n.24 ANNO IV QVADERNI DI STORIA 30/11/2006 DUE PAROLE DA… ……..GIOVANI LUPI Ursula Ghellero e Antonio della Valtrompia C.P. 4 – 25075 Nave ( BRESCIA ) C.P. 19 – 71016 SAN SEVERO ( FG ) [email protected] C. Corr. Postale n. 21882766 intestato a Ezio Sangalli Prefazione Nell’ultimo numero del 2006, ospitiamo con vero piacere due brevi scritti che ci sono stati inviati da due dei nostri più fedeli lettori, un giovane lavoratore della Valtrompia ed una universitaria veronese. Sono due scritti diversi ma entrambi agili e freschi; l’uno accademico ma chiarissimo, l’altro rabbioso e ribelle. Siamo davvero orgogliosi di poter presentare questi due pezzi, perché l’obiettivo che ci siamo posti sin dal principio era quello di una cerca. Volevamo scovare i virgulti ancora sani del corpo popolare della nostra stirpe ed incoraggiarli a non mollare, a non considerare fuori moda il loro sentire Tradizionale, anche se circondati da una moltitudine che marcia compatta, ansiosa e frenetica verso il baratro, convinta di essere al culmine del successo. Alcuni di questi giovani li abbiamo raggiunti ed ora faremo il possibile per non farceli scappare. In Puglia, in Lombardia, in Emilia, in Veneto, in Toscana, vivono ragazzi e ragazze che non vogliono cedere alle lusinghe materialiste; che non vogliono consegnare la loro Terra allo straniero, e per i quali la parola Razza ha un significato sacro, e che per la difesa della propria credono valga ancora la pena impegnarsi. Averli raggiunti è un grande risultato, perderli sarebbe una sciagura! Entrambi ci parlano di Roma antica; e di cosa un nostro giovane potrebbe parlare, a cosa potrebbe pensare se non a un tempo in cui la sua Nazione era culla di Ordine e Civiltà?! Ma ciò che conta, ciò che dovete leggere, tra le righe, è la loro volontà di rinascita, il loro rifiuto di questa società ammalata e corrotta. Essi sono la speranza, la continuità, la fede; sono gli anelli di una catena che segue ininterrotta il tempo degli uomini partendo da Dio. Domani essi ricostituiranno l’Ordine Naturale, dove il Sangue vince sull’oro. Dobbiamo aiutarli a crescere, e a convincersi pienamente che ciò in cui credono non è vecchio o fuori moda, ma giovane ed eterno. Essi non devono cedere al dubbio che essere controcorrente in maniera radicale sia anacronistico, che sia giusto adeguarsi al comune vivere moderno. E’ nostro dovere spronarli a resistere e ad ESSERE ESEMPIO per gli altri giovani che li frequentano. *********** Due parole sul grande imperatore romano “AUGUSTO” Augusto, Ottaviano alla nascita, avvenuta all’alba del 23 settembre del 63 a.C. sul Palatino, figlio di Caio Ottaviano e di Azia, figlia di Giulia sorella di Giulio Cesare, assunse il nome di Augusto il 16 gennaio del 27 a.C. con decreto del Senato riunito in seduta solenne. Prima di allora il titolo di Augusto, non era mai stato attribuito a nessun mortale.. Augusto si spense il 19 gennaio del 14 d.C. a settantasette anni non ancora compiuti. Perché due parole sul grande imperatore Augusto, Caio Giulio Cesare Ottaviano? Partiamo dai giorni nostri, dove con questa incontrollabile immigrazione stiamo arrivando al mescolamento delle razze che per noi europei e per la nostra bella Europa rappresenta una piaga aperta e che difficilmente si riuscirà ad emarginare, visto che non esistono leggi concrete e quelle esistenti sono difficili da interpretare e da far rispettare. Spada: “Enea e Anchise” Invece di far figli tra noi europei o tra gente della nostra nazione, con questa immigrazione si inizia a mescolarsi con altri popoli e razze. Ma soprattutto mentre gli extracomunitari e gli africani continuano a fare figli, noi italiani ed europei abbiamo una media di un figlio a famiglia, negli ultimi anni. Io penso che questo sia anche dovuto a questa società moderna dove gli elevati costi della vita quotidiana, impongono ad entrambi i coniugi di lavorare per far fronte alle varie esigenze giornaliere, così facendo non si pensa più a fare figli; ma soprattutto le famiglie, io parlo per quelle interamente italiane, non hanno nessun aiuto concreto dalle autorità che ci governano, e l’istituzione stessa della famiglia, base fondamentale di una comunità, non è tutelata dallo stato. Se non sbaglio ai tempi dell’Impero Fascista vi erano leggi e soprattutto azioni concrete, in difesa della famiglia che incitavano una copia a fare figli, in quanto vi era uno stato vicino alle famiglie, in particolare a quelle numerose non a parole ma con fatti concreti. Perché voglio agganciarmi al grande Imperatore Augusto? La risposta è semplice. L’ imperatore Augusto durante il suo impero si è sempre mostrato severo in fatto di moralità. Infatti puniva l’adulterio ed il celibato, frenava i divorzi e incoraggiava i matrimoni. Ringraziava pubblicamente chi ubbidendo alle sue leggi, dava cittadini a Roma e rendeva feconda la convivenza: “Io amo le famiglie prolifiche” - “Voi padri di famiglia siete così pochi rispetto ai celibi da farmi preoccupare” - “Vi sono riconoscente poiché ubbidite alle mie leggi e in tal maniera contribuite a popolare la città” - “La vostra prolificità assicura a Roma una lunga serie di discendenti” - “Tutti insieme nella successione delle generazioni, siamo come quelle fiaccole che passano di mano in mano e ci assicurano l’immortalità” - “A voi padri, andrà il mio premio; sarete innalzati alle cariche più importanti e agli onori più ragguardevoli”. Mentre nei confronti degli scapoli aveva parole dure di rimprovero accusandoli tra l’altro: “Per colpa vostra Roma sarà presto dominata dai nemici”. Uno dei capisaldi della politica augustea, in difesa della razza romana era l’educazione militaresca della gioventù, con l’idea di conservare il popolo incorrotto da qualsiasi confusione di sangue, pur sapendo a priori che difficilmente nel tempo sarebbe riuscita a mantenersi pura, ma tuttavia bisognava almeno conservare i caratteri di gente guerriera. Incitava i suoi giovani a fare figli con gente romana, e a non prolificare all’infuori dell’impero con stranieri. Per evitare il più possibile mescolanze di sangue straniero o servile. Augusto contrastava la concessione indiscriminata della cittadinanza romana a stranieri. Tanto che respingeva perfino le richieste della moglie Livia e di alcuni suoi fidati, i quali intendevano concedere la cittadinanza ad alcuni loro protetti provinciali, greci o galli. Augusto li liquidava solitamente con un secco no o altrimenti come nel caso della moglie Livia dicendogli che preferiva concedere ai suoi raccomandati l’esenzione dai tributi, facendo perdere grossi introiti al fisco, anziché ferire l’onore dei cittadini romani. Questi sono solo alcuni tratti di scelte positive volute dall’imperatore Augusto a difesa della propria razza e della famiglia. Bisognerebbe che anche i nostri governanti e quelli delle altre Nazioni europee prendessero spunti dall’Imperatore Romano. Invece, proprio mentre scrivo sento Prodi, il burattino di turno, dire ad un gruppo di studenti egiziani: “Abbiamo bisogno di mescolanza!”. Testuali parole, che dovrebbero far rabbrividire sia noi che gli egiziani, depositari di una millenaria civiltà totalmente estranea alla nostra. La diversità delle razze, la difesa delle loro peculiarità e il radicamento nella propria Terra, sono l’unica via da percorrere per una umanità pacifica e ordinata. Io sono convinto che noi europei dovremmo essere più uniti perché siamo un grande continente ricco di tradizione, storia, cultura e la razza europea è una grande razza diversamente dagli Stati Uniti che sono l’emblema mondiale del mescolamento delle razze; infatti come popolo non hanno una loro cultura, una loro storia, non hanno nulla. Hanno solo la prepotenza di imporre la loro infetta idea del mondo con l’uso delle armi e della guerra, perché altro non sono in grado di fare. L’ unica cosa che rispetto sono i vecchi indiani d’America, anche loro annientati dal rapace materialismo distruttore, da sempre contrassegno della politica statunitense. Antonio della Valtrompia “Noi siamo una parte della terra e la terra fa parte di noi.” Così rispose, nel 1854, il capo indiano Seathl a un americano che voleva acquistare una parte del territorio della sua Tribù *********************** ROMA REPUBBLICANA Senatus Populus Que Romanus I dati storici dei primi due secoli di storia romana, dalla fondazione fissata nel 753 a.C. fino alla caduta della monarchia nel 509 a.C.,sono ampiamente mescolati a quelli leggendari. Un quadro più preciso degli avvenimenti, sempre con la dovuta cautela necessaria nell’analisi di fatti avvenuti oltre duemila anni fa e pervenutici con inevitabili distorsioni attraverso la narrazione di storici vissuti nei secoli dopo , e possibile fornirlo a cominciare appunto dal periodo repubblicano 509- 27 a.C. L’instaurazione di un sistema di governo coincise a Roma con la cacciata dei Tarquini e quindi con l’esautorazione di una componente etnica della società romana che, verosimilmente instaurata nella città in posizioni di comando, già da tempo aveva assunto l’egemonia politica. Abbandonata la monarchia si scelse una forma istituzionale che con ogni probabilità era già in vigore in altre città italiche, affidando il comando ad una coppia di magistrati chiamati prima pretori, quindi consoli. Durante la storia repubblicana si assiste ad un evoluzione nella componente sociale al governo, da una prevalenza dell’elemento patrizio, famiglie di origini antiche ed economicamente preponderanti, ad una sempre maggiore infiltrazione di elementi ”plebei”, quasi sempre di origini modeste arricchitisi con attività perlopiù commerciali, fino ad una definitiva parificazione nella possibilità di accedere alle cariche istituzionali (nel 367 a.C. il diritto di accedere al consolato venne ufficialmente riconosciuto ai plebei). Non si conoscono le modalità con cui alle origini della storia di Roma si formò la dicotomia patrizi-plebei, comunque l’antitesti, pur perdurando trasformata nell’opposizione fra popolari ed ottimati della tarda Repubblica, non avrà più rilevanza in epoca imperiale. Il cuore politico della Roma repubblicana fu comunque il Senato. Era composto da trecento membri (fino alla riforma di Silla che nel 1° secolo a.C. lo porterà a seicento), in origine nominati a vita dei consoli. Nel 312° a.C. la facoltà di nominare come di rimuovere dal loro incarico i senatori fu affidata ai censori che ogni cinque anni attuavano una verifica e provvedevano alla riconferma o all’esclusione dei membri del Senato. La denominazione agli appartenenti a questa magistratura e cioè “patres conscripti” riflette una distinzione, seppur solo nominale, fra patrizi (patres) e plebei, che il Senato mantenne a sottolineare l’origine esclusivamente aristocratica di quest’organo collegiale. Nell’ultimo secolo di storia repubblicana cominciarono ad emergere e ad acquisire sempre più spazio le singole individualità a cominciare dal ”popolare” Mario e dall’aristocratico Silla che, pur di estrazione sociale diversa, attuarono entrambi una politica tesa al successo personale, supportati da un seguito di soldati che costituivano un vero e proprio esercito ai loro ordini e da essi stessi mantenuto. La creazione di questi eserciti si spiega con il fatto che, mentre in origine i soldati erano lavoratori, soprattutto contadini, chiamati a servire lo stato nei momenti di bisogno, il militare divenne in seguito una professione remunerata. Nel caso di personaggi come Mario poi, dati i suoi successi in battaglia, il carisma personale contribuiva a creare uno stretto legame con i suoi soldati. Alcuni anni più tardi fu la volta di Pompeo e Cesare, e di Marco Antonio e Ottaviano, i quali con le loro storie individuali di rilievo eccezionale contribuirono anche al declino definitivo della repubblica; fu infatti in coincidenza con l’affermazione di questi personaggi che il senato e le magistrature repubblicane cedettero definitivamente. E’ presumibile ipotizzare che data l’estensione dei domini di Roma, le antiche forme di governo non fossero più adeguate ed invece di attuare un rinnovamento finirono col soccombere alla necessità di una gestione autoritaria di quello che ormai era divenuto l’impero romano. Accanto all’evoluzione politica e sociale di Roma forniamo ora un cenno veloce sulle vicende militari che portarono Roma dalla dimensione cittadina a quella imperiale. Dai primi scontri con città, come Veio, o popolazioni, come Equi, Volsci, Sabini, nell’Italia centrale, Roma si trovò a fronteggiare i Sanniti, stanziati nel centro-sud della penisola, in una serie di guerre (tre per l’esattezza) svoltesi nell’arco di cinquant’anni. La conquista dell’Italia meridionale peninsulare si concretizzò dopo le battaglie sostenute contro il re dell’Epiro, Pirro(chiamato in aiuto di Taranto), che nonostante una serie di vittorie non riuscì a portare a termine il proprio compito e dovette abbandonare il territorio italiano. A questo punto Roma fu ormai costretta a scontrarsi con Cartagine, la maggiore potenza commerciale del mediterraneo centro-occidentale. In seguito alla prima Guerra punica Roma acquisì il controllo di Sicilia, Sardegna e Corsica, che divennero le prime province romane. Durante la seconda guerra punica Roma si trovò in serie difficoltà grazie alle vittorie di Annibale (da ricordare quella di Canne nel 216 a.C.), ma riuscì a ribaltare le sorti della guerra portando l’esercito in Africa (dove Annibale era tornato avendo rinunciato a sferrare l’attacco decisivo a Roma) e sconfiggendo i Cartaginesi a Zama con Scipione nel 202 a.C. Roma era ormai lanciata come potenza militare ed in una serie di guerre contro la Macedonia e la Siria estese i suoi domini in tutto il Mediterraneo. Nel 1°secolo a.C., con la conquista delle Gallie da parte di Caio Giulio Cesare il dominio romano si spinse anche nel nord Europa. Alla nascita dell’Impero, Roma controllava ormai territori estesi dallo stretto di Gibilterra fino alla Siria e Palestina e dall’Africa settentrionale al Mare del Nord. Ursula Ghellero Vercingtorige si arrende a Cesare