Sul concetto di tempo fisico “Il tempo è ciò che si misura con l’orologio”: una simile affermazione, per quanto scaturita essa sia dal pensiero di un grande fisico quale Galileo Galilei, lascerebbe interdetti molti scienziati, a mio parere. Ma questa definizione ha avuto il potere di attivare nella mia mente una ricerca critica, per quanto possibile, di una eventuale definizione del concetto di tempo fisico che non fosse semplicemente operativa (dunque, legata solo alla modalità della sua misurazione). Il primo passo che ho mosso è stato quello di “abbattere” una definizione che mi sembrava tautologica. Mi spiego brevemente: per definire l’orologio, quale strumento atto a misurare il tempo (che è l’oggetto della nostra indagine ultima), non possiamo prescindere dall’idea stessa di tempo (che in realtà non gode ancora di una definizione). In altre parole, non possiamo definire l’orologio a meno dell’idea di tempo, poiché definire il tempo tramite lo strumento orologio (atto a misurarlo) è, evidentemente, un’affermazione lapalissiana, dettata, cioè, dall’evidenza. Questo tipo di definizione assume, secondo il mio modesto parere, una connotazione di circolo tautologico. Passando oltre questa definizione, mi sono posto di trovarne una più precisa al concetto di tempo, la quale, in altre parole, fosse univocamente determinata semplicemente in quanto tale. Parlando a riguardo dell’argomento con il mio prof. di Fisica al Liceo, sono giunto ad appurare che è compito arduo quello di individuare una definizione di tempo che non sfoci nel filosofico, nell’irrazionale e nel metafisico (che non è più, dunque, oggetto di indagine del metodo scientifico). Pertanto, a parere del mio prof., l’unica definizione possibile di tempo sarebbe la seguente: “Il tempo è quella grandezza fisica che consente di ordinare cronologicamente, ossia secondo un “prima” ed un “dopo”, gli eventi che si verificano in un determinato punto dello spazio.” (Umberto Pezzella) Una definizione così semplice e fluente mi sembrava già molto convincente, sia dal punto di vista logico che fisico. Non tralasciando la nuova “conquista”, decido di spingermi oltre con un ragionamento un po’ più analitico, che potrebbe sembrare eccessivamente ridondante a qualcuno. Lo espongo: Innanzitutto, prendo la libertà di definire un generico intervallo di tempo ∆𝑡𝑡 = 𝑡𝑡𝑓𝑓 − 𝑡𝑡𝑖𝑖 in corrispondenza del quale si esaurisca un evento 𝜏𝜏, essendo, inoltre, 𝑡𝑡𝑓𝑓 e 𝑡𝑡𝑖𝑖 istanti di tempo presi in modo tale che 𝑡𝑡𝑓𝑓 sia successivo a 𝑡𝑡𝑖𝑖 : questo è sempre possibile, poiché è noto che la linea temporale degli eventi ha un unico verso di percorrenza. Prendere un intervallo di tempo limitato risulta indispensabile ai fini del ragionamento, poiché ragionare su un intervallo di tempo “infinito” (∆𝑡𝑡 → ∞) sarebbe più astratto ed inafferrabile. Detto questo, si procede a suddividere l’intervallo di tempo ∆𝑡𝑡 in frazioni sempre più piccole, fino a renderle infinitesimali. Si indicano, ora, questi intervalli infinitesimali col simbolo 𝑑𝑑𝑑𝑑 (propriamente “differenziale di 𝑡𝑡”, in tal caso inteso come differenza infinitesimale tra due istanti successivi). E’ evidente che ha senso suddividere l’intervallo di tempo iniziale in intervalli infinitesimali solo fino ad un certo punto: la Fisica quantistica ha posto un limite all’intervallo di tempo più piccolo su cui abbia senso ragionare (sebbene il tempo sia comunque supposto continuo, non discreto); tale limite coincide col cosiddetto tempo di Planck (5,391 × 10−44 𝑠𝑠). Si passi, ora, ad analizzare il primo degli intervalli infinitesimali 𝑑𝑑𝑑𝑑 che compongono ∆𝑡𝑡, avendo cura di sceglierlo sufficientemente piccolo da associare ad esso uno ed un solo stato A dell’evento 𝜏𝜏. Data l’estrema vicinanza degli intervalli temporali considerati, lo stato A dell’evento ha la possibilità di evolversi, passando all’intervallo infinitesimale successivo, in due stati diversi: B o C. A seconda che si sia realizzato lo stato B o C, passando all’intervallo infinitesimale ancora successivo, si trova semplicemente che, qualora si fosse verificato B, esso abbia avuto la possibilità di evolversi in D o E; e che, qualora, invece, si fosse verificato C, esso abbia avuto la possibilità di evolversi in F o G. E così via… Volendo schematizzare il processo del ragionamento per renderlo più visuale, è possibile pensarlo banalmente in questo modo: Risulta così semplice da constatare, portando avanti il processo fino a raggiungere l’istante finale di ∆𝑡𝑡 (ricordando che 𝑡𝑡𝐴𝐴 ≡ 𝑡𝑡𝑖𝑖 e 𝑡𝑡𝑛𝑛 ≡ 𝑡𝑡𝑓𝑓 , essendo 𝑡𝑡𝑛𝑛 l’istante corrispondente all’n-esimo stato dell’evento 𝜏𝜏), che è possibile dare una definizione abbastanza agevole ed analitica al concetto di tempo fisico: “Il tempo è una successione infinita di stati di un evento che sono ad uno ad uno dicotomici”. Tale definizione di tempo è da intendere come avente senso compiuto solo se si è prefisso lo scopo di valutare la durata di un fenomeno fisico, che è oggettivamente misurabile per un osservatore. Non ha di fatto valore qualora si passi a considerare il tempo interiore, inteso come durata soggettiva di un fenomeno, che dipende, allora, da fattori interni ad ogni individuo: con l’ultima affermazione non nego in alcun modo l’esistenza di un cosiddetto tempo interiore, ma ne evito, semplicemente, la trattazione (in qualunque sua forma), poiché i motivi e gli elementi di quest’ultimo esulano dal campo di indagine del metodo scientifico, in quanto non appartenenti alla realtà sensibile. A partire dagli inizi del XX secolo, il concetto di tempo, inteso come durata di un fenomeno per un osservatore, è stato completamente stravolto dalla Teoria della Relatività del fisico tedesco Albert Einstein (1879-1955), che si compone di due parti: Teoria della Relatività Ristretta (o Speciale, 1905) e Teoria della Relatività Generale (1916). Un apparato teorico così affascinante e così avanti con gli anni potette riscontrare delle verifiche sperimentali solamente parecchi anni dopo la sua formulazione. Ciononostante, a partire dall’annus mirabilis (1905), mutò definitivamente l’idea di durata di un fenomeno, poiché Einstein, ricavando a sua volta in un suo articolo quelle che restano note come trasformazioni di Lorentz-Fitzgerald, avendo postulato la costanza della velocità della luce in ogni sistema di riferimento inerziale ed avendo rinnovato la validità della Relatività galileiana, aveva dimostrato che lo spazio ed il tempo sono interdipendenti. Inoltre, due osservatori solidali con sistemi di riferimento diversi, misurano durate diverse di uno stesso fenomeno, secondo l’equazione: dove 𝛾𝛾 = 1 2 �1−𝑣𝑣2 𝑐𝑐 rappresenta il fattore relativistico, ∆𝑡𝑡 è il tempo proprio (durata minima) del fenomeno, ∆𝑡𝑡 ′ è la durata del fenomeno misurata dall’osservatore in moto con velocità 𝑣𝑣 rispetto all’altro osservatore. Da questo punto in poi si è smesso di credere al tempo come alla durata assoluta di un fenomeno (come credeva Galileo): piuttosto, esso rappresenta la durata relativa di un fenomeno, poiché dipende dallo spazio 𝑥𝑥 e dalla velocità 𝑣𝑣 dell’osservatore, secondo la relazione: N.B. Qualunque considerazione di carattere filosofico (dunque, non dimostrabile matematicamente), per quanto mirabile in fatto di bellezza ed eleganza espositiva, non è stata presa in considerazione, ma non è stata nemmeno screditata o nichilizzata: è stata semplicemente evitata! Vincenzo Ventriglia