle definition de l’infraction, in Dalloz,
Février 2013, pg. 1.
81
segnalate dovranno essere tenute in conto dagli attori della legislazione francese e sulla
base delle stesse consolidare i loro dispositivi nazionali237.
Fra i vari punti esaminati dalla delegazione, quelli più consistenti e sui quali il Greta
chiede alle autorità francesi d’intervenire sono inerenti ad una riformulazione ed
adattamento dei concetti base e definizioni materiali delle infrazioni; mettere in atto
degli strumenti adatti a permettere agli attori di identificare il fenomeno, ed infine
quello di intensificare le misure di assistenza e protezione in favore delle vittime 238.
In quanto al primo aspetto, il Greta esorta le autorità innanzitutto ad intervenire
modificando la definizione di tratta esistente al fine di includere fra gli scopi previsti
anche lo sfruttamento ai fini di lavoro o servizi forzati, di schiavitù o di pratiche
analoghe alla schiavitù, di servitù e di prelievo di organi 239. Difatti, la formulazione
dell’articolo 225-4-1 non offre protezione rispetto alle violazioni più gravi e diffuse dei
diritti dell’uomo quali lavoro forzato, servitù o schiavitù, a meno che le stesse non
abbiano un carattere sessuale. Ricorderemo come sul punto sia già intervenuta la Corte
europea dei diritti dell’uomo, che sia con la sentenza Siliadin contre France che con la
C.N et V. contre France aveva sottolineato l’inadeguatezza delle disposizioni previste
agli articoli 225-13 e 225-14 (applicati per il caso di specie) che << non offrono una
garanzia dei diritti sanciti nell’articolo 4 della Cedu, ma si riferiscono, in maniera più
restrittiva, allo sfruttamento per il lavoro ed alla sottomissione a delle condizioni di
lavoro o di alloggio incompatibili con la dignità umana>>240. Difatti, se le condizioni di
lavoro o di alloggio contrarie alla dignità umana possono sanzionare le manifestazioni
di una situazione di schiavitù e servitù (ad esempio per una remunerazione inesistente o
sproporzionata al lavoro fornito), queste non vanno ad incidere alla radice del problema,
ossia sul fatto di esercitare su di una persona gli attributi del diritto di proprietà che
ricomprende la nozione di schiavitù e la forma grave di negazione della libertà
rappresentata dalla servitù241.
237
T. JAGLAND,Contre la traite des etres humains, une prise de conscience européenne, in La semaine
Juridique, supplement au n°19/20, 2013, pg.3.
238
M. XAVIERE CATTO, Etat des lieux de la lutte contre la traite des êtres humains en France, op.cit.,
pg.2 ss.
239
C. FLEURIOT, Traite des etres humains, op. cit. pg.1.
240
Sent. 26 Luglio 2005, Siliadin c. France (ric. N. 73316/01).
241
GRETA, Rapport concernant la mise en ouvre de la Convention du Conseil de l’Europe sur la traite
des etres humains par la France: Conseil d’Europe, Strasbourg, 2013, pg. 19.
82
Altro punctum dolens è il concetto di “dignità” contenuto nell’articolo 225-4-1242 e
richiamato nella sentenza, in merito al quale
sono sorte non poche polemiche e
contestazioni. Nella specie, ciò che suscita malcontento è l’inadeguatezza del concetto
di “dignità” a garantire un eguale standard di protezione per tutte le vittime, essendo
questa una definizione suscettibile di differenti interpretazioni a seconda delle
giurisdizioni.
Altro aspetto di peculiare importanza sarà la necessità di estendere il concetto di tratta e
di riferirlo non soltanto ai casi di sfruttamento sessuale, ma anche a fini di sfruttamento
lavorativo (ad esempio nell’ambito dei lavori stagionali, nel settore della costruzione o
di lavori domestici)243.
Un’assenza che pesa molto nel diritto francese è la definizione di “sfruttamento”,
concetto questo che dovrà prender forma in maniera chiara e precisa. Difatti, la nozione
di tratta contenuta nella Direttiva 2011/36/UE (alla quale la Francia si riferirà nell’opera
riformistica) si basa essenzialmente sulla nozione di sfruttamento: pensare in termini di
sfruttamento e non di tratta permetterà alla Francia di costruire una definizione di tratta
universalizzata244.
Infine, si richiede non di ritenere più lo scambio di remunerazione come elemento
costitutivo del reato di tratta.
Al di là della necessaria riformulazione ed integrazione di concetti base e definizioni, il
Greta concentra la sua attenzione anche sul tema dell’assistenza, tutela e protezione
della vittima, sottolineando l’importanza di garantirne livelli adeguati ed eguali per tutti,
senza discriminazioni di sorta.
Punto di partenza sarà una corretta identificazione della vittima, la quale non dovrà
dipendere dalla cooperazione della stessa con le autorità, ma dovrebbe essere del tutto
incondizionata, poiché “il fatto che la vittima abbia commesso una infrazione sotto la
pressione dei trafficanti o che la stessa si trovi in situazione irregolare sul territorio non
dovrà impedire la sua identificazione”245.
242
Articolo 225-4-1: “….. di condizioni di lavoro o di alloggio contrarie alla sua dignità (…)”.
GRETA, Rapport concernant la mise en ouvre de la Convention du Conseil de l’Europe , op. cit.,
pg.23.
244
M. XAVIERE CATTO, Etat des lieux de la lutte contre la traite des êtres humains en France, op.cit.,
pg.2 ss.
245
C. FLEURIOT, Traite des etres humains, op. cit. pg.1
243
83
Le vittime devono inoltre essere precisamente informate di tutti i loro diritti. Con
specifico riferimento alla concessione del periodo di riflessione di 30 giorni, questa è
una possibilità della quale le vittime devono venire tassativamente a conoscenza,
ricadendo un obbligo di informazione specifico a carico delle autorità francesi, le quali
dovranno intensificare il sistema d’informazione 246.
Infine e con riferimento all’istituto del permesso di soggiorno, il Greta richiede alle
autorità francesi di concedere il titolo in maniera omogenea su tutto il territorio, per
abbattere l’alto tasso di discrezionalità che caratterizza il dispositivo francese 247.
246
GRETA, Rapport concernant la mise en ouvre de la Convention du Conseil de l’Europe sur la traite ,
op. cit., pg.67 ss.
247
M. XAVIERE CATTO, Etat des lieux de la lutte contre la traite des êtres humains en France, op.cit.,
pg.4 ss.
84
SEZIONE II.
La riforma francese del 2013 in comparazione con il sistema italiano.
3. L’iter di approvazione.
Dinnanzi alla necessità irrevocabile di introdurre delle modifiche al sistema francese, il
Governo dell’esagono si mette al lavoro per adottare nel più breve tempo possibile una
legge di riforma.
Il complesso iter che porterà all’adozione della “Loi n.2013-711” in data 5 agosto 2013
ha inizio con la presentazione del progetto di legge n°736, in data 20 febbraio 2013 in
Consiglio dei ministri, all’indomani della pubblicazione del Rapporto Greta sopra
esaminato. Il progetto porta diverse disposizioni per adattare il campo della giustizia
alle priorità imposte
dal diritto dell’Unione europea, in particolare alla Direttiva
2011/36/UE e agli obblighi internazionali assunti dalla Francia.
Il 15 maggio successivo, i deputati hanno adottato in prima lettura e con procedura
accelerata tale progetto di legge, il cui contenuto essenziale riguarda delle modifiche al
reato di tratta e la creazione delle nuove infrazioni di lavoro forzato, riduzione in
schiavitù e servitù248.
Tuttavia, al successivo passaggio in Senato, il 27 maggio 2013, la portata innovativa del
testo viene in parte stemperata: i senatori, difatti, pur adottando il progetto di legge ne
apportano delle modifiche sostanziali. Le più rilevanti sono la soppressione dell’articolo
2 bis, introdotto dai deputati, che mirava ad inserire nel codice penale il tanto agognato
crimine di schiavitù e di servitù. Ciò a causa del ritardo con il quale i senatori sono stati
chiamati a pronunciarsi sul tema, i quali hanno ritenuto opportuno non conservare la
disposizione in esame e conferire ad un gruppo di lavoro specifico il compito di
continuare una riflessione più approfondita sulla formulazione di queste fattispecie 249.
Il progetto passò successivamente al vaglio di una Commissione mista paritaria, che il
25 luglio 2013 ha adottato definitivamente il Progetto di legge discusso, intervenendo
sulle questioni che dividevano l’Assemblea nazionale e Senato. Innanzitutto, decide
248
C. FLEURIOT, Les députés introduisent les crimes d’esclavage et de servitude dans le code penal, in
Dalloz, Mai 2013.
249
W. ROUMIER, Adoption du project de loi portant diverses dispositions d’adaptation dans le domaine
de la justice en application du droit de l’Union européenne et des engagements internationaux de la
France, in Revue Droit penal, Julliet 2013.
85
definitivamente sull’introduzione nel codice penale dei reati di schiavitù e servitù
(scelta non condivisa e rigettata precedentemente dai Senatori).
Il reato di servitù non verrà considerato come un crimine, essendo la pena massima
prevista di dieci anni di prigione; stessa sorte spetta al reato di “lavoro forzato”, per il
quale è prevista una pena di sette anni250. Vengono introdotte delle novità anche con
riferimento ai poteri riconosciuti in capo ad Eurojust, che risulteranno rafforzati251.
Nel paragrafo che segue ci preoccuperemo di analizzare nel dettaglio le novità
apportate della riforma, proponendo un raffronto con la legislazione italiana, al fine di
rilevare le divergenze ed i punti di contatto esistenti fra le due discipline.
Il tutto verrà poi valutato nel più ampio contesto europeo, per comprendere se i due
ordinamenti possano considerarsi conformi ed in linea con gli obblighi imposti
dall’Unione europea, specie con riguardo all’ultima Direttiva 2011/36/UE.
3.1. Il nuovo reato di tratta.
La nuova versione del reato di tratta ex articolo 225-4-1 si mostra profondamente
rielaborata rispetto alle precedenti stesure del 2003 e del 2007.
L’articolo viene diviso in due paragrafi, nei quali si condensano tutti gli sforzi fatti dal
legislatore francese al fine di allinearsi alle disposizioni contenute nella direttiva
2011/36/UE, alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta degli
esseri umani ed infine, alle raccomandazioni del Gruppo di esperti del Consiglio
d’Europa sulla lotta contro la tratta252.
L’elemento materiale dell’incriminazione è sostanzialmente lo stesso di quello previsto
nella vecchia versione: si condanna il fatto di reclutare una persona, di trasportarla,
trasferirla, darle alloggio o accoglierla a dei fini di “sfruttamento”. Per la prima volta la
nozione di sfruttamento compare nel testo in maniera esplicita, ma non solo, poiché
nello stesso articolo vengono chiarite ed enunciate le finalità specifiche di sfruttamento
in vista delle quali la persona viene reclutata.
250
Nel diritto penale francese le infrazioni si distinguono in contravvenzioni, delitti e crimini sulla base
della gravità dell’infrazione commessa. Il crimine si caratterizza per la sua sanzione, e più precisamente
per la pena prevista, che è superiore a dieci anni di reclusione.
251
C. FLEURIOT, Le parlement introduit le crime de réduction en esclavage dans le code pénal, in
Dalloz, Julliet 2013.
252
N. LE COZ, La repression des atteintes aux personnes dans la loi n°2013-711 du 5 aout 2013, in AJ
Pénal, octobre 2013, pg. 512.
86
Alle infrazioni preesistenti già nella vecchia versione, pensiamo al prossenetismo,
violenza o abusi sessuali, lo sfruttamento dell’accattonaggio, il collocamento in
condizioni di lavoro o di alloggio contrarie alla dignità e la costrizione a commettere
qualsiasi altro crimine o delitto253, vengono aggiunte cinque nuove infrazioni di
sfruttamento -in linea con la direttiva del 2011, la Convenzione del 2005 ed il
Protocollo di Palermo- consegnando una fattispecie legislativa di tratta decisamente più
estesa. Parliamo dei casi in cui il reato di tratta miri ad uno sfruttamento da realizzarsi
sotto forma di riduzione in schiavitù, sottomissione ad un lavoro o servizi forzati,
riduzione in servitù, ed infine prelievo degli organi 254.
In questo modo si provvede a colmare una lacuna molto forte presente nella previgente
versione, la quale lasciava crudelmente impunite quelle ipotesi di tratta volte alla messa
in atto di condotte di tale gravità. Il reato di tratta difatti, come precedentemente
osservato, trovava applicazione principalmente nei casi di sfruttamento di tipo sessuale,
lasciando scoperte tutte queste altre ipotesi che finalmente trovano una collocazione.
Così, da una parte, con l’introduzione del riferimento ai lavori o servizi forzati ed alla
schiavitù e servitù si dà una risposta alle condanne registrate dalla Francia da parte della
Cedu; dall’altra, il riferimento al prelievo di organi pone la disposizione francese in
linea con le definizioni contenute nel paragrafo 3 dell’articolo 2 della direttiva
2011/36/UE ed anche con quelle rese nell’articolo 4 della Convenzione di Varsavia ed
infine, in conformità all’articolo 3 del Protocollo anti- tratta del 2000.
Il fatto, inoltre, che si sia data una definizione specifica di “sfruttamento” pone fine ai
molteplici dubbi che si addensavano sul significato esatto da poter attribuire al termine,
individuando una lista completa ed esaustiva delle infrazioni.
253
Art. 225-4-1, versione in vigore sino al 2013:”……al fine sia di permettere la commissione ai danni di
questa persona dei reati di prossenetismo, di violenza o abusi sessuali, di sfruttamento dell’accattonaggio,
di condizioni di lavoro o di alloggio contrarie alla sua dignità, sia di costringere questa persona a
commettere qualsiasi crimine o delitto (…).”
254
Art. 225-4-1 Nuova versione 2013: “Lo sfruttamento menzionato nel primo comma è il fatto di mettere
la vittima a sua disposizione o a disposizione di un terzo, anche non identificato, al fine sia di permettere
la commissione contro la vittima delle infrazioni di prossenetismo, violenza o abusi sessuali, di riduzione
in schiavitù, di sottomissione a del lavoro o servizi forzati, di riduzione in servitù, del prelievo di uno dei
suoi organi, di sfruttamento dell’accattonaggio, di condizioni di lavoro o di alloggio contrari alla sua
dignità, sia di costringerla a compiere qualsiasi altro crimine o delitto (….)”.
87
Seconda importante novità è data dalla creazione di un elenco dettagliato di circostanze
caratterizzanti l’incriminazione della tratta, atte per altro a provare l’assenza di consenso
da parte della vittima255.
L’elenco si compone di quattro circostanze, quali: “1.l’impiego di minaccia,
costrizione, violenza o manovre fraudolente esercitate nei riguardi della vittima, della
sua famiglia o di una persona in relazione abituale con la stessa;2.il caso in cui gli atti
di reclutamento, trasporto, trasferimento, alloggio o accoglienza siano messi in atto da
un ascendente legittimo, naturale o adottivo della vittima o da una persona che ha
autorità sulla stessa o abusa dell’autorità conferitagli dalle sue funzioni.3. La terza
ipotesi si riferisce all’abuso di una situazione di vulnerabilità dovuta all’età della
vittima, ad una malattia, infermità, una disabilità fisica o mentale o da uno stato di
gravidanza, apparente o noto all’autore del reato.” Nel passato, queste tre circostanze
venivano considerate come “circostanze aggravanti”, aventi carattere cumulativo, e non
alternativo, rispetto all’ultima ipotesi prevista attualmente dall’articolo256, vale a dire
quella che si realizza “nel caso in cui si riceva una remunerazione o un qualsiasi altro
vantaggio o una promessa di remunerazione o di vantaggi.”; quest’ultima veniva
invece considerata come un elemento costitutivo del reato di tratta: solo l’esistenza di
uno scambio di remunerazione permetteva di qualificare il fatto come reato. Questa
necessaria finalità economica venne giustamente criticata dalla delegazione GRETA, in
quanto assolutamente non prevista nella definizione imposta nella Convenzione antitratta del 2005. Nonostante ciò, nella nuova formulazione dell’articolo questa
circostanza trova ancora spazio e viene riconfermata, questa volta in vista di un unico e
strategico scopo: garantire il più possibile la repressione dei trafficanti. Ciò in quanto,
se la verifica dell’esistenza delle altre circostanze risulta particolarmente complessa da
stabilire, la prova di una remunerazione o di qualsiasi altro vantaggio sarà sicuramente
più facile da verificare257.
Il fatto comunque che si sia eliminato il riferimento ad un necessario introito economico
come elemento costitutivo del reato (dato il suo nuovo carattere alternativo rispetto alle
255
Ricordiamo come l’assenza di consenso da parte della vittima sia condicio sine qua non per il
realizzarsi della fattispecie, secondo gli standard europei ed internazionali.
256
Queste prime tre circostanze nella formulazione pre riforma erano previste in quanto “circostanze
aggravanti” all’articolo 225-4-2.
257
N. LE COZ, La repression des atteintes aux personnes ,op.cit., pg. 513.
88
altre circostanze descritte) porterà inevitabilmente ad un’importante estensione del
concetto di tratta.
Un ultimo punto merita una precisazione: è evidente che la legge non stabilisca con
precisione se i destinatari della remunerazione o di altri vantaggi siano i trafficanti, le
vittime o persone molto vicine alle stesse. Pertanto, una tal proposta fatta alla vittima
per ottenere il suo consenso potrebbe essere letta come una prova dell’abuso di una
situazione di vulnerabilità
economica della stessa: ma la nuova formulazione
dell’articolo, poco chiara sul punto, lascia aperta alla possibilità di molteplici
interpretazioni.
Infine, notiamo come grazie ai principi stabiliti nella Direttiva, nella Convenzione e nel
Protocollo anti-tratta, l’infrazione potrà costituirsi anche in assenza di una delle quattro
circostanze previste dall’articolo in questione, nel caso in cui la vittima sia un minore
degli anni diciotto258. In questo caso, difatti, il consenso prestato dalla vittima risulta del
tutto superfluo, a differenza delle ipotesi in cui la stessa sia maggiorenne, ove verrà
tassativamente richiesta l’assenza di consenso per qualificare la fattispecie di reato, ai
sensi anche del diritto internazionale ed europeo.
Dal punto di vista delle penalità previste, queste restano fissate in 7 anni di prigione e
150000 euro di ammenda, al pari di come stabilito nella precedente versione; nel caso in
cui il reato venga commesso ai danni di un minore, le penalità salgono a 10 anni di
carcere e 1.500.000 euro di ammenda. La medesima pena si applicherà anche nei
riguardi delle vittime maggiorenni nel caso in cui il reato sia commesso in presenza di
due delle circostanze previste dal 1° al 4° punto del I comma, secondo quanto stabilito
nell’articolo 225-4-2. In più, lo stesso elenca sette circostanze aggravanti, riprese dal
testo di legge anteriore al 2013259.
258
N. LE COZ, La repression des atteintes aux personnes ,op.cit., pg. 513.
Articolo 225-4-2: L’infrazione prevista al primo comma dell’articolo 225-4-1 è punita con dieci anni
di prigione e da 1.500000 euro d’ammenda nel caso in cui sia stata commessa in presenza di due delle
circostanze menzionate dal 1° al 4° punto dello stesso I comma o con una delle circostanze supplementari
seguenti: 1- nei riguardi di più persone; 2- nei riguardi di una persona che si trovava al di fuori del
territorio della Repubblica o in arrivo sul territorio della Repubblica; 3- nel caso in cui la persona sia stata
messa in contatto con l’autore dei fatti grazie all’utilizzo, per la diffusione di messaggi a destinazione di
un pubblico non determinato, di una rete di comunicazione elettronica; 4- in delle circostanze che
espongano direttamente la persona nei riguardi della quale l’infrazione è commessa ad un rischio
immediato di morte o danno che può provocare una mutilazione o invalidità permanente; 5- con l’impiego
di violenze che hanno cagionato alla vittima una incapacità totale di lavorare per più di otto giorni; 6- da
una persona chiamata a partecipare, per le sue funzioni, alla lotta contro la tratta od al mantenimento
259
89
La nuova legge non interviene con delle modifiche sugli articoli successivi, e dunque
con riferimento all’articolo 225-4-3 e seguenti del codice penale. La tratta commessa in
una banda organizzata viene sempre punita con venti anni di reclusione criminale e con
3 milioni di euro d’ammenda e nel caso in cui il reato sia accompagnato da torture o
barbarie, resta sanzionato con la pena dell’ergastolo.
dell’ordine pubblico; 7- qualora il reato abbia messo la vittima in una situazione materiale o psicologica
grave.
90
3.2. Il reato di tratta a confronto: legislazione italiana e legislazione francese.
La nostra indagine ci spinge ora verso un raffronto fra due ordinamenti, quello italiano
e quello francese, con riferimento alla formulazione legislativa del reato di tratta
prescelta nei rispettivi ordinamenti.
Il fine ultimo è quello di cogliere eventuali differenze ed affinità che corrono fra i due
sistemi legislativi ed il grado di tutela e repressione raggiunto.
Per comodità, abbiamo disposto una tabella sintetica, che ci appresteremo a
commentare qui di seguito, focalizzandoci sui punti di maggior interesse.
Tabella 1.
Reato di Tratta di esseri
umani
BENE GIURIDICO
TUTELATO
SOGGETTI ATTIVI
SOGGETTI PASSIVI
ELEMENTO
OGGETTIVO: la condotta.
MODALITA’ SPECIFICHE
DELLA CONDOTTA.
Art. 601 codice penale
italiano
Libertà individuale.
Art. 225-4-2 codice penale
francese
Dignità della persona umana.
Chiunque (reato comune)
1. persone già ridotte in
schiavitù o in servitù;
2.persona libera (da ridurre in
schiavitù).
Due distinte fattispecie
tipiche:
1. Tratta di persone già
ridotte in schiavitù o servitù.
In assenza di una definizione
specifica, si rimanda a quella
precisata nella condotta
successiva
2.Cattura a scopo
schiavistico: induzione o
coazione della vittima a fare
ingresso o a soggiornare o a
uscire dal territorio dello
Stato o a trasferirsi al suo
interno.
(condotta di tipo prodromico,
punisce le condotte
finalizzate allo schiavismo)
Sono descritte dalla
induzione ingannatoria e
dalla costrizione della vittima
a fare ingresso, soggiornare,
trasferirsi nello Stato o
uscirne. A sua volta la
Chiunque (reato comune)
Chiunque
91
La tratta di esseri umani ossia
il reclutare, il trasportare, il
trasferire, l’ospitare o
accogliere persone.
Vengono indicate:1.dall’uso
di minaccia, coazione,
violenza o manovre
fraudolente nei confronti della
vittima, della sua famiglia o
di una persona in relazione
costrizione dovrà avvenire
mediante la violenza,
minaccia, abuso di autorità,
approfittamento di una
situazione di inferiorità fisica
o psichica o di una situazione
di necessità ovvero mediante
promessa o dazione di somme
di danaro o di altri vantaggi
alla persona che ha autorità
sulla vittima. L’induzione
della vittima a trasmigrare
deve avvenire mediante
inganno. L’induzione
consiste nella persuasione
non violenta a fare qualcosa,
al contrario della costrizione,
che è un’azione tipicamente
violenta ovvero ablativa o
limitativa della volontà della
vittima.
CONSENSO.
FINALITA’ DELLA
CONDOTTA.
Il consenso, seppur
formalmente presente, è
sempre irrilevante perché
invalido, in quanto si riferisce
ad un bene indisponibile,
quale lo status libertatis della
vittima.
La tratta è finalizzata alla
commissione dei delitti
previsti al primo comma
dell’articolo 600, ossia
l’esercizio di poteri
corrispondenti a quelli del
diritto di proprietà ovvero la
riduzione o il mantenimento
di una persona in uno stato di
soggezione continuativa,
costringendola a prestazioni
lavorative o sessuali ovvero
all’accattonaggio o comunque
a prestazioni che ne
comportino lo sfruttamento.
92
abituale con la vittima; 2.il
reato viene messo in atto da
un’ascendente legittimo,
naturale o adottivo della
vittima o da una persona che
ha autorità sulla stessa o
abusa dell’autorità
conferitagli dalle sue
funzioni;
3.in presenza di un abuso di
una situazione di vulnerabilità
dovuta all’età della vittima, ad
una malattia, infermità, una
disabilità fisica o mentale o da
uno stato di gravidanza,
apparente o nota al colpevole;
4.- sia se realizzato in cambio
o per la concessione di una
remunerazione o di qualsiasi
altro vantaggio o di una
promessa di remunerazione o
di vantaggio.
Queste circostanze sono
destinate a provare l’assenza
di consenso da parte della
vittima, condicio sine qua non
per la costituzione del reato di
tratta.
La tratta degli esseri umani è
finalizzata a dei fini di
sfruttamento. Questo consiste
nel fatto di mettere la vittima
a disposizione dell’autore
stesso o di un terzo, anche
non identificato, al fine sia di
permettere la commissione
contro la vittima delle
infrazioni di prossenetismo,
violenza o abusi sessuali, di
riduzione in schiavitù, di
sottomissione a del lavoro o
servizi forzati, di riduzione in
servitù, del prelievo di uno
dei suoi organi, di
sfruttamento
dell’accattonaggio, di
condizioni di lavoro o di
alloggio contrari alla sua
dignità, sia di costringerla a
compiere qualsiasi altro
crimine o delitto.
NOZIONE DI
SFRUTTAMENTO
SANZIONI PREVISTE
Non precisamente stabilito.
Precisamente stabilito.
Pena della reclusione dagli
otto ai venti anni di carcere.
CIRCOSTANZE
AGGRAVANTI
Articolo 602-ter:
La pena per i reati previsti
dagli articoli 600, 601 e 602 è
aumentata da un terzo alla
metà:
a) se la persona offesa è
minore degli anni diciotto;
b) se i fatti sono diretti allo
sfruttamento della
prostituzione o al fine di
sottoporre la persona offesa al
prelievo di organi;
c) se dal fatto deriva un grave
pericolo per la vita o
l'integrità fisica o psichica
della persona offesa.
-Se i fatti previsti dal titolo
VII, capo III, del presente
libro sono commessi al fine
di realizzare od agevolare i
delitti di cui agli articoli 600,
601 e 602, le pene ivi previste
sono aumentate da un terzo
alla metà.
Pena di sette anni di
reclusione e di un’ammenda
di 150.000 euro.
Articolo 225-4-2:
L’infrazione prevista al
primo comma dell’articolo
225-4-1 è punita con dieci
anni di prigione e 1.500000
euro d’ammenda nel caso in
cui sia stata commessa in
presenza di due delle
circostanze menzionate dal 1°
al 4° punto dello stesso I
comma o con una delle
circostanze supplementari
seguenti: 1- nei riguardi di più
persone; 2- nei riguardi di una
persona che si trovava al di
fuori del territorio della
Repubblica o in arrivo sul
territorio della Repubblica; 3nel caso in cui la persona sia
stata messa in contatto con
l’autore dei fatti grazie
all’utilizzo, per la diffusione
di messaggi a destinazione di
un pubblico non determinato,
di una rete di comunicazione
elettronica; 4- in delle
circostanze che espongano
direttamente la persona nei
riguardi della quale
l’infrazione è commessa ad
un rischio immediato di morte
o danno che può provocare
una mutilazione o invalidità
permanente; 5- con l’impiego
di violenze che hanno
cagionato alla vittima una
incapacità totale di lavorare
per più di otto giorni; 6- da
una persona chiamata a
partecipare, per le sue
funzioni, alla lotta contro la
tratta od al mantenimento
dell’ordine pubblico; 7qualora il reato abbia messo la
vittima in una situazione
materiale o psicologica grave.
93
REATO COMMESSO AI
DANNI DI UN MINORE
DEGLI ANNI 18.
-La pena è aumentata da un
terzo alla metà se la persona
offesa è minore degli anni
diciotto;
-La pena è aumentata dalla
metà ai due terzi se il fatto è
commesso in danno di un
minore degli anni sedici
-Se il fatto è commesso in
danno di un minore degli anni
diciotto, la pena è aumentata
dalla metà ai due terzi se il
fatto è commesso da un
ascendente, dal genitore
adottivo, o dal loro coniuge o
convivente, dal coniuge o da
affini entro il secondo grado,
da parenti fino al quarto
grado collaterale, dal tutore o
da persona a cui il minore è
stato affidato per ragioni di
cura, educazione, istruzione,
vigilanza, custodia, lavoro,
ovvero da pubblici ufficiali o
incaricati di pubblico servizio
nell'esercizio delle loro
funzioni ovvero ancora se è
commesso in danno di un
minore in stato di infermità o
minorazione psichica,
naturale o provocata.
-La pena è aumentata dalla
metà ai due terzi se il fatto è
commesso mediante
somministrazione di sostanze
alcoliche, narcotiche,
stupefacenti o comunque
pregiudizievoli per la salute
fisica o psichica del minore,
ovvero se commesso nei
confronti di tre o più persone.
-La pena prevista è di dieci
anni di reclusione e 1.500000
di ammenda.
-Il reato può costituirsi anche
nel caso in cui non si realizzi
una delle circostanze previste
dal 1° al 4° punto del primo
comma dell’articolo 225-4-2.
La classificazione francese del reato di tratta nel capitolo dedicato agli “oltraggi contro
la dignità della persona” induce a riflettere innanzitutto sul bene giuridico che in primis
si considera violato al verificarsi di episodi di tratta, vale a dire la “dignità ineliminabile
della persona umana”. Il legislatore francese ha inoltre deciso di non classificare il reato
in questione come un “crimine”, bensì alla stregua di un delitto, lasciando alla sola
schiavitù la denominazione di “crimine”.
94
“La dignità umana” quale bene giuridico oggetto di tutela ricorre sia per il caso della
tratta che della servitù, mentre si riserva una collocazione speciale nella sezione del
codice dedicata agli oltraggi contro la “libertà della persona” al crimine di riduzione in
schiavitù. Dunque, nonostante la tratta sia destinata a porre in essere ipotesi di
sfruttamento della persona, nell’ordinamento francese sarà idonea a ledere un bene
giuridico diverso rispetto al reato di schiavitù, vale a dire quello della dignità umana.
Riassumendo, il legislatore francese si serve di tre articoli differenti per descrivere le
fattispecie di tratta, riduzione in schiavitù e servitù, classificando nella sezione del
Code Pénal dedicata ai delitti contro la dignità della persona la tratta e servitù ed in
quella dedicata agli oltraggi contro la “libertà della persona” per il solo crimine di
schiavitù.
Non così nel nostro ordinamento, nel quale il legislatore ha riassunto in un unico
articolo i delitti di schiavitù e servitù (articolo 600) e ne ha previsto uno specifico per il
reato di tratta (articolo 601). Entrambi gli articoli trovano collocazione nella medesima
sezione del codice dedicata ai “delitti contro la libertà individuale”: in tal modo le
condotte, seppur diversificate fra loro, risulteranno idonee a ledere lo stesso bene
giuridico rappresentato dalla “libertà individuale”.
Per il caso specifico della tratta dunque, il legislatore italiano introducendo il reato nel
capitolo dedicato ai delitti contro la “libertà individuale”, ed in particolare contro la
“personalità individuale”, riconosce al verificarsi della fattispecie di tratta la negazione
di un bene primario ed ineliminabile come quello della “libertà della persona umana”, a
differenza dell’ordinamento francese nel quale il realizzarsi della fattispecie di tratta
rappresenta un evento lesivo della dignità umana.
Le prime differenze le incontriamo in relazione ai soggetti passivi, ovvero le persone
che saranno vittime della condotta incriminata. Se nel diritto francese non vi sono
distinzioni di sorta, potendo chiunque divenire oggetto del reato, il diritto italiano pone
una distinzione fra i potenziali soggetti passivi, dettata dalla particolare struttura del
reato che individua due distinte fattispecie all’interno dell’articolo 601 del codice
dedicato alla tratta: la tratta e la cattura a scopo schiavistico. Da una parte, allora,
95
oggetto del reato saranno quei soggetti che versano già in condizioni di schiavitù o
servitù e, dall’altra, gli uomini liberi (destinati ad essere ridotti in schiavi) 260.
Per quel che riguarda l’elemento oggettivo, questo viene reso efficacemente
dall’estrema chiarezza del delitto francese che si preoccupa di esplicare a chiare lettere
il concetto di tratta, ricalcando fedelmente la definizione posta dall’articolo 3 del
Protocollo sulla tratta degli esseri umani, definendo il reato di tratta come “il
reclutamento, trasporto, trasferimento, l’ospitare o accogliere persone (…)”. Altrettanta
chiarezza non si concede la fattispecie italiana che, nonostante la riforma intervenuta nel
2003 con lo scopo specifico di fugare dubbi concettuali previgenti, conserva tutt’ora
spazi d’indeterminatezza terminologica. Abbiamo anticipato la scelta del legislatore
italiano di individuare nell’ambito dell’articolo due condotte criminose distinte, a
seconda o meno che la vittima si trovi già in una condizione di schiavitù o servitù. Nel
primo caso la condotta incriminata è la tratta, la quale però non trova alcuna specifica
definizione nell’articolo. In assenza di una determinazione particolare, si rimanda a
quella precisata nella seconda parte del medesimo articolo261, in relazione all’ipotesi in
cui la vittima non versi ancora in una situazione di schiavitù 262. In questa seconda parte
viene dettagliatamente descritta l’ipotesi di “cattura a scopo schiavistico”, la quale si
realizza tramite l’induzione o coazione della vittima a fare ingresso o a soggiornare o a
uscire dal territorio dello Stato o a trasferirsi al suo interno. La dottrina maggioritaria
riconduce la condotta di tratta a quest’ultima definizione. Di certo si noterà come la
persistenza di dubbi in merito alla definizione chiave del reato in questione, ossia la
tratta, pone l’Italia in una situazione di svantaggio rispetto alla Francia in cui, sebbene
con notevole ritardo, si è provveduto all’inserimento di una fattispecie di estrema
limpidezza ed in perfetta linea con gli obblighi internazionali.
Per quel che concerne le modalità specifiche della condotta, seppur la Francia mostri,
ancora una volta, una maggiore rigorosità e specificità nelle descrizioni fornite, la
versione italiana, in parte più vaga ed approssimata, garantisce comunque una copertura
260
C. BERNASCONI, La repressione penale della tratta di esseri umani nell’ordinamento italiano, in
AA.VV., La lotta alla tratta di esseri umani fra dimensione internazionale e ordinamento interno, a cura
di S. FORLATI, Napoli 2013, pg.69.
261
La definizione di tratta poteva ricavarsi da un rinvio recettizio alle disposizioni internazionali che
definiscono la tratta oppure la si poteva considerare come espressione sintetica ed equivalente al
fenomeno più dettagliatamente descritto nella seconda parte dell’articolo; si è scelto infine di optare per
questa seconda possibilità. Così F.RESTA, Vecchie e nuove schiavitù, op. cit., pg. 109.
262
ROSI, La tratta di persone, op. cit., pg. 57.
96
esaustiva delle modalità specifiche in cui trova realizzazione la condotta. Punto a favore
per l’Italia è dato dalla specificazione, fra le varie modalità
della condotta,
dei
destinatari dell’eventuale promessa o dazione di somme di danaro o di altri vantaggi, da
indirizzarsi a chi ha autorità sulla persona. In Francia invece quella specifica modalità
della condotta realizzata “in cambio o per la concessione di una remunerazione o di
qualsiasi altro vantaggio o di una promessa di remunerazione o di vantaggio” non si
preoccupa di individuarne i potenziali destinatari , i quali potrebbero essere i trafficanti,
le vittime o persone molto vicine alle stesse. Pertanto, una tal proposta fatta alla vittima
per ottenere il suo consenso, potrebbe essere tale da provare un abuso di vulnerabilità
economica della stessa263.
Tornando alle specifiche modalità della condotta, in ambedue le discipline si richiede
l’assenza di consenso da parte della vittima: difatti, condicio sine qua non per la
configurazione del reato di tratta sarà la totale assenza di approvazione da parte della
stessa, mentre l’eventuale consenso risulterà irrilevante nei casi in cui la vittima sia stata
sottoposta alle soggezioni e coercizioni descritte nei due articoli. Questo in conformità a
quanto stabilito nel Protocol of Trafficking dell’Onu, in cui compare una specifica
disposizione in merito all’irrilevanza dell’eventuale consenso prestato dalla vittima
nelle ipotesi di soggezione a qualsiasi forma di coercizione 264.
L’Italia non ha introdotto una specifica previsione relativa all’irrilevanza del consenso
della vittima, in ragione della natura indisponibile del bene tutelato (status libertatis).
Difatti, la caratterizzazione delle condotte ex articolo 601 in termini coercitivi o
decettivi, ne esprime sufficientemente l’incompatibilità con ogni forma di consenso che,
anche se formalmente presente, sarebbe irrilevante perché invalido, in quanto viziato od
estorto265. Stesso atteggiamento da parte della Francia, che non introduce una fattispecie
specifica sull’irrilevanza del consenso ma si preoccupa di elencare le modalità che ne
rendono irrilevante l’eventuale presenza, innovando rispetto alla disciplina pre-riforma
che ignorava l’eventualità di atti miranti a viziare il consenso. Questo si spiega in
ragione del fatto che il diritto penale francese era orientato innanzitutto alla protezione
della società, piuttosto che degli interessi individuali. In tal senso, qualora si fosse
263
N. LE COZ, La répression des atteintes aux personnes, op. cit., pg.513.
Protocol of trafficking, articolo 3, lett.b: “Il consenso di una vittima della tratta di persone allo
sfruttamento è irrilevante nei casi in cui qualsivoglia dei mezzi di cui alla lettera (a) sia stato utilizzato”.
265
F.RESTA, Vecchie e nuove schiavitù, op.cit., pg. 116.
264
97
registrato un consenso da parte della vittima, tanto sarebbe bastato per la
disapplicazione del reato di tratta, senza preoccuparsi minimamente delle modalità con
le quali lo stesso fosse stato ottenuto. Fortunatamente la Francia è intervenuta sul punto
superando quest’impostazione retrograda, con la riforma del 2013, ed introducendo
all’articolo 225-4-1 le quattro circostanze destinate a provare l’effettiva assenza di
consenso della vittima266.
La possibilità di sfruttamento rappresenta l’obiettivo finale della tratta di esseri umani in
ambedue gli ordinamenti. La differenza si pone ancora una volta sul piano della
tassatività e determinatezza: di fronte alla Francia, che enuncia chiaramente in un elenco
quelle che sono le modalità specifiche nelle quali potrà trovare realizzazione lo
sfruttamento, l’Italia licenzia la questione con un rinvio all’articolo 600 del codice
penale, il quale viene chiamato in causa per definire le finalità della condotta.
Nell’elenco contenuto all’articolo 600 c.p. vengono enunciate: la riduzione od il
mantenimento della vittima in condizioni di schiavitù o servitù, ricomprendendo anche
la costrizione a prestazioni lavorative o sessuali, l’accattonaggio ovvero quelle
prestazioni che ne comportino comunque lo sfruttamento. Notiamo come la nozione di
“sfruttamento” compare soltanto alla fine della disposizione, come formula di chiusura
che resta alquanto vaga ed indeterminata e sulla quale tutt’ora non vi è unanimità di
consensi circa l’effettiva portata267.
Se è vero che in tal modo all’interno della nozione potranno rientrarvi le modalità più
varie di sfruttamento, prediligendo una nozione estensiva della stessa 268, d’altro canto in
tal modo tale nozione soffre di una forte carenza di determinatezza che potrebbe esporre
la fattispecie ad una pericolosa arbitrarietà di interpretazioni da parte dei giudici. Non
così per la Francia che con la sua riforma del 2013 si preoccupa di stilare un elenco
preciso e completo di tutte le declinazioni possibili dello sfruttamento. V’è da dire che
un risultato simile nell’ordinamento francese è di assoluta novità rispetto ad un passato
recentissimo: basti pensare che il reato di tratta nella previgente versione non era in
grado di fornire protezione nelle ipotesi di sfruttamento realizzato sotto forma di
266
N.LE COZ, La répression des atteintes aux personnes, op. cit., pg. 512.
Così come descrivono G.CANNEVALE, C.LAZZARI, in Schiavitù e servitù nel diritto penale, op.
cit.,pg. 67 “la diligente tipizzazione delle condotte punibili non deve generare illusioni: i contorni di
questa ipotesi di reato sono ben lontani dallo stagliarsi con luminoso nitore nel panorama delle
fattispecie incriminatrice.”
268
A.M.PECCIOLI, Prime applicazioni delle nuove norme in materia di riduzione in schiavitù: è una
vera riforma? In Diritto penale e processo, n°1/2006, pg.72 ss.
267
98
riduzione in schiavitù, sottomissione ad un lavoro o servizi forzati, riduzione in servitù,
ed infine prelievo degli organi269. Dunque la riforma del 2013 interviene colmando una
lacuna pesantissima presente nella previgente versione, la quale lasciava crudelmente
impunite quelle ipotesi di tratta volte alla messa in atto di condotte di gravità estrema 270.
Le sanzioni base previste nell’ordinamento italiano e francese sono rispettivamente
fissate nella reclusione che va dagli otto ai venti anni nel caso dell’Italia e nella
reclusione fissata in sette anni ed un’ammenda di euro 150.000 nel caso francese.
Nel medesimo articolo francese dedicato alla tratta (225-4-1), il secondo comma
specifica delle penalità più severe nel caso in cui la vittima risulti essere un minore degli
anni 18: in tal caso, la sanzione prevista sale a dieci anni di reclusione e 1.500.000 euro
di ammenda e la fattispecie potrà realizzarsi anche nel caso in cui manchino le
circostanze atte a dimostrare l’assenza di consenso da parte della vittima (circostanze
queste, definite nel primo comma).
Dal canto suo l’Italia prevede in un articolo ad hoc, il 602-ter del codice penale271 delle
circostanze aggravanti per il caso specifico in cui la vittima risulti essere un minore
degli anni 18, con un aumento di pena che oscilla da un terzo alla metà della stessa 272.
L’ulteriore aggravio di pena che giunge dalla metà sino ai due terzi della sanzione
stabilita viene applicata nel caso in cui il fatto sia commesso nei riguardi di un minore
degli anni 16, o qualora la vittima sia comunque minore dei 18 anni, ma il fatto sia
realizzato: da un ascendente, dal genitore adottivo, dal loro coniuge o convivente, dal
coniuge o da affini entro il secondo grado, da parenti fino al quarto grado collaterale,
269
Ricordiamo di come la Francia venne condannata per ben due volte dalla CEDU a causa della mancata
incriminazione degli atti di schiavitù, servitù o di lavoro forzato e per l’assenza di un sistema capace di
punire gli autori in maniera effettiva.
270
Così, da una parte, con l’introduzione del riferimento ai lavori o servizi forzati ed alla schiavitù e
servitù si dà una risposta alle condanne registrate dalla Francia da parte della Cedu; dall’altra, il
riferimento al prelievo di organi pone la disposizione francese in linea con le definizioni contenute nel
paragrafo 3 dell’articolo 2 della direttiva 2011/36/UE ed anche con quelle rese nell’articolo 4 della
Convenzione di Varsavia ed infine, in conformità all’articolo 3 del Protocollo anti- tratta del 2000.Il fatto
inoltre che si sia data una definizione specifica di “sfruttamento” pone fine ai molteplici dubbi che si
addensavano sul significato esatto da poter attribuire al termine, individuando una lista completa ed
esaustiva delle infrazioni.
271
L’articolo è stato introdotto dalla Legge 2 Luglio 2010, n.108 che ha provveduto ad eliminare il terzo
comma degli articoli 600 e 601 del codice penale (descrivevano tre ipotesi di circostanze aggravanti) ed
ha introdotto il nuovo articolo 602-ter.L’articolo è stato ulteriormente integrato dalla Legge 01.10.2012,
n. 172.
272
Tale aggravante è frutto dell’intervento legislativo ad opera della Lg. 2 Luglio 2010, n.108, Ratifica ed
esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani, fatta a
Varsavia il 16 maggio 2005, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno. (10G0131), in
G.U. N.163 del 15 Luglio 2010 .
99
dal tutore o da persona a cui il minore è stato affidato per ragioni di cura, educazione,
istruzione, vigilanza, custodia, lavoro, ovvero da pubblici ufficiali o incaricati di
pubblico servizio nell'esercizio delle loro funzioni ovvero se è commesso in danno di un
minore in stato di infermità o minorazione psichica, naturale o provocata. L’aumento
della pena dalla metà ai due terzi si registra infine nel caso in cui il fatto venga
commesso mediante somministrazione di sostanze alcoliche, narcotiche, stupefacenti o
comunque pregiudizievoli per la salute fisica o psichica del minore ovvero se viene
commesso nei confronti di tre o più persone273.
Pertanto , con riferimento ai casi in cui il reato si consumi a danno dei minori, l’Italia
offre una maggiore rigidità sanzionatoria, con la previsione di pene più aspre rispetto a
quelle francesi, fissate in dieci anni di detenzione; difatti, la pena base prevista, che
oscilla dagli otto ai venti anni di reclusione, come già osservato, potrebbe subire un
aumento da un terzo alla metà della stessa o anche spingendosi dalla metà ai due terzi,
superando in tutti i casi i 10 anni previsti dal legislatore francese. Per contro però,
l’ordinamento italiano è del tutto sprovvisto della previsione di una sanzione di tipo
pecuniaria, fissata nell’articolo francese in 1.500.000 euro di ammenda.
Tornando al codice francese, oltre alla circostanza aggravante prevista nel caso in cui la
vittima risulti essere minore degli anni 18, un articolo ad hoc ( il 225-4-2) raccoglie
circostanze aggravanti ulteriori, al verificarsi delle quali la pena da applicare si
innalzerà a dieci anni di prigione e 1.500.000 euro di ammenda274. Da sottolineare come
fra queste, la Francia ricomprenda la particolare ipotesi in cui la tratta abbia ad oggetto
una persona che al momento del verificarsi dell’evento lesivo si trovasse al di fuori del
territorio francese, prescrivendo al contrario la pena semplice nel caso in cui la persona
fosse già sul territorio francese. L’aggravante idonea a far sorgere un inasprimento
della pena sarà così l’eventuale “dimensione esterna” del reato di tratta, attribuendo
maggiore gravità al fatto di reato qualora lo stesso mostri una connotazione di tipo
“immigratoria”. Distinzioni di tal tipo sono del tutto estranee alla logica seguita dal
legislatore italiano che, al contrario, non prevede alcuna distinzione sulla base del luogo
273
Le suddette circostanze aggravanti previste per l’ipotesi in cui la vittima sia un minore sono frutto
dell’ulteriore integrazione legislativa avutasi ad opera della Legge 01.10.2012, n. 172, “Ratifica ed
esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento
e l'abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento
interno, in G.U. 08.10.2012, n. 235.
274
Vedi articolo 225-4-2.
100
in cui la condotta si realizza, slegandosi totalmente dalla dimensione territoriale del
fatto.
Al di fuori dei casi specifici in cui la vittima risulti essere minore degli anni 18, il
legislatore italiano dispone un inasprimento della pena per il caso in cui i fatti risultino
diretti allo sfruttamento della prostituzione o al prelievo degli organi, ipotesi queste
soggette nel diritto francese alla pena base e ricomprese tra le finalità specifiche della
condotta incriminata. L’Italia si distingue infine per aver inserito come ulteriore
circostanza aggravante il caso in cui i delitti relativi alla falsità in atti vengano
commessi al fine di agevolare o commettere il delitto di tratta: una disposizione di tal
tipo è del tutto assente nell'ambito del diritto francese275.
Anche la Francia dal canto suo però schiera una serie d’ipotesi aggravanti che non
vengono contemplate nell’ordinamento italiano: si pensi al caso al quale si accennava
prima, ossia qualora il reato venga commesso nei riguardi di una persona che si trovava
fuori dal territorio francese; o qualora si faccia uso di internet come mezzo per reclutare
la vittima; ancora si annovera l’esposizione della vittima ad un rischio immediato di
morte o danno in grado di provocare una mutilazione o invalidità permanente, o qualora
la condotta sia stata posta in essere da una persona chiamata a partecipare, per le sue
funzioni, alla lotta contro la tratta o al mantenimento dell’ordine pubblico 276 ed infine
l’ipotesi in cui, a causa dell’utilizzo di violenza sia stata cagionata alla vittima una
incapacità totale di lavorare per più di otto giorni.
Unico punto d’accordo fra i due ordinamenti si rintraccia in relazione al caso in cui il
reato abbia messo la vittima in una situazione materiale o psicologica grave .
Pertanto si vedrà come, se da un lato l’ordinamento italiano è particolarmente attento
alle ipotesi in cui la vittima sia minorenne -disponendo un’ampia schiera di ipotesi atte
ad inasprire la pena prevista- dall’altro, l’ordinamento francese si mostra più completo
sulle aggravanti generali, applicabili indipendentemente dalla maggiore o minore età
della vittima.
V’è da osservare però che le circostanze aggravanti predisposte dal legislatore italiano
si dimostrano ai fatti più rigide rispetto a quelle previste nel diritto francese; a
275
Articolo 602-ter: Se i fatti previsti dal titolo VII (Dei delitti contro la fede pubblica), capo III, (Della
falsità in atti, articoli da 476 al 493-bis) sono commessi al fine di realizzare o agevolare i delitti di cui agli
articoli 600, 601, 602, le pene ivi previste sono aumentate da un terzo alla metà.
276
Ipotesi questa prevista nel diritto italiano come circostanza aggravante ma solo nel caso in cui la
vittima risulti essere un minore degli anni 18.
101
riconferma di ciò, l’ultimo comma dell’art. 602 ter deroga alla regola generale del
concorso di circostanze aggravanti ed attenuanti previsto al comma 2 art. 69 c.p. ed ad
un giudizio di bilanciamento di circostanze lasciato al giudice penale viene sostituita
una prevalenza ex lege delle aggravanti indicate nella sezione dedicata ai delitti contro
la personalità individuale. La conseguenza è che la rigidità sanzionatoria che appare
maggiore nel diritto penale italiano rispetto a quello francese si appalesa come reale,
perché il trattamento penale non è influenzato dalle possibili circostanze attenuanti, ad
eccezione del contributo di minima importanza nell’ambito del concorso di persone
(114 c.p.) e della diminuzione di pena per i soggetti agenti minori secondo la disciplina
dell’art. 98 c.p
In conclusione , al d là delle circostanze aggravanti, non si potrà fare a meno di invocare
una maggiore chiarezza per la fattispecie italiana che posta a raffronto con il diritto
francese lascia ancora aperti spazi di indeterminatezza e di forte ambiguità,
inammissibili in riferimento a reati di tal portata e gravità. Non bisogna dimenticarsi
del fatto che il reato di tratta ha fatto il suo ingresso nel codice penale italiano nel 2003,
con una formulazione decisamente avanzata per i tempi; tuttavia, per evitare che
un’avanguardia si trasformi con il passar del tempo in retroguardia, sarà necessario
intervenire con delle riforme al più presto.
3.3. La Francia introduce i nuovi reati di schiavitù, servitù e lavoro forzato.
Abbiamo visto come il legislatore francese abbia provveduto ad un profondo restyling
del reato di tratta. Fra le tante, una novità molto importante
è rappresentata
dall’inserimento tra le modalità specifiche di sfruttamento, quella della riduzione in
schiavitù, servitù e lavoro forzato. Tuttavia il codice francese risultava del tutto
sprovvisto di disposizioni atte a descrivere tali fattispecie, rendendo così inevitabile un
intervento parallelo nel codice al fine di chiarire in disposizioni autonome il contenuto
esatto di tali condotte.
Basti ricordare con riferimento al reato di schiavitù che, nonostante l’adesione della
Francia alle convenzioni del 1926 e del 1956 (le quali vietavano tutte le forme di
schiavitù), sino a quel momento non vi era traccia alcuna nel codice. Mancava difatti
un’infrazione ad hoc che permettesse la condanna dell’esercizio di alcuni attributi del
102
diritto di proprietà su di una persona, a meno che questi comportamenti non
s’inscrivessero in un contesto particolare, vale a dire quello nel quale vengono
commessi i crimini contro l’umanità (ex articolo 212-1 del codice penale)277.
All’occasione della riforma del 2013, il legislatore crea così 3 nuove fattispecie, con
l’obiettivo di definire e reprimere in maniera autonoma le condotte di schiavitù, servitù
e lavoro forzato. L’intervento riformatore si pone per altro anche in risposta alle due
condanne incassate dalla Francia da parte della Cedu (vedi paragrafo 2), le quali
lamentavano l’inadeguatezza delle incriminazioni previste in merito alle condizioni di
lavoro e di alloggio contrarie alla dignità umana ed il mancato rispetto degli obblighi
posti dall’articolo 4 della CEDU, che incriminava le condotte di schiavitù, servitù e
lavoro forzato278.
La profonda lacuna dettata dall’assenza di un crimine di schiavitù viene finalmente
colmata dall’introduzione dell’articolo 224-1 A del codice penale, che in perfetta linea
con gli obblighi imposti dal diritto internazionale sanziona , per la prima volta
nell’esperienza francese, la condotta di riduzione in schiavitù come “il fatto di
esercitare nei riguardi di una persona uno degli attributi del diritto di proprietà”279,
formula ripresa dalla Convenzione del 1926. Non viene ulteriormente chiarita la
nozione di “diritto di proprietà”, essendo rinvenibile ed ampliamente esplicata nella
definizione dettata dal diritto civile, per cui “un proprietario ha la facoltà di disporre dei
suoi beni e dei suoi frutti, trasformarli, separarsene o distruggerli”. Queste stesse
condotte, che possono essere crudelmente messe in atto su di una persona, diventano
inaccettabili e finalmente perseguibili dal diritto penale francese, seppur con un ritardo
davvero inspiegabile. La pena prevista sarà quella di 20 anni di reclusione carceraria.
Tuttavia il legislatore non si è fermato qui introducendo all’articolo successivo, il 2241-B, il concetto di sfruttamento di una persona ridotta in schiavitù. Esso consisterà nel
fatto di “commettere nei riguardi di una persona di cui lo stato di schiavitù sia
apparente o conosciuto all’autore, una violenza sessuale, sequestrarla o sottometterla a
lavori forzati o servizi forzati”280. Con la disposizione in esame si mira ad assicurare
una copertura completa alla vittima di un reato così atroce, anche in quei casi specifici
277
J. VERNIER, La traite et l’exploitation, op. cit., pg.71.
A. COLELLA, La giurisprudenza di Strasburgo 2008-2010: il divieto di schiavitù e del lavoro
forzato, in Diritto penale contemporaneo, 2011, pg.253.
279
Articolo 224-1-A, code pénal.
280
Articolo 224-1-B, Code pénal.
278
103
in cui la persona versi già in una situazione di schiavitù e proprio in virtù di questo,
venga ulteriormente sfruttata dai suoi aguzzini nei modi descritti. La pena prevista è
ancora fissata in 20 anni di carcere.
Completa le disposizioni in esame l’articolo successivo 224-1-C, il quale introduce
delle circostanze aggravanti atte ad innalzare la pena a trent’anni di reclusione. Ciò si
potrà verificare nei casi in cui il reato di riduzione in schiavitù o lo sfruttamento di una
persona ridotta in schiavitù trovino attuazione in speciali condizioni, precisamente
elencate nell’articolo281.
Altra grande mancanza nel codice penale francese, come anticipato, era la previsione di
una disposizione che sanzionasse il reato di riduzione in servitù. Omissione denunciata
e condannata duramente in due occasioni dalle sentenze della Corte europea dei diritti
dell’uomo, di fronte alle quali la Francia non poteva più permettersi di tacere o
d’ignorare una situazione di tale arretratezza legislativa.
Il concetto di servitù viene in prima battuta chiarito nella sentenza Siliadin contre
France, in cui si afferma che “lo stesso consiste in una forma di negazione della libertà
particolarmente grave, e si caratterizza dall’obbligo, imposto con mezzi coercitivi, di
fornire a taluno un determinato servizio, cui si accompagnano una notevole restrizione
della libertà personale e la sottoposizione a forme penetranti di controllo” 282. Tuttavia
in tale definizione i contorni della figura apparivano particolarmente sfumati: difatti era
possibile individuare un parziale ambito di sovrapposizione tra il servizio oggetto
dell’obbligo in cui si sostanzia la servitù e quello oggetto del divieto di lavoro
forzato283.
A porre fine a queste incertezze ci pensò la sentenza successiva, la C.N. et V. contre
France, sempre emanata dalla Cedu. Qui viene dettato un criterio specifico atto a
distinguere la servitù rispetto al lavoro forzato obbligatorio: l’elemento fondamentale
che distingue le due condotte è dato dal sentimento delle vittime, che nel caso della
servitù è contraddistinto dalla convinzione che la propria condizione sia immutabile, e
281
Articolo 224-1-C: “(….) 1. nei riguardi di un minore;2.nei riguardi di una persona la cui vulnerabilità,
dovuta all’età della vittima, ad una malattia, infermità, una disabilità fisica o mentale o da uno stato di
gravidanza, apparente o nota al colpevole; 3. da un’ascendente legittimo, naturale o adottivo della vittima
o da una persona che ha autorità sulla stessa o abusa dell’autorità conferitagli dalle sue funzioni;4. da una
persona chiamata a partecipare, per le sue funzioni, alla lotta contro la schiavitù od al mantenimento
dell’ordine pubblico; 5. Qualora il crimine sia preceduto o accompagnato da torture o barbarie
282
Sent. 26 Luglio 2005, Siliadin c. France (ric. N. 73316/01)
283
A. COLELLA, La giurisprudenza di Strasburgo, pg.249, op. cit..
104
nient’affatto suscettibile di evoluzione alcuna. Pertanto la servitù dovrà considerarsi
come una specifica forma di “lavoro forzato o obbligatorio”, altrimenti detto “lavoro
forzato o obbligatorio aggravato”284.
Il legislatore francese non poteva che partire da queste preziose indicazioni fornite dalla
Cedu per introdurre e sviluppare le due nuove fattispecie di servitù e lavoro forzato,
rispettivamente agli articoli 225-14-2 e 225-14-1.
La servitù viene definita come il fatto di far subire ad una persona, la cui vulnerabilità o
dipendenza siano apparenti o conosciuti all’autore ed in maniera abituale, le infrazioni
previste all’articolo 225-14-1, sarebbe a dire la fattispecie di lavoro forzato. Le pene
previste sono di dieci anni di carcerazione e 300.000 euro di ammenda.
Dal canto suo, l’articolo 225-14-1, rubricato sotto la denominazione di “lavoro forzato”
e richiamato dall’articolo sulla riduzione in servitù, finalmente fa la sua comparsa nel
codice colmando una lacuna oramai storica, risalente addirittura all’adesione della
Francia alla Convenzione n.29 sul lavoro forzato del 1937 ed ad ulteriori trattati siglati
successivamente.
La fattispecie viene descritta come “il fatto di costringere una persona ad effettuare un
lavoro senza retribuzione o in cambio di una retribuzione palesemente sproporzionata
all’importanza del lavoro posto in essere, con l’uso peraltro di violenza o minaccia.”
Dieci anni di carcerazione e 200.000 euro di ammenda sono le pene stabilite.
Si noti come, in ossequio alle indicazioni fornite dalla Cedu, le due condotte,
apparentemente sovrapponibili, trovino l’elemento di distinzione nella particolare
condizione di vulnerabilità in cui versi la vittima e nella convinzione della stessa
dell’impossibilità di veder evolvere la propria terribile situazione.
3.4. Reati di schiavitù e servitù a confronto: legislazione italiana e francese.
Così come precedentemente fatto per il reato di tratta introdotto dalla riforma legislativa
francese, ci apprestiamo ad un’analisi comparata fra l’ordinamento italiano e quello
francese in merito ai reati di riduzione in schiavitù e servitù, sistemando in una tabella le
due fattispecie e riservandoci un commento sugli aspetti più interessanti individuati
nelle due discipline.
284
COUR EUROPEENNE DES DROITS DE L’HOMME, Guide sur l’article 4, op.cit., pg.6.
105
Tabella 2. Reato di Schiavitù.
Reato di schiavitù
BENE GIURIDICO
TUTELATO
SOGGETTI ATTIVI
SOGGETTI PASSIVI
ELEMENTO
OGGETTIVO: la condotta.
MODALITA’ SPECIFICHE
DELLA CONDOTTA
SANZIONI PREVISTE
CIRCOSTANZE
AGGRAVANTI
REATO COMMESSO AI
DANNI DI UN MINORE
DEGLI ANNI 18.
Art. 600- Riduzione o
mantenimento in schiavitù
Personalità individuale.
Art. 224-1 A- La réduction
en esclavage
Status libertatis
Chiunque (reato comune)
Chiunque
La riduzione o il
mantenimento in schiavitù
consiste nell’esercizio su di
una persona dei poteri
corrispondenti a quelli del
diritto di proprietà.
Non richieste (reato a forma
libera)
Reclusione dagli otto ai venti
anni.
Articoli 602-ter:La pena
prevista è aumentata da un
terzo alla metà:
(…)
b) se i fatti sono diretti allo
sfruttamento della
prostituzione o al fine di
sottoporre la persona offesa al
prelievo di organi;
c) se dal fatto deriva un grave
pericolo per la vita o
l'integrità fisica o psichica
della persona offesa.
-Se i fatti previsti dal titolo
VII, capo III, del presente
libro sono commessi al fine di
realizzare od agevolare i
delitti di cui agli articoli 600,
601 e 602, le pene ivi previste
sono aumentate da un terzo
alla metà.
Chiunque
Chiunque
La riduzione in schiavitù è il
fatto di esercitare nei riguardi
di una persona uno degli
attributi del diritto di
proprietà.
N.b. no mantenimento.
Non richieste (reato a forma
libera)
Reclusione di 20 anni.
Articolo 602-ter:
La pena per i reati previsti
dagli articoli 600, 601 e 602 è
aumentata da un terzo alla
Il crimine di riduzione in
schiavitù viene punito con 30
anni di reclusione nel caso in
cui il reato sia commesso:
106
Previsione di un articolo ad
hoc, 224-1 C:
Il crimine di riduzione in
schiavitù viene punito con 30
anni di reclusione nel caso in
cui il reato sia commesso:
(…)2.nei riguardi di una
persona la cui vulnerabilità,
dovuta all’età della vittima,
ad una malattia, infermità,
una disabilità fisica o mentale
o da uno stato di gravidanza,
apparente o nota al colpevole;
3. da un’ascendente legittimo,
naturale o adottivo della
vittima o da una persona che
ha autorità sulla stessa o
abusa dell’autorità
conferitagli dalle sue
funzioni;4. da una persona
chiamata a partecipare, per le
sue funzioni, alla lotta contro
la schiavitù od al
mantenimento dell’ordine
pubblico; 5. Qualora il
crimine sia preceduto o
accompagnato da torture o
barbarie
metà:
a) se la persona offesa è
minore degli anni diciotto;
-La pena è aumentata dalla
metà ai due terzi se il fatto è
commesso in danno di un
minore degli anni sedici
-Se il fatto è commesso in
danno di un minore degli anni
diciotto, la pena è aumentata
dalla metà ai due terzi se il
fatto è commesso da un
ascendente, dal genitore
adottivo, o dal loro coniuge o
convivente, dal coniuge o da
affini entro il secondo grado,
da parenti fino al quarto grado
collaterale, dal tutore o da
persona a cui il minore è stato
affidato per ragioni di cura,
educazione, istruzione,
vigilanza, custodia, lavoro,
ovvero da pubblici ufficiali o
incaricati di pubblico servizio
nell'esercizio delle loro
funzioni ovvero ancora se è
commesso in danno di un
minore in stato di infermità o
minorazione psichica, naturale
o provocata.
- La pena è aumentata dalla
metà ai due terzi se il fatto è
commesso mediante
somministrazione di sostanze
alcoliche, narcotiche,
stupefacenti o comunque
pregiudizievoli per la salute
fisica o psichica del minore,
ovvero se è commesso nei
confronti di tre o più persone.
1. nei riguardi
minore;(…).
di
un
Per la descrizione dei reati di schiavitù e servitù sarà necessario l’uso di due tabelle:
difatti, mentre il legislatore italiano ha accorpato in un unico articolo (il 600 c.p.) le due
condotte, non così per quello francese che ha inteso creare due articoli distinti per le
rispettive fattispecie, collocati peraltro in sezioni differenti del codice penale. Il delitto
di schiavitù trova posto nel capitolo del codice francese destinato agli “oltraggi contro la
107
libertà della persona”, mentre il reato di servitù viene inserito nel capitolo degli
“oltraggi contro la dignità”, quasi a voler sottolineare il carattere assoluto di negazione
della libertà associato al delitto di schiavitù a differenza della servitù, in cui residuano
degli spazi di libertà in capo alla vittima.
Il nostro ordinamento al contrario, opta per una medesima qualificazione dei due delitti
ponendoli entrambi nella sezione dei “delitti contro la libertà personale”.
Il centro gravitazionale della fattispecie criminale della riduzione in schiavitù, viene
individuato, in entrambi gli ordinamenti, “nell’esercizio su di un essere umano, dei
poteri inerenti alla proprietà”. Se la formulazione francese non lascia spazio a dubbi, in
quanto si fa letteralmente riferimento all’esercizio di uno qualsiasi degli attributi del
diritto di proprietà, la fattispecie italiana pone qualche dubbio in più, in quanto la sua
interpretazione letterale indurrebbe a far riferimento all’esercizio del solo diritto di
proprietà. Ma questa conclusione si scontra inevitabilmente con le indicazioni
rinvenibili nel variegato universo di fonti normative
intervenute a disciplinare la
materia, che orientano l’interprete verso l’opzione estensiva, in virtù della quale, al fine
dell’instaurazione della condotta criminosa in questione, il soggetto attivo potrà
comportarsi sia come titolare di un diritto di proprietà, sia come titolare di un qualsiasi
altro diritto reale nei confronti della vittima 285.
Una precisazione merita la dicitura del titolo di reato, diversa per i due ordinamenti:
riduzione e mantenimento in schiavitù per l’Italia ed il solo riferimento alla riduzione
(in schiavitù) nel caso francese. Il fatto che il legislatore italiano abbia deciso di
tipizzare anche la condotta di mantenimento (oltre a quella di riduzione di un soggetto
in schiavitù)- riferendosi così ad un comportamento che determina il permanere della
condizione servile- si spiega nella volontà d’integrare gli estremi della fattispecie non
solo con riferimento all’atto di privazione della libertà ma anche in relazione
all’esercizio di un potere corrispondente al diritto di proprietà su di una persona già da
altri resa schiava286: in tal modo, l’espressa incriminazione del “mantenimento in
condizioni servili”, che potrebbe apparire pleonastica, in verità si mostra utile con
285
V.MUSACCHIO, La nuova normativa penale contro la riduzione in schiavitù e la tratta di persone
(L.11 Agosto 2003, n°228) in Giurisprudenza italiana, 2004 n°3, pg. 2448
286
F. RESTA, Vecchie e nuove schiavitù, op. cit., pg. 48.
108
riguardo alle condotte lesive ulteriori che la vittima, già ridotta nello stato di schiavitù,
potrebbe subire da soggetti diversi dal suo primo aguzzino 287.
La risposta che invece viene offerta dalla Francia, con riferimento a tale genere di
situazioni, è contenuta in un articolo realizzato ad hoc e relativo al reato di
“sfruttamento di persone (già) ridotte in schiavitù”288, concepito in occasione della
riforma del 2013. Potremmo così rinvenire un omologo del reato di “mantenimento in
schiavitù” del diritto italiano nel reato specifico di sfruttamento della persona ridotta in
schiavitù (articolo 224-1-B code pénal). Con la differenza che, nell’ordinamento
francese, viene ulteriormente delimitato il concetto di sfruttamento di una persona
ridotta in schiavitù, tipizzando il contenuto dello stesso nell’aggressione sessuale, nel
sequestro o nella sottomissione della vittima a lavori forzati o servizi forzati.
Nonostante l’estrema chiarezza e tassatività della fattispecie, questa novella pone
qualche dubbio: l’elencazione specifica delle modalità con le quali potrà realizzarsi lo
sfruttamento difatti rischia di limitare il concetto stesso di “sfruttamento della persona
ridotta in schiavitù” e di escludere dal penalmente perseguibile eventuali altre condotte
non citate nell’elenco ( si pensi all’accattonaggio, al prelievo di organi etc…) Pertanto,
probabilmente la formula del legislatore italiano, seppur maggiormente evasiva, è
capace di assicurare maggiori garanzie di tutela da particolari forme di aggressione al
bene giuridico tutelato.
Trattandosi in entrambi i casi di un reato a forma libera, non vengono richieste modalità
specifiche della condotta; in quanto alla penalità prevista, la Francia statuisce in maniera
incontrovertibile la pena di venti anni di reclusione, mentre l’Italia nel fissare le
sanzioni si mantiene cauta (troppo), con la previsione di una pena oscillante tra gli otto e
i venti anni di carcere. L’eventualità che responsabili di reati così atroci possano essere
puniti con la pena minima prevista in otto anni di reclusione di certo non è un punto a
nostro favore e sul quale il nostro Paese è chiamato ad intervenire, se non altro per la
necessità di allinearsi con le direttive europee sul tema che chiedono all’Italia
d’inasprire le sanzioni.
287
A.M PECCIOLI, Commento alla legge 11 agosto 2003, n. 228, op. cit., pg 38..
Articolo 224-1 B Code pénal: “Lo sfruttamento di una persona ridotta in schiavitù è il fatto di
commettere nei riguardi di una persona la cui riduzione in schiavitù risulti apparente o conosciuta
all’autore una violenza sessuale, sequestrarla o sottometterla a lavoro forzato o servizi forzati.”
288
109
Infine, direzioni completamente diverse sono state intraprese dai due legislatori in tema
di circostanze aggravanti. Per quel che concerne l’ordinamento italiano si rimanda a
quanto osservato sopra in relazione al reato di tratta con riferimento all’articolo 602-ter
del codice penale, il quale disciplina anche le circostanze aggravanti relative alla
fattispecie della schiavitù.
Discorso diverso per la Francia, che introduce un articolo specifico (224-1-C), nel quale
si occupa di fissare una lista di circostanze aggravanti valide sia per il reato di
riduzione in schiavitù (224-1 A), sia per il reato che definisce lo sfruttamento di una
persona già ridotta in schiavitù (224-1 B)289. Anche in questo caso (come per il reato di
tratta), viene prevista una formula generale per l’ipotesi in cui il reato abbia ad oggetto
un minore degli anni 18: si rinuncia ad ulteriori specificazioni, con la previsione di un
inasprimento della pena che sale a 30 anni, da applicarsi in qualsiasi caso si trovi
coinvolto un minore290.
Ed a proposito di sanzioni, in questo caso la differenza fra l’Italia e la Francia diviene
davvero notevole: di fronte alla disciplina francese, che nel caso di circostanze
aggravanti fissa i 30 anni di reclusione certi, il sistema predisposto dall’Italia, con una
pena che oscilla dagli 8 ai 20 anni di reclusione, potrebbe non essere in grado di porre le
medesime garanzie. Difatti (come già osservato in merito alla sanzione base) qualora si
dovesse applicare la sanzione minima prevista, pari agli otto anni, l’autore di condotte
così gravi, nonostante l’eventuale presenza di circostanze aggravanti, potrebbe essere
punito con sanzioni irrisorie e decisamente sproporzionate alla gravità del fatto
commesso, specie se paragonate ai 30 anni imposti dalla Francia. Anche in questo caso
dunque, l’ordinamento francese si distingue per la previsione di una durata della pena
assolutamente certa nella sua rigidità e durata, contrariamente al sistema italiano che si
mostra alquanto vago ed indeterminato e potenzialmente non all’altezza della gravità
dei fatti imputati.
289
Articolo 224-1-C: “Il crimine di riduzione in schiavitù viene punito con 30 anni di reclusione nel caso
in cui il reato sia commesso:1. nei riguardi di un minore;2.nei riguardi di una persona la cui vulnerabilità,
dovuta all’età della vittima, ad una malattia, infermità, una disabilità fisica o mentale o da uno stato di
gravidanza, apparente o nota al colpevole; 3. da un’ascendente legittimo, naturale o adottivo della vittima
o da una persona che ha autorità sulla stessa o abusa dell’autorità conferitagli dalle sue funzioni;4. da una
persona chiamata a partecipare, per le sue funzioni, alla lotta contro la schiavitù od al mantenimento
dell’ordine pubblico; 5. Qualora il crimine sia preceduto o accompagnato da torture o barbarie.”
290
Articolo 224-1-C: Il crimine di riduzione in schiavitù viene punito con 30 anni di reclusione nel caso
in cui il reato sia commesso: nei riguardi di un minore (…).
110
3.5. Reato di Servitù a confronto: legislazione italiana e francese
Tabella 3.
Reato di servitù.
BENE GIURIDICO
TUTELATO
SOGGETTO ATTIVO
SOGGETTO PASSIVO
ELEMENTO OGGETTIVO:
la condotta.
SFRUTTAMENTO
MODALITA’ SPECIFICHE
DELLA CONDOTTA.
SANZIONI PREVISTE
CIRCOSTANZE
AGGRAVANTI
Art. 600 c.p. : Riduzione o
mantenimento in servitù.
Personalità individuale.
Chiunque.
Chiunque.
Ridurre o mantenere una
persona in uno stato di
soggezione continuativa,
costringendola a prestazioni
lavorative o sessuali ovvero
all’accattonaggio o comunque
a prestazioni che ne
comportino lo sfruttamento.
Menzionato nella norma ma
non precisamente specificato,
lascia problemi esegetici.
-La soggezione deve essere
continuativa, presentare il
carattere dell’abitualità.
-Fattispecie a forma vincolata:
la condotta deve essere attuata
mediante violenza, minaccia,
inganno, abuso di autorità o
approfittamento di una
situazione di inferiorità fisica
o psichica o di una situazione
di necessità, o mediante la
promessa o la dazione di
somme di danaro o di altri
vantaggi a chi ha autorità sulla
persona.
La reclusione dagli otto ai
venti anni.
Articolo 602-ter:
La pena per i reati previsti
dagli articoli 600, 601 e 602 è
aumentata da un terzo alla
metà:
(…)
b) se i fatti sono diretti allo
sfruttamento della
prostituzione o al fine di
sottoporre la persona offesa al
prelievo di organi;
111
Art. 225-14-2: La réduction
en servitude.
Dignità inviolabile della
persona.
Chiunque.
Chiunque.
La riduzione in servitù è il
fatto di far subire ad una
persona, in maniera abituale,
il lavoro forzato, ossia
costringerla a compiere un
lavoro senza retribuzione o in
cambio di una retribuzione
palesemente sproporzionata
rispetto alla prestazione resa.
Non menzionato.
-Viene richiesta l’abitualità
della condotta.
-È previsto l’uso di violenza
o minaccia;
-la vittima deve versare in
uno stato di dipendenza o
vulnerabilità che risultino
apparenti o conosciuti
all’autore.
Dieci anni di detenzione e
300.000 euro di ammenda.
Previsione di un articolo ad
hoc, Art. 225-15:
1. per il caso in cui
l’infrazione sia commessa nei
riguardi di più persone: pena
della reclusione di 15 anni e
400.000 euro di ammenda;
(….)
c) se dal fatto deriva un grave
pericolo per la vita o
l'integrità fisica o psichica
della persona offesa.
-Se i fatti previsti dal titolo
VII, capo III, del presente
libro sono commessi al fine di
realizzare od agevolare i
delitti di cui agli articoli 600,
601 e 602, le pene ivi previste
sono aumentate da un terzo
alla metà.
REATO COMMESSO AI
DANNI DI UN MINORE DI
ANNI 18.
Articolo 602-ter:
-La pena per i reati previsti
dagli articoli 600, 601 e 602 è
aumentata da un terzo alla
metà:
a) se la persona offesa è
minore degli anni diciotto;
-La pena è aumentata dalla
metà ai due terzi se il fatto è
commesso in danno di un
minore degli anni sedici
-Se il fatto è commesso in
danno di un minore degli anni
diciotto, la pena è aumentata
dalla metà ai due terzi se il
fatto è commesso da un
ascendente, dal genitore
adottivo, o dal loro coniuge o
convivente, dal coniuge o da
affini entro il secondo grado,
da parenti fino al quarto grado
collaterale, dal tutore o da
persona a cui il minore è stato
affidato per ragioni di cura,
educazione, istruzione,
vigilanza, custodia, lavoro,
ovvero da pubblici ufficiali o
incaricati di pubblico servizio
nell'esercizio delle loro
funzioni ovvero ancora se è
commesso in danno di un
minore in stato di infermità o
minorazione psichica, naturale
o provocata.
- La pena è aumentata dalla
metà ai due terzi se il fatto è
commesso mediante
somministrazione di sostanze
alcoliche, narcotiche,
112
Previsione di un articolo ad
hoc, Art. 225-15:
2. la vittima sia un minore
degli anni 18: reclusione di
15 anni e 400.000 euro di
ammenda;
3.per il caso in cui sia
commessa nei riguardi di più
persone fra le quali vi sono
diversi minori: reclusione di
20 anni e 500.000 euro di
ammenda.
stupefacenti o comunque
pregiudizievoli per la salute
fisica o psichica del minore,
ovvero se è commesso nei
confronti di tre o più persone.
La prima rilevante differenza fra i due ordinamenti la s’incontra in relazione al bene
giuridico oggetto di tutela. La Francia considera la servitù come un delitto che lede
innanzitutto la dignità della persona (al pari del reato di tratta), deduzione questa ispirata
dalla particolare collocazione del reato nel codice penale francese, nel capitolo dedicato
agli “oltraggi contro la dignità della persona” ( a differenza del crimine di riduzione in
schiavitù, classificato nel capitolo dei “delitti contro la libertà”).
Il delitto di servitù “italiano”, invece, occupa il medesimo posto riservato al reato di
schiavitù, essendo le due fattispecie previste nel medesimo articolo (6oo c.p., per
l’appunto) e trovandosi ovviamente nella medesima sezione del codice, quella dedicata
ai “delitti contro la libertà personale”.
La diversa collocazione del reato nei codici francese ed italiano può trovar causa nella
distante concezione che i due ordinamenti mostrano in merito al concetto di servitù.
Difatti, compiendo un raffronto circa la condotta descritta nei due articoli, nel codice
italiano emerge un concetto di servitù decisamente più esteso rispetto a quello francese.
Innanzitutto, anche in questo caso, si fa riferimento non solo alla possibilità di riduzione
in servitù, ma anche alla condotta di mantenimento, trovando motivo nelle stesse
ragioni che indussero ad introdurre tale distinzione nel delitto di schiavitù.
In secondo luogo, la maggiore estensione del concetto di servitù rispetto al diritto
francese la si evince dalle numerose tipologie di sfruttamento alle quali può essere
orientata la condotta incriminata. Ci riferiamo alla costrizione della vittima a fornire
prestazioni lavorative, sessuali, all’accattonaggio o comunque a prestazioni che ne
comportino lo sfruttamento, clausola aperta e dal significato ancora incerto che ha dato
vita ad ampi dibattiti dottrinali, dei quali ci siamo precedentemente occupati con
riferimento al reato di tratta. Dalla formulazione esaminata deriva, dunque, la possibilità
di perseguire le più svariate forme di sfruttamento derivanti dalla riduzione in servitù,
possibilità resa per altro anche dalla formula di chiusura, decisamente evasiva.
Il diritto penale francese dal canto suo, concepisce la riduzione (e non il mantenimento)
in servitù esclusivamente in relazione ad uno sfruttamento della persona di tipo
113
lavorativo: difatti la condotta di reato viene descritta dalla costrizione della vittima a
compiere in maniera abituale un lavoro forzato oppure un lavoro non pagato o pagato in
maniera sproporzionata rispetto alla prestazione resa; delle altre finalità di sfruttamento
elencate nella norma italiana non v’è traccia nella condotta esaminata. Ciò in quanto la
Francia, nella stesura della norma, si è ispirata al concetto di servitù formulato dalla
Corte europea dei diritti dell’Uomo nelle due già citate sentenza Siliadin contre France
e C.N. e V. contre France; in quest’ultima si legge a chiare lettere la definizione
prescelta dalla Corte europea per il reato di servitù, considerato come una specifica
forma di “lavoro forzato o obbligatorio”, altrimenti detto “lavoro forzato o obbligatorio
aggravato”, caratterizzato dal sentimento della vittima di impotenza e totale soggezione
e dalla convinzione dell’impossibilità di mutare o far evolvere la propria condizione 291.
In ragione di ciò, l’Italia si trova decisamente fuori dagli standard e dalla definizione
proposta in sede francese (ma prima ancora europea) del reato di servitù. Tuttavia, tale
condizione non dovrà essere interpretata come un punto a nostro sfavore: in effetti la
definizione di servitù proposta dal legislatore italiano offre una tutela decisamente più
ampia rispetto a quella francese, in quanto inclusiva di quelle ipotesi nelle quali la
persona vittima di servitù sia costretta a prestazioni non soltanto di tipo lavorativo,
bensì anche sessuale, all’accattonaggio o comunque a prestazioni che ne comportino lo
sfruttamento.
Inoltre, la profonda differenza esistente fra la definizione di servitù nel diritto italiano e
in quello europeo, ex articolo 4 Cedu, trova una spiegazione ben precisa. Bisognerà
ricordare che il legislatore italiano inserì la fattispecie di riduzione o mantenimento in
servitù all’interno del codice penale in occasione della riforma del 2003. L’articolo 4
Cedu, che imponeva il divieto di servitù, avrebbe dovuto essere un punto di riferimento
forte per il legislatore al quale appigliarsi per dare delle definizioni. Tuttavia la
Convenzione non dava alcuna risposta precisa, limitandosi ad imporre un divieto di
servitù
senza alcuna ulteriore precisazione o definizione. D’altronde neanche la
giurisprudenza riusciva a venire in soccorso al nostro legislatore: ci basti pensare che si
dovranno attendere gli anni 2000 per ottenere le prime sentenze sul tema e con queste i
primi chiarimenti. In particolare, come più volte ricordato, ci riferiamo alla sentenza
Siliadin contre France, emessa nel 2005, e all’ultimissima del 2012 in merito al caso
291
COUR EUROPEENNE DES DROITS DE L’HOMME, Guide sur l’article 4, op.cit., pg.6.
114
C.N. et V. contre France, grazie alle quali si approda finalmente ad una definizione
“europea” di servitù. Tuttavia, questo lungo periodo di silenzio venne rotto in anticipo
rispetto alla giurisprudenza europea dal legislatore italiano che, nel 2003, trovandosi di
fronte alla necessità di introdurre un delitto di servitù nel codice ed in assenza di
riferimenti precisi in ambito europeo, decise di attribuirli una definizione che fosse il
più garantista possibile. Essendo il bene giuridico il criterio d’individuazione della
condotta, e trattandosi nel caso specifico della “libertà della persona umana”, il
legislatore optò per una difesa totale della stessa, qualificando la riduzione in servitù
con riferimento a prestazioni lavorative, sessuali, accattonaggio o comunque a
prestazioni che ne comportassero lo sfruttamento. Per concludere, ne risulta un concetto
di servitù decisamente più ampio rispetto a quello proposto dalla Francia, ispiratasi alle
indicazioni giunte da ultimo dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Tornando alle due fattispecie di reato, l’idea che invece accomuna i due articoli sarà
l’esistenza di una “soggezione di tipo continuativo” (o abituale, come suggerisce il testo
francese) facendo di questa costante soggezione all’altrui potere elemento
caratterizzante del reato che permetterà inoltre di compiere l’effettiva reificazione della
persona tramite i modi prescritti292. La “continuità della soggezione” alla quale viene
sottomessa la vittima cosi come descritta dal diritto italiano, viene resa nel diritto
francese dalla formula “far subire ad una persona in maniera abituale il lavoro forzato
(….)”. Quest’assoggettamento lo si avrà con la realizzazione di una signoria di fatto che
consentirà all’agente di costringere il servo a compiere le azioni stigmatizzate nella
fattispecie, più numerose nel diritto italiano rispetto a quello francese, che come già
osservato, vi ricomprende solo il lavoro forzato.
Altro elemento comune fra le due fattispecie è da rintracciarsi nella particolare
situazione di vulnerabilità, dipendenza della vittima e ancora nella sua condizione di
svantaggio o di inferiorità fisica o psichica mostrata o conosciuta all’autore.
Entrambi i reati sono ascrivibili alla tipologia della fattispecie a forma vincolata: il
diritto italiano, nello specifico, impone una condotta (soggezione continuativa della
vittima) caratterizzata dall’uso di violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità ed
292
F.RESTA, Vecchie e nuove schiavitù, op. cit. , pg. 49 ss.
115
approfittamento, ovvero mediante la promessa o la dazione di somme di danaro o altri
vantaggi, tutti finalizzati a costringere la vittima a prestazioni ritenute illecite 293.
Il legislatore francese invece, si limita ad enunciare tra le modalità specifiche della
condotta l’uso di violenza o minaccia, richiedendo inoltre la consapevolezza da parte
dell’autore dei fatti, della vulnerabilità o dello stato di dipendenza in cui versa la
vittima: quest’ultimo requisito in linea con gli indirizzi contenuti nella sentenza C.N. et
V. contre France, che permetterà anche di distinguere il reato in questione dalla
fattispecie di lavoro forzato, prevista al 224-14-1 del codice penale francese.
In quanto alle sanzioni previste, non classificando la Francia il reato di riduzione in
servitù nella categoria dei crimini294, bensì in quella dei delitti, prevede una pena base di
10 anni di reclusione e 300.000 euro di ammenda. L’Italia opta ancora una volta per una
pena caratterizzata dalla vaghezza e fissandone la condanna in un periodo di detenzione
variabile dagli otto ai venti anni.
Infine, per quel che concerne le circostanze aggravanti, la Francia si appresta alla
individuazione di un articolo specifico, il 225-15-1, il quale inasprisce le pene
innalzandole a 15 anni di reclusione e 400.000 euro di ammenda nei casi in cui il reato
sia commesso nei riguardi di più persone o ancora nel caso in cui la vittima sia un
minore degli anni diciotto; per il caso specifico in cui il reato sia commesso nei riguardi
di più persone, fra le quali compaiono dei minori, vi sarà l’ulteriore aggravio della pena
alla reclusione di 20 anni di carcere e l’ammenda di 500.000 euro.
Per il caso italiano, si rimanda all’analisi condotta con riferimento all’articolo 602-ter
del codice penale, il quale si occupa anche della disciplina del reato di servitù. In questo
caso il problema potrebbe essere individuato nella potenziale minore garanzia offerta
dall’ordinamento italiano rispetto a quello francese, poiché, fissandone il minimo
sanzionatorio in otto anni, nonostante l’intervento di eventuali circostanze aggravanti
questo potrebbe non risultare all’altezza della penalità aggravata imposta dalla Francia e
pari a 15 anni di carcere, che nei casi più gravi sale sino a 20 anni. Per altro, il
legislatore francese ha anche disposto un’ammenda da sommare alla sanzione di tipo
293
S.APRILE, I delitto contro la personalità, op. cit., pg. 40.
Nel diritto penale francese le infrazioni si distinguono in contravvenzioni, delitti e crimini sulla base
della gravità dell’infrazione commessa. Il crimine si caratterizza per la sua sanzione, e più precisamente
per la pena prevista, che è superiore a dieci anni di reclusione.
294
116
detentivo, pari a 400.000 euro ovvero 500.000 euro per i casi più gravi in cui il reato sia
commesso nei riguardi di più persone fra le quali vi sono coinvolti diversi minori.
Per concludere sul tema, una riflessione pare d’obbligo.
Le fattispecie considerate negli articoli esaminati, ossia il reato di tratta, schiavitù e
servitù, vengono concepite in vista di uno sfruttamento della vittima. Questo
sfruttamento, punto cardine dei reati, nell’ambito del diritto francese assume dimensioni
diverse ed ottiene diversi gradi di tutela a seconda delle circostanze in cui lo stesso si
realizzi. La persona sfruttata in un contesto di tratta riceverà una copertura tout court,
avendo il legislatore individuato un ampio spettro di tipologie di sfruttamento punibili
quali: il prossenetismo, la violenza e gli abusi sessuali, la riduzione in schiavitù, la
servitù, la sottomissione a lavori forzati, il prelievo degli organi ed infine lo
sfruttamento dell’accattonaggio 295. In tal modo la fattispecie delittuosa della tratta potrà
configurarsi in tutte le variegate ipotesi di sfruttamento enunciate nella norma.
Un’idea più ridotta delle forme di sfruttamento che troveranno tutela nel diritto francese
emerge nell’ipotesi di “sfruttamento della persona ridotta in schiavitù”(articolo 224-1B)296; in tal caso, vengono riconosciute dall’articolo le sole ipotesi in cui la persona, già
resa schiava, subisca ulteriori abusi quali l’aggressione sessuale, il sequestro,
la
sottomissione a lavori forzati o servizi forzati e lasciando fuori le numerose altre ipotesi
d’abuso che la vittima potrebbe subire (pensiamo al prelievo di organi, l’accattonaggio
etc…).
Infine, una definizione ancora più ristretta sarà riservata allo sfruttamento realizzato nel
caso in cui la persona sia oggetto di riduzione in servitù: le uniche forme di sfruttamento
contemplate dalla norma sono riferite alla costrizione a lavori forzati 297. Qui si coglie la
grande distanza che separa l’ordinamento
italiano rispetto a quello francese. Il
legislatore del nostro paese difatti, partendo dall’idea per cui il bene giuridico oggetto
di tutela nelle tre ipotesi di reato fosse la “libertà personale”, bene ineliminabile e di
295
Articolo 225-4-1: “Lo sfruttamento menzionato al I comma è il fatto di mettere la vittima a sua
disposizione o a disposizione di un terzo, anche non identificato, al fine sia di permettere la commissione
contro la vittima delle infrazioni di prossenetismo, violenza o abusi sessuali, di riduzione in schiavitù, di
sottomissione a del lavoro o servizi forzati, di riduzione in servitù, del prelievo di uno dei suoi organi, di
sfruttamento dell’accattonaggio, di condizioni di lavoro o di alloggio contrari alla sua dignità sia di
costringerli a compiere qualsiasi altro crimine o delitto”.
296
Articolo 224-1-B, code pénale:” Lo sfruttamento di una persona ridotta in schiavitù è il fatto di
commettere nei riguardi di una persona il cui stato di riduzione in schiavitù risulti apparente o conosciuto
all’autore un’aggressione sessuale, sequestrarla o di sottometterla a dei lavori forzati o servizi forzati.”
297
Articolo 225-14-2: “La riduzione in servitù è il fatto di far subire il lavoro forzato (…).”
117
primaria importanza, definisce lo sfruttamento- in vista del quale si realizza la condotta
di reato- in maniera eguale sia nel caso in cui lo stesso si realizzi in un contesto di tratta,
che di schiavitù piuttosto che di servitù, con una definizione che, seppur non precisa né
determinata, garantisce la massima estensibilità di significato, ricomprendendo le più
varie forme di sfruttamento.
118
SEZIONE III.
Gli indirizzi dell’Unione europea: adempimento da parte dell’Italia e della Francia
4. La Francia e l’Italia si confrontano con l’Europa.
Un’analisi esaustiva della legislazione predisposta dai due paesi oggetto di studio non
potrà prescindere in ultimo, da un confronto con il diritto predisposto dall’Unione
europea sulle questioni affrontate. In particolare, con riferimento al tema della “tratta
degli esseri umani” –tema particolarmente caro all’Unione e decisamente rilevante nel
suo territorio senza frontiere, data la natura tipicamente transnazionale dello stessol’adeguamento dei paesi coinvolti ai vincoli imposti dall’Unione diviene un aspetto
quanto mai influente e determinante, specie per un’azione efficace al contrasto di tali
crimini. Non a caso l’Unione, in particolare negli ultimi anni, si è mostrata fortemente
vicina a questi fenomeni intervenendo sul tema in varie occasioni (per la quale
trattazione specifica si rimanda al capitolo terzo).
In questa sede ci limiteremo ad occuparci dell’ultimo importante strumento di diritto
derivato predisposto dall’Unione in tema di tratta, vale a dire la Direttiva 2011/36/UE
del Parlamento europeo e del Consiglio, concernente la prevenzione e la repressione
della tratta degli esseri umani e la protezione delle vittime 298. Rinviando al terzo
capitolo per un’analisi approfondita della direttiva, qui ci occuperemo di riassumere i
temi più importanti affrontati sui quali viene invocato un adeguamento da parte dei
singoli Stati, indagando sull’effettivo adempimento da parte di Francia ed Italia.
In breve, la direttiva potrà dividersi in tre parti fondamentali: la prima parte nella quale
si occupa degli aspetti attinenti ai profili di diritto penale sostanziale (la direttiva
stabilisce regole minime relative alle definizioni ed alle sanzioni: s’impone una
riformulazione ed un adattamento dei concetti base e delle definizioni materiali
dell’infrazione, non trascurando anche i profili sanzionatori sui quali il nuovo testo dà
riferimenti ben precisi, fissando il massimo edittale in almeno cinque anni di reclusione,
innalzati a dieci in presenza di alcune circostanze aggravanti); la seconda parte mira al
rafforzamento della tutela, protezione ed assistenza in favore delle vittime (si prevede
un’assistenza precoce ed incondizionata da realizzarsi con la concessione alle vittime di
298
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2011:101:0001:0011:IT:PDF
119
un alloggio adatto e sicuro, con la fornitura di un’assistenza di tipo materiale, cure
mediche, servizi di traduzione etc…); si vogliono peraltro evitare episodi di
“vittimizzazione secondaria” e viene previsto ed assicurato l’accesso immediato
all’assistenza legale anche ai fini di una domanda di risarcimento; infine l’ ultima parte
relativa alle strategie di prevenzione (si vuole rendere consapevole la popolazione
dell’entità del fenomeno e scoraggiare la richiesta delle prestazioni svolte dalle vittime
ed infine agire direttamente sulle persone offese dal reato, informandole sui
comportamenti rischiosi da evitare e sollecitando le stesse a denunciare i fatti subiti) 299.
Per quel che concerne il caso specifico in cui siano dei minori le vittime del reato di
tratta, vengono disposte misure di protezione specifiche.
4.1. Recepimento della direttiva da parte della Francia ed inadempimento dell’Italia.
Affinché le disposizioni innovative contenute nella direttiva non restino lettera morta è
necessario un recepimento da parte dei legislatori nazionali. La data di scadenza per
tale recepimento venne fissata per il 6 aprile 2013 : l’impegno nel rispetto di tale
termine da parte del legislatore francese ebbe inizio con la presentazione del progetto di
legge n°736, in data 20 febbraio 2013 in Consiglio dei Ministri, contenente diverse
disposizioni per adattare il campo della giustizia alle priorità imposte
dal diritto
dell’Unione europea con la Direttiva 2011/36/UE; il progetto sfocerà nell’adozione
della “Loi n.2013-711”300 in data 5 agosto 2013.
Dal canto suo invece, il legislatore italiano, allo scadere del termine fissato per il
recepimento non aveva ancora provveduto ad avviare un iter per l’adattamento del
diritto interno, esponendosi così alla procedura d’infrazione301 che prontamente verrà
299
M. VENTUROLI, La direttiva 2011/36/UE, op. cit.,pg. 57 ss.
http://eurlex.europa.eu/Notice.do?val=669307:cs&lang=it&list=691165:cs,621039:cs,570623:cs,66930
7:cs,555810:cs,697130:cs,&pos=4&page=1&nbl=6&pgs=10&hwords=ue~&checktexte=checkbox&visu
=#texte
301
La procedura d'infrazione costituisce uno strumento indispensabile per garantire il rispetto e
l'effettività del diritto dell'Unione. La procedura si apre con una fase definita di “pre-contenzioso” (ex art.
258 del TFUE) Quando rileva la violazione di una norma europea, la Commissione europea procede
all'invio di una "lettera di messa in mora", concedendo allo Stato un termine di due mesi entro il quale
presentare le proprie osservazioni. Qualora lo Stato membro non risponda alla lettera di messa in mora nel
termine indicato oppure fornisca alla Commissione risposte non soddisfacenti, quest'ultima può emettere
un parere motivato con il quale cristallizza in fatto e in diritto l'inadempimento contestato e diffida lo
Stato a porvi fine entro un dato termine. Nel caso in cui lo Stato membro non si adegui al parere motivato,
la Commissione può presentare ricorso per inadempimento davanti alla Corte di Giustizia delle Comunità
Europee contro lo Stato in questione (art. 258 Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, par. 2).
300
120
avviata dalla Commissione europea nei suoi confronti, in data 30 maggio 2013(n.
2013/0228) con una lettera di messa in mora (ex art. 258 TFUE) per il mancato
recepimento della direttiva 2011/36/UE . In seguito a questa pesante ammonizione viene
approvata una legge di delegazione europea n.96/2013
302
, all’interno della quale
vengono stabiliti dei criteri di delega al Governo per il recepimento della
Direttiva303:nell’attesa dunque che il Governo prenda i dovuti provvedimenti per
adeguare il nostro diritto interno, indaghiamo sulle lacune e sulle carenze presenti nel
nostro ordinamento rispetto ai dettami dell’Unione e della Direttiva in questione,
individuando i punti fondamentali sui quali il Governo dovrà intervenire per allineare la
nostra legislazione.
4.2. Le inadempienze dell’Italia.
Le difformità più significative riscontrate nel nostro ordinamento rispetto al testo della
Direttiva riguardano innanzitutto aspetti di diritto penale sostanziale. In particolare, la
formulazione del nostro reato di tratta rispetta solo in minima parte i vincoli imposti
dalla direttiva, la quale ha provveduto a riordinare la materia in maniera più organica
proponendo, innanzitutto, una nuova e più ampia definizione del delitto di tratta. In
quest’ultima nozione rientrano ora il reclutamento, il trasporto, il trasferimento,
l’alloggio o l’accoglienza di persone, compreso il passaggio o il trasferimento
dell’autorità sulle vittime. Il nostro articolo 601 del codice penale invece, limitandosi a
menzionare “la costrizione della vittima a far ingresso o soggiornare o ad uscire dal
territorio dello Stato” non soddisfa gli standard enunciati dalla Direttiva, richiedendo un
intervento da parte del legislatore italiano304.
Si conclude così la fase del cd. "precontenzioso" ed inizia il giudizio, il quale è diretto ad ottenere dalla
Corte l'accertamento formale, mediante sentenza, dell'inosservanza da parte dello Stato di uno degli
obblighi imposti dall'Unione.
302
Legge di delegazione europea e legge europea sono i nuovo strumenti di adeguamento
dell’ordinamento italiano a quello europeo, in sostituzione della “legge comunitaria annuale”. La legge di
delegazione europea contiene delle disposizioni di delega necessarie per il recepimento da parte del
Governo con decreto legislativo, della direttiva o degli altri atti dell’Unione europea; la legge europea è al
contrario una norma di diretta attuazione, utilizzata per garantire l’adeguamento dell’ordinamento
nazionale a quello europeo con riguardo ai casi di non corretto recepimento della normativa europea.
303
Legge 6 agosto 2013, n. 96, Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione
di altri atti dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2013. (13G00137) in GU n.194 del 20-82013.
304
http://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg17/attachments/dossier/file_internets/000/000/0
83/Dossier_015.pdf
121
La Direttiva si preoccupa anche d’introdurre e definire specificatamente per la prima
volta il concetto di “vulnerabilità” 305, con ciò riferendosi ad una situazione nella quale
la vittima non abbia altra scelta effettiva ed accettabile se non quella di cedere all’abuso.
Anche in tal senso si renderà necessario un provvedimento del legislatore italiano
affinché introduca un concetto forte e chiaro di tale stato, già in effetti evocato dalla
nostra fattispecie ma mai specificato espressamente. Il Governo italiano per altro,
nell’attribuire un significato alla definizione di “persona vulnerabile”, viene invitato a
tener conto di aspetti ulteriori quali l’età, il genere, le condizioni di salute, le disabilità,
anche mentali, le condizioni di vittima di tortura, stupro o altre forme di violenza
sessuale o di genere306.
Anche la nozione di sfruttamento trova un’esatta definizione nello strumento europeo
anti-tratta, il quale provvede ad individuarne l’ambito minimo, ossia lo sfruttamento
della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento di tipo sessuale, lavorativo o i
servizi forzati, compreso l’accattonaggio, la schiavitù o pratiche simili alla schiavitù, la
servitù, lo sfruttamento di attività illecite o il prelievo di organi. Questa si presenta
come l’occasione giusta per il nostro legislatore per intervenire sulla questione non solo
al fine di allinearsi alla definizione proposta in ambito europeo ma anche per risolvere
l’annosa questione dell’esatta definizione del termine “sfruttamento”, locuzione dal
contenuto vago ed indeterminato.
Un articolo specifico viene previsto dalla Direttiva in merito al consenso, considerato
irrilevante nel caso in cui lo stesso risulti viziato o estorto. L’Italia non ha introdotto
una specifica previsione relativa all’irrilevanza del consenso della vittima, in ragione
della
natura
indisponibile
del
bene
tutelato
(status
libertatis).
Difatti, la
caratterizzazione delle condotte ex articolo 601 in termini coercitivi o decettivi, ne
esprime sufficientemente l’incompatibilità con ogni forma di consenso, che, anche se
formalmente presente sarebbe irrilevante perché invalido, in quanto viziato od
estorto307. In merito all’eventuale assenso della vittima però una modifica nel nostro
diritto interno è d’obbligo e riguarda la previsione dell’irrilevanza in termini assoluti del
305
Direttiva 2011/36/UE,articolo 2 ,comma 2.
http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2011:101:0001:0011:IT:PDF
306
Legge di delegazione europea 6 agosto, 2013. (13G00137) in GU n.194 del 20-8-2013
307
F.RESTA, Vecchie e nuove schiavitù, op.cit., pg. 116.
122
consenso della vittima (anche qualora non risultasse viziato od estorto) nel caso in cui
la stessa risulti minore degli anni 18308.
Ci attendiamo dunque una risposta celere da parte del nostro legislatore che in sostanza,
per quel che concerne i profili di diritto penale sostanziale, viene chiamato ad
intervenire dando delle definizioni chiare, precise e determinate che tipizzino delle
locuzioni troppo spesso vaghe o del tutto assenti. Non ci troveremo dunque di fronte ad
un’opera di completo rinnovamento dell’articolo, piuttosto di leggeri interventi
d’integrazione terminologica .
Un ultimo importante aspetto merita delle precisazioni, quello relativo alla disciplina
delle penalità imposte dalla Direttiva in esame ed il relativo adempimento da parte del
legislatore italiano. Dal punto di vista del livello sanzionatorio stabilito, vediamo come
l’Italia si allinei perfettamente alla previsione europea che impone una pena detentiva
della durata massima di almeno 5 anni, per il caso delle sanzioni base, e dalla durata
massima di almeno 10 anni nel caso in cui sussistano circostanze aggravanti: ricordiamo
difatti come l’Italia prescrive una sanzione di base che va dagli otto ai vent’anni di
detenzione, elevata da un terzo alla metà al verificarsi di circostanze aggravanti, con un
picco che raggiunge dalla metà ai due terzi della stessa in ipotesi considerate
particolarmente gravi. Ed è proprio in relazione alle circostanze aggravanti in ultimo
citate che dovremmo evidenziare alcune difformità rispetto alla Direttiva anti-tratta.
Questa in particolare, descrive quelle specifiche ipotesi in cui le pene subiranno un
aumento. Il primo caso si riferisce al reato commesso ai danni di una vittima
particolarmente vulnerabile: il nostro ordinamento, non avendo definito in maniera
specifica il concetto di vulnerabilità, al fine di mettersi in linea con tale previsione dovrà
innanzitutto provvedere all’introduzione e alla determinazione di tale locuzione.
La disciplina italiana si mostra poi solo parzialmente in linea con altre due ipotesi
contenute nella direttiva, vale a dire il caso in cui il fatto sia stato commesso ricorrendo
a violenze gravi o abbia causato un pregiudizio particolarmente grave alla vittima e
l’altra ipotesi in cui il reato sia stato commesso da pubblici ufficiali nell’esercizio delle
loro funzioni. Tale conformità parziale trova giustificazione nel fatto che, in quanto al
primo caso, la disciplina italiana fa riferimento “all’uso di violenza nei confronti della
vittima” ricomprendendola fra le modalità specifiche della condotta e non in quanto
308
Direttiva 2011/36/UE, Articolo 2 comma 5.
123
circostanza aggravante; in merito alla seconda ipotesi invece, il legislatore italiano ha
provveduto ad introdurre la medesima circostanza. Nel caso specifico in cui il fatto sia
stato commesso nel contesto di un’organizzazione criminale, la direttiva stabilisce la
reclusione della durata massima di almeno dieci anni: non così per l’Italia che in primis
non prevede fra le circostanze aggravanti ex articolo 602-ter l’ipotesi in cui il reato
venga commesso nel contesto di un’organizzazione criminale, per la cui disciplina si
rinvia al 6° comma dell’articolo 416 del codice penale. I livelli sanzionatori previsti
però non risultano assolutamente in linea con gli indirizzi europei: difatti si applica la
reclusione da un minimo di 5 ad un massimo di 15 anni (applicata in capo a coloro i
quali promuovono, costituiscono od organizzano l’associazione) e la pena da quattro a
nove anni ( per il solo fatto di partecipare all’associazione). Come si noterà dunque, in
relazione alle ipotesi menzionate, il legislatore italiano viene chiamato ad intervenire ed
elevare i livelli sanzionatori stabiliti.
Al contrario, del tutto in linea con la disposizione europea l’ipotesi in cui il reato abbia
messo in pericolo la vita della vittima intenzionalmente o per colpa grave.
In conclusione, e per quel che riguarda specificatamente l’adempimento da parte
dell’Italia degli obblighi sanzionatori, sarà necessario un intervento da parte del
legislatore italiano per eliminare quelle ipotesi di adempimento parziale o addirittura di
totale inadempimento; d’altro canto però, non si potrà fare a meno di notare che, al di là
di queste imperfezioni, il nostro ordinamento mostra un’attenzione particolare per i casi
in cui il reato venga commesso a danno di vittime minori, introducendo alcune
circostanze aggravanti assolutamente non contemplate dal legislatore europeo e con la
previsione in tali casi di un notevole inasprimento della pena rispetto alla fattispecie di
base309.
La direttiva in esame peraltro, come già anticipato, non affronta solo profili di diritto
penale sostanziale, bensì dedica una parte importante ai profili di assistenza, sostegno e
tutela alle vittime della tratta di esseri umani e alle misure di prevenzione.
Temi questi particolarmente cari al legislatore italiano e storicamente considerati come
punto di forza del nostro ordinamento, grazie alla cura mostrata dal legislatore nei
riguardi delle vittime e della loro tutela, depositarie di diritti intangibili ed inalienabili.
Questa forte sensibilità mostrata dall’Italia si è espressa nel nostro ordinamento
309
Vedi articolo 602-ter.
124
attraverso la predisposizione di istituti (pensiamo al permesso di soggiorno a fini di
protezione sociale) e misure di tutela decisamente all’avanguardia, anticipando le
indicazioni provenienti dal diritto dell’Unione.
Ad esempio, previsioni come quella contenuta nell’articolo 11 comma 3 della Direttiva
Anti-tratta -che impone misure d’assistenza e sostegno alla vittima “incondizionate” e
del tutto slegate dalla volontà della stessa di collaborare al processo- se nello scenario
europeo rappresentano una novità importante ai quali i singoli stati dovranno adattarsi,
non così sarà per l’Italia, che non avrà bisogno di disporre nessun adeguamento sul tema
essendo già da tempo ampliamente in linea con la Direttiva ed anzi addirittura avendone
anticipato delle previsioni. Parliamo ad esempio dell’istituto del “permesso di soggiorno
a fini di protezione sociale” che permetterà l’accesso a misure di assistenza e tutela delle
vittime a prescindere da una forma di collaborazione delle stesse nel processo.
Ulteriori articoli riconfermano una legislazione decisamente in linea con i vincoli
imposti dalla legislazione europea: pensiamo all’articolo 11 comma 5 della Direttiva
che sancisce il dovere di garantire la sussistenza delle vittime, fornendo loro un alloggio
adeguato e sicuro ed un’assistenza di tipo materiale. Un suo omologo sarà rinvenibile
nell’articolo 13 della disciplina italiana, che stabilisce la necessità di disporre uno
speciale programma di assistenza in favore delle vittime volto a garantire, in via
transitoria, adeguate condizioni di alloggio, di vitto e di assistenza sanitaria; il
programma di assistenza verrà realizzato da enti locali o da soggetti privati
accreditati310.
Un punto sul quale lo strumento europeo insiste particolarmente è il bisogno di una
maggiore attenzione nei confronti delle vittime minorenni, da realizzarsi tramite misure
di assistenza e sostegno che assicurino una tutela più mirata311. Il nostro legislatore, se
da un lato ha mostrato un particolare interesse per le vittime minorenni, con la
predisposizione di riforme legislative attinenti profili di diritto penale sostanziale,
dall’altra è chiamato ad intervenire in maniera mirata sui temi di assistenza e tutela
delle vittime minori, non avendo previsto programmi ad hoc per la protezione degli
stessi; in particolare viene richiesta l’introduzione di meccanismi affinché i minori non
accompagnati possano essere prontamente identificati (se strettamente necessario anche
attraverso una procedura multidisciplinare di determinazione dell’età, condotta da
310
311
E.LANZA, La condizione soggettiva dello straniero clandestino, op. cit., pg 14.
Articoli dal 13 al 16 della Direttiva 2011-36-UE.
125
personale specializzato e secondo procedure appropriate); s’invoca per altro
un’adeguata informazione alle vittime circa i loro diritti, incluso l’eventuale accesso alla
procedura di determinazione della protezione internazionale, ed infine, in ogni decisione
presa nei loro confronti, dovrà essere considerato come criterio preminente il superiore
interesse del minore312.
Per ultimo, in tema di prevenzione, di fronte alle indicazioni europee che spingono gli
Stati membri verso un’intensificazione di campagne di sensibilizzazione per il pubblico
e verso l’adozione di misure necessarie per scoraggiare e ridurre la domanda, il nostro
ordinamento sembra trovare una risposta adeguata nell’articolo 14 della riforma del
2003, in cui viene previsto un impegno da parte del Ministro degli affari esteri nella
definizione di politiche di cooperazione nei confronti dei paesi interessati dai fenomeni
in esame. Egli dovrà provvedere all’organizzazione, di concerto con il Ministro per le
pari opportunità, d’incontri internazionali, campagne d’informazione e corsi di
formazione del personale coinvolgendo anche i Ministri dell’interno, per le pari
opportunità, giustizia, lavoro e delle politiche sociali.
Infine, un punto sul quale si rimprovera l’Italia è l’inadempimento dell’obbligo di
nomina di un relatore nazionale ( o meccanismi equivalenti). Nella previsione europea
tale figura è destinata ad assumere estremo rilievo ai fini di un costante monitoraggio
delle tendenze del reato di tratta e soprattutto ai fini di coordinamento e scambio
d’informazioni con le autorità europee313.
Dall’analisi condotta, si traccia il profilo di una paese che presenta sì delle lacune che
interessano principalmente il campo del diritto penale sostanziale ma che a ben guardare
risultano facilmente superabili: tuttavia, ciò non esenta l’Italia da una procedura
d’infrazione avviata nei suoi riguardi alla quale dovrà al più presto trovar risposta, al
fine di non annientare l’intenso sforzo storicamente condotto dal nostro paese in un
tema di tale rilevanza, che ci ha permesso nel passato di distinguerci come uno Stato
all’avanguardia e di riferimento in tutto il panorama europeo.
312
313
Legge di delegazione europea 6 agosto, 2013. (13G00137) in GU n.194 del 20-8-2013
Articolo 19 Direttiva 2011/36/UE.
126
4.3. Adempimento integrale della Francia alla Direttiva 2011/36/Ue?
L’intervento legislativo francese del 6 agosto 2013 insegue (e raggiunge?) un duplice
scopo: il primo, quello di allinearsi alle disposizioni del diritto europeo per evitare
procedure d’infrazione come nel caso dell’Italia; il secondo, e fondamentale, quello di
aggiornare la legislazione previgente in materia di tratta, oramai del tutto inadeguata ed
insoddisfacente.
I punti sui quali la novella legislativa francese insiste particolarmente sono quelli
relativi ai profili di diritto penale sostanziale, in tal modo allineandosi completamente
alle indicazioni provenienti dall’Europa. Pensiamo alla riformulazione del concetto di
tratta, in una versione più estesa in linea con le istruzioni provenienti dalla Direttiva
anti- tratta. Difatti, alle infrazioni preesistenti già nella vecchia versione, come il
prossenetismo, violenza o abusi sessuali, lo sfruttamento dell’accattonaggio, il
collocamento in condizioni di lavoro o di alloggio contrarie alla dignità e la costrizione
a commettere qualsiasi altro crimine o delitto314, vengono aggiunte cinque nuove
infrazioni di sfruttamento, consegnando una fattispecie legislativa di tratta decisamente
più estesa. Parliamo dei casi in cui il reato di tratta miri ad uno sfruttamento da
realizzarsi sotto forma di riduzione in schiavitù, sottomissione ad un lavoro o servizi
forzati, riduzione in servitù, ed infine prelievo degli organi 315.
Il legislatore francese si preoccupa d’introdurre una definizione di sfruttamento
assolutamente conforme a quella europea, ricomprendendovi le condotte di
prossenetismo, violenza o abusi sessuali, riduzione in schiavitù, sottomissione a lavoro
o a servizi forzati, riduzione in servitù, prelievo degli organi, condizioni di lavoro o di
alloggio contrari alla dignità e la costrizione a compiere qualsiasi altro crimine o delitto.
Nessuna specifica disposizione compare con riferimento all’irrilevanza del consenso
della vittima, come d’altronde anche nell’ambito del diritto italiano, in quanto ricavabile
314
Art. 225-4-1, versione in vigore sino al 2013:”……al fine sia di permettere la commissione ai danni di
questa persona dei reati di prossenetismo, di violenza o abusi sessuali, di sfruttamento dell’accattonaggio,
di condizioni di lavoro o di alloggio contrarie alla sua dignità, sia di costringere questa persona a
commettere qualsiasi crimine o delitto (…).”
315
Art. 225-4-1 Nuova versione 2013: “Lo sfruttamento menzionato nel primo comma è il fatto di mettere
la vittima a sua disposizione o a disposizione di un terzo, anche non identificato, al fine sia di permettere
la commissione contro la vittima delle infrazioni di prossenetismo, violenza o abusi sessuali, di riduzione
in schiavitù, di sottomissione a del lavoro o servizi forzati, di riduzione in servitù, del prelievo di uno dei
suoi organi, di sfruttamento dell’accattonaggio, di condizioni di lavoro o di alloggio contrari alla sua
dignità, sia di costringerla a compiere qualsiasi altro crimine o delitto (….)”.
127
dalle modalità specifiche della condotta, destinate per l’appunto a provare l’assenza di
consenso da parte della vittima. La nozione di vulnerabilità, esplicitamente descritta
nella Direttiva come “quella situazione in cui la vittima non ha altra scelta se non quella
di cedere all’abuso di cui è vittima”, non trova un’esatta trasposizione all’interno della
fattispecie francese: difatti qui la situazione di vulnerabilità viene determinata con
riferimento all’età della vittima, ad un suo stato di malattia, infermità, disabilità fisica o
mentale e da uno stato di gravidanza.
Per concludere sugli aspetti di diritto penale sostanziale, notiamo come sia le pene-base
che le circostanze aggravanti previste nel diritto francese si pongano perfettamente in
linea con le indicazioni poste dalla Direttiva anti-tratta ad eccezione dell’ipotesi di
circostanza aggravante per il caso in cui il reato venga commesso nei riguardi di una
“vittima particolarmente vulnerabile”, ipotesi questa ricompresa dal diritto francese fra
le modalità specifiche della condotta e non tra le circostanze aggravanti.
Come già osservato, si registra invece piena conformità rispetto agli ulteriori casi
previsti nella direttiva, compresa l’ipotesi in cui il reato sia commesso nel contesto di
un’organizzazione criminale316.
Pertanto, alla luce di queste osservazioni ed in relazione agli aspetti specifici trattati, il
diritto francese non potrà che considerarsi assolutamente conforme al diritto
dell’Unione e soddisfatto del suo intervento riformistico.
Tuttavia, alcuni dubbi persistono in relazione ai restanti argomenti affrontati nella
Direttiva, in particolar modo con riferimento agli aspetti di tutela e protezione delle
vittime, che si realizzano tramite la possibilità di avere accesso alla giustizia ed il
riconoscimento di diritti economici e sociali.
Su tali questioni la nuova legge è intervenuta con l’aggiunta e l’integrazione di articoli
contenuti nel codice di procedura penale. È stato introdotto ex novo l’articolo 2-22, con
il quale viene prevista la possibilità per tutte le associazioni impegnate nella lotta contro
la tratta e la schiavitù di costituirsi parte civile nel processo (previo accordo con la
vittima del reato).In tal modo, le associazioni avranno il diritto di reclamare davanti alla
giurisdizione competente anche un risarcimento in favore delle vittime.
316
Articolo 225-4-3 Code pénal: l’infrazione prevista all’articolo 225-4-1 è punita con venti anni di
reclusione criminale e 3.000.000 di euro di ammenda nel caso in cui venga commessa in banda
organizzata.
128
In secondo luogo, un’altra importante modifica è stata apportata al preesistente articolo
706-3 del codice di procedura penale, estendendone l’applicazione anche alle fattispecie
di tratta, riduzione in schiavitù e servitù317. Nel caso in cui siano le vittime stesse a voler
agire in giudizio, a queste viene finalmente riconosciuta la possibilità di ottenere un
risarcimento integrale dei danni derivanti dalla commissione del reato di tratta, di
riduzione in schiavitù e servitù, qualora i fatti di reato abbiano provocato la morte o
un’incapacità permanente o totale di lavoro eguale o superiore ad un mese: resta da
notare come in assenza di tali condizioni nessun risarcimento verrà concesso alle
persone lese.
La novità più importante, capace di innalzare la soglia di tutela assicurata alle vittime, è
data dal riconoscimento di un indennizzo anche in capo a persone che non siano di
nazionalità francese, a condizione naturalmente che i fatti siano stati commessi sul
territorio francese. Pertanto, anche in assenza del possesso del permesso di soggiorno, le
vittime potranno vedersi riconosciuto un indennizzo per i danni subiti. Tuttavia, a ben
guardare, la tutela offerta dalla norma non pare ancora soddisfacente ed in linea con la
disposizione prevista nella direttiva del 2011, la quale all’articolo 17, rubricato
“Risarcimento delle vittime”, richiede agli Stati di fare in modo che le vittime di tratta
degli esseri umani abbiano accesso ai sistemi vigenti di risarcimento delle vittime di
reati dolosi violenti. Le rigide condizioni imposte dall’ordinamento francese che
dovranno essere riempite al fine dell’ottenimento dell’indennizzo (ossia il fatto che le
lesioni debbano aver provocato la morte, un’incapacità permanente o un’incapacità
totale di lavoro eguale o superiore ad un mese) rischiano di restringere notevolmente la
possibilità di vedere effettivamente riparato il danno subito, lasciando scoperte
numerose ipotesi nelle quali le vittime siano comunque lese dai reati in questione, pur
senza poter riscontrare le condizioni specifiche indicate.
Per quel che concerne più specificatamente la tutela dei minori vittime di tratta, la legge
di riforma è intervenuta su due articoli contenuti nel codice di procedura penale, i quali
hanno subito una parziale modifica: in primis, l’articolo 706-47 la cui applicabilità
317
Articolo 706-3 du code de procédure pénale: “Tutte le persone che abbiano subito un pregiudizio
risultante da fatti volontari e non, che presentino il carattere materiale di un’infrazione possono ottenere il
risarcimento integrale dei danni che risultano nel caso in cui siano soddisfatte le condizioni seguenti: (…)
2.questi fatti abbiano causato la morte, un’incapacità permanente o un’incapacità totale di lavoro eguale o
superiore ad un mese; 3. Le persone lese sono di nazionalità francese o il fatto si è consumato sul
territorio nazionale(…)”.
129
viene estesa, in modo che tutte le previsioni contenute nel titolo XIX del codice di
procedura penale (inerente le procedure applicabili alle infrazioni di natura sessuale e
della protezione dei minori vittime) trovino applicazione anche per i casi di minori
vittime di tratta. Fra queste, ne citiamo alcune fra le più significative che permetteranno
ai minorenni di usufruire di alcune misure disposte a loro favore, come ad esempio
l’articolo 706-48 che prevede la necessità di una perizia medico-psicologica destinata a
verificare la natura ed il danno subito dal minore al fine di stabilire la necessità o meno
di trattamenti o cure appropriate; l’articolo 706-49, il quale prevede una procedura
d’assistenza educativa nei confronti del minore ed ancora la possibilità prevista
dall’articolo 706-50 di nominare un amministratore ad hoc investito del compito di
curare la protezione degli interessi del minore, qualora gli stessi non risultino
completamente assicurati dal suo rappresentante legale.
Infine, un comma specifico è stato inserito dalla nuova legge di riforma al preesistente
articolo 706-53, con il quale viene prescritta la possibilità per il minorenne di vedersi
accompagnato in tutti gli stadi della procedura da un rappresentante legale e
all’occorrenza da una persona (maggiorenne) di sua scelta, con ciò ponendosi
perfettamente in linea con l’articolo 15, 3°comma, lettera f della Direttiva anti-tratta318.
Nel corso dell’inchiesta le audizioni o i confronti di un minore vittima saranno
realizzate su decisione del procuratore della repubblica o del giudice d’istruzione,
all’occorrenza su domanda del minore o del suo rappresentante legale, in presenza di
uno psicologo o di un medico specialista dell’infanzia o di un membro della famiglia
del minore o dell’amministratore ad hoc delegato o infine di una persona investita del
mandato di giudice dell’infanzia319.
Al di là comunque di queste modifiche inerenti la possibilità di un risarcimento in capo
alle vittime (anche straniere) e le misure poste a favore dei minori, la nuova legge di
riforma non prevede nessun particolare dispositivo in tema di sostegno e protezione
delle vittime e dunque si considera vigente la disciplina già esistente. Disciplina che
come già sottolineato (si veda paragrafo 1.2, capitolo 2) risulta decisamente
insoddisfacente.
318
Articolo 15, 3° comma lett. f: “Fermi restando i diritti della difesa, gli Stati membri adottano le misure
necessarie affinché, nelle indagini e nei procedimenti penali relativi ai reati di cui agli articoli 2 e 3: il
minore sia accompagnato da un rappresentante o, se del caso, da un adulto di sua scelta, salvo motivata
decisione contraria nei confronti di tale adulto.”
319
Articolo 706-53 del codice di procedura penale.
130
Se con la Direttiva in esame difatti, veniva invocata la necessità di garantire misure di
assistenza e sostegno in favore delle vittime in maniera incondizionata320 e del tutto
slegate dalla volontà di quest’ultima di collaborare nelle indagini penali, in Francia
invece l’accesso a tali misure di protezione resta subordinato alla concessione di un
permesso di soggiorno, la cui disciplina non è stata minimamente intaccata
dall’intervento riformistico. In virtù di ciò, su tale fronte diviene necessario un
adeguamento da parte del diritto interno francese, il quale resta ancorato ad un
retrogrado modello in cui le vittime potranno avere accesso alle misure di assistenza e
protezione nell’unico caso in cui decidano di collaborare con la giustizia, ottenendo un
permesso di soggiorno temporaneo321. In rari casi il diritto francese si apre alla
possibilità di concedere un permesso anche a persone che decidano di non collaborare
con la giustizia, per paura di ritorsioni nei propri riguardi o della propria famiglia (sarà
questo il caso del permesso di soggiorno per considerazioni umanitarie o motivi
eccezionali) ma tuttavia, notiamo come anche in tali casi la protezione e l’assistenza non
siano garantite nei riguardi di tutti, bensì dipenderanno dalla scelta discrezionale del
prefetto, che avrà la libertà di negare la concessione del permesso. Difatti non viene
imposto nessun obbligo di rilascio o di rinnovo del titolo di soggiorno alle vittime
straniere -nonostante le stesse rientrino nelle condizioni richieste- spettando una tale
decisione al prefetto, il quale, con la massima discrezionalità, potrà stabilire in quali
casi sia opportuno rilasciarlo o meno.
Ciò conduce a delle importanti differenze pratiche fra prefetti e dunque ad un
trattamento ineguale delle vittime322. Sotto questo punto di vista dunque, il divario
esistente fra le disposizioni europee e quelle francesi si mostra evidentissimo ed
innegabile. Sorprenderà per altro il fatto che un intervento di riforma come quello
avutosi in Francia nel 2013 si sia preoccupato con estrema precisione di adeguare il
proprio ordinamento agli aspetti di diritto penale sostanziale indicati dalla Direttiva,
curandosi solo in minima parte di interventi in tema di tutela e protezione delle vittime.
320
Articolo 11, comma 3 Direttiva 2011/36/ue: “Gli stati membri adottano le misure necessarie affinchè
l’assistenza e il sostegno alla vittima non siano subordinati alla volontà di quest’ultima di collaborare
nelle indagini penali, nel procedimento giudiziario o nel processo, fatte salve la direttiva 2004/81/CE o
norme nazionali analoghe”.
321
Modifica introdotta dall’articolo 39 della “Loi relative à l’immigration et à l’intégration” du 24
Juillet 2006, n. 2006-911
322
C. LAZERGES, Propos conclusifs et recommandations, in La sem.jurid., op.cit., pg. 32
131
Emblematico l’articolo 11 comma 3 della Direttiva anti-tratta che impone agli Stati
membri di adottare le misure necessarie affinché l’assistenza e il sostegno delle vittime
non siano subordinati alla volontà di quest’ultime di collaborare nelle indagini penali,
nel procedimento giudiziario o nel processo. In questa direzione la Francia ha iniziato a
muovere i primi passi con la proposta di Legge n. 1437, depositata all’Assemblea
nazionale il 10 ottobre scorso323: la novità più importante è sicuramente contenuta nel
suo articolo 6, che prevede delle modifiche per l’accesso al titolo di soggiorno per le
persone straniere vittime di tratta degli esseri umani e di prossenetismo. Si vuole
intervenire con un’integrazione del preesistente articolo 316-1 del Ceseda, che regola il
rilascio della carta di soggiorno agli stranieri vittime di tratta alla condizione che
decidano di cooperare con la giustizia; in aggiunta a ciò, si prevede l’introduzione di un
nuovo articolo, il 316-1-1324 in cui si dispone la possibilità di concedere
un’autorizzazione provvisoria di soggiorno (di una durata minima di sei mesi) a
condizione però che la vittima abbia cessato la sua attività di prostituzione ed
indipendentemente dalla sua collaborazione con la giustizia; in tal caso la stessa verrà
posta sotto la protezione di un’associazione a ciò abilitata. In questo modo si vedrebbe
finalmente realizzato un sistema posto innanzitutto a garanzia e protezione delle vittime,
in cui i diritti delle stesse siano la priorità fondamentale a prescindere da una loro
collaborazione con le autorità giudiziarie. A ben guardare però la proposta di legge così
come formulata, seppur sottolinei la previsione di una protezione anche per <<le
vittime che non denuncino le reti di tratta e prossenetismo>> sembra di fatto escludere
le vittime di tratta ai fini di lavoro forzato, schiavitù e pratiche analoghe alla schiavitù.
Per queste ultime difatti la protezione sembra ancora subordinata al deposito di una
denuncia ed alla collaborazione con le autorità di giustizia 325. Pertanto, anche nel caso
323
http://www.assemblee-nationale.fr/14/propositions/pion1437.asp
Articolo 316-1-1 du Ceseda (previsto ed introdotto ex novo dalla proposta di legge n.1437):
“« Art. L. 316-1-1. –Ad eccezione del caso in cui la sua presenza costituisca una minaccia per l’ordine
pubblico, un’autorizzazione provvisoria di soggiorno di una durata di sei mesi può essere concessa allo
straniero, vittime delle stesse infrazioni che, avendo smesso l’attività di prostituzione, sia preso in carica
da un’associazione indicata da una sentenza del prefetto di dipartimento, e a Parigi dal prefetto di polizia,
per l’accompagnamento di persone sottomesse alla prostituzione. La condizione prevista all’articolo 3117 non viene richiesta. Questa autorizzazione di soggiorno autorizza l’esercizio di un’attività
professionale>>.
324
132
in cui la citata proposta di legge dovesse tramutarsi in legge, permarrà una protezione
delle vittime diseguale, a seconda del tipo di sfruttamento subito.
In conclusione, si osservi come l’ordinamento francese si è adattato ai vincoli imposti
dalla Direttiva, ma pare averlo fatto in maniera parziale, concentrandosi sui profili di
diritto penale sostanziale e
trascurando aspetti di fondamentale importanza legati
all’assistenza e tutela da garantire alle vittime.
Staremo a vedere cosa accadrà nel futuro, e specie se la Commissione prenderà atto
della persistenza di lacune ancora molto forti nel diritto francese su temi imprescindibili
come quello della salvaguardia di diritti fondamentali dell’individuo, affinché gli stessi
possano finalmente essere posti in cima alle priorità dell’ordinamento francese.
325
http://www.acse-alc.org/fr/features/veille-juridique-et-sociale
133
Capitolo terzo.
SEZIONE I
Lotta alle nuove schiavitù e tratta in una prospettiva europea.
Dopo aver sviscerato i sistemi e le politiche previste dall’ordinamento italiano e
francese, non resta altro che ricontestualizzare il tutto in un’ottica europea, sganciandosi
da approcci puramente nazionalistici, spinti sempre più dalla necessità di
“sprovincializzare” l’approccio al problema della tratta e schiavitù.
L’esigenza di uscire dal “guscio” delle politiche e degli strumenti predisposti nel
territorio nazionale in vista di una cooperazione ed armonizzazione fra Stati diventa
l’unica via percorribile per un’azione efficace di contrasto al fenomeno. Questo si
percepisce ancor di più immergendosi in una dimensione di tipo europea, e scontrandosi
con forme di criminalità “senza frontiere”, che trovano nel territorio europeo il luogo
adatto per il “delitto perfetto” .
Il lungo cammino verso un avvicinamento degli ordinamenti nazionali ha avuto inizio
con la stipula degli accordi di Schengen, i quali, se da un lato hanno determinato il
vantaggioso abbattimento delle frontiere fisiche garantendo la libertà di circolazione
delle merci e delle persone, dall’altro però non sono riusciti fin da subito ad abbattere le
frontiere “giuridiche” esistenti: accanto ad uno spazio europeo di libertà emerge la
necessità della creazione di uno spazio europeo di giustizia. Quest’ambizioso traguardo
divenne una delle questioni più rilevanti affrontate nei trattati che si susseguirono da
Schengen sino a Lisbona, alla costante ricerca del raggiungimento effettivo di uno
spazio di libertà, sicurezza e giustizia e di una armonizzazione nel settore penale.
Proprio in vista della realizzazione di questo obiettivo si delinea nel trattato di Lisbona
la possibilità di configurare l’incriminazione di delitti transnazionali, quale concreta
prospettiva di costituzione di un Diritto penale europeo. In particolare, il processo di
armonizzazione riguarderà norme di diritto sostanziale, potendo stabilire norme minime
relative alla definizione dei reati e delle sanzioni in sfere di criminalità particolarmente
gravi che presentano una dimensione transnazionale, ove emerga la necessità di una
base comune per il loro contrasto.
Poiché i reati in questione – il delitto di schiavitù, ma in particolar modo la trattacoinvolgono nella maggior parte dei casi il territorio di diversi Stati, un’efficace attività
134
di contrasto non può prescindere dalla collaborazione fra i paesi interessati.
Collaborazione che si gioca sul piano delle autorità, non solo giudiziarie, ma anche
amministrative e di polizia, capaci di cooperare nelle fase investigativa, di prevenzione
e repressione del crimine.
In tal direzione l’Unione ha introdotto importanti strumenti di coordinamento, quali le
squadre investigative comuni, Europol, l’ufficio di polizia europea istituito nel ’95 ed
infine la creazione di Eurojust, strumento di cooperazione giudiziaria.
Anche la paventata creazione di un organismo centrale europeo, investito di compiti
d’investigazione attiva, la cosiddetta “procura europea”, potrebbe essere di grande
spinta al raggiungimento di un’ efficace sinergia fra Stati.
La transnazionalità dei fenomeni criminali in questione invoca peraltro una risposta
coordinata da parte degli Stati coinvolti, non solo dal punto di vista della prevenzione e
repressione, ma anche per quel che concerne la tutela della vittima.
In tal senso sono stati emanati numerosi atti, pensiamo al Protocollo di Palermo, alla
Convenzione di Varsavia , della decisione quadro 2002/629/GAI, la direttiva
2004/81/CE e dell’ultimissima direttiva dell’Unione 2011/36/UE, che sono divenuti
veri e propri parametri di valutazione del rispetto dei diritti umani delle vittime del
traffico da parte degli Stati coinvolti e che mostrano quanto l’Unione sia sensibile al
tema della protezione e della tutela della vittima.
Infine son stati predisposti dei meccanismi di controllo, al fine di valutare il rispetto da
parte degli Stati degli indirizzi provenienti dall’Unione
Nei paragrafi che seguono, focalizzeremo la nostra attenzione su queste ed altre
questioni rilevanti in ambito europeo, al fine ultimo di comprendere se ed in che modo
l’azione dell’Unione riesca effettivamente ad avvicinare i sistemi dei singoli Stati e
quanto efficaci siano le misure fin ad ora predisposte in un’ottica di cooperazione di
contrasto al crimine.
135
1.Il diritto internazionale ed europeo di fronte alla schiavitù.
Desterà senz’altro stupore il fatto che l’attenzione internazionale al delitto di schiavitù,
inteso come l’esercizio del diritto di proprietà di un uomo su un altro uomo, si sia
manifestato relativamente tardi. L’impegno a realizzare la soppressione della schiavitù
in tutte le sue forme venne affermato sul piano internazionale, per la prima volta, solo
dopo la fine della Prima guerra mondiale, col Trattato di St. Geramain en Laye (1919).
Tale impegno trovò una regolamentazione più precisa e sistematica nella Convenzione
di Ginevra, firmata nel 1926 dalla società delle Nazioni, che vietava la schiavitù 326 in
ogni sua forma ed ovunque praticata.327
In verità, la pratica schiavistica era stata già oggetto di alcuni importantissimi testi del
passato, nei quali però la stessa compariva sempre in funzione del reato di tratta. Si
associavano i due delitti riunendoli nell’unica fattispecie della tratta degli schiavi.
L’opportunità di porre fine a questa pratica venne discussa per la prima volta nel 1815,
nell’ambito del congresso di Vienna, dal quale scaturì la Dichiarazione sull’abolizione
della tratta dei negri (contenuta nell’Allegato 15 dell’Atto finale del congresso di
Vienna). Sempre con riferimento al divieto di tratta degli schiavi neri furono emanati il
Trattato di Londra del 1841, l’Atto generale della Conferenza di Berlino del 1855 ed
infine la Convenzione antischiavistica di Bruxelles, del 1890.328
Dunque è solo con l’emanazione della convenzione di Ginevra del 1926 che si ottiene
per la prima volta una definizione giuridica della schiavitù, tappa fondamentale nello
sviluppo consuetudinario della normativa internazionale in materia, alla quale faranno
seguito moltissime convenzioni; fra queste citiamo le più importanti quali: la
Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo, adottata dalla Assemblea generale
delle Nazioni unite (1948)329, e la Convenzione supplementare alla convenzione di
326
Art. 1.1. <<Slavery is the status or condition of a person over whom any or all of the powers attaching
to the right of ownership are exercised>>. In S.SCARPA, Trafficking in human beings, Slavery, Oxford,
2008, pg. 45.
327
G.PALMISANO, Dagli schiavi ai migranti clandestini: la lotta al traffico di esseri umani in una
prospettiva internazionale, in Ragion Pratica, n.35/2010, pg.472.
328
I. CARACCIOLO, Dalla tratta di schiavi alla tratta di migranti clandestini. Eguaglianze e repressioni
internazionali del traffico di esseri umani, in Riv. Della scuola sup. della finanza, pg.223.
329
Art. 4: “nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o servitù; la schiavitù e la tratta degli
schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma”
136
Ginevra (1956)330, resa necessaria dal fatto che, nonostante i numerosi trattati sul tema,
fino agli anni ’50 non si era ancora riusciti a debellare la schiavitù 331. Infine merita
attenzione il Patto delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici, adottato a New York
nel 1966332.
Questi trattati dimostrano l’attenzione particolare che la comunità internazionale, dopo
il secondo conflitto mondiale, riserva alla tutela dell’essere umano e dei suoi diritti
fondamentali. In tale ottica, nei testi citati non si limiterà a ribadire solamente gli
esistenti obblighi interstatali, ormai consuetudinari, di prevenire e reprimere la tratta
degli schiavi, al contrario si occuperà sempre più della tutela dell’essere umano, per
giungere ad una protezione effettiva dei diritti dello stesso 333.
V’è da sottolineare, peraltro, che nell’ambito dei principi internazionali che sanciscono
il divieto di schiavitù, questi, poiché tutelano valori fondamentali all’interno della
Comunità internazionale, daranno vita non solo a norme in materia di tutela dei diritti
umani, i cui destinatari principali sono gli Stati, e ai quali vengono imposti obblighi sia
di carattere negativo che positivo, ma anche norme di diritto internazionale penale.
Ci riferiamo in particolare all’articolo 7 dello Statuto di Roma istitutivo della Corte
penale internazionale, che qualifica la riduzione in schiavitù sia come un crimine contro
l’umanità che come un crimine di guerra: in tal caso, la violazione del divieto di
schiavitù rappresenta un crimine internazionale che implica una responsabilità penale
individuale in capo a chi partecipi, anche indirettamente, alla realizzazione di tali
pratiche334.
A livello regionale, la norma sul divieto di schiavitù appare decisamente consolidata.
Pensiamo alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali (CEDU) redatta dal Consiglio d’Europa nel 1950, che all’articolo
4 incrimina il reato di schiavitù, servitù e lavoro forzato.
Articolo questo
di
fondamentale importanza, specie se in relazione all’evoluzione dei diritti interni in
330
Questa convenzione, oltre ad elencare una serie di istituti e pratiche assimilate alla schiavitù (servitù
per debiti, schiavitù, matrimonio forzato ed altre pratiche in base alle quali una donna viene ceduta da una
persona ad un’altra in cambio di una somma di danaro), definisce per gli stati firmatari precisi obblighi in
materia di repressione e cooperazione con L’ONU.
331
S.LA ROCCA, La schiavitù nel diritto internazionale e nazionale, op.cit., pg. 170.
332
In questo trattato si allarga il campo delle condotte vietate sino a comprendere oltre a schiavitù e
tratta, anche il fatto di tenere qualcuno in stato di servitù, ossia la costrizione ad un lavoro forzato
obbligatorio.
333
I. CARACCIOLO, Dalla tratta di schiavi, op. cit., pg. 224.
334
A. VIVIANI, Immigrazione, nuove forme di schiavitù e la tutela dei diritti fondamentali in Europa, in
Rassegna di diritto pubblico europeo, n.2/2011, pg.106.
137
materia di schiavitù e tratta, e sul quale ci siamo già soffermati in relazione al caso
Francese (vedi sentenza Siliadin contre France e C.N. et V. contre France). Altrettanto
rilevanti le successive convenzioni del Consiglio d’Europa, quali quella del 1996 sui
diritti del fanciullo e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, adottata dal
Consiglio europeo di Nizza del dicembre 2000, che all’art. 5 vieta schiavitù servitù e
lavoro forzato335.
2. Il diritto internazionale di fronte al reato di tratta.
Nella quasi totalità dei testi citati è stata riservata attenzione anche al delitto di tratta, al
quale, però, si attribuisce una considerazione normativa che risulta essere sempre
strettamente connessa e dipendente dallo stato di schiavitù in cui versa la vittima 336.
Difatti, il riferimento alla tratta, viene rivolto esclusivamente a quei casi in cui la
persona oggetto del traffico versi in condizioni di schiavitù o in condizioni analoghe
alla stessa, intesa come condizione di fatto di totale assoggettamento all’altrui volontà.
Il fenomeno della tratta, tuttavia, non può restare vincolato ad una definizione così
restrittiva, unicamente riferibile allo stato di schiavitù. Con il passare del tempo si
diffonderà l’idea della necessità di tutela di un concetto estensivo di tratta, poiché la
stessa ricorre ogni qualvolta vi sia un’attività d’induzione, reclutamento e trasferimento
di persone da un luogo ad un altro o anche nell’ambito dello Stato al fine di sfruttarne la
persona, per fini illeciti, anche a scopi lavorativi o sessuali. Il fatto che la stessa venga
anche ridotta in uno stato di schiavitù o condizioni analoghe peserà come aggravante del
fatto, ma non come condizione determinante337.
Fu così che agli inizi del secolo scorso, il diritto internazionale convenzionale iniziò ad
occuparsi anche di quelle condotte che si slegavano dal concetto di schiavitù
strettamente inteso. In particolar modo, causa di ciò fu la sempre più rilevante tendenza
che si diffuse in quegli anni, per cui alla progressiva diminuzione del traffico di schiavi,
iniziata a partire dei primi del Novecento, faceva riscontro un aumento di
335
P.SCEVI, Premesse per uno studio sui delitti di schiavitù, op. cit., pg.937.
Già dal 1815, nell’ambito del Congresso di Vienna, si parlava dell’obbligo di reprimere la “tratta degli
schiavi” così come nella Convenzione di Ginevra del 1926, ove sul medesimo piano della proibizione
della schiavitù si pone la tratta degli schiavi. Anche la Convenzione supplementare del 1956 ci parla
ancora della abolizione della schiavitù, della tratta degli schiavi e delle pratiche analoghe alla schiavitù.
337
F.SPIEZIA ,La tratta di esseri umani: gli strumenti investigativi di cooperazione internazionale, op.
cit., pg.10.
336
138
comportamenti analoghi, ai quali però non era applicabile la normativa internazionale
preesistente338.
In tal senso, un primo gruppo di convenzioni internazionali in materia venne adottato al
fine di reprimere la tratta di donne e fanciulle a scopo di prostituzione nella prima metà
del secolo scorso339.
Il fenomeno andava assumendo un aspetto del tutto nuovo rispetto alla tratta di schiavi
così come tradizionalmente descritta nei testi del passato, nei quali si faceva riferimento
all’istituto giuridico della schiavitù come a quei casi in cui una persona poteva esser
privata in tutta o in parte della propria capacità giuridica, divenendo oggetto della
proprietà di un’altra persona. Le vittime tutelate alla luce dei nuovi trattati invece,
conservano intatto il proprio status giuridico ed i poteri sulle stesse esercitati sono del
tutto privi di una legittimazione giuridica340.
La condanna della tratta, svincolata dal concetto di schiavitù inteso in senso stretto, si è
poi ulteriormente intensificata con l’adozione di nuovi testi volti alla repressione dello
sfruttamento dei fanciulli341; una fra tutte, la già citata Convenzione supplementare
all’abolizione della schiavitù, della tratta di schiavi e delle istituzioni e pratiche simili
alla schiavitù (1956) ove all’articolo 1 lett. d , fra le pratiche condannate viene inclusa:
“ogni istituzione o pratica secondo la quale un bambino o un adolescente minore di
diciotto anni sia consegnato, dai genitori o da uno di essi o dal tutore, a un terzo, con o
senza pagamento, perché ne sfrutti la persona o il lavoro.”342
Insomma il traffico di persone viene progressivamente ad assumere una rilevanza
internazionale ulteriore ed autonoma rispetto a quella della tratta di schiavi.
338
I. CARACCIOLO, Dalla tratta di schiavi, op. cit., pg.224.
Ci riferiamo alla Convenzione internazionale di Parigi, 1904, per l’eliminazione della tratta delle
bianche, e la Convenzione internazionale di Parigi, 1910, per l’eliminazione del traffico di donne
bianche, Altrettanto rilevanti in materia, la Convenzione internazionale per la repressione della tratta delle
donne e dei fanciulli, del 1921,e la Convenzione per la repressione della tratta degli esseri umani e dello
sfruttamento della prostituzione altrui, del 1949.Nella medesima prospettiva, la tratta viene stigmatizzata
specificatamente nell’art. 6 della più recente convenzione del 1979 sull’eliminazione di ogni forma di
discriminazione nei confronti della donna.
340
A. ANNONI, L’attuazione dell’obbligo internazionale di reprimere la tratta degli esseri umani, in
Rivista di diritto internazionale, n.2/2006, pg.406.
341
G.PALMISANO, Dagli schiavi ai migranti clandestini, op. cit., pg472.
342
Sulla stessa linea ricordiamo l’art. 35 della Convenzione del 1989 sui diritti del fanciullo, in cui si
impone l’obbligo in capo agli Stati membri di adottare le misure necessarie “to prevent the abduction of,
the sale of or traffic in children for any purpose or in any form”.
339
139
Il superamento definitivo del vincolo che legava il concetto di tratta a quello di
schiavitù, e l’affermazione di un concetto di traffico inteso in termini generali lo si
raggiunse definitivamente nel 2000, con l’adozione del Protocollo sulla prevenzione,
soppressione e repressione del traffico di persone, specialmente donne e bambini,
adottato assieme alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata
transnazionale, siglato dall’Assemblea generale a Palermo nel dicembre 2000343.
2.1 La convenzione di Palermo e i due protocolli: tratti generali.
Con l’adozione di questo protocollo non si raggiunse solo una precisa delimitazione del
concetto di tratta, ma anche l’elaborazione di una separazione di concetti e di un’esatta
e completa definizione di due fenomeni che sino a quel momento venivano spesso
confusi o sovrapposti: parliamo del delitto di tratta, che trova ora collocazione nel
protocollo sul trafficking, da un alto, e di quello di traffico di migranti clandestini,
dall’altro, contenuto e definito nel protocollo sullo smuggling.
I due protocolli rappresentano il punto d’arrivo di un lento ed inarrestabile processo
normativo che per anni tentò di separare i due fenomeni con l’adozione di definizioni
globalmente condivise344.
Obiettivi specifici dei Protocolli in questione sono quelli prevenire e combattere lo
“smuggling” e “trafficking”345, promuovere la cooperazione tra gli Stati parte, ma
soprattutto proteggere i diritti umani dei migranti 346.
343
La convenzione è entrata in vigore il 29 settembre del 2003, mentre il protocollo sulla tratta e sul
traffico di migranti , divennero esecutivi, rispettivamente, nel dicembre 2003 e nel gennaio 2004.
344
G. PACCIONE, La tratta di persone nel diritto internazionale, in Diritto.net, DCeditore, 2004, pg.34
ss.
345
Le definizioni di trafficking e smuggling sono contenute rispettivamente all’articolo 3 dei due
Protocolli menzionati. Per tratta di persone (trafficking) intendiamo “il reclutamento, il trasporto, il
trasferimento, l’ospitare o l’accogliere persone tramite l’impiego della forza o di altre forme di
coercizione di rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità o tramite il
dare o ricevere somme di danaro o vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha autorità su
un’altra a scopo di sfruttamento. Lo sfruttamento comprende come minimo lo sfruttamento della
prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o prestazioni forzate, schiavitù
o pratiche analoghe, l’asservimento o il prelievo di organi”. Per quel che concerne il traffico di migranti
(smuggling), con questo intenderemo quelle attività che consistono “nel procurare, al fine di ricavare,
direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o materiale, l’ingresso illegale di una persona in
uno Stato in cui la persona non è cittadina o residente permanente e qualifica ingresso illegale il varcare i
confini senza soddisfare i requisiti necessari per l’ingresso legale nello Stato di accoglienza”, così
D.MANCINI, in Traffico di migranti, op. cit.,pg.61.
346
E. ROSI, Le misure internazionali per la lotta contro le forme di criminalità connesse al fenomeno
migratorio, in Riv. Giur. Circ. e trasp.,2002,II, pg.180.
140
Sulla scia di quest’indirizzo di politica di tutela e protezione nei confronti delle vittime
inaugurato dai due Protocolli s’inseriranno numerosi atti successivi dell’Unione
europea, quali ad esempio: la direttiva 2004/81/CE, la Convenzione di Varsavia del
2005 ed infine la recentissima direttiva 2011/36/UE. Passaggi che avremo occasione di
approfondire nei prossimi paragrafi.
I due Protocolli inoltre si pongono in maniera accessoria e supplementare rispetto alla
Main Convention, così come indicato dagli artt. 1 (del tutto simmetrici) inseriti nei
rispettivi Protocolli, laddove è detto che gli stessi integrano la Convenzione delle
Nazioni unite contro la Criminalità organizzata 347.
In relazione alla Convenzione citata noteremo come l’importanza fondamentale della
stessa deriva da alcuni aspetti che si spingono ben oltre le novità contenute nei
protocolli. Innanzitutto occorre premettere che si è trattato del più importante sforzo di
armonizzazione normativa e di promozione della cooperazione giudiziaria e di polizia
mai promosso in precedenza dagli Stati.
Essa contiene, da un lato, tutta una serie di norme che hanno per obiettivo quello di
rafforzare la cooperazione giudiziaria internazionale, dall’altro, un insieme di norme che
mirano all’armonizzazione normativa.
La Convenzione potrà esser definita come il primo trattato multilaterale contro il
crimine organizzato: in tal senso è stato affrontato per la prima volta il problema della
definizione generale e sistematica della criminalità organizzata. In essa vi sono alcuni
elementi definitori e metodologici meritevoli di grande attenzione, quali la specifica
definizione di “gruppo criminale organizzato” con riferimento al tipo di infrazione che
ne costituisce lo scopo348; inoltre sono stati introdotti specifici obblighi di
incriminazione per gli Stati al fine di reprimere fenomeni di criminalità la cui rilevanza
superi i confini territoriali del singolo Stato, così come previsto dagli articoli 5, 6,8,23:
gli Stati dovranno prevedere nelle rispettive legislazioni nazionali norme incriminatrici
347
F.SPIEZIA, F. FREZZA, N.M.PACE, Il traffico e lo sfruttamento di esseri umani, Giuffrè editore,
2002, pg. 196.
348
L’espressione “gruppo criminale organizzato” designa un gruppo strutturato, che esiste da un certo
tempo, composto da tre o più persone che agiscono di concerto con lo scopo di commettere una o più
gravi infrazioni stabilite conformemente alla presente Convenzione, per trarne, direttamente o
indirettamente, un vantaggio finanziario o un altro vantaggio materiale.
141
adeguate a sanzionare i reati di partecipazione ad un gruppo criminale organizzato,
riciclaggio, corruzione ed intralcio alla giustizia 349.
Difatti, la natura tipicamente transnazionale dei delitti in questione ha condotto sempre
più verso la ricerca di un’armonizzazione delle fattispecie penali in materia degli Stati
coinvolti ed inoltre verso una cooperazione fra gli stessi. Una cooperazione fra autorità
che si gioca non solo sul piano giudiziario, ma anche sul quello investigativo e di
polizia,
con l’introduzione di specifici obblighi di collaborazione quali essenziali
strumenti ai fini dello sviluppo di un’azione repressiva, a livello internazionale, delle
organizzazioni criminali in special modo dedite al traffico di persone.
2.2 La Convenzione di Palermo verso un’armonizzazione normativa a livello
internazionale.
Con la Convenzione di Palermo si raggiunse la consapevolezza che, al fine di
un’efficace azione di contrasto alla tratta di esseri umani e al traffico di migranti, fosse
necessaria un’armonizzazione normativa a livello transnazionale che permettesse di
condividere definizioni e prassi operative 350.
Lo scopo perseguito dalla Convenzione viene chiaramente enunciato all’articolo 1, ove
si evince la volontà di <<promuovere la cooperazione per prevenire e combattere il
crimine organizzato transnazionale in maniera più efficace>>.
Queste parole mostrano esplicitamente come le scelte di politica criminale adottate
dall’accordo multilaterale in questione sottendano la consapevolezza da parte degli
Stati firmatari dell’insufficienza delle legislazioni nazionali ad operare un efficace
contrasto al crimine organizzato transnazionale, date la carenze di meccanismi che
permettano un’effettiva cooperazione fra gli stessi 351. In quest’ottica il testo si
preoccupa di fornire preliminarmente definizioni comuni di riferimento in un terreno da
sempre affetto da una carenza di determinatezza.
349
D. ZINGALES, La convenzione ONU contro la criminalità organizzata transnazionale e
l’introduzione del reato transnazionale ad opera della legge n. 146/2006: rilevanza e aspetti problematici
alla luce delle prime applicazioni giurisprudenziali, in Riv. Trim. dir. Pen. Econ, 1-2/2012, pg. 450.
350
D. MANCINI, Traffico di migranti e tratta di persone, tutela dei diritti umani e azioni di contrasto,
FrancoAngeli, Milano 2008, pg.60
351
D.ZINGALES, La convenzione ONU, op. cit., pg. 455.
142
La Convenzione introduce così delle importanti innovazioni nel diritto penale, offrendo
per la prima volta alla comunità internazionale delle definizioni universalmente
riconosciute di figure fondamentali del diritto penale legate al fenomeno della
criminalità organizzata, quali la definizione di gruppo criminale organizzato (articolo 2),
di grave crimine, di proventi di reato, sequestri e confisca.352
Gli articoli 5-9 si preoccupano di introdurre specifici obblighi d’incriminazione in capo
agli Stati, interventi resi necessari dal fatto che all’epoca della stipula del trattato, non
tutte le legislazioni nazionali prescrivevano norme ad hoc atte a reprimere quei reati.
Ruolo prioritario assumono così le definizioni comuni di reato, con i connessi obblighi
di incriminazione posti a carico degli Stati, al fine di realizzare una piattaforma
omogenea di tutela penale in settori chiave del contrasto alla criminalità organizzata.
Vengono dunque previsti degli obblighi universali di incriminazione in relazione alle
condotte di partecipazione ad un gruppo di criminalità organizzata, al compimento di
atti o fatti di corruzione, al riciclaggio dei proventi dei reati, alle condotte di intralcio
alla giustizia, prevedendo anche una responsabilità giuridica in capo alle persone 353.
Per quel che concerne più specificatamente il traffico internazionale di persone, come
già anticipato, è stata dettata una definizione universalmente valida dei reati di tratta e
traffico di migranti clandestini, che rappresenta un significativo passo in avanti in
merito all’esigenza di un’armonizzazione normativa, per lo meno da un punto di vista
terminologico.
In tal senso peraltro, s’impone la previsione di un obbligo in capo agli Stati contraenti di
penalizzazione, nell’ambito del loro diritto interno, dei reati di tratta e traffico così come
descritti nei due Protocolli e nella Convenzione. Qui emerge in maniera lampante la
ricerca da parte della Convenzione di un’armonizzazione delle fattispecie penali in
materia, al fine di superare le pluralità di definizioni che di tali fenomeni era dato
riscontrare sul piano del diritto interno, nelle legislazioni dei diversi paesi 354.
Tale armonizzazione normativa fra Stati appare assolutamente essenziale in una
prospettiva di contrasto di un fenomeno dalla spiccata tendenza transnazionale, al fine
352
F.SPIEZIA ,La tratta di esseri umani: gli strumenti investigativi di cooperazione internazionale, op.
cit., pg.14.
353
E. ROSI, La tratta di esseri umani e il traffico di migranti. Strumenti internazionali, in Cass. Penale,
2001, n°3, pg.990 ss.
354
F. SPIEZIA, ,La tratta di esseri umani: gli strumenti investigativi di cooperazione internazionale, op.
cit., pg.15.
143
di superare le differenze che ancora sul piano normativo dividevano le legislazioni dei
diversi paesi.
La previsione di obblighi d’incriminazione, peraltro, rappresenta un notevole passo in
avanti lungo il percorso della costruzione di un diritto penale internazionale, slegandosi
da quella che è l’impostazione rigorosa dei rapporti fra sistema penale e singoli confini
nazionali in cui, tradizionalmente, la sovranità
nazionale in materia penale ha da
sempre vietato la scelta dei reati all’attività normativa internazionale 355.
2.3. Le disposizioni in materia di cooperazione giudiziaria: la richiesta di assistenza
giudiziaria nella Convenzione ONU.
Al di là del tentativo promosso dalla Convenzione di un’uniformazione normativa a
livello internazionale, ciò che pare auspicabile è l’introduzione di meccanismi di
cooperazione fra Stati al fine di una più efficace azione di contrasto al crimine
organizzato transnazionale.
Per quel che concerne i profili di cooperazione giudiziaria, innanzitutto non si potrà
prescindere da una collaborazione fra Stati nella fase investigativa, punto di partenza
fondamentale al fine di combattere efficacemente una criminalità senza confini.
Dunque l’articolo 18 della Convenzione356 fornisce un’eccellente attenzione alla mutua
assistenza legale, con indicazione delle forme e dei presupposti per attivare la
cooperazione357; prevede innanzitutto che l’assistenza giudiziaria sia consentita nel
modo più ampio possibile nei casi specificatamente indicati; prevede, inoltre, che la
possibilità di attivazione di meccanismi di cooperazione giudiziaria internazionale verrà
concessa per un fatto delittuoso per il quale vi sia ragionevole motivo di sospettare il
coinvolgimento di un gruppo criminale organizzato358, cioè in tutti quei casi in cui, in
una fase prodromica alle indagini, la situazione fattuale non consenta ancora di
355
D.MANCINI, Traffico di migranti, op. cit., pg. 61 ss.
Convenzione di Palermo, articolo 18: Assistenza giudiziaria reciproca: 1.Gli stati parte si concedono la
più ampia assistenza giudiziaria in materia di indagini, azione penale, e procedimenti giudiziari per i reati
di cui alla presente Convenzione così come previsto all’articolo 3 ed estendendo reciprocamente analoga
assistenza nel caso in cui lo Stato Parte richiedente abbia fondati motivi di sospettare che il reato di cui
all’articolo 3, paragrafo 1 , sia di natura transnazionale (….). 2. L’assistenza giudiziaria reciproca è
concessa nel modo più ampio possibile (….).
357
D. MANCINI, Traffico di migranti, op. cit., pg. 63.
358
F.SPIEZIA, F. FREZZA, N.M.PACE, Il traffico e lo sfruttamento di esseri umani, Giuffrè editore,
2002, pg. 193.
356
144
affermare con certezza il carattere di crimine organizzato, così come definito dalla
Convenzione, ma permetta solo di cogliere degli elementi di coinvolgimento con una
realtà criminale, legata verosimilmente al traffico di esseri umani, in cui il
frazionamento delle condotte può in apparenza impedire di cogliere l’operatività di una
sottostante e complessa organizzazione 359. Difatti gli aspetti tipicamente transnazionali
dei delitti in questione possono venire alla luce solo attraverso un’attività di indagine
che partendo dal singolo episodio di sfruttamento, riesca a ricostruire i percorsi
attraversati dalla vittima individuando gli autori delle condotte criminose impiegati
dalla fase dell’arruolamento dei paesi di origine sino alla tappa finale di smistamento
nei settori del lavoro nero, a fini di prostituzione etc…360
Per quel che concerne il principio della disponibilità delle informazioni e dello scambio
delle stesse, questo viene previsto sempre nell’ambito dell’articolo 18 della
Convenzione ONU, il quale stabilisce che “senza pregiudizio al proprio diritti interno,
le competenti autorità dello Stato parte possono, senza una precedente richiesta,
trasmettere informazioni in materia penale ad un’autorità competente di un altro Stato
parte, qualora ritengano che dette informazioni possano essere utili all’autorità ad
intraprendere o a concludere con successo inchieste o procedimenti penali o possano
dar luogo ad una richiesta formulata dal secondo Stato parte”.
Lo scambio d’informazioni, peraltro, è oggetto di una norma ad hoc nel Protocollo
addizionale della Convenzione di Palermo sulla tratta, più precisamente all’articolo 10
361
.
Sulla stessa linea s’inserisce un ulteriore articolo del Protocollo sui migranti, in cui
viene previsto espressamente che gli Stati parte si scambino una serie di informazione
su una serie di punti chiave, quali ad esempio i punti di imbarco e destinazione,
itinerari, trasportatori e mezzi di trasporto utilizzati dai gruppi criminali etc. …
Questo continuo scambio d’informazioni diverrà punto cardine della cooperazione a
livello internazionale362.
359
E. ROSI, La tratta di esseri umani, op. cit., pg. 1987.
F.SPIEZIA, F. FREZZA, N.M.PACE, Il traffico e lo sfruttamento, op.cit., pg. 194.
361
Seppur nel rispetto del loro diritto interno, gli Stati si impegnano a scambiarsi informazioni su
elementi che possano rappresentare indici rivelatori della commissione dei crimini in questione. In
particolare con riferimento specifico alla tratta, è rilevante: la verifica di un eventuale ruolo degli
stranieri che varchino i confini, la descrizione della tipologia dei documenti di viaggio, mezzi e
metodologie utilizzate per la tratta.
362
E. ROSI, Le misure internazionali, op. cit., pg.194.
360
145
L’articolo 18 citato, per altro, introduce un’importante deroga al principio di
applicazione della Convenzione, che all’articolo 4 stabilisce che la stessa trovi
attuazione nei casi previsti dagli articoli 5,6,8,23 (partecipazione a gruppo criminale
organizzato, riciclaggio, corruzione, intralcio alla giustizia) ed ai reati gravi (“serious
crime”) così come descritti all’articolo 2, con riferimento a quelle condotte già previste
come reato dalla legislazione nazionale puniti con una pena privativa della libertà
personale di almeno quattro anni nel massimo o con una pena più elevata, quando il
reato è transnazionale in natura e coinvolge un gruppo criminale organizzato.
In riferimento, invece, alle richieste d’assistenza giudiziaria in relazione alla verifica di
condotte criminose legate al reato di tratta, la Convenzione troverà attuazione anche per
un fatto delittuoso per il quale lo Stato che richiede assistenza abbia il semplice
ragionevole motivo di sospettare il coinvolgimento di un gruppo criminale organizzato
e quando
abbia motivo di sospettare che l’offesa sia transnazionale in natura,
indipendentemente dal fatto che ne abbia dimostrato l’effettiva esistenza 363.
La formulazione di questo articolo 18 ha una portata innovativa da non trascurare:
difatti, se nel passato la forma classica di assistenza giudiziaria era sostanzialmente
limitata a rapporti bilaterali fra Stati ed in relazione a singole e circoscritte vicende
processuali, attualmente lo scenario pare del tutto cambiato. Il vecchio approccio,
mostrando le sue lacune ed insufficienze di fronte ai caratteri della criminalità
contemporanea, ha consentito di raggiungere il consenso politico a sostegno della
negoziazione della Convenzione, nonostante le notevoli differenze dei sistemi giuridici
degli Stati appartenenti alle Nazioni Unite364.
2.4. Altri strumenti di cooperazione giudiziaria nella fase investigativa e di
prevenzione.
Nella Convenzione sono stati ulteriormente previsti degli strumenti di cooperazione
nella fase preventiva ed investigativa, di estrema importanza ai fini della lotta alla
tratta di esseri umani. Fra i tanti, un breve cenno sarà riservato agli articoli della
Convenzione e dei due protocolli che individuano la possibilità di cooperare nelle
indagini, anche mediante l’utilizzo di squadre investigative comuni.
363
364
F. SPIEZIA, Gli strumenti internazionali, op.cit., pg. 48.
D.MANCINI, Traffico di migranti, op. cit., pg. 62.
146
Il coordinamento investigativo e le squadre investigative comuni sono specificatamente
previste all’articolo 15 della Convenzione ONU che interviene sul tema regolando
opportunamente i rapporti tra le diverse giurisdizioni interessate in ordine all’insieme di
reati che ne costituiscono l’oggetto, stabilendo il principio secondo il quale qualora uno
o più Stati stiano conducendo un’indagine, un’azione penale in relazione alla medesima
condotta delittuosa “le competenti autorità degli Stati parte si consultano al fine di
coordinare le loro azioni”, potendo inoltre stringere accordi o intese, bilaterali o
multilaterali, finalizzate alla costituzione di “organi investigativi comuni”, o comunque,
in caso di assenza di accordi o intese, la possibilità di intraprendere indagini comuni
sulla base di accordi caso per caso, nel pieno rispetto della sovranità dello Stato nel cui
territorio l’indagine avrà luogo.365
Completano il quadro in materia di cooperazione giudiziaria alcune disposizioni
previste dai due Protocolli annessi alla Convenzione di Palermo: ci riferiamo alla
sezione terza che in entrambi i testi viene dedicata agli aspetti di prevenzione e
cooperazione. Le disposizione sulla prevenzione e cooperazione costituiscono il settore
di maggior importanza e di rilevanza pratica dell’intero documento, in quanto
stabiliscono degli obblighi per gli Stati parte di cooperazione e di armonizzazione delle
misure sia legislative che di law enforcement.
Dopo anni di tentativi sporadici e sconnessi da parte della comunità internazionale in
vista della repressione del crimine, la stessa si rende finalmente consapevole del fatto
che l’unica via da poter seguire per un efficace contrasto ai delitti in esame consiste
nella ricerca di una più stretta collaborazione tra gli Stati coinvolti.
Le norme delle quali si parla, si mostrano innanzitutto come delle norme complementari
rispetto
a
quanto
viene
stabilito nella
Convenzione
madre, e
riguardano
specificatamente i controlli alle frontiere (art.11), i controlli documentali (articolo 12), e
la garanzia di una reciproca capacità di accertamento in ordine alla veridicità e validità
degli stessi: questi sono disposizioni
importantissime per la fase preventiva del
traffico.366 In relazione al controllo di frontiera, viene richiesto uno specifico
rafforzamento dei controlli, pur facendo salvi gli obblighi internazionali relativi alla
circolazione delle persone. Oltre a questo generale rafforzamento dei controlli, per quel
che riguarda la sicurezza documentale, si richiede la creazione di norme minime comuni
365
366
F. SPIEZIA, op. cit., pg 60 ss.
E. ROSI, La tratta di esseri umani, op. cit., pg.991.
147
per tutti gli Stati che consentano, con un’accurata governance dei titoli legittimanti
l’ingresso ed il soggiorno in uno Stato, di ridurre se non evitare, falsificazioni ed abusi.
In capo ad ogni Stato graverà ulteriormente l’obbligo di verificare la legittimità e la
validità di qualunque documento di viaggio rilasciato in suo nome, che sia sospettato di
illegittimità ed di uso illecito ai fini della commissione dei reati in questione. 367
Infine, le norme specifiche contenute nei due protocolli dovranno necessariamente
essere lette ed applicate congiuntamente, in quanto sia la tratta che il traffico di migranti
presentano delle sintomatologie operative e delle modalità di attuazione spesso simili.
Le disposizioni concernenti la cooperazione giudiziaria nello scambio d’informazioni
fra le autorità di polizia dei diversi Stati parte sono inserite nell’articolo 10 del
protocollo (come già visto sopra) e all’articolo 13: quest’ultimo si occupa della verifica
della legittimità e della validità dei documenti di viaggio e/o d’identità, da parte di uno
Stato, su richiesta di un altro Stato parte. Si ritiene inoltre che per garantire l’efficacia
dei controlli incrociati, gli Stati si dotino di strumenti tecnologicamente all’avanguardia
e di squadre specializzate composte da persone esperte nell’identificazione dei
documenti.
2.5.Un tentativo fallito? Limiti della Convenzione di Palermo.
Alla resa dei conti però, gli ambiziosi tentativi portati avanti nella Convenzione di
Palermo, quali il raggiungimento di un’armonizzazione normativa a livello
internazionale sul tema della tratta di esseri umani e traffico di migranti, e la previsione
di forme di collaborazione giudiziaria più intensa fra gli Stati coinvolti, paiono in parte
aver deluso le aspettative.
In particolar modo, questo parziale fallimento si registra proprio in relazione
all’aspirazione di fondo della Convenzione relativa alla creazione di uno “spazio
giuridico internazionale”, da realizzarsi tramite un riavvicinamento della legislazioni dei
singoli Stati; all’interno di tale spazio ciascuno Stato dovrebbe ricoprire il medesimo
ruolo nella lotta al contrasto del crimine ed inoltre dovrebbe impegnare tutti gli Stati
coinvolti al rispetto degli obblighi convenzionali, nei limiti di compatibilità con i
367
E.ROSI, Le misure internazionali, op. cit. pg.196 ss.
148
principi proprio di ciascun ordinamento. Tuttavia tale pretesa, per il momento, rimane
nello scenario internazionale, ancora una chimera.
Molteplici le ragioni dell’insuccesso addebitato in tal senso alla Convenzione di
Palermo.
La dottrina evidenzia, ad esempio, come la Convenzione non abbia garantito
l’auspicabile omologazione dal punto di vista sanzionatorio: difatti non si prevedono
parametri sanzionatori uniformi (se non in relazione ai crimini più gravi, nei quali viene
fissato il limite minimo di reclusione di quattro anni, lasciando però poi ampia
discrezionalità ai legislatori nazionali circa i limiti edittali massimi). Inoltre si critica il
fatto che la Convenzione preveda generici obblighi di incriminazione che gli Stati
dovranno rispettare, lasciando però a questi ultimi piena discrezionalità sugli strumenti
normativi sostanziali e processuali per adempiervi, in rispetto delle tradizioni giuridiche
previste nei singoli ordinamenti368.
Nonostante tale mancato raggiungimento dell’obiettivo di armonizzazione che si
rimprovera alla Convenzione di Palermo, resta d’obbligo un’osservazione:
la
Convenzione è uno strumento di portata internazionale, ed in quanto tale indirizzato ad
un numero considerevole di Stati differenti, con
proprie e molto spesso lontane
tradizioni giuridiche.
Dunque, nel panorama internazionale, la pretesa di un’armonizzazione normativa tout
court pare impresa quasi utopistica.
Al contrario, quest’obiettivo di riavvicinamento fra le varie legislazioni nazionali pare
decisamente più concreto ed auspicabile nell’ambito del più ristretto spazio giuridico
europeo, in particolare per la maggiore vicinanza esistente fra le varie tradizioni
giuridiche degli Stati membri.
Nel microcosmo europeo, tale possibilità di realizzazione di uno spazio di libertà
sicurezza e giustizia, così come auspicato sin dal trattato di Amsterdam, dovrebbe porsi
come un obiettivo più facilmente raggiungibile.
A livello comunitario e regionale difatti, già da tempo si rifletteva sulla possibilità della
realizzazione di uno spazio giuridico comune, muovendosi nella prospettiva della
creazione di un diritto penale europeo, condicio sine qua non per una lotta efficace alle
forme di criminalità transnazionale. Ripercorreremo nel prossimo paragrafo le tappe
368
D.ZINGALES, La convenzione ONU, op. cit., pg. 458 ss.
149
salienti di questo percorso, che partendo dal trattato di Maastricht sono approdate sino
alle ultimissime disposizioni contenute nel Trattato di Lisbona.
3. L’Europa verso la creazione di un Diritto penale europeo.
Si è visto come le difficoltà maggiori che gli operatori a vario livello impegnati nella
lotta a tali crimini transnazionali incontrano, sono legate in primis ad una carenza di
omogeneizzazione legislativa e alla difficoltà di comunicazione fra Stati.
I problemi, specie in ambito Europeo, si acuivano sempre più, specie in seguito
all’abbattimento delle frontiere “fisiche” con l’entrata in vigore del Trattato di
Schengen, al quale
non corrispondeva uno speculare abbattimento delle frontiere
giuridiche.
La globalizzazione dei rapporti sociali, la liberalizzazione delle regole sugli spostamenti
dei beni e delle persone sono fattori che hanno agevolato moltissimo la possibilità di
delinquere in maniera “transnazionale”, eludendo controlli e strumenti di contrasto
predisposti dai singoli Stati, permettendo agli autori di tali crimini la possibilità di
scegliere fra i vari fori “quello più favorevole” (forum shopping), privilegiando i paesi
dove più lacunose fossero le normative penali applicabili, più lente le risposte degli
organi inquirenti e con scarse possibilità di impiego di strumenti di cooperazione
giudiziaria interstatale.
In questa nuova e complessa realtà criminologica transnazionale, ne è derivata una
sempre maggiore difficoltà da parte delle autorità giudiziarie nazionali nel portare
avanti iniziative di ricerca di elementi di prova al di fuori dei confini della propria
nazione, oppure per la cattura di criminali riparati all’estero. Difficoltà accentuate dalle
profonde diversità delle norme presenti negli ordinamenti giuridici nazionali. Al fine
d’impedire il verificarsi di fenomeni di questo genere, si è tentato di dare una risposta
concreta a livello europeo, tramite un’armonizzazione delle normative esistenti ed una
intensificazione della cooperazione giudiziaria su più livelli369.
È con l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam che si è delineata l’idea della
creazione di uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia, obiettivo questo che
369
E.APRILE, Diritto processuale penale europeo ed internazionale, Padova, 2007, pg. 2 ss.
150
s’intreccia profondamente con l’auspicio di un’intensificazione dei mezzi di contrasto
della criminalità transnazionale .
Tale passaggio era di cruciale importanza al fine del superamento di una concezione
esclusivamente “mercantilistica” dei rapporti che legavano Stati dell’Unione europea 370.
La creazione di uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia, (Titolo VI, artt. 29 e
segg. TUE) viene immaginato come uno spazio in cui le persone siano libere di
spostarsi senza vincoli, di godere del rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, di
beneficiare di uguali condizioni di legalità e sicurezza, facendo affidamento su regimi
giuridici uniformi o armonizzati, e di accedere agli organi giudiziari di ogni Stato per
ottenere tutela dei propri diritti e delle proprie libertà371.
Tale obiettivo dovrà essere realizzato con un’intensificazione della cooperazione di
polizia e giudiziaria in materia penale.
Inoltre, dirette conseguenze in relazione all’argomento di cui ci occupiamo derivano
dall’inclusione di delitti quali la criminalità organizzata transnazionale e la tratta di
esseri umani (assieme ad altre fattispecie di reato quali: terrorismo, traffico illecito di
stupefacenti etc. …) in quell’alveo di delitti che legittimano interventi da parte
dell’Unione europea di ravvicinamento delle nome sostanziali dei diritti penali
nazionali, in vista di un’armonizzazione normativa in materia penale 372 (art. 31, comma
1, lett e, TUE vers. Amsterdam373, già richiamato dall’art. 61, comma 1, lett. a, TCE).
370
In realtà, sin dal Trattato di Maastricht (1992) si era posto fra gli obiettivi della costituita Unione
europea l’ampliamento dei compiti dell’Unione in settori ulteriori rispetto a quelli di una cooperazione di
tipo esclusivamente economico: il processo di integrazione europea viene ad identificarsi, a partire da
Maastricht in poi, con questo nuovo edificio, l’Unione europea appunto, che si regge su tre pilastri: il
primo pilastro o pilastro comunitario, composto dalle Comunità europee; il secondo pilastro, costituito
dalla PESC; ed il terzo pilastro formato dalla GAI (cooperazione in materia di giustizia ed affari interni)
così R. ADAM, A. TIZZANO, Lineamenti di diritto dell’Unione europea, Torino 2010, pg. 4.
371
E.APRILE, Diritto processuale penale, op. cit., pg.5.
372
Ricordiamo come il Trattato di Amsterdam ridimensiona fortemente i contenuti del cosiddetto “terzo
pilastro” del precedente Trattato di Maastricht, che stabiliva una cooperazione in ambito di giustizia e
affari i
nterni (GAI) che comprendeva diverse materie: cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale,
visti asilo, immigrazione e cooperazione giudiziaria in materia civile. A tal fine era previsto che il
Consiglio potesse adottare:posizioni comuni, azioni comuni e convenzioni. Con il Trattato di Amsterdam
la materia di cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale viene collocata nel titolo VI TUE,
mentre le materie concernenti visti, asilo, immigrazione e cooperazione giudiziaria in materia civile
vengono collocate nel titlo IV TCE, determinando una parziale comunitarizzazione delle stesse, poiché
sono state trasferite al pilastro comunitario; cosi R. ADAM, La cooperazione in materia di giustizia e
affari interni, in AA.VV., Il trattato di Amsterdam, Milano, 1999, pg. 230
373
Trattato di Amsterdam, art. 31,lett e: “L’azione comune nel settore della cooperazione giudiziaria in
materia penale comprende la progressiva adozione di misure per la fissazione di norme minime relative
agli elementi costitutivi dei reati e delle sanzioni, per quanto riguarda la criminalità organizzata, il
terrorismo e il traffico illecito di stupefacenti”.
151
In verità, già prima dell’entrata in vigore del Trattato di cui si parla, l’attività di
contrasto alle organizzazioni criminali si muoveva verso la creazione di “obblighi di
incriminazione” come direttrice di armonizzazione.
Si pensi all’azione comune del 1998, relativa alla punibilità della partecipazione ad
un’organizzazione criminale negli Stati membri dell’Unione europea. Intervento questo
da inserirsi nel Piano di azione contro la criminalità organizzata del 1997, portavoce di
una politica criminale europea, sviluppatasi per realizzare l’obiettivo dell’Unione di
assicurare uno spazio comune di libertà sicurezza e giustizia, così come auspicato
nell’ambito del Trattato di Amsterdam374.
Gli strumenti normativi a disposizione dell’Unione al fine di un’armonizzazione a
livello legislativo erano principalmente rappresentati dalle decisioni e decisioni quadro.
Difatti, l’articolo 34 del TUE stabiliva che, nell’ambito della cooperazione di polizia e
giudiziaria in materia penale, il Consiglio, deliberando all’unanimità e su iniziativa di
uno Stato membro della Commissione, poteva adottare i diversi tipi di atti menzionati
nella norma stessa: posizioni comuni, decisioni quadro, decisioni, convenzioni. In
particolare, le decisioni quadro, erano finalizzate al ravvicinamento delle disposizioni
legislative e regolamentari degli Stati membri. Peraltro queste fissavano un obbligo di
risultato, imponendo il raggiungimento di un obiettivo e lasciando alla competenza
statale la scelta delle forme e dei mezzi; queste risultavano però prive di efficacia
diretta, e dunque, affinché producessero effetti negli ordinamenti nazionali, era
necessario un loro recepimento da parte dei rispettivi ordinamenti375.
In sostanza, in ambito penale, l’efficacia delle norme di armonizzazione risultava,
almeno in linea teorica, subordinato alla volontà da parte dello Stato membro che poteva
raggiungere tal fine, per mezzo dell’emanazione di una norma ad hoc. Numerose poi
furono le iniziative successive dell’Unione che si muovevano in vista della
realizzazione di uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia. Fra queste, citiamo:
il Consiglio di Tampere, dell’ottobre del 1999, che ha deliberato una serie di priorità di
orientamenti programmativi per realizzare tale spazio più rapidamente. Segue il
Consiglio europeo di Laeken (2001) che ribadisce quelli che erano le linee già indicate
374
V. MILITELLO, Criminalità organizzata transnazionale ed intervento europeo, fra contrasto e
garanzie, in Riv. Trim. dir.pen.econ., 4/2011, pg.814.
375
S. CAMPAILLA, La circolazione giudiziaria europea dopo Lisbona, in Proc. Pen. e giust., anno I,
n.2/2011, pg.93 ss.
152
dalle conclusioni di Tampere, sottolineando il bisogno di armonizzazione delle
legislazioni sulla tratta degli esseri umani; il Consiglio di Salonicco, (2003), in cui si
rimarca la necessità di un dialogo e di azione dell’Unione europea nei confronti dei
Paesi terzi nel settore della migrazione e della lotta alla tratta di esseri umani.
3.1. Verso un rafforzamento della competenza penale dell’Unione: il Trattato di
Lisbona.
Punto di approdo, per il momento, di questo lungo processo, si registra con l’entrata in
vigore del Trattato di Lisbona (TFUE) del dicembre 2009, che ha determinato
importanti modifiche nel modo di operare e sul concreto funzionamento dello spazio di
libertà, sicurezza e giustizia, in particolare in relazione agli strumenti predisposti in vista
di un’armonizzazione normativa e alle materie relative alla cooperazione di polizia e
giudiziaria in ambito penale376.
Con il Trattato di Lisbona si compie un passo decisivo verso l’effettiva realizzazione
dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, realizzandosi un importante rafforzamento
della competenza penale in capo all’Unione 377.
In relazione al profilo di armonizzazione normativa penale, notiamo in primis come lo
strumento della decisione-quadro, precedentemente previsto dal Trattato di Amsterdam,
viene ad esser sostituito dalla direttiva, per mezzo della quale gli Stati dovranno
provvedere all’armonizzazione delle varie normative penali.
L’articolo 83 del Trattato di Lisbona prevede al suo primo paragrafo la capacità, in capo
al Parlamento europeo e al Consiglio, di stabilire mediante direttive, norme minime
relative alla definizione dei reati e delle sanzioni in sfere di criminalità particolarmente
376
M. CARTA, La cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale dopo il trattato di Lisbona, in
D.S., anno II, n. 2, 2012, pg. 1.
377
Con il Trattato di Lisbona viene totalmente modificata l’architettura dell’Unione: viene abolita la
suddivisione in tre pilastri, la Comunità viene assorbita dall’Unione cessando di esistere. Si determina
così la “comunitarizzazione” del terzo pilastro, ossia del settore della cooperazione di polizia e
giudiziaria in materia penale. Questo determinerà un miglioramento dell’integrazione di tali settori, nei
quali il processo di cooperazione incontrava molteplici ostacoli a causa del metodo intergovernativo a
loro riservato: vi erano atti adottati dal Consiglio che deliberava all’unanimità e peraltro privi di efficacia
diretta all’interno degli stessi. Successivamente, con l’unificazione dei tre pilastri e l’adozione del metodo
comunitario, (metodo senz’altro più democratico) si rende più facile il processo d’integrazione. Metodo
questo, che vede come co-legislatori Parlamento europeo e Consiglio su proposta della Commissione;
così R.ADAM, A.TIZZANO, Lineamenti di diritto dell’Unione europea, op. cit.m pg.18 ss.
153
grave378, che presentino un carattere transnazionale379. Segue un elenco dettagliato che
puntualizza le sfere di criminalità interessata, fra le quali compare anche l’oggetto
specifico del nostro studio, ossia la condotta di tratta di esseri umani 380. Inoltre, l’elenco
stilato non ha natura tassativa, potendo invece il Consiglio adottare una decisione che
individui nuove sfere di criminalità rispondenti ai criteri richiesti 381.
Nell’ottica del nuovo Trattato si riconferma così una capacità d’intervento penale da
parte dell’Unione europea di tipo indiretta: a detta della dottrina più autorevole, il
nuovo meccanismo delle direttive non sembra difatti
aver aggiunto molto al
tradizionale meccanismo di innesto del diritto europeo nel settore della penalità interna.
Lo strumento della direttiva, affinché possa trasformarsi in diritto vivente, dovrà ancora
una volta servirsi della collaborazione del legislatore nazionale, che provvederà ad
emanare leggi dello Stato382.
3.2. Altre forme di cooperazione giudiziaria: gli organi e gli strumenti della
cooperazione operativa
L’effettiva realizzazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia non troverà
attuazione solo grazie all’armonizzazione della normativa penale sostanziale, ma potrà
servirsi anche del potenziamento di forme di collaborazione e coordinamento fra i vari
organi, istituzioni ed agenzie che agiscono nel settore della cooperazione di polizia e
giudiziaria in materia penale, il cui funzionamento potrà rendere più agevoli ed efficaci i
rapporti tra le autorità giudiziarie penali degli Stati membri dell’Unione.383
Fra i numerosi strumenti normativi introdotti allo scopo di ottenere reciproca assistenza
in campo investigativo e giudiziario citeremo solo i più importanti quali: la
378
“In questo modo si realizzerà un ravvicinamento delle norme di diritto penale sostanziale del tutto
indipendenti rispetto ad esigenze di cooperazione processuale, così come veniva invece stabilito negli
artt. 29/31 del Trattato di Amsterdam, che prevedevano una competenza in capo all’Unione per il
ravvicinamento delle norme di diritto penale solo per ragioni di cooperazione giudiziaria.” così C.SOTIS,
Il trattato di Lisbona e le competenze penali dell’Unione europea, in Cass.pen., n. 3/ 2010, pg.1150 ss.
379
C.PAONESSA, L’avanzamento del diritto penale europeo dopo il trattato di Lisbona, in La giust.pen.
2010, pg.307 ss.
380
V’è da notare come l’articolo 83 in questione debba essere letto in maniera contestuale al precedente
articolo 82, in cui si stabilisce quali principio fondante, il riconoscimento reciproco delle decisioni
giudiziarie, e in posizione subordinata il ravvicinamento delle legislazioni nazionali.
381
V. MILITELLO, Criminalità organizzata transnazionale, op. cit., pg. 816.
382
C.PAONESSA, L’avanzamento del diritto penale europeo, op.cit., pg. 308.
383
E. APRILE, Diritto processuale penale, op. cit., pg. 26 ss.
154
Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale, siglata nel 1959; la
Convenzione di applicazione dell’accordo Schengen, 1990, ed infine la Convenzione
del 29 maggio 2000 in tema di assistenza giudiziaria 384.
Per quel che riguarda più specificatamente gli attori della cooperazione di polizia,
interviene sul tema una convenzione specifica siglata a Bruxelles nel ‘95 che ha istituito
un ufficio europeo di Polizia (Europol); un cenno sarà riservato per altro alle squadre
investigative comuni previste dalla convenzione del 29 Maggio 2000 in tema di
assistenza giudiziaria385.
Di notevole rilievo sono anche i numerosi cambiamenti introdotti dal Trattato di
Lisbona, che è intervenuto sul tema prevedendo il potenziamento di organi già esistenti,
ed in misura minore con l’introduzione di organi ex novo.
Dal punto di vista della collaborazione delle autorità nazionali in materia giudiziaria, un
approfondimento sarà riservato all’organismo Eurojust (previsto dalla Convenzione del
Consiglio europeo di Tampere del 1999, alla conclusione n.46) ed ai nuovi poteri ad
esso attribuiti dal Trattato di Lisbona. Infine, uno spazio verrà riservato alla possibile
introduzione di una procura operante a livello europeo.
384
Per quel che concerne la Convenzione europea di assistenza giudiziaria del ‘59, in essa le parti
contraenti si obbligano ad accordarsi reciprocamente l’assistenza giudiziaria nella maniera più ampia
possibile in qualsiasi procedura concernente reati la cui repressione, al momento in cui l’assistenza
giudiziaria viene domandata, è di competenza dell’autorità giudiziaria della parte richiedente.
La Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen stabilisce una disciplina delle diverse misure
compensative degli effetti dell’abolizione dei controlli alle frontiere. Inoltre, lo strumento contiene anche
una serie di misure incidenti sul piano della cooperazione tra le Forze di polizia e tra le autorità
giudiziarie. In merito a ciò, l’articolo 48 stabilisce che le disposizioni inerenti la materia dell’assistenza
giudiziaria in ambito penale integrano quelle della Convenzione europea del 1959, non modificando
quelle più favorevoli contenute in accordi bilaterali. Di particolare rilevanza i dettami in materia di
cooperazione di Polizia ( si veda articoli 39 e 40 della Convenzione). In tema di cooperazione giudiziaria
una delle innovazioni più importanti è rappresentata dalla “corrispondenza diretta tra le autorità
Giudiziarie”, a norma dell’articolo 53, in contrasto con ciò che veniva stabilito nella Convenzione del 59,
in cui la trasmissione diretta tra le autorità giudiziarie era limitato ai soli casi di urgenza.
Infine, con riferimento alla Convenzione del 2000, il Consiglio d’Europa vota a Bruxelles una
convenzione volta a completare le disposizioni per facilitare l’applicazione dei vari strumenti; in
particolare s’interessa dell’integrazione e del completamento della Convenzione del ’59, introducendo
degli indirizzi volti ad incoraggiare e facilitare ulteriormente l’assistenza tra le autorità giudiziarie, di
polizia e delle dogane, in materia penale. Cosi F.SPIEZIA, F. FREZZA, N.M.PACE, Il traffico e lo
sfruttamento, op. cit. pg.166 ss.
385
M.CARTA, La cooperazione di polizia e giudiziaria, op cit., pg.33.
155
3.2.1. Cooperazione di polizia: Europol e le squadre investigative comuni.
Nell’ambito della cooperazione in materia di polizia e giustizia, assume particolare
rilevanza nel settore della lotta alle organizzazione dedite al traffico di esseri umani, la
Convenzione firmata nel luglio del 1995, a Bruxelles, che istituiva un ufficio europeo di
Polizia, Europol, con l’obiettivo specifico di realizzare, nell’ambito della cooperazione
nel settore della giustizia ed affari interni, una più stretta collaborazione fra gli Stati
membri, al fine di contrastare le principali forme di criminalità organizzata
transnazionale386.
Scopi principali di questo nuovo organismo sono quelli di “ migliorare l’efficacia dei
servizi competenti degli Stati membri e la loro cooperazione, al fine di prevenire e
combattere il terrorismo, il traffico illecito di stupefacenti ed altre gravi forme di
criminalità transnazionale, purché esistano indizi concreti di una struttura o di
un’organizzazione criminale e purché due o più Stati membri siano lesi” 387.
La scelta di una “europeizzazione” del contrasto alle organizzazioni criminali doveva
attuarsi mediante specifici compiti riservati in capo all’Europol, quali l’agevolazione e
lo scambio di informazioni tra gli Stati membri, la raccolta la riunione e l’analisi delle
informazioni e segnalazioni, la comunicazione ai servizi competenti degli Stati membri
delle informazioni che li riguardano e quelle relative ai collegamenti rilevati tra fatti
delittuosi, e ancora, la facilitazione delle indagini fra Stati membri trasmettendo alle
unità nazionali tutte le informazioni al riguardo, nonché la gestione e la raccolta
informatizzata delle stesse388.
Su tale disegno, ciascun Stato membro individua un’unità nazionale incaricata di
svolgere le funzioni menzionate, unità nazionale che, peraltro, è l’unico organo di
collegamento fra l’Europol ed i servizi nazionali competenti, e che invia all’ufficio di
polizia europeo almeno un ufficiale di collegamento incaricato di occuparsi degli
interessi della sua unità nazionale389.
386
F.SPIEZIA, F. FREZZA, N.M.PACE, Il traffico e lo sfruttamento di esseri umani, Giuffrè editore,
2002, pg. 172.
387
Convenzione Europol, GU C 316/1995, pg.1.
388
F.M.DE MARTINO, Europol, in AA.VV , Nuove strategie per la lotta al crimine organizzato
transnazionale, Giappichelli editore,2003, PG.140 ss.
389
F.SPIEZIA, F. FREZZA, N.M.PACE, Il traffico e lo sfruttamento di esseri umani, op. cit., pg. 173.
156
Tuttavia, i poteri concretamente esercitabili sulla scorta della Convenzione, paiono
decisamente insufficienti. Questi ultimi sembrano limitati a taluni ambiti specifici,
quali lo scambio di dati ed informazioni, l’attività di intelligence e l’analisi dei
fenomeni criminali.
In tal modo vengono esclusi tutti quei rilevanti poteri operativi o investigativi diretti,
quali il mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica, il potere di effettuare
arresti e il diritto al porto ed all’uso legittimo delle armi. Ciò lo si ricollega ad un
atteggiamento di forte diffidenza da parte degli Stati che vedono messa in pericolo la
propria sovranità.
Nel corso del tempo la Convenzione originaria ha subito parziali modifiche tramite sia
emendamenti, sia l’adozione di protocolli ad hoc.
3.2.2. Europol dal Trattato di Amsterdam al Trattato di Lisbona.
Anche alcuni trattati si sono interessati all’organismo Europol e ne hanno ampliato i
compiti e le funzioni così come originariamente designati dalla Convenzione.
Riferendoci ai più recenti, pensiamo al Trattato di Amsterdam, il quale è intervenuto sul
tema specificando meglio i contorni e precisando i contenuti operativi e le prospettive
di sviluppo dell’organismo.
In particolare, il trattato in questione ha individuato, accanto alla funzione di mero
coordinamento fra organi di polizia (ossia, l’espletamento dell’attività di prevenzione
generale e di individuazione dei fatti di reato ed assicurazione delle fonti di prova),
l’assegnazione all’organismo comunitario di compiti di natura informativa e formativa.
In relazione al primo profilo, si è dato particolare rilievo alla raccolta dei dati, per
mezzo dell’archiviazione, del trattamento, dell’analisi e dello scambio di tutte le
informazioni necessarie.
Con specifico riferimento al ruolo, ai compiti di iniziativa e coordinamento, il Trattato
di Amsterdam ha proposto due diverse forme di intervento: una funzione di
coordinamento orizzontale, mediante la cooperazione di Europol con organi inquirenti
sia di magistratura che di polizia; un coordinamento verticale, con l’adozione di misure
che permettano ad Europol di fare richiesta alle autorità competenti di svolgere e
coordinare le indagini su casi specifici, nonché la possibilità di promuovere il
157
coordinamento e di effettuare specifiche operazioni investigative da parte delle autorità
competenti degli Stati membri390.
La successiva entrata in vigore del Trattato di Lisbona è stata l’occasione adatta per
procedere ad una riforma di carattere generale ed organica del funzionamento di tale
ufficio.
Le modifiche introdotte dovranno essere lette congiuntamente a ciò che viene stabilito
dalla decisione 2009/371/GAI, del 6 aprile 2009, che sostituisce integralmente la
convenzione istitutiva del ‘95 ed abroga tutte le sue misure d’attuazione.
Nel titolo V del trattato di Lisbona, vengono proposte una serie di misure dirette ad una
cooperazione e ad uno scambio di informazioni tra le polizie degli Stati membri e viene
disposto che- attraverso specifici regolamenti, deliberati dal Parlamento Europeo e dal
Consiglio- dovrà essere determinata “la struttura, il funzionamento, la sfera d’azione e
i compiti di Europol”391; compiti questi che comprendono la raccolta, l’archiviazione, il
trattamento, l’analisi e lo scambio delle informazioni trasmesse, in particolare delle
autorità degli Stati membri o di paesi o organismi terzi ma anche il coordinamento,
l’organizzazione e lo svolgimento di indagini di azioni operative, condotte di concerto
con le autorità competenti degli Stati membri o nel quadro di squadre investigative
comuni, eventualmente anche con il coinvolgimento di Eurojust392.
Tali regolamenti, peraltro, “fissano le modalità di controllo della attività Europol da
parte del Parlamento europeo, controllo cui sono associati i Parlamenti nazionali.” 393
Tale funzione di monitoraggio sull’attività dell’Ufficio diviene così più trasparente e
democratica rispetto al passato, grazie alla partecipazione dei parlamenti nazionali;
inoltre, si determina un significativo rafforzamento dei poteri del Parlamento in linea
con quella che è la tendenza generale riscontrabile nell’ambito del Trattato di Lisbona,
Una riflessione particolare merita la disposizione per la quale “la conduzione di
qualsiasi azione operativa da parte di Europol viene subordinata alla condizione che la
stessa avvenga d’intesa con le autorità dello Stato membro coinvolto nell’operazione”;
disposizione questa che pare un tentativo di limitazione dell’acquisizione di una
dimensione operativa a carico di Europol. Difatti, dalla prima comparsa dell’Istituto con
390
M.A.SCUDERI, Gli strumenti di contrasto, in AA.VV., Il Traffico internazionale di persone, a cura
di G.TINEBRA, A.CENTONZE, Milano, 2004, pg. 262.
391
Art. 88,co.2, TFUE.
392
M. CARTA, La cooperazione di polizia e giudiziaria, op.cit., pg 34.
393
Art.88 co.2 (b) TFUE.
158
la Convenzione del ‘95, gli Stati membri (come sopra accennato) si sono sempre
mostrati molto restii ad attribuire in capo all’organo di polizia funzioni operative,
privilegiando piuttosto la conservazione in capo allo stesso delle tradizionali funzioni di
facilitazione e scambio delle informazioni, in coerenza con quanto previsto dalla
decisione GAI del 2009; questo lo si deve al timore degli Stati, che vedono il
potenziamento dei poteri di natura operativa come una minaccia alla propria sovranità.
Nonostante ciò, v’è da dire che passi importanti sono stati percorsi in vista del
riconoscimento in capo all’organo di poteri diversi dal semplice scambio di
informazioni, di analisi dei fenomeni criminali e di supporto tecnico operativo alle
polizie nazionali, così come originariamente previsto dalla Convenzione istitutiva del
’95.
Ancora adesso il processo di perfezionamento di un modello di polizia sovranazionale,
dotato di personalità giuridica non è stato ancora pienamente raggiunto, ma sono stati
estesi notevolmente i suoi compiti sino a ricomprendervi anche funzioni operative
(seppur nel limite di uno stretto controllo da parte degli Stati coinvolti dall’operazione).
Sarebbe auspicabile in questo caso attribuire pieni poteri anche dal punto di vista
operativo all’organo di polizia europeo, affinché possa esprimere le sue potenzialità al
massimo delle sue possibilità.
3.2.3.Le squadre investigative comuni.
Le squadre investigative comuni sono un ulteriore strumento della cooperazione
giudiziaria e di polizia, introdotto al fine di reprimere gravi fenomeni criminali quali
terrorismo, traffico illegale di stupefacenti e tratta di esseri umani, che coinvolgano due
o più Stati membri dell’Unione europea.394
In ambito europeo, le prime esperienze di squadre investigative comuni risalgono al
Consiglio di Tampere, tenutosi nel 1999, nell’ambito del quale se ne auspicava la
creazione al fine di ottenere migliori risultati nella lotta contro i cosiddetti cross-border
crime. Indirizzo, questo, pienamente recepito nella successiva Convenzione di
Bruxelles, siglata nel 2000 e relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale, ove
394
E.APRILE, Diritto processuale penale, op.cit., pg 52.
159
all’articolo 13 vi è una completa definizione e descrizione del funzionamento delle
squadre investigative comuni.
Successivamente, il Consiglio ha approvato sul tema la Decisione Quadro n.
2002/465/GAI del 13 giugno del 2002, la cui trama normativa riprende le linee guida ed
il contenuto delle disposizioni previste nell’articolo 13 della Convenzione di Bruxelles.
La ratio dell’istituto è ricavabile dalle indicazioni contenute nella Relazione esplicativa
della stessa, che peraltro si preoccupa di fornire per la prima volta una definizione
esaustiva di “squadre investigative comuni” 395.
Nella fattispecie, queste si occupano, senza la necessità dell’instaurazione di un
apposito procedimento rogatoriale396, dello svolgimento di indagini su crimini molto
gravi che coinvolgano due o più Stati dell’Unione europea.
Le attività svolte da suddette squadre peraltro, non si limitano alla fase investigativa,
bensì comprenderanno tutte quell’alveo di attività classiche di acquisizione probatoria,
come ad esempio perquisizioni, sequestri, esami testimoniali, intercettazioni telefoniche
etc… 397.
Le disposizioni della decisione quadro n.2002/465/GAI fissano i criteri relativi alla
costituzione e composizione della squadra. Innanzitutto, la squadra potrà essere
costituita quando: le indagini condotte in uno Stato membro siano difficili e di notevole
portata e presentino un collegamento con altri Stati membri e nel caso in cui più Stati
membri svolgano indagini su reati che necessitano di un’azione coordinata 398. L’istanza
per la sottoscrizione dell’accordo che costituirà la squadra investigativa può essere
formulata dalle autorità competenti degli Stati membri (ed in questo caso la formazione
395
Nella relazione si afferma che: “ L’esperienza dimostra che qualora uno Stato stia indagando su reati
aventi una dimensione transfrontaliera, in particolare in relazione alla criminalità organizzata, l’indagine
può trarre vantaggio dalla partecipazione del personale incaricato dall’applicazione della legge o di altro
personale competente in un altro Stato in cui vi siano collegamenti con i reati in questione. L’importanza
della cooperazione operativa tra autorità incaricate all’applicazione della legge è specificatamente
riconosciuta all’articolo 30 TUE”.
396
“Le squadre investigative comuni si differenziano dallo strumento della rogatoria internazionale per
due ordini di motivi: in primis, la squadra investigativa comune dà luogo ad una forma mista di
cooperazione tra autorità giudiziaria e di polizia, anche non statuali. In secondo luogo, essa si costituisce
attraverso un accordo stipulato direttamente tra le autorità giudiziarie di ciascuno Stato, su iniziativa di
una di esse o su richiesta di Eurojust, laddove invece la rogatoria, si caratterizza per il necessario
coinvolgimento delle c.d. autorità centrali e presuppone quindi una determinazione di tipo politicoamministrativo, o comunque meteagiudiziario” così G.IUZZOLINO, Le squadre investigative comuni, in
AA.VV., Diritto penale europeo ed ordinamento italiano, le decisioni quadro dell’Unione europea:dal
mandato d’arresto alla lotta al terrorismo, Giuffrè,2006, pg. 49.
397
E. APRILE, Diritto processuale penale, op.cit., pg 52.
398
G.IUZZOLINO, Le squadre investigative comuni, op. cit., pg. 54.
160
delle squadre investigative comuni sarà facoltativa) o autonomamente, dal collegio di
Eurojust, ed in questo caso risulterà obbligatoria 399.
La costituzione delle squadre avverrà dunque per mezzo di un accordo tra le autorità
competenti degli Stati interessati. Nell’accordo, necessariamente formale, bisognerà
indicare: lo scopo dell’attività investigativa, la durata, gli Stati sul cui territorio essa
intende intervenire, le persone che la compongono in qualità di direttori o di membri400.
Secondo quanto stabilito dalla decisione quadro, dal punto di vista della composizione
del team, saranno coinvolti rappresentanti delle autorità giudiziarie e di polizia
competenti in base agli ordinamenti giuridici degli Stati che partecipano alla squadra
(funzionari di polizia, pubblici ministeri etc..).
Vi è peraltro la possibilità di includere anche rappresentanti di Stati terzi, ed autorità
diverse da quelle statali, come ad esempio Europol, l’OLAF, etc. …
Infine, grazie alla raccomandazione dell’8 Maggio 2003, viene permessa la
partecipazione alle squadre comuni anche a funzionari di Eurojust, nei casi in cui ciò
risulti permesso dalla decisione istitutiva 401.
Quanto ai poteri riservati in capo alla squadra investigativa comune, la decisione quadro
stabilisce il rispetto della lex loci, dunque la stessa opera in conformità del diritto dello
Stato nel quale interviene. Non a caso, la squadra viene sempre diretta da un
rappresentante dell’autorità competente dello Stato d’intervento, mentre gli altri membri
saranno definiti come “membri distaccati” 402.
Infine, si discute circa la possibilità di utilizzazione delle informazioni ottenute dalla
squadra, stabilendo che le stesse potranno essere utilizzate ai fini previsti nell’atto della
costituzione della squadra per fini diversi, ma solo nelle ipotesi in cui si debba
scongiurare una minaccia immediata e grave alla sicurezza pubblica; infine, anche per
il perseguimento di reati diversi da quelli oggetto dell’accordo istitutivo,
ma a
condizione che vi sia il consenso dello Stato membro in cui le informazioni sono rese
disponibili403.
399
E. APRILE, Diritto processuale penale, op. cit., pg. 53 ss
F.SPIEZIA, Gli strumenti internazionali, op. cit., pg. 61 ss.
401
G. IUZZOLINO, Le squadre investigative comuni, op. cit., pg. 55.
402
E. APRILE, Diritto processuale penale, op. cit., pg. 53
403
F.SPIEZIA, Gli strumenti internazionali, op. cit., pg. 66.
400
161
3.3. Gli attori della cooperazione europea a livello giudiziario: Eurojust e il
Procuratore europeo.
Affinché questa “rete di connessione” possa dirsi effettivamente soddisfacente,
occorrerà coordinare l’attività dei vari Stati, non solo nella fase investigativa e di
polizia -così come sperimentato con la creazione delle squadre investigative comuni e
con Europol - ma coinvolgendo anche tutti gli altri attori impegnati nella fase
giudiziaria della lotta al crimine organizzato. Ci riferiamo in particolare all’operato dei
magistrati dei singoli Stati, che da un’azione sinergica potrebbero trovare slanci
importanti per un contrasto effettivo ed efficace al crimine transnazionale. Dalla
consapevolezza della necessità di un coordinamento a 360° nasce allora l’idea della
creazione di Eurojust, che può giustamente essere definita come “la controparte
giudiziaria dell’ufficio Europol”.
Il nuovo organismo, preconizzato dalle conclusioni di Tampere del 1999 e dalla
realizzazione di una sua prima forma embrionale- con una decisione risalente al 14
dicembre 2000 - istitutiva di una unità provvisoria di cooperazione giudiziaria definita
“Pro-eurojust”- viene formalmente istituito dal Consiglio dell’Unione con la decisione
del 2002/187/GAI del 28 febbraio 2002404.
Finché non si raggiuse quest’importante traguardo, si assisté per molto tempo ad “un
fiorire ed un accavallarsi anche disordinato di strumenti, segno della fame di
cooperazione; (…) strumenti questi, che non centravano il nocciolo del contrasto al
crimine organizzato transnazionale, ovvero un’azione coordinata delle relative indagini
che si sviluppano a livello nazionale.” 405
Gli strumenti disordinati e deludenti ai quali fa cenno l’Autore sono rintracciabili in due
istituti: la Rete giudiziaria europea e i Magistrati di collegamento.
La prima si occupa di agevolare gli scambi di atti e informazioni fra le varie autorità
giudiziarie dell’Unione servendosi dell’attività d’intermediazione dei punti di contatto.
Si tratta di una cooperazione di tipo “orizzontale”, policentrica e diffusa sul tutto il
territorio; l’altro strumento prevede invece l’istituzione di singoli magistrati di
collegamento, ma anche qui, si tratta essenzialmente di un’attività di scambio
d’informazioni e di dati, di fatto insoddisfacente ai fini di un’azione di coordinamento.
404
405
E. APRILE, Diritto processuale penale, op. cit., pg 43.
F. DE LEO, Le funzioni di coordinamento di Eurojust, in Cass.pen., 2004, pg. 1113.
162
Con l’istituzione di Eurojust, invece, si crea finalmente un organo centrale dell’Unione,
un soggetto istituzionale sopranazionale, autonomo centro d’imputazione unitario, in
grado di assolvere i compiti precedentemente svolti dalla Rete e dai magistrati di
collegamento, ossia quelli di migliorare la cooperazione giudiziaria penale in senso
classico nell’ambito dell’assistenza giudiziaria e dell’estradizione, ma anche di
assolvere il nuovo compito di stimolo e miglioramento del coordinamento delle indagini
e delle azioni penali fra gli Stati membri, nella loro azione contro le gravi forme di
criminalità organizzata e transfrontaliera. Difatti, tale compito propulsivo, di estrema
importanza ai fini della lotta al crimine organizzato transnazionale, poteva essere svolto
solo da un soggetto sopranazionale, in grado di rappresentare il centro d’imputazione di
un’azione di coordinamento, di ergersi ad organo capace di assicurare un certo livello di
armonizzazione dell’azione dei soggetti giudiziari operanti nei diversi stati membri.
Proprio in questo si coglie il grande salto di qualità del nuovo istituto di Eurojust
rispetto alle precedenti esperienze nominate406.
Anche dal punto di vista strutturale, poi, è possibile cogliere delle differenze rispetto ai
preesistenti organismi: siamo di fronte ad un organismo centrale,
con una sede
accentrata (l’Aja) presso cui sono distaccati i rappresentati dei ventisette Stati membri
dell’unione, perdendo quella che era la classica struttura ramificata presso le singole
autorità nazionali, come ad esempio nel caso della rete407.
Molta strada è stata fatta dalla decisione quadro 2002/187/GAI 408, che introdusse il
nuovo istituto nell’ordinamento Europeo.
In particolare, si registra il 2009 come un anno di grandi cambiamenti: in primis, il
Consiglio dei Ministri dell’Unione europea adottava la nuova decisione su Eurojust, la
decisione 2009/426/GAI del 16 dicembre 2008 che, è bene precisarlo, non sostituisce
bensì solo modifica la decisione istitutiva di Eurojust del 2002, ai fini di
406
G. NICASTRO, Eurojust, in AA.VV., Diritto penale europeo e ordinamento italiano, op. cit., pg.65
ss.
407
F. SPIEZIA, Il coordinamento giudiziario sovranazionale, op. cit., pg. 1995.
La decisione quadro del 2002 prevedeva le seguenti principali attribuzioni in capo ad Eurojust:
promuovere e migliorare la cooperazione ed il coordinamento fra le autorità nazionali competenti in
ciascuno Stato membro nell’ambito delle indagini sulla criminalità organizzata transfrontaliera, in
particolare agevolando la prestazione dell’assistenza giudiziaria internazionale e l’esecuzione dei mandati
d’arresto europei, l’assistenza alle autorità nazionali nella cooperazione fra Stati membri e la
Commissione per reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, la cooperazione con le autorità
nazionali nella lotta alla criminalità organizzata transfrontaliera e al terrorismo internazionale e più in
generale il compito di assistere le autorità competenti al fine di aumentare l’efficacia delle indagini e dei
procedimenti penali. Cosi M.CARTA, La cooperazione di polizia e giudiziaria, op. cit. pg. 38 ss.
408
163
un’intensificazione e un rafforzamento dei suoi poteri; si registra inoltre l’entrata in
vigore del Trattato di Lisbona, che ha visto ulteriormente rafforzati i poteri riservati in
capo ad Eurojust; infine sono stati adottati il Programma di Stoccolma e il relativo
Action Plan. 409
Partendo dalla decisione quadro del 2009, essa rafforza i poteri di Eurojust allo scopo di
conseguire specifiche finalità: il rafforzamento delle capacità strutturali-operative
dell’organismo; l’incremento delle prerogative dei membri nazionali e del collegio; il
miglioramento della capacità di scambiare informazioni con le autorità nazionali; il
miglioramento con altri organismi di cooperazione e con gli Stati terzi, sia europei che
internazionali410.
Per quel che concerne il Trattato di Lisbona, esso interviene direttamente sul tema
tramite l’articolo 85 TFUE, che disciplina l’unità ampliando i presupposti che
legittimano l’intervento di tale organismo.
Viene riconosciuto in capo all’Agenzia europea il compito di sostenere e potenziare il
coordinamento e la cooperazione tra le autorità nazionali responsabili delle indagini e
dell’azione penale contro la criminalità grave che interessa due o più Stati membri o che
richiede un’azione penale su basi comuni, sulla scorta delle operazioni effettuate e delle
informazioni fornite dalle autorità degli Stati membri e da Europol. I suddetti compiti
possono comprendere la possibilità di avviare autonomamente delle indagini penali
(articolo 85 TFUE), nonché quella di avviare azioni penali esercitate dalle autorità
nazionali competenti ed il loro coordinamento, nonché il potenziamento della
cooperazione giudiziaria, anche attraverso la composizione dei conflitti di competenza e
tramite una stretta cooperazione con la Rete giudiziaria europea.
Tutti questi aspetti saranno dettagliatamente disciplinati con regolamenti, adottati dal
Parlamento europeo e dal Consiglio secondo la procedura legislativa ordinaria, che
avranno cura di determinare la struttura, il funzionamento, la sfera d’azione e i compiti
di Eurojust411.
409
R. BELFIORE, Il futuro della cooperazione giudiziaria e di polizia nell’Unione europea dopo il
Trattato di Lisbona, in Cass.pen., n.12/2010.
410
Per approfondimenti sul tema si legga: F.SPIEZIA, Il coordinamento giudiziario sovranazionale:
problemi e prospettive alla luce della nuova decisione 2009/426/GAI che rafforza i poteri di Eurojust, in
Cass.pen., n.5/2010, pg. 2001 ss. e ancora G. DE AMICIS,L.SURANO, Il rafforzamento dei poteri di
Eurojust a seguito della nuova decsione 2009/426/GAI, in Cass. Pen., n.11/2009, pg.4456 ss.
411
M. CARTA, La cooperazione di polizia e giudiziaria, op. cit., pg 37 ss.
164
3.3.1. La procura europea.
Nella direzione del rafforzamento della cooperazione giudiziaria in materia penale si
muove anche la previsione dell’istituzione da parte del Consiglio di un nuovo organo: la
Procura europea, a partire da Eurojust412.
L’istituzione del Pm europeo viene recuperata dalla precedente proposta contenuta nel
Libro verde della Commissione, e riformulata nell’articolo 86 del Trattato di Lisbona.
La disposizione non pone l’obbligo di istituire tale organismo, ma apre una possibilità,
la cui concreta decisione ed attuazione viene rimessa in capo al Consiglio, che ha la
facoltà di istituire una Procura europea, con delibera adottata all’unanimità e previa
approvazione del Parlamento europeo. Ad essa è principalmente attribuita la
competenza di individuare, perseguire e rinviare a giudizio gli autori di reati che ledono
gli interessi finanziari dell’Unione, nonché ha la possibilità di esercitare la relativa
azione penale dinanzi agli organi giurisdizionali competenti degli Stati membri. La
novità di assoluto rilievo però è rappresentata dalla possibilità di estendere le
competenze di tale organo allo lotta contro la criminalità grave che presenta una
dimensione transnazionale: in tal caso occorrerà una decisione del Consiglio europeo
adottata all’unanimità, previa approvazione del Parlamento europeo e previa
consultazione della Commissione.
Punto particolarmente discusso è la mancata previsione letterale di una preventiva
richiesta di rinvio a giudizio che, come sappiamo, permette un controllo giurisdizionale
sulla decisione del Pm europeo, in mancanza della quale verrebbero meno delle
garanzie imprescindibile nei confronti dell’imputato, che si vedrebbe negare la fase di
contraddittorio di fronte al giudice terzo.
La possibilità di superare questa “carenza” ci viene offerta dai “regolamenti”, tramite i
quali sarà possibile definire, oltre che le condizioni di esercizio delle funzioni della
Procura, anche le regole procedurali applicabili alle sue attività e all’ammissibilità delle
412
L’idea di un p.m. europeo venne rilanciata in maniera molto forte nel Libro verde della Commissione
europea presentato nel dicembre del 2000, che suggellava il lavoro quinquennale di un gruppo di esperti
che aveva elaborato un corpo normativo, denominato Corpus juris, in cui era prevista l’istituzione della
figura di un Pm europeo, organo competente su tutto il territorio dell’Unione, verso il quale i Pm
nazionali erano tenuti ad un obbligo di assistenza. Nel Libro Verde citato venivano meglio definiti i
contorni degli illeciti penali di cui l’ufficio avrebbe dovuto occuparsi, così E.APRILE, Diritto
processuale penale, op. cit., pg.57 ss.
165
prove e le regole applicabili al controllo giurisdizionale degli atti procedurali che adotta
nell’esercizio delle sue funzioni413.
Per concludere, una riflessione è d’obbligo circa l’effettiva portata esecutiva di questi
“attori della cooperazione europea a livello giudiziario”: innegabile è il ruolo
assolutamente centrale ricoperto da Eurojust, quale attore principale nella risposta
europea alle nuove sfide poste dalla criminalità organizzata transnazionale.
Per altro i suoi poteri risultano in continua espansione, registrando una notevole
accelerazione dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che in in vista della futura
istituzione di un Pm europeo, ha incrementato notevolmente le sue funzioni per
realizzare quell’imprescindibile cooperazione richiesta in materia di criminalità
transnazionale414.
Tuttavia, nonostante le innegabili e rilevanti potenzialità dell’Eurojust, l’istituzione
viene tutt’ora vista con sospetto da parte delle autorità giudiziarie degli Stati membri,
che paiono estremamente riluttanti a condividere informazioni e a cooperare pienamente
fra loro, impedendo così all’organo di dispiegare al meglio il suo potenziale funzionale,
determinandone una sorta di “incompiutezza”.
Lo stesso atteggiamento di sospetto che abbiamo potuto notare in relazione ad Europol e
alla possibilità di attribuire all’Ufficio di Polizia delle funzioni operative tout court,
slegati da qualsiasi tipo di condizionamento.
Per il futuro, si auspica fortemente il superamento di questo atteggiamento di diffidenza
e di sospetto che gli Stati hanno nei confronti dell’istituto, affinché lo stesso possa
esprimersi al massimo delle sue potenzialità e dare un contributo forte alla lotta al cross
border crime.
Nonostante le difficoltà e le lacune che Eurojust continua ad incontrare nel suo processo
di attuazione, senza dubbio possiamo affermare come esso si confermi “la più originale
esperienza nel settore della cooperazione giudiziaria a livello europeo, ed il ricorso ad
esso appare imprescindibile nella prospettiva del coordinamento sovranazionale” 415.
413
M. CARTA, La cooperazione di polizia e giudiziaria, op. cit., pg. 39 ss.
G. DE AMICIS, Il rafforzamento dei poteri, op. cit., pg. 4455.
415
F. SPIEZIA, Il coordinamento giudiziario sovranazionale, op. cit., pg.2000.
414
166
4. Punizione, prevenzione e protezione degli esseri umani nelle politiche europee:
approccio olistico ed integrato.
Lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia realizzabile grazie alla cooperazione
giudiziaria e di polizia, trova nella protezione delle vittime dei reati di tratta una sorta di
“precondizione di esistenza, una piattaforma comune sulla quale sono destinati a
poggiare tutti gli altri strumenti adottati in materia”. 416
La politica criminale europea si muove nello sforzo di porre in essere forme di
cooperazione non solo a livello giudiziario di polizia o di tipo investigativo, bensì anche
a livello di prevenzione, tutela e protezione delle vittime, generando in tal modo
un’integrazione fra misure repressive e preventive.
Il nesso che tiene uniti gli aspetti tecnico-giudiziari e quelli della tutela dei diritti della
vittima, risulta senza dubbio uno dei pilastri portanti dell’intero sistema di cooperazione
penale.417
Difatti, diventa sempre più forte la consapevolezza da parte degli Stati delle gravissime
violazioni dei diritti umani che vengono perpetrate nei confronti delle vittime di tratta,
realtà che induce ad un approccio olistico ed integrato, che sappia coniugare l’esigenza
di punizione dei responsabili a quelle di prevenzione, protezione e tutela delle vittime.
Per garantire questi risultati, è stato (ed è ancora) necessario predisporre delle misure ad
hoc da parte degli Stati coinvolti.
In tal senso, fra le varie organizzazioni regionali, l’Unione è quella che si è spinta più
avanti nella lotta alla tratta degli esseri umani, mostrando una particolare attenzione
agli aspetti di tutela e protezione delle vittime, affinando e perfezionando sempre più gli
strumenti a ciò predisposti418.
Quest’attenzione particolare che viene prestata dall’Unione alla tutela dei diritti delle
vittime di tratta risale addirittura alla fine degli anni ’80, più precisamente alla
Risoluzione del 14 aprile del 1989 adottata dal Parlamento europeo sullo sfruttamento
della prostituzione ed il commercio di esseri umani.
416
G. ARMONE, La protezione delle vittime dei reati nella prospettiva dell’Unione europea, in Diritto
penale europeo e ordinamento italiano, op. cit., pg 99.
417
V. MUSACCHIO, La cooperazione penale internazionale nella prevenzione e nella lotta contro il
traffico di esseri umani: un occhio di riguardo alle vittime, in Dir. pen. e proc., pg. 1039.
418
S.SCARPA, L’Unione europea e la lotta alla nuova tratta di esseri umani, in Affari sociali int.,
n.1/2005, pg.61 ss.
167
Il parlamento, organo da sempre attento alla tutela dei diritti dell’uomo, poneva la
questione di una nuova
tratta degli esseri umani, chiedendo agli Stati membri
dell’allora Comunità economica europea, di assicurare una speciale tutela alle vittime di
tratta, al fine di incoraggiarle alla denuncia dei loro aguzzini, senza il terrore di dover
subire pesanti conseguenze, come l’espulsione.
La sopra citata Azione comune del ’97 faceva anch’essa esplicito riferimento alla
necessità di adeguate misure di protezione da adottare nei confronti delle vittime che
testimoniassero contro i loro sfruttatori, prevedendo un rilascio di permesso di
soggiorno provvisorio e la possibilità di ritornare nel proprio paese d’origine.
La suddetta Azione comune venne comunque abrogata e sostituita, per la parte
concernente la tratta degli esseri umani, dalla successiva Decisione quadro
2002/629/GAI, della quale avremo modo di parlare in seguito419.
Alla successiva entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, seguirono le importanti
conclusioni raggiunte nell’ambito del Consiglio europeo di Tampere dell’ottobre del
1999, che vale la pena ricordare soprattutto per l’attenzione particolare riservata alla
fase della prevenzione dei crimini di tratta. Emerge la consapevolezza di poter
affrontare efficacemente il fenomeno solo tramite un approccio generale che consideri
tutte le questioni connesse alla politica, ai diritti umani ed allo sviluppo dei paesi e delle
regioni d’origine e di transito. Imprescindibile in tal senso sarà l’adozione di
un’ambiziosa politica dell’Unione capace di combattere la povertà, migliorare le
condizioni di vita e l’opportunità di lavoro, prevenire i conflitti e stabilizzare gli Stati
democratici, garantendo il rispetto dei diritti umani, in particolare delle minoranze di
donne e bambini.420 Inoltre, viene richiesta anche l’adozione di misure di protezione nei
confronti delle vittime di tratta nonché di armonizzazione delle legislazioni penali,
adottando definizioni, fattispecie e sanzioni comuni421.
I medesimi impegni politici vengono riconfermati nelle conclusioni del Consiglio
europeo di Laeken (2001), in cui viene ribadito l’intento di consolidare ulteriormente la
419
S.SCARPA, ibidem, pg. 53 ss.
F. SPIEZIA, La tratta di esseri umani, op. cit., pg.30.
421
Con la conclusione n. 23 il Consiglio ha sottolineato l’impegno <<ad affrontare alla radice
l’immigrazione illegale, soprattutto contrastando coloro che si dedicano alla tratta di esseri umani ed
allo sfruttamento economico dei migranti. S’invitano pertanto gli Stati membri ad adoperarsi a
smantellare le organizzazioni criminali coinvolte, garantendo un’adeguata protezione dei diritti delle
vittime e tenendo in considerazione i problemi delle donne e dei minori>>.
420
168
lotta contro le reti criminali che operano la tratta di esseri umani, sempre nel rispetto dei
diritti delle vittime.
Nel febbraio 2002 si registra un nuovo importante passo in avanti sul tema grazie
all’adozione da parte del Consiglio dell’Unione europea di una “Proposta di piano
globale di lotta all’immigrazione illegale e alla tratta di esseri umani nell’Unione
europea” in cui vengono indicate delle azioni prioritarie da porre in essere, in special
modo in relazione alla fase di prevenzione delle menzionate attività illecite. 422
I principi contenuti negli atti di indirizzo sopraindicati sono stati poi tradotti in specifici
strumenti normativi ed operativi, che hanno recepito le indicazioni imposte dagli
interventi in materia da parte dell’Unione.
4.1. La difficile attuazione di una tutela della vittima nei primi strumenti normativi
europei di lotta alla tratta: la Decisione quadro del consiglio europeo
2002/629/GAI.
Per molto tempo i pilastri normativi nel campo della legislazione contro la tratta degli
esseri umani e tutela delle vittime a livello comunitario furono rappresentati dalla
Decisione quadro del Consiglio europeo del 19 luglio sulla lotta alla tratta degli esseri
umani (2002/629/Gai) e dalla Direttiva del Consiglio del 29 aprile del 2004
(2004/81/CE). La Decisione quadro del 2002 però perse il suo primato una volta
sostituita dalla Direttiva 2011/36/UE.423
Quello che potremmo definire come il principale strumento di hard law prodotto in
materia di tratta dall’Unione europea, la Decisione quadro del 2002, trae le sue origini
dall’esperienza fallimentare dell’Azione comune per la lotta contro la tratta degli esseri
umani e lo sfruttamento sessuale dei bambini del ’97, strumento di soft law con il quale
gli Stati si impegnarono a sanzionare penalmente le condotte illecite di tratta di esseri
umani e rafforzare la cooperazione e l’assistenza giudiziaria internazionale. Tuttavia, il
mancato raggiungimento di questi obiettivi fece maturare la convinzione della necessità
422
F. SPIEZIA, M.SIMONATO, La prima direttiva UE di diritto penale sulla tratta di esseri umani, in
Cass. Pen., n.09/2011, pg.3201.
423
D. MANCINI, Traffico di migranti, op. cit., pg. 67.
169
dell’adozione di strumenti normativi nuovi e più vincolanti, atti a garantire elevati livelli
di armonizzazione424.
L’occasione perfetta si presentava con il nuovo strumento normativo proprio del terzo
pilastro: la decisione quadro425.
Questo strumento si qualifica per l’obiettivo della fissazione di norme minime relative
agli elementi costitutivi dei reati di tratta di esseri umani, sempre in risposta all’esigenza
di armonizzazione426.
In particolare, viene fornita una definizione di tratta degli esseri umani in sintonia con
ciò che era stabilito nel Protocollo di Palermo, discostandosene solamente per il
mancato riferimento al traffico di organi non incluso fra gli scopi della decisione
quadro; in relazione al quadro sanzionatorio prescrive che i trafficanti debbano essere
puniti con una pena detentiva massima non inferiore agli otto anni, nei casi in cui:
abbiano messo in pericolo la vita della vittima, questa risulti particolarmente
vulnerabile, o sia sottoposta violenza, o il reato venga commesso nell’ambito di
un’organizzazione criminale427.
La decisione si concentra essenzialmente sugli aspetti repressivi del reato, mostrandosi
carente sul piano della protezione e dell’assistenza fornita alle vittime.
Le poche disposizioni che si occupano del profilo di protezione della vittima, sono
quelle relative all’obbligo degli Stati membri di prevedere che le indagini o l’azione
penale (in merito ai reati di cui si occupa la decisione) non debbano necessariamente
dipendere da una denuncia della vittima; inoltre è previsto l’obbligo di assicurare alle
vittime minori di tali reati un trattamento che risponda in maniera ottimale alla loro
situazione428.
Queste lacune non sono passate inosservate agli occhi degli organi impegnati a vari
livelli nella lotta al crimine di tratta; in particolare l’Alto commissario per la Nazioni
Unite per i diritti umani (Unhchr) e l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i
424
B.G.CIMINI, La lotta alla tratta degli esseri umani, in AA.VV., Diritto penale europeo e
ordinamento italiano, op. cit., pg. 220 ss.
425
La decisione quadro è uno degli strumenti normativi di cui disponeva l’Unione Europea a sostegno
della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, introdotto dal Trattato di Amsterdam. La
decisione quadro vincolava gli Stati membri quanto al risultato da raggiungere, salva restando la
competenza delle autorità nazionali in merito alla forma e ai mezzi per raggiungerla. Il ricorso alla
decisione quadro facilita e rafforza il raggiungimento di una impostazione comune per gli Stati membri.
426
I. CARACCIOLO, Dalla tratta di schiavi alla tratta di migranti clandestini, op. cit., pg. 223.
427
S.SCARPA, L’Unione europea e la lotta alla nuova tratta di esseri umani, op. cit., pg. 56.
428
B.G.CIMINI, La lotta alla tratta degli esseri umani, op.cit., pg 227 ss.
170
rifugiati (Unhcr) criticarono duramente lo strumento per la sua vocazione
principalmente repressiva e per l’assenza della previsione di misure poste a protezione
dei diritti umani e delle vittime429.
4.2. Il permesso di soggiorno temporaneo in una deludente logica premiale: la
direttiva 2004/81/CE.
Neanche la successiva Direttiva del Consiglio 2004/81/CE è riuscita a centrare
l’obiettivo e colmare queste lacune in quanto non fornisce adeguate garanzie per il
rispetto e la tutela dei diritti umani delle vittime di tratta. Questa difatti si occupa
esclusivamente delle vittime che intendano collaborare con l’autorità, nulla disponendo
per tutte le altre che decidano di non collaborare o che non abbiano informazioni
decisive riguardo ai propri trafficanti o sfruttatori430.
La direttiva in questione si occupa dunque del titolo di soggiorno da rilasciare ai
cittadini di paesi terzi vittime della tratta di esseri umani o coinvolti in un’azione di
favoreggiamento dell’immigrazione illegale, nell’unico caso in cui le stesse decidano di
cooperare con le autorità competenti. La logica alla base dello strumento in questione è
stata fortemente discussa e criticata, trattandosi di un sistema di tipo “premiale” che
persegue principalmente lo scopo di ottenere una collaborazione da parte delle vittime
con l’autorità, al fine di rafforzare la lotta contro i reati di cui si parla e trascurando gli
aspetti di protezione e tutela.
Il sistema premiale tanto discusso opera in questo modo: in primis, le autorità che
entrano in contatto con una persona presumibilmente vittima di reati di tratta (ma è
possibile estendere l’applicazione della direttiva anche ai cittadini di Paesi terzi oggetto
di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina), dovranno informare la vittima dei
suoi diritti e delle possibilità offerte dalla direttiva. Segue un periodo di riflessione,
(inizialmente fissato in 30 giorni, poi non meglio precisato per lasciare agli Stati
membri la possibilità d’individuare periodi più lunghi) affinché la vittima possa
rescindere i legami dall’organizzazione criminale e decidere se collaborare o meno con
le Autorità di giustizia. In questo periodo di riflessione, la vittima gode di un’ampia
429
S.SCARPA, ivi , pg. 56.
S. SCARPA, La tutela dei diritti delle vittime di tratta degli esseri umani ed il sistema premiale
previsto dalla direttiva comunitaria 2004/81/CE, in Diritto immigrazione cittadinanza, n.1/2005, pg. 51.
430
171
serie di garanzie, che vanno dall’assistenza sanitaria urgente all’accesso a programmi
che garantiscano le minime condizioni di vita, cure psicologiche ed assistenza legale e
linguistica; infine dovrà essere salvaguardata la loro sicurezza e incolumità da eventuali
ritorsioni da parte dei loro sfruttatori.
In verità tali garanzie nella versione definitiva sono state fortemente ridimensionate.
Allo scadere di tale periodo, coloro che decideranno di cooperare otterranno il
famigerato permesso di soggiorno temporaneo valido per almeno sei mesi ed
eventualmente rinnovabile che permette loro di rimanere nel Paese comunitario ed
usufruire degli stessi servizi d’assistenza previsti per il periodo di riflessione. In più
avranno diritto all’accesso al mondo del lavoro ed a programmi stabili d’integrazione
sociale431.
La direttiva sembrerebbe essere così un grande esempio di tutela e protezione dei diritti
umani delle vittime, se non fosse per il fatto che tutte queste misure di assistenza e
protezione vengano meno nel caso in cui la vittima non abbia intenzione di collaborare
con le autorità di giustizia.
Inoltre, il permesso verrà revocato nel caso in cui, allo scadere dello stesso, la vittima
non sia più intenzionata a collaborare con le autorità di giustizia, oltre che nel caso in
cui non sia più considerato necessario il prolungamento della sua presenza sul territorio
nazionale in relazione alle esigenze investigative o del processo penale ed ancora,
qualora la stessa non abbia reciso i legami con l’organizzazione criminale. A ciò si
aggiunga il fatto che dovrà in ogni caso essere garantito l’ordine pubblico e la sicurezza
nazionale432.
Al verificarsi di tali condizioni, la vittima vedrà revocato o non rinnovato il permesso di
soggiorno e verrà rimandata nel proprio paese d’origine, ove facilmente potrà ricadere
nelle mani dei suoi aguzzini, o correre il rischio di subire ritorsioni e rappresaglie da
parte dei gruppi criminali contro i quali abbia precedentemente reso testimonianza.
Il sistema dunque appare fallimentare due volte: la prima, in relazione alla mancata
effettiva tutela posta nei riguardi dei diritti umani delle vittime di reati così atroci; la
seconda, in relazione al suo obiettivo principale-che con alta probabilità vedrà non
431
G. BATTAGLIA, Tratta degli esseri umani e immigrazione clandestina: protezione e collaborazione
delle vittime. La direttiva 81/2004 e l’articolo 18 D.Lgs. 286/98: modelli a confronto, in Stranieri,
n.5/2004, pg. 427 ss.
432
G. BATTAGLIA, ibidem, pg.428.
172
raggiunto -che è quello di aumentare il numero di denunce e di procedimenti penali nei
confronti di trafficanti e sfruttatori. Ciò a causa del clima particolarmente ostile e di
diffidenza che inevitabilmente si diffonderà fra le vittime di tratta che si mostreranno
decisamente restie a collaborare con un sistema che antepone l’interesse alla punizione
dei responsabili ed alla repressione di reati, seppur gravissimi, alla tutela dei diritti
umani delle vittime di tali crimini. In esso dunque la protezione sociale delle persone
trafficate si fa mero strumento dell’azione penale433.
Fiumi di critiche si abbatterono su questo nuovo sistema premiale, suscitando
perplessità tra le organizzazioni internazionali e non governative impegnate nella lotta
alla tratta degli esseri umani. Fra i tanti, i punti maggiormente discussi sono stati: la
logica insita nel sistema, la durata del periodo di riflessione e quella del successivo
permesso di soggiorno.
Quanto al primo punto, pare inaccettabile l’idea di poter “barattare” e rendere così
dipendente la tutela dei diritti umani di vittime di reati così atroci dalla volontà delle
stesse di collaborare o meno con le autorità, seppur per giusti fini. La collaborazione
della vittima difatti non può, in virtù del carattere umanitario della norma, essere usata
come merce di scambio, offerta per ottenere il rilascio del permesso di soggiorno, così
come la mancata cooperazione non può giustificarne la revoca. Si rende necessario un
sistema che favorisca la collaborazione, ma che non scaturisca dalla stessa 434. La
condizionalità della concessione del permesso di soggiorno è stata difatti duramente
condannata alla luce dei “Principi e linee guida sui diritti umani e sulla tratta di esseri
umani”, strumento adottato dall’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti
umani nel 2002. In questo documento si sottolinea l’esigenza di riportare al centro di
ogni azione la tutela dei diritti umani delle vittime e la loro protezione, al contrario di
ciò che viene stabilito nella direttiva che individua elemento centrale la cooperazione
delle vittime con le autorità435.
In merito all’altro punctum dolens, relativo alla durata del periodo di riflessione,
l’originaria proposta di direttiva prevedeva un periodo fissato in trenta giorni. Tuttavia,
data la varietà delle legislazioni dei vari paesi Europei e l’impossibilità di giungere ad
433
S.SCARPA, La tutela dei diritti delle vittime, op.cit., pg.46.
A. CONFALONIERI, La ratifica della Convenzione di Varsavia sulla lotta contro la tratta degli
esseri umani, in Diritti dell’Uomo,n.3/2010, pg. 20.
435
S. SCARPA, L’unione europea, op.cit., pg 56.
434
173
una soluzione comune, si è deciso di omettere qualsiasi tipo di termine, lasciando libera
la scelta in capo ad ogni Stato.
Per concludere sul tema, anche la durata del permesso di soggiorno, fissato in un tempo
minimo di sei mesi, eventualmente rinnovabile, non è stata esente da critiche: alla
scadenza del periodo, di fatto, la vittima non avrebbe altra alternativa che vedersi
rispedita a casa, presumibilmente in condizioni ancora peggiori rispetto a quelle del suo
arrivo, con il timore fondatissimo di ritorsioni da parte dei suoi aguzzini. Anche nei
casi in cui la vittima riesca ad ottenere una protezione grazie all’applicazione della
direttiva in questione, si tratterà pur sempre di una protezione caduca ed instabile che la
esporrà a pericoli non trascurabili436.
Proponendo un confronto fra il permesso di soggiorno temporaneo designato nella
direttiva europea e lo speculare istituto del soggiorno per motivi di protezione previsto
dall’articolo 18 del nostro T.U. sull’immigrazione, 437 si noterà come il nostro legislatore
abbia introdotto uno strumento all’avanguardia realizzando, in anticipo rispetto all’input
internazionale, un dispositivo per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi
connessi allo sfruttamento. In esso, difatti, scompare qualsiasi tipo di logica premiale, si
registra un approccio integrato, di prevenzione e repressione orientato essenzialmente
alla tutela della persona umana, piuttosto che al contrasto delle organizzazioni criminali
attraverso la cooperazione della vittima. Un’impostazione di questo genere riesce
peraltro ad incoraggiare la persona offesa a collaborare spontaneamente con le autorità
di giustizia, rivelandosi più proficua anche sul piano strettamente repressivo del
crimine, poiché conquistare la fiducia delle vittime tramite un’adeguata protezione è il
primo passo verso una loro fattiva collaborazione 438.
In conclusione, v’è da notare come la direttiva in questione presenti dei limiti fortissimi,
non solo per l’effettiva carenza nella tutela dei diritti umani, ma anche per il mancato
raggiungimento del suo obiettivo fondamentale, quello di favorire la collaborazione
delle vittime al fine di smantellare le organizzazioni criminali che controllano la tratta di
esseri umani439. Non a caso, sul piano dei fatti, si è registrato uno scarsissimo utilizzo da
parte degli Stati membri di quello che poteva rappresentare uno strumento fondamentale
436
S. SCARPA, La tutela dei diritti delle vittime, op. cit., pg.65.
Vedi capitolo 1°, par.5.
438
G. BATTAGLIA, ibidem, pg.430 ss.
439
S. SCARPA, La tutela dei diritti delle vittime, op. cit., pg. 67.
437
174
di contrasto alla tratta e di salvaguardia dei diritti delle vittime. Dai dati emersi da una
relazione della Commissione sul tema, è evidente come il ricorso allo strumento della
concessione del titolo di soggiorno sia stato modesto o nullo in moltissimi Stati. La
commissione ha auspicato un accesso più efficace delle vittime alle informazioni in
ordine ai loro diritti; maggiore collaborazione fra le autorità competenti degli Stati
membri, Ong, ed associazioni. Inoltre essa ha indicato la necessità di modifica della
misura nel senso del rilascio del titolo di soggiorno temporaneo sulla base della sola
situazione di vulnerabilità della vittima e non necessariamente in cambio della
collaborazione delle autorità. Ulteriori modifiche si auspicano in relazione alla durata
del periodo di riflessione (attualmente lasciato alla libera determinazione degli Stati) e il
potenziamento del quadro giuridico relativo al loro trattamento, specie se minori 440.
4.3 Il rapporto del gruppo di esperti sulla tratta di esseri umani.
È ormai opinione condivisa da più parti che un efficace contrasto ai reati di tratta di
esseri umani non possa prescindere da una tutela dei diritti delle vittime, ponendo al
centro degli interessi del legislatore europeo la salvaguardia dei diritti dell’Uomo.
In tal senso, vennero sintetizzate una serie di linee guida di intervento nel “Rapporto del
gruppo di esperti sulla tratta di esseri umani”, nominato dalla Commissione europea a
seguito degli orientamenti espressi nella Dichiarazione di Bruxelles del settembre
2002441.
Il rapporto del gruppo di esperti esegue un’analisi approfondita dell’impianto
normativo europeo ed internazionale sul tema e, nel solco tracciato dalla Dichiarazione
di Bruxelles, si concentra specificatamente sugli aspetti riguardanti la prevenzione,
l’assistenza e la protezione delle vittime e sulle strategie di contrasto alla tratta. Inoltre,
sono presenti anche delle questioni di “natura trasversale” quali: la necessità di adottare
un approccio basato sul rispetto dei diritti umani, i bisogni specifici dei minori e
440
C.GABRIELLI, La direttiva sulla tratta di esseri umani tra cooperazione giudiziaria penale,
contrasto dell’immigrazione illegale e tutela dei diritti, in Studi sull’integrazione europea, n.3/2011,
pg.11.
441
La Dichiarazione di Bruxelles costituisce una pietra miliare nello sviluppo della politica dell’Unione
europea nel settore. Si è posta lo scopo di sviluppare ulteriormente la cooperazione, le azioni, gli
standard, le buone pratiche e i programmi contro la tratta a livello europeo ed internazionale, cosi
AA.VV., Tratta degli esseri umani: rapporto del gruppo di esperti nominato dalla Commissione europea,
Roma , 2005, pg. 18.
175
l’importanza di un approccio olistico, integrato e multidisciplinare 442. Il gruppo di
esperti pone gli Stati e l’Unione dinanzi alla necessità di un approccio che risulti
essenzialmente incentrato sul rispetto dei diritti umani, in conformità peraltro agli
obblighi derivanti dalla normativa internazionale ed europea sui diritti umani, così come
previsto dai principali strumenti giuridici di riferimento.
Il rapporto contiene per altro un gran numero di raccomandazioni, fra le quali le più
rilevanti sono quelle riferite alla necessità di assistenza e protezione delle vittime che
tendano principalmente verso un’emancipazione e una loro inclusione sociale,
l’adozione di una politica investigativa di non criminalizzazione della persona trafficata
ed infine la necessità di adottare una logica d’intervento globale, modulata e
diversificata in relazione al tipo di vittime, ai settori di sfruttamento e alle tecniche
d’indagine443.
Sulla base del rapporto, la Commissione ha successivamente adottato la comunicazione
dal titolo: “ La lotta contro la tratta degli esseri umani- un approccio integrato e
proposte per un piano d’azione” (ottobre 2005). Nel documento vi sono una serie di
raccomandazioni in merito all’approccio pluridisciplinare al problema, che non si limiti
alle strategie di applicazione della legge, ma che comprenda un’ampia gamma di
prevenzione e sostegno in favore delle vittime. Si recepisce in questo modo l’indirizzo
definito nel Rapporto del gruppo di esperti centrato su di un approccio globale basato
essenzialmente sulla difesa dei diritti dell’uomo.
Sulla scia di questa comunicazione si pone il successivo Piano globale per un’azione
contro la tratta atto emanato dal Consiglio, che ha licenziato nel dicembre 2005 un
Piano globale per un’azione contro la tratta degli esseri umani, che prevede le migliori
pratiche, norme e procedure per contrastare e prevenire la tratta degli esseri umani, che
ancora oggi si registra come il più importante documento strategico del Consiglio in
materia.444
442
M. WIJERS, Introduzione in AA.VV, Tratta degli esseri umani, op. cit., pg. 10 ss.
D.MANCINI, Traffico di migranti, op. cit., pg. 96.
444
F. SPIEZIA, La tratta degli esseri umani, op. cit., pg.34 ss.
443
176
4.4. La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri
umani.
Un ulteriore passo in avanti in vista dell’adozione di misure di protezione e tutela della
vittima in ambito europeo è stato fatto dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla
lotta contro la tratta degli esseri umani, emanata nel 2005 nel corso della Conferenza di
Varsavia.
La Convenzione si distingue rispetto agli strumenti internazionali adottati in passato in
materia di tratta principalmente per il nuovo approccio al fenomeno: pur essendo
presenti delle disposizioni di natura penalistica, l’attenzione ora viene incentrata sugli
aspetti riguardanti la protezione delle vittime e dei loro diritti fondamentali, a differenza
delle legislazioni nazionali, concentrate principalmente sul momento repressivo445.
Questa chiave di lettura della Convenzione è fornita dall’affermazione contenuta nella
Raccomandazione n.R (2000) 11 del Comitato dei Ministri sulla lotta contro la tratta
degli esseri umani, secondo cui “la tratta costituisce una violazione dei diritti della
persona e rappresenta un’aggressione alla dignità e all’integrità dell’essere umano”:
da qui si evince l’imprescindibile necessità di rafforzare il livello di protezione delle
vittime446.
L’aspetto di maggior novità va dunque individuato nell’adozione di una prospettiva
basata sui diritti dell’uomo, sull’attenzione rivolta alla protezione delle vittime,
sull’esigenza di una concreta realizzazione del principio d’uguaglianza 447.
L’affermazione e la tutela di tali diritti passa attraverso il riconoscimento di un principio
cardine in cui si afferma la necessità della protezione e promozione dei diritti delle
vittime senza alcuna discriminazione di sesso, razza, colore, nascita, origine nazionale
etc…448
In questa sede ci soffermeremo principalmente sugli elementi più innovativi della
Convenzione, ovvero quelli attinenti le misure poste a tutela delle vittime: una tutela
445
R. RAFFAELLI, Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro
la tratta di esseri umani, fatta a Varsavia il 16 maggio 2005, nonché norme di adeguamento
dell’ordinamento interno, in Legislazione penale, n. 4/2010, pg.480 ss.
446
A. CONFALONIERI, La ratifica della Convenzione, op. cit., pg.16.
447
F. FRANCESCHELLI, La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri
umani, in Diritti dell’uomo, n.7/2010, pg.38.
448
A. CONFALONIERI, La ratifica della Convenzione, op. cit., pg.17.
177
che si realizza, da un lato, tramite la prevenzione del reato e, dall’altro, cercando di
proteggere le vittime.
Per quel che concerne specificatamente il profilo di protezione dei diritti delle vittime e
delle misure predisposte a salvaguardia delle stesse, la Convenzione prescrive degli
obblighi in capo ad ogni Stato membro in vista dell’adozione di misure legislative o di
altro tipo per fornire assistenza alle vittime dal punto di vista fisico, psicologico, e
sociale, provvedendo peraltro alla garanzia di un alloggio dignitoso, l’accesso alle cure
mediche d’urgenza, la consulenza giuridica e processuale. Dovranno inoltre essere
fornite loro delle informazioni utili circa i servizi disponibili e i diritti riconosciutili
dalla legge; infine, deve essere garantita l’incolumità fisica delle vittime di tratta.
Naturalmente, questo genere d’assistenza
è del tutto slegata dalla volontà di
testimoniare449. Altresì non ancorata alla collaborazione con le forze di giustizia risulta
essere la concessione del permesso di soggiorno per “situazione personale della
vittima”. Questo è senza dubbio un profilo di estrema novità rispetto alla disciplina
relativa alla concessione del permesso di soggiorno breve previsto dalla Direttiva
2004/81/CE precedentemente esaminata.
Premettendo le numerosissime critiche rivolte alla Convenzione sul punto, accusata
principalmente di aver adottato un approccio troppo prudente, v’è da riconoscere come
l’istituto si attesti comunque in una posizione di indubbio progresso rispetto alla
previgente disciplina sul permesso di soggiorno breve.
La differenza fondamentale risiede nel fatto che la Convenzione distingue due possibili
eventualità per il rilascio del permesso: nella prima, si fa riferimento al parametro della
“situazione personale della vittima”, per cui il permesso potrà essere concesso per
“motivi umanitari” che ricorrono nel caso in cui la vittima versi in una situazione tale
da non potersi eseguire il rimpatrio nel paese d’origine. L’altra eventualità, invece, pone
come condizione per il rilascio del titolo di soggiorno la volontà della vittima di
cooperare con la giustizia ai fini delle indagini o del processo, in linea con quella che
era l’impostazione tradizionale450. La Convenzione, allora, pur consentendo agli Stati di
riconoscere un diritto di soggiorno solo alle persone offese che collaborino con le
449
I.AMBROSI, La ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la
tratta di esseri umani, fatta a Varsavia il 16.5.2005 nonché norme di adeguamento dell’ordinamento
interno, in L’osservatorio legislativo, n.3/2006, pg.701.
450
A. CONFALONIERI, La ratifica della Convenzione di Varsavia, op. cit., pg.19.
178
autorità, propone comunque delle politiche meno restrittive rispetto al passato, tramite
la possibilità della concessione del permesso a quelle vittime la cui situazione personale
lo renda necessario451.
Sempre in tema di protezione delle vittime, la Convenzione prevede “un periodo di
riflessione”, ossia un lasso di tempo, fissato in almeno 30 giorni, durante il quale la
vittima dovrà ristabilirsi e sottrarsi dall’influenza dei suoi aguzzini, decidendo se
cooperare o meno con la giustizia. Durante tale periodo non potrà essere adottata alcuna
misura tendente al suo allontanamento, anzi ne viene garantito il soggiorno sul territorio
nazionale, grazie a documenti ufficiali452.
Alle persone trafficate verrà peraltro garantito il diritto all’indennizzo per il pregiudizio
subito; dovranno essere informate a tal fine
della procedura giudiziaria o
amministrativa esistente e se necessario, fruire di un’assistenza legale eventualmente
gratuita. Il diritto all’indennizzo dovrà essere garantito anche nel caso in cui il
responsabile non adempia: in tal caso sarà lo Stato a dover rimediare, ad esempio con
l’istituzione di un apposito fondo. Infine, per quel che concerne l’eventuale rimpatrio, lo
stesso dovrà essere volontario e sulla base di programmi che, per impedire
la
“rivittimizzazione”, favoriscano il reinserimento educativo, professionale e sociale della
vittima. Il rimpatrio sarà escluso nel caso riguardi minori e tale misura non appaia
conforme ai loro interessi453.
Dal punto di vista della prevenzione invece, la Convenzione introduce delle disposizioni
atte a prevenire il fenomeno intervenendo sul tema di frontiere, sicurezza, controllo,
legittimità e validità dei documenti; vengono infine disposte delle novità in relazione
alle regole del processo d’identificazione delle vittime, il quale rappresenta uno dei
primi accertamenti imprescindibili per il riconoscimento dello status di “vittima di
tratta” che garantisce l’operatività di una serie di misure adeguate. Durante questo
processo d’identificazione si potrà optare per la concessione in capo alle vittime di un
permesso di soggiorno sul territorio nazionale, in modo che le stesse possano essere
considerate in quanto tali e non alla stregua di delinquenti o immigrate clandestine.
451
R. RAFFAELLI, Ratifica ed esecuzione, op. cit., pg. 482.
F. FRANCESCHELLI, La convenzione del Consiglio d’Europa, op.cit., pg.39.
453
F. FRANCESCHELLI, ibidem, pg. 39.
452
179
Inoltre, viene tassativamente stabilito il divieto di espulsione della vittima finché non sia
stato portato a termine il processo d’identificazione454.
La Convenzione si distingue inoltre per la sua operatività, che coinvolge tutte le ipotesi
di traffico di esseri umani, a prescindere dalla transnazionalità della fattispecie e
dall’esistenza di una organizzazione criminale, requisiti questi imprescindibili per
l’operatività della Convenzione ONU e del Protocollo sulla tratta di persone 455.
Affinché le misure innovative introdotte dalla Convenzione trovino effettivamente
applicazione, per la prima volta sono stati previsti dei meccanismi di monitoraggio i
quali basano la loro operatività essenzialmente sull’azione di due organi: il Gruppo di
esperti contro il traffico di esseri umani (Greta, composto essenzialmente da tecnici) e il
Comitato delle Parti (di natura più marcatamente politica).
I due organismi dovranno assicurare, tramite sistemi di controllo, l’effettiva
implementazione della Convenzione ad opera degli Stati parte e vigilare
sull’applicazione delle norme nei Paesi firmatari.
5. Esigenza di una riforma: la Direttiva 2011/36/UE.
Nonostante i continui sforzi dell’Unione europea in vista di una maggiore prevenzione e
assistenza in favore delle vittime, gli strumenti giuridici predisposti sino a quel
momento si rivelarono deludenti ed inefficienti. Questa realtà emerge con estrema
chiarezza da un’indagine svolta dall’Unione europea,456 condotta al fine di verificare il
grado di effettività delle azioni anti- tratta e dell’eventuale necessità di adottare ulteriori
interventi di armonizzazione457. Quest’indagine ha mostrato un quadro assolutamente
critico e insoddisfacente in particolare con riferimento all’insufficienza delle misure a
carattere preventivo e dall’inadeguatezza dell’attività di assistenza alle vittime458; dati,
454
A. CONFALONIERI, La ratifica della Convenzione di Varsavia, op. cit., pg.18 ss.
F. SPIEZIA, La tratta di esseri umani, op. cit., pg.37.
456
Documento di lavoro della Commissione, Valutazione e monitoraggio dell’attuazione del piano UE
sulle migliori pratiche, le norme e le procedure per contrastare e prevenire la tratta degli esseri umani,
Bruxelles, 17 ottobre 2008, COM (2008) 657 definitivo, realizzato tramite l’invio di un questionario agli
Stati membri (dei quali solo 23 hanno risposto positivamente). Il documento fornisce una panoramica
delle misure contro la tratta degli esseri umani disposte in Europa e Norvegia.
457
F. SPIEZIA, M. SIMONATO, La prima direttiva UE di diritto penale, op. cit, pg.3203.
458
“Si noti come dalla relazione sia emerso: un livello non ancora adeguato di assistenza e protezione
delle vittime, di concerto con la permanente difficoltà di accedere a forme di risarcimento; l’insufficienza
di misure per la prevenzione del fenomeno e ancora, l’esistenza di fenomeni di “vittimizzazione
secondaria” delle vittime stesse, per effetto di un’inadeguata legislazione processuale che può portare ad
455
180
questi, che hanno indotto la Commissione europea ad avviare un iter legislativo di
riforma che li condurrà sino all’emanazione della Direttiva 2011/36/UE concernente la
prevenzione e la repressione del delitto di tratta di esseri umani, e la protezione delle
vittime, in sostituzione della precedente decisione quadro 2002/629/GAI.
L’azione per la produzione di questo testo ha avuto inizio sotto la vigenza del Trattato
di Amsterdam con la formulazione della proposta, in data 25 marzo 2009, di una nuova
decisione quadro allo scopo di migliorare gli aspetti di prevenzione e contrasto al
traffico di esseri umani; il suo iter prosegue con la successiva entrata in vigore del
Trattato di Lisbona, seguendo la rinnovata procedura di normazione “comunitarizzata”
introdotta dal nuovo trattato, in relazione a quelle materie già rientranti nel terzo
pilastro.
La direttiva rappresenta il primo esempio di produzione normativa in materia di diritto
penale459: difatti, in ossequio alla disposizione ex articolo 83 del TFUE, il Parlamento
ed il Consiglio possono adottare direttive di armonizzazione penale, anche
indipendentemente da esigenze di cooperazione giudiziaria, con riferimento a particolari
categorie delittuose, fra le quali rientra anche l’ipotesi di tratta. La direttiva in questione
si presenta dunque, come il primo caso in cui le disposizioni previste nel Trattato di
Lisbona hanno trovato una compiuta attuazione.460
ulteriori situazioni di disagio per le vittime, che non vengono adeguatamente assistite durante il
procedimento nel quale sono parti offese e chiamate a rendere ripetutamente testimonianza; infine, si
conferma anche una perdurante difficoltà di emersione dei fatti di tratta a livello investigativo, specie se
le cifre sui procedimenti vengono rapportate alle cifre globali sull’alto numero delle vittime così come
registrato nei documenti di molteplici organizzazioni internazionali” così, F. SPIEZIA, M. SIMONATO,
op.cit., pg. 3203 ss.
459
Ricordiamo come il Trattato di Lisbona stabilisce che il Parlamento europeo ed il Consiglio,
deliberando mediante direttive e secondo la procedura legislativa ordinaria, possano stabilire norme
comuni minime relative alla definizioni dei reati e delle sanzioni in sfere di criminalità particolarmente
gravi che presentano una dimensione transnazionale derivante dal carattere o dalle implicazioni di tali
reati o da una particolare necessità di combatterli su basi comuni.
460
M. VENTUROLI, La direttiva 2011/36/UE, in AA.VV, La lotta alla tratta di esseri umani, op. cit.,
pg.49 ss.
181
5.1. I contenuti della nuova Direttiva: aspetti generali.
La direttiva accoglie un concetto più ampio della nozione di tratta di esseri umani,
rispetto alla definizione contenuta nella previgente decisione quadro 2002/629/GAI,
aggiungendo alla finalità di sfruttamento sessuale o di lavoro anche ulteriori pratiche
quali l’accattonaggio e lo sfruttamento per altre attività illecite.461
In tal modo l’Unione europea opta per una definizione onnicomprensiva di tratta
inclusiva di tutte le forme di traffico- sulla base, inoltre, della definizione contenuta
nell’articolo 2 del “Protocollo ONU per prevenire, reprimere e punire la tratta di
persone”- allo scopo di adeguare la risposta preventivo-repressiva all’evoluzione del
fenomeno della tratta e, di conseguenza, colmare quei vuoti di tutela esistenti sotto la
precedente disciplina.
Riassumendo, gli elementi costitutivi della fattispecie sono tre: la presenza della
condotta coercitiva verso la vittima (violenza, minaccia, inganno, abuso di potere, ecc.);
la verificazione di uno degli eventi perfezionativi previsti (reclutamento, trasporto,
trasferimento, ecc.); infine, sul piano soggettivo, lo scopo di sfruttamento che deve
caratterizzare la condotta462.
Novità importanti rispetto alla Decisione quadro sostituita si registrano relativamente al
profilo sanzionatorio: mentre quest’ultima prevedeva in via generale un obbligo per gli
Stati di sanzionare i fatti di tratta con delle pene
<< efficaci, proporzionate e
dissuasive>>, il nuovo testo dà riferimenti ben precisi, prevedendo un inasprimento dei
massimi sanzionatori, fissando il massimo edittale in almeno cinque anni di reclusione,
innalzati a dieci in presenza di alcune circostanze aggravanti, specificatamente previste
all’articolo 4463.
Viene peraltro introdotta una novità in materia di sequestro e confisca, con la previsione
dell’obbligo in capo a tutti gli Stati membri di assicurare che le competenti autorità
461
In tal modo s’intende punire il traffico di esseri umani anche qualora finalizzato ad utilizzare la vittima
per compiere atti di borseggio, taccheggio, traffico di stupefacenti ed altre attività analoghe oggetto di
sanzioni ed implicano un profitto economico. Così: F.SPIEZIA, M.SIMONATO, La prima direttiva UE,
op. cit., pg.3207 ss.
462
M. VENTUROLI, La direttiva 2011/36/UE, op.cit., pg. 55.
463
Condizione di particolare vulnerabilità della vittima, fatto commesso nel contesto di un’organizzazione
criminale, fatto che abbia messo intenzionalmente o per colpa in pericolo la vita della vittima, fatto
commesso ricorrendo a violenze gravi o che abbia causato alla vittima un pregiudizio particolarmente
grave, fatto commesso da pubblici ufficiali nell’esercizio delle loro funzioni.
182
nazionali, siano dotate degli strumenti giuridici idonei a sequestrare e confiscare i
proventi di tale reato464.
5.2.Profili di assistenza e tutela della vittima.
Di certo le novità più importanti introdotte dalla Direttiva riguardano i profili di
assistenza, tutela e protezione della vittima.
La direttiva in esame rappresenta, difatti, il primo caso in cui l’Unione europea abbia
adottato e raggiunto un approccio olistico ed integrato per il contrasto del fenomeno
criminale della tratta, con la previsione di specifiche azioni non solo nell’ambito della
repressione penale, ma anche con riferimento alla prevenzione e tutela delle vittime465.
Proprio quei settori caratterizzati da maggiore carenza da parte delle legislazioni
nazionali sono stati coraggiosamente “presi di mira” dalla direttiva, al fine di garantire
standard più elevati di tutela ed effettività.
Viene confermata una speciale attenzione nei riguardi della vittima, con un occhio di
riguardo anche alla fase di prevenzione del fenomeno. Da questo punto, la Direttiva
ricalca sotto molti aspetti le disposizioni presenti nella Convenzione del Consiglio
d’Europa del 2005, la quale aveva già affrontato questi temi, pur senza registrare un
soddisfacente riscontro sul piano pratico. Difatti, l’adozione della nuova direttiva, trova
giustificazione in due ordini di motivi: in primis, per il fatto che non tutti gli Stati
membri hanno ratificato la Convenzione di Varsavia; inoltre, per il rilevante apporto
innovativo di alcune previsioni della Direttiva, rispetto alla citata Convenzione 466.
La scelta strategica seguita è stata da un lato, quella di dare risalto alla protezione
sociale delle vittime con un’intensificazione delle misure di assistenza e tutela, e
dall’altra, con la previsione di forme di prevenzione.
Proprio partendo da un’analisi delle disposizioni previste nel campo dell’assistenza e
tutela, la Direttiva ci pone dinanzi delle importantissime novità.
Viene ribadita in vari modi la centralità della vittima come espressione del
“vittimocentrismo” caratterizzante le fonti del diritto dell’Unione sin dalla Decisione
464
C. GABRIELLI, La direttiva sulla tratta di esseri umani, op. cit., pg.7.
M.G. GIAMMARINARO, La direttiva 2011/36/UE sulla prevenzione e la repressione della tratta di
esseri umani e la protezione delle vittime, in Dir. Immigr e citt.,XIV,1-2012, PG.15.
466
F. SPIEZIA, M. SIMONATO, La prima direttiva Ue, op. cit., pg. 3206.
465
183
quadro 2001/220/GAI, sulla posizione della vittima all’interno del procedimento penale,
che mirava alla definizione di una serie minima di diritti da assicurare alla vittima
all’interno di ogni Stato membro. Tuttavia, questa disposizione nei fatti, non è riuscita a
trovare completa attuazione, e da tale fallimento è sorta la necessità di trovare nuovi
strumenti per la tutela della persona offesa, necessità alla quale ha tentato di dare
risposta la Direttiva in esame, che cerca di dare nuova vita a quella “carta dei diritti
della vittima europea” designata con la decisione quadro del 2001, ma con una nuova
consapevolezza.
Sin dall’articolo 8 emerge la particolare attenzione riservata alle vittime: viene prevista
una speciale clausola di punibilità da applicarsi in quei casi in cui la vittima trafficata
sia costretta a compiere dei reati quali ad esempio l’uso di documenti falsi o la
commissione di reati previsti dalla legislazione sulla prostituzione o immigrazione. In
questi casi si dispone la non punibilità della stessa, non potendo gli Stati perseguire né
imporre sanzioni penali alle vittime; questo con il particolare obiettivo di evitare che le
stesse, con il timore di essere perseguite per i reati commessi, non denuncino i loro
sfruttatori. Un articolo simile era previsto anche nell’ambito della Convenzione di
Varsavia, ex articolo 26, con la differenza che lì veniva imposto il solo obbligo di “non
infliggere sanzioni”, mentre nella direttiva in esame si impone la necessità di “non
esercitare l’azione penale”, con riferimento ai reati che non potevano non essere
commessi. Questa disposizione mira inoltre alla salvaguardia dei diritti umani delle
persone offese dal reato, prevenendo un’ulteriore vittimizzazione delle stesse 467.
Sempre nella prospettiva di prevenire i fenomeni di vittimizzazione secondaria ed allo
scopo di preservare la loro sicurezza ed incolumità, compare un’altra disposizione nella
direttiva, l’articolo 12, che pone una serie di misure volte ad evitare ulteriori traumi alla
vittima dal contatto con l’apparato di polizia e giudiziario, specie durante le deposizioni;
viene altresì perseguito lo scopo di evitare che le stesse possano essere esposte a
minacce o ritorsioni da parte dei loro aguzzini 468.
467
M.G. GIAMMARINARO, La direttiva 2011/36/UE, op. cit., pg.21.
Viene prescritto di evitare ripetizioni non necessarie delle audizioni delle vittime, il contatto visivo tra
vittime ed imputati, le deposizioni in udienze pubbliche e le domande non necessarie sulla vita privata.
Misure specifiche sono altresì previste per le vittime minorenni (art 13-15): la nomina di un
rappresentante processuale del minore per il caso in cui i titolari della responsabilità genitoriale non siano
autorizzati a rappresentare il minore a causa di un conflitto di interessi con la vittima e particolari
accorgimenti per le audizioni del minore. Così M.VENTUROLI, La direttiva 2011/36/UE, op. cit., pg. 62
ss.
468
184
Queste misure, peraltro, dovranno essere lette in relazione al principio-base della
“protezione delle vittime non generalizzata”, per cui risulta necessario eseguire una
valutazione individuale sulla situazione personale del soggetto offeso e tenere in
considerazione tutti gli elementi relativi alle condizioni personali dello stesso469 nonché
delle conseguenze fisiche o psicologiche dell’attività criminale.
In tal senso ,difatti, viene prevista per la prima volta una protezione specifica
parametrata sulla base di quelli che sono i bisogni e le necessità individuali470.
Ulteriore passo in avanti è rappresentato dal fatto che, per la prima volta, si prende atto
della necessità di porre misure a protezione della vittima anche nella fase precedente e
successiva al processo. Sulla base di ciò, alla persona offesa “dovrà essere fornita
un’adeguata assistenza all’interno del processo ed anche fuori dal palcoscenico della
giustizia penale: questa è stata la duplice direttiva lungo la quale si sono mosse le fonti
internazionali per tutelare le esigenze del soggetto vulnerato e vulnerabile, ed a questa
impostazione si rifà la nuova direttiva anti-tratta” 471.
Difatti, in relazione alle misure poste a tutela della vittima al di fuori del procedimento
penale si predispone un tipo di assistenza precoce e incondizionata. La precocità deriva
dal fatto che le misure di sostegno dovranno essere assicurate immediatamente, cioè non
appena le autorità competenti abbiano un motivo ragionevole di ritenere che nei
confronti della persona interessata sia stato commesso il reato di traffico. In tal modo la
soglia d’assistenza viene anticipata, anche rispetto alla Convenzione del Consiglio
d’Europa, e la concreta attuazione delle misure di sussidio coinciderà con la sussistenza
di un mero indizio di reato di tratta, senza procrastinarla al momento in cui le autorità
competenti abbiano assunto una decisione ragionata sulla base di tutti gli elementi del
fatto, bensì immediatamente, non appena vi sia un mero indizio del reato di tratta.
Assistenza e sostegno dovranno inoltre essere incondizionati, in maniera tale che le
misure a ciò predisposte dovranno essere concesse indipendentemente dalla volontà
della vittima di collaborare nel processo esaltando una loro natura solidaristica. Tale
principio, del tutto innovativo in ambito europeo, rispecchia alcune buone pratiche
469
Articolo 11, par. 7: “gli Stati membri devono tener conto delle esigenze specifiche delle vittime
derivanti in particolare dall’eventuale stato di gravidanza, dallo stato di salute, da eventuali disabilità,
disturbi mentali o psicologici, o dalla sottoposizione a gravi forme di violenza psicologica, fisica o
sessuale”.
470
M. VENTUROLI, La direttiva 2011/36/UE, op. cit., pg 62 ss.
471
F. SPIEZIA, M. SIMONATO, La prima direttiva Ue, op. cit., pg. 3213.
185
nazionali (fra le quali anche quella italiana, più volte ricordata) e si pone in linea con un
analogo principio contenuto nella Convenzione del Consiglio d’Europa.
V’è da precisare il fatto che la Direttiva 2011/36/UE non riguarda le condizioni di
soggiorno delle vittime della tratta, già oggetto della precedente direttiva 2004/81/CE,
tuttavia, la stessa apre la strada ad una revisione radicale dell’impostazione contenuta
nella direttiva 2004/81/CE che, come già specificato, subordina la concessione del
permesso alla necessaria cooperazione della vittima alle indagine. Le due disposizioni
entrano in espressa contraddizione fra loro, poiché i cittadini dei Paesi terzi, cui si
applica la direttiva 2004/81/CE, dovrebbero ottenere assistenza incondizionata stando ai
dettami della nuova Direttiva, pur tuttavia non potendo ottenere il titolo di soggiorno
(condicio sine qua non per ottenere l’assistenza), ai sensi della direttiva 2004, nel caso
in cui decidano di non collaborare con la giustizia. Ne risulta confermato il carattere
innovativo della nuova direttiva che potrebbe/dovrebbe inaugurare un indirizzo di
modifica della legislazione europea correlata e confliggente in tema di rilascio di
permesso di soggiorno.472
Con specifico riferimento alla tutela processuale, oltre alle misure per evitare una
“vittimizzazione secondaria” , vengono previste delle disposizioni in merito allo
svolgimento delle indagini ed all’esercizio dell’azione penale: queste dovranno essere
slegate del tutto da una denuncia o da un’accusa formale della vittime e, nel caso in cui
si verifichi una ritrattazione da parte delle stesse, non sarà condizione sufficiente per
determinare l’interruzione del procedimento penale. Questo in linea con l’obiettivo di
non vedere ostacolata la repressione della tratta nei casi in cui vi sia una scarsa
collaborazione delle vittime con le autorità di giustizia, per il timore di subire ritorsioni
da parte dei loro oppressori473.
Viene peraltro previsto ed assicurato l’accesso immediato all’assistenza legale anche ai
fini di una domanda di risarcimento. Questa disposizione assume notevole importanza
su due fronti: in primis, offre la garanzia di una consapevole partecipazione al
procedimento in capo alle persone offese dal reato; garantisce l’effettività del diritto al
risarcimento del danno. Questo incide su uno dei deficit più gravi in merito
472
473
M.G. GIAMMARINARO, La direttiva 2011/36/UE, op. cit., pg.24 ss.
M. VENTURIOLI, La direttiva 2011/36/UE, op. cit., pg. 60.
186
all’effettività dei diritti delle vittime le quali non riescono quasi mai ad ottenere un
risarcimento del danno subito474.
Sempre in materia di risarcimento, l’articolo 17 prevede la possibilità in capo alla
vittima di ricorrere ai “sistemi nazionali di risarcimento pubblico delle vittime dei reati
intenzionali violenti”, ossia quei fondi pubblici istituiti al fine di assicurare un ristoro
alla vittima, anche quando i proventi dei reati non siano stati sequestrati e l’autore risulti
privo di mezzi patrimoniali.
5.3. La prevenzione del reato di tratta nella Direttiva.
Un’efficace lotta al crimine di tratta dovrà essere supportata non soltanto da azioni di
tipo repressivo, ma dovrà avvalersi anche di misure di prevenzione. In tal senso, gli
Stati membri sono chiamati a sviluppare strumenti adatti ad un’azione preventiva del
reato. Fra questi si tende a prediligere l’utilizzo di misure volte a ridurre la domanda,
fattore determinante del reato di tratta, in particolare attraverso l’intensificazione di
istruzione e formazione.
Si cerca di aumentare la consapevolezza e la sensibilizzazione della popolazione sulla
dimensione del fenomeno e sui potenziali rischi attraverso campagne educative, di
sensibilizzazione e di informazione, in collaborazione peraltro con le pertinenti
organizzazioni della società civile, allo scopo di frenare la tratta e ridurre il rischio di
divenire vittime di tali fenomeni. Si vuole raggiungere un duplice obiettivo operando su
due fronti diversi: da una parte, rendere consapevole la popolazione dell’entità del
fenomeno e scoraggiare la richiesta delle prestazioni svolte dalle vittime: in tal modo,
una minore domanda delle prestazioni dovrebbe determinare una riduzione degli episodi
di sfruttamento. Dall’altra, si vuole agire direttamente sulle persone offese dal reato,
informandole sui comportamenti rischiosi da evitare e sollecitando le stesse a
denunciare i fatti subiti475.
Viene prevista la necessità di una formazione continua e specifica da riservare ai
funzionari che entrano in contatto con le vittime effettive e potenziali di tratta, al fine di
una loro identificazione corretta476.
474
M.G. GIAMMARINARO, La direttiva 2011/36/UE, pg. 26.
M. VENTUROLI, La direttiva 2011/36/UE, op. cit.,pg. 57 ss.
476
F. SPIEZIA, M. SIMONATO, La prima direttiva UE, op. cit. pg. 3210 ss.
475
187
Infine, per monitorare l’andamento della tratta e valutare l’efficacia delle politiche
preventive messe a punto, l’articolo 19 prevede l’instaurazione da parte di ogni Stato
membro di un relatore nazionale o di un’istituzione analoga; a livello europeo, invece, si
prevede la figura di un coordinatore anti-trafficking con il compito di favorire un
maggiore coordinamento nelle politiche di contrasto alla tratta, contribuendo alla stesura
della relazione presentata ogni due anni dalla Commissione in merito ai progressi
eventualmente compiuti nel contrasto della tratta degli esseri umani. Questo, peraltro,
sempre nell’ottica di un’intensificazione della cooperazione fra le istituzioni
sovranazionali e nazionali, nell’azione di prevenzione a forme di criminalità
transnazionale477.
I principi cardine seguiti nella Direttiva in esame vengono poi ulteriormente ribaditi
nella recentissima Comunicazione COM (2012) 286 della Commissione, diffusa il 19
giugno 2012 , dal titolo “La strategia dell’UE per l’eradicazione della tratta degli esseri
umani (2012 – 2016)”.La comunicazione definisce le cinque priorità che l’Unione
europea dove tener a mente per affrontare la questione della tratta di esseri umani,
proponendo un certo numero di misure specifiche da attuare nei prossimi cinque anni, di
concerto con altri soggetti, tra cui gli Stati membri, il Servizio europeo per l’azione
esterna, le istituzioni e le agenzie dell’UE, le organizzazioni internazionali, i Paesi terzi,
la società civile e il settore privato. Le priorità individuate nella strategia sono le stesse
seguite nella Direttiva, e più precisamente: individuare, proteggere e assistere le vittime
della tratta; intensificare la prevenzione della tratta di esseri umani; potenziare l’azione
penale nei confronti di trafficanti; migliorare il coordinamento e la cooperazione tra i
principali soggetti interessati e la coerenza delle politiche; aumentare la conoscenza
delle problematiche emergenti relative a tutte le forme di tratta di esseri umani e dare
una risposta efficace.478
477
478
M. VENTURIOLI, La direttiva 2011/36/UE, op. cit., og. 58 ss.
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2012:0286:FIN:IT:PDF
188
5.4.Il recepimento della Direttiva 2011/36/UE in Europa.
I principi su esposti contenuti nella Direttiva 2011/36 e ribaditi nella Comunicazione
della Commissione sono di sicuro fortemente innovativi e potenzialmente capaci di dare
un contributo importante in questa battaglia contro le schiavitù moderne. Tuttavia,
bisognerà confrontarsi con la realtà dei fatti, e valutare se e a che livello queste
disposizioni siano riuscite a trovare concreta attuazione nei singoli Stati membri.
Gli ultimi dati statistici divulgati dalla Commissione europea (Rapporto 15 aprile 2013)
relativi al traffico degli esseri umani, forniscono un quadro decisamente allarmante non
solo sulla crescente diffusione di questo crimine, ma anche sulla connessa attenuazione
dei diritti umani tra i Paesi membri dell’Unione.
Dal rapporto risulta che le vittime della tratta tra il 2008 e il 2010 sono arrivate a quota
23.632, con un incremento del 28% e una preoccupante diminuzione delle condanne
negli Stati membri dell’Unione (-13%). Le vittime sono soprattutto donne (68%). Ben il
62% delle vittime della tratta sono oggetto di sfruttamento sessuale (68%) e di lavoro
forzato (25%). Il dato sorprendente è che il 61% delle stesse proviene da altri Stati
dell’Unione.
L’Italia, poi, conquista il primato negativo con oltre un quinto (6426 persone) dei nuovi
schiavi presenti nel territorio italiano479; il nostro paese dunque è quello in cui il
problema risulta essere più acuto, ma questo pare non aver incrementato di molto le
pressioni sulle autorità italiane in vista di un recepimento della direttiva 2011/36/Ue,
che di certo sarebbe utile strumento per un efficace contrasto contro questa pratica
disumana. Difatti, ad oggi, l’Italia resta uno degli Stati europei che non ha ancora
provveduto a recepire la Direttiva in esame.
Anche nel resto d’Europa il cammino verso l’attuazione della direttiva appare
decisamente lento e macchinoso. Difatti, a più di sei mesi dalla scadenza per il
recepimento -fissato in data 6 aprile 2013- solo 18 paesi su 27 hanno notificato il
recepimento integrale della direttiva UE nel diritto nazionale (Repubblica ceca, Svezia,
Estonia, Lettonia, Lituania, Ungheria, Polonia, Romania, Finlandia, Bulgaria, Croazia,
Irlanda, Grecia, Francia, Austria, Portogallo, Slovacchia e Regno Unito) e 2 paesi hanno
notificato soltanto un recepimento parziale (Belgio e Slovenia).
479
http://ec.europa.eu/dgs/home-affairs/what-isnew/news/news/2013/docs/20130415_thb_stats_report_en.pdf
189
In particolare la Francia, ha ufficialmente recepito la direttiva nel proprio ordinamento
con la “Loi n. 2013/711” pubblicata in data 6 agosto 2013 nel “Journal officiel de la
République Française”480.
Nei confronti del nostro paese, in seguito alla grave inadempienza registrata, il 30
maggio 2013 la Commissione europea ha aperto una procedura di infrazione (n.
2013/0228) inviando una lettera di messa in mora (ex art. 258 TFUE) per il mancato
recepimento della direttiva 2011/36/UE, che presentava come termine ultimo la data 6
aprile 2013.
In seguito a questa ammonizione, il Parlamento italiano, nel luglio 2013, ha approvato
una legge di delegazione europea n.96/2013481, all’interno della quale vengono stabiliti
dei criteri di delega al Governo per il recepimento della Direttiva. Si auspica vivamente
che il Governo Italiano adempia al più presto ai suoi doveri, accogliendo le disposizioni
presentate dal Parlamento ed adeguando il nostro diritto interno alle politiche
individuate nell’ambito dell’Unione482.
Al fine di venire efficacemente in aiuto alle vittime della schiavitù moderna ed invertire
questa tendenza criminale, è necessario inoltre che tutti gli Stati si affrettino ad
allinearsi con le politiche europee.
La direttiva anti-tratta se pienamente e globalmente recepita, può avere un impatto reale
e concreto sulla vita delle vittime e può evitare che un reato tanto aberrante ne faccia
altre; in virtù di questo, pare sempre più urgente che tutti gli Stati membri onorino i
propri impegni e prendano misure concrete.
Tuttavia, ad oggi, l’Europa, nonostante i continui sforzi fatti in questa direzione, non
può ancora dichiararsi soddisfatta, non avendo ancora pienamente raggiunto l’obiettivo
desiderato.
Illuminanti in tal senso dovranno essere considerate le dichiarazioni rilasciate dalla
commissaria per gli affari interni Cecilia Malmstrom, nel corso della “Giornata europea
480
http://eurlex.europa.eu/Notice.do?val=669307:cs&lang=it&list=691165:cs,621039:cs,570623:cs,66930
7:cs,555810:cs,697130:cs,&pos=4&page=1&nbl=6&pgs=10&hwords=ue~&checktexte=checkbox&visu
=#texte
481
Legge di delegazione europea e legge europea sono i nuovo strumenti di adeguamento
dell’ordinamento italiano a quello europeo, in sostituzione della “legge comunitaria annuale”. La legge di
delegazione europea contiene delle disposizioni di delega necessarie per il recepimento da parte del
Governo con decreto legislativo, della direttiva o degli altri atti dell’Unione europea; la legge europea è al
contrario una norma di diretta attuazione, utilizzata per garantire l’adeguamento dell’ordinamento
nazionale a quello europeo con riguardo ai casi di non corretto recepimento della normativa europea.
482
http://documenti.camera.it/leg17/dossier/Testi/ID0003.htm#dossierList
190
contro la Tratta degli esseri umani”, tenutasi il 17 ottobre scorso a Bruxelles. La
commissaria, prendendo atto delle inadempienze e dei notevoli ritardi da parte degli
Stati membri dell’Unione, e a fronte di quei dati sempre più allarmanti in tema di
vittime, è intervenuta con un duro monito: “A fronte del sempre maggior numero di
vittime identificate nell’UE, dobbiamo esprimere in modo forte e chiaro la nostra ferma
intenzione di fare in modo che non debbano più soffrire; dobbiamo ribadire che a
livello europeo si sta intensificando la collaborazione per lottare contro la tratta degli
esseri umani. L’Europa ha istituito politiche e misure ambiziose per venire in aiuto alle
vittime della schiavitù moderna e porre fine a questa forma odiosa di criminalità.
Purtroppo non abbiamo ancora raggiunto il nostro obiettivo.(…)
Negli ultimi anni l’impegno a combattere la tratta degli esseri umani si è rafforzato in
tutta l’UE. Sono in gioco vite umane: questa deve rimanere una priorità politica, in
Europa e al di là dei suoi confini. Non possiamo permetterci di tacere. Non possiamo
permetterci di fallire”483.
483
Commissione europea, Memo 13/908, http://europa.eu/rapid/press-release_MEMO-13908_en.htm?locale=en
191
CONCLUSIONI
Molti sono i fili che si sono intrecciati nel mio discorso. C’è il filo della legislazione
italiana, una trama di pregi e contraddizioni. Difatti, nonostante il sistema esemplare
adottato a tutela e protezione delle vittime, l’Italia non riesce ad evitare una procedura
d’infrazione da parte della Commissione europea, causata principalmente
dalle
inesattezze e vaghezze terminologiche della nostra disciplina. Da una parte dunque, un
legislatore che nel campo del diritto penale sostanziale si dimostra poco attento e che si
lascia andare a definizioni sfumate ed approssimate; dall’altra invece, un legislatore
che sul tema della tutela e protezione delle vittime si muove in maniera meticolosa e
determinata, con interventi nettamente orientati alla salvaguardia dei diritti dell’uomo.
C’è il filo della Francia e della sua recentissima riforma, che ha delineato un sistema
“a parti inverse” rispetto al nostro. Un intervento riformistico che ha provveduto ad
allineare perfettamente gli aspetti del diritto penale sostanziale agli obblighi europei,
purtuttavia trascurando temi di peculiare importanza legati alla tutela e protezione
delle vittime. Persiste difatti il retrogrado sistema del “permesso di soggiorno
premiale”, una sorta di ricatto legalizzato la cui posta in gioco è l’incolumità stessa
della vittima. C’è poi il filo del diritto penale e del ruolo che lo stesso dovrà assumere,
continuamente in bilico fra esigenza di repressione e bisogno di protezione. Uno
strumento senz’altro imprescindibile, ma tuttavia incapace di lavorare da solo: la lotta
contro questi crimini non potrà prescindere da un approccio olistico ed integrato,
servendosi di strumenti che esulino dalla capacità di disporre leggi adeguate ed
efficaci. C’è infine il filo dell’Unione europea, trait d’union fra i diversi Stati coinvolti,
con l’ambizioso obiettivo di riavvicinare le legislazioni
dei vari paesi al fine di
un’azione più efficace contro quei particolari crimini che per essere fronteggiati
necessitano di un’azione coordinata e sinergica fra Stati.
Quale filo allora bisognerà tirare per arrivare ad una conclusione?
A questo punto la matassa, data la complessità dei temi e dei molteplici attori coinvolti,
apparirà particolarmente aggrovigliata, quasi impossibile da sciogliere. Ma forse un
modo per districarsi da questo intreccio c’è: il filo al quale ritengo necessario
aggrapparsi con tutte le forze è quello che regge l’uomo con i suoi diritti inalienabili.
Penso che questa sia la chiave capace di sciogliere tutti i nodi che s’intrecciano attorno
192
alla complessità del problema. Senza la consapevolezza di trovarsi di fronte degli
uomini e della necessità di salvaguardare prima di tutto quelli che sono i loro diritti
fondamentali, nessun’azione di diritto penale, nessuna politica di prevenzione o
protezione intrapresa, sia a livello nazionale che europeo, sarà in grado di incidere
effettivamente sul problema.
Il punto di partenza in questo caso coincide con il punto d’arrivo: la tutela dei diritti
delle vittime come consapevolezza iniziale ed ancora quale obiettivo finale. Questo a
mio avviso il fulcro delle azioni da intraprendere: attorno a ciò dovranno ruotare le
disposizioni previste a livello nazionale ed Europeo ed in diversi ambiti, dal diritto
penale sino alle politiche di prevenzione e di protezione.
È di sicuro un processo lungo, probabilmente utopico, e la storia ci insegna una realtà
diversa, da sempre fatta di schiavi e padroni. Tuttavia è un obiettivo fondamentale al
quale non siamo disposti a rinunciare, o per lo meno ad immaginare.
193
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