Corso di Storia della Fisica A.A. 2011-2012 Lezione 5 - Darwin Copyright, 2011-2012 © Giulio Peruzzi Lamarck e Darwin [trasformismi (Barsanti, p. 171): “Lamarck riesce a far virare il teologico “creazione” nel mondano “trasformazione”, antenato del moderno “evoluzione”] Se è certo ormai che è “futile” la controversia sul fatto che Lamarck sia stato o meno precursore di Darwin, può essere utile soffermarsi su alcune differenze e convergenze particolarmente significative fra i due in relazione alla interpretazioni delle componenti di una teoria dell’evoluzione: 1) La realtà dell’evoluzione (dal mondo statico al mondo in mutamento): in questo Lamarck fu un precursore di Darwin. 2) Il meccanismo dell’evoluzione: posizioni distanti. L’unico punto di contatto è la credenza in un effetto dell’uso e del disuso (molto meno accentuata in Darwin), cioè della cosiddetta “eredità debole”. 3) Interesse per la diversità (speciazione) e l’adattamento (evoluzione filetica). - Per Darwin evoluzione è prima di tutto discendenza comune (prioritario è dare una risposta alla speciazione) mentre Lamarck è più concentrato sull’evoluzione filetica. - Per Darwin l’adattamento è prodotto dalla selezione naturale, per Lamarck da processi fisiologici imposti da bisogni sollecitati da cambiamenti dell’ambiente. Da Lamarck a Darwin Dal 1809, l’anno della Philosophie zoologique, al 1859, l’anno di On the Origin of Species, trascorrono cinquant’anni nei quali si discute di teoria dell’evoluzione senza di fatto assistere a una sua effettiva ampia adozione. Ma il processo di progressiva accettazione del pensiero evoluzionistico, anche dopo Darwin, non implica di per sé la definizione e l’adozione di un’unica teoria che ne spieghi il meccanismo. Come abbiamo già visto in altri casi (si pensi per esempio alle teorie del flogisto), non è sempre facile capire le differenze tra queste teorie perché in alcuni autori (se non in tutti) sono presenti combinazioni tra diverse di queste teorie/tipo dei meccanismi evolutivi, o almeno tra parecchie delle loro componenti. Si possono, seguendo una classificazione di Mayr (cit. p. 305), individuare sei principali nuclei teorici. (A) Capacità intrinseca o tendenza verso la perfezione crescente (teorie autogenetiche). Era un’idea presente nella teoria di Lamarck e venne ampiamente sostenuta, per esempio, da Chambers, Nägeli, Eimer (ortogenesi = rilievo sempre maggiore di certi caratteri che portano a modifiche della specie in una direzione privilegiata), Osborn fino a Teilhard de Chardin (principio omega). (B) L’effetto dell’uso e del riuso combinato con l’ereditarietà dei caratteri acquisiti. (C) L’induzione diretta da parte dell’ambiente (non accettata da Lamarck ma adottata da È. Geoffroy Saint-Hilaire). (D) Il saltazionismo (mutazionismo), improvvisa origine di specie nuove o di tipi ancor più distinti (Maupertuis, Kölliker, Galton, Bateson, de Vries, Willis, Goldschmidt, Schindewolf). (E) La differenziazione casuale (stocastica), senza che né l’ambiente (direttamente o tramite selezione) né fattori interni influiscano sulla direzione della variazione o dell’evoluzione (Gulick, Hagedoorn, “evoluzione non darwiniana”). (F) La direzione (ordine) imposta alla variazione casuale dalla selezione naturale (in parte il darwinismo, il neodarwinismo). (A), (B) e (C) ottennero sostanziali consensi per oltre un secolo dopo Lamarck. (D), saltazionismo, viene oggi rifiutato come meccanismo normale di speciazione o di origine di tipi nuovi, anche se se ne è dimostrata la validità in casi speciali. Non si sa bene valutare l’incidenza della variazione casuale (E), ma è oggi ampiamente accettato il fatto che la maggior parte dei fenomeni evolutivi e variazionali possa essere spiegata combinando (E) ed (F). Spesso i non-biologi sono portati a un fraintendimento cruciale: le dispute tra i sostenitori dell’una o dell’altra di questi nuclei teorici vengono interpretate come controversie sulla validità della teoria dell’evoluzione in quanto tale. Il dibattito sulla nozione di evoluzione fu al centro solo nel periodo che separa Lamarck da Darwin, ma le controversie sui meccanismi sono invece interne alla teoria dell’evoluzione data come quadro di riferimento irrinunciabile. [cit. Eldredge, Ripensare Darwin, pp. 30 e ss.] I tre principali paesi europei in cui veniva coltivata la ricerca biologica, cioè la Francia, la Germania e l’Inghilterra, reagirono in modo diverso alle questioni sollevate dall’accumularsi di fatti che avevano portato Lamarck a introdurre la nozione di evoluzione. FRANCIA • Étienne Geoffroy Saint-Hilaire (1772-1844), grande esperto di anatomia comparata. Con convinzioni deiste elabora una teoria che si incentra sull’attivazione di potenzialità esistenti in un dato tipo e non sull’evoluzione. Fautore di una concezione in cui “l’ambiente è onnipotente nel modificare i corpi organizzati”, propose sicuramente alcune idee interessanti anche per un evoluzionista, come quella di considerare alcune modificazioni prodotte dall’ambiente più utili di altre (ma cf. anche Barsanti pp. 176 e ss.). • Georges Cuvier (1769-1832) certamente contribuì in modo sostanziale ad accrescere le conoscenze che avrebbero sostenuto la teoria dell’evoluzione: studiò gli invertebrati (e la loro “anatomia interna”); fondò la paleontologia; fondò l’anatomia comparata. Ma fu sempre avversario dell’idea di evoluzione, con argomentazioni così convincenti (basate sulla sua convinzione essenzialista) da ostacolare l’affermarsi dell’evoluzionismo in Francia. Ciò che si constatava ovunque erano discontinuità e specializzazioni irregolari assolutamente incompatibili, secondo Cuvier, con interpretazioni di tipo evoluzionistico. GERMANIA Contrastante influenza della Naturphilosophie, che da un lato sembra preparare il terreno per l’accettazione delle teorie evoluzionistiche (più rapida che in qualunque altro paese) mentre dall’altro genera una reazione negli ambienti scientifici (le idee evolutive propugnate dai Naturphilosophen risultano troppo speculative, metafisiche). Certo è, come sostiene Mayr (p. 335 e ss.), che tra i molti precursori di Darwin pochi meritano di essere citati più del botanico viennese Franz Unger (1800-1870). Nella sua opera Versuch einer Geschichte der Pflanzenwelt (1852), un capitolo dal titolo “L’origine delle piante, la loro moltiplicazione e l’origine dei tipi differenti” è espressamente dedicato all’evoluzione. E non è un caso che tra i suoi allievi ci sia Gregor Mendel. È lo steso Mendel a riferire che le riflessioni del suo maestro sull’origine delle variazioni (una specie nuova si genera da una metamorfosi complessiva di una passata specie o solo da uno o pochi individui che mutano per diventare il ceppo ancestrale della nuova specie?) lo indussero a compiere i suoi esperimenti genetici. INGHILTERRA La situazione in Inghilterra, fino alla metà dell’Ottocento, è ben diversa da quella in Francia e Germania. La geologia era qui di gran lunga dominante tra le “scienze naturali” e, al tempo stesso, si realizzava una stretta alleanza tra scienza e cristianesimo. In questo senso, molti scienziati-filosofi credenti - basti pensare a Lyell, Whewell e Herschel - pur riconoscendo i limiti della teologia naturale, erano restii ad accettare una spiegazione naturalistica dell’adattamento e della diversità delle specie. È qui che vede la luce quella corrente che cerca di riformulare in chiave creazionista la scala naturae, il cosiddetto progressionismo: a ogni catastrofe si succede una creazione completamente ex novo e ogni creazione successiva riflette le mutate condizioni del mondo (Louis Agassiz). Vale la pena menzionare almeno due personaggi che esercitarono, in modo diverso, la loro influenza su Darwin: Charles Lyell e Robert Chambers. L’uniformismo e la sua polisemia * * Cause configurazionali (Simpson, 1970) = Configurazioni diverse dei medesimi fattori (cambiamento dell’atmosfera da riducente a ossidante, irregolarità nel succedersi delle ere glaciali, effetti della tettonica a zolle, intensità del vulcanismo) possono determinare risultati drasticamente diversi. Un confronto tra diversi autori, sostenitori e avversari dell’evoluzionismo, sui nodi concettuali sottesi alle concezioni uniformista e catastrofista. Nel 1844 compare l’opera (anonima) Vestiges of the Natural History of Creation (l’identità dell’autore, Robert Chambers, il celebre editore della Chambers’ Encyclopedia, fu svelata solo dopo la sua morte nel 1871). Le “scandalose” e “eretiche” tesi evoluzionistiche che vi venivano enunciate erano in realtà frutto di una impostazione deista piuttosto che atea dell’autore, contrario all’idea di un intervento costante di Dio nella sua creazione: “tra la creazione speciale e l’azione di leggi generali stabilite dal Creatore, io direi che quest’ultima è di gran lunga preferibile in quanto implica una concezione molto più sublime della potenza e della dignità divine che non l’altra”. Esso rese due favori a Darwin: “ha richiamato l’attenzione del paese sul tema dell’evoluzione avviando la rimozione dei pregiudizi”; inoltre le critiche che suscitò fornirono a Darwin una sorta di prontuario delle obiezioni tipiche nei confronti dell’evoluzione alle quali rispose in modo sistematico nella sua Origine delle specie. NOTE – Il ruolo dei dilettanti ignari che vedono un problema nell’insieme mentre gli specialisti possono perdersi nei dettagli; – È possibile sviluppare teorie anche senza disporre inizialmente di una spiegazione soddisfacente di tutti I meccanismi implicati (vale per Chambers sui meccanismi evolutivi e per Darwin sui meccanismi dell’eredità) Charles Darwin (1809-1882) Nato a Shrewsbury, nel Kent, figlio di un medico e nipote di Erasmus Darwin (medico, poeta, filosofo, botanico e tecnologo), sembra che fosse un bambino non particolarmente precoce o geniale. Lasciati a mezzo gli studi di medicina a Edimburgo, entrò al Christ College di Cambridge, dove rivelò presto un grande interesse e attitudine per la storia naturale. Del suo periodo giovanile sappiamo essenzialmente solo quello che è contenuto nella sua Autobiografia, scritta a 67 anni: troppo lontana nel tempo perché la memoria non possa tradire l’autore e troppo impregnata della modestia tipica dell’epoca vittoriana per costituire un resoconto oggettivo. A Cambridge la persona che influì di più, direttamente o indirettamente, sulla formazione di Darwin fu sicuramente il reverendo John Stevens Henslow (1796-1861), professore di botanica. Grazie a Henslow, Darwin conosce varie persone dell’ambiente scientifico e filosofico di Cambridge, tra cui Whewell, e affina il suo talento di naturalista imparando da lui molte cose sulla botanica, l’entomologia, la chimica, la mineralogia e la geologia. E per quanto riguarda la geologia, fu sempre Henslow che spinse Darwin a interessarsi a questi studi e a seguire Adam Sedgwick (professore di geologia a Cambridge) in una spedizione geologica in Galles. Al ritorno dal Galles, Darwin trova l’invito a partecipare, come naturalista, al viaggio del Beagle (27 dicembre 1831-2 ottobre 1836): un viaggio di circumnavigazione terrestre con scopi scientifici e di rilevazione cartografica. Senza il viaggio sul Beagle, Darwin probabilmente sarebbe diventato un reverendo naturalista, un po’ come Henslow. Invece Darwin parte a 22 anni per tornare in Inghilterra da maturo naturalista, con una preparazione superiore a quella di quasi tutti i suoi contemporanei. Anche se il suo ruolo ufficiale sul Beagle era quello di naturalista, il settore in cui Darwin era più preparato era quello della geologia, e proprio alla geologia dedicò gran parte del suo tempo (aveva con sé il primo volume dei Principles of Geology di Lyell, appena pubblicato, e il secondo volume - contenente argomenti contro Lamarck e l’evoluzione - gli fu recapitato a Montevideo nell’ottobre del 1832). Sono questi libri che permisero a Darwin di farsi una solida base sull’uniformismo, e allo stesso tempo suscitarono in lui numerosi dubbi che si sostanziarono negli anni successivi in una presa di distanze da Lyell. Tornato dal viaggio del Beagle, Darwin si stabilisce a Cambridge dove inizia a classificare e ripartire le sue collezioni. Nel 1837 si sposta a Londra, dove nel 1839 sposa la cugina Emma Wedgwood. Nel 1842 si trasferisce con la moglie nella casa di campagna nel villaggio di Down nel Kent, a sud di Londra, dove Darwin visse fino alla morte, recandosi solo raramente a Londra. Darwin parte inizialmente da posizioni ispirate dall’ortodossia cristiana, che includevano una credenza in un mondo creato, abitato da specie costanti: questa posizione era essenzialmente comune a molti degli intellettuali con cui era entrato in contatto a Cambridge e Londra (Henslow, Whewell, Lyell, Sedgwick). Egli abbandonò la fede nei due anni successivi al ritorno in Inghilterra, anche se nell’Autobiografia parla di agnosticismo: “il mistero del principio dell’universo è insolubile per noi, e perciò, per quel che mi riguarda, mi limito a dichiararmi agnostico”. Tra le ragioni che possono averlo indotto a questa svolta: un atteggiamento più critico nei confronti della Bibbia e la crescente consapevolezza della non tenibilità delle argomentazioni sull’esistenza di un progetto. Certo è che la scoperta della selezione naturale come meccanismo evolutivo (sia nell’adattamento che nella diversificazione), rendeva obsoleto il ricorso a un “ordinatore” (o “orologiaio”) sovrannaturale. La teoria darwiniana delle scogliere coralline Fin dall’inizio del suo viaggio, Darwin mostra di aver fatto propri gli insegnamenti di Lyell dei Principles of geology, in particolare l’idea che la storia della superficie terrestre sia un lento e costante susseguirsi di innalzamenti e abbassamenti. Su questa base interpreta alcuni aspetti della geologia del Sud America, erroneamente attribuiti a un grande diluvio, come dovuti al lento e graduale sollevamento del continente e, più in generale, le Ande come sollevamento graduale del continente compensato dall’abbassamento del letto oceanico (sono proprio queste sue riflessioni che compariranno in due articoli del 1844 e del 1846). Gli effetti dell’abbassamento congiunti all’osservazione della crescita dei coralli verso l’alto, lo portano a enunciare la sua teoria delle barriere coralline, in contrasto con la teoria diffusa all’epoca (e condivisa anche da Lyell) che le scogliere coralline si formassero per accumulo dei coralli sulle bocche di vulcani estinti che si ergevano verso la superficie del mare. Darwin, nella sua comunicazione del 1837 alla Geological Society e successivamente in The structure and distribution of coral reefs del 1842, divide le barriere coralline in tre categorie: 1. scogliere litoranee che formano una sorta di frangia intorno a un’isola o tratto di terraferma; 2. scogliere a barriera, separate dall’isola o dal continente mediante una laguna; 3. atolli o scogliere ad anello, senza isola al centro. Rovesciando l’interpretazione allora corrente, Darwin individua nelle tre categorie di scogliere le fasi di un unico processo: l’abbassamento sotto il livello del mare di un’isola o di un tratto di continente con il contemporaneo crescere dei coralli verso l’alto. 1) Le scogliere crescono dapprima in prossimità della terraferma o dell’isola (per sollevamento dei coralli); 2) con l’abbassamento del letto dell’oceano si formano bracci di mare più o meno ampi tra costa e barriera corallina; 3) infine l’isola sprofonda completamente e resta l’atollo. La teoria di Darwin ha subito varie modifiche e integrazioni (in particolare per le forme litoranee e a barriera), tuttavia le sue linee generali sono accettate ancora oggi, anche se il problema non è definitivamente risolto. La teoria dell’evoluzione Attraverso quali fasi Darwin si “converte” all’evoluzionismo? Quello che lui dichiara nell’introduzione all’Origine delle specie sembra poco attendibile (cit. in Mayr, p. 353 e 354). – Certamente nell’opera di classificazione del materiale al suo ritorno dal viaggio con il Beagle (per la quale chiede aiuto in particolare a Richard Owen, per i fossili, e all’ornitologo John Gould), Darwin fu indotto a riflettere sulla questione delle specie e della loro variabilità. – È altrettanto certo che durante il viaggio sul Beagle era “ortodosso” (ancorché con dubbi) ma nel luglio del 1837 apre il suo primo taccuino intitolato “sulla trasmutazione delle specie”. – Una volta demolito il concetto di costanza delle specie fu come se si fosse dissipata una nebbia e di colpo le cose si mostrassero in una luce diversa. (cit. Mayr, p. 355) In letteratura si possono rintracciare due posizioni estreme sullo sviluppo della teoria dell’evoluzione in Darwin, che oggi di fatto sono ritenute erronee: – una sostiene che Darwin abbia completamente sviluppato la sua teoria subito dopo la sua conversione all’evoluzionismo; – l’altra invece sostiene che Darwin abbia cambiato continuamente parere e che solo in tarda età abbia del tutto abbandonato le sue convinzioni precedenti. La ricerca recente ha però documentato in modo abbastanza definitivo come in una fase iniziale (il contesto della scoperta), tra il 1837 e il 1838, Darwin abbia accettato e respinto in rapida successione varie teorie, ma che successivamente sia rimasto essenzialmente fedele ai tratti fondamentali della sua teoria proposta negli anni 1840, mutando solo il peso relativo da attribuire a certi fattori (come l’isolamento geografico e l’eredità debole). Quello che sostiene sull’evoluzione nella sesta edizione dell’Origine (1872) e in The Descent of Man [L’origine dell’uomo] (1871) è in sostanza assai simile a quanto sostenuto in un suo saggio del 1844 e nella prima edizione dell’Origine (1859). La distribuzione geografica degli organismi (speciazione geografica) [su Wallace, cf. la cit. in Barsanti, p. 223] Sia Darwin sia Wallace hanno un approccio diverso all’origine delle specie rispetto a quello di qualunque loro “precursore”: i taxa non vengono confrontati solo nella loro dimensione temporale, ma taxa contemporanei vengono messi a confronto nella loro distribuzione geografica. – L’osservazione della moltiplicazione delle specie in zone con caratteristiche fisiche e climatiche affini, o l’osservazione di specie simili in ambienti diversi spinge non solo a riconsiderare il ruolo delle migrazioni dai centri di “creazione”, ma a rivedere la concezione dell’adattamento all’ambiente: un organismo può adattarsi anche ad ambienti con caratteri fortemente diversi da quello per il quale è stato “creato”. E questo adattamento può avere anche esito negativo (estinzione della specie). – Leopold von Buch (geologo) aveva già sostenuto in un saggio del 1825 sulle Canarie che l’isolamento geografico potesse portare alla diversificazione delle varietà a tal punto da ingenerare nuove specie. – Ostacoli naturali limitano la diffusione degli organismi che però possono essere trasportati per distanze amplissime nei modi più impensati. Contro teorie di Lyell, Hooker e altri, che supponevano l’esistenza di antichi ponti di terra tra le attuali terre emerse, Darwin fa esperimenti sulle possibilità di trasporto di organismi da una zona all’altra. Da principio (per pochi mesi) Darwin ammette una teoria della “senescenza delle specie” (del tipo di quella sostenuta dal geologo Brocchi, 1772-1826): le specie hanno una durata prestabilita e si estinguono quando questa si compie e non per cause fisiche. Subito dopo, però, sostituisce a questa teoria una teoria “riproduttiva” della trasformazione organica. Il primo taccuino sulle specie si apre con la frase “la causa finale della generazione [cioè la riproduzione] è l’adattamento a un mondo che cambia”. La concatenazione logica è la seguente: 1. l’ambiente muta, in modo graduale e costante; 2. questi mutamenti selezionano variazioni (casuali) nell’organismo, legate specialmente al meccanismo della riproduzione; 3. la riproduzione sessuale, a differenza di quella asessuale, produce nella prole modificazioni su cui la selezione può agire su base adattiva. Le imperfezioni e le stranezze che tanti esseri viventi manifestano sono residui di adattamenti un tempo perfetti. La riproduzione sessuale, quindi, come causa insieme di uniformità e differenziazione. A differenza di Wallace (che non crede all’eredità dei caratteri acquisiti e rifiuta la selezione sessuale), Darwin rivolge grande attenzione allo studio delle razze domestiche. – In esse la divergenza tra le varietà comporta la sterilità degli ibridi e ostacoli comportamentali all’incrocio fra razze diversificate. – Le varietà domestiche sono però frutto dell’azione umana sulla riproduzione animale: l’allevatore e l’orticoltore selezionano per loro capriccio, mentre la natura per il bene dell’organismo. Ma l’azione della natura è davvero così diversa da quella dell’uomo? Se l’uomo, con tutti i suoi limiti, riesce a ottenere forme tanto variate, che cosa può fare la natura che ha disposizione risorse e tempi lunghissimi? E Darwin utilizza una metafora deistica-laplaciana (presente sia nell’Abbozzo del 1842 sia nel Saggio del 1844, ma sparita nell’Origine del 1859 dove opera solo il meccanismo della selezione): La Natura può essere paragonata a un “essere infinitamente più sagace dell’uomo”, non necessariamente un creatore onnisciente, ma piuttosto un “grande allevatore”; questi potrebbe modificare quasi a piacimento le forme organiche accumulando in una certa direzione le numerosissime variazioni che si presentano spontaneamente. Sono proprio questi studi sulle razze domestiche che contribuiscono alla proposta del meccanismo di selezione naturale. La selezione naturale Negli stessi anni in cui comincia a scrivere nei suoi taccuini sulla questione delle specie, Darwin include anche l’uomo nelle sue concezioni evoluzionistiche. Questa inclusione lo porta ad annotare riflessioni sui rapporti mente/corpo istinti/abitudini comportamenti inconsci/comportamenti razionali E non vengono trascurate questioni relative all’origine e al significato delle idee morali, o al libero arbitrio. L’interesse per l’uomo è anche legato al fatto che in esso lo studio degli effetti dell’uso o del disuso delle facoltà e delle conseguenze dell’eredità delle caratteristiche (fisiche e mentali) acquisite trova un campo particolarmente favorevole. È anche da qui, dallo studio dell’uomo, che traggono origine e sostanza molte delle sue riflessioni di carattere epistemologico su nozioni come causa, legge, caso, finalità (sotto l’influsso di Herschel e Whewell, e indirettamente di Compte). Ma questo suo interesse è, in particolare, la molla che lo spinge a leggere scritti di economia politica e scienze morali. Tra queste letture ha un ruolo particolarmente importante (per lui come per Wallace) il saggio del reverendo Thomas Robert Malthus (1766-1834) dal titolo Essay on the principle of population (1798, 18266). Nell’ottobre 1838 - scrive Darwin nell’Autobiografia - cioè quindici mesi dopo l’inizio della mia ricerca sistematica, lessi per diletto il libro di Malthus sulla Popolazione e poiché, date le mie lunghe osservazioni sulle abitudini degli animali e delle piante, mi trovavo nella buona disposizione mentale per valutare la lotta per l’esistenza cui ogni essere è sottoposto, fui subito colpito dall’idea che, in tali condizioni, le variazioni vantaggiose tendessero a essere conservate, e quelle sfavorevoli a essere distrutte. Il risultato poteva essere la formazione di specie nuove. Avevo dunque ormai una teoria su cui lavorare, ma ero così preoccupato di evitare ogni pregiudizio, che decisi di non scrivere, per qualche tempo, neanche una brevissima nota. Secondo Malthus, è inevitabile che ciclicamente si produca una sproporzione crescente tra le risorse alimentari e la quantità di popolazione fino al momento in cui fattori inibitori (carestie, malattie, guerre, ecc.) non ristabiliscono l’equilibrio. Una legge crudele? Il dibattito all’epoca (e anche successivamente) fu molto acceso. Secondo l’autore se guardata da un “superiore punto di vista” questa legge era benefica: le minacce legate all’eccesso di popolazione inducono a maggiore prudenza e temperanza (soprattutto sessuale); ma se il moral restraint è inefficace, allora intervengono “vizio e miseria”. Sul ruolo giocato dalla posizione di Malthus nella proposta darwiniana dell’evoluzione per selezione naturale si sono divisi storici sociali (che lo sostengono cruciale) e storici della biologia (più marginale). Certo è che Darwin trova in Malthus conferma della forza della pressione demografica: il rapporto predatore/preda individua solo un aspetto della lotta per l’esistenza, a esso si associa una spietata concorrenza fra i membri della stessa specie per la soddisfazione dei bisogni essenziali. La teoria di Darwin - come si legge in Mayr (pp. 425 e ss.) - si imperniava su tre inferenze basate su cinque fatti che a loro volta derivavano in parte dall’ecologia di popolazione, in parte dai fenomeni dell’eredità. Fatto 1. Tutte le specie hanno una fertilità potenziale così elevata che le dimensioni delle loro popolazioni dovrebbero crescere esponenzialmente se tutti gli individui nati si riproducessero a loro volta con successo. Fatto 2. Escluse le fluttuazioni annuali di minore entità e le fluttuazioni occasionali più rilevanti, le popolazioni mostrano normalmente stabilità. Fatto 3. Le risorse naturali sono limitate. In un ambiente stabile esse rimangono relativamente costanti. Inferenza 1. Siccome gli individui prodotti sono più numerosi di quanto le risorse possano sostentare, ma la popolazione rimane numericamente stabile, se ne deduce che deve esistere una feroce lotta per la sopravvivenza tra individui di una popolazione, il cui esito è la sopravvivenza solo di una parte, spesso esigua, della progenie di ciascuna generazione. Coordinando questi fatti legati all’ecologia di popolazione con i fatti dell’eredità (diremmo oggi genetici): Fatto 4. non esistono due individui che siano esattamente uguali; al contrario ogni popolazione mostra un’enorme variabilità; Fatto 5. gran parte di questa variazione è ereditabile; si ottengono altre due importanti inferenze: Inferenza 2. La sopravvivenza nella lotta per l’esistenza non è casuale, ma dipende in parte dalla costituzione ereditaria degli individui che sopravvivono. Questa ineguale sopravvivenza costituisce il processo di selezione naturale. Inferenza 3. Nel corso delle generazioni questo processo di selezione naturale condurrà a un continuo cambiamento graduale delle popolazioni, cioè all’evoluzione e alla produzione di specie nuove. I principali elementi della teoria della selezione naturale sono quindi: ! La fertilità. ! La lotta per l’esistenza e l’equilibrio della natura. ! Pur confessando la sua ignoranza sulle cause della variazione, Darwin distingue nettamente il problema dell’origine della variazione da quello dell’origine delle specie: considerando la variabilità come dato di fatto e le variazioni come casuali (cioè non insorgenti al fine di un adattamento all’ambiente), egli costruisce una teoria dell’evoluzione ancorata all’eriditarietà dei caratteri prima che si abbia una teoria dell’eredità. ! Una volta che le variazioni si sono prodotte casualmente vengono messe alla prova e selezionate. Vale allora un principio (principio di divergenza dei caratteri): tendono a essere selezionate le varietà che più divergono dal tipo parentale perché sono in grado di occupare i posti più diversi, nuovi e meno sfruttati dell’economia naturale. La comprensione dell’unicità di ogni individuo fu forse il cambiamento più rivoluzionario avvenuto nel modo di pensare di Darwin; questo gli permise il passaggio dal modo di pensare tipologico a quello popolazionale. La lotta per l’esistenza dovuta alla competizione era un fenomeno che riguardava gli individui e non le specie. Il modo di pensare popolazionale di Darwin costituisce, come scrive Mayr (p. 434), una delle più importanti rivoluzioni della biologia. È questa una nozione specificamente biologica, la cui adozione è intimamente connessa al rifiuto dell’essenzialismo, cioè al rifiuto del fatto che la variazione sia irrilevante e priva di interesse, e per questo estranea al modo di pensare e operare del fisico e del chimico. Questi caratteri generali della teoria darwiniana si affinano e articolano nelle opere zoologiche e botaniche successive all’Origin: – The variation of animals and plants under domestication (1868) [dove presenta la sua teoria della “pangenesi”] – On the various contrivances by which … orchids are fertilized by insect … (1862) – The effects of cross and self fertilisation in the vegetable kingdom (1876) – The different forms of flower on plants of the same species (1877, raccolta di articoli ) L’evoluzione dell’uomo Le due opere che Darwin dedica all’uomo sono: The descent of man, and selection in relation to sex (1871) e The expression of the emotions in man and animals (1872). Come si è già avuto modo di notare, Darwin non accenna all’uomo nell’Origin anche se i suoi interessi sull’uomo erano iniziati contemporaneamente alla questione delle specie. Si era limitato a scrivere nella conclusione: “un giorno si farà luce sull’origine dell’uomo e sulla sua storia”. The descent of man [L’origine dell’uomo] è divisa in due parti: – la prima tratta dell’origine dell’uomo da forme inferiori – la seconda tratta della selezione sessuale: le differenze tra razze umane sono dovute all’accentuazione, già in epoche remote, dei diversi standard estetici delle varie tribù [cit. Cavalli-Sforza, pp. ix-xii, xiv e ss., xxii] L’espressione delle emozioni L’opera del 1872 è una ricerca su problemi al confine tra neurofisiologia, psicologia e analisi filogenetica: un tentativo di spiegare l’origine di determinati comportamenti e la correlazione tra evoluzione per selezione naturale, processi neuromuscolari e fenomeni fisiologici, sottolineando una stretta corrispondenza fra comportamento umano e animale. “Lo studio della teoria dell’espressione - scrive Darwin alla fine dell’opera - conferma, entro certi limiti, la conclusione che l’uomo è derivato da una qualche forma animale inferiore e rafforza il punto di vista dell’unità specifica o subspecifica delle diverse razze umane; d’altra parte, per quanto possa valere la mia opinione, ritengo non ci fosse bisogno di questa conferma”. Non solo unico progenitore per tutte le razze umane (questo potrebbe essere l’Adamo dei creazionisti), ma anche una comunanza tra espressioni dell’uomo e degli animali (tesi anticreazionista). Impatto della rivoluzione darwiniana: • dal mondo statico si passa a quello in evoluzione (già prima di Darwin, ma da Darwin articolato in forma compiuta), un passaggio che ha vasto impatto sullo sviluppo della scienza in generale • inaccettabilità del creazionismo • confutazione della teleologia cosmica • eliminazione di qualsiasi giustificazione all’antropocentrismo assoluto attraverso l’applicazione del principio di discendenza comune • la spiegazione del “progetto” presente nel mondo attraverso il processo esclusivamente materialistico della selezione naturale, un processo consistente nell’interazione tra la variazione non direzionale e il successo riproduttivo opportunistico che era completamente estraneo al dogma cristiano • la sostituzione dell’essenzialismo con l’approccio popolazionale che è diventato uno dei connotati della biologia moderna Nuove e importanti idee e questioni aperte ! Una serie di dubbi (cit. Rossi, p. 221-222) ! la teoria darwiniana fu accusata di non essere una vera teoria scientifica ! il problema della selezione naturale (cit. Du BoisReymond in Rossi p. 223) Il paradosso nelle teorie evoluzionistiche postdarwiniane (come scrive La Vergata in Rossi, p. 237) è che l’idea di evoluzione si afferma perché Darwin ne propone un meccanismo accettabile, cioè la selezione naturale, ma questo meccanismo non ha la stessa fortuna dell’idea di evoluzione. I succesivi sviluppi della teoria dell’ereditarietà 1. La teoria cellulare (introdotta da Schleiden e Schwann, tra il 1837 e il 1839). • Il protoplasma, non come “prima cosa creata”, ma come elemento comune alle cellule animali e vegetali (Purkyn!, fisiologo cèco, 1839). • Il nucleo cellulare (Purkyn!,1830, Brown, 1833, Henle, 1837): alla fine degli anni ‘40 la struttura cellulare è ormai definita. • Divisione cellulare, divisione nucleare, cromosomi: tra gli anni ‘40 e gli anni ‘80. I fondamentali contributi di Walther Flemming (cromatina e cromosomi): le basi cellulari della sessualità e la centralità dei cromosomi nella trasmissione dei caratteri ereditari. 2. Alle origini della teoria genetica • L’ipotesi “provvisoria” della pangenesi di Darwin (cap. XXVII di The variation of animals and plants under domestication,1868): 1. i caratteri di un organismo sono rappresentati nelle cellule germinali da un gran numero di piccole particelle invisibili (gemmule), tra loro diverse, che si moltiplicano per divisione e vengono trasmesse durante la divisione cellulare; 2. un organismo è composto da cellule, le cui caratteristiche sono determinate dalle gemmule che si trovano in esse. • Francis Galton (cugino di Darwin) nel 1875 propone una teoria dell’eredità basata sulle idee di Darwin e aggiunge l’idea che le unità eriditarie non si fondono. • Johann (Gregor) Mendel (1866): matematica, statistica e biologia. Il suo lavoro viene ignorato per circa 35 anni. Nel 1900 viene riscoperto ed esteso. Le ragioni di questa mancata diffusione sono essenzialmente legate allo stato della biologia a metà Ottocento, la svolta novecentesca porterà a una rapida e diffusa rivalutazione del lavoro mendeliano. Il dibattito attuale alla Tavola Alta dell’evoluzione [da Niels Eldredge, Ripensare Darwin, Einaudi 1999] • Il neodarwinismo: Fisher, Haldane e Sewall Wright (pp. 20-21) • Ultradarwinisti versus Naturalisti (pp. 7-12) • Chi sono i protagonisti del dibattito? (pp. 13-14) • Il richiamo al pluralismo nella spiegazione evolutiva da parte di Gould e Lewontin (pp. 44 e ss.) • Il grande dibattito sulla stasi (pp. 66 e ss.) Note bibliografiche • Paolo Rossi (a cura di), Storia della Scienza, vol. “Dall’età romatica alla società industriale”, UTET (o TEA), Torino (Milano). • Ernst Mayr, Storia del pensiero biologico, Bollati Boringhieri, Torino 1990. • Giulio Barsanti, Una lunga pazienza cieca, Einaudi, Torino 2005. • Julian Huxley e Alfred Haddon, Noi Europei, Edizioni Comunità, Torino 2002. • Niles Eldredge, Ripensare Darwin, Einaudi, Torino 1999.