IL SISTEMA HEGELIANO: L’ENCICLOPEDIA DELLE SCIENZE FILOSOFICHE Dal 1812 Hegel sviluppa il cosiddetto ‘sistema’, di cui la Fenomenologia dello Spirito doveva essere una sorta di introduzione, nel senso che abbiamo spiegato. Cosa significa il termine sistema? Esso non nasce certamente con Hegel. Vuol dire discorso, impianto, costruzione filosofica rigorosa ed organizzata in maniera deduttiva, in cui le parti siano strettamente correlate tra di loro e costituenti una totalità che le concilia perfettamente; il rapporto tra queste parti è dedotto e giustificato filosoficamente, fondandosi in genere su un principio o metodo, che consente di stabilire a quale titolo una scienza è tale. Il primo filosofo sistematico è sicuramente Aristotele, che elabora non a caso un’enciclopedia delle scienze. Poi, almeno nell’intento epistemologico, sicuramente Cartesio e senz’altro Spinoza, in virtù del suo tentativo di dedurre dalla Sostanza unica ogni aspetto del reale. Kant condivide il senso del rigoroso impianto deduttivo, ma non crede che la conoscenza umana possa giungere a concepire un principio unico, origine del sistema e del filosofare, a differenza di Fichte, che viceversa vede nell’Io puro il principio chiave della filosofia. In Hegel, la Scienza dell’Assoluto è sistema, perché il Vero è l’intero, la totalità e questa verità non è altro dal pensiero, ma è il concreto, ossia la sintesi di determinazioni contrapposte. In questo contesto, la filosofia è scienza suprema in quanto giustifica ogni suo passaggio logico (si nota qui, ribadiamo, una critica evidente all’irrazionalismo romantico). I nuclei tematici del pensiero hegeliano, già in buona parte delineati nella storia romanzata della coscienza rappresentata dalla Fenomenologia, si esplicitano in un sistema di scienza filosofiche. L’Assoluto si manifesta dunque come Idea in sé (Idea in quanto Logos, razionalità pura: questo primo momento di sviluppo dell’Assoluto (tesi) contiene virtualmente in sé ogni realtà. E’ il puro pensiero che per attuarsi, per realizzarsi compiutamente, deve però uscire da sé e la scienza che lo studia è la Logica. Il secondo momento corrisponde all’Idea fuori di sé (Natura), l’esteriorizzarsi dell’Idea, la sua alienazione (antitesi), studiata dalla Filosofia della Natura. Infine, l’Idea in sé e per sé o che ritorna a sé, studiata dalla Filosofia dello Spirito. a) La Logica Hegel scrisse la Scienza della Logica tra il 1812 e il 1816, nel periodo di Norimberga e ne riprese i concetti nella prima parte dell’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (1817) ad Heidelberg, di cui la logica rappresenta la prima parte. Questa opera studia il pensiero in quanto tale nella sua purezza, prima che sia uscito da sé e abbia costituito la Natura. La Logica, in altri termini, delinea, entrando nel cuore del metodo dialettico, la ragione che ha come contenuto se stessa, indipendentemente dai vari ambiti del reale in cui si manifesta. Vediamo adesso la fondamentale differenza tra la logica antica e quella hegeliana. Quella antica, sistematizzata e puntualizzata da Aristotele, è una logica formale, che si basa sui principi di identità (A=A) e di non contraddizione (A non è non –A) e dà vita al sillogismo, esempio di deduzione logica per eccellenza. In quanto tale, la logica è un puro strumento ( Organon, come lo chiama Aristotele) anteriore ai contenuti del filosofare. Producendo un esempio, la logica indica le lettere dell’alfabeto e i loro rapporti, la filosofia (che è essenzialmente metafisica) il contenuto che deriva dalle stesse. Naturalmente, siccome la teoria classica della verità (problema gnoseologico) presuppone che il pensiero sia un adeguamento alla realtà, la logica sarà propedeutica all’ontologia: se l’uomo fa buon uso della razionalità e applica le leggi logiche, sarà in grado di comprendere l’essenza del reale, la sua struttura più profonda, producendo un discorso inconfutabile, non 1 smentibile a livello razionale: epistème, ossia scienza. In virtù di tale rapporto, possiamo anche dire che quella antica è una metafisica dell’essere, il quale risulta oggettivo, ossia altro, indipendente rispetto al pensiero che lo pensa e lo rispecchia. Proprio in virtù di questo rapporto, le categorie aristoteliche sono sia modi universali di pensare che modalità oggettive dell’essere. Secondo Hegel, viceversa, il pensiero coincide dialetticamente con la realtà: la ragione non è solo la facoltà con cui gli uomini cercano e comprendono il significato delle cose (come lo era in modi diversi in Kant: infatti, l’Analitica trascendentale è la pars construens della Logica trascendentale), ma la sostanza stessa del mondo. Tuttavia, questa ragione non è astratta e al di là del reale, ma è principio dinamico che si fa realtà, continuo divenire fatto di contrasti, contraddizioni e risoluzioni delle stesse. Se il vero è l’intero ed esso deve essere concepito come risultato, significa anche che tale sostanza razionale del mondo non ha il carattere statico ed immutabile del classico concetto di sostanza, ma è perenne mutamento, divenire che avviene in virtù di una legge, quella che Eraclito avrebbe chiamato lotta dei contrari. Nulla per Hegel ha valore assoluto nel mondo, ma i vari momenti del reale hanno senso solo in quanto dialetticamente contrapposti ad altri momenti e quindi rispetto ad essi reciprocamente dipendenti. Ecco perché Hegel sostiene che una filosofia che ammettesse la verità del finito non meriterebbe nemmeno il nome di filosofia: il finito è nelle sue varie manifestazioni solo momento dello sviluppo dell’Assoluto e dello Spirito ed è perciò solo qualcosa di ideale e l’idealismo dunque l’unica vera filosofia. ll metodo, la legge che spiega questi contrasti, a prescindere dal loro contenuto storico e concreto, è la Logica: studio del puro pensiero prima che questo principio cosmico si manifesti nella natura e nelle istituzioni concrete della storia e della società. Qui Hegel delinea la trama, l’ossatura degli elementi del pensiero puro: se il pensiero coincide con la realtà, le leggi dell’uno saranno le leggi dell’altro ed esse coincidono con i tre momenti della dialettica e con il loro movimento, che è l’aspetto fondamentale della Logica. Noi ce ne siamo già occupati per motivi didattici, visto che la stessa Fenomenologia obbedisce a questo procedimento. Adesso Hegel li espone nella loro pura astrattezza e in modo sistematico, mostrando successivamente come anche la Natura e lo Spirito funzionino nella stessa maniera. Hegel definisce la Logica come “l’esposizione di Dio come egli è nella sua eterna essenza prima della creazione della natura e di uno spirito finito”. Il difetto della logica antica era quello di astrarre dal contenuto e di restare separata dalla vita e dalla storia. La Logica coincide sostanzialmente con la Metafisica, che è tale come Metafisica del pensiero e non dell’Essere: il pensiero è principio cosmico, divino, che si fa dialetticamente realtà. L’Assoluto non è né puro oggetto o sostanza immutabile, come in Spinoza, né mero soggetto in perenne tensione verso il suo limite che non riesce a superare (Fichte): lo speculativo è il superamento della contraddizioni, che darà vita poi ad un ulteriore processo elevato ad un superiore livello spirituale. Si possono notare specifiche differenze con Eraclito: al filosofo presocratico Hegel rende omaggio, sostenendo che “non vi è proposizione di Eraclito che io non abbia accolto nella mia Logica”. Tuttavia, sulla base delle premesse poste sopra, riguardo alla metafisica dell’essere, per il filosofo di Efeso il logos come ragione comune e universale a tutti gli uomini (la ragione) rispecchia e corrisponde alla legge fondamentale che governa il reale (logos come lotta dei contrari). Il pensiero e la realtà sono comunque due cose diverse, sebbene in rapporto biunivoco: “Non ascoltando me (l’uomo Eraclito), ma il logos (la ragione universale e comune a tutti, se ne fanno buon uso), è saggio convenire che tutto è uno (dove questo uno è nella sua essenza lotta dei contrari, l’armonia nascosta a 2 cui dà vita la lotta dei contrari, DK 22 B 50.). In Hegel, invece, il Logos, la Ragione, si fa realtà: non è distinto da essa, ma diviene realtà. La realtà è lo sviluppo del logos a livelli sempre più alti (nella Logica questo processo è spiegato nel suo astratto schema di funzionamento). Hegel puntualizza anche che già Parmenide aveva sostenuto che “infatti lo stesso è pensare ed essere, DK 28 B 3): tuttavia, mentre nel “padre terribile e venerando” della filosofia greca tale espressione voleva significare che il pensiero è sempre e soltanto il pensiero dell’essere, dove l’essere stesso è causa del pensiero (pensiamo perché c’è l’essere), in Hegel l’Essere è, di nuovo, risultato del manifestarsi del Pensiero. La filosofia hegeliana è ritenuta da molti interpreti, proprio per questo motivo, il culmine dell’epistème. Peraltro, c’è un aspetto che Hegel ha in comune con i Greci e più in generale con la metafisica classica: il presupposto in base al quale la ragione può comprendere l’essenza della realtà, costituendosi così come epistème, sapere incontrovertibile, a prescindere dal fatto che questa sia colta o come rispecchiamento dell’essere vero e immutabile (metafisica classica) o come costruzione e manifestazione di un pensiero assoluto (Hegel) che si fa realtà. Una significativa e specifica differenza (al di là di quelle esaminate sopra) con Aristotele riguarda il senso della contraddizione: il significato più profondo del principio di non contraddizione ci dice che nella realtà non esiste contraddizione: sono io che mi contraddico, pensando, se faccio cattivo uso della logica. In Hegel la contraddizione è il motore del reale, ciò che consente lo sviluppo della storia e dello Spirito che si fa storia: quella che il filosofo svevo chiama “la potenza del negativo”. Anche Hegel sa, ovviamente, che una stessa cosa non può essere bianca e nera al tempo stesso: tuttavia, afferma dal canto suo che nella realtà il bianco può contenere le condizioni per lo sviluppo del nero che gli si oppone come altro da sé. Il superamento della reciproca manchevolezza dei due opposti si risolve nello speculativo, dove la contraddizione non è annullata, ma appunto risolta togliendo l’opposizione e conservando quanto di positivo vi è in essa, giungendo così alla mediazione delle parti. Ecco perché “tutte le cose sono in se stesse contraddittorie e hanno in sé il germe del proprio perire: l’ora della loro nascita è anche l’ora della loro morte”. Il finito è contraddittorio perché manca del suo opposto: ciò che né Kant né Fichte avevano adeguatamente compreso. Una volta delineato il senso e lo scopo della Logica hegeliana, e compreso che la dialettica è lo schema del suo funzionamento, che poi il filosofo applicherà a tutto il resto del sistema, noi non seguiremo tutta la scansione dell’opera: ci limitiamo a dire che le sue tre sezioni fondamentali sono l’Essere (il pensiero nel momento della sua immediatezza), l’Essenza (il pensiero nella sua mediazione) e il Concetto (il pensiero che ritorna a sé come totalità). Per far capire lo schema di funzionamento della dialettica applicato ai primi momenti della logica, prendiamone in esame l’inizio: la prima triade è costituita da essere, nulla e divenire. L’essere è puro essere indeterminato, privo di ogni specificità, particolarità e determinatezza. In ciò è identico al puro pensare: è un concetto vuoto (si pensi all’Essere parmenideo, del tutto astratto). In questo senso, il pensiero dell’essere così concepito, nella sua pura elementarietà, mi rimanda a qualcosa che non è nulla di determinato: il nulla o non essere, infatti, è l’assolutamente opposto dell’essere, in quanto sua assoluta mancanza. Pur essendo opposti, essere e nulla hanno in comune il fatto che sono privi di qualunque significato particolare, specifico. L’essere, in questo senso, è identico al nulla e viceversa. Proprio per questo non è possibile pensarli come concetti ed entità separate e isolate l’una dall’altra, ma in quanto momenti complementari del medesimo processo. Il divenire è perciò la 3 sintesi di essere e non essere, perché implica il continuo passaggio dall’uno all’altro. b) Filosofia della Natura “Senza mondo, Dio non è Dio”. Nell’Enciclopedia Hegel, con tali parole, afferma la necessità dello sviluppo dell’Idea fuori di sé: essa non può restare a livello potenziale, puramente inespressa, ma deve oggettivarsi nella natura prima e nello spirito poi. Tuttavia, se per Hegel la Natura è momento necessario allo sviluppo dell’Assoluto, ad essa egli non dedica grande spazio all’interno del suo sistema: la Natura è il negativo che deve essere superato per giungere al manifestarsi dello Spirito nella sua essenza più piena, l’umanità nelle istituzioni storiche e culturali concrete. Essa rappresenta dunque la caduta dell’Idea da sé, il male come corrispettivo del bene: l’idealismo hegeliano, che non ammette l’esistenza di una materia autonoma rispetto alla spiritualità, rinnova una concezione negativa della corporeità e della natura tipica della concezione platonica e neoplatonica. Emblematica, a tal riguardo, la frase che Hegel pronunciò in gioventù di fronte allo spettacolo offerto dalle Alpi bernesi: “Das ist so”, è così. Una idea della natura che lo distanzia in modo significativo dai romantici e dall’amico Schelling, che la concepivano come espressione piena della divinità. La Filosofia della Natura fornisce la giustificazione filosofica delle scienze naturali, sebbene da esse non si possa pretendere il rigore delle scienze dello spirito, che hanno un contenuto razionale e spirituale molto più ricco. Possiamo qui notare anche tutta la distanza che separa Hegel da Kant: per il filosofo di Konigsberg matematica e fisica sono scienze, anzi il modello della conoscenza scientifica, che studia la natura (e la filosofia critica giustifica la possibilità della scienza stessa); per Hegel le scienze empiriche hanno un puro carattere ipotetico, probabilistico e costituiscono un livello inferiore di scientificità. Peraltro, la filosofia, visto che il Vero è l’intero, ha il compito di fondarle speculativamente, cioè di giustificare i principi su cui si basano. Secondo lui la filosofia, in quanto dialettica, giustifica la metafisica, in un senso naturalmente molto diverso da quello classico. Ecco perché Hegel sostiene che “un popolo senza metafisica è come un tempio senza altare”. La razionalità della natura sarà tale solo in quanto conforme al ritmo dialettico dell’Assoluto: momento negativo ma necessario, appunto, per il suo sviluppo. Anche il neoidealismo novecentesco sarà influenzato da tale impostazione: Croce parlerà di pseudoscienze e pseudoconcetti per indicare la fallacia delle scienze empiriche. Al suo interno, al di là delle scansioni che non prendiamo in esame, la Natura è molto più statica rispetto all’Idea e allo Spirito, proprio perché meno razionale (essa è l’estranearsi della Ragione). Non ci sarà pertanto una vera e propria evoluzione della specie e la morte del singolo è funzionale alla vita della stessa specie. Alla sua morte, di ognuno di noi sopravvive la dimensione spirituale in quanto memoria della sua vita terrena per la collettività: in tal modo dopo la morte l’individuo si innalza alla comunione con i suoi simili. 4