Storia della Chiesa medievale QUESTIONI

Corso T106 prof. Antonio Grappone a.a. 2016 / 2017
Note complementari alle lezioni
II parte: Storia della Chiesa medievale
QUESTIONI INTRODUTTIVE
Un problema storiografico: il concetto di Medioevo
1. La questione della periodizzazione e il Medioevo.
La storia, nonostante l’emergere di fatti di particolare evidenza (le cosiddette “svolte epocali”), è in
realtà un continuum: anche gli eventi all’apparenza più sorprendenti affondano le loro radici nel
passato e costituiscono un passaggio obbligato per gli accadimenti successivi. Quindi le
periodizzazioni vanno accettate per quello che sono: uno strumento per facilitare lo studio, in
particolare la memorizzazione, anche se dal punto di vista della comprensione dei fatti costituiscono
più un ostacolo che un vantaggio.
In particolare, il periodo storico denominato “Medioevo” è tra i più discussi e difficili da definire,
tanto che non pochi storici di fatto hanno abbandonato sia la designazione sia soprattutto l’idea
stessa di “età media”. Tuttavia è una categoria storiografica ormai affermata, anche se in continua
riformulazione.
La periodizzazione comunemente accettata accoglie come inizio l’anno 476, una data più
convenzionale che reale, che segna la fine dell’Impero romano d’occidente; l’anno 1492 per la fine,
quando il navigatore Cristoforo Colombo approda per la prima volta sul continente americano.
In alternativa alla discussa denominazione di “Medioevo” sono state avanzate numerose proposte;
tra di esse per il nostro studio va segnalata la denominazione ormai molto diffusa di “tarda
antichità”, un concetto che sottolinea la continuità dell’ultima fase della cultura antica, ma che
rimane vago riguardo alla delimitazione cronologica: inizio sarebbe il III secolo, con la dinastia
imperiale dei Severi, quindi all’inizio del secolo, oppure con Diocleziano, quindi alla fine del III
secolo; il periodo potrebbe considerarsi concluso con l’imperatore Giustiniano (VI sec.) oppure
successivamente, con l’invasione araba (VIII sec.). “Medioevo” sarebbe il periodo successivo.
Esistono altre proposte per stabilire le date di inizio e fine del Medioevo:
per l’inizio
• il 410: Alarico conquista Roma.
• il VII secolo: l’inizio dell’invasione Araba.
• l’anno 800: Carlo Magno incoronato imperatore.
per la fine
• il 1453: l’anno che segna la fine della guerra dei cent’anni tra Inghilterra e Francia, la presa
di Costantinopoli da parte dei Turchi Ottomani e la comparsa del primo libro a stampa, cioè
la Bibbia di Gutenberg.
• il 1517: l’anno in cui Martin Lutero dà avvio al processo che porterà alla Riforma
protestante.
Si è sentito il bisogno anche di suddivisioni e denominazioni storiografiche interne al periodo,
lungo circa mille anni, ma anche tali sotto-periodizzazioni non sono univoche, cambiano a seconda
delle diverse scuole:
− due periodi: alto e basso Medioevo; “alto” fino a circa l’anno mille; il periodo successivo è detto
“basso”
− tre periodi: alto Medioevo, “pieno Medioevo” (secoli XI-XIII), poi basso Medioevo (XIV-XV
sec.). Si tratta delle denominazioni più comuni in Italia.
− in inglese i termini sono usati diversamente: Early Middle Ages (fino all’anno mille); High
Middle Ages (XI-XIII sec.); Late Middle Ages (XIV-XV sec.). Come si vede, quello che è l’alto
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(High) Medioevo per gli anglofoni corrisponde alla prima parte del “basso” Medioevo oppure al
“pieno” Medioevo degli storici di area non anglofona.
− Attenzione alla denominazione “secoli bui” per il periodo fino all’anno 1000. Un’espressione
veramente forviante!
476
Alto Medioevo
Alto Medioevo
Early Middle Ages
1000
1300
Basso Medioevo
Pieno Medioevo
High Middle Ages
1492
Basso Medioevo
Late Middle Ages
2. Un concetto negativo: media aetas
Il termine Medioevo è stato introdotto dagli umanisti, una corrente di rinnovamento culturale fiorita
nei secoli XV e XVI; la prima attestazione nota si trova nelle Historiarum ab inclinatione
romanorum imperii decades, dell’umanista Flavio Biondo, scritta verso il 1450 e pubblicata nel
1483. Gli umanisti si proponevano di dare vita a una cultura e a un’umanità nuova, a imitazione del
modello rappresentato dalla Grecia e da Roma antiche. L’idea di un intervallo di 10 secoli di
barbarie tra la fine del mondo classico e la sua rinascita ebbe successo: diventò una categoria
mentale dominante sotto la spinta di interessi di diversa natura che hanno finito per convergere.
Per i riformatori protestanti del 16° sec. la connotazione negativa del Medioevo era un dato
strutturale essenziale per giustificare l’iniziativa della Riforma: il Medioevo fu rappresentato come
il periodo della corruzione della vera religione cristiana da parte di una Chiesa cattolica imbarbarita
e traviata dal potere e dal denaro. I riformatori avevano il compito di riportare la fede cristiana alle
origini incorrotte, cancellando tutte le presunte sovrapposizioni e distorsioni intercorse nei 1000
anni chiamati Medioevo.
Per gli illuministi del 18° sec. la media aetas costituiva il trionfo dell’ignoranza e della
superstizione a scapito della ragione, da loro finalmente recuperata; ignoranza e superstizione
vengono addebitate alla Chiesa. Determinante per molta parte della nostra concezione negativa del
Medioevo è l’opera dello storiografo illuminista e massone inglese Edward Gibbon, che attribuisce
la caduta dell’impero e la decadenza della civiltà al cristianesimo cattolico, una tesi tanto diffusa
quanto inconsistente.
Durante il periodo romantico (XIX sec.), il Medioevo viene per qualche aspetto riabilitato, ma in
forma mitizzata, preso in considerazione soprattutto come generatore originario delle culture
nazionali: tempo di eroi, cavalieri, sentimenti nobili… basta pensare a Wagner e al suo Parsifal.
Oggi a livello popolare la percezione del Medioevo è un vero guazzabuglio: nell’opinione
dominante la Chiesa cattolica avrebbe costituito il potere dominante corrotto e dispotico, retrogrado
(“oscurantista”) e violento, come è descritto, ad esempio, in romanzi o film pseudostorici di
successo tipo “Il nome della Rosa”; è ben noto il lungo “rosario” di accuse anticattoliche: “milioni”
di eretici bruciati, caccia alle streghe, crociate colonialiste contro inermi islamici invasi nelle “loro”
terre, ostilità alla scienza e alla ragione, torture efferate, ipocrisia moralista, oppressione della
donna, schiavismo… e chi più ne ha più ne metta.
Si assiste d’altra parte alla valorizzazione di persone e fatti presentati come “dissidenti”: presunte
resistenze pagane, con sensibilità “ecologiste”, positività di eresie di ogni sorta, islam tollerante di
fronte a crociati fanatici e cattivissimi, barbari più civili dei romani…; sarebbero tali fatti e
personaggi ad aver preparato lo spirito europeo-occidentale attuale (il migliore dei mondi
possibili…), il tutto ricostruito in base a elementi storici deformati o di fantasia. Naturalmente
questa presentazione farsesca viene veicolata soprattutto attraverso i mezzi di comunicazione di
massa e, purtroppo, spesso anche nella scuola. Tuttavia a livello accademico disponiamo ormai di
una grande mole di studi seri su un’epoca ricca, complessa e ancora non abbastanza conosciuta.
Come è ovvio, gli esiti della ricerca dipendono in parte dai presupposti ideologici di ciascuno
studioso, tuttavia generalmente è stata superata l’idea di “decadenza” o di “secoli bui”.
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3. Una valutazione sintetica del significato del Medioevo
Si tratta di un periodo lungo (mille anni) e complesso, caratterizzato in Europa da due fenomeni:
− incontri/scontri di popoli e culture molto diversi
− il lento e contraddittorio, ma estremamente fecondo, processo di integrazione tra di essi
Nel processo di integrazione si possono riconoscere due direttrici socio-culturali di segno opposto:
− la dissoluzione e la trasformazione delle strutture della civiltà antica e dei valori ad esse legati
− il sorgere e la graduale maturazione di culture nuove
Tali processi si verificano simultaneamente e con intensità diversa a seconda di tempi e luoghi;
possiamo comunque indicare sommariamente tre fasi: fino al X secolo i processi di dissoluzione
sembrano prevalere, accavallandosi come a ondate successive; dall’XI-XII secolo emergono
decisamente i processi di integrazione e di sviluppo; dalla metà del XIV sec. molti modelli sociali e
culturali medievali vanno progressivamente in crisi e iniziano a formarsi categorie culturali,
politiche ed economiche nuove.
I processi di disgregazione sono causati da invasioni, guerre, saccheggi, epidemie, carestie e crisi
economiche e del commercio; tali eventi producono innanzitutto un grave collasso demografico: i
decessi prevalgono sulle nascite, si abbassa la vita media, che scende intorno ai 40 anni, soprattutto
a causa dell’alta mortalità infantile; il livello culturale medio precipita, in alcuni periodi
l’analfabetismo è normale anche nelle classi sociali elevate; una profonda crisi sociale corrode le
istituzioni di riferimento, dalla cosa pubblica alla famiglia alla stessa organizzazione religiosa; la
decadenza della coscienza morale aggrava la difficoltà nelle relazioni sociali.
I processi inversi, di integrazione di popoli e di culture e di sviluppo economico e sociale, si
innescano grazie alla preservazione della cultura antica e al suo sviluppo, specie negli ambienti
monastici, grazie agli scambi culturali facilitati dalla comune adesione dei vecchi popoli e dei nuovi
alla fede cattolica, che ha comportato una nuova organizzazione della difesa verso l’esterna e
dell’ordine pubblico, la ripresa delle attività economiche, agricoltura, pastorizia, artigianato,
commercio, il progresso delle tecniche produttive, la creazione di istituzioni scolastiche, l’efficacia
della predicazione cristiana nell’elevare il livello morale della popolazione.
L’istituzione protagonista e promotrice di sviluppo nelle fasi di ricostruzione sociale e culturale di
fatto è stata innegabilmente la Chiesa cattolica, intesa nelle sue diverse e anche contrastanti
componenti (chierici e laici, papi e re, poeti, musicisti, soldati, monaci, contadini…), tanto che si
deve parlare di “cristianità” se si vuole definire in modo sintetico la civiltà del Medioevo; questo
però non significa affatto che tutto fosse “cristiano”, nel senso di conforme al Vangelo o alla morale
della Chiesa. Questo dato di fatto innegabile ovviamente ha comportato un giudizio totalmente
negativo verso il Medioevo da parte di chi avversa, per varie ragioni, la Chiesa cattolica. Non si
tratta però di un atteggiamento giustificato dal dato storico in sé.
4. Un potere-servizio necessario
Di fronte al disgregarsi delle istituzioni civili, l’unica struttura che in qualche modo resiste alla
dissoluzione, conservando una capacità di organizzazione e una rete di rapporti internazionale, è la
Chiesa. La Chiesa può contare su una organizzazione territoriale gerarchica ed “elastica”, nel senso
che è capace di adattarsi a condizioni difficili senza scomparire e di prestare aiuto alla popolazione,
quando si trova priva di punti di riferimento. L’organizzazione ecclesiastica conta su un doppio
sistema integrato ma relativamente autonomo nelle sue componenti: da un lato il vescovo e le
chiese affidate ai suoi preti; dall’altro la rete dei monasteri. La Chiesa nei periodi più difficili deve
intervenire a tutto campo per coprire i molti vuoti lasciati dalla scomparsa delle istituzioni:
Questioni sociali: da un lato già dai tempi di Costantino lo Stato romano aveva riconosciuto alla
Chiesa la competenza per le opere assistenziali, promuovendone e finanziandone le iniziative:
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nosocomi, orfanatrofi, ospizi per pellegrini ecc.; con la scomparsa dello Stato la Chiesa continua la
sua opera adattandola alle nuove esigenze; a Roma ad esempio nel primo Medioevo si sviluppa
capillarmente il sistema delle “diaconie”, che erano centri gestiti da laici con annesso oratorio, per
l’assistenza dei poveri del quartiere. D’altra parte la scomparsa delle strutture educative tradizionali
pagane spinge vescovi e monasteri all’istituzione di scuole pubbliche, per l’alfabetizzazione dei
chierici e della popolazione.
Questioni politiche: nel IV e V secolo, nell’ultima fase dell’Impero d’occidente, il coinvolgimento
dei vescovi nella politica dipende dall’ingerenza degli imperatori nell’ambito della fede: le
questioni religiose diventano problemi politici. Nel Medioevo questo aspetto non scompare, specie
in oriente, ma sorge l’esigenza nuova di dialogare e scontrarsi con la politica per tutelare le
popolazioni rimaste senza tutele; in molte situazioni i vescovi sono i soli che possono e devono
provvedere all’ordine pubblico, all’approvvigionamento delle derrate alimentari essenziali e persino
alla difesa, fino a dover promuovere e organizzare milizie locali.
Il coinvolgimento della Chiesa nella politica, molto chiaro nel Medioevo, viene spesso presentato
come un’avida ricerca dell’egemonia e della ricchezza. Secondo i canoni della storiografia marxista.
Senza negare che tale coinvolgimento abbia non di rado comportato queste conseguenze (non tutti
sono santi), il centro della questione in realtà va ricercato nella preoccupazione tipicamente cristiana
di soccorrere una popolazione allo sbando, abbandonata a se stessa e senza difese.
5. Secoli difficili
L’incertezza domina tutta la prima parte del Medioevo; invasioni, saccheggi, difficoltà di
approvvigionamento, carestie, epidemie, abbandono delle città, provocano un grave spopolamento e
la scomparsa delle infrastrutture essenziali.
Un esempio: l’incidenza delle epidemie
Epidemie generali
− L’epidemia di peste bubbonica sotto Giustiniano (541-542): scoppia nell’Impero Bizantino e si
diffonde in tutto il Mediterraneo, decimando esercito e popolazione; tra l’altro impedisce
all’imperatore di portare a termine la riconquista delle terre occupate dai barbari.
− La “Morte nera”, o peste nera, colpisce l’Europa tra il 1347 e il 1353: muoiono più di 75 milioni
di persone (un terzo della popolazione); l’epidemia, insieme alla guerra dei cento anni tra
Francia e Inghilterra (1337-1453), segna la fine del periodo di maggior sviluppo del Medioevo.
Epidemie documentate nella sola città di Roma
Gelasio I (492-496) peste
Giustiniano (536)
peste
Pelagio II (590)
peste
599
malaria
678-80
peste
864
peste
964
peste
Enrico II 1022
peste
Corrado II 1038
peste
Enrico IV 1083
peste
Barbarossa 1167
peste
1170
malaria
1285
peste o malaria
(Nel 1350, mentre in Europa imperversa la peste nera, il primo Giubileo si svolge a Roma senza
problemi sanitari, nonostante il massiccio afflusso di pellegrini).
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I.
LA DISSOLUZIONE DELL’IMPERO ROMANO D’OCCIDENTE
Per semplificare l’esposizione dei fatti principali che segnarono la fine dell’Impero romano
d’occidente, conviene distinguere un antefatto, la Battaglia di Adrianopoli del 378, e due fasi: dal
395 al 455; dal 455 al 476. La prima fase va dalla morte di Teodosio (395), che negli ultimi anni
aveva governato l’impero da solo, a quella di Valentiniano III (455), l’ultimo imperatore
d’occidente che ha effettivamente tentato di salvare i territori che costituivano solo teoricamente la
sua giurisdizione. Il 476 è l’anno della deposizione e dell’esilio di Romolo Augustolo, l’ultimo
imperatore d’occidente, un sedicenne senza alcun potere reale.
La prima fase (395-455): tentativi di resistenza da parte dell’Impero
Alla morte di Teodosio (395), l’impero viene affidato ai suoi due figli, Onorio per l’occidente e
Arcadio per l’oriente; si tratta ancora di un unico impero, in esso tuttavia le differenze sociali,
economiche e culturali tra le due parti andavano decisamente accentuandosi.
Alla morte di Teodosio un intero gruppo germanico molto agguerrito, i visigoti, era già stabilmente
stanziato all’interno dell’Impero, nella penisola balcanica, con la qualifica di popolo “federato”, ma
di fatto indipendente e incontrollabile. La situazione si era creata a seguito della rovinosa sconfitta
romana nella battaglia di Adrianopoli (378), a cui Teodosio aveva rimediato a stento accordandosi
con i visigoti. Costoro, come tutti i popoli germanici che li seguiranno, vivono sfruttando le risorse
delle regioni dove si insediano, e le abbandonano quando le risorse sono esaurite; in quel periodo si
spostano nella penisola balcanica creando problemi soprattutto alla parte orientale dell’Impero.
Dal punto di vista dell’organizzazione militare, in occidente il comando dell’esercito si concentra su
un solo uomo, il magister utriusque militiae, il “generalissimo” che di fatto sostituisce l’imperatore
nella conduzione delle guerre. Poiché l’esercito romano, ormai da qualche secolo, è formato in gran
parte da mercenari provenienti da popoli esterni all’Impero, soprattutto germani, particolarmente
abili nei combattimenti; questi generalissimi sono quasi sempre di origine germanica, si trovano
cioè a combattere dalla parte dei romani contro popoli della loro stessa stirpe.
Dalla metà del IV secolo un popolo delle steppe dell’Asia, gli Unni, si riversa in Europa centrale
aggredendo le popolazioni germaniche; queste ultime quindi in misura crescente cercano rifugio
nell’Impero e ne varcano i confini, segnati dal Reno e dal Danubio, in modo non sempre pacifico.
All’inizio del V secolo alla testa dell’esercito di Onorio c’è Stilicone, un generale romano di origine
vandala, molto abile e profondo conoscitore delle tecniche di combattimento dei germani.
− Stilicone nel 402 a Verona riesce a sconfiggere i visigoti stanziati nei Balcani che volevano
entrare in Italia, guidati dal giovane re Alarico; nel 405 a Fiesole annienta un’orda costituita da
diverse tribù germaniche guidate da Radagaiso, che stava devastando l’Italia. Sconfigge anche
gli Alani che avevano invaso la Gallia, nel 406.
− Il 31 dicembre del 406 i vandali, alla testa di diverse tribù provenienti dalle zone baltiche,
varcano il Reno e devastano la Gallia, senza che l’esercito romano riesca a ricacciarli.
− Nel 408, a seguito di un intrigo di corte, Onorio, che risiede a Ravenna, fa assassinare Stilicone;
l’Italia rimane senza difesa: i visigoti di Alarico prendono Roma nel 410, un evento di grande
significato simbolico. I visigoti continuano la marcia verso sud, intenzionati a invadere l’Africa,
ma Alarico muore in Calabria, quindi tornano sui loro passi ed entrano anche loro in Gallia.
− Nel 407 l’usurpatore Costantino III, per difendere le sue pretese imperiali, sposta le legioni dalla
Britannia in Gallia, lasciando l’isola in balia di pitti (celti di Scozia) e sassoni (germani), che
assaltano la Britannia dal mare. Nel 410 i britanni chiedono aiuto a Onorio, che però risponde
negativamente. L’isola si divide in piccole entità autonome celtico-romane. Nel 430 i sassoni
vengono chiamati per contrastare i pitti, ma questo dà l’avvio all’invasione germanica.
− I vandali, insieme a suebi (o svevi) e alani varcano i Pirenei. Si insediano nella Spagna del sud
(Andalusia, da Wandal). Nel 428, approfittando del conflitto tra il conte Bonifacio e Onorio,
guidati dal giovane Genserico (rex 428-477) invadono l’Africa, terra allora molto ricca, e la
conquistano. Nel 430 muore Agostino in Ippona da loro assediata. L’occupazione dell’Africa,
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terminata con la presa di Cartagine nel 439, priverà ciò che resta dell’Impero d’occidente di
risorse economiche fondamentali e della sicurezza dei mari, dominati dalle navi dei vandali.
− Intanto, nel 423 era morto l’imperatore d’occidente Onorio, senza eredi diretti; l’imperatore
d’oriente, che è Teodosio II, inizialmente tenta di regnare da solo sull’impero, ma poi lascia il
titolo di imperatore d’occidente (Augusto) al piccolo Valentiniano III, figlio di Galla Placidia,
sorella di Onorio; Galla Placidia quindi assume di fatto il governo durante la minore età del
figlio. Ascende al comando dell’esercito Ezio, di probabile origine scita, che si concentra
soprattutto nella difesa della Gallia.
− Gli Unni, guidati da Attila, dal 440 intensificano le loro razzie nella penisola balcanica; Ezio
cerca un accordo con gli Unni, che conosceva bene, ottenendo mercenari per il suo esercito in
cambio della concessione agli Unni della Pannonia seconda, una provincia vicino al Danubio.
Ma nel 451 Attila invade la Gallia; Ezio, con un esercito composto di germani mercenari
integrati con un grosso contingente di visigoti, riesce a sconfiggerlo nella battaglia detta dei
Campi Catalaunici. Attila allora ripiega senza essere inseguito, quindi nel 452 invade il nord
dell’Italia, prendendo Aquileia, Padova, Verona e Pavia; viene fermato nella sua avanzata da
una delegazione guidata da papa Leone I, che lo convince a rinunciare alla presa di Roma. Attila
torna in Pannonia; muore improvvisamente nel 453 e il suo impero si disgrega in pochi mesi.
− A causa dei soliti intrighi di corte, Ezio viene messo a morte da Valentiniano III nel 454, ma
l’anno seguente due suoi ufficiali lo vendicano assassinando Valentiniano.
La seconda fase (455-476): agonia dell’Impero d’occidente
Alla morte di Valentiniano III, l’Italia è ancora libera da occupazioni germaniche, mentre Gallia,
Spagna e Africa sono ormai stabilmente sotto il domino di diversi popoli germanici, che
formalmente in molti casi hanno ottenuto una sorta di legittimazione dall’imperatore, in realtà sono
del tutto autonomi e ancora in movimento. La Britannia da mezzo secolo è abbandonata al suo
destino, contesa tra la popolazione locale (celti romanizzati) e popolazioni germaniche.
− Con il pretesto di vendicare l’uccisione dell’imperatore, la flotta vandala guidata da Genserico
approda alle foci del Tevere e saccheggia Roma per due settimane, portando con sé un grande
bottino e molti prigionieri, tra cui la vedova di Valentiniano e due sue figlie.
− La successione di Valentiniano risulta ormai irrealizzabile; nel 456 assume il comando
dell’esercito romano occidentale Ricimero, un altro generale di origine germana, che per sedici
anni designa e depone imperatori fittizi. Nel 457 fa eleggere Maioriano, che in effetti fa alcuni
tentativi, con alterna fortuna, di riprendere il controllo dell’impero, ma nel 461 viene attaccato e
ucciso da Ricimero stesso, che non ne condivide le scelte politiche.
− Il problema principale in questo periodo sono le incursioni dei vandali di Genserico, che
dall’Africa attaccano le coste; l’imperatore d’oriente Leone tenta una grande spedizione navale
ma viene sorpreso da Genserico che ne distrugge la flotta. I vandali quindi occupano la Sicilia
(468) e sconfiggono nuovamente l’esercito imperiale. Zenone, successore di Leone, stipula una
pace con Genserico lasciandogli libertà di azione nel Mediterraneo occidentale (476).
− Intanto la successione imperiale in occidente è sempre più confusa; il patrizio Oreste, entrato in
conflitto con l’uomo designato da Costantinopoli, Giulio Nepote, approfitta dell’assenza di
quest’ultimo per mettere sul trono il figlioletto Romolo Augustolo (474). Oreste riesce a mettere
insieme un esercito di germani fuggiaschi che ben presto, però, insoddisfatti della paga, lo
depongono e scelgono tra di loro il nuovo capo, Odoacre, sciro (germano) di origine. Odoacre fa
uccidere Oreste, depone Romolo Augustolo e lo manda in Campania; invia le insegne imperiali
a Costantinopoli e si dichiara re degli eruli, la popolazione che domina l’Italia. Siamo nel 476,
l’anno che segna convenzionalmente la fine dell’Impero romano d’occidente.
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II.
L’ITALIA
L’Italia post romana attraversa tre fasi:
- il dominio di popolazioni germaniche, prima Odoacre (476-493) e poi gli ostrogoti (493-535),
un periodo caratterizzato da collaborazione tra gli occupanti, che preferiscono non integrarsi
(rimangono ariani), e la popolazione italica, che conserva le vecchie strutture romane
- la guerra greco-gotica (535-553): il tracollo dell’Italia; l’Impero d’Oriente riconquista l’Italia
dopo una lunga guerra sanguinosa, distruttiva, che lascia dietro di sé una popolazione decimata,
stremata e senza punti di riferimento. Il nuovo governo si dimostrerà incapace di promuoverne
lo sviluppo e la difesa, divenendo particolarmente odioso per il carico fiscale che impone
- nel 568 inizia l’invasione dei longobardi, un gruppo di tribù germaniche pagane con qualche
“infarinatura” di arianesimo, molto arretrate culturalmente; occupano alcune parti dell’Italia, in
una condizione di continuo conflitto sia con i bizantini sia tra di loro, dando inizio a un lungo
periodo di insicurezza e instabilità.
1. La caduta di Odoacre e il regime degli ostrogoti
Odoacre, nominato “patrizio” (476) dal senato di Roma, vorrebbe esercitare il potere in Italia a
nome dell’imperatore d’oriente, Zenone, ma non ne otterrà mai il riconoscimento.
Intanto gli ostrogoti, sfuggiti agli unni, avevano invaso i Balcani. Nel 488 Teodorico, re degli
ostrogoti, si accorda con Zenone che lo convince a lasciare i Balcani con l’incarico di strappare
l’Italia a Odoacre; Teodorico occupa l’Italia nel 489-493 sconfiggendo e uccidendo a tradimento
Odoacre, che si era rifugiato a Ravenna.
− Sotto Teodorico (ariano) l’episcopato cattolico conserva la funzione socio-politica riconosciuta
da Costantino e Teodosio; vengono mantenuti buoni rapporti con il papato, rispettato da
Teodorico. Anche le strutture scolastiche e amministrative sopravvivono, in particolare il senato
di Roma. I rapporti tra Teodorico e i sudditi romani si deteriorano con il tempo perché il re teme
l’ingerenza e le ambizioni di riconquista dell’imperatore d’oriente.
− Teodorico nella prima parte del suo regno cura la collaborazione con la classe alta romana; il
senato senza imperatore acquisisce maggior potere; considera il sovrano ostrogoto come un rex
sottomesso all’imperatore. Si realizza così uno sviluppo separato tra goti ariani e romani
cattolici che col tempo finirà per creare gravi problemi.
− Nel 484 papa Felice III scomunica Acacio, patriarca di Costantinopoli. Inizia lo “scisma
acaciano” (484-519) che divide per 35 anni le chiese d’oriente e d’occidente.
− Nel 498 vengono eletti papi simultaneamente da due partiti avversi Simmaco (+514)
(antiorientale) e Lorenzo (conciliante verso gli orientali): Teodorico opta per Simmaco.
− Morto Teodorico (526), la figlia Amalasunta, reggente per il figlio Atalarico, cerca di rafforzare
il rapporto tra i goti e i cattolici, ma alla morte prematura del bambino (534) deve sposare il
cugino Teodato, che poco dopo la relega su un’isola del lago di Bolsena, dove viene uccisa
(535); l’episodio fornì il pretesto per lo scoppio della guerra greco-gotica (535-553).
2. Boezio e Cassiodoro, due personaggi illustri al tempo di Teodorico
Boezio (480-525/26) è romano, genero di un prefetto di Roma. Dal 510 è console, una carica al suo
tempo solo onorifica; di fronte allo sgretolarsi della civiltà romana, si preoccupa di preservare e
trasmettere la cultura: traduce e commenta le Categorie di Aristotele; commenta l’Isagoge di
Porfirio (si tratta di un trattato di logica aristotelica) e ne fa una nuova traduzione; scrive trattati De
arithmetica, De musica, pervenuti fino a noi, e scritti di geometria e astronomia andati perduti: si
tratta delle cosiddette arti del quadrivio; scrive opere sulla retorica e la grammatica, cura traduzioni
di Aristotele. La logica di Aristotele nella versione di Boezio rimane alla base degli studi fino al XII
sec. Tra i suoi scritti troviamo 5 opuscoli teologici (De Trinitate; Contro Eutiche e Nestorio);
esamina i termini chiave dello scontro con i monofisiti, in particolare i termini natura e persona.
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Dal 523 è magister officiorum; però a Costantinopoli regna ormai Giustino e i rapporti con
Teodorico si fanno tesi, perché il re ostrogoto ha paura di essere tradito in favore degli orientali, che
rivendicano il potere sull’Italia.
Boezio è accusato da Teodorico di tradimento e altri delitti inventati; anche il senato a Roma se ne
vuole liberare. Imprigionato a Pavia, in carcere scrive la sua opera più celebre, il De consolatione
philosophiae. Viene ucciso nel 525 o 526. Dalla Chiesa è venerato come martire.
− Le sue traduzioni dell’Isagoge, delle Categorie, insieme ai cinque trattati originali, costituiranno
i codici base per lo studio della logica durante molti secoli.
− Anche i trattati musicali del Medioevo dipenderanno a lungo da Boezio. La teoria musicale
degli “otto toni” si fonda su un errore di interpretazione delle teorie musicali greche, trasmesso
attraverso il suo trattato sulla musica.
− Quasi tutto il platonismo cristiano, sviluppato fino al XII sec., proviene dal De consolatione
philosophiae, eccezion fatta per una parziale traduzione del Timeo. Molti sutdiosi si sono chiesti
se l’opera sia da considerare di ispirazione cristiana, infatti nel De consolatione non compare
mai il nome di Cristo. Certamente in questo dialogo, dove la filosofia interviene personificata, si
tratta della filosofia platonica. È un platonismo però imbevuto di Sacra Scrittura, riconoscibile
da brevi ma frequenti allusioni, non citazioni. Nel quinto libro inoltre troviamo un’importante
riflessione sulla predestinazione - un tema di matrice agostiniana - risolta acutamente
contrapponendo l’eternità di Dio al tempo umano. De consolatione philosophiae in realtà è uno
scritto cristiano, espresso però in termini platonici: una riflessione approfondita sul valore
imperituro della sapienza, pensata in vista della propria morte.
Anche Cassiodoro (490-585) appartiene all’aristocrazia romana. Il padre era prefetto del pretorio e
patrizio per concessione di Teodorico. Tra i parenti di Cassiodoro si annoverano le antiche e illustri
famiglie senatoriali romane dei Simmachi e degli Anici.
− Questore fino al 511, dal 514 console ordinario, subentra a Boezio come magister officiorum.
Nel 526 comincia il tracollo del regno goto, che si aggrava quando inizia la guerra contro
Giustiniano (535). In quel periodo Cassiodoro cerca di barcamenarsi tra intrighi politici e fedeltà
a Teodorico, finché il re è in vita, per favorire la conciliazione tra romani e goti.
− Nel 536 fonda a Roma con papa Agapito una scuola teologica con biblioteca annessa. Si ritira
dalla scena pubblica nel 537.
− A 70 anni Cassiodoro si reca in Calabria e là fonda il monastero di Vivarium: un’istituzione
dove, oltre al lavoro manuale, si cura molto lo studio e la trascrizione di testi. Scrive per
l’istruzione dei suoi monaci due libri: De institutione divinarum litterarum e De artibus et
discipliniis liberalium litterarum, opere a carattere enciclopedico, come introduzione di cultura
generale alle Scritture; questi scritti saranno alla base del programma pedagogico che ha
caratterizzato il Medioevo, basato sulle sette arti liberali.
− A 90 anni scrive il De orthografia, la sua ultima opera; si rendeva perfettamente conto della
decadenza della cultura e della necessità di preservarne i fondamenti, primo tra tutti la lingua.
3. La guerra greco-gotica e i longobardi
Teodorico era stato educato a Costantinopoli, aveva saputo tutto sommato costruire un’entità stabile
basata sulla collaborazione tra goti e romani, mantenendo però una netta separazione tra i due
popoli. I goti in effetti erano pochi, concentrati intorno a Ravenna. I successori di Teodorico però
non saranno all’altezza del compito e creeranno molte tensioni con la popolazione dell’Italia.
La situazione precipita quando Giustiniano intraprende la riconquista. Gli ultimi re goti Totila (541552) e Teia (552) oppongono una tenace resistenza, ma lasciano dietro di sé solo rovine: Milano è
distrutta, Roma è privata dei suoi acquedotti; la classe senatoria è irrimediabilmente dispersa; le
magistrature e le strutture amministrative annientate. Solo Ravenna sopravvive.
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L’Italia rimane sotto il controllo di Costantinopoli per meno di 16 anni; nel 568 subisce l’invasione
dei longobardi e le continue guerre che ne conseguono.
I longobardi, popolo germanico di religione ariana e pagana, all’inizio del VI secolo si trovano nella
pianura pannonica (attuale Ungheria); appoggiano la guerra di Giustiniano contro i goti, ma nel 568,
sotto la pressione degli Avari, decidono di invadere l’Italia, da poco tornata sotto il dominio di
Costantinopoli, guidati dal re Alboino e accompagnati da altre tribù germaniche.
Nel 572 Alboino riesce a prendere Pavia, ma molti territori, città e fortezze rimangono nelle mani
delle truppe di Costantinopoli, così che i longobardi si stabiliscono in Italia “a macchia di
leopardo”, formando entità autonome e spesso in conflitto tra loro, tanto che per dieci anni sono
senza re (574-585). Alboino non era stato in grado di organizzare un’amministrazione a causa del
pessimo rapporto dei longobardi con quel che rimaneva della classe dirigente di origine locale.
Scompare in questo periodo la classe senatoriale romana. L’invasione dei longobardi è
caratterizzata da massacri e confische massicce, i vescovi sono uccisi o espulsi e viene ammesso
solo il cristianesimo ariano.
Il territorio italiano sarà suddiviso per secoli tra longobardi e bizantini; questa situazione lascerà
un’eredità duratura anche dopo il loro declino e l’Italia rimarrà politicamente divisa fino al 1861.
All’inizio del sec. VII Agilulfo (590-616) sposa la cattolica bavara Teodolinda; lui stesso si
converte nel 607 e si accosta così ai quadri romani sopravvissuti; tutti i longobardi, lentamente, nel
corso del VII e dell’VIII secolo, accetteranno il cattolicesimo.
Per imitazione dei bizantini, dall’epoca di Agilulfo si comincia a organizzare il territorio: appaiono i
duchi alla guida di entità di fatto indipendenti (Friuli, Spoleto, Benevento…). Un sistema fiscale
organizzato emerge alla fine del VII secolo; i vescovi cattolici ritornano nel VII secolo a Pavia.
Il diritto longobardo viene messo per iscritto con l’editto di Rotari (643).
4. Gregorio Magno
L’opera del grande pontefice illustra molto bene la situazione dell’Italia sotto il dominio longobardo
e bizantino, ma anche quella di molte aree dell’Europa, di cui il papa si interessò per seguire la sorte
della Chiesa sotto i nuovi regni romano-barbarici.
Gregorio Magno (540-604; papa dal 590 al 604): romano, della famiglia senatoriale degli Anici, in
una città che dipende da Costantinopoli, ma che è abbandonata a se stessa; dapprima è prefetto
dell’Urbe, poi monaco e fonda un monastero al Celio, nei palazzi di famiglia; quindi il papa lo
ordina diacono, e lo invia come apocrisario (rappresentante) a Costantinopoli; diventa papa nel 590.
- Appena eletto papa, deve approvvigionare Roma di cereali, facendoli giungere dalla Sicilia, dai
beni della Chiesa ancora preservati; organizza la distribuzione regolare del grano per i poveri.
- Dispone la difesa di Roma e tratta con i Longobardi, osteggiato da Costantinopoli che segue
un’altra politica, ma non assicura una difesa adeguata della città.
- Si adopera per la conversione dei longobardi al cattolicesimo, con l’aiuto della loro regina
Teodolinda, di origine burgunda e cattolica, moglie del re longobardo Agilulfo.
- Invia una missione in Britannia per gli anglosassoni ancora pagani, guidata dal monaco
Agostino, composta da una quarantina di monaci del Celio. La missione ottiene la conversione
delle popolazioni germaniche.
- Interviene in Burgundia e con i franchi per promuovere la disciplina del clero.
- Prudente con i visigoti, che si erano appena convertiti con il re Recaredo, segue la situazione
attraverso il suo amico Leandro, vescovo di Siviglia.
- Interviene in Africa contro le recrudescenze del donatismo.
- Difendendo il primato romano su base teologica, polemizza con Giovanni di Costantinopoli per
l’epiteto “ecumenico” che il patriarca si attribuisce, in virtù della preminenza politica di
Costantinopoli.
Opere di Gregorio:
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• Moralia in Iob, per i monaci, iniziato a Costatninopoli
• Omelie sui Vangeli, su Ezechiele, sul Primo Libro dei Re, sul Cantico
• Quattro libri di Dialoghi
• La regola pastorale
• Un ricco epistolario
Gregorio trasforma l’insegnamento tradizionale adattandolo alle nuove necessità, operando una
sintesi dottrinale e spirituale, dove la semplicità dell’esposizione non nuoce alla profondità
dell’insegnamento.
Per Gregorio, la ricerca di Dio propria di ogni cristiano ha due dimensioni: l’azione virtuosa e la
preghiera (contemplativa). Propone una dottrina spirituale degli “stati di vita”. Individua tre
“ordini” fondamentali: laici – chierici – monaci; la Regola pastorale distingue accuratamente i
destinatari per regolare i toni della predicazione:
1. Per i laici sono proposte senza remore esigenze elevate sia per la preghiera, che deve essere
contemplativa, sia per la morale, che richiede distacco dai beni per i ricchi, per gli sposi la
pazienza nelle tribolazioni e il desiderio del cielo
2. Per i chierici si sofferma sui doveri di chi ha ricevuto un incarico pastorale: l’arte di governare
le anime è la più difficile (ars artium); la preparazione spirituale e culturale è necessaria per
predicare e per tenere vivo lo zelo, per mantenere la disciplina insieme alla pazienza e all’umiltà
3. I monaci devono ritirarsi dal mondo, vivere nella quiete rinunciando a ogni preoccupazione
mondana; devono curare la lectio divina e il lavoro manuale; custodendosi dai vizi sono in
grado di insegnare. Esiste una visibile convergenza tra l’ideale benedettino e le idee di Gregorio,
che anche se non ne conosce la regola, conosce però Benedetto e lo fa conoscere: il II libro dei
Dialoghi è interamente dedicato a san Benedetto.
Le differenze tra i tre ordini riguardano solo gli “incarichi”, la missione nel mondo: la via della
santità invece è la medesima: nella Chiesa si realizza la concors diversitas, la “concorde diversità”
che rappresenta la dimensione ecclesiale della salvezza.
Vita attiva e contemplativa: per Gregorio i due aspetti sono inseparabili in ogni stato di vita:
esercitare praticamente la carità, conservandola e rinforzandola tenendo vivo il desiderio di Dio.
Azione e contemplazione sono esemplificate da Marta e Maria, da Lia e Rachele: in ogni stato di
vita va preferito il “riposo” della contemplazione, ma occorre obbedire a Dio quando chiede
l’azione; occorre perciò vigilare per non lasciarsi assorbire dalla vita attiva.
La salvezza viene dalla dispensatio divina (l’opera di Dio nel mondo) perché l’uomo peccatore
possa tornare a Dio: in essa è decisiva la passione di Cristo, dove il Figlio si mostra redentore e
mediatore. La passione rende Dio vicinissimo, ma allo stesso tempo lo nasconde al massimo;
l’oggetto principale della contemplazione quindi è Gesù stesso, e consiste nel passare dall’esteriore
all’interiore, dall’umanità alla divinità, dalla fede all’intelligenza. In Gregorio la sottolineatura della
passione non è “sentimento di compassione” (Cristo è glorioso in cielo), ma adorazione oggettiva
del fatto della redenzione.
Cristo continua a soffrire nella Chiesa, nei suoi membri che hanno il suo Spirito con i suoi 7 doni
(l’elenco dei 7 doni è evidenziato per la prima volta da Gregorio, come anche l’elenco dei 7 vizi
capitali). L’esperienza di Dio è sempre un’esperienza della Chiesa nel suo singolo membro.
I demoni tentano l’uomo per distoglierlo da Dio, gli angeli lo aiutano a tenere lo sguardo sul
Signore; nella contemplazione l’uomo si unisce agli angeli.
L’antropologia di Gregorio è pratica, non speculativa. L’uomo è un intreccio tra peccato e
grandezza, fragilità e immagine di Dio: egli è un microcosmo, riassume in sé la creazione ed è
mistero a se stesso: può conoscersi conoscendo Cristo.
La conoscenza di Cristo è possibile attraverso la Scrittura, che non è una fonte di informazione, ma
la via per un’esperienza d’amore autentico. Al di fuori della Scrittura, gli studi profani sono uno
strumento necessario per comprendere meglio la Parola di Dio, ma presentano pericoli se si
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dimentica il fine (si rischia la superstizione, l’immoralità, il dubbio): vi è una gerarchia nelle
conoscenze, vanno privilegiate quelle che più avvicinano a Dio.
La Scrittura: è necessaria per conoscere il cuore di Dio. Con la sua oscurità stimola l’attenzione e la
ricerca, con la sua luce alimenta l’anima e fa crescere il desiderio di Dio. Ma Dio parla anche
attraverso gli avvenimenti (in particolare le calamità del suo tempo): per Gregorio il giudizio è
imminente e dobbiamo prepararci attivamente.
La vita attiva è ascesi, sforzo di purificazione attraverso la carità: in ogni atto è fondamentale
l’intenzione, il movente interiore (cor): le virtù fondanti sono: umiltà, pazienza, penitenza; è
necessaria molta discretio per scandagliare il proprio cuore, e soprattutto la confessione esplicita
delle proprie colpe che serve a raggiungere la compunzione, la risultante di timore (di perdere la
grazia) e amore (il desiderio struggente di Dio).
Il grande successo di Gregorio nel Medioevo è dovuto soprattutto a due caratteristiche:
1. Interpreta e riflette da teologo ciò che prima era molto sviluppato prevalentemente a livello di
prassi: l’educazione, il combattimento spirituale, la vita cristiana nelle diverse situazioni. In
sostanza: passa da una riflessione teologica centrata fino al V secolo prevalentemente su
questioni dogmatiche (trinitaria, cristologia) a una riflessione su questioni di vita spirituale
2. Le idee di Gregorio sono espresse con un linguaggio semplice, ricco di immagini, e una
sensibilità accessibile anche a persone di non grande levatura culturale; soprattutto sono idee
applicabili alla vita concreta, non delineano mete irraggiungibili. In particolare dà importanza
alla “psicologia” (nel senso di vita interiore). Bibbia, liturgia, spiritualità antica convergono in
una sintesi più pratica che speculativa: adattissimo alle esigenze dei nuovi popoli.
5. Un esempio di resistenza della Chiesa: le pievi
L’importanza dei vescovi si conserva sotto il governo di Costantinopoli, ma l’invasione longobarda
in molte regioni cambia la situazione: nelle terre occupate dai nuovi invasori la gerarchia cattolica
viene dispersa e perseguitata, molte sedi episcopali restano a lungo vacanti; regge solo una sorta di
organizzazione di base: le pievi.
In un’epoca caratterizzata dallo spopolamento delle città, la pieve (da plebs, che significa “popolo,
popolino”) è una chiesa rurale con annesso battistero, al servizio delle popolazioni della campagna.
La pieve, detta anche chiesa “matrice” o “plebana”, viene a trovarsi di fatto al centro di una
circoscrizione territoriale religiosa e anche civile.
Il fenomeno interessa soprattutto le zone occupate dai longobardi, tutto il nord Italia e parte del
centro fino alle Marche, Umbria e Toscana, oltre all’isola di Corsica. In Italia rimane il ricordo della
sua importanza nella toponomastica di queste regioni: Città della Pieve, Pieve Santo Stefano, Pieve
di Cento, Pieve Torina, Pieve di Cadore... Alcune pievi persisteranno fino all’inizio del secolo XII.
− Da un punto di vista religioso, la pieve funge da “chiesa madre” da cui dipendono le cappelle
disperse nelle campagne, come centri religiosi minori. Normalmente le funzioni principali, a
cominciare dai battesimi, si tengono nella chiesa pievana.
− Dal punto di vista civile, la pieve eredita le funzioni amministrative del municipio romano,
assumendo il ruolo di “centro” del territorio di competenza. Il pievano (il presbitero
responsabile) assolve anche funzioni civili e amministrative: tiene i registri delle nascite (cioè
dei battesimi), custodisce i testamenti e gli atti di compravendita dei terreni.
− Le pievi si occupavano di riscuotere tributi e raccogliere decime, coordinano i lavori di difesa
del territorio: bonifiche, canalizzazione, ecc.; sono spesso dotate di un proprio ospedale; il
sagrato costituisce anche luogo di mercato per tutta la zona.
Le pievi hanno costituito il baluardo del cattolicesimo in un’epoca difficilissima e il centro di
un’opera di capillare evangelizzazione delle zone rurali italiane, non ancora del tutto cristianizzate
alla caduta dell’Impero d’occidente. La graduale conversione dei longobardi al cattolicesimo, nel
corso del sec. VII, permetterà di ricostruire la gerarchia dove era scomparsa, che gradualmente
recupererà, grazie ai donativi dei fedeli, la sua autonomia economica.
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III.
I REGNI ROMANO-BARBARICI E L’IRLANDA
1. Considerazioni generali:
• La conquista da parte dei popoli germani dell’occidente romano avviene secondo una triplice
modalità: in Britannia si tratta di una pura e semplice conquista da parte di sassoni, angli e altre
tribù; in Gallia del nord i franchi di fatto realizzano una sorta di colpo di stato, con la
sostituzione di Siagrio (“re dei romani”) con Clodoveo; in Aquitania, Spagna e Italia, come
anche in Africa, i germani hanno una sorta di riconoscimento teorico da parte dell’imperatore di
Costantinopoli, in genere sono “federati”, di fatto però indipendenti.
• Le popolazioni germaniche, nonostante le denominazioni unitarie (goti, franchi, vandali,
burgundi, longobardi…), sono realtà composite: fondamentalmente popolazioni tribali, quindi
costituite da una somma di grandi gruppi familiari relativamente indipendenti, che affiancano al
nucleo principale etnicamente omogeneo tribù più piccole di diversi popoli alleati, non sempre
germani. Il successo militare avviene quando si muovono unitariamente, sotto la guida di un
capo autorevole (il re), ma l’unità rimane precaria, specie nella fase di successione del sovrano
defunto: la spartizione dei poteri tra i fratelli del defunto e i conflitti tra di loro non di rado
compromettono le acquisizioni precedenti.
• Le popolazioni germaniche occupano territori civilizzati, vivono di saccheggio, di requisizioni e
infine, quando si stabilizzano, di tasse e rendite. Inizialmente e per molto tempo non si integrano
con la popolazione del posto, in una situazione di disprezzo e diffidenza reciproci. Conservano i
costumi germanici, ma non li impongono; si viene così a creare al principio un doppio regime
sociale e giuridico. Costituiscono una minoranza che detiene il potere militare e politico, ma non
quello amministrativo. Tra le poche istituzioni strutturate, le assemblee periodiche dei capi
tribù. La legge romana e le differenze religiose ostacolano i matrimoni misti; la società
stratificata tipica del mondo romano, con classi rigide, poco permeabili, rimaneva inalterata, con
i barbari a occupare i posti di comando. I germani sono consapevoli di essere culturalmente
inferiori, e reagiscono in diversi modi, dalla violenza distruttiva al mecenatismo.
• Nonostante le barriere, gradualmente si amalgamano passato romano, apporti germanici e
reviviscenze locali. All’ideale di una società civile retta da leggi si sostituisce una “mentalità da
guerriero”; in un tale contesto il diritto non riesce a contenere la violenza, pone solo qualche
limite. Decadono l’educazione e la cultura, si impone ovunque un’incredibile brutalità.
• L’integrazione, quando avviene, si realizza in momenti diversi a seconda delle situazioni. In un
mondo senza strutture comuni tra conquistatori e conquistati, l’integrazione diventa possibile
solo con la conversione dei primi al cattolicesimo, più o meno lenta a seconda delle situazioni.
Le strutture della Chiesa (liturgia, amministrazione, divisione del territorio, educazione)
costituiranno la rete sociale comune per saldare il rapporto tra vincitori e vinti.
• All’inizio del VI secolo i germani sono pagani in Britannia, si convertono al cattolicesimo i
franchi in Gallia del nord, per il resto sono ariani, a volte tolleranti, a volte intransigenti.
2. I franchi e i re Merovingi
Già dall’inizio del V secolo la Gallia era stata attraversata e occupata da germani di diversa
provenienza. Nella seconda metà del V secolo il popolo germanico che prevale sugli altri è quello
dei franchi, un insieme di tribù di religione pagana. La loro conversione al cattolicesimo, precoce
rispetto agli altri germani, avviene alla fine del V secolo sotto il regno di Clodoveo.
L’organizzazione romana durante questa fase si dissolve, mentre i vescovi sono costretti a supplire
dove possono nell’amministrazione dei popoli occupati, acquisendo una grande importanza anche a
livello civile. Nel V e VI secolo i vescovi più importanti della Gallia provengono dai monasteri di
Lérins, di Marsiglia e altre fondazioni monastiche fiorenti.
a. Clodoveo (466-511) e i suoi successori
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Clodoveo appartiene a una tribù di franchi “salii”, stanziati nella Gallia nordorientale; a 16 anni
assume il potere (482).
Nel 486 vince l’ultimo rappresentante del potere romano, Siagrio, e si stabilisce a Parigi.
Clodoveo sconfigge i burgundi, che occupano la Gallia sudorientale, e i visigoti guidati da Alarico
II, che occupano la parte sudoccidentale; ottiene una sorta di legittimazione dall’imperatore
orientale Anastasio, che gli dà il titolo di patricius.
Compare durante il suo regno la prima redazione della Lex salica (“legge dei salii”) che prende a
modello la precedente lex burgundionum; si tratta di una raccolta di consuetudini delle tribù franche
messa per iscritto in latino.
Attenzione: per “legge salica” si intende comunemente una disposizione che in realtà la lex salica
non contiene, ovvero l’esclusione delle donne e dei loro discendenti dalla successione al trono.
Clodoveo sposa Clotilde, una burgunda cattolica, la quale, con l’aiuto del vescovo Remigio di
Reims, lo avvicina al cristianesimo; dopo la vittoria sugli alamanni si fa battezzare a Parigi,
nell’anno 497 secondo la tradizione, ma più probabilmente nel 508. Tutti i franchi seguono il loro
re, passando al cattolicesimo direttamente dal paganesimo, il che favorisce una precoce integrazione
con le popolazioni conquistate.
La Chiesa merovingia opera in stretto collegamento con il re. Il popolo franco si sottomette al Dio
dei vescovi cattolici, ma le pratiche pagane continueranno a lungo; le testimonianze dimostrano che
la predicazione è molto elementare, moralistica, soprattutto antiidolatrica.
Nel 511 il sinodo di Orléans stabilisce l’obbligo del benestare del re per le ordinazioni episcopali;
il vescovo Avito di Vienne saluta Clodoveo come l’unico re cattolico dell’occidente.
Alla morte di Clodoveo il regno viene diviso tra i 4 figli, che si combattono tra loro, finché prevale
Clotario I. Alla sua morte (561) si scatenano di nuovo lotte fratricide e il regno viene suddiviso in
tre regioni: Austrasia; Neustria e Burgundia.
I franchi sono governati secondo il sistema germanico, attraverso grandi assemblee di “capitribù”,
in cui l’alto clero (franco), culturalmente eminente e coeso acquista un peso sempre più importante.
Nel frattempo procede l’evangelizzazione del mondo contadino, quasi interamente galloromano, ma
che non era stato evangelizzato in epoca romana.
Nel VII secolo giunge a compimento la fusione tra l’elemento franco e quello galloromano. I
vescovi di origine franca sono coinvolti in altissime responsabilità politiche, a volte si trovano
anche implicati nelle ribellioni contro i re merovingi, sempre più deboli politicamente. I maestri di
palazzo (o “maggiordomi”) acquistano in questo periodo sempre più rilievo e finiranno, alla fine del
secolo, per soppiantare i re merovingi.
b. Concili merovingi
Lo stile “assembleare” dei popoli germani si traduce a livello ecclesiale in una propensione alla
convocazione di sinodi e concili. Tra il VI e VII secolo abbiamo notizia di almeno 32 concili (dal
sinodo di Orléans, 511, a Saint Jean de Losne, 675; tenuti, tra l’altro, a Orange, Parigi, Bordeaux,
Lione, Arles…).
Le funzioni principali sono moralizzatrici, civilizzatrici e di organizzazione nazionale. I temi trattati
sono vari, da questioni di organizzazione ecclesiastica e problemi dottrinali a temi legati al governo
merovingio; i concili operano soprattutto per l’unità della Chiesa franca e delle popolazioni.
I concili si preoccupano di moralizzare il clero, specie quello franco, difendono il celibato e
contrastano il coinvolgimento negli affari mondani; regolano i conflitti tra vescovi e di vescovi con
il potere politico; si occupano dei monaci e delle attività caritative….
Il concilio più importante dal punto di vista dottrinale è il (secondo) Concilio di Orange, del 529, a
cui partecipò Cesario di Arles. Il Concilio prese importanti decisioni contro i cosiddetti
“semipelagiani”, cioè alcuni monaci di Marsiglia e Lérins che attribuivano alla volontà dell’uomo
l’inizio della fede; dopo aver ribadito la dottrina agostiniana della fede come dono di Dio, il
concilio precisa che, dopo aver ricevuto la grazia del battesimo, i fedeli possono e devono, con
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l’aiuto di Cristo, compiere quanto è necessario per la salvezza. I risultati furono approvati dal papa
Bonifacio II, e sono così entrati nella dottrina ufficiale della Chiesa sulla questione della grazia.
Una curiosità: una maliziosa diceria, ancora oggi spacciata per storia, riguarda un concilio
merovingio. Da una ricostruzione erronea e tendenziosa di un giornalista inglese del XIX sec.,
viene fuori la leggenda secondo cui i vescovi cattolici avrebbero discusso se le donne avessero o no
un’anima “in un concilio del 500”; alcuni solerti aspiranti storiografi hanno identificato il concilio
in questione addirittura con il concilio di Trento, confondendo il 500 con il 1500… Si tratta di
un’interpretazione deformante della discussione privata di due vescovi su tutt’altro argomento (se
il nome “Adamo” si debba intendere in certi casi da riferire a entrambi i sessi) in una pausa delle
riunioni plenarie del Concilio di Mâcon, del 585, raccontate da Gregorio di Tours…
c. Una figura rappresentativa: Cesario di Arles
Cesario di Arles (470-543), nato tra i burgundi, diventa monaco a Lérins, uno dei più importanti
monasteri occidentali, fondato da Onorato all’inizio del V secolo; si ammala però a causa
dell’ascesi troppo rigorosa a cui si sottopone; viene mandato ad Arles dove diventa prima diacono,
poi abate, infine vescovo nel 500.
Scrive opere sulla Trinità contro gli ariani: Arles infatti è ancora sotto i visigoti; scrive sulla grazia
contro i cosiddetti “semipelagiani”, che aveva conosciuto nel monastero; elabora due regole
monastiche (maschile e femminile) molto severe.
Sono importanti soprattutto i suoi sermoni che danno un quadro chiaro della situazione sociale del
sud della Francia, assai instabile a causa dei conflitti tra tribù germaniche (burgundi, visigoti,
franchi); si rivolge a una popolazione ignorante, superstiziosa e imbarbarita nei costumi.
Predica in forma vivace e con molte immagini, promuove la predicazione al popolo, non sempre
praticata da preti e vescovi. I vizi condannati più spesso nelle sue prediche sono ignoranza,
ubriachezza, intemperanza, idolatria.
2. I visigoti in Spagna
a. La conquista e la conversione.
I visigoti, di religione ariana, dopo aver abbandonato l’Italia dal 412 si stabiliscono in Aquitania e
Provenza, con capitale a Tolosa, quindi occupano gran parte della Spagna.
Il re Alarico II fa compilare la lex romana visigothorum (o breviarium alaricianum) promulgandola
nel 506 per applicarla ai sudditi romani; l’applicazione è affidata ai comes (conti) goti. È una
raccolta di leggi romane corredate di interpretazione. Dunque vige una doppia legislazione che
viene approvata dai vescovi. Anche in Burgundia si verifica la stessa situazione.
Nel VI secolo i visigoti sono cacciati dalla Gallia da Clodoveo e dai suoi successori e riparano in
Spagna. Il re Amalarico, sconfitto dai franchi, viene ucciso dai suoi soldati (531); finisce così la
dinastia dei Balti, ma il trono rimarrà a lungo conteso da diverse famiglie.
Il re Leovigildo, vittorioso sui franchi, intorno al 580 inizia persecuzioni anticattoliche, mai
avvenute prima presso i visigoti; fa uccidere persino il figlio Ermenegildo. Il suo successore,
Recaredo, passa al cattolicesimo nel 587; la conversione del re è sancita al terzo concilio di Toledo
(589). La conversione facilita una ripresa culturale della Spagna ad opera delle scuole vescovili.
Nel 654 viene redatto un corpus di leggi unico per tutta la popolazione, romana e visigotica, quindi
sparisce il doppio regime giuridico. L’integrazione ormai è conclusa.
Nel 711 inizia l’invasione araba; i mussulmani, approfittando dei soliti dissidi nella successione
regale, che è elettiva, sottomette in un paio di anni tutto il regno e riduce i cristiani alla condizione
di sudditi subordinati (i cristiani saranno chiamati “mozarabi”, cioè arabizzati).
b. I Concili di Toledo. A Toledo la Chiesa spagnola riunisce concili periodici: 18 concili generali
del regno, dal 400 al 703; i concili a partire dal III (589) sono detti “visigotici”, per l’avvenuta
conversione e quindi la partecipazione dei re visigoti; dal IV in poi (633) si fanno molto frequenti.
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Caratteristiche generali:
− partecipazione del sovrano (che convoca il concilio, propone i temi da trattare e ratifica i
risultati, che diventano perciò legge civile)
− la convocazione non è regolare, ma occasionale, anche se frequente
− col tempo insieme ai vescovi partecipano abati e laici nobili, che a volte sottoscrivono gli atti
− trattano questioni civili ed ecclesiastiche, favorendo il processo di civilizzazione
− a volte hanno carattere provinciale (non numerati), a volte generale (per tutto il regno)
− oltre alla disciplina ecclesiastica questi concili frequentemente dibattono il problema della
successione del re, sempre vacillante.
3° Concilio (589): il re, i vescovi, i presbiteri e i diaconi abiurano l’arianesimo e aderiscono al
cattolicesimo proclamando la professione di fede di Costantinopoli e la dottrina dei primi 4 concili;
si stabilisce che il credo venga cantato nelle solennità. Il concilio condanna la nuova prassi della
penitenza privata.
4° Concilio (633): viene proposta la dottrina del Filioque: lo Spirito santo procede non solo dal
Padre, ma anche dal Figlio; una dottrina elaborata in chiave antiariana, che non sarà però mai
accettata in oriente.
11° Concilio (675): il simbolo del concilio è caratterizzato dall’esplicito inserimento del Filioque
nel testo della professione di fede.
c. Isidoro di Siviglia (560 ca.- 636)
Viene educato dal fratello Leandro, arcivescovo di Siviglia, amico di Gregorio Magno, e a lui
succede a Siviglia (600). Nella sua vastissima opera spiccano le Etymologiae: una sorta di grande
enciclopedia ordinata per lemmi, composta da 20 libri suddivisi per argomenti: tratta delle scienze
del trivio e del quadrivio; medicina, le leggi e la storia; libri e uffici ecclesiastici… tutto lo scibile
del tempo. Per esporre i contenuti Isidoro parte dall’etimologia dei termini esaminati. L’opera
riassume un gran numero di conoscenze ereditate dalla trazione pedagogica latina e li conserverà
per i secoli futuri.
Isidoro è molto attivo anche come vescovo, presiede alcuni concili a Siviglia e soprattutto il quarto
Concilio di Toledo (633), che disciplina la liturgia visigotica (che sarà detta “mozarabica”) e
interviene in teologia trinitaria e cristologica contro i priscillianisti.
3. Africa vandalica
− I vandali in Africa iniziano una persecuzione anticattolica violentissima, con pochi periodi di
pausa, che causa stravolgimenti sociali e molti esili di vescovi e clero; controllano il mare con
una flotta piratesca, estinguendo il commercio nel Mediterraneo occidentale.
− Alla morte di Genserico (477), il protagonista della conquista, continuano le persecuzioni
anticattoliche: nel 484 tutti i funzionari dell’amministrazione devono convertirsi all’arianesimo,
ma la maggior parte preferisce dimettersi, il che indebolisce enormemente la struttura
amministrativa. Importanti figure ecclesiali vanno in esilio: durante la prima persecuzione il
vescovo Quodvultdeus, all’inizio del VI secolo Fulgenzio di Ruspe. Solo il re Trasamondo
(496-523) cerca di migliorare il rapporto con le popolazioni romane.
− Il re Ilderico (523-530) cambia politica, si allea con Bisanzio e sospende la persecuzione
anticattolica, ma l’aristocrazia vandala si ribella e lo depone. È l’occasione per Giustiniano di
mandare l’esercito guidato da Belisario, che riconquista rapidamente tutto il regno vandalo,
riannettendolo all’impero (533-534). I vandali sono deportati in Asia.
4. La Britannia
Le popolazioni celto-romane della Britannia erano state abbandonate a se stesse all’inizio del V
secolo. L’epopea di Re Artù e dei cavalieri della tavola rotonda conserverà il ricordo della loro
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resistenza ai germani, che ebbe come protagonista il britanno-romano Ambrosio Aureliano,
vittorioso sui sassoni.
Tuttavia la Britannia è la regione dell’Impero di occidente dove più profondamente è stata
cancellata l’eredità romana e delle popolazioni locali ad opera dei nuovi invasori. Dal punto di vista
economico e sociale si assiste a un arretramento all’epoca pre-romana. Le città sono quasi tutte
abbandonate, nascono nuovi villaggi dove si concentra la popolazione rurale; spariscono le strutture
amministrative.
Anche il cristianesimo sopravvive solo marginalmente nelle popolazioni celtiche, mentre gli
invasori sono pagani. Sarà Gregorio Magno a promuoverne l’evangelizzazione a partire dal 597.
Secondo la storiografia tradizionale, oggi messa in discussione, nel VII secolo si formano 7 regni
inglesi (anglosassoni), che gradualmente diventano cattolici.
In questo periodo molti celti preferiscono emigrare, dirigendosi specialmente in Armorica (l’odierna
Bretagna francese) e anche in Galizia (Spagna nord-occidentale), insieme a tutto il clero cattolico.
5. Irlanda
a. L’evangelizzazione dell’Irlanda.
L’Irlanda non ha mai fatto parte dell’impero romano, non interessato al possesso dell’isola. Gli
abitanti sono celti pagani, chiamati “scoti”.
L’evangelizzatore dell’Irlanda è Patrizio (+461?). Cristiano della Britannia, viene rapito da pirati
scoti irlandesi a 16 anni; per 6 anni fa il pastore, poi, scappato in patria, decide di fare il
missionario. Va in Gallia in un monastero per preparare la missione; ricevuta l’ordinazione a
vescovo, per poter impiantare una nuova Chiesa, sbarca in Irlanda del nord nel 432. Organizza
diverse comunità di monaci-missionari caratterizzate da rigida ascesi personale.
Di Patrizio ci restano una lettera e una Confessio.
L’Irlanda si organizza attorno ai monasteri. Il territorio si presenta senza vere città, i capi delle tribù
si riuniscono solo in assemblee stagionali. I monasteri costituiscono i primi insediamenti stabili in
Irlanda e diventano presto molto popolosi, attirando sovente in torno a sé nuovi insediamenti di
contadini; in alcuni agglomerati si contano fino a 3000 monaci.
I vescovi (monaci anch’essi) amministrano i sacramenti, ma l’organizzazione delle chiese gravita
intorno ai monasteri, per molto tempo non vengono istituite diocesi territoriali.
Anche il monachesimo femminile si sviluppa diventando molto importante: il monastero femminile
guidato da santa Brigida (nel Kildare) ha alle sue dipendenze un gruppo di preti con il vescovo.
Pochi monaci sono sacerdoti, la maggior parte rimangono laici. Nei monasteri si impara con molto
impegno il latino, una lingua sconosciuta in Irlanda; innanzitutto per la necessità di pregare. Perciò
molta importanza viene accordata allo studio, anche degli autori classici pagani, come forma di
ascesi necessaria per migliorare la comprensione della Scrittura.
Si diffonde la comunione frequente secondo la prassi della Chiesa antica. Problemi con la data della
Pasqua si verificano a causa dell’isolamento nel corso del VII secolo.
b. Colombano (543-615) è il più noto esponente e il principale esportatore del monachesimo
irlandese. Si forma e vive in Irlanda, finché a 50 anni inizia la peregrinatio pro Christo, una forma
di ascesi molto cara ai monaci irlandesi, che consiste nell’abbandonare la propria patria per
avventurarsi in luoghi stranieri ad annunciare il vangelo. Scende nei regni franchi e burgundi dove
fonda alcuni monasteri. Nel 601 incontra i missionari inviati da Gregorio in Inghilterra; espulso dai
burgundi, evangelizza popolazioni germaniche lungo il Reno; sul lago di Costanza lascia il
discepolo Gallo, che fonda il celebre monastero di san Gallo, infine passa nell’Italia longobarda
dove fonda il monastero di Bobbio (613).
Caratteri del monachesimo di Colombano:
Colombano ha un forte senso della caducità del mondo, l’uomo si trova di passaggio in questo
mondo, deve vivere come se stesse per morire. La vita sulla terra è incerta e ha senso solo in Dio.
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L’ideale per Colombano è ottenere il triplice martirio: rosso (sangue); bianco (rinuncia al mondo);
verde (austerità di vita). L’ascesi vuole imitare le sofferenze del Signore, ma va vissuta senza
tristezza, va fatta per amore; comprende flagellazioni e altre penitenze corporali. L’ascesi è sempre
sottoposta all’obbedienza per evitare eccessi. Colombano insiste sul pericolo di cadere nell’orgoglio
intellettuale: anche lo studio, molto caro ai monaci irlandesi, vale solo se ha come fine la carità.
La regola monastica serve a favorire i progressi spirituali; la pratica è severa, ma applicata secondo
il discernimento (discretio), la misura: è sempre relativa alla carità.
Il pellegrinaggio è una delle forme di ascesi più importanti, che contribuisce a diffondere il
monachesimo irlandese in Europa, come anche a dare al monachesimo delle isole britanniche un
carattere fortemente missionario. L’evangelizzazione è un intreccio tra ambizioni dei merovingi,
aspirazioni dell’aristocrazia franca e burgunda e fervore evangelizzatore degli ambienti monastici.
Nel VII secolo tutta la Germania a oriente del Reno viene percorsa da molti monaci missionari
irlandesi e anglosassoni.
I monasteri di Colombano nel continente sono di tipo irlandese anche per l’attenzione allo studio; si
copiano molti testi, anche pagani. Colombano scrive quando giunge sul continente, prima il suo
insegnamento era solo orale. Anche il monachesimo femminile favorito da Colombano rispecchia la
situazione irlandese: è importante quanto quello maschile, soprattutto nel campo dell’educazione.
Fonda un gran numero di monasteri “irlandesi” in Francia, innanzitutto Luxeuil (590): il suo
scriptorium inventore della minuscola corsiva, che velocizza la copiatura.
c. Una nuova forma di penitenza
Il monaco vive una forma di vita penitenziale, quando diventa monaco entra in un ordo
paenitentium. La confessione auricolare è molto diffusa nei monasteri nel senso di direzione
spirituale per formare le coscienze, per influsso del monachesimo orientale: il monaco-padre
spirituale commina la penitenza e, una volta compiuta, concede il perdono (a titolo personale).
La penitenza ha essenzialmente un valore terapeutico, intende curare il male, non punire.
Compaiono a questo scopo i libri penitenziali “tariffati”, che indicano una penitenza adatta a ogni
peccato. I libri penitenziali più famosi sono quelli di Finnian (+549) e di Colombano. I libri
testimoniano una società in cui violenza, omicidio, abusi sessuali, culti idolatrici sono molto diffusi,
non sono considerati fatti eccezionali.
Nel passaggio dai monaci irlandesi al continente, la penitenza, affidata ai presbiteri ordinati, diventa
di fatto sacramentale: il perdono dopo la penitenza è una vera “assoluzione”.
Un tentativo di resistenza alla diffusione della penitenza “privata” si registra al Concilio di Toledo
del 589; la nuova prassi invece è esplicitamente accolta in un concilio merovingio del 650.
Tra le “tariffe” (le penitenze) più frequenti:
- Il digiuno completo (a pane e acqua) oppure digiuno da alcuni cibi (astinenza); si
comminavano anche vari anni di digiuno.
- Bando o esilio dalla famiglia o dalla patria per qualche anno.
- Preghiera, sempre in piedi, o comunque secondo forme corporalmente afflittive.
- Flagellazione o penitenze corporali, riservate specialmente a chierici e religiosi.
Le pene penitenziali hanno caratteristiche molto severe, difficili da realizzare, perciò sono
commutabili su richiesta del penitente:
- con pene più brevi, ma più impegnative;
- con elargizioni di denaro ai poveri, o al monastero, o al prete stesso;
- possono essere fatte espletare da altri, in forma solidale, anche a pagamento;
- si possono offrire Messe sostitutive;
- dato che la penitenza può essere scontata da altri, può essere anche fatta a favore di defunti,
in virtù della comunione dei santi; da qui nascerà la prassi dell’indulgenza per i defunti.
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I libri penitenziali dal VII secolo hanno successo e si moltiplicano, per aiutare i preti, spesso
ignoranti (non sono monaci), ad imporre una penitenza adeguata.
In periodo carolingio inizia una riforma per rendere meno gravose le penitenze e ridurne la
commutazione; inoltre si ripristina la penitenza pubblica, caduta in disuso, specie per i peccati più
gravi e per i chierici, ma la si rende reiterabile, mentre nella forma ereditata dalla Chiesa antica era
concessa solo una volta dopo il battesimo. Per qualche secolo coesistono le due forme, pubblica e
privata, finché quella pubblica scompare definitivamente alla fine del Medioevo.
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IV.
L’IMPERO D’ORIENTE DA CALCEDONIA A FOZIO
La qualifica di “Impero bizantino” è una designazione storiografica; per tutta la loro storia gli
imperatori di Bisanzio (Costantinopoli) si sono considerati imperatori romani. Tuttavia è vero che si
è gradualmente verificato un cambiamento nelle strutture e nella cultura del regno che giustifica la
distinzione tra impero romano d’oriente e impero bizantino, che si può fissare nel 610, anno
dell’ascesa di Eraclio al trono.
1. L’Impero romano d’oriente (324-610)
La parte orientale dell’Impero romano è caratterizzata da una struttura statale e giuridica
tipicamente romana, dalla cultura greca e dalla religione cristiana.
Lo spostamento del baricentro dell’impero a oriente avviene inizialmente a causa della crisi del sec.
III, per motivi economici (l’oriente è più prospero e più popolato) e militari (per la necessità di
contrastare i Sassanidi persiani).
Con la scomparsa dell’Impero d’occidente, Costantinopoli nel V secolo rimane a capo dell’unico
impero, e di fronte alle perdite territoriali continua a rivendicare autorità su tutti i territori occupati
dai barbari. Gli stati romano-barbarici in occidente nella maggior parte dei casi ricercano una sorta
di legittimazione nel riconoscimento a vario titolo da parte di Costantinopoli, che continua a
possedere una sorta di supremazia puramente ideale, nonostante le sconfitte militari.
A partire dal V secolo la cultura e lingua dell’impero d’oriente diventano sempre più dominate
dall’elemento greco, mentre quello latino si va perdendo; si delineano gradualmente inoltre due
trasformazioni importanti: una economia nuova, che si deve adattare alle condizioni peggiorate del
commercio, cui corrispondono rapide trasformazioni giuridico-amministrative; un accentuato
fenomeno di clericalizzazione della vita pubblica, in cui vescovi e monaci sovente svolgono un
ruolo sussidiario alla politica, dovuto all’idea tipicamente imperiale della funzionalità della
religione al mantenimento dell’unità dell’impero.
Il potere imperiale si va sempre più accentuando
− Da Diocleziano la magistratura romana cede il posto alla burocrazia imperiale attraverso una
progressiva centralizzazione dell’amministrazione; aumentano anche i problemi di corruzione.
− Dal tempo di Costantino si stabilisce un intimo legame tra Stato e Chiesa, la quale finisce sotto
tutela imperiale; l’imperatore è unico legislatore, capo dell’esercito, protettore (e capo) della
Chiesa; all’imperatore è dovuta venerazione religiosa (proskynesis).
− Costantinopoli (330) viene costruita riedificando l’antica Bisanzio secondo criteri strategici e
militari efficacissimi: per tre lati dà sul mare; è fornita di doppia cinta muraria. La sua
urbanistica richiamava volutamente Roma; per la sua posizione controlla il collegamento tra
Asia ed Europa; Bisanzio inoltre diventa il centro culturale più importante per secoli.
− In oriente si conserva l’economia monetaria, in continuità con il solidus aureo di Costantino: in
occidente invece dal VI secolo l’economia diventa fondamentalmente di scambio (il commercio
si fonda sul baratto); già Diocleziano aveva ammesso il pagamento della tassa agricola (annona)
in natura.
− Si sviluppa il fiscalismo bizantino (le terre di proprietà imperiale) e nasce la servitù della gleba:
non scarseggia la terra, ma i lavoratori della terra, che vengono quindi vincolati al campo; lo
iugerum (unità di misura territoriale) è legato a un caput (a una persona concreta) per riscuotere
facilmente la tassa, un automatismo possibile solo dove c’è la presenza stabile di contadini.
− Si costituisce il senato romano a Costantinopoli, formato da famiglie di antica discendenza
senatoria romana, con poteri effettivi in caso di “sede vacante”; ha anche il compito di
approvare la successione imperiale.
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Il V secolo fu molto difficile anche a oriente, per le scorrerie di goti, unni e alani, però la reazione
antigermanica fu molto più efficace. Le invasioni si concentrarono a occidente perché l’oriente era
più solido e gli impetratori preferirono dirigerle verso la parte meno sviluppata dell’impero.
Nel 457 un imperatore (Leone I) riceve per la prima volta la corona dal patriarca di Costantinopoli;
l’imperatore è stato designato con l’appoggio dell’alano Aspar che controllava la politica di
Costantinopoli. Leone si libera degli alani grazie all’aiuto degli isaurici (una popolazione anatolica).
Nel 468 fallisce una spedizione contro i vandali di Genserico in Africa, guidata da Basilisco.
Zenone (generale isaurico) fa eleggere il figlio imperatore (Leone II), si scontra con Basilisco, ma
riesce a esercitare personalmente il potere imperiale fino alla morte (491); Zenone convince
Teodorico a occupare l’Italia di Odoacre, liberando i Balcani dagli ostrogoti.
Zenone si occupa anche di questioni religiose. Il Concilio di Calcedonia era stato il risultato di una
dura lotta: erano stati coinvolti politica imperiale, rivalità di patriarchi, particolarismi nazionalistici,
entusiasmo di monaci. Dopo Calcedonia i monofisiti non si danno per vinti, in Egitto e in Siria
alimentano istanze separatistiche; gli imperatori perciò cercano di “mediare”. Zenone, dopo gravi
turbolenze, pubblica l’Henotikon (482), un decreto di compromesso difeso dal patriarca di
Costantinopoli Acacio, che però viene scomunicato da Roma che non accetta il decreto; nasce lo
scisma acaciano (484-519), che sarà risolto dall’imperatore Giustino I in favore di Roma.
Henotikon: decreto di unione; si tratta di un tentativo di recuperare i monofisiti. Riconosce il
Concilio di Nicea e di Costantinopoli, non affronta la questione delle nature e di fatto esclude
Calcedonia. Viene compilato da Acacio e da Pietro Mongo, patriarca monofisita di Alessandria.
Anastasio I (imp. 491-518) sposa la vedova di Zenone, elimina l’influenza isaurica, ma si sbilancia
molto verso il monofisismo. Il suo regno è segnato da gravi turbolenze dovute alle fazioni politiche
di Costantinopoli che erano organizzate intorno alle “tifoserie” del circo; le principali fazioni, dette
“demi” sono quella dei “verdi”, che rappresentava la borghesia commerciale e imprenditoriale, e
quella degli “azzurri”, che facevano riferimento all’antica aristocrazia senatoria e ai latifondisti.
Sotto il suo regno viene eletto il vescovo Severo di Antiochia (monofisita moderato) che nel 513
condanna Calcedonia, mentre l’imperatore intrattiene difficili rapporti con i papi, fino ad
appoggiare, contro papa Simmaco, sostenuto da Teodorico, l’antipapa Lorenzo.
In questo periodo a Costantinopoli i monaci di tendenza monofisita aggiungono al Trisagio, che è
una preghiera tradizionale, una esplicitazione riferita al Figlio divino: “che fu crocifisso per noi”;
per questo vengono detti teopaschiti (che sostengono la sofferenza di Dio). Questa precisazione
insieme a un’altra (“uno della Trinità ha patito”) susciterà una lunga discussione anche in occidente;
si tratta di formule per sé ortodosse, basate sul principio della communicatio idiomatum, ma
utilizzate dai monofisiti contro gli antiocheni e contro Calcedonia.
Le discussioni teologiche in questo periodo si servono di dossier patristici compilati dalle diverse
fazioni per sostenere le loro tesi, per presentarle come conformi alla tradizione, un procedimento
che aveva fatto la sua comparsa con Apollinare e poi nella controversia nestoriana. Già allora però
si era cominciato a comporre testi falsamente attribuiti a padri famosi. Il caso più interessante
compare all’inizio del secolo VI: è il corpus pseudo-dionisiano.
Pseudo-Dionigi l’Areopagita
Il nome pdesudoepigrafo si rifà ad At 17,34: Dionigi è il discepolo che segue Paolo dopo il discorso
all’areopago di Atene, dunque un personaggio misterioso e autorevolissimo. La raccolta di testi
sotto questo falso nome compare nei primi anni del VI secolo nell’ambito delle controversie
monofisite. Sin dall’inizio molto discusso e contestato, questo interessante corpus sarà riconosciuto
definitivamente come pseudoepigrafo da Lorenzo Valla (1405-1457). Il corpus sarà importante
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anche per l’occidente, dove conoscerà due ondate di interesse a seguito delle traduzioni di Scoto
Eriugena (IX sec.) e di Nicola Cusano (1400-1464).
Il linguaggio dimostra la dipendenza dai filosofi neoplatonici Proclo e Damascio. Questi testi infatti
propongono un neoplatonismo completamente cristianizzato nei tratti essenziali.
Il corpus pseudo-dionisiano comprende i seguenti scritti:
La gerarchia celeste: esistono tre triadi di potenze angeliche (i nove cori angelici); in ciascuna di
esse la prima contempla Dio, la seconda opera una mediazione tra la prima e la terza, la terza
trasmette agli uomini; gli uomini entrano in contatto con il mondo celeste attraverso i simboli
visibili (le creature).
La gerarchia ecclesiastica: la mediazione centrale e fondamentale tra il mondo celeste e gli uomini
avviene attraverso le tre funzioni della purificazione, dell’illuminazione e dell’iniziazione.
I nomi divini: è chiara la dipendenza dal Parmenide di Platone; i nomi rivelati consentono una
conoscenza diretta proporzionale alle capacità umane; sono spiegate le due vie di conoscenza di
Dio: negativa (la più adatta) e positiva. Pone le basi per il concetto di “analogia” del linguaggio.
La teologia mistica: la conoscenza di Dio coincide con la ignoranza cosciente di lui, si tratta della
tenebra mistica, l’assenza di parole e pensieri. Manca il riferimento alla mediazione resa possibile
dall’incarnazione: Cristo rappresenta l’unità “teandrica”, divino-umana, in cui l’umano è totalmente
assorbito dal divino. In questo senso si comprende l’impostazione monofisita di questi trattati.
Le 10 lettere riprendono e chiariscono gli argomenti dei trattati.
2. Giustiniano (482-565; 527-565).
È nipote di Giustino I, il generale succeduto ad Anastasio (450-527; 518-527); come lo zio,
Giustiniano è di famiglia contadina. Sposa Teodora, ex attrice, piuttosto malfamata, ma che si
dimostrerà più equilibrata di lui. In Giustiniano rimane viva l’idea dell’unità dell’impero,
comprendente oriente e occidente. La restaurazione dell’impero romano universale rimaneva la
grande aspirazione di Costantinopoli.
Giustiniano persegue il potenziamento dell’impero intorno alla vera fede e all’annientamento degli
eretici. Siamo al vertice dell’identificazione tra potere imperiale e governo della Chiesa, intesa
come collante sociale indispensabile, pertanto la dissidenza religiosa viene equiparata alla
sovversione civica.
• Nel 529 vieta l’insegnamento della filosofia pagana e chiude la scuola d’Atene, allora guidata
dal filosofo neoplatonico Damascio, che si trasferisce in Persia.
• costringe gli ebrei a usare la versione biblica greca detta dei LXX.
• Nel 532 stipula una pace “perpetua” con l’imperatore persiano Cosroe I, pagando un forte
tributo, per avere le mani libere per iniziare la guerra a occidente.
• Reprime la rivolta di Nika del 532 a Costantinopoli, dove l’opposizione interna, i partiti dei
verdi e degli azzurri, si coalizzano contro Giustiniano a causa delle tasse gravose.
• Fa riedificare Santa Sofia, che era andata distrutta durante la rivolta, secondo le grandiose forme
attuali; edifica altri monumenti importanti.
• Riunisce, codificandole, le leggi romane in una raccolta divisa in 4 grandi sezioni (Corpus iuris
civilis): il Digesto che contiene la giurisprudenza dei grandi giuristi romani, curato da
Triboniano e cristianizzato nei contenuti, tra l’altro contrasta la schiavitù; le Institutiones, come
manuale di insegnamento; il Codex, ovvero i contenuti delle costituzioni imperiali del passato
raccolti e ordinati razionalmente; le Novelle, cioè le leggi recenti. È la base per un diritto
unitario e coerente aggiornato in senso cristiano, specie nel diritto familiare. Diventerà un
fattore fondamentale per lo sviluppo del diritto anche in occidente, soprattutto a partire dal
secolo XII.
• Belisario e Narsete sono i due grandi generali di Giustiniano. Nel 534 è conquistata l’Africa,
tolta ai vandali; nel 535 Belisario entra in Italia, nel 536 prende Roma e nel 540 Ravenna, ma a
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quel punto si rompe la pace con i persiani e Giustiniano deve inviare gran parte dell’esercito a
oriente; i goti si riprendono guidati da Totila e poi da Teia. La seconda parte della guerra è
condotta da Narsete, che sconfigge Totila a Gualdo Tadino (552) e Teia sul Vesuvio (553).
• 554: l’Italia è sottomessa alla legislazione dell’impero; viene riconquistata la Spagna sud-est.
• La conquista dell’occidente provoca l’indebolimento della frontiera del Danubio e del confine
con i persiani, che rompono la pace e invadono i territori bizantini; la pace è ottenuta attraverso
il pagamento di gravosi tributi. Nei Balcani iniziano le incursioni degli slavi, alleati dei bulgari.
Le conquiste di Giustiniano non resisteranno molto a lungo; l’Italia rimane interamente bizantina
solo per 15 anni.
Giustiniano ha qualche competenza teologica, scrive anche alcuni trattati teologici. Si sente in grado
di esercitare la supremazia sulla Chiesa,
− Al suo tempo deve confrontarsi con due scismi: i nestoriani, che si sono rifugiati in gran parte
nell’impero persiano, e i monofisiti, molto forti in Siria ed Egitto.
− Dapprima tenta il dialogo con Severo di Antiochia (+538), riesce ad approvare una formula
comune (approva la formula Theopaschita, “per riequilibrare” Calcedonia) ma papa Agapito si
oppone al ridimensionamento di Calcedonia e il tentativo fallisce.
− Inoltre Giustiniano condanna Origene e gli origenisti, contro i monaci di Palestina, considerati
origenisti, che si oppongono alla politica imperiale.
− Un secondo tentativo di riunificazione, caldeggiato da Teodora, tendenzialmente monofisita, è
costituita dal II Concilio di Costantinopoli del 553, detto “dei tre capitoli”.
Giustiniano (circondato da monofisiti) con un editto condanna Teodoro di Mopsuestia, gli scritti di
Teodoreto di Cirro contro Cirillo e una lettera di Iba di Edessa in difesa di Teodoro (sono i tre
capitoli); con papa Vigilio, fatto eleggere dall’imperatore, convoca il II Concilio di Costantinopoli
nel 553; Vigilio però finisce per opporsi e non va al concilio, fugge e si dissocia dalla condanna dei
tre capitoli; aderirà nel 554 con opportune precisazioni che salvaguardano Calcedonia; in occidente
il Concilio però è rifiutato e provoca uno scisma (di Milano e Aquileia), che rientrata solo nel 607,
detto appunto lo scisma dei tre capitoli.
•
•
•
I tentativi di conciliazione però falliscono: si stabiliscono gerarchie parallele monofisite ad
Antiochia, Alessandria e Gerusalemme; gli ortodossi vengono sprezzantemente definiti
“melchiti” (imperiali).
I monofisiti siriaci (detti “giacobiti”, da Giacomo Baradeo +578) rinunciano al greco e adottano
il siriaco, gli egiziani il copto.
Intanto la missione dei nestoriani rifugiati in Persia (prima Edessa fino al 457, poi Nisibe),
raggiunge India (Malabar), Ceylon, Cina (un metropolia nel 640): è famosa la stele nestoriana
del 781, in siriaco e cinese, che documenta 150 anni di missione in Cina.
Giustino II riprende la guerra contro i persiani per l’Armenia, che sarà conquistata nel 591
dall’imperatore Maurizio (582-602). Maurizio riorganizza gli esarcati di Ravenna e di Cartagine,
rendendoli militarmente autonomi. Nei Balcani però la situazione è critica: in Pannonia si forma
una potente lega di popoli slavi alleati con gli avari; ben presto rompono le difese e invadono i
Balcani. Gli slavi cominciano a stabilirsi definitivamente nella penisola.
Nel 602 una rivolta militare guidata da Foca (602-610) e appoggiata dai partiti costantinopolitani
depone Maurizio; inizia una serie di massacri. Foca appoggia Roma nella controversia contro il
patriarca “ecumenico” Giovanni (iniziata da Gregorio Magno) e ottiene l’appoggio di papa
Bonifacio II: Foca riconosce la supremazia di Roma su tutte le Chiese (607). Una colonna nel Foro
Romano celebra l’imperatore bizantino (è l’ultimo monumento eretto nel Foro).
Però Foca inizia dure persecuzioni contro i monofisiti e i giudei, provocando una guerra civile.
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Nel 605 contemporaneamente i Persiani attaccano a oriente e Avari e slavi invadono nuovamente i
Balcani. I Persiani dilagano ovunque. I Balcani sono perduti, diventando prevalentemente slavi, e la
Grecia è in serio pericolo.
L’esarca di Cartagine (di nome Eraclio) si ribella a Foca alleandosi con il governatore dell’Egitto;
nel 610 manda il figlio (che si chiama anche lui Eraclio) a Costantinopoli a capo di una grande
flotta. Eliminato Foca, Eraclio figlio viene eletto imperatore.
3. L’Impero bizantino dal 610: Eraclio, la crisi monotelita e i concili trullani
Dopo le prime sconfitte, l’imperatore Eraclio non reagisce alle conquiste persiane fino al 623,
quando inizia una campagna militare vittoriosa che durerà 6 anni.
- Nel primo periodo della guerra i persiani conquistano Siria, Palestina, Egitto, portano via la
reliquia della croce e incendiano il Santo Sepolcro. I persiani sono zoroastriani.
- Eraclio intanto riorganizza tutta la struttura dell’impero, le sue riforme costituiscono il vero
passaggio dall’impero romano d’oriente all’impero bizantino. Elimina l’uso del latino
dall’amministrazione e dall’esercito; sul modello degli esarcati, organizza il territorio (all’inizio
praticamente solo l’Anatolia, il solo territorio che controlla) in unità economico-militari
indipendenti (i themi), con soldati stanziali cui attribuisce una proprietà fondiaria con cui
equipaggiarsi, mentre rinuncia all’apporto dei mercenari (erano ancora soprattutto germani).
- Dopo aver negoziato una pace con gli avari, attacca i persiani, e si rovesciano le sorti; lo spirito
che muove i bizantini è quasi quello di una guerra “santa”: vogliono riconquistare i luoghi santi;
nel 626 Costantinopoli (senza Eraclio) si trova attaccata contemporaneamente da avari e
persiani, ma resiste e grazie alla flotta sconfigge gli attaccanti. Gli avari sconfitti perdono il
controllo degli slavi e dei bulgari che erano loro sottoposti. Serbi e croati si alleano con i
bizantini e vengono insediati ufficialmente nei Balcani.
- I persiani vengono sottomessi e recuperata la reliquia della croce (630).
Nel 634 inizia l’invasione araba guidata dal califfo Omar che dilaga invadendo i due imperi,
bizantino e persiano, ormai esausti; nel 636 i mussulmani sconfiggono definitivamente i bizantini
sul fiume Yarmuk, dopo una serie di scontri tra le attuali Giordania e Siria, presso il Golan.
La riconquista delle regioni orientali intanto aveva fatto emergere di nuovo il problema del
monofisismo. Il patriarca di Costantinopoli Sergio (610-638), spinto da Eraclio, tenta di proporre
ancora una volta una dottrina conciliatoria: riconoscere in Cristo un’unica operazione (in greco
“energia”, quindi “monoenergismo”) e un’unica volontà (monotelismo).
“Energia” per sé è la capacità di agire propria di ciascuna natura, dire una sola energia perciò
significa che di fatto in Cristo opera una sola natura; non è chiaro se Sergio avesse questa
intenzione, ma è una formula interpretabile in senso nettamente monofisita.
Si oppone a Sergio l’ex monaco e vescovo di Gerusalemme Sofronio (634); Sergio riesce a
strappare a papa Onorio I (625-638) un’adesione di massima non più al monoenergismo, su cui si
preferisce tacere, ma al monotelismo, una sola volontà in Cristo dopo l’unione.
Il monotelismo viene imposto con l’editto di Eraclio detto Ecthesis nel 638, emesso, probabilmente
non a caso, subito dopo la morte di Onorio, in modo che il papa non potesse reagire. Nell’editto si
proibisce di parlare di energie e si afferma un’unica volontà di Cristo dopo l’unione.
Onorio I è un papa molto discusso per la condanna post mortem ricevuta al III Concilio di
Costantinopoli (680-681). Gli avversari del primato pontificio e poi dell’infallibilità papale
(protestanti, conciliaristi, giansenisti) hanno fatto largo uso della sua vicenda a sostegno delle loro
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posizioni, presentandolo come esempio di “papa eretico”, tuttavia si tratta di una
strumentalizzazione ideologica, in cui l’analisi storica rimane marginale.
Onorio era un vescovo interessato alla pastorale e alla missione, cercava di seguire le orme di
Gregorio Magno. Ha lasciato molte testimonianze dei suoi interventi architettonici, tra cui a Roma
la chiesa e il mosaico attuali di Sant’Agnese e la chiesa di san Pancrazio.
Onorio però era alieno dalle sottigliezze del linguaggio teologico orientale. Con due lettere di
risposta al patriarca Sergio intervenne nella questione monotelita in modo “impacciato”, pur
essendo un convinto calcedoniano, come risulta da molti altri suoi interventi.
A questo si aggiunga che le lettere originali sono andate perdute; possediamo solo una traduzione
greca frammentaria utilizzata al Concilio del 680, nonché una retroversione latina; bisogna tenere
conto che al Concilio (tenuto 40 anni dopo la sua morte) quasi tutti i vescovi erano orientali, molto
interessati a ridimensionare la funzione del papato romano, che gli occidentali consideravano alieno
da eresie. La frase incriminata che suona “e dunque proclamiamo una sola volontà”, è utilizzata
nell’Ecthasis di Eraclio, avulsa però dal contesto. La portata eterodossa dell’Echtasis emerge solo
dopo parecchi anni dalla morte di Onorio.
Onorio venne difeso da papa Giovanni IV (640-642), mentre dopo il concilio del 680 papa Leone II
ne accettò la condanna, però con una formula volutamente ambigua, che escludeva Onorio dal
numero degli eretici, pur accusandolo di trascuratezza. Occorre infine rimarcare che Massimo il
Confessore, grande teologo e principale assertore dell’ortodossia, che leggeva i testi originali, difese
l’azione e la dottrina di Onorio.
Alla morte di Eraclio, è evidente che il tentativo di conciliazione religiosa è fallito; le popolazioni
monofisite insorgono, non di rado appoggiano gli arabi mussulmani invasori.
Nato nel 630, imperatore dal 641 al 668, Costante II riesce a frenare arabi e slavi; Emette il Typos
(648) che proibisce di mettere in discussione il monotelismo, ma non ottiene la pacificazione
sperata.
Già Giovanni IV aveva dichiarato eretico il monotelismo nel 642. Papa san Martino I (649-655)
nel 649 convoca un concilio in Laterano opponendosi all’Ecthasis e al Typos; riafferma due
operazioni e due volontà, secondo la teologia di Massimo il Confessore. Nel 652, dopo un tentativo
di farlo assassinare, il papa viene arrestato e trasportato in Grecia. Nel 653 è condannato da
Costante II con false accuse, umiliato ed esiliato in Crimea dove morirà nel 655.
San Massimo il Confessore (580 ca. – 662). Nato a Hesfin sul Golan, orfano, viene affidato a un
monastero. Deve spostarsi per sfuggire all’invasione persiana, nel 614 a Gerusalemme, poi a Cizico
(presso Costantinopoli); nel 626 va in Africa a causa delle incursioni degli Avari.
Di fronte al monoenergismo e al monotelismo reagisce; nel 645 affronta a Cartagine in pubblico
dibattito Pirro (successore di Sergio a Costantinopoli) che si dichiara vinto ed abiura il monotelismo
a Roma; però ritratterà presto la sua abiura, dopo l’arresto di papa Martino.
Massimo combatte il monotelismo prima con papa Teodoro e poi con papa Martino, giocando un
ruolo importante al concilio del Laterano del 649. Quando l’esarca Teodoro Calliopa arresta
Martino, anche Massimo viene arrestato e processato. Affronta un ulteriore processo nel 662, a
seguito del quale subisce flagellazione, amputazione della mano destra e taglio della lingua. Da qui
il titolo di “confessore”.
Massimo ha lasciato importanti scritti di vita spirituale e di teologia, dove approfondisce Origene,
Gregorio di Nazianzo, Evagrio, Dionigi areopagita. Integra nella sua riflessione principi platonici e
aristotelici e influenzerà anche la teologia occidentale attraverso le traduzioni latine di Scoto
Eriugena, nel IX secolo. Trae l’argomento decisivo per affermare le due volontà in Cristo
(“ditelismo”) dalla preghiera di Gesù al Getsemani.
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Intanto Costante II in occidente tenta la riconquista dell’Italia. Nel 663 si trasferisce in Italia per
tentarne la riconquista, approfittando della crisi nel mondo arabo (uccisione di Alì nel 661);
combatte i longobardi senza successo; è l’ultimo imperatore che entra a Roma; si sofferma per
breve tempo, si impadronisce del bronzo che ricopriva il tetto del Pantheon e lascia la città. Si ritira
stabilmente in Sicilia, dove viene ucciso nel 668. La pressione fiscale e l’assassinio del fratello lo
avevano reso alquanto impopolare.
Durante il regno di Costantino IV (668-685) viene respinta una grande spedizione musulmana che
voleva conquistare Costantinopoli; viene usato per la prima volta il “fuoco greco”, una miscela
infiammabile che distrugge le navi arabe. È sconfitto però dai turchi bulgari, che scendono nei
Balcani e si uniscono anche etnicamente con le popolazioni slave.
Costantino IV (dopo la perdita delle regioni monofisite, cadute sotto i mussulmani) in accordo con
papa Agatone convoca il III Concilio di Costantinopoli (680-681) che riafferma la dottrina
ortodossa ditelita: volontà umana e volontà divina compresenti in Cristo.
Nella grande sala a cupola (in greco “trullo”) del palazzo imperiale di Costantinopoli si tennero due
concili detti “trullani” o in Trullo. Il primo concilio trullano è il terzo concilio di Costantinopoli, e
sesto ecumenico, del 680; il secondo trullano, detto “Quinisesto”, non è recepito dai latini.
Il Quinisesto (692) è così denominato perché i Concili ecumenici 5° e 6° erano privi di canoni
disciplinari; Giustiniano II detto Rinotmèto (685-695; 705-711) convoca perciò un concilio che
approva 102 canoni, che costituiscono quasi un primo tentativo di codificazione canonica; i canoni
approvati però sono adatti quasi solo per l’oriente, tacciono del primato romano e attribuiscono a
Costantinopoli il medesimo onore e stessa autorità di Roma, anatemizzando Onorio I; criticano
inoltre molte consuetudini occidentali, condannano il celibato obbligatorio per i preti nonché la
prassi di chiedere l’impegno celibatario agli sposati per l’ordinazione, come altri usi occidentali
(digiuni il sabato, rappresentazioni di Cristo come agnello…). Il concilio Quinisesto viene rifiutato
da papa Sergio I (687-701).
Giustiniano II perciò manda il legato Zaccaria ad arrestare papa Sergio, come era stato fatto con
Martino, ma stavolta il tentativo fallisce, il legato deve nascondersi sotto il letto del papa per non
farsi prendere dai militari ravennati accorsi in aiuto del pontefice.
4. Crisi iconoclasta
Leone III Isaurico (imperatore dal 717, dopo un periodo di grande confusione) resiste a un altro
attacco arabo a Costantinopoli. In campo giuridico emette l’ekloghé (manuale di diritto): amplia il
diritto di famiglia, delle donne e dei figli a scapito della patria potestas; però in diritto penale
prevede pene corporali come le amputazioni (la legislazione presenta simultaneamente una
cristianizzazione in campo familiare e un imbarbarimento in campo penale).
Leone è l’imperatore che innesca la crisi iconoclasta, proibendo la venerazione delle immagini
(730), posizione già prefigurata da un suo predecessore (Filippico Bardane, armeno monofisita). La
sua posizione sembra di indole monofisita: l’immagine rappresenta solo la natura umana, quella che
scompare dopo l’unione, quindi non ha senso venerare le immagini; la decisione è presa in contrasto
con Roma, dove il papa Gregorio II si oppone; in Leone III emergono inoltre tendenze
culturalmente filomusulmane. La decisione scatena molti moti antimperiali a livello popolare.
L’opposizione teologica è guidata da Giovanni Damasceno, monaco a San Saba: pronuncia
sull’argomento tre importanti orazioni: l’immagine va intesa come simbolo e mediazione, la sua
legittimità è fondata sull’incarnazione. In occidente si suole considerare piuttosto il valore
pedagogico delle immagini. Deposto il vescovo Germano di Costantinopoli, che si oppone agli
iconoclasti, inizia una persecuzione e si rompe il rapporto con Roma.
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La persecuzione contro gli iconoduli (difensori delle immagini) è proseguita da Costantino V
“Copronimo” (741-775); intanto, mentre l’imperatore è assorbito dalla difesa contro Arabi e
Bulgari, papa Stefano II per difendere Roma dai longobardi deve rivolgersi al re franco Pipino il
Breve (754). D’altronde già Gregorio III si era rivolto a Carlo Martello (739).
Costantino V convoca un concilio teologicamente disastroso a Hieria (754) che scomunica il
Damasceno; ordina la distruzione di tutte le immagini sacre e proclama l’imperatore successore
degli Apostoli, capo supremo della Chiesa, superiore al concilio. Le decisioni causano ribellioni e
opposizioni ovunque. Molti monaci orientali emigrano in Italia meridionale.
L’imperatore Leone IV, più moderato, muore precocemente (780); il figlio Costantino VI è ancora
minore e ha bisogno di un reggente, la madre Irene.
Irene assume la reggenza nel 780 e, appoggiata dal patriarca Tarasio prova prima a convocare un
concilio a Costantinopoli, che però viene impedito dai soldati (786), poi, in accordo con papa
Adriano I, riesce a convocare il II Concilio di Nicea (787) che riabilita il culto delle immagini:
− l’immagine serve al ricordo e all’imitazione di Cristo e dei santi;
− si tratta di un culto di proskynesis (venerazione) e non di latreia (adorazione).
Sono le tesi di Giovanni Damasceno.
Nel 790 però Irene, nonostante le sue resistenze, deve lasciare per breve tempo il potere al figlio
Costantino VI e gli iconoclasti possono rialzare la testa; alla fine Costantino, molto impopolare,
deve fuggire; catturato viene imprigionato e fatto accecare dalla madre. Irene resta da sola al potere.
È la prima donna a ricoprire la carica di “imperatore” (basileys).
Una recrudescenza iconoclasta si verifica nel IX secolo, ma l’opposizione ortodossa è guidata con
successo dal monaco Teodoro Studita. La soluzione sarà raggiunta solo nell’867, quando
Teodora, madre dell’imperatore Michele III, fa ripristinare definitivamente il culto delle immagini.
5. Scisma di Fozio (867-870)
Fozio (820-891) è professore a Costantinopoli e capo della cancelleria imperiale al tempo di
Teodora; viene chiamato ad assumere la carica di patriarca di Costantinopoli da Bardas, il reggente,
fratello di Teodora, al posto del deposto Ignazio; Fozio è deposto a sua volta da Basilio I nel 867,
che richiama Ignazio; alla morte di questi viene reintegrato come patriarca nell’878. Sarà
definitivamente rimosso da Leone IV nell’886.
Quando diventa patriarca non viene riconosciuto da papa Nicola I (858-867), Fozio perciò accusa il
papa di eresia presso gli altri patriarcati, accusandolo per l’introduzione del filioque e per la dottrina
del purgatorio; Fozio scomunica il papa nell’867 dando inizio allo scisma di Fozio (867).
Il nuovo imperatore chiede al papa Adriano II (867-872) di ricomporre lo scisma tramite un
concilio, il Quarto Concilio di Costantinopoli (869-870), che condanna Fozio; il canone 21
stabilisce l’ordine dei patriarcati: Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme; il
papa per la prima volta riconosce la supremazia di Costantinopoli su Alessandria.
Fozio però viene riabilitato e quindi la chiesa greca non riconoscerà mai questo concilio, tuttavia
questa volta non si verifica un altro scisma.
Fozio è uno studioso di rilievo e un teologo. Pubblica la “Biblioteca”, una recensione dei libri da lui
letti, una rassegna di 279 scritti di ogni argomento; oltre a un riassunto dei contenuti, dà spesso un
giudizio circostanziato di valore. L’importanza di quest’opera sta nel fatto che molti dei libri
elencati sono per noi perduti (più della metà) e la Biblioteca è per noi l’unica fonte per la loro
conoscenza.
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V.
L’ISLAM
L’islam è un movimento religioso, politico e militare che raccoglie e rielabora tradizioni giudaiche
e cristiane settarie e marginali diffuse precedentemente in Arabia: Maometto è l’ultimo e più
importante profeta di una lunga serie che inizia con Adamo e l’Antico Testamento; Gesù è il
penultimo profeta (come predicano elcasaiti e manichei); la crocifissione di Gesù è solo apparente
(come insegnato da Basilide); sostengono che le Scritture ebraiche e cristiane, originariamente
ispirate da Dio, siano state manipolate (come Marcione) e affermano il loro superamento in un
nuovo “testo” (come gli gnostici e soprattutto i manichei); dividono gli esseri umani, privi di un
libero arbitrio determinante per la salvezza, in 3 categorie (come gli gnostici valentiniani). Giovanni
Damasceno nel VII secolo classifica l’islam tra le eresie cristiane, un concetto comune nel
medioevo.
Maometto inoltre viene incontro con il suo insegnamento alle necessità e aspirazioni dei popoli
nomadi dell’Arabia, assecondando la loro indole guerriera e valorizzando e trasformando i locali
luoghi di culto pagani, in particolare La Mecca.
1. Come l’islam è strutturato a partire dal IX secolo
La struttura e l’organizzazione del mondo islamico, come lo conosciamo oggi, emerge chiaramente
non nelle fasi iniziali, ma quando si assesta, all’inizio del IX secolo. L’islam si basa su un paio di
testi fondamentali:
Il Corano (che significa “Recitazione”) è ricevuto da Maometto da Dio attraverso l’Arcangelo
Gabriele; è in lingua araba, la sacra lingua di Dio, come l’ebraico lo è nella tradizione rabbinica;
riferisce parole come sono state pronunciate da Dio stesso, non da Maometto. Maometto sarebbe
stato analfabeta e il Corano assimilato a memoria per grazia divina e trasmesso oralmente ai
discepoli. Il Corano viene messo per iscritto verso la fine del VII secolo-inizi dell’VIII, dopo un
secolo di trasmissione orale durante il quale sarebbe rimasto immutato.
La Sunna (che significa “consuetudine”) è costituita da una serie di fatti e detti attribuiti a
Maometto non presenti nel Corano. Si basa su ḥadīth (tradizioni) tramandati da testimoni ritenuti
sicuri. Scritta nel IX secolo in sei libri, riguarda non tutti i mussulmani, ma la maggioranza di essi, i
“sunniti”. Gli sciiti e altre correnti meno numerose si attengono ad altre tradizioni.
I 5 “Pilastri” dell’islam:
1. La “testimonianza” di fede, che consiste nella formula recitata in arabo: “Testimonio che non
c’è divinità se non Allàh e testimonio che Muḥammad è il suo messaggero”. Pronunciarla
sancisce l’adesione all’islam. È una professione di fede formale (basta pronunciarla, non si
richiede un’adesione interiore) e ha effetto immediato.
2. La preghiera rivolta a La Mecca cinque volte al giorno, secondo modalità minuziosamente
prestabilite, marcate dal richiamo dei muezzin dalle moschee.
3. Il digiuno dall’alba al tramonto durante il mese lunare di Ramadan.
4. Il pellegrinaggio a La Mecca, almeno una volta nella vita.
5. La zakāt, contributo in denaro che rende lecita la propria ricchezza; la somma da versare, a
cadenza annuale, viene calcolata sulla base di un imponibile del 2.5% sul capitale finanziario
del fedele e delle aziende.
A questi precetti va aggiunto un sesto pilastro: il jihād (che significa “sforzo”, impegno): il “jihād
maggiore” (cioè l’approfondimento dei testi sacri e l’ascesi personale), accettato da ogni scuola di
pensiero sciita e sunnita; il “jihād minore” (la guerra santa) in realtà non può essere considerato un
pilastro perché l’islam non sempre è in guerra.
L’islam contiene le rivelazioni di Allah fatte fin dall’epoca di Adamo, primo profeta. È la definitiva
comunicazione della volontà divina, resa necessaria dalle continue distorsioni subite dalla
rivelazione, costituita da Torah, Salmi e Vangelo e dai testi della religione zoroastriana; alcuni
includono anche i Veda induisti. Tutti questi testi erano ispirati nella forma originaria andata
perduta, solo il Corano è integro. Maometto è il “Sigillo dei profeti” (l’ultimo e definitivo).
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L’islam proclama la trascendenza assoluta di un unico Dio, del tipo giudaico – neoplatonico: quindi
risulta assurda incarnazione, crocefissione, risurrezione di Gesù e comunque è da escludersi la
figliolanza divina, la teologia trinitaria. La negazione della natura divina di Gesù è un concetto
continuamente ripetuto nel Corano in evidente polemica con il cristianesimo.
Il Dio islamico è talmente trascendente da non aver nulla a che fare con la razionalità umana: non
ha “Logos”; pertanto non è possibile alcuna “teologia naturale” o razionale; Allah, se avesse voluto,
avrebbe potuto creare il fuoco “freddo”: non è tenuto a rispettare alcuna legge naturale-razionale.
“Islam” infatti significa “sottomissione”, totale e fideistica, senza spazio alcuno alla ragione. La
pratica religiosa deve essere accettata perché creduta. Non esiste alcuna mediazione umana, né
esiste propriamente il clero tra i sunniti; gli sciiti invece hanno una gerarchia sacrale.
Nell’islam popolare, appoggiato per altro ad alcune affermazioni del Corano, l’enorme distanza tra
Dio e l’uomo è popolata da esseri intermedi cui ci si rivolge religiosamente, i cosiddetti “ginn”,
oltre ai demoni e agli angeli comuni alla tradizione giudaico-cristiana.
Generalmente l’uomo non è considerato libero di scegliere il proprio destino. All’uomo sono
concesse da Allah azioni già compiute. Esistono tre tipi di uomini: mussulmani, cristiani-ebrei,
pagani. Cristiani ed ebrei sono creati per il servizio ai mussulmani, i pagani come schiavi-oggetto,
non sono veri uomini; il paradiso appartiene ai musulmani, indipendentemente dalla loro condotta
morale sulla terra; a cristiani ed ebrei è concessa, secondo alcuni, una forma inferiore di salvezza. I
pagani sono certamente destinati all’inferno.
2. La forza espansiva dell’islam
Maometto muore nel 632, dopo aver sottomesso la penisola arabica. In breve tempo gli arabi
mussulmani conquistano un vasto impero, approfittando del fatto che bizantini e persiani erano allo
stremo a causa di una lunga guerra tra loro, terminata da poco (nel 630).
Gli arabi mussulmani affrontano la guerra con eserciti relativamente ridotti ma ben organizzati.
Si impegnano nella guerra:
a) Per motivi religiosi: l’islam va diffuso in primo luogo attraverso la conquista
b) Per il bottino
c) Per solidarietà tribale: se va in guerra uno si muove tutta la tribù
Il bottino e la solidarietà tribale avevano mosso anche le invasioni germaniche e dei popoli della
steppa (Unni, Avari…); la novità è la motivazione religiosa.
-
-
In Siria prima e poi in Egitto i musulmani incontrano molti gruppi ostili a Bisanzio per motivi
religiosi, per le tasse, per l’inefficienza dell’amministrazione, che si uniscono a loro o
comunque non li ostacolano. Alessandria, considerata inespugnabile, cade per tradimento da
parte dei cristiani monofisiti (641).
In Persia l’esercito è allo sbando e i mercenari sono poco affidabili; l’intero impero persiano è
assoggettato in pochi anni; conquistata la Persia, i musulmani entrano in India.
L’Africa romana è conquistata iniziando dal sud, dal deserto; le città sono le ultime ad essere
espugnate. Cartagine cade nel 698.
Nel 705 è costituita una flotta che dominerà a lungo il Mediterraneo.
In Spagna entrano nel 711 e conquistano rapidamente quasi tutta la penisola con 10.000 uomini,
approfittando delle divisioni del regno visigotico; penetrano anche in Francia, ma sono respinti
da Carlo Martello nel 732.
Tra VIII e X secolo occupano le grandi isole del Mediterraneo: Sicilia, Sardegna, Creta, Baleari.
Nel IX secolo viene stabilita una colonia saracena (cioè di pirati musulmani) alle foci del
Garigliano; è la base da cui partono saccheggiare i dintorni di Roma, senza però penetrare
all’interno delle mura. Nell’846 saccheggiano le chiese di San Pietro e San Paolo, perciò papa
Leone IV edifica a protezione del colle Vaticano le mura leonine.
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L’espansione dell’Islam è dovuta ai successori di Maometto. Alla sua morte (632) il profeta non
lascia discendenti diretti, solo una femmina, Fatima, sposa di un cugino del profeta, Ali.
Un gruppo di compagni del profeta riconosce come capo Abu Bakr, il primo “califfo” (cioè
“successore” dell’inviato di Allah), che guida l’intera comunità. Scoppia ben presto una rivolta
contro Abu Bakr, alla fine della quale prende il califfato un altro compagno del profeta, Omar. Nel
644, alla morte di Omar, gli subentra Othman, della potente famiglia meccana dei Banu Omayya.
Al momento dell’elezione entra in contrasto col cugino del profeta, Ali. Col tempo molti gruppi
islamici cominciano ad appoggiare Ali, finché non scoppia una rivolta nel 649; nel 656 viene ucciso
Othman e Ali è proclamato califfo. Tuttavia il nuovo califfo non riesce a pacificare le tribù
islamiche e viene assassinato a sua volta nel 661. Viene eletto califfo Muawiya, dei Banu Omayya.
I seguaci di Ali allora si staccano dagli altri musulmani dando vita a una diversa tradizione; si tratta
degli sciiti, da shīʿat ʿAlī, “il partito di Ali”.
La famiglia dei Banu Omayya, o Omayyadi, controllerà ormai l’islam e il califfato e guiderà tutte le
principali conquiste territoriali fin al 750. Dal 750 subentrerà la dinastia degli Abbasidi, che
stabilirà il centro dell’impero a Bagdad e dominerà per cinque secoli, che corrispondono alla
maggiore fioritura della civiltà islamica. Nel 1258 i mongoli conquisteranno Bagdad e porranno fine
alla dinastia abbaside.
La guerra santa
Il jihad (detto minore): è la guerra dei credenti contro i non mussulmani. Maometto, fuggito da La
Mecca nel 622 (Egira) perché gli arabi idolatri erano insorti contro di lui, deruba gli ebrei di
Medina, che non accettano la sua predicazione, e li massacra, a eccezione dei convertiti all’islam;
donne e bambini vengono venduti come schiavi; la stessa sorte subiscono i cristiani dell’oasi di
Hijaz. Sono metodi violenti tipici dell’epoca, specie in quelle regioni, ma in questo caso sono tutte
decisioni giustificate come rivelazioni divine ed entrate nel Corano, sacralizzate. Acquistano così un
valore esemplare e religioso. I comportamenti di Maometto sono normativi per i musulmani.
Il bottino: Maometto a Medina vive con una piccola comunità di adepti pressata da difficoltà
economiche, quindi per finanziarsi organizza spedizioni contro le carovane; anche in questo caso si
sacralizza il diritto al bottino: le decisioni di Maometto sono ratificate da rivelazioni. Il bottino
diventa una componente obbligata del jihad.
La jizya. Dai trattati di Maometto con alcuni ebrei nasce il diritto mussulmano sui popoli tributari
(ebrei, cristiani e zoroastriani): tassa in cambio della pace. Anche in questo caso si tratta del tipico
atteggiamento dei popoli vincitori quando si insediano stabilmente sul territorio conquistato, con la
differenza che anche questa prassi viene sacralizzata.
Nella concezione islamica l’umanità è divisa in due, in base ai territori che occupa: la comunità
chiamata Umma (cioè i mussulmani nel dar al-islam: terra sottomessa alla legge islamica); il resto
dell’umanità, cioè gli abitanti del dar al-harb (il “territorio di guerra”, da occupare al tempo
opportuno tramite il jihad).
Il jihad come principio è permanente: la pace è una tregua provvisoria in vista di una ripresa della
guerra. Sono possibili vari tipi di jihad: militare, proselitistico (tramite predicazione), e anche per
corruzione, pagando per la conversione; lo scopo è sottomettere un territorio alla “sharia”, cioè la
legge islamica; però il mezzo di gran lunga più efficace, testimoniato da Maometto, è la guerra.
Quando gli islamici occupano un territorio, le popolazioni non islamiche devono scegliere tra
conversione, esilio, tributo o morte, il tributo è una concessione per le “genti del libro” (ebrei e
cristiani); i tributari sono dhimmi, ovvero sottomessi sotto la protezione dei mussulmani; per sé non
hanno alcun diritto, né personale, né di proprietà, solo ciò che viene loro concesso dai musulmani;
devono essere riconoscibili, portano dei segni visibili sui vestiti e subiscono limitazioni; sono
cittadini di serie “B”. È un istituto che intendeva limitare le prepotenze musulmane.
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La “tolleranza” islamica è un invenzione illuminista di Voltaire e Gibbon: la “libertà” per gli
“infedeli” consiste nella scelta tra il convertirsi, il sottomettersi pagando la tassa, l’essere venduti
come schiavi o morire.
L’islam per sé non è una religione dell’interiorità, anche se esistono correnti mistiche musulmane; è
una religione rigorosamente politica che vive solo in un contesto sociale informato ai suoi principi,
cioè alla sharia; non ammette dissensi né il passaggio di un musulmano ad altre religioni.
- All’inizio, i conquistatori rappresentano una piccola élite che governa su grandi popolazioni non
musulmane; occorrono secoli perché si convertano all’islam.
- Le popolazioni conquistate subiscono molte restrizioni (divieto di andare a cavallo o di usare la
sella, erigere chiese e sinagoghe…) oltre alla tassa di “protezione” e altri tributi.
- La conversione avviene lentamente per due fattori: la condizione sociale e la rete familiare. La
condizione sociale di inferiorità grava pesantemente; spesso ebrei e cristiani sono oberati dai
debiti per pagare le tasse e rischiano continuamente di essere venduti come schiavi. La rete
familiare (i matrimoni) favorisce la conversione all’islam: per sposare una donna musulmana
bisogna convertirsi all’islam, mentre i figli di una donna cristiana sposata a un mussulmano
devono essere musulmani.
- Le conversioni avvengono anche per trattato: di fronte alla guerra i Berberi accettarono l’islam,
ma a lungo rimangono di fatto cristiani, ebrei (numerosi tra i berberi) e pagani.
Tabella degli anni necessari alla conversione di circa metà della popolazione:
Siria:
252
Persia occ.
253
Persia or.
200
Egitto e Nord Africa 264
Spagna
247
La seconda metà della popolazione segue ritmi di conversione ancor più lenti. La totale
islamizzazione di molti territori è un fatto relativamente recente, degli ultimi 200 anni.
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VI.
VITA CRISTIANA DAL V SECOLO ALLA RINASCENZA CAROLINGIA
1. Liturgia
Il Battesimo e la scomparsa del catecumenato. La prassi liturgica e le norme del catecumenato
antico vanno gradualmente trasformandosi in formalismo per il mutare della situazione sociale.
Innanzitutto man mano che il cristianesimo si diffonde e si sottolinea la necessità del Battesimo
per la salvezza, tende a prevalere la prassi, per altro presente sin dall’inizio, del pedobattesimo,
cioè del battesimo dei bambini piccoli: anche il peggioramento della situazione sociale con
conseguente aumento della mortalità infantile spinge in questa direzione. Inoltre, nel caso dei
battesimi di massa, come per i franchi di Clodoveo, il catecumenato viene totalmente ignorato.
Questa situazione provoca gradualmente, tra il V e il VI secolo, la decadenza e la scomparsa di
fatto del catecumenato.
La formazione si sposta completamente dopo il battesimo e perde la sua sistematicità; è affidata
in gran parte alla predicazione, specialmente alle omelie, un’attività spesso trascurata dal clero.
La predicazione insiste sulle necessità morali immediate, in funzione antipagana e
moralizzatrice, a scapito dei fondamenti dell’annuncio cristiano. Diventa una formazione
fondamentalmente correttiva dei costumi pagani e superstiziosi. La predicazione nel periodo
patristico, ancora testimoniata da Gregorio Magno, rimaneva legata alla spiegazione della
Scrittura; i processi di decadimento culturale porteranno invece a privilegiare una predicazione
di carattere moraleggiante fondata piuttosto sull’esempio dei santi e dei miracoli ad essi
attribuiti, nonché sulla paura dell’inferno.
I tentativi di cristianizzare costumi pagani e l’ignoranza del clero favoriscono la contaminazione
tra vita cristiana e sopravvivenze non cristiane. Così, ad esempio, gli elementi materiali del
Battesimo, acqua, sale e olio benedetti, vengono usati sempre più spesso a scopo di devozione al
di fuori della liturgia battesimale, ma non di rado il loro uso sconfina nella superstizione.
San Bonifacio ancora nell’VIII secolo, nella sua opera evangelizzatrice in Francia e Germania,
si preoccupa di individuare i casi frequenti di battesimi nulli, impartiti in modo inadeguato da un
clero impreparato, e quindi ribattezza.
Da un lato nell’Alto Medioevo si va strutturando definitivamente un folto calendario liturgico,
che, oltre ai tempi forti, è caratterizzato da moltissime celebrazioni di santi; d’altra parte però si
va perdendo il senso comunitario della liturgia, anche in concomitanza di uno sviluppo più
individuale e interiore della devozione.
Si accentua il distacco tra sacerdoti e fedeli, dovuto all’uso esclusivo del latino, ormai non
capito dalla maggior parte dei fedeli, e dalla posizione sociale di rilievo acquisita dal clero. Tra
IX e X secolo si riduce al solo clero la comunione al calice; il fatto che ormai sono soprattutto i
bambini ad accedere alla comunione, fa prevalere la prassi di dare il Pane eucaristico
direttamente nella bocca dei fedeli.
Dal VI sec. si diffonde la Messa” privata”, cioè senza popolo, nata nell’ambiente monastico
dall’esigenza di celebrare per un clero piuttosto numeroso.
La mancanza di formazione e la persistenza di una mentalità pagana è testimoniata dalla
tendenza a considerare l’Eucaristia come una sorta di prodigio occulto, misterioso, un
atteggiamento favorito dall’uso esclusivo del latino e dalla recita del canone sottovoce, una
prassi, quest’ultima, forse entrata già in precedenza nella prassi celebrativa per la presenza dei
catecumeni all’intera celebrazione della Messa. Le discussioni medievali sulla presenza reale
avranno la loro origine dalla difficoltà di comprendere il vero significato dell’Eucaristia.
Fino a metà del secolo VIII prevale una sorta di “anarchia” liturgica, dovuta alla varietà di
consuetudini regionali e particolari; ai riti romano, beneventano, ambrosiano, gallicano,
mozarabico, irlandese, si affiancano le diverse consuetudini monastiche. Naturalmente la
struttura fondamentale dei sacramenti rimane inalterata.
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•
Dopo l’accordo del 754 tra Stefano II e Pipino il Breve, si afferma in occidente il cosiddetto
sacramentario gallo-romano, che regola la liturgia in modo uniforme; la tendenza unificatrice di
Carlo Magno inciderà profondamente sulla liturgia dell’occidente; nel X sec. viene codificato il
pontificale romano-germanico che con gli Ottoni influenzò anche Roma.
2. Angeli, demoni e pratiche magiche
Emerge una forte propensione popolare al culto degli angeli e alla paura per i demoni, con forti
connotati ancora paganeggianti, soprattutto all’interno dei nuovi popoli. I vescovi più sensibili, e
soprattutto i monaci, cercavano di orientare le pratiche popolari verso le dottrine tradizionali dei
padri della Chiesa.
• Si sviluppa in particolare tra i popoli germani il culto di san Michele, che diventa un punto di
riferimento per longobardi (il santuario del Gargano), franchi (Mont saint Michel) e in seguito
normanni: in lui viene riconosciuto l’angelo guerriero della guerra escatologica contro il
demonio.
• Si moltiplicano descrizioni visionarie dell’aldilà; negli ambienti monastici si insegna la vita
cristiana come lotta contro le tentazioni del demonio; già presenti nella Vita si Sant’Antonio, di
Atanasio, poi nei Dialoghi di Gregorio Magno. Le pratiche magiche molto diffuse, di tradizione
pagana, vengono tutte ricondotte al culto del demonio, come del resto insegnavano i Padri.
3. Miracoli, agiografia, reliquie, defunti
Nell’agiografia, i racconti di miracoli e di eventi meravigliosi diventano preponderanti rispetto alla
descrizione della figura del santo, finendo per diventare gli elementi più importanti; si tratta di un
fenomeno riscontrabile con evidenza già in Gregorio di Tours (sec. VI); l’onnipotenza di Dio viene
mostrata nel prodigio piuttosto che nella santità della persona. Questo approccio miracolistico aveva
comunque una funzione pedagogica importante: nei Dialoghi di Gregorio Magno il racconto di
miracolo serve per trasmettere al popolo più semplice insegnamenti dogmatici e morali, un metodo
trasmesso a tutto il Medioevo cristiano, che impara a sfruttare ampiamente il valore catechetico dei
simboli che si possono inserire in una narrazione leggendaria.
Alcune figure vengono quasi mitizzate; tra i franchi una delle più popolari è san Martino: la prima
vita di Martino è scritta da Sulpicio Severo (all’inizio del V sec.), poi altre vite vengono redatte nei
secoli successivi da Paolino, Venanzio Fortunato, Alcuino… in epoca merovingia Martino diventa
il patrono della Gallia e dei sovrani merovingi.
San Dionigi (Denis) da Parigi, una figura storiograficamente evanescente, probabilmente un martire
considerato primo vescovo di Parigi, diventa il protettore dei carolingi; nel 754 papa Stefano II unge
Pipino re nella chiesa di Saint Denis. Nel IX sec. Costantinopoli invia in dono a Ludovico il Pio i
trattati dello pseudo Dionigi, che viene identificato a corte con il primo vescovo di Parigi.
I Longobardi si sentono sotto la protezione di san Michele, ma anche di Giovanni Battista e del
martire Giorgio, santo militare. La figura ariana di Cristo intermediario tra l’uomo e il divino viene
sostituita dai longobardi, diventati cattolici, dall’arcangelo Michele.
Il martire Vincenzo è celebrato nella Spagna romana e visigotica; dopo l’invasione araba divena
meta ti pellegrinaggio la tomba di Santiago (san Giacomo apostolo) in Galizia (terra libera dagli
islamici).
L’Inghilterra all’epoca è molto legata a Roma: il suo evangelizzatore era stato il monaco romano
Agostino, inviato da Gregorio Magno; Pietro e Paolo sono i patroni dell’isola.
In generale, il ricordo dei vescovi santi ne favorisce il culto e la memoria liturgica li trasforma in
patroni di città; la prosperità di una città viene sempre più legata al patrono e alla devozione che gli
si dimostra.
Per la “canonizzazione” non esistono norme, ma consuetudini: in genere per fare un santo basta che
un vescovo accetti il culto locale promosso dal popolo o dai monaci.
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4. Il purgatorio
Per quanto riguarda la teologia dei “novissimi”, si comincia a riflettere sulla questione dello stato
intermedio o “fuoco purgatorio”, un concetto biblico proveniente da 1Cor 3: «tutti devono passare
per il fuoco»; il termine “purgatorio” (cioè purificatorio) è un aggettivo per il sostantivo “fuoco”.
Una purificazione post mortem era già implicata dai culti di suffragio della Chiesa antica e trova già
una prima giustificazione teologica in Origene, Ambrogio, Agostino e altri padri. Nel Medioevo tale
concetto diventa di grande interesse popolare e viene gradualmente approfondito da Gregorio
Magno, da Beda il Venerabile e molti altri. Indubbiamente la preoccupazione di pregare per i morti
cresce in un periodo in cui la vita media era crollata a meno di 40 anni.
Nella storiografia dominante si tende a parlare di “invenzione del purgatorio”, un’espressione tratta
da un famoso articolo del medievalista Le Goff; in realtà il Medioevo, che ama immagini e simboli
concreti, attribuisce un’immagine e una sorta di localizzazione al “purgatorio”, cioè al processo di
purificazione dell’anima dopo la morte; su questa base inizia una riflessione teologica sistematica.
Tuttavia la preghiera in favore dei defunti, per il perdono dei loro peccati dopo la morte, era
radicata nella Chiesa sin dai primi secoli.
La Commemorazione dei defunti il 2 novembre fu istituita dai monaci di Cluny nell’XI secolo.
5. Reliquie
Il culto delle reliquie dei martiri è documentato già al II sec.: si veda ad esempio il martirio di
Policarpo; nel IV sec. il sepolcro del martire viene posto alla base dell’altare (come in San Pietro in
Vaticano), come nelle chiese esterne edificate a Roma sulle catacombe: vere basiliche funerarie, a
volte ipogee, evidenziando così il legame del martire con l’Eucaristia, per associazione del martirio
con il sacrificio di Cristo. Nell’antichità sono celebri alcuni ritrovamenti di reliquie: i corpi dei
martiri Gervasio e Protasio a Milano, da parte di Ambrogio, la reliquia della croce a Gerusalemme
da parte di Elena, la madre di Costantino, una vera “collezionista” di reliquie.
Non mancano considerazioni teologiche per spiegarne il culto: per Basilio il contatto con il corpo
del martire santifica se si imita il santo con la propria condotta di vita.
Dalla prassi di edificare gli altari sulle tombe dei martiri, si passa presto all’esigenza di inserire
reliquie di santi in ogni altare, quindi inizia la pratica della “divisione” delle reliquie.
Gregorio Magno esclude tale prassi, secondo la tradizione romana. A lungo Roma (ricchissima di
martiri) distribuisce solo reliquie per contatto (stoffe appoggiate sulle tombe dei martiri). Le cose
cambieranno con il tempo. I cimiteri romani sono fuori della città (catacombe); gli assedi spesso
comportano la loro devastazione; dopo l’assedio dei Longobardi del 755 papa Pasquale I fa portare
più di 100 corpi di martiri all’interno di Roma, depositati nella Chiesa di San Silvestro in Capite; i
papi successivi (Sergio I e Leone IV). Iniziano una distribuzione di parte delle ossa in Francia e
Germania. Nel IX secolo le catacombe sono quasi del tutto svuotate dei martiri.
Dal IX al XII secolo si moltiplicano i fenomeni di degenerazione del culto: commercio,
falsificazione, uso magico e furto di reliquie. Il furto è incoraggiato anche dai vescovi: il ladro che
porta le reliquie trafugate altrove al vescovo diventava un eroe. È famoso il caso delle reliquie di
san Marco trafugate ad Alessandria d’Egitto e portate a Venezia nel IX secolo. Frequenti (e spesso
inefficaci) prese di posizioni di papi e concili cercano di contrastare abusi, falsificazioni e furti.
6. Ordalie (o giudizio di Dio)
L’ordalia è un istituto di diritto germanico, consuetudinario, che diventa norma scritta nelle
codificazioni dei regni romano-barbarici. Si ricorre all’ordalia perché nel processo germanico
l’onere della prova è a carico dell’accusato, diversamente dal diritto romano. In mancanza o in
aggiunta alle prove e testimonianze, si “provoca” un intervento chiarificatore di Dio. Qualche
giustificazione della prassi viene accampata citando il rito di Nm 5,13.
La Chiesa cerca di circoscrivere e cristianizzare questa pratica pagana inserendola in un insieme di
preghiere ed esorcismi, una sorta di liturgia per chiedere l’intervento divino.
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La pratica dell’ordalia continuerà dal sec. VI al XIV, nonostante le resistenze ecclesiastiche; lo
sradicamento definitivo è stato possibile grazie ai nuovi tribunali dell’inquisizione.
In ambito cristiano si possono considerare dei precedenti di epoca patristica i giuramenti sulle
tombe dei martiri, formulati secondo il principio che Dio punisce chi mente.
Le pratiche più diffuse:
Duelli: Dio fa vincere chi ha ragione; se coinvolti sono le donne o i fanciulli, sono sostituiti da un
“campione”. Si effettuano con bastoni o spade, ma non bisogna uccidere. I contendenti devono
digiunare, pregare, assistere alla Messa, comunicare, giurare lealtà sui vangeli. Lo scontro deve
essere pubblico.
Eucaristia con speciale formulario: chi celebra o chi comunica si sottopone al giudizio di Dio.
Ricevere l’Eucaristia testimonia l’innocenza.
Fuoco e ferro infuocato, acqua bollente: l’accusato dimostra la sua innocenza camminando su ferri
infuocati o immergendo la mano senza riceverne danni.
L’immersione legati nell’acqua: chi resta a galla è colpevole, neanche l’acqua lo vuole…
In piedi con le braccia in croce: chi resiste più a lungo nella posizione ha ragione.
La Chiesa, non potendo impedire le ordalie, ha cercato di depurarle degli elementi pagani o magici.
Il Pontificale della Curia romana escludeva le ordalie, pur essendo presenti nel pontificale romanogermanico del sec. X; alcuni vescovi si oppongono apertamente già agli inizi, non molti, però,
secondo le testimonianze: era una pratica molto radicata e popolare.
La prima condanna papale ufficiale è di Alessandro III (1159-1181) continuamente confermata dai
successori. Un colpo importante fu inferto con il IV Concilio Lateranense (1215). Alla fine del XIV
sec. erano ormai rare, un’eccezione.
7. Santuari e pellegrinaggi
Dal IV sec. inizia l’edilizia cultuale e funeraria.
A Tours grande chiesa per Martino; a Nola san Felice; a Roma soprattutto: oltre alle grandi
basiliche, tra VII e VIII secolo si moltiplicano ospedali e ospizi per i pellegrini; le reliquie vengono
portate nella città. Questi santuari sono punti di riferimento per i pellegrinaggi. Inoltre si
moltiplicano le processioni tra i luoghi cultuali (stazioni) nelle città, da una chiesa all’altra.
Mete di pellegrinaggio: Roma (ad limina Apostolorum, i pellegrini non accedevano direttamente
alla tomba); ad catacumbas; nel Gargano, per san Michele; a Santiago di Compostela.
I pellegrinaggi in Terra Santa sono a carattere specialmente penitenziale, caratterizzati come sono
dalla difficoltà e lunghezza del viaggio che è concepito come l’ultimo viaggio: prima di partire si fa
testamento; numerosi monasteri in terra santa ospitano i pellegrini.
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VIII. L’ESPANSIONE FRANCA E LA RINASCENZA CAROLINGIA
1. Roma e i bizantini
Mentre l’Impero d’oriente si va strutturando intorno alla componente greca e orientale, l’occidente
gradualmente se ne allontana; in particolare nei secoli VII e VIII si accentua la distanza di
Costantinopoli dalla Chiesa di Roma, per tre ordini di ragioni:
- Teologici: i ripetuti tentavi da parte degli imperatori di reintegrare i monofisiti attraverso
formule teologiche di compromesso, fino alla deriva teorico-pratica dell’iconoclasmo, si
scontrano contro la posizione nettamente calcedoniana di Roma.
- Ecclesiali: il rifiuto del primato romano e il tentativo di affermare un primato costantinopolitano
(la “seconda Roma”) supportato dal potere imperiale non verrà mai accettato da Roma.
- Amministrativi-militari: la città di Roma e l’Italia di fatto sono abbandonate sempre più al loro
destino, pur rientrando nella giurisdizione bizantina, sia sotto l’aspetto economico, sia sotto
quello politico-militare, particolarmente inefficace contro i longobardi.
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2. I franchi prima di Carlo
Il regno franco intanto si andava consolidando; la dinastia merovingia perde potere (sec. VIIVIII) a favore dei maestri di palazzo (o “maggiordomi”), principi franchi al servizio del re, che
prendono decisamente in mano la situazione politica e militare.
I merovingi conservano il carattere di re “sacri” secondo la tradizione pagano-germanica (ad
esempio, portano capelli lunghi come segno di potere magico); l’aura di sacralità, sempre più
accentuata, contribuisce ad allontanarli dall’esercizio del potere.
Il regno nel VII sec. è diviso tra Austrasia (dove prevale la lingua germanica) e Neustria (di
lingua romanza), ma anche Borgogna (corrispondente alla Burgundia sottomessa), Aquitania,
Provenza e Settimania (queste ultime prevalentemente galloromane) sono autonome.
La famiglia dei “pipinidi” appartiene all’aristocrazia dell’Austrasia (ted. Ostreich, “regno
orientale”). All’inizio del VII secolo si mettono in evidenza Arnolfo (vescovo di Metz) e Pipino
di Landen che diventa “maggiordomo”. Il figlio, Pipino di Héristal, riesce nel 668 a sottomettere
la Neustria (“regno occidentale”); da lui la casata prende il nome di “pipinidi”.
Gli succede Carlo Martello (da “Marte”, guerriero); Carlo nel 732 a Poitiers sconfigge gli
arabi, arrestandone l’avanzata; riesce inoltre a sottomettere l’Aquitania, riunificando il regno.
Nel 741 gli succedono i figli Pipino il Breve (+768) e Carlomanno, che però si ritira in
monastero a Montecassino nel 747. Pipino il Breve rimane l’unico sovrano, anche se deve
continuare a combattere per sottomettere i potentati locali.
Pipino, con il consenso di papa Zaccaria, nel 751 manda Childerico III, ultimo re merovingio, in
monastero e si fa “ungere” re a Saint Denis dai vescovi delle Gallie.
Nel 754 papa Stefano II, minacciato dai longobardi, chiede aiuto a Pipino; si reca nel regno
franco a ungere personalmente Pipino e i suoi 2 figli Carlo e Carlomanno. Il rito dell’unzione si
ispira all’Antico Testamento, riconoscendo al re un carattere sacrale di tipo “cristiano”.
Pipino difende due volte Roma dai longobardi (754-756), strappa loro Ravenna e altri territori e
quindi li dona al papa: si costituisce così il cosiddetto “Patrimonio di san Pietro”, che costituisce
l’inizio effettivo degli Stati Pontifici; in precedenza già il re longobardo Liutprando aveva
donato a papa Gregorio II il castello di Sutri (732), una donazione simbolica convenzionalmente
considerata come la nascita degli Stati Pontifici.
Pipino si preoccupa anche della Chiesa franca, promuovendo una riforma del clero, con
l’appoggio del monaco missionario inglese san Bonifacio.
Bonifacio (675-754) detto “l’apostolo della Germania”
Anglosassone (Winfrido), monaco missionario, lascia l’Inghilterra nel 716 (a 41 anni) e va a
evangelizzare i Frisoni nel nord della Germania e nell’attuale Olanda, inizialmente senza successo.
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A Roma riceve l’appoggio del papa e riparte nel 719, recandosi in Assia, Baviera e Turingia con
successo; nel 722 torna a Roma e viene nominato vescovo da Gregorio II; ritorna in Germania.
Taglia platealmente la quercia sacra di Thor (a Geismar, presso Fritzlar) per dimostrare l’impotenza
degli idoli; inizia a organizzare la Chiesa, soprattutto fonda monasteri, tra cui Fulda.
Collabora prima con Carlo Martello e poi con Pipino il Breve, contribuendo alla riforma del clero
franco; fa convocare cinque sinodi a questo scopo.
Nominato arcivescovo di Magonza nel 732, ritorna in missione e alla fine viene martirizzato dai
frisoni, quasi a 80 anni. Viene sepolto al monastero di Fulda, da lui fondato. Ci ha lasciato un
importante epistolario.
3. Carlo Magno (rex pater Europae, definito così da un poeta franco nel 799)
Carlo nasce nel 742; diventa re nel 768 assieme al fratello Carlomanno; regna da solo a partire dal
771; è incoronato imperatore nell’800; muore nell’814.
L’asse unitario (militare, politico, sociale, culturale, economico e religioso) del Mediterraneo
romano non esiste più da secoli; si riformerà qualcosa di analogo nell’Europa occidentale e centrale
per opera di Carlo Magno.
a. Le conquiste
Carlo eredita dal padre Pipino alcuni compiti militari importanti:
- consolidare la frontiera meridionale, contro gli arabi di Spagna
- difendersi dagli attacchi dei sassoni
- proteggere il papa dai longobardi
1. nel 772 entra in Sassonia per fermare le scorrerie sassoni; abate la “colonna del cielo” (la
quercia sacra di Irminsul) simbolo eminente del paganesimo sassone.
2. nel 773 affronta i longobardi che, guidati dal re Desiderio, volevano conquistare Roma; le
fortificazioni alpine vengono aggirate, quindi i longobardi sono definitivamente sconfitti dopo
un lungo assedio di Pavia. Con l’arrivo dei franchi finisce anche il potere bizantino sull’Italia
centrosettentrionale. Inizia l’egemonia franca, che si estende nel centro-nord e sul ducato di
Benevento.
3. I sassoni si vendicano della precedente sconfitta riprendendo le loro scorrerie, saccheggiando e
incendiando chiese; Carlo organizza la controffensiva e li sconfigge di nuovo; i sassoni
sottomessi si “convertono” al cattolicesimo nel 776, ma probabilmente molti ricevono il
battesimo per la seconda volta…
4. Carlo scende in Spagna approfittando dei contrasti interni degli arabi; distrugge Pamplona ma si
inimica i baschi; un contingente franco di ritorno, viene attaccato di sorpresa a Roncisvalle e
viene ucciso il margravio Ruothland (da cui prende ispirazione la Chanson de Roland);
probabilmente gli assalitori erano baschi, non arabi.
5. I sassoni rimangono ribelli e aggressivi; dopo alcuni anni di evangelizzazione difficile ma
pacifica, il territorio viene diviso in contee. Per Carlo un suddito necessariamente deve essere un
battezzato: la lealtà dei popoli sottomessi si basava su un giuramento di fedeltà, e questo era
garantito solo dalla fede comune. Carlo perciò emette la Capitulatio in partibus Saxoniae (785)
che stabilisce la pena di morte per i pagani che rifiutano il battesimo, per chi trasgredisce il
digiuno quaresimale, per la cremazione, le pratiche pagane e l’omicidio di ecclesiastici. Alcuino
e diversi vescovi protestano contro il decreto, per loro è impossibile costringere alla fede con la
violenza: la fede cristiana richiede un’adesione interiore.
6. Nel 793 si verifica una nuova rivolta dei sassoni, che ritornano in gran parte al paganesimo.
Guidati da Vitichindo, colgono di sorpresa le milizie franche e ne fanno strage. Carlo reagisce
prontamente ottenendo una grande vittoria; fa strage di 5000 prigionieri che non vogliono
sottomettersi (“convertirsi”). Dopo tre anni di ulteriori confitti Vitichindo si fa battezzare. Il
battesimo è segno di sottomissione al re franco, la religione c’entra poco.
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7. Anche bretoni, longobardi (Arechi a Benevento) e bavaresi si ribellano ripetutamente dal 786
all’810, richiedendo continui interventi di Carlo e dei suoi duchi. Carlo approfitta dei conflitti
per annettersi la Baviera.
8. Intanto gli avari (un popolo di origine uralo-altaica insediato in Europa centro-orientale) nel 788
invadono Baviera e Friuli, mentre i duchi di Spoleto e Benevento (longobardi sottomessi ai
franchi) respingono i tentativi bizantini di riconquista. Carlo organizza una grande spedizione
per prendere il Ring, la capitale avara in Pannonia, che viene espugnato nel 795. Gli avari si
disperdono e scompaiono dalla storia: si trattava in effetti di un insieme di tribù di diversi popoli
delle steppe.
9. La resa definitiva dei sassoni avviene nell’803, dopo 14 spedizioni militari e grandi stragi da
una parte e dall’altra.
10. Intanto è presa Barcellona dopo 2 anni di assedio. L’impero franco-romano è ormai costituito.
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b. Carlo imperatore
Carlo Magno stabilisce la sede del suo impero ad Aquisgrana, come aveva fatto il padre Pipino;
una città che attualmente si trova in Germania, presso il confine con Belgio e Olanda. Vi fa
edificare palazzo, cattedrale e terme in forme grandiose, che manifestano la sua ambizione.
L’imperatore bizantino continua a considerarsi imperatore dei romani, ma la distanza da Roma è
ormai enorme. La questione iconoclasta inoltre aveva peggiorato le cose. D’altronde i papi
nell’VIII secolo si sono dovuti rivolgere ai franchi per difendere Roma dai longobardi, a causa
dell’inefficienza dei bizantini. Nel 778 papa Adriano I definisce Carlo “un nuovo Costantino”.
Carlo aveva cercato di stabilire buoni rapporti con i bizantini, fino a promettere sua figlia in
sposa all’imperatore Costantino VI, una promessa però che non si potrà realizzare, in Italia
meridionale infatti si verificano frequenti conflitti tra bizantini e franchi. Il II Concilio di Nicea
del 787 non viene accettato dai franchi, perché ne erano stati tenuti fuori; Carlo organizza un
concilio alternativo a Francoforte.
Nel 797 Irene diventa imperatrice a Costantinopoli, dopo la morte del figlio Costantino VI; è la
prima donna ad accedere a tale carica, oltretutto ottenuta a danno del figlio, pertanto è
considerata illegittima da Roma; si spiana la strada per incoronare un imperatore in occidente.
Papa Leone III era avversato a Roma da alcune famiglie potenti, e veniva accusato
pretestuosamente di fornicazione e spergiuro dalle fazioni avverse. Durante una sommossa i
suoi avversari tentano di cavargli gli occhi e tagliargli la lingua, ma riesce a fuggire a
Paderborn, dove si tiene un’assemblea franca; sopraggiunge poco dopo il papa anche una
delegazione dei suoi accusatori. Carlo decide di giudicare il papa a Roma, attribuendosi di fatto
il diritto di giudicare l’operato del papa collocandosene al di sopra.
Le accuse erano evidentemente pretestuose, avanzate per motivi politici; Carlo scagiona il papa;
inoltre accetta di essere incoronato imperatore da Leone III. La cerimonia si svolge il 25
dicembre dell’800, con la giustificazione che la sede imperiale a Costantinopoli è vacante.
L’incoronazione e l’unzione regale sono impartite dal papa, secondo un rituale già in uso a
Costantinopoli. Carlo Magno è diventato “imperatore romano” d’occidente.
N.b.: in genere nel linguaggio comune dei testi di storia è invalso l’uso di indicare questa data
come l’inizio del “Sacro romano impero”, tuttavia al tempo di Carlo si tratta di una designazione
anacronistica e anche forviante: il titolo “sacro” fu aggiunto solo nel XII secolo dall’imperatore
tedesco Federico Barbarossa, che intendeva così ribadire la sacralità del potere imperiale e la sua
supremazia nel conflitto contro il papa. Carlo Magno diventa semplicemente “imperatore romano”
d’occidente.
4. Rinascenza carolingia: Rinnovamento spirituale e culturale
Nella storiografia la figura di Carlo Magno è strettamente collegata alla rinascita carolingia; in
effetti è sicuramente la figura più rilevante di un sentire comune, che comunque già appare prima di
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lui. La rinascita carolingia è il frutto dell’opera di due attori principali con scopi in parte diversi:
obiettivo della Chiesa era cristianizzare le nuove strutture politiche e sociali e santificare il clero e il
popolo cristiano, obiettivo dell’imperatore unificare l’impero attraverso la comune fede cattolica.
La riforma della Chiesa per Carlo suppone un’operazione di crescita culturale: lo sforzo preminente
sarà dedicato a migliorare l’educazione del clero e correggerne i costumi immorali; l’ingresso di
tanti ecclesiastici franchi non aveva giovato al livello culturale e morale della Chiesa. La riforma
era iniziata con Carlo Martello e Pipino il Breve ed era stata allora guidata da san Bonifacio; in ogni
città viene ristabilito un vescovo e viene ribadita l’esigenza che il clero gli obbedisca; sono
ripristinati i sinodi; restituiti i beni sottratti alla Chiesa e finiti nelle tasche dei privati; si ingiunge
che i monaci non escano dal monastero e per i chierici disobbedienti sono stabilite pene severe,
come digiuni, carcere e bastonate; si procede inoltre allo sradicamento dei culti pagani; si stabilisce
l’obbligo del pagamento delle decime.
Il re e i suoi funzionari però, approfittando della riforma, esercitano un’autorità spesso brutale sulla
Chiesa e i metodi adottati sono estremamente coercitivi.
Carlo personalmente si dimostra molto curioso intellettualmente;
- parla correntemente la lingua germanica e il latino; sa leggere ma non sa scrivere, sa tracciare
solo la propria firma; ha ricevuto un insegnamento prevalentemente basato sulla memoria, come
era costume dell’epoca; fa venire dall’Italia Pietro da Pisa per insegnargli la grammatica;
Alcuino, proveniente dall’Inghilterra, viene ingaggiato per l’insegnamento di livello superiore,
teologia compresa; diventa presto il principale consigliere religioso e culturale di Carlo.
- Carlo comincia a elaborare personalmente una grammatica della lingua franca (la prima in
assoluto) e fa raccogliere i testi dei canti tradizionali.
- Riunisce ad Aquisgrana l’Accademia palatina (definizione di Alcuino), un gruppo di intellettuali
in maggioranza non franchi: tra loro Paolo diacono; Paolino (poeta che diventerà patriarca di
Aquileia); Teodulfo (d’Orléans); Alcuino è l’intellettuale di punta, abate di San Martino di
Tours dal 796. Poi Angilberto, Modoino (di Autun) ed Eginardo, il futuro biografo di Carlo.
Alcuino di York (o di Tours)
Nato in Northumbria (Inghilterra) dopo il 730, compie i primi studi a York sotto la guida di
Aelberto, al quale succede verso il 778 nella direzione della scuola.
- Durante un viaggio in Italia, incontra a Parma Carlo Magno, che lo invita a raggiungerlo in
Francia, dove si trasferisce intorno al 781. Diviene stretto collaboratore del sovrano nel suo
impegno per la riorganizzazione politica, ecclesiastica e culturale del mondo franco
- contribuisce personalmente alla fondazione e al successo della schola palatina. Alcuino stesso è
probabilmente il redattore dei documenti imperiali finalizzati a varare ufficialmente il
programma della riforma culturale, in particolare l’Admonitio generalis dell’anno 789
- Nel 796 assume l’incarico di guidare l’abbazia di Tours, dove istituisce e perfeziona una nuova
scuola monastica culturalmente elevata, concepita a imitazione di quella di York,
preoccupandosi di arricchirla con una preziosa biblioteca.
- Tra il 799 e l’801 attende di persona a una globale revisione del testo della Bibbia, quindi a un
riordinamento del Sacramentario Gregoriano. Muore il 19 maggio 804.
Sono da segnalare i suoi trattati sulle arti liberali che testimoniano della sua attività didattica,
preceduti da una notevole introduzione sul significato della sapienza (Disputatio de vera
philosophia).
Sul versante teologico, oltre a una vasta produzione esegetica e al De fide sanctae Trinitatis, che è
un compendio di dottrine agostiniane destinato a grande fortuna presso le successive generazioni,
sono significative le opere dedicate da Alcuino alla lotta contro gli eretici adozianisti di Spagna,
combattuti con energia fino alla condanna dei concili di Francoforte (794) e di Aquisgrana (799).
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Si occupa anche della stesura dei Libri Carolini (o Capitulare de imaginibus), sulla questione delle
immagini sacre, in parziale polemica con il II Concilio di Nicea del 787.
Di Alcuino sono infine da ricordare alcuni opuscoli agiografici e un’ampia produzione poetica.
- L’impegno culturale di Alcuino si traduce nel progetto di realizzare sul piano culturale lo stesso
ideale di unificazione della Christianitas (il mondo cristiano occidentale) che la dinastia
carolingia sosteneva sul versante politico dopo la frantumazione dei regni barbarici.
- Dimostra uno sforzo costante per la promozione e la valorizzazione dei testi latini, sacri e
profani: rinasce l’interesse per il libro come prezioso oggetto di studio.
Bibbia e bellezza
Notevole è l’attività svolta da Alcuino come revisore del testo della Bibbia, per imporre la versione
definitiva della Vulgata (traduzione latina di Girolamo) unificando i testi in uso. Infatti le Bibbie
erano costituite da collezioni di codici separati e di diversa provenienza; nei monasteri circolavano
ancora molti codici delle versioni precedenti alla Vulgata.
Le Bibbie prodotte da Alcuino sono curatissime, ricche di splendide miniature. L’interesse artistico
ha una finalità di carattere pedagogico: avviare con maggior facilità il credente non erudito alla
comprensione del testo, attraverso un contatto sensibile, visivo, con la profondità del messaggio
della redenzione, in attesa che la graduale acquisizione della scienza teologica possa portare a una
comprensione approfondita della verità di fede. Si tratta di un’efficace teoria estetica, nata dalla
meditazione di Agostino, inglobata all’interno di un ampio progetto pedagogico-culturale. È la
visione dell’arte che ha influenzato la produzione artistica del sec. IX e la concezione estetica dei
secoli successivi.
- Poiché la sapienza consiste nella comprensione del vero, espressione del divino, indagato dalla
ragione e integralmente posseduto dal cristiano per mezzo della rivelazione, la bellezza appare
ad Alcuino come una parte della verità, in quanto è riconoscimento dell’ordine armonico che
Dio ha imposto all’universo creato. L’arte è dunque una forma della razionalità.
- Amare la sapienza è il fine naturale dell’uomo, attraverso l’esercizio delle arti: la considerazione
del bello, come quella del vero, anche nelle sue minime forme, fa parte in modo essenziale della
sapienza, perché conduce, attraverso gradi intermedi, alla contemplazione di Dio.
- Il maestro deve educare i discepoli a leggere la natura, a conoscere e utilizzare le arti liberali, a
saper parlare e poetare, a considerare l’ordine delle stelle nel cielo come se fossero dipinte sul
soffitto di una casa affrescata (Ep. 121). L’ordine conduce a godere dell’armonia e bellezza del
creato con uno sguardo unitario, quindi ad amare Dio, che ne è la causa unica (Ep. 148;155).
- La virtù morale è la bellezza della natura umana, ritrovare la bellezza significa ritrovare
l’immagine divina nell’uomo offuscata dal peccato originale.
Carlo continua l’opera di riforma e di completamento della struttura gerarchica e delle abazie senza
abate. I vescovi spesso ricevono l’incarico di collegare il re con i suoi suffraganei come messaggeri
del re (missi dominici); diventano alti dignitari politici.
Dal 789 vige l’Admonitio generalis, una forte esortazione alla crescita civile e morale, fatta d’intesa
con il papato (Adriano I e successori): vuole convincere i sudditi-cristiani a vivere come fratelli,
nella pace e nella giustizia.
Si moltiplicano i libri dei vescovi per spiegare la liturgia, specie il battesimo, l’eucaristia e la
penitenza; i sacramenti sono accuratamente presentati non come un rituale meccanico (magico), ma
come evento di grazia. Almeno 18 sinodi della chiesa franca si tengono sotto il regno di Carlo (non
si riunivano da 80 anni). Il re si pone di fatto alla testa della Chiesa.
Dopo l’incoronazione imperiale, una responsabilità molto sentita da Carlo, l’imperatore intensifica
l’impegno moralizzatore, ma anche teologico; impone un esame dottrinale di tutto il clero davanti ai
suoi rappresentanti; ribadisce l’obbligo di recitare l’ufficio; si preoccupa della correttezza del canto
liturgico ispirato ai costumi romani. I missi imperiali devono interrogare anche i laici, che devono
conoscere almeno il Credo e il Padre nostro.
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Nell’811 Carlo convoca ad Aquisgrana i vescovi e tiene un discorso di tipo parenetico in cui si
scaglia contro il lusso e le forme di vita mondane (armi, caccia, ubriachezza…).
Nove punti qualificanti della riforma di Carlo.
1. Elevare il livello culturale dei sudditi
- Nella Epistola de litteris colendis, Carlo esorta i vescovi ad adoperarsi per migliorare la
conoscenza del latino. Anche i monaci devono studiare il latino. Promuove le scuole
ecclesiastiche e nell’Admonitio generalis obbliga ogni parrocchia ad avere una scuola; tutti i
preti di campagna sono obbligati a insegnare ai ragazzi almeno nozioni elementari; si può poi
proseguire nelle scuole ecclesiastiche o monastiche; i vescovi devono controllarne l’attuazione.
- L’unica scuola “laica” del regno è quella di palazzo (la “Scuola palatina” di Aquisgrana), dove
si insegna a tutti i giovani, anche ai servi, che spesso risultavano più bravi dei nobili, come
Carlo ama sottolineare. Attraverso questa scuola Carlo seleziona amministratori ed ecclesiastici.
- Dai concili emerge l’interesse per la formazione cristiana dei laici; Giona d’Orléans scrive un
libro sull’educazione dei laici, con testi della Scrittura e dei padri giudicati adatti; consiglia la
comunione frequente e la preparazione alla confessione individuale; promuove il canto dei
Salmi. Si moltiplicano così libri di preghiere. Si insegna inoltre la sollecitudine per i poveri.
- Numerosi sono i trattati scritti per i laici, detti manuali o “specchi”, cioè modelli di vita, specie
per quelli con cariche pubbliche: i sovrani sono presentati come servitori di Dio per il bene del
popolo, le qualità richieste sono giustizia, misericordia, moderazione, distacco dai doni,
preservazione della concordia. Il re deve avere una vita d’ascesi e di preghiera. Incmaro di
Reims tenta di stabilire regole che limitino il diritto di uccidere in guerra.
- Si sviluppa una sensibilità umanistica: aumenta l’interesse per l’uomo immagine di Dio, la sua
dignità e la sua miseria.
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2. Una forte spinta alla produzione libraria
Carlo nel 780 costituisce ad Aquisgrana la biblioteca palatina chiedendo a chi possedeva libri di
regalarli o di farli copiare per la biblioteca.
I libri sono molto costosi: per una Bibbia serviva la pelle di centinaia di pecore e di qualche
cervo per la rilegatura. Carlo tuttavia si adopera per finanziare la produzione libraria. Si nota
una forte accelerazione della produzione libraria in età carolingia: fino all’800 si sono
conservati 1800 codici manoscritti, per il solo IX secolo ne abbiamo più di 7000. Sono redatti da
squadre di monaci, ma anche da chierici o da laici professionisti.
Vengono copiati la Bibbia, i Padri, le agiografie, i codici liturgici, autori classici e tardo antichi,
per l’esigenza di imparare il latino ma anche per il gusto letterario che andava risvegliandosi.
I cataloghi delle biblioteche monastiche sono pubblici, così i monasteri sanno dove recarsi per
copiare o consultare un libro mancante nella loro raccolta; spesso nelle famiglie nobili c’è una
biblioteca, e il più delle volte sono le donne a farne uso, così che nel mondo laico le donne sono
in genere più istruite; un bell’esempio in tal senso è il Manuale di Dhuoda per il proprio figlio,
un prosimetro scritto tra l’840 e l’843.
Nel monastero di Corbie, per facilitare la copiatura, modificando una scrittura corsiva si ottiene
la minuscola carlina, che diventa presto una sorta di scrittura unica europea soppiantando le
diverse scritture in uso; da essa provengono i moderni caratteri a stampa.
Anche la punteggiatura viene unificata e introdotta sistematicamente, per facilitare la lettura; è
la base per la punteggiatura moderna.
3. L’agostinismo politico Pensiero politico altomedievale
Il cosiddetto Agostinismo politico o medievale non corrisponde affatto al pensiero di Agostino.
Agostino, ne La città di Dio, parla di due “città” (terrena e celeste) che non si identificano con
alcuna istituzione, né stato né chiesa terrena: hanno un carattere mistico o ideale, sono la città dei
santi e quella dei peccatori; il mondo ne è una commistione inestricabile durante la vita terrena.
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La definizione agostiniana rompe così con la tradizione sacrale dello stato romano, pone il principio
dell’organizzazione sociale nella volontà umana (non più immediatamente in quella divina), che
consiste in un ordine fondato sull’impegno comune verso beni condivisi: l’appartenenza al popolo,
alla “nazione”. Solo l’invisibile Città di Dio è di ispirazione divina: finché le due città sono
mescolate “ci serviamo anche noi della pace di Babilonia”, cioè della città terrena. Perciò è un
dovere per il cristiano obbedire alla legge civile, anche nel caso di guerra difensiva, al fine di
perseguire e conservare la pace; il buon cristiano in Agostino è un buon cittadino.
Nel Medioevo si va verso una diversa interpretazione, una fusione tra ordine naturale e
soprannaturale, per influsso della mentalità imperiale romana; sono principi generatori del
cosiddetto “agostinismo politico”:
- La tendenza ad assorbire il fondamento naturale dello stato nella giustizia soprannaturale.
- La progressiva trasposizione del discorso sulla città di Dio dal piano ideale a quello reale.
- Il cristianesimo come collante sociale diventa bene civile e pubblico primario.
Tappe della formazione di questo pensiero:
Papa Gelasio I (492-496): rimane nell’ambito agostiniano; potere spirituale e potere temporale sono
affidati ad autorità diverse: Cristo stesso ha separato le due sfere, consapevole della fragilità umana.
Ogni autorità ha compiti specifici, anche se entrambe in ultima istanza devono rendere conto a Dio,
però la responsabilità sacerdotale è maggiore, perché i sacerdoti dovranno rendere conto a Dio
anche del sovrano, se non lo hanno esortato al bene.
La situazione si complica nei regni romano-barbarici e nel rapporto con l’autorità imperiale; papa
Gregorio I (590-604) deve occuparsi di curare la cosa pubblica a Roma, abbandonata dalle autorità
civili; deve anche intervenire nei rapporti con i nuovi stati, in vista della pace e della missione.
Ma agostinismo politico è altro: significa ricondurre alla giustizia soprannaturale ogni fondamento
della legittimità del potere temporale; la piena realizzazione di questa visione si ha con Carlo
Magno. Per Carlo il battesimo è il legame che deve tenere uniti i popoli sottomessi all’impero.
La ragione profonda di questo orientamento sta nel fatto che l’unità dell’impero si fonda sulla
fedeltà, la lealtà dei sottoposti, quindi su basi di carattere morale, dove la religione comune assume
una funzione essenziale. La frantumazione dell’impero non cambia l’impostazione: ne deriverà il
cosiddetto sistema “feudale”.
Giona di Orléans scrive nell’831 De institutione regia.
- L’autorità regale proviene da Dio: anche se si tratta di prìncipi malvagi: i sudditi devono
rispettare l’autorità secolare.
- Il limite del potere del sovrano è la legge di Dio, a questa deve essere richiamato dai sacerdoti.
- Il potere regio è un ministerium (incarico-servizio) per difendere la legge divina.
- Il principe deve governare il popolo e servire la pace, proteggere la Chiesa anche con le armi se
necessario; si deve far carico di vedove, orfani, poveri e bisognosi.
Per Carlo il potere regio è totalmente sacrale; nelle assemblee dell’impero i signori laici e i vescovi
(entrambi garanti della legge umana e divina) affrontano insieme i problemi e si accordano tra loro.
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4. Uniformare la liturgia
Si procede alla correzione dei libri liturgici, Carlo si impegna fino a diventare un esperto: la
liturgia deve essere uniforme in tutto l’Impero, nei testi e nelle forme. Il riferimento sono i libri
liturgici romani, compresi i canti e la salmodia: è il periodo del primo sviluppo di quello che
sarà chiamato canto gregoriano. In quest’ambito appaiono le prime forme di scrittura musicale.
Carlo chiede la papa il Sacramentale gregoriano, il testo che descrive la liturgia romana, ma gli
arriva un esemplare certamente prezioso, ma pieno di errori, bisognoso di molte correzioni.
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La Bibbia viene emendata da Teodulfo e Alcuino; il lavoro di Teodulfo è più accurato
filologicamente, ma la Bibbia di Alcuino è più elegante e ricca di illustrazioni e prevale.
5. La custodia dell’ortodossia
Carlo si ritiene responsabile dell’ortodossia in concorrenza con la gerarchia ecclesiastica, di cui si
sente la guida anche in campo teologico, come l’imperatore d’oriente.
- Organizza la discussione contro l’adozionismo di Elipando di Toledo e Felice di Urgel; convoca
un Concilio a Francoforte nel 794 per esaminare Nicea II, e lì condanna l’adozionismo; nel 799
Felice viene convocato ad Aquisgrana a discolparsi e viene sconfitto da Alcuino.
- A Francoforte rigetta la dottrina di Nicea II, accolta invece dal Papa: il Liber carolini condanna
l’obbligo di venerare le icone. I franchi non capiscono la sottolineatura favorevole al culto delle
immagini, tipicamente orientale, e in un clima intellettuale come quello istaurato nel regno non
si poteva accettare quello che sembrava tendere alla superstizione.
- Carlo generalizza inoltre l’uso del Credo con il Filioque durante la Messa, in aperta opposizione
alla prassi greca; nell’809 in un concilio ad Aquisgrana fa biasimare Roma perché non lo
accetta. Il Credo con il Filioque non è accolto a Roma fino all’XI secolo.
6. La conversione dei pagani
Carlo Magno tenta di obbligare al battesimo i Sassoni, un tentativo completamente fallito.
- Nel 789 si riunisce un sinodo di vescovi che condanna apertamente il metodo dei battesimi
forzati; poco dopo Carlo Magno promulga il nuovo Capitolare saxonum, che abolisce il
precedente ed elimina il clima di costrizione e di terrore.
- Si verificano anche battesimi di massa liberi, conseguenza di sconfitte militari, in cui i germani
abbandonano volontariamente i loro dei perdenti in favore del Dio vincitore.
- D’altra parte l’attività missionaria pacifica è molto intensa, il monastero di Fulda tra il 777 e il
779 manda in Sassonia almeno 70-80 missionari. Non pochi missionari sono anglosassoni
(come era Bonifacio) che capiscono ancora la lingua sassone.
- I metodi di evangelizzazione degli avari sono subito diversi: Paolino di Aquileia impone il
principio: prima l’istruzione e poi il battesimo.
7. La lotta alle superstizioni pagane
Carlo nell’Admonitio generalis impone ai vescovi di predicare personalmente al popolo e di
organizzare la predicazione: il regno pullulava di predicatori anarcoidi che facevano cose strane,
annunziavano la fine del mondo… Carlo prende molti provvedimenti; soprattutto vietava di pregare
presso alberi e sorgenti, secondo gli usi pagani germanici.
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8. Preti, canonici e monaci:
Si favoriscono le forme di vita comune dei preti per facilitare la preghiera e l’istruzione; nel 754
appare la prima regola canonicale (Crodegondo di Metz) con elementi di vita comune. Nell’817
nel concilio ad Aquisgrana appare la professione canonica; i preti si differenziano ancora dai
monaci per una certa libertà per l’azione pastorale, ma anch’essi fanno vita comune.
Si insiste sulla formazione intellettuale e morale, sulla base di Gregorio Magno: evitare i sette
vizi capitali, esercitare con disinteresse il ministero, adempiere i doveri con zelo.
La vita del clero si organizza intorno alla Messa e all’ufficio divino, con obbligo di parteciparvi.
Anche la pietà mariana occupa un posto sempre più importante, si scrivono trattati mariani.
Si avverte l’esigenza di favorire la partecipazione all’Eucaristia e una maggiore consapevolezza
del significato deisacramenti; in questo contesto si avvia una discussione sulla Presenza reale, i
cui protagnoisti in epoca carolingia sono Pascasio Radberto, Ratramno di Corbie e Floro di
Lione.
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In questo periodo si impone a tutti i monasteri la regola benedettina. Il primo a fare esplicito
riferimento a questa regola è Ambrogio Autperto (+784), abate di San Vincenzo al Volturno.
- La riforma monastica in senso benedettino è dovuta a Benedetto di Aniane: in Aquitania Carlo
affida la reggenza al figlio Ludovico il Pio, che si vale di Benedetto fondatore monastero di
Aniane (Montpellier) verso il 780; è un grande sostenitore della regola benedettina.
- Dopo la morte di Carlo (814) Ludovico convoca un sinodo monastico ad Aquisgrana (817) sotto
la direzione di Benedetto, che approva un regolamento generale unificante per tutti i monasteri
che include l’adozione della regola benedettina.
- Benedetto di Aniane da un lato è assertore della regola benedettina, d’altra parte aggiunge una
serie di preghiere supererogatorie che rendono impossibile l’osservanza della regola. In realtà si
limita a rendere obbligatorie preghiere già esistenti nella prassi monastica.
- Benedetto dà grande importanza anche alla lectio divina, insiste sulla Scrittura e i Padri:
Origene, Agostino, Girolamo e soprattutto Gregorio.
- Vengono scritti molti commenti alla regola di Benedetto, importante quello di Ildemaro.
-
9. L’ascesi più equilibrata:
Dopo il rigore degli irlandesi subentra il criterio della moderazione, dell’ordine: il cristiano non
è più un eroe isolato, ma un soldato in un esercito. Diminuiscono le austerità corporali e si dà
più importanza all’igiene e alla salute del corpo.
Si sviluppa maggiormente l’idea della lotta interiore: il cuore è essenziale; nei libri penitenziali
carolingi si curano non tanto i peccati come atti, quanto le disposizioni dell’anima.
Si promuove la meditazione dei novissimi (morte, giudizio, inferno e paradiso).
Le “vite dei santi” si soffermano meno sulla mortificazione e più su preghiere e buone opere.
Nei commentari si fa largo uso di Origene, per mettere in risalto il significato spirituale, cioè in
primo luogo Cristo, contenuto unico delle Scritture e modello e fonte di ogni amore.
Un’osservazione sintetica:
Il rinnovamento carolingio non è caratterizzato da una grande originalità, ma dalla capacità di
raccogliere e valorizzare il meglio della tradizione di cui poteva disporre, per consegnarlo alle
generazioni future come patrimonio dottrinale fecondo di fede vissuta.
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IX.
LA CRISI DEL X SEC. E LA NASCITA DEL SISTEMA SIGNORILE
Carlo poteva governare grazie al suo prestigio personale, ma l’impero mancava di un’efficiente
amministrazione centralizzata, era affidato a signori locali; sotto Carlo i subordinati erano in
qualche modo controllati dai missi dominici, ma in seguito, approfittando del declino imperiale, i
signori si assicurano una sempre maggiore autonomia. Oltretutto la corona imperiale, come in
seguito quella regale di Francia, non dispone di un fisco centralizzato, ma si finanzia dai propri
possedimenti, il che la indebolisce rispetto a ducati e contee non di rado più ricchi e potenti.
Dei 3 figli di Carlo Magno gli sopravvive solo Ludovico il Pio (814-840), che tenta di consolidare
l’idea dell’impero cristiano. I problemi maggiori nascono, come al solito, nella successione:
inizialmente Ludovico designa il primogenito Lotario, concedendo territori agli altri due figli, ma
poi cambia idea e opta per il figlio del secondo matrimonio, Carlo il Calvo; gli altri figli però si
ribellano e lo depongono per un breve periodo (nell’anno 833).
Nell’843 viene stipulato il trattato di Verdun: l’impero è diviso tra Carlo il Calvo (Francia
occidentale), Lotario (Francia orientale, Olanda, Svizzera e Italia settentrionale) e Ludovico il
Germanico (Germania e Austria). Il figlio di Lotario, Lotario II, nell’855 riceve un regno che
comprende la parte settentrionale del regno del padre, dalla Borgogna alla Frisia, che assume il
nome di “Lotaringia”. La corona imperiale passa dall’uno all’altro dei discendenti di Carlo Magno.
Carlo il Calvo (re di Francia: 843-877, imperatore: 875-877).
Deve lottare contro vichinghi, bretoni e soprattutto contro i “grandi” del regno alleati del fratello
Ludovico, con cui Carlo è in continuo conflitto. Viene incornato imperatore dal papa Giovanni VIII
il giorno di Natale dell’875.
Carlo ha una buona istruzione, alla sua corte si continuano a coltivare le arti e le lettere, una
seconda fioritura della “rinascenza carolingia” grazie in particolare ad alcuni personaggi di rilievo:
Rabano Mauro (780-856). Monaco di grande levatura intellettuale.
Valafrido Strabone (+849) autore della Glossa ordinaria, una serie di brevi commenti dei padri
trascritti a margine delle pagine della Bibbia in corrispondenza dei versetti commentati. La glossa di
Strabone fu il commento più usato nelle scuole, fino alla Glossa di Stefano di Langton (XIII sec.).
Giovanni Scoto Eriugena (+877), l’intellettuale di maggior rilievo dell’epoca, che traduce Dionigi
in latino, diffondendone le idee di stampo neoplatonico.
In questo periodo si vanno estinguendo i carolingi; l’ultimo imperatore della casata sarà Berengario
del Friuli, nipote per parte di madre di Ludovico il Pio, morto nel 924.
Nel X secolo il fulcro dell’impero si sposterà in Germania (“impero romano-germanico”), che
manterrà un controllo almeno formale sull’Italia del nord. La Francia si strutturerà autonomamente.
1. Il “secolo di ferro”
a. Vichinghi
L’8 giugno del 793 viene saccheggiata l’abbazia di Lindisfarne (isoletta presso la Northumbria); si
tratta dell’evento riconosciuto come la comparsa dei vichinghi nella storia dell’Occidente.
Il Mediterraneo a quel tempo è insicuro, si sviluppano perciò i commerci nei mari nordici; i
vichinghi sono abili commercianti in grado di percorrere e controllare le vie marittime e fluviali
verso Inghilterra, Islanda, Groenlandia e oltre; navigano intorno a Francia e Spagna; penetrano nel
Mediterraneo; gli svedesi risalgono i fiumi in Russia, arrivano al Mar Nero e si spingono in Asia.
Sono pagani; commerciano, ma fanno spesso razzie saccheggiando ciò che trovano; si procurano
schiavi che rivendono in oriente. Si muovono in gruppi piccoli ed evitano di affrontare grandi
eserciti: attaccano prevalentemente monasteri e piccoli villaggi.
− 800-850: è il primo periodo di attività di commercio e di razzie.
− 850-900: si organizzano, compiono grandi razzie improvvise che terrorizzano l’occidente.
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− 900-980: poiché incontrano difese sempre più efficaci, cominciano a insediarsi, sia in territori
spopolati (Islanda, Groenlandia), sia in territori che li accolgono spontaneamente o che
occupano militarmente (il Danelaw, Inghilterra; la Normandia – concessa nel 911 da Carlo il
Semplice –; l’Irlanda). Alcune popolazioni li assoldano come governanti (Novogrod e di Kiev).
− Intorno al 1050 il fenomeno piratesco vichingo si affievolisce e scompare; le cause:
1. La cristianizzazione, che vietava la riduzione in schiavitù e il commercio degli schiavi
2. Gli Stati scandinavi si organizzano con il sistema feudale; cessano le scorrerie di piccoli capi
3. La pressione araba sul Mediterraneo si allenta e si riaprono i commerci nel sud.
− Nel 1066 Guglielmo il Conquistatore parte dalla Normandia e invade l’Inghilterra, di cui
diventa re sconfiggendo gli anglosassoni.
− Sempre dalla Normandia i cadetti normanni (“uomini del nord”) giungono in Italia
meridionale, come mercenari nelle lotte tra longobardi e bizantini. Guglielmo d’Altavilla e i
fratelli conquistano Puglia e Calabria. Roberto il Guiscardo (dopo la morte del fratello
Guglielmo) conquista tutto il sud Italia, sconfiggendo anche papa Leone IX, accorso in difesa di
Benevento, e facendolo prigioniero. L’altro fratello, Ruggero, inizia la conquista della Sicilia,
che da due secoli era sotto dominazione araba, impresa conclusa da Ruggero II (1130).
b. Ungari
Intorno al 900 i magiari o ungari, popolazione delle steppe, originariamente stanziata intorno al
Volga, costituiscono lo stato seminomade degli Arpad (una dinastia ungara) nel bacino dei Carpazi,
che per 50 anni è la base per le loro temutissime scorrerie in Europa occidentale. Sono fermati ad
Augusta nel 955 da Ottone I.
Gli ungari vengono evangelizzati da missionari cristiani provenienti sia da oriente (nella regione
della Transilvania), sia dagli slavi, dai tedeschi e dall’Italia.
Il re Stefano sposa Gisella, figlia dell’imperatore romano-germanico Enrico II (“il litigioso”) ed è
battezzato nel 995; combatte personalmente le tribù ungare ancora pagane. Nell’anno 1000 riceve la
corona da papa Silvestro II.
Il re Ladislao (1077-1095) riesce a unificare i popoli ungari. L’organizzazione va di pari passo con
la cristianizzazione del paese e la costituzione del tessuto ecclesiale e monastico.
c. Slavi
Tra VI e IX secolo gli slavi si vanno differenziando in slavi dell’est (con una lingua proto-russa),
slavi occidentali (da cui polacco e altre lingue slave), e slavi del sud (serbo-croato e sloveno). Nel
IX secolo il mondo slavo è ancora abbastanza omogeneo; i missionari Cirillo e Metodio, fratelli di
Tessalonica, elaborano le regole di una lingua letteraria (lo slavonico) trascritta con un alfabeto
inventato da loro (“glagolitico”); l’alfabeto detto “cirillico”, attualmente in uso per il russo e altre
lingue slave, deriva dal glagolitico, ed è stato introdotto dai discepoli di Metodio.
Nella liturgia i due fratelli adottano lo slavonico o “paleoslavo”, comprensibile agli slavi di allora,
nonostante l’opposizione di molti vescovi greci e latini, ma con l’appoggio di Roma.
Lo stato bulgaro, costituito da tribù turche e slave, diviene cristiano verso l’865; la Serbia nel 923;
la Moravia, dopo Metodio, è evangelizzata dai tedeschi.
Alcune regioni dell’odierna Russia sono evangelizzate nel X sec. da Bisanzio. Un primo scontro
militare tra bizantini e russi c’era stato nell’860, quando i russi (di Kiev) avevano invaso l’impero,
cosa che si era ripetuta nel 904 e nel 941. Nel 975 la zarina Olga era venuta a Costantinopoli e si era
convertita al cristianesimo; in seguito aveva cercato di diffonderlo nella sua patria; nel 989, dopo
molte insistenze, lo Zar Vladimiro sposa una principessa bizantina e si converte al cristianesimo,
imponendo la conversione ai suoi sudditi; il figlio Jaroslav completa l’opera, facendo di Kiev una
rivale di Costantinopoli, dal punto di vista culturale e religioso.
In Polonia viene creata la sede metropolitana di Gniezno nell’anno mille, come filiazione diretta
della Chiesa di Roma.
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d. Saraceni
A partire dal sec. VIII gli autori latini chiamano “saraceni” i pirati mussulmani che effettuavano
incursioni e scorribande in Italia, Gallia e Provenza. Il Mediterraneo diventa per alcuni secoli un
mare infido; le coste sono continuamente battute da predoni islamici che rapiscono cristiani per
chiederne il riscatto o venderli come schiavi. Nell’XI sec. cominciano a cedere sotto i colpi dei
bizantini, delle repubbliche marinare, dei normanni, ma non spariscono del tutto.
2. L’Impero Bizantino dal IX all’XI secolo
Gli imperatori Macedoni (867-1081): in questo periodo, così difficile per l’occidente, l’Impero
Bizantino conosce una fase di rinascita politica e culturale, che perdura circa 150 anni (867-1025).
Gli imperatori sono di livello morale più elevato, riducono il tradizionale sfarzo di corte, si
concentrano sulla ricostituzione della potenza militare dando maggiore stabilità all’impero.
In particolare si afferma il principio di successione dinastico, che viene rispettato anche nei periodi
in cui il comando è esercitato da usurpatori, alcuni per altro di grande valore (come Niceforo II
Foca), che non prevaricano la linea dinastica dell’imperatore. Gli imperatori legittimi vengono
denominati “porfirogeniti” (come Costantino VII Porfirogenito, ossia: nati nella sala rossa del
palazzo imperiale di Costantinopoli, dove partorivano le imperatrici).
Gli imperatori sono anche grandi costruttori e promuovono l’arte delle icone, specialmente il
mosaico. Costantinopoli è il centro culturale più importante in Europa.
Nel IX e X secolo, i mussulmani dominano il Mediterraneo: dopo aver occupato tutte le isole
principali, tra cui Creta, rendendo difficilissima la libera navigazione. Insidiano continuamente
l’impero, corrodendo poco a poco i domini dell’Anatolia. L’impero però reagisce. Basilio I (867886) riprende l’iniziativa in Asia Minore, riconquistata interamente dai successori fino ad
Antiochia; nel 961 il generale Niceforo II Foca (imperatore dal 963 al 969) espugna Creta e ottiene
altre vittorie; Basilio II (976-1025) si spinge fino alle porte di Gerusalemme.
In Italia, i bizantini contribuiscono anche a scacciare i saraceni dalle foci del Garigliano. I saraceni
attaccano frequentemente le coste italiane, penetrando anche all’interno; tra l’altro nell’843
saccheggiano le basiliche di San Pietro e San Paolo a Roma; per questo papa Leone IV farà
edificare le mura di borgo, terminate nell’852. Assediano Gaeta nell’846; distruggono l’abbazia di
Montecassino nell’883; sempre nell’883 prendono Traetto (presso Minturno) e si insediano
stabilmente alla foce del Garigliano. Da quel momento cominciarono a stringere alleanze con i
nobili cristiani locali.
Il Papa Giovanni X si adopera per riunire i nobili cristiani in una lega, con l’intento di scacciare i
Saraceni. I primi tentativi, nel 903 e nel 908, però falliscono. La lega cristiana che si costituisce nel
915 riuscirà a cacciare i saraceni; è formata dal papa e da principi del Sud Italia, come Landolfo I di
Benevento e suo fratello Atenolfo II, Guaimario II di Salerno, Gregorio IV di Napoli e suo figlio
Giovanni, Giovanni I di Gaeta e suo figlio Docibile. Risponde all’appello del Papa anche il
marchese del Friuli Berengario, a quel tempo Re d’Italia, che invia forze di supporto da Spoleto e
dalle Marche, guidate da Alberico I, duca di Spoleto e Camerino, suo protospatario. A Berengario il
papa concede in questa occasione la corona imperiale. I bizantini contribuiscono con un forte
contingente dalla Calabria e dalla Puglia sotto lo strategos di Bari Niccolò Picingli. Giovanni X in
persona guidava le truppe provenienti dal Lazio e dalla Toscana.
I bizantini favoriscono Venezia concedendole il controllo sull’Adriatico e privilegi commerciali che
costituiscono la base del rapido successo; Bisanzio appoggia anche Napoli, Gaeta e Amalfi.
Dalla parte dei Balcani, i Bulgari, integrati con gli slavi, costituiscono di fatto un grande regno con
ambizioni imperiali, e penetrano fino alle porte di Costantinopoli e in Grecia (927-968). Dopo molti
scontri, Basilio II conduce l’offensiva decisiva, fino alla completa disfatta dei bulgari nel 1015.
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L’impero è tornato a dominare i Balcani fino al Danubio. Nel X secolo tra i bulgari si diffonde la
setta dualista dei bogomilli, molto simili agli antichi manichei, creando turbamento e divisioni.
Anche l’Italia del sud viene ristabilita sotto il controllo imperiale (tranne la Sicilia); i duchi
longobardi si sottomettono all’imperatore di Costantinopoli mentre Calabria, Basilicata e Puglia
tornarono sotto diretto controllo bizantino.
La potenza di Bisanzio fu spazzata via nella seconda metà dell’XI secolo dai normanni in Italia e
soprattutto dai turchi Seljiuk in Anatolia (disfatta di Mantzikiert nel 1071).
3. Origini e natura del sistema signorile o feudalesimo
In questo tormentato periodo emerge in Europa una nuova civiltà variegata e complessa, dove la
consuetudine ha molta più forza della legge codificata e dove l’ordine sociale si fonda molto più
sulle convinzioni personali che sulle norme giuridiche.
a. La concezione della famiglia
Per comprendere la struttura sociale che predomina in Europa per secoli, detta (impropriamente)
“feudalesimo”, bisogna considerare come era cambiata la concezione della famiglia nell’incontro
tra le consuetudini germaniche e il cristianesimo.
Nel diritto romano prevale una concezione individualistica centrata sul pater familias, soggetto di
tutti i diritti patrimoniali e di un potere illimitato su moglie e figli, i quali rimanevano in stato di
minorità legale finché lui era in vita. La successione era decisa per testamento dal pater. La moglie
era tutelata in esclusiva funzione della prole legittima (i figli: liberi). I bambini per sé non avevano
alcuna tutela, se non l’interesse (eventuale) del pater. Il divorzio era facilissimo.
Il vir-pater familias era il solo che godeva dei diritti civili, lo Stato romano era un insieme di viri.
La famiglia era funzionale a uno Stato centralizzato e burocratico, uno Stato assoluto.
La condizione della famiglia, e in particolare della donna e dei figli, era molto cambiata con la
diffusione del cristianesimo, ma la saldatura delle nuove concezioni con la legislazione civile si
verifica nel Medioevo. Come abbiamo visto, ciò che resiste del mondo antico, nel periodo delle
grandi invasioni, sono le strutture ecclesiastiche e quelle familiari-cristiane, del resto molto legate
tra loro: vescovi, pievi, monasteri, parrocchie intorno ai quali e con il cui sostegno si organizza la
vita delle famiglie. Questa permanenza consente l’incontro e lo scambio con la mentalità tribale
germanica, dove tradizionalmente la tribù, la casata, il gruppo prevale sull’individuo.
Il nuovo profilo sociale della famiglia incide profondamente nella struttura sociale. La potenza di un
paese è valutata nel Medioevo non dal numero di abitanti, ma dal numero di “focolari”. Il catasto
per le imposte di Firenze del XII secolo conta non gli individui ma i focolari. La legislazione e le
consuetudini sono concepite su base familiare. Nel Medioevo anche a livello di governo centrale
conta la stirpe, non l’individuo (i merovingi, i carolingi, i capetingi…). La famiglia realizza per
secoli l’unità di fede, affetti, lavoro e patrimonio, dove si esercita la protezione e la solidarietà
essenziale, in mezzo a un mondo difficile e instabile. La solidarietà familiare permette una prima
difesa e la possibilità di risollevarsi dopo le disavventure sanitarie o militari. Nell’ambito della
famiglia del Medioevo si concilia la libertà individuale e il bisogno di sicurezza.
La famiglia, che è una struttura umana comune a tutte le condizioni sociali, si riunisce nella sala
principale della casa, intorno al focolare, dove si parla, si mangia, si prega insieme; ha una
personalità giuridica ed etica.
Il pater non è più il capo assoluto, ma l’amministratore di una proprietà che non gli appartiene,
perché appartiene alla famiglia. La famiglia possiede in comune i beni che il padre amministra.
Come il pater ha ricevuti i beni di famiglia, così li deve trasmettere: ne ha solo l’usufrutto, si tratta
di un patrimonio stabile da trasmettere di generazione in generazione. Ha il dovere di proteggere le
donne e i figli piccoli, ma anche i servi, che fanno parte della famiglia.
La moglie possiede beni in proprio e gestisce il patrimonio in assenza del marito; se una donna
muore senza figli, i suoi beni (la dote) tornano alla famiglia d’origine.
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Il padre è responsabile della sicurezza e dell’educazione dei figli, ma appena giunti alla maggiore
età (a 14 anni, a 20 per i feudatari, che devono difendere il feudo) sono liberi di andarsene, per
fondare una famiglia propria. Il consenso dei genitori per il matrimonio dei figli non esiste più
dall’VIII secolo; ricomparirà solo nel XVI secolo.
La famiglia è legata al suo patrimonio. Il patrimonio è inalienabile; non può esserle tolto e non può
essere venduto o impegnato. Il patrimonio passa agli eredi diretti. Il figlio maggiore, se si tratta di
feudi, o comunque di terra, ne riceve la quasi totalità, perché per la gestione ci vuole esperienza.
L’aspetto caratteristico è che l’asse principale (beni immobili) passa al primogenito: sono esclusi
eredi per testamento, il padre non ne può disporre: i testamenti riguardano solo i beni mobili. Si
evita così la dispersione delle proprietà.
b. Influssi del monachesimo sul concetto di autorità e sulla posizione della donna
Il nuovo profilo della famiglia viene dal mutato concetto di autorità, che cambia di contenuto ed è
caratterizzato da una ripartizione delle responsabilità. Il nuovo concetto di autorità è quello
codificato dal monachesimo, in particolare dalla regola benedettina, riguardo all’abate.
L’autorità è un servizio, un onere, non un onore. L’abate è padre, deve prendersi cura dei monaci
per le necessità sia materiali sia spirituali. L’autorità non è assoluta, ma viene esercitata con il
consiglio dei monaci (il Capitolo), anche dei più giovani, come specifica la regola di Benedetto.
Anche i monasteri sono concepiti su base di rapporti di tipo familiare (familia monastica). Il
monastero svolge spesso la funzione del “castello”, soprattutto per l’aspetto economico, ma anche
per difesa contro le angherie, quindi molti si votano a vario titolo al monastero come al signore.
Il monachesimo influenza anche la condizione della donna, nel senso che le viene riconosciuta la
piena capacità di governare, anche sugli uomini, come dimostra il caso dei monasteri doppi –
maschili e femminili – o delle abbadesse con giurisdizione territoriale. Questo dato si rispecchia
nella famiglia, dove la donna partecipa all’autorità esercitata dal marito; un’idea espressa al
massimo livello dall’incoronazione simultanea del re e dalla regina, sparita solo nel XVII secolo.
Le donne possono regnare, esercitare cariche pubbliche, mestieri tecnici (come la medicina); solo
alla fine del XIV secolo la Sorbona vieta alle donne lo studio della medicina.
c. Il vincolo feudale (sistema signorile)
Il termine “feudalesimo” è stato coniato nel secolo XVII, quando il fenomeno era tramontato da
molto tempo, ed è un termine forviante, perché prende come punto di riferimento una nozione
patrimoniale, il feudo, cioè il territorio sottoposto a un signore, il che distoglie dalla particolarissima
struttura sociale che ha dominato per oltre 4 secoli l’Europa, specie in occidente (sec. X-XIV).
Per comprendere una categoria concettuale distante dalla nostra, si deve tenre presente che la
società attuale è caratterizzata dal vincolo salariale: a una prestazione lavorativa corrisponde una
retribuzione in denaro. Non così nel Medioevo. Nel Medioevo il denaro come mezzo di scambio
non occupa un posto centrale (a lungo prevale il baratto) e soprattutto il rapporto di lavoro salariato
è praticamente assente. Nei rapporti feudali si impegna non questa o quella attività, ma la persona,
che in cambio ottiene mantenimento e protezione.
Il sistema trae origine dal caos dei secoli V-VIII, dove lo Stato (ciò che resta dell’Impero romano) o
è lontano (a Costantinopoli) o è impotente. Mentre lo Stato declina, i grandi proprietari terrieri
acquistano importanza. Spesso hanno ricevuto in dono la terra dai piccoli proprietari in cambio di
protezione. Quando si affermano i carolingi, il processo è praticamente compiuto, Carlo Magno non
fa che prenderne atto e controllarlo; i carolingi stessi (i pipinidi) d’altronde sono arrivati al regno
nell’VIII secolo perché erano grandi proprietari terrieri.
L’autorità centrale si suddivide in una sorta di sistema piramidale, ripartendosi sul territorio,
sorretta da vincoli personali che obbligano tutti, dal più piccolo al più grande, attraverso la parola
data. Il giuramento di fedeltà viene espresso nell’ambito di una cerimonia di investitura a carattere
religioso, dove si fa “omaggio” al signore con un atto di sottomissione e si giura fedeltà; il signore a
sua volta si impegna alla protezione incondizionata del sottoposto accettando l’omaggio; sono
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impegni garantiti dalla comune fede cristiana. In una struttura piramidale il giuramento vincola sia
al signore diretto, sia al re, che è a un livello più alto; già Carlo Magno riconosce la legittimità del
doppio giuramento di fedeltà, al sovrano e al proprio signore: i due giuramenti non sono e non
possono essere in contraddizione. In questo modo i rapporti di autorità sono sempre meno basati
sulla forza e sempre più sulla fedeltà e sull’onore e finiscono per strutturare tutta la società. Si esce
così dalle società violente dell’Alto medioevo.
Nel IX-X secolo l’emergenza dovuta alle incursioni di vichinghi, magiari e saraceni, determina la
strutturazione definitiva dei vincoli feudali. I re, incapaci di far fronte alla situazione, cedono parti
di territorio e di responsabilità ai signori. La struttura piramidale che si forma risponde più o meno a
questi titoli: imperatore, re, duchi, marchesi, conti, visconti, baroni, signori. La nobiltà è dunque
essenzialmente a carattere militare, ha il dovere di proteggere i sottoposti con le armi, quindi non è
ancora una casta chiusa, dipende dalle capacità di combattimento. I signori edificano i castelli, che
sono fortezze-rifugio: in caso di pericolo, tutti i sottoposti si radunano nel castello, provvisto di
ampi spazi sotterranei per immagazzinare derrate e garantire una lunga resistenza: le famose
“segrete”, che non sono carceri, come comunemente si pensa.
Le città cominciano a rifiorire nell’XI-XII secolo man mano che la necessità di protezione viene
meno; le piccole città si rendono autonome (nascono i comuni), ricomincia il loro popolamento,
mentre le tenute di campagna restano ai nobili (le parole contado e contadino vengono da conte).
Il commercio con l’oriente riprende, favorito dalle crociate. Si creano anche nelle città tutta una
serie di associazioni fondate sul modello fiduciario-familiare, che fioriscono pienamente dal XII
secolo: corporazioni (rapporto maestro-apprendista e previdenza sociale per i membri),
confraternite (svolgono pratiche religiose ed esercitano il mutuo soccorso, come anche l’assistenza
ai poveri), università (libere associazioni tra studenti e professori).
Alla fine del Medioevo (XIV-XV secolo) la nobiltà si struttura e si chiude, gli obblighi scemano
(aumenta la sicurezza sociale), ma rimangono i privilegi dei nobili, ormai casta chiusa.
d. Contadini
La popolazione rimane in gran parte contadina anche dopo il ripopolamento delle città. Sebbene
siano la base della società medievale, i contadini nella storiografia spesso sono presentati come il
“gradino più basso” della piramide; tuttavia la loro condizione generale non è affatto così disastrosa
come non di rado viene descritta.
Vi sono vari tipi di contadini, dai piccoli proprietari ai “servi della gleba”, che sono certamente la
maggioranza. Bisogna però tenere presente che la parola “servo” non indica più lo schiavo (oggetto
di sfruttamento e di commercio): l’ultimo mercato di schiavi in occidente fu chiuso nel 650 in
Francia dalla regina Batilde; gli schiavi in occidente ricompariranno nel XVI secolo. Il servo della
gleba non è sottomesso a un padrone, è legato a un feudo. Adempiuti gli obblighi, non deve più
nulla al padrone. La servitù riguarda il vincolo con la terra, da cui non può allontanarsi; questo
vincolo comporta diritti e doveri; tra l’altro non può essere licenziato e trasmette l’uso della terra ai
figli, che non possono essere allontanati dal signore. Il signore del feudo è vincolato a sua volta:
non può alienare o abbandonare la sua terra e deve proteggere i suoi contadini dalle violenze.
Il servo della gleba ha una casa, di cui in vita dispone pienamente, una famiglia sua, ha diritto a
gran parte del raccolto. Non ha responsabilità civili (tasse) e soprattutto non ha obblighi militari.
I contadini pagano il dovuto al signore in natura e in corvées.
Il feudatario ha diritto a inseguire e riportare il contadino fuggiasco nel feudo; il divieto di
abbandonare il feudo però gradualmente si attenua per l’opposizione della Chiesa; alla fine il
vincolo viene risolto pagando un tributo.
Un’altra limitazione per il servo della gleba è la “manomorta”: nella successione non può disporre
dei propri beni, che devono tornare al padrone; anche questa limitazione viene però gradualmente
attenuata: potrà disporre dei beni mobili, mentre la terra andrà in uso ai figli automaticamente.
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In proposito: la famosa leggenda un po’ morbosa fiorita intorno allo ius primae noctis, oggi
costantemente riproposta in romanzi e film di successo, è un esempio di cattiva storiografia.
Nelle fonti medievali non ce n’è traccia; nella abbondantissima documentazione giuridica sulle
controversie tra contadini e signori troviamo elenchi particolareggiatissimi sugli obblighi dei
contadini e sulle somme per riscattarli, nulla su un tale diritto. Nella letteratura novellistica fiorita
tra XIII-XV sec., che ha un carattere spesso satirico e anche molto esplicito in campo sessuale (si
pensi a Boccaccio) non compare mai. L’obbligo che gli somiglia di più è una tassa dovuta al
signore in caso di matrimonio con donne scelte al di fuori del feudo, giustificata dal fatto che la
dote – un pezzo di terra – sarebbe uscita dalla proprietà del signore finendo nella giurisdizione di
un altro. Non vi è alcun diritto del signore sulla donna.
La costruzione della favola dello ius primae noctis inizia alla fine del sec. XV da una lettura
tendenziosa che vedeva dietro ogni tassa un precedente servizio “in natura” riscattato; in essa
convergono diverse finalità:
- Giustificare la fondazione di città contadine (come Cuneo), come risultato di una giusta rivolta
contro le assurde pretese del padrone
- I giuristi francesi del sec. XVI a servizio del re vogliono ridimensionare i diritti dei signori
screditandoli, quindi accolgono qualunque accusa
- La polemica protestante contro i cattolici, accusati di aver praticato questi barbari costumi
e. Innovazioni tecniche
Quasi tutte le innovazioni tecniche del Medioevo riguardano l’agricoltura o partono da essa; proprio
la scomparsa degli schiavi, che nell’antichità garantiva una forza lavoro a costi bassissimi,
determina i nuovi sviluppi, nonché le innovazioni monastiche.
Compaiono il basto (che moltiplica la capacità trainante di buoi e cavalli), la ferratura dei cavalli;
l’aratro con le ruote, il vomere doppio di ferro e il versoio (in grado di dissodare profondamente la
terra e di rivoltarla, anche nelle terre nordiche molto umide e pesanti); i mulini ad acqua (conosciuti
ma pochissimo impiegati in epoca antica): nel 1086 nell’Inghilterra di Guglielmo il Conquistatore
esistevano 5624 mulini, uno per 50 famiglie; il sistema si va perfezionando grazie alla costruzione
di dighe per far calare l’acqua dall’alto, permettendo un largo impiego dell’energia idrica; i mulini a
vento, soprattutto per pompare l’acqua dai terreni paludosi (molto sfruttati in Olanda); il camino
(che consente di riscaldare la casa senza invaderla di fumo, creando “il focolare”); il carro con le
ruote anteriori indipendenti, in grado di curvare facilmente.
La Quaresima e le vigilie (che comportano in un anno 150 giorni di astinenza dalle carni) fanno
sviluppare i vivai di pesce (bacini artificiali) già nell’VIII secolo; dal sec. IX si diffonde la
coltivazione a ciclo triennale (quella biennale, adottato in precedenza, impoveriva progressivamente
il suolo): si alternano cereali, legumi e maggese a pascolo. Si ottiene l’acclimatazione nell’Europa
centrosettentrionale di vegetali come la segale e l’avena, il che consente l’agricoltura al nord, in
regioni mai prima coltivate; si introducono una grande varietà di prodotti orticoli vegetali
dall’Oriente e dall’Africa, come il riso, la canna da zucchero e molti alberi da frutto (arancio,
limone, albicocco, mandorlo, pesco e pruno).
Altre invenzioni, di tipo “industriale”, compaiono nei secoli seguenti, legate allo sviluppo dei
comuni e quindi all’urbanizzazione. Si perfezionano macchine per la filatura e la tessitura; si
realizzano argani, gru e simili per l’edilizia (dall’XI secolo si edificano grandi cattedrali); nel 1284
in Italia vengono prodotti i primi occhiali da vista (per la presbiopia) e lenti di ingrandimento, che
permettono di prolungare il ciclo della produttività: in precedenza gli artigiani di precisione
dovevano lasciare il lavoro a 40 anni. Nel XII sec. appare la bussola; nel XIII gli orologi meccanici,
all’inizio molto grandi e collocati nei campanili, associati alle campane.
Tra IX e X secolo si pongono le basi che permetteranno lo sviluppo delle arti figurative, della
musica, della letteratura nelle nuove lingue nazionali…
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f. Cavalieri
Costituiscono l’élite militare che, a partire dal secolo XI, assume connotati ideali e cristiani molto
marcati, che ne fanno un’istituzione tipicamente medievale.
Alla fine del sec. X il sistema signorile, ormai formato, si basa su due elementi difensivi: il castello
e i milites: vassalli e servitori armati. I cavalieri sono i milites scelti per antonomasia, caratterizzati
dal loro (costoso) armamento e dal cavallo; in genere sono figli cadetti dei signori.
La frammentazione del potere aveva comportato la moltiplicazione dei conflitti tra castellani. Dal
sec. X la Chiesa interviene per disciplinare il fenomeno e ridurre la violenza; in particolare vengono
introdotti pubblici giuramenti di fedeltà sulle reliquie; i cavalieri che prestano giuramento si
impegnano a combattere solo contro altri guerrieri, e non contro persone inermi: ecclesiastici, civili,
donne, bambini, ma anche nemici non in grado di difendersi.
A partire dal 989 si diffonde il movimento della “Pace di Dio”: per i cavalieri si promuove l’ideale
di preservare i diritti dei contadini, la sicurezza dei viaggiatori e la sacralità delle chiese. Il compito
del cavaliere diventa innanzitutto difendere i deboli.
La Tregua di Dio (un ulteriore sviluppo del movimento) impone di astenersi dalla guerra in giorni
stabiliti: il divieto inizialmente riguarda il Triduo Pasquale, viene poi esteso alle domeniche, quindi
alle altre feste, infine (nel 1027) la guerra (tra cristiani) diventa possibile solo alcuni giorni della
settimana (occorre astenersi dalla guerra dal mercoledì notte al lunedì mattina, oltre che nelle
frequenti feste infrasettimanali); il sistema non sempre funziona, ma limita fortemente gli scontri.
Nel 1054 il sinodo di Narbona decreta che chi uccide un cristiano versa il sangue di Cristo,
contribuendo a orientare le forze all’esterno del mondo cristiano.
Nel XII secolo i cadetti delle famiglie signorili diventavano quasi tutti cavalieri; si accede alla
cavalleria con un rito religioso d’ingresso (vestizione). La cavalleria è percepita come una categoria
“ideale”, è celebrata da poemi epici (Chanson de Roland, la Saga di Re Artù) e dai trovatori, fino a
diventare la protagonista dell’“amor cortese”, l’amore ideale a cui votare la vita. Patroni dei
cavalieri sono san Michele, san Giorgio; con le crociate nasceranno ordini religiosi cavallereschi.
Le cause del declino dell’età signorile dalla metà del XIV sec.:
1. la gravissima peste del 1347-49 e allo spopolamento delle campagne;
2. la condizione peggiorata dei contadini, costretti in varie occasioni a ribellarsi, mentre vengono
progressivamente meno i doveri di protezione da parte dei nobili;
3. una maggiore circolazione di denaro: i feudatari preferiscono i braccianti salariati ai servi della
gleba, che non possono licenziare e sono costretti a mantenere anche nelle annate di carestia.
4. In Francia la guerra dei 100 anni (in realtà 116 anni, dal 1337 al 1453, un conflitto che decima la
nobiltà tradizionale), e subito dopo in Inghilterra la “guerra delle due rose” (1455-85).
5. La diffusione della polvere da sparo che rende obsoleti i cavalieri e l’armamento tradizionale.
6. le monarchie ormai finanziate da banchieri e mercanti, non più dai nobili del regno.
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X.
LA CHIESA DA NICCOLÒ I A GREGORIO VII
1. Il papato in grave crisi
La crisi dell’impero in un primo tempo lascia maggior spazio all’azione dei papi, ma poi, privo di
tutele politiche e militari, il papato viene travolto dall’ingerenza delle famiglie romane.
Niccolò I (858-867) è un papa energico e irreprensibile
− giudica Lotario II per un matrimonio annullato dai vescovi di Colonia e Treviri, dichiarandolo
valido e condannando il re, rovesciando le posizioni; deposti i vescovi.
− interviene contro Fozio, rivendicando sia il primato dottrinale sia quello di giurisdizione; Fozio
tentò di convogliare Lotario II a suo fianco contro il papa. I numerosi appelli degli orientali a
Roma però implicano un riconoscimento del ruolo di Roma da parte orientale.
− In questi anni Incmaro di Reims (806-882) si oppone ai vescovi che, per sfuggire alle
prepotenze di signori laici ed ecclesiastici, rimettono ogni giudizio al papa, ignorando le
prerogative arcivescovili intermedie; il suo suffraganeo Rotadio (di Soissons) si difende dal re e
da Incmaro; quando viene espulso dalla comunione si appella a Roma: papa Niccolò lo
riconferma, annullando la condanna. Il papa di fatto rimane l’unico baluardo alla prepotenza dei
re e dei signori, che spesso controllano le sedi episcopali maggiori.
Le Decretali pseudo-isidoriane: risale a questo periodo la raccolta delle Decretali dello PseudoIsidoro: una raccolta di documenti autentici e spuri. La raccolta ha lo scopo di difendere i vescovi
dalle prepotenze dei principi: i vescovi sono giudicabili solo da Dio, cioè in sinodi ecclesiastici. La
garanzia del giudizio si fonda sul primato del papa, che convoca e approva i concili (non il re).
Si tratta di una collezione di leggi ecclesiastiche, compilata in Francia probabilmente fra l’845 e
l’852 (alcuni sostengono già nell’VIII sec., ma è meno probabile) e attribuita a un non meglio
identificato Isidoro Mercator. Divisa in tre parti, l’opera contiene cinquanta canoni “apostolici”,
due lettere apocrife di Aurelio da Cartagine e di papa Damaso, numerose decretali di pontefici in
maggioranza retrodatate o false, la celebre “Donazione di Costantino” e canoni conciliari. Messe in
dubbio già nel X sec. (al tempo degli Ottoni) saranno tenute per autentiche fino al sec. XV e
applicate; saranno inficiate parzialmente per la prima volta da Lorenzo Valla e Nicola Cusano.
Il testo raccoglie tradizioni ecclesiastiche e laiche, mutandone spesso la paternità; alcune lettere
papali e norme conciliari sono retrodatate di secoli. La Donazione di Costantino, in particolare,
si presenta come una dichiarazione di Costantino a papa Silvestro (314-335), in cui l’imperatore
riconosceva al papa la giurisdizione civile su Roma, sull'Italia e sull'intero Occidente.
La raccolta contrasta la feudalizzazione della Chiesa in Francia. Colpisce direttamente la politica di
Incmaro, arcivescovo di Reims e metropolita della Gallia, teologo di trattati moralistico - politici;
molto influente a corte, accanito difensore della propria autorità sui vescovi suffraganei.
Incmaro vescovo di Laon (nipote dell’altro Incmaro e suo omonimo) aveva a lungo auspicato la
limitazione di tale potere. Per contrastare l’arroganza dello zio cura la redazione di un ampio
estratto dell’opera, lo sottoscrive e lo fa sottoscrivere dal suo clero. E’ possibile che la collezione sia
giunta abbastanza presto a Roma, e si è discusso se l’abbia utilizzata già l’energico papa Niccolò I.
L’autore non si proponeva di indurre qualcuno in errore, ma si riprometteva di giovare alla Chiesa
riportandola alla purezza del suo stato di grazia originario. L’affermazione della centralità del papa
serviva a costituire una difesa dalla prepotenza degli arcivescovi e signori locali.
Alla morte di Niccolò la situazione del papato rimane difficile; si verificano contrasti tra papa
Adriano II (867-872), Incmaro e i successori di Carlo Magno, in lotta tra loro. I saraceni intanto
imperversavano negli Stati pontifici, specie dopo la morte di Lodovico II (875).
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Papa Giovanni VIII (872-882) si trova solo a fronteggiare i saraceni; è costretto a pagar loro un
tributo; deve anche difendersi da potentati e partiti che gravitano intorno e dentro Roma: quello dei
longobardi (sud), il partito imperiale, il partito bizantino, le potenti famiglie romane.
Giovanni incorona Carlo il Calvo imperatore a Natale dell’875. Il papa così si attribuisce il diritto di
decidere personalmente chi incoronare imperatore. Quando Carlomanno scende in Italia per far
valere i suoi presunti diritti, il papa si sottrae alle sue pretese, ma rimane senza appoggio militare.
Per le difficoltà si ritira in Francia, dove però verrà ucciso (882).
Con la morte di Giovanni VIII si apre il periodo storico più difficile per il papato, privo ormai di
qualsivoglia tutela: tra l’882 e il 1049 si avvicendano 44 papi, molti dei quali pessimi. Intorno al
papato si scontrano i potenti italiani: duchi franchi di Spoleto e del Friuli, famiglie romane e altro. Il
declino dell’autorità ecclesiastica permette la diffusione di simonia, immoralità, ignoranza nel clero.
Papa Formoso (891-896) rimane coinvolto suo malgrado in beghe per la successione imperiale; il
successore Bonifacio VI, che in precedenza era stato condannato due volte per indegnità, muore
dopo 15 giorni di papato; Stefano VI (896-897), pressato dal duca Lamberto di Spoleto, processa
papa Formoso (+896) facendone esumare il cadavere, ma viene deposto, imprigionato e strangolato;
Giovanni IX (898-900) tenta un’opera di pacificazione; Sergio III (904-911) probabilmente fa
strangolare due suoi predecessori incarcerati (Leone V e Cristoforo); durante il suo pontificato la
famiglia di Teofilatto (antenato dei Conti di Tuscolo) e dei Crescenzi, imparentate, assumono il
controllo del papato, specie ad opera del ramo femminile: la moglie di Teofilatto, Teodora, le figlie
Marozia e Teodora eleggono e depongono papi a piacimento (figli e parenti, spesso giovanissimi).
Tale situazione probabilmente è alla base della leggenda della “Papessa Giovanna”: un racconto
popolare romano ampiamente sfruttato nel XVI secolo dalla propaganda antipapale.
Tra i papi di questo oscuro periodo troviamo anche figure positive, moralmente ineccepibili, come
Giovanni X, che tra l’altro si adopera per costituire la lega di cristiani (occidentali e bizantini) che
scacceranno i saraceni dalla colonia sul Garigliano nel 915, ma Marozia lo fa imprigionare e morire
in carcere. Al suo posto fa eleggere un suo figlio naturale, Giovanni XI (931-935), forse frutto di
una relazione con Sergio III.
Alberico II duca di Spoleto (figlio di Marozia), scaccia il terzo marito della madre (Ugo del
Friuli), imprigiona Marozia e Giovanni XI; cerca di favorire l’elezione di papi più degni e introduce
in Italia la riforma di Cluny con Papa Leone VII (936-939); che affida ai monaci di Cluny monasteri
romani e laziali, tra cui San Paolo Fuori le Mura. Ma sul letto di morte Alberico designa il nipote
diciassettenne come papa: Giovanni XII, che condurrà una vita scandalosa. Il nuovo papa chiama in
suo soccorso Ottone I, re di Germania, che si fa incoronare imperatore. L’anno dopo (964) Ottone
depone Giovanni.
2. Gli Ottoni e l’impero romano-germanico
Nell’anno 924, con la morte di Berengario del Friuli, si era estinta la successione imperiale; ma
l’idea imperiale è ripresa da Ottone I, incoronato nel 962: l’impero è ormai romano-germanico.
Ottone I di Sassonia (912 – 973): potenzia il potere dei vescovi tramite l’investitura laica,
garantendo loro la gestione di beni sempre maggiori che alla loro morte tornano al re. I vescovi così
finiscono per apparire e comportarsi come figure secolari, funzionari imperiali.
La mentalità di Ottone I è simile a quella di Carlo Magno: re-sacerdote. Dispone del papato come
dell’episcopato tedesco. Dopo aver deposto Giovanni XII fa eleggere un laico, Leone VIII (+965).
Coesistono ormai due visioni contraddittorie del rapporto papato-impero: per il papato l’imperatore
è un difensore della Chiesa, non un patrono con autorità su di essa; l’imperatore invece ritiene se
stesso sovrano (di tipo feudale) dello Stato della Chiesa e del suo “principe”, il papa.
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Appena Ottone I muore (973), a Roma iniziano i disordini dei Crescenzi, che depongono papa
Benedetto VI, incarcerato e strangolato dal successore, capo del partito greco, Bonifacio VII,
considerato antipapa, papa non legittimo, il quale a sua volta deve fuggire a Costantinopoli (con la
cassa) per scappare dall’esercito del re Ottone II (955-983). Il nuovo imperatore arrivato a Roma fa
eleggere Benedetto VII, un ecclesiastico vicino ai circoli riformatori di Cluny. Alla morte di Ottone
II e di Benedetto VII (983), Bonifacio VII torna dalla Grecia e fa incarcerare e morire di fame il
nuovo papa Giovanni XIV; Bonifacio a sua volta viene ucciso durante un tumulto popolare (985).
Durante la minore età di Ottone III (980-1002), i Crescenzi riprendono l’iniziativa ed eleggono
Giovanni XV. Ottone III si presenta a Roma quando da poco è morto il papa, e fa eleggere il primo
papa tedesco della storia, Gregorio V (996). Gli succede nel 999 Silvestro II, il primo papa
francese; alla morte di Ottone III (1002) papa Silvestro si ritrova solo a dover contrastare i
Crescenzi e i Conti di Tuscolo; sopravvivrà un anno.
Gli imperatori successivi, Enrico II e Corrado II si occupano maggiormente della sicurezza in
Germania. Enrico II è vicino alla riforma cluniacense, nel 1022 organizza un sinodo a Pavia, dove
ribadisce il celibato ecclesiastico facendone una legge civile, cioè obbligando a osservarlo ben più
efficacemente di quanto potevano ottenere le leggi canoniche, tanto ribadite quanto eluse.
In Aquitania intanto si stabilisce la Tregua di Dio (1027), un grande beneficio generale.
I Conti di Tuscolo riuscirono a mettere sul soglio papale tre membri laici della loro famiglia, come
Benedetto IX (1038-1045 con interruzione, muore nel 1047), che all’elezione aveva 18 anni;
Silvestro III, dei Crescenzi, viene eletto nel 1045, ma Benedetto IX lo fa scacciare prontamente;
Benedetto però (a quanto si diceva) vuole sposarsi, quindi decide di vendere la carica di papa per
1000 libbre d’argento a un ebreo convertito della famiglia dei Pierleoni, che favorisce l’elezione di
un uomo irreprensibile, Gregorio VI, appartenente ai circoli della riforma. In quel momento ci sono
tre papi viventi, tutti di dubbia legittimità.
Interviene l’imperatore Enrico III (1039-1056), molto devoto alla Chiesa, che depone tutti e tre;
Gregorio VI, deposto per simonia, si ritira a Colonia accompagnato da Ildebrando di Soana, un
fautore della riforma; alla morte del papa, Ildebrando si ritira come monaco a Cluny.
Enrico III fa eleggere papa Clemente II e poi altri tre tedeschi (Damaso II, san Leone IX e Vittore
II); l’elezione del primo fu un successo dell’abate Odilone di Cluny: i papi avviano la grande
riforma della Chiesa. Leone IX si circonda di riformatori lotaringi e borgognoni: Federico di Liegi,
Ugo, Candido e Umberto (monaci), che diventano cardinali.
San Pier Damiani e l’abate Ugo di Cluny collaborano con Leone alla riforma.
Durante la sede vacante per la morte di Leone IX, Umberto di Silvacandida si trovava a
Costantinopoli per dirimere una controversia con il patriarca Michele Cerulario, che nel 1053 aveva
fatto chiudere le chiese dei latini a Costantinopoli; il patriarca attacca gli occidentali per i loro usi
liturgici (già condannati dal concilio Quinisesto); il papa aveva mandato a mediare Umberto, un
uomo intransigente, che denuncia gli “errori” teologici dei greci. Nonostante l’imperatore bizantino
Costantino IX si adoperi per la pace, la lite degenera e Umberto lascia una bolla di scomunica
sull’altare di Santa Sofia; Michele Cerulario a sua volta anatematizza i latini.
Siamo giunti così al famoso scisma del 1054, il cosiddetto “scisma d’oriente”.
3. Cluny e altri fermenti religiosi
Nel sec. X le istituzioni carolinge si disgregano e nascono nuove forme di organizzazione sociale e
di fervore religioso. Accanto all’impero e al papato, il monachesimo è il terzo elemento ricostruttivo
in un panorama generale di dissoluzione, il più attivo ed efficace.
Benché inizialmente anche il monachesimo vada in crisi, durante il “secolo di ferro” fioriscono
numerose iniziative di riforma morale e religiosa, raccolte in una serie di consuetudini piuttosto che
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in norme codificate; la prima grande riforma è quella di Cluny. Altri luoghi di riforma sono Gorze
(Lotaringia-Germania), i monasteri d’Inghilterra e Montecassino.
− Cluny è fondato in Borgogna, nel 910. Il primo abate è Bernone, che aveva esperienza del
monachesimo di Benedetto di Aniane (regola benedettina con molto spazio alla preghiera).
− Fondatore di Cluny è un laico, il duca Guglielmo d’Aquitania (Guglielmo il Pio) che rinuncia
alle proprietà del monastero (così non ne sarà il signore feudale) e lo mette sotto la tutela del
papa. Il monachesimo comincia a svincolarsi dalla tutela signorile, ma anche dalle ingerenze dei
vescovi: secondo questo schema si va affermando l’esenzione dalla giurisdizione episcopale.
− Caratteristica di Cluny è la conciliazione tra la preghiera liturgica e quella personale.
A Cluny si contano solo 9 abati in 250 anni, e 5 abati coprono più di 200 anni. Ogni abate designa il
successore senza interferenze esterne; si può consolidare così una grande tradizione molto stabile.
• 909 - 926: san Bernone (16 anni di abbaziato)
• 926 - 942: sant’Oddone (16 anni) il teorico e primo diffusore della riforma di Cluny.
• 942 - 954: Aimaro I (12 anni, 6 effettivi)
• 954 - 994: san Maiolo (coadiutore di Aimaro I dal 948) (40+6)
• 994 - 1049: sant’Odilone (55)
• 1049 - 1109: sant’Ugo (60)
• 1109 - 1122: Ponzio di Melgueil (13)
• 1122 - 1122: Ugo II
• 1122 - 1157: san Pietro il Venerabile (35)
L’ufficio corale diventa una sorta di preghiera perpetua, quasi ininterrotta. A Cluny si edifica la
chiesa più lunga del mondo, per contenere un coro di un gran numero di monaci; una rinascita
liturgica imponente. Si sviluppa la pietà mariana e la Messa privata. A Cluny per qualche tempo
hanno vissuto 400 monaci, il che però impediva la costituzione di una vera familia monastica.
Cluny dimostra una straordinaria capacità di espansione: molti monasteri si sottomettono a Cluny e
altri ne assumono i principi di riforma; si federano da 1200 a 1450 comunità; almeno 1600 ne hanno
assorbito la riforma in Francia, Germania, Inghilterra, Italia, Spagna, fino in Polonia e in Ungheria.
L’abate di Cluny diventa una sorta di abate degli abati; ha un’autorità enorme; subentra al posto dei
feudatari che hanno donato le loro terre per i monasteri. Anche il monachesimo femminile beneficia
di questa rinascita e contribuisce a sua volta al rinnovamento del fervore monastico.
Nel secolo XI appare la categoria dei “conversi”, destinata a grandi sviluppi anche tra certosini,
cistercensi e altri monaci. In precedenza i laici collaboravano con il monastero secondo vincoli
personali, di tipo feudale; ora entrano nella vita religiosa accettando i lavori più umili a servizio dei
monaci dediti interamente alla preghiera. Sono vincolati da voti e raggiungono spesso un alto livello
di spiritualità anche se illetterati (di norma pregano soprattutto recitando Pater e Gloria).
Cluny divenne il battistrada per la riforma ecclesiastica; Ottone III ne subisce l’influenza, come
anche Enrico II ed Enrico III; con papa Leone IX la riforma assume pienamente lo spirito di Cluny:
per recarsi a Roma, Leone passa da Cluny e prende con sé Ildebrando, che vi si era ritirato.
Le ricchezze ereditate, a poco a poco faranno svanire la necessità del lavoro manuale, mentre per
evitare il pericolo del lusso si moltiplicano le prescrizioni ascetiche. Cluny si sottometterà al re di
Francia (san Luigi IX) nel 1258, una volta esaurita la sua spinta riformatrice.
Gli eremiti
Accanto alla vita monastica benedettina rifiorisce l’eremitismo.
- Nel IX secolo l’eremita Grimlaico (Lorena) scrive la prima regola occidentale per i monaci
solitari, fondata sulla lettura e sulla preghiera.
- Nella seconda metà del X secolo Romualdo (+1027) vuole ricondurre all’ordine gli eremiti
sparsi; valorizza ascesi e compunzione per suscitare l’amore alla persona di Cristo.
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La sua dottrina viene recepita in particolare da due monasteri benedettini dell’Appennino
centrale, che si danno un indirizzo eremitico: Fonte Avellana e Camaldoli.
Da Fonte Avellana proviene san Pier Damiani (+1072). Priore, si preoccupa di regolare la vita
degli eremiti; scrive una vita di san Romualdo, per esaltare l’ideale eremitico e compone una lunga
serie di scritti sulla riforma della Chiesa. Insegna una spiritualità ispirata al combattimento
spirituale e al coraggio, per far fronte al demonio, non agli uomini; il deserto dell’eremita è il
campo di battaglia, ma anche il luogo delle nozze con il Signore.
A Camaldoli il monaco Rodolfo scrive le Costituzioni (tra 1080-85): pregare, flagellarsi, fare
metanie, con ampia libertà di pratiche ascetiche. Il canto (importantissimo a Cluny e San Gallo) è
ridotto al minimo: “meglio piangere che cantare”.
4. La riforma “gregoriana”
All’inizio dell’XI secolo buona parte del clero è caratterizzato da ignoranza, avarizia e
incontinenza. La simonia, il nicolaismo (concubinato del clero), la decadenza del papato provocano
reazioni tra personaggi illustri, molti vescovi e personalità di grande prestigio ecclesiale (san Pier
Damiani, Desiderio abate di Montecassino), movimenti come la Pataria, l’azione di alcuni
imperatori tedeschi e soprattutto l’impegno dei numerosissimi monasteri legati a Cluny. Tutte
queste forze convergono nella grande riforma avviata nell’XI sec.
Di fronte alla debolezza del papato si prende gradualmente coscienza che per realizzare la riforma
della Chiesa bisogna ottenere un’effettiva libertas ecclesiae, in particolare per il papa, libertà non
solo dalle famiglie romane e potentati locali, ma anche dalla tutela imperiale.
Ildebrando di Soana ha ben chiaro che per riformare il clero è necessario eliminare la prassi
dell’investitura laica dei vescovi, così che la riforma, promossa dagli imperatori per motivi
religiosi, ma anche politici, finirà per ritorcersi contro i loro interessi politici.
Il fatto che la riforma parta dalla Francia, dai circoli legati a Cluny, le darà un connotato
“antitedesco”, che costringerà nel tempo i papi a cercare alleati antitedeschi (normanni e francesi).
A Milano, ma anche a Firenze e nel nord Italia, dopo il 1040 si forma il movimento popolare di
riforma dei “patarini” (gli straccioni), contro la simonia e il nicolaismo.
Le tendenze urbane antifeudatarie sono coniugate con le esigenze religiose: obiettivo è soprattutto
la riforma del clero. Arrivano a rifiutare per protesta i sacramenti amministrati da preti che
consideravano simoniaci o concubinari. Questo movimento coniuga i vertici della riforma con una
base popolare molto attiva; sono molto vicini a Ildebrando.
Il costante riferimento dei patarini al papato riformatore in contrasto con la Chiesa ambrosiana
determinerà col tempo una reazione campanilistica contro di loro, che segnerà la fine del
movimento.
Nicolò II in un sinodo del 1059 stabilisce che solo i cardinali possono eleggere il papa, escludendo i
patrici romani (teoricamente rappresentanti del popolo, in pratica voce dell’imperatore e dei
rappresentanti delle famiglie potenti); il papa deve provenire possibilmente dal clero romano (i
cardinali) e l’elezione deve essere fatta a Roma.
Viene esplicitamente proibita l’investitura laica in modo generico, ma il potere dei re tedeschi si
fonda proprio su quella: sarebbe stata la fine del sistema delle chiese private, in cui era impegnata
una quantità enorme di beni che serviva a sostenere l’imperatore.
Per difendersi dai tedeschi, Niccolò II si allea con i normanni: Roberto il Guiscardo fa il giuramento
di vassallaggio al papa; dopo Niccolò viene eletto Alessandro II (1061-1073) ma le grandi famiglie
romane filoimperiali gli contrappongono un antipapa (Onorio).
Gregorio VII (n. 1020; papa 1073-1085).
Nel 1073 è eletto Ildebrando di Soana, col nome di Gregorio VII. Gregorio vuole riformare l’intera
Chiesa, in particolare i vescovi e il clero, dopo un periodo di grave declino morale e religioso.
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Per arrivare a questo obiettivo e vincere le innumerevoli resistenze che incontra, ritiene necessario
riaffermare l’autorità del papa su tutte le forze della cristianità, imperatore compreso.
L’idea di fondo è quella di ristabilire la libertas eccesiae, la sua autonomia rispetto alle questioni
politiche ed economiche e il suo universalismo rispetto alle pretese nazionali. Per questo la figura
del papa deve tornare centrale: le idee di Gregorio sono sintetizzate nel Dictatus papae.
La controversia con l’imperatore è su chi deve guidare la “cristianità”.
Il principale impedimento alla riforma è l’investitura laica di vescovi e abati.
L’investitura laica consisteva nella consegna al futuro vescovo del pastorale, poi anche dell’anello,
vale a dire delle insegne episcopali, per mano di un principe secolare. Il vescovo di fatto così è
scelto dal principe. La prassi risaliva al regno dei franchi merovingi, un modo di legare la
popolazione al principe anche sotto l’aspetto dell’organizzazione religiosa.
In Germania, un Paese evangelizzato a fatica e in parte tardivamente, costituiva la garanzia del
potere imperiale, perché nel sistema feudale i beni (grandi feudi) concessi con l’investitura al
vescovo, rimanevano legati all’imperatore in quanto non trasmissibili a figli; infatti a differenza di
una parte consistente del clero germanico, vescovi e abati erano tutti celibi.
Data la loro importanza, le cariche ecclesiastiche erano comprate e vendute; ma anche ereditate e
date in dote, se si trattava di cariche connesse a “chiese private” con annessa proprietà.
Eigenkirche (chiesa privata). Istituzione religiosa sottoposta al diritto di proprietà o meglio di
signoria privata, diffusasi a partire dall’alto Medioevo all’interno dei feudi. Tale diritto era
esercitato sul patrimonio ecclesiastico, sottoponendo una chiesa alle normali forme del diritto
privato: poteva essere liberamente ceduta, affittata o donata; anche gli officianti della chiesa
dipendevano economicamente e giuridicamente dai proprietari, che erano sia laici, soprattutto nobili
e signori, sia chierici, vescovati e monasteri. I rapporti tra le chiese private e le gerarchie
ecclesiastiche variarono molto a seconda dei tempi e dei luoghi. La Eigenkirche fu assai diffusa in
Germania, ma anche tra i franchi già in età carolingia, quando fu riconosciuta dalla legislazione
centrale, ma fu assai presente anche nella Spagna visigotica, nell’Italia longobarda e in Inghilterra.
Fu combattuta a partire dall’età della riforma gregoriana per quanto riguardava la proprietà da parte
dei laici o la vendita dietro esborso di denaro (simonia), mentre le chiese private in possesso di
vescovati e monasteri sopravvissero. La lunga lotta contro le chiese private possedute da laici si
risolse solo nel corso del XII secolo con la nascita del patronato che sostituì la piena proprietà.
Queste istituzioni plurisecolari sono considerate dai riformatori “simonia”; la prassi concubinaria
del clero, che arrivava fino al matrimonio ufficiale, è stigmatizzata con il termine “nicolaismo”.
Simonia e nicolaismo, in quanto giustificate da alcuni settori della Chiesa, erano considerate vere e
proprie eresie dottrinali, più che problematiche a carattere morale.
Gregorio persegue un ideale fortemente religioso prima che politico: un unico regno di Cristo sui
popoli e sulle autorità politiche, sotto la guida del papa.
Non è un politico, come a volte viene presentato da una storiografia inadeguata, ma un uomo di
fede: riconosciuto da tutti (anche dagli avversari) come un santo, esige che gli ecclesiastici siano
uomini spirituali, l’autonomia giuridica che richiede per la Chiesa serve a svolgere la sua missione,
opponendosi agli interessi privati, al dominio e alla ricchezza. Lo guida la sua cristologia: Cristo
vero Dio si è fatto uomo povero e debole per salvare il mondo e dare un esempio.
La riforma “gregoriana” è frutto degli sforzi anteriori e si imporrà con grande lentezza; nata da una
reazione alla corruzione imperante, sarà ricca di fervore, ma anche di eccessi; è il monachesimo che
assicura a quest’epoca la continuità di sviluppo e un aggancio sicuro alla dottrina e alla tradizione;
molti monaci diventano papi e cardinali nella seconda metà dell’XI secolo.
Nonostante il decreto di Niccolò II, Gregorio non viene eletto dai solo cardinali, bensì dal clero e
dal “popolo” (i patrizi romani); comunica la sua elezione a Enrico IV che ne accetta la conferma.
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1074: Gregorio minaccia la deposizione delle cariche ottenute con la simonia; proibisce il
matrimonio del clero e vieta di assistere alle funzioni religiose officiate da clero uxorato o
concubinario. Sono disposizioni accolte entusiasticamente dal popolo, ma osteggiate non poco da
una parte dalla gerarchia. Si imporranno con il tempo e con molte differenze locali. In ambito
germanico in particolare si pongono i problemi più gravi: una parte consistente del clero era
ammogliato, in un popolo per lo più evangelizzato di recente in modo non sempre profondo.
1075: Gregorio vieta ogni investitura laica equiparandola a “simonia”, pena la deposizione per chi
la riceve e la scomunica per il principe che la conferisce. Inizia la “lotta per le investiture”.
Enrico IV (1050-1106) reagisce. Già scomunicato e poi assolto in occasione dell’elezione
dell’arcivescovo di Milano, nel 1075 riprende il medesimo atteggiamento; il papa lo minaccia di
scomunica.
Nel 1076 Enrico convoca una Dieta (riunione dei principi tedeschi) a Worms che depone il papa: in
quanto patricius romano cerca di imporre al papa di ritirarsi. Enrico ribadisce i suoi diritti
nominando personalmente alcuni vescovi. Alla Dieta però sono assenti importanti arcivescovi
tedeschi. Il papa è sostenuto dai normanni e da Matilde di Canossa (1046-1115), potente feudataria
in Italia centrosettentrionale. Il mese dopo la Dieta Gregorio VII scomunica il re, lo depone, con
l’aggravante di sciogliere i sudditi dal giuramento di fedeltà.
25 gennaio 1077: il papa si trova a Canossa, si sta recando in Germania per l’elezione del nuovo re;
Enrico IV in abito penitenziale si presenta con una richiesta di perdono, caldeggiata da Ugo di
Cluny. Il papa acconsente e abroga la scomunica.
Enrico quasi subito riprende la vecchia politica; in particolare esige dal papa che scomunichi un
pretendente al regno (Rodolfo di Svevia); il papa scomunica di nuovo Enrico nel 1080. Ma stavolta
la scomunica non sortisce effetti. Enrico assedia per 3 anni Roma (1081-1084), elegge un antipapa
(Clemente III) e da lui si fa incoronare imperatore nel 1084.
Gregorio si chiude in Castel Sant’Angelo. I normanni intervengono per liberarlo, ma il loro esercito,
formato in gran parte da mercenari saraceni, devasta gravemente Roma; Gregorio perde così
l’appoggio popolare ed è costretto a fuggire; morirà in esilio a Salerno nel 1085.
Il papa solo apparentemente fu sconfitto. La Chiesa ha preso coscienza della necessità della sua
indipendenza dal potere imperiale; i papi continueranno con alterne vicende il conflitto con gli
imperatori tedeschi. Il risultato più rilevante è il Concordato di Worms del 1122, di fatto un
compromesso tra l’imperatore Enrico V e papa Callisto II, che stabilisce:
- Scelta libera del vescovo da parte del clero
- Rinuncia del re all’investitura con l’anello e il pastorale
- Investitura del candidato già eletto dei beni temporali da parte del re con il segno dello scettro
- Giuramento feudale del vescovo o dell’abate
- Tace sulla pretesa di conferma da parte imperiale all’elezione papale
Papa Pasquale II (il predecessore di Callisto II) aveva già indicato la soluzione vera: la
restituzione di tutte le regalie imperiali all’impero, ma era incorso nell’opposizione unanime dei
vescovi tedeschi. Il suo auspicio si realizzerà dopo 700 anni.
Il papa Callisto II nel 1123 convoca e dirige personalmente (per la prima volta) un concilio
ecumenico in Laterano, senza bisogno dell’appoggio imperiale: è il I Concilio Lateranense.
1. La controversia eucaristica
L’evangelizzazione dell’Europa centro-settentrionale nell’alto medioevo non riesce a superare del
tutto concezioni culturali legate al paganesimo, che permangono, anche se rivestite di elementi
cristiani. In particolare la partecipazione all’Eucaristia va diminuendo, l’uso del latino nella Messa
crea una difficoltà di comprensione immediata del significato dei riti e la catechesi, che si deve
accontentare di trasmettere concetti elementari, è insufficiente a spiegare i sacramenti. Per
facilitarne la comprensione, la Messa viene associata al culto dei santi e al suffragio per i defunti.
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Tuttavia l’Eucaristia, concepita solo come devozione e aiuto per la vita futura, finisce per essere
messa in discussione proprio per quanto riguarda la presenza reale, un problema che in periodo
patristico non era praticamente quasi mai emerso, proprio per il diverso modo di vivere la Messa.
Prima fase: sec. IX, in Francia, al tempo della seconda rinascenza carolingia
Pascasio Radberto (+790-865) ritiene necessario sottolineare il realismo eucaristico, sulla base dei
Padri: nella Messa avviene una mutazione “sostanziale” del pane e del vino (definita “creazione”).
Ratramno di Corbie (+868), discepolo di Pascasio, sottolinea al contrario in modo molto più
marcato l’aspetto simbolico-spirituale del sacramento dell’Eucaristia.
Alcuni storici della teologia intendono queste dottrine nel quadro di una polemica, sembra invece
che si tratti di sottolineature diverse senza alcun intento polemico dell’allievo riguardo al maestro.
Seconda fase: sec. XI, durante la riforma, si crea una vera disputa:
Berengario di Tours (1008-1088) fa ampio uso della dialettica: il Corpo di Cristo vero e proprio è
in cielo, ma il fedele comunicando “ricorda” la vita di Gesù e la passione e quindi partecipa di quel
corpo “spiritualmente”; per lui il Corpo di Cristo non può essere presente contemporaneamente in
luoghi diversi. Inoltre, dato che il pane e il vino con la consacrazione non cambiano aspetto (non
cambiano gli “accidenti”), non cambia nemmeno la “sostanza”.
Berengario infatti applica il linguaggio aristotelico (accidenti/sostanza) all’Eucaristia, un linguaggio
che fornirà in seguito la chiave per una soluzione condivisa del problema, diversa dalla sua.
Berengario è condannato nel 1050, assolto nel 1054; nel 1059 in un concilio del Laterano legge una
ritrattazione, ma in seguito riconferma le sue teorie; richiamato nel 1079, fa una professione di fede
davanti a Gregorio VII; infine ritorna alle sue teorie, mantenute fino alla morte.
Lanfranco di Bec (o di Pavia o di Canterbury) (1010-1089), diventa priore a Bec e in seguito (al
seguito di Guglielmo il Conquistatore) arcivescovo di Canterbury. Si oppone a Berengario di Tours
e partecipa ai sinodi che lo condannano, sottolineando la realtà concreta del Corpo di Cristo
nell’Eucaristia. Anche Lanfranco usa ampiamente la dialettica per dimostrare le sue tesi: in
entrambi il ricorso alla dialettica aristotelica è usata in modo sempre più ampio per dimostrare le
proprie tesi, a fianco della citazione delle tradizionali “auctoritates” : la Scrittura e i Padri.
Le tesi di Berengario provocano una reazione generale: offrono l’occasione (reattiva) di sviluppare
una nuova spiritualità eucaristica, a cui tra gli altri contribuisce l’abate di Montecassino, Desiderio.
Giovanni di Fécamp (+1078) diffonde una spiritualità (devotio) fondata sulla cristologia
eucaristica: Cristo è quello risuscitato vittorioso, ma che si è fatto povero ed umile per curare le
nostre ferite: il “dolce” Gesù, il “buon” Gesù: riprende Agostino attraverso la nuova spiritualità
medievale; precursore di san Bernardo, prepara la strada alla devozione per l’umanità di Cristo.
Si introduce l’elevazione dell’ostia dopo la consacrazione, per mostrare il Corpo di Cristo dopo la
consacrazione al popolo che si trova alle spalle del celebrante. Il popolo che sovente non comunica,
può vedere l’Eucaristia, può adorarla. Sta nascendo il culto eucaristico.
Anche la terminologia ecclesiologica in questo periodo subisce un mutamento significativo in
riferimento all’Eucaristia: l’espressione “Corpo mistico” cambia di significato. Il termine compare
in greco in Esichio di Gerusalemme (V secolo) ed è ripreso in latino da Rabano Mauro nell’VIII
secolo; significa “Corpo sacramentale” di Cristo, cioè l’Eucaristia; la Chiesa secondo quel
linguaggio è il Corpo “vero”, con a capo Cristo: cioè lo scopo per il quale esiste il sacramento, che
deve edificare la Chiesa. Nei secoli XII e XIII il significato dei termini si inverte, per sottolineare il
realismo eucaristico: il Corpo vero di Cristo è l’Eucaristia, il Corpo mistico è la Chiesa, un
significato che si è conservato fino ad oggi.
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XI.
IL SECOLO DI BERNARDO DI CHIARAVALLE
Il XII il XIII e parte del XIV sec. costituiscono la piena fioritura del Medioevo:
− è l’epoca delle grandi cattedrali, prima romaniche e poi gotiche, dell’arte normannobizantina…, della scrittura musicale sempre più precisa e diffusa, della polifonia, dei trovatori,
dell’affermazione delle lingue romanze e germaniche (e della grande poesia, fino a Dante)
L’arte romanica è legata alla riforma. I presupposti sono nel X secolo con le nuove esigenze
edilizie e liturgiche del fiorente monachesimo, di cui Cluny è l’emblema e il centro. Si sviluppa a
partire dal secolo XI, il secolo della riforma, fino al XIII. Il punto di riferimento in architettura è la
basilica romana (“romanico”): la riforma guarda alla Chiesa dei primi secoli, vista come la Chiesa
ideale, fedele a Cristo.
Il cosiddetto “gotico” è uno sviluppo del romanico, che inizia in Francia nel XII sec. e finisce per
dominare la scena fino al XV. È espressione di una nuova sensibilità, che vuole rispecchiare nelle
forme architettoniche lo slancio dell’anima verso Dio, quasi un riflesso visibile della spiritualità
dell’epoca, emotiva e profonda allo stesso tempo.
− si assiste a una crescita religiosa, morale, culturale ed economica generalizzata; è l’epoca delle
grandi novità nelle istituzioni religiose (Bernardo e poi i mendicanti): anche tra i laici c’è grande
ricerca di autenticità della vita cristiana, e un tale fermento produce dei risultati diversi, tra
ortodossia e devianze eterodosse
− si afferma pienamente il sistema feudale basato sulla lealtà, ma parallelamente si formano le
autonomie comunali, con una struttura di relazioni simili a quello del sistema feudale.
− è l’epoca delle crociate, del predominio sul Mediterraneo e della fioritura del commercio
Il periodo è considerato l’apice della potenza papale, intesa nel senso della capacità del vescovo di
Roma di controllare la scena politica generale.
1. L’organizzazione della Chiesa e i rapporti con l’Impero
Gli impetratori romano-germanici avevano contribuito ad avviare il processo di riforma sin dal
tempo degli Ottoni e a favorirla, con gli imperatori di Franconia, specie Enrico III; tuttavia, di
fronte alla prospettiva di perdere la prerogativa dell’investitura laica, i loro successori si erano
opposti al papa (Enrico IV ed Enrico V), causando un conflitto risolto provvisoriamente con il
Concordato di Worms.
La Chiesa romana da parte sua avvia un processo di riorganizzazione ecclesiale che si struttura
intorno alla figura del papa, caratterizzato da due punti qualificanti:
1. Si forma il collegio cardinalizio e la curia romana. Dopo il primo tentativo del decreto (non
rispettato) di Niccolò II, che riservava l’elezione del papa ai soli cardinali, per contrastare la
prepotenza delle famiglie romane più potenti, i cardinali nel XII secolo si strutturano in un vero
e proprio collegio regolato in tre ordini (vescovo, prete, diacono), che assume il ruolo formale di
“clero romano” per l’elezione del pontefice e assolve compiti importanti per il papa
(rappresentanze internazionali, compiti giurisdizionali, concistoro di consulenza).
Parallelamente si creano organismi amministrativi stabili per coadiuvare l’azione universale del
papa, rilanciata già da Gregorio VII, costituendo il primo nucleo della “curia romana”.
2. La nuova struttura è supportata da un grande lavoro giurisprudenziale che intende rimettere in
ordine un millennio di giurisdizione ecclesiastica e rendere quindi l’azione della Chiesa più
efficace, meno soggetta alle consuetudini locali e più centralizzata. Un punto di svolta decisivo
per il diritto canonico sarà la compilazione del cosiddetto Decreto di Graziano (1140 ca.), un
compendio sistematico di diritto canonico rigorosamente ragionato, completato gradualmente
con analoghi criteri fino all’inizio del sec. XIV, che risolve le contraddizioni presenti in una
tradizione canonica ormai quasi millenaria. A questo punto si avverte l’esigenza di disporre di
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un diritto canonico organico e centralizzato. Il Decreto di Graziano da collezione privata assurge
rapidamente ad autorità pubblica, studiata e costantemente aggiornata.
All’inizio del XII sec. la grande riforma portata avanti da Gregorio VII è solo iniziata, molte
questioni fondamentali restano aperte, specie quella del rapporto tra Chiesa e politica imperiale.
− Papa Gelasio (sec.V) aveva sancito l’esistenza indipendente dei due poteri, e l’idea viene
recepita dal Decreto di Graziano; la preoccupazione per la libertas ecclesiae però spingeva i
papi e i loro giuristi a rivendicare il controllo sul potere civile (in particolare sull’imperatore),
fino a pretenderne la subordinazione giuridica
− I papi Pasquale II e Callisto II proseguono la lotta per le investiture contro Enrico V fino al
Concordato di Worms (1122)
− I re tedeschi degli Hohenstaufen, che detengono la corona imperiale, continuano dopo Worms a
contrastare il papato; in particolare si verifica lo scontro tra Federico I Barbarossa (11521190) e papa Alessandro III (1159-1181); l’impero ormai è un avversario dichiarato del papa,
apertamente ostile, sfida la Chiesa fedele al papa e non ne accetta la libertà che essa reclama
− La lotta finisce per scuotere tutto il sistema, dato che le rispettive pretese, col tempo, sono
andate accentuandosi: pretese ecclesiastiche per l’imperatore e politiche per il papato.
Federico Barbarossa
− Scende a Roma per la prima volta nel 1154-55: incoronato imperatore da papa Adriano IV
(britannico); un primo contrasto tra i due (1159) nasce da un equivoco (la traduzione infelice di
un termine in una lettera papale fa infuriare l’imperatore, geloso delle sue prerogative), ma già
in questa occasione i vescovi tedeschi si schierano con l’imperatore; la questione particolare si
risolve presto, ma non il contrasto tra imperatore e papa.
− Il successore di Adriano, Rolando Bandinelli, eletto col nome di Alessandro III, è contestato
dalla minoranza filoimperiale che elegge un antipapa, Vittore IV, il primo dei 4 antipapi eletti
dai tedeschi contro Alessandro, che causeranno17 anni di scisma. Alessandro reagisce
scomunicando Federico e sciogliendo i sudditi dall’obbedienza.
− Nel 1167 Federico occupa Roma, ma la peste gli decima l’esercito. Le città lombarde, vedendo
la propria autonomia minacciata dal Barbarossa, si alleano con il papa e formano la lega contro
Federico (Lega lombarda); lo sconfiggono a Legnano (1176). A Venezia Barbarossa firma la
pace col papa; l’antipapa se ne torna nella sua abazia. Alessandro III in precedenza era dovuto
fuggire prima in Francia poi a Benevento. Il legame del papa con la Francia si va rafforzando.
− Federico però continua la sua politica antiromana. Fa sposare il figlio Enrico VI con Costanza
d’Altavilla (o di Sicilia), ultima erede dei normanni, accerchiando così gli Stati Pontifici. Le sue
pretese sono sostenute dai giuristi bolognesi, che riesumano il diritto romano e bizantino, che
prevede l’egemonia dell’imperatore sulla Chiesa.
− Barbarossa muore nel 1190 durante la terza crociata. Il successore Enrico VI si propone con
pretese di potere assoluto e, ancora in violazione del Concordato di Worms, nomina vescovi in
Germania, in Italia del nord e del sud e in Sicilia. Ma l’imperatore muore prematuramente
(1197). L’erede, Federico II, ha solo tre anni.
2.
I comuni
• I comuni nascono in tutta l’Europa occidentale tra la fine dell’XI e l’inizio del XII sec., favoriti
dalla straordinaria crescita demografica ed economica
• Si tratta di associazioni formate da tutti i cittadini legati da giuramenti di fedeltà (del tipo dei
giuramenti feudali) che si impegnano a organizzare l’autogoverno delle città
• Non si tratta di un gruppo elitario, ma del complesso di mestieri (artigiani) commercianti, nobili
e clero che vogliono sottrarsi al governo dei signori feudatari e divenire autonomi
• I profili caratteristici dei comuni variano molto a seconda delle situazioni; nel mezzogiorno
d’Europa (in Italia in modo particolare) le città godevano di uno statuto giuridico già distinto
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•
•
rispetto alle campagne (soggette ai signori feudali); i cittadini erano liberi e posti direttamente
sotto la tutela imperiale; il vescovo (che spesso nei secoli precedenti aveva supplito al vuoto di
governo) poteva trovarsi a rappresentare l’imperatore, oppure le istanze dei cittadini; i cittadini
rivendicano il diritto di governarsi da soli, pur riconoscendo formalmente l’imperatore.
Nell’Europa centro settentrionale invece la maggior parte delle città erano di origine recente,
nate come borghi intorno a un castello, a un monastero o a una piccola città episcopale, e
governate direttamente dai signori feudali o dal vescovo come un feudatario; gli abitanti erano
mercanti e artigiani, ma non nobili; nel nord della Francia, in Germania e in Inghilterra i comuni
comunque cercano di limitare il potere dei signori.
In Italia, dove raggiungono la massima indipendenza, i comuni nascono in occasione della crisi
delle strutture gerarchiche della Chiesa causate dalla riforma e dal conflitto con l’imperatore: i
vescovi perdono importanza; l’imperatore alla fine riconosce il dato di fatto (le consuetudini);
l’autonomia delle città si spinge fino all’organizzazione militare in proprio e alle guerre contro i
signori o contro altri comuni o tra fazioni interne ai comuni stessi; aumenta la conflittualità.
3. Caratteristiche della spiritualità X-XII sec.
1. Si diffonde una spiritualità di origine monastica del distacco e del disprezzo del mondo, con
ascesi severa, fino all’eremitismo
2. I laici sono alla ricerca di una spiritualità più seria, non di rado si sforzano di vivere come
monaci (i conversi), con ascesi e spiritualismo fino ai limiti dell’eresia (patarini)
3. L’opposizione Dio/mondo, bene/male è molto sentita: il santo è un uomo o una donna forte che
rinuncia totalmente al mondo per una vita austera, spesso infliggendosi dure penitenze
volontarie. Molto sentita a livello popolare, questa impostazione favorirà la diffusione delle
eresie dualistiche nel XIII sec.
4. La riforma gregoriana, che si concentra sul clero, finisce per accentuare la distanza fra clero,
monaci (che devono vivere secondo esigenze morali severe) e laici (che al massimo possono
imitarli un poco).
5. I laici recuperano un posto centrale nella cristianità innanzitutto attraverso la legittimazione
della guerra come opera connessa alla salvezza, attraverso la cavalleria cristianizzata.
6. Tuttavia anche le esigenze propriamente evangeliche diventano un’aspirazione di una parte del
popolo cristiano, un sentire comune che rifiuta di limitare la fede a un ruolo passivo.
La riforma ha una spiritualità improntata all’escatologia:
− La società è vista come campo di battaglia tra le forze del male e i discepoli di Cristo
− Si avverte la necessità di istaurare una civitas terrena spiritualis, una sancta respublica
christiana: la “cristianità”, non come dato di fatto culturale, ma come istanza etica
1. in particolare il cavaliere era diventato la forma cristiana della condizione militare
2. la Pace di Dio, se nasce come rigetto della guerra, considerata sempre un male da arginare,
finisce per regolare la guerra in termini “consentiti”
3. inoltre, mentre a Cluny la salvezza era concepita soprattutto in chiave monastica, il papa
(Gregorio VII) chiama tutti i cristiani a cooperare alla salvezza, anche i milites, i soldati
4. la lotta in Spagna contro l’Islam (la reconquista), la situazione dei sec. IX e X del Mediterraneo
e le continue scorrerie dei saraceni, avevano finito per imporre e quindi legittimare la guerra
contro gli infedeli, che da secoli era una necessità difensiva;
5. Alessandro II (riformatore, vicino alla pataria) nel 1063 dichiara lecito versare il sangue del
nemico infedele in battaglia e soprattutto dichiara che partecipare a una guerra contro di loro
rappresenta una riparazione penitenziale paragonabile al pellegrinaggio o all’elemosina. La
guerra passa da azione per sé illecita, salvo le necessità difensive, a ideale religioso.
Nel 1095 a Clermont Urbano II, scavalcando imperatore e principi, lancia l’appello per la
liberazione della terra santa, oppressa dai turchi. L’appello è diretto ai cavalieri, ma una grande
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massa di persone si mette in movimento. L’uso delle armi acquista nella circostanza un carattere
religioso. La lotta contro gli infedeli diventa un compito religioso per i laici.
4. Crociate
Il termine “crociata” è posteriore alle spedizioni in Terra Santa, si impone quando l’impegno
militare si rivolge all’oriente europeo o verso gli eretici albigesi, fino alle lotte contro i turchi
ottomani dell’età moderna. Il nome corretto è “pellegrinaggio”, e come tale infatti viene vissuto.
Il pellegrinaggio a Gerusalemme era diventato problematico dal VII secolo, con l’occupazione
mussulmana; da allora si registrano periodiche ondate di violenza contro i cristiani, che comunque
non cessano di andare in pellegrinaggio.
Tra IX e X secolo i pellegrinaggi vanno incrementandosi, anche perché per molti è l’unico modo di
espiare i peccati (Folco III d’Angiò ne dovette fare 4, il primo per aver bruciata viva la moglie…):
molti pellegrini sono personaggi assai violenti, con un bisogno cronico di espiazione, provenienti da
tutta Europa, anche dai paesi scandinavi (i vichinghi); spesso vanno in pellegrinaggio armati.
Nel 996 sale al trono d’Egitto l’imam Hakim (a 13 anni), che tra le altre follie fa bruciare tutte le
chiese (30.000) e radere al suolo il Santo Sepolcro, cercando di rimuoverne ogni ricordo. Il
successore permetterà la ricostruzione del Santo Sepolcro dietro il rilascio di 5000 prigionieri
mussulmani detenuti a Bisanzio. Tuttavia gli attacchi ai pellegrini diventano sempre più frequenti.
Dal 1040 sopraggiungono i turchi selgiuchidi, recentemente convertiti a un islam popolare fanatico;
invadono tutta l’area, depredando e massacrando i cristiani greci e armeni rendendo impossibile il
pellegrinaggio. Nel 1071 i bizantini sono pesantemente sconfitti a Manzikert e i turchi dilagano fino
alle porte di Costantinopoli.
La necessità di riaprire la strada della Terra Santa viene dunque dall’invasione dei turchi Seljuk, che
occupano Gerusalemme nel 1071: le richieste di aiuto dell’imperatore bizantino Alessio I (10811118) rimontano al tempo di Gregorio VII, che invano aveva auspicato un intervento; Urbano II
(1088-1099) a Clermont (dove si stabilisce la tregua Dei) lancia l’appello ai cavalieri e concede
l’indulgenza a chi si reca in pellegrinaggio armato a Gerusalemme; il nuovo pellegrinaggio viene
propagandato da molti predicatori, tra cui l’asceta Pierre d’Amiens (Pietro l’Eremita).
Le crociate si presentano come uno sforzo enorme, umano ed economico, di difficilissima
realizzazione, in cui l’elemento determinante non è di tipo politico-economico, ma religioso; le
crociate non hanno costituito un vantaggio economico o politico, anzi in molti casi nobili e sovrani
si sono rovinati per andare alla crociata, senza parlare di quanti sono morti (tra di essi l’imperatore
Federico Barbarossa e il re di Francia Luigi IX).
L’affievolirsi della spinta ideale e l’affermazione di interessi di altro genere, tra la seconda metà del
XII sec. e nel XIII secolo contribuiranno in modo determinante al fallimento dell’impresa.
Nei manuali si parla di 8 crociate, in realtà la numerazione è semplificatoria, si riferisce alle
spedizioni più rilevanti; la crociata è un movimento continuo, il crociato poteva partire
individualmente o aggregarsi a piccole spedizioni di cadenza annuale, in soccorso degli
insediamenti orientali.
La prima crociata manifesta un problema che durerà per tutto il periodo: i difficili rapporti con i
bizantini, che pure avevano chiesto aiuto agli occidentali. Una delle ragioni di questa difficoltà è la
presenza nelle fila dei crociati di normanni, che avevano strappato tutto il sud Italia ai bizantini e
avevano insidiato anche i Balcani. L’atteggiamento ambiguo dei bizantini renderà assai complicato
mantenere le posizioni conquistate.
Precede la crociata “dei nobili” una “crociata dei poveri”, guidata da Pietro Eremita, che aveva
raccolto una quantità di gente entusiasta, ma del tutto sprovveduta militarmente; saranno massacrati
appena giunti in oriente. Invece alcune spedizioni di militari tedeschi, che durate il percorso in
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Germania, nonostante l’opposizione dei vescovi locali, fanno strage di ebrei, vengono fermate in
Ungheria, respinti dagli ungheresi, che non ne permettono il passaggio sul loro territorio.
Sono protagonisti della prima crociata Goffredo di Buglione, Boemondo d’Altavilla e Raimondo
di Tolosa. Nonostante le gravissime difficoltà di rifornimento e il tradimento dei bizantini,
conquistano Gerusalemme nel 1099 e formano 4 regni crociati (Regno di Gerusalemme, Contea di
Tripoli, Principato di Antiochia, Contea di Edessa); i crociati hanno bisogno di occupare e
controllare territori vasti perché i bizantini non si impegnano a difendere quelle zone. La
popolazione è in buona parte ancora cristiana, forse la maggioranza. Non sono terre mussulmane.
La seconda crociata. Alla caduta di Edessa, papa Eugenio III incoraggia una nuova crociata (11471149), guidata da Luigi VII di Francia e Corrado III di Germania, dunque due sovrani, che
cercano di prendere Damasco, ma falliscono. Intanto nei regni crociati si sviluppa un’intensa attività
edilizia, caratterizzata da fortificazioni e chiese. Si formano gli ordini cavallereschi.
La terza crociata. Intorno al 1174 tra gli islamici il generale Saladino prende il comando e inizia
una lotta sistematica contro i crociati, fino alla vittoria ai Corni di Hattin nel 1187 sui cavalieri;
ottiene così la resa di Gerusalemme. Saladino è appoggiato dai bizantini, deporta metà popolazione
e trasforma tutte le chiese latine in greche. Viene però sconfitto a Tiro e fermato. Le vittorie di
Saladino provocano la terza crociata. Federico Barbarossa muore nel 1190 guadando un fiume e
l’esercito tedesco si disperde; l’inglese Riccardo Cuor di Leone, grande condottiero, sconfigge
Saladino e tratta il libero accesso dei pellegrini cristiani a Gerusalemme. È convinto che sia
impossibile mantenerne il possesso militare. Saladino muore poco dopo.
La quarta crociata. Innocenzo III bandisce una nuova crociata, che si rivela economicamente
molto complicata e del tutto inefficace per i luoghi santi. La diplomazia veneziana ne trae molti
vantaggi. Alla fine si decide di appoggiare l’imperatore bizantino Alessio IV, che era stato
esautorato, quindi gli eserciti crociati prendono Costantinopoli e insediano l’imperatore. Ma Alessio
non è di parola e si volge a ostilità verso i crociati, che si sentono traditi e in trappola. Allora
assalgono per la seconda volta Costantinopoli e, nonostante la contrarietà di Innocenzo III,
insediano un regno latino (1204), che reggerà fino al 1261. Questo episodio segnerà molto
negativamente i rapporti tra cattolici e ortodossi, più delle scomuniche del 1054.
La quinta crociata (1217) si dirige verso Damietta, nel delta del Nilo; dopo la quarta crociata si
evita di passare attraverso territori bizantini. Damietta viene presa, ma presto è abbandonata. Mancò
l’aiuto promesso da Federico II.
La sesta crociata. Federico II nel 1229 arriva ad Acri con un piccolo contingente, ma preferisce
svolgere solo azione diplomatica. Ottiene la restituzione di Gerusalemme, Betlemme e Nazareth che
resteranno in mano cristiana per 15 anni.
La settima crociata. Una nuova invasione turca riprende nel 1244 Gerusalemme e Gaza, con una
grande strage. Si muove allora Luigi IX di Francia, che conquista rapidamente Damietta (12491250). Ma il passaggio del Nilo risulta molto difficile, l’esercito viene disperso e Luigi catturato,
poi rilasciato in cambio di un ricchissimo riscatto.
L’ottava crociata. Negli anni seguenti, una ad una cadono le difese in Terra Santa; Antiochia è
espugnata dai turchi con grande eccidio di civili (1268). Luigi IX riprende la crociata, pianificando
di nuovo il passaggio per l’Egitto. I crociati prendono Tunisi (1270), ma un’epidemia falcidia
l’esercito e anche Luigi muore. L’impresa di fatto è abbandonata.
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Le ultime postazioni in oriente cadono senza nessuna reazione occidentale. Nel 1289 si muove un
grande esercito egiziano; nel 1291 cade la fortezza di Acri. Nel 1303 l’isolotto di Ruad è
abbandonato per la soppressione dell’ordine dei Cavalieri Templari.
Nel corso degli anni, l’entusiasmo per le crociate era andato scemando, in particolare da quando
l’organizzazione economica era passata dalle famiglie dei signori ai sovrani, che finanziavano le
loro spedizioni non con le proprie ricchezze, ma imponendo tasse gravose a tutta la nazione; anche
altri interessi, di natura politica e commerciale, fecero declinare gli ideali primitivi.
Ordini cavallereschi
La crociata è accompagnata da esercizi di ascesi e di preghiera. In questo clima spirituale nascono
gli ordini cavallereschi: la guerra appare alla cristianità come l’unico modo di contrastare
un’avanzata islamica sempre più pericolosa per l’Europa, che rende impraticabili i luoghi santi.
I templari. Nel 1118 nell’atrio del “tempio” di Gerusalemme si costituisce una comunità di laici: in
tempo di pace, il loro ideale era vincere se stessi con l’ascesi, in tempo di guerra, combattere contro
i nemici della pace (Ugo di Payns, primo “Maestro”).
San Bernardo cerca di legittimare la novità, scrive In lode della nuova milizia: il loro modo di
vivere e di morire è del tutto diverso dai soldati del mondo; praticano obbedienza, povertà e castità.
Una regola viene elaborata al concilio di Troyes nel 1128: partecipano all’intero ufficio divino
come monaci, sostituibile con il Padre nostro se non si trovano in loco; sono prescritti digiuni e
sobrietà del vestire. Si organizzano in cavalieri, cappellani e inservienti.
Ospitalieri o giovanniti (Cavalieri di Malta). A Gerusalemme esisteva una compagnia ospitaliera o
ospizio di san Giovanni. Promuove la cura dei malati: secondo la loro spiritualità, ammalati e poveri
sono i “padroni”; dal 1137 si associano ai cavalieri per la difesa e diventano un vero ordine
cavalleresco. Dopo la caduta di san Giovanni d’Acri (1291) si spostano a Rodi e poi a Malta.
Ordine teutonico. Nasce in un lazzaretto fondato dai tedeschi presso san Giovanni d’Acri durante
la terza crociata, per la cura dei malati (1190); Federico II affidò le difese contro i Prussi a questo
ordine, iniziando così la crociata per la sottomissione dei prussiani.
5. San Bernardo e i cistercensi
Bernardo di Chiaravalle (1090-1153) nasce da Tescelino, signore feudale presso Digione; viene
introdotto negli studi letterari e nel “quadrivio”. Nel 1112/13 sceglie la vita monastica presso il
monastero di Citeaux, fondato nel 1098 da Roberto di Molesmes e retto in quel momento da
Stefano di Harding; il progetto della nuova fondazione era ristabilire un monachesimo puro, libero
dai compromessi, più vicino alla regola benedettina rispetto a Cluny: è la riforma cistercense.
Bernardo è un trascinatore, arriva con un nutrito gruppo di parenti e amici, forse una trentina.
Iniziano presto nuove fondazioni: Bernardo diventa abate a Clairvaux nel 1115. Bernardo rafforza
la riforma, grazie all’appoggio dei suoi amici ormai abati, secondo linee molto chiare:
− povertà in tutto: abbigliamento, cibo, stile di vita
− i soli beni sono quelli guadagnati con le proprie mani, non accettano donazioni e “benefici”
− gli edifici sono sobri (è celebre il gotico cistercense), la liturgia è più semplice rispetto a Cluny
Le fondazioni di Clairvaux si succedono al ritmo di due l’anno per più di trent’anni; alla fine 70
monasteri in tutt’Europa dipendono da Clairvaux.
L’attività di Bernardo si svolge su due piani nettamente distinti, anche se intimamente legati: vita
monastica e di preghiera ritirata e un’attività frenetica nella Chiesa e nel mondo di allora. In una
lettera Bernardo si definisce “la chimera del mio secolo”, cioè un animale composto da bestie
diverse (monaco e mondano); si distingue per le sue grandi capacità nell’azione politica e
diplomatica. Per un terzo della sua vita è assente dal monastero, nonostante la salute fragile.
Carattere irruento, ma temperato dalla conversione monastica, ha grandi capacità di mediatore e al
tempo stesso profonde competenze teologiche; dal 1130 al 1138 si reca 3 volte a Roma, viaggia per
4 volte in Italia: vuole ricomporre lo scisma tra Innocenzo II e Anacleto II in favore del primo.
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Dal 1141 inizia il dibattito teologico, molto aspro, con Abelardo.
Dal 1144 al 47 combatte contro Arnaldo da Brescia (l’ultimo “patarino”…).
Dal 1145 inizia la controversia contro i catari.
Su richiesta di papa Eugenio III, che era stato un suo monaco, nel 1146-47 predica la seconda
crociata, che sarà un fallimento.
Ancora nel 1153 si reca in missione di pace in Lorena, ma morirà poco dopo, ad agosto.
Tra le opere che ci ha lasciato, molti sermoni, famosi quelli sulla Vergine, un Commento al Cantico
incompiuto, trattati importanti: I gradi dell’umiltà, La lode della nuova milizia (per i Templari), Il
precetto e la dispensa, De consideratione (per papa Eugenio III); un ricco epistolario.
Per Bernardo la fonte di ogni sua idea è la Sacra Scrittura, perfettamente assimilata, anche nel
vocabolario; la Scrittura, a sua volta, è letta attraverso:
1. la preghiera personale
2. la liturgia
3. i padri della Chiesa
Bernardo è caratterizzato da un grande amore per Cristo incarnato, che è la chiave d’accesso al
mistero di Dio e il modello sicuro di riferimento; non si tratta però di un modello esteriore, di tipo
morale, ma dello specchio interiore a cui conformarsi per ritrovare se stessi (la “dolce memoria” di
Gesù).
L’impostazione della sua teologia (denominata da Jean Leclercq “teologia monastica”), che la lega
all’esperienza di fede, si trova in contrapposizione ai procedimenti adottati da Abelardo, che riduce
la rivelazione a enunciati e li sviluppa secondo procedimenti dialettici, allontanandosi dalle fonti e
persino mettendole in discussione.
6. Teologia monastica e scolastica
La contrapposizione tra Bernardo e Abelardo rispecchia la tensione che si crea quando emerge la
cosiddetta “teologia scolastica”, che adotta nuovi metodi per organizzare e trasmettere il pensiero
teologico, metodi non privi di pericoli, come Bernardo non si stanca di sottolineare.
La “scuola” monastica per sé, rivolta ai ragazzi, prevede solo lo studio delle scienze del trivio e del
quadrivio, non della filosofia e della teologia. Il monaco adulto però, grazie alla cultura che ha
acquisito, avrà gli strumenti per studiare la Scrittura e i Padri, con lo scopo di alimentare la propria
vita spirituale, e lo farà sotto la guida e l’obbedienza di un padre spirituale, che lo orienterà sulle
letture e le meditazioni. Una parte cospicua della meditazione consisterà nel mettere per iscritto e
ordinare il proprio pensiero, attraverso la redazione di lettere ad altri monaci o monasteri, sermoni
scritti e trattati su qualche argomento teologico e spirituale. La teologia nei monasteri conserva il
suo profilo essenziale di attitudine contemplativa piuttosto che di disciplina sistematica.
La riforma della Chiesa però pone nuove esigenze: il clero riformato deve essere istruito, deve
studiare teologia sistematicamente; non solo deve crescere spiritualmente, ma deve essere in grado
di insegnare con sicurezza al popolo. Nasce l’esigenza di creare scuole che insegnino una vera e
propria disciplina strutturata secondo esigenze pedagogiche, sottoposta quindi a regole comuni,
fornite innanzitutto dall’applicazione della logica deduttiva alla Scrittura e ai Padri. Nasce così la
“teologia scolastica”. La nuova tendenza, per raggiungere l’unità del sapere teologico, favorisce
l’astrazione razionale dei concetti. La “teologia scolastica” ha tre caratteristiche:
1. Armonizzare la tradizione, cioè risolvere le apparenti contraddizioni
2. Esprimere le ragioni della fede attraverso una ricerca e una esposizione razionale
3. Organizzare il pensiero in forma unitaria, intorno a un centro
Il contesto è quello del rinnovamento delle scuole:
− la nuova tendenza parte dalle tradizionali scuole monastiche e cattedrali (come Laon e Chartres)
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− nell’XI e XII secolo nascono le scuole nelle città, che stanno risorgendo; le più importanti a
Parigi, dove convergono studenti da tutta Europa
− nel XII-XIII si generalizza il fenomeno dell’associazione di professori e studenti nelle
Universitates. Queste istituzioni ricevono un grande impulso dai privilegi concessi dai papi, che
le affrancano dal potere ecclesiastico e politico locale, concedendo alle università una notevole
autonomia (le più antiche sono a Bologna, Parigi, Salerno, Montpellier, Oxford…)
− le lezioni si svolgono in latino, tutti devono studiare come base filosofia (arte di ragionare); si
studia diritto (romano), medicina, teologia: la base di quest’ultima è la Sacra Scrittura
Nuove idee, movimenti religiosi ed eresie
A seguito della riforma, nel secolo XII si sviluppa un grande movimento religioso spontaneo che
assume forme diverse, interno alla Chiesa o anche in opposizione alla Chiesa gerarchica. Questi
movimenti perseguano una vita cristiana più autentica, spesso ispirata a un ideale diffuso di Chiesa
primitiva, valorizzando la povertà, la preghiera e la predicazione.
Alcuni personaggi sono passati alla storia proprio perché assertori di tesi ereticali; si tratta in realtà
di esponenti “devianti” di un movimento molto più vasto:
− Pietro di Bruis: predicatore itinerante, nega il valore dei sacramenti, Eucaristia compresa; nega
il peccato originale e il battesimo dei bambini, la funzione della Chiesa, intesa sia come
istituzione ma anche come edificio, le preghiere per i defunti; dove arriva brucia pubblicamente
tutte le croci che trovava. Un venerdì santo, mentre sulle croci divelte arrostiva carne per
distribuirla a chi usciva dalla chiesa, fu arso vivo dalla gente (1135-40ca.)
− Enrico il monaco: è un monaco che esce dal suo monastero per predicare; prosegue la stessa
linea di Pietro di Bruis in modo più moderato; in particolare sembra che negasse la necessità
della grazia (dei sacramenti) per la salvezza; in varie occasioni ritratta, ma regolarmente ritorna
alle medesime posizioni. Probabilmente alla fine torna definitivamente in monastero (1160 ca.)
− Arnaldo da Brescia. Discepolo di Abelardo, predica contro la corruzione del clero e il tentativo
del papato di acquistare maggior peso politico. Viene a Roma con l’intento di rovesciare il
potere papale, ma viene consegnato dal Barbarossa al comune della città, che lo impiccherà per
motivi politici (1155).
Gioacchino da Fiore (1130-1202) è un personaggio di grande importanza per le conseguenze che
hanno avuto le sue idee, fino ad oggi.
Gioacchino è un monaco cistercense calabrese; durante un soggiorno nell’abbazia di Casamari
riceve una “rivelazione” su una nuova era che sta per aprirsi, di cui lui stesso è il preannunciatore.
Gioacchino divide la storia in tre grandi età: l’età del Padre, che è terminata con l’Antico
Testamento e l’incarnazione di Cristo; l’età del Figlio, caratterizzata dalla Chiesa cattolica, dalla
gerarchia e dai sacramenti; l’età dello Spirito Santo, che è la rivelazione del “Vangelo eterno”, età
in cui la Chiesa con le sue istituzioni si dissolverà; il papa stesso rinuncerà alle sue funzioni e non si
amministreranno più sacramenti; subentrerà una religione “pura”, tutta interiore, aperta da un
profeta “angelico” e guidata da una nuova comunità monastica di grande livello spirituale.
Una tale visione si distacca completamente dalla teologia della storia dei Padri della Chiesa, che
vedevano nella venuta di Cristo il culmine della storia e nell’epoca della Chiesa l’ultima età del
mondo prima della parusia; nessuna rivelazione per loro poteva superare la venuta di Cristo, se non
la vita eterna. Infatti Gioacchino non solo è convinto del superamento della Chiesa, ma anche della
funzione di Gesù Cristo, superata dall’avvento dello Spirito Santo.
Nonostante l’introduzione di questo “principio corruttore” (secondo la definizione di Chenu),
Gioacchino non si presenta affatto come un sovversivo o un rivoluzionario, anzi è molto fedele ai
papi che da parte loro lo proteggono; in fondo sembrava semplicemente il fondatore di un nuovo
ordine monastico. Gioacchino sarà condannato al Concilio Lateranense IV, non per questa sua
teoria, ma per aver ingiustamente criticato la teologia trinitaria di Pietro Lombardo.
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Sotto questa ispirazione, Gioacchino si stacca dai cistercensi e fonda i monaci “florensi”, iniziando
dal monastero calabrese di San Giovanni in Fiore, un ordine che sopravvivrà pacificamente per
qualche secolo per poi confluire nuovamente nei cistercensi.
Opere autentiche di Gioacchino sono la Concordanza del vecchio e del nuovo Testamento, sulla
corrispondenza tra la prima e la seconda età, un Commento all’Apocalisse e il Salterio di dieci
corde. Alla sua morte, gli saranno attribuiti molti scritti pseudoepigrafi che sviluppano e
radicalizzano le sue idee.
L’idea della terza età, cioè del superamento della Chiesa e della persona stessa di Gesù, porterà
innumerevoli sviluppi in campo religioso, ma anche in campo filosofico-politico, dal momento in
cui lo “spirito” della nuova età non sarà più lo Spirito Santo.
Gli Umiliati. Il movimento compare negli ultimi decenni del XII sec.; secondo papa Lucio III sono
eretici; per bloccare il diffondersi di idee erronee Lucio III con la decretale Ad abolendam del 1184
vieta la predicazione dei laici. Gli Umiliati però si diffondono in Italia, Francia e Germania (dove la
condanna papale non viene recepita); papa Innocenzo III nel 1201 riconosce la loro retta dottrina; il
papa permette loro anche di predicare, a patto che evitino argomenti pericolosi.
Gli Umiliati vivono da soli o in piccoli gruppi, nelle città (sembra fossero legati alle corporazioni
dei tessitori), ritengono che il lavoro sia una via di santificazione; per Innocenzo III possono riunirsi
per ascoltare la Parola di Dio. Ai vescovi è fatto divieto di ostacolarli.
Valdesio (Pietro Valdo) e i valdesi (o poveri di Lione). Bisogna distinguere il movimento originario
dai valdesi attuali, che hanno aderito alla riforma nel 1532, diventando una confessione della
galassia protestante. Valdesio è un laico che ha scelto di vivere in povertà; da alcune fonti sembra
che fosse un dipendente della chiesa di Lione; certamente collabora con il vescovo per tentare di
attuare la riforma gregoriana in una chiesa che ostinatamente la rifiutava (erano diffusi la simonia e
il concubinato del clero). Ha grandi doti di predicatore, si preoccupa anche di tradurre in “volgare”
la Scrittura; ottiene in pochi anni un grande successo e molti seguaci.
Nel 1179 si reca a Roma al III Concilio Lateranense, cui presenta la sua traduzione dei Salmi e la
sua opera di riforma; il papa Alessandro III lo approva, abbracciandolo, ma subordina la
predicazione al permesso del vescovo.
Nel 1181 muoiono sia il vescovo riformatore di Lione, sia Alessandro III; nel 1182 Valdesio viene
espulso dalla diocesi, non ha più il permesso di predicare. Valdesio rimane comunque fedele alla
Chiesa, non ha atteggiamenti anticlericali e cerca sempre di far valere la sua ortodossia.
Probabilmente morirà in comunione con la Chiesa.
Numerosi gruppi di suoi seguaci mantengono la stessa linea e vengono reintegrati nella Chiesa.
Alcuni gruppi invece si isolano, in particolare nelle valli alpine del Piemonte, distaccandosi dalla
Chiesa gerarchica. Sono gli antenati degli attuali valdesi.
Le Beghine: la nuova spiritualità coinvolge moltissime donne, tanto che le istituzioni monastiche
non riescono ad accoglierle tutte, e molte richieste vengono respinte.
In Europa centrale e settentrionale gruppi di donne cominciano a praticare una vita religiosa
scandita dalla preghiera e dalle opere di carità, spesso vivendo in comunità, in città o vicino a quegli
stessi conventi che non han potuto accoglierle. Non sono legate da voti (neanche quello di povertà:
accettavano lasciti per vivere, in cambio di preghiere o di servizi).
Assistono i moribondi, educano i bambini, esercitano lavori artigianali, tessitura e ricamo.
Come reagisce la Chiesa alle nuove eresie?
− Le eresie di questo periodo non riguardano più solo qualche monaco o personaggio isolato, ma
coinvolgono parte del popolo. Di fronte ai nuovi eretici per diverso tempo i vescovi si trovano
impreparati, cercano di applicare sanzioni canoniche, scomuniche e altro, ma spesso perdono il
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controllo del popolo che considera gli eretici come blasfemi e soprattutto come perturbatori
sociali: in qualche caso vengono linciati dalle folle.
Pietro il Venerabile (abate di Cluny) scrive tre testi polemici: Contro i petrobrusani, Contro gli
ebrei e Contro i musulmani, dove confuta le tesi degli avversari e raccomanda l’uso della
persuasione e esclude il ricorso alla violenza.
Col tempo la procedura contro le eresie si va stabilizzando in due tappe: isolamento religioso
degli eretici, intervento dell’autorità civile
Al Laterano III (1179): l’autorità ecclesiastica non commina alcuna pena coercitiva o violenta,
le pene sono demandate all’autorità laica, che è coinvolta perché l’eresia è un reato in quanto
perturba l’ordine civile.
Nella decretale Ad abolendam di Lucio III, del 1184, chi predica senza autorizzazione è
equiparato a un eretico, indipendentemente dai contenuti della predicazione.
Per Innocenzo III (1199) l’eresia equivale al delitto di lesa maestà, pertanto va represso
dall’autorità civile. Entra in ballo così la pena di morte. Il papa ha in mente soprattutto l’eresia
dei “catari”.
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XII.
IL SECOLO DI SAN FRANCESCO
1. Papato e impero XIII sec.
Dal tempo di Gregorio VII in poi l’esigenza di riformare la Chiesa diventa una categoria stabile di
pensiero, che si muove secondo due direttive: la riforma morale, in primo luogo dei chierici, e il
controllo del papa sulla “cristianità” per attuare la riforma e preservarla; gli interessi dei principi
infatti sono considerati opposti allo spirito della riforma.
La riforma non ha fini “strettamente” ecclesiali, come potremmo intenderla con la nostra mentalità,
ma è riforma della “cristianità”, cioè dell’intero corpo sociale accomunato, a tutti i suoi livelli, dalla
fede cattolica. La “cristianità” è infatti l’insieme dei battezzati nella loro situazione concreta
religiosa, sociale, economica e civile, che in questo periodo di fatto coincide con la società stessa
dell’occidente europeo. La Chiesa “militante”, composta di santi e peccatori, può legare e sciogliere
per mandato di Cristo non solo nell’ambito spirituale, ma anche in quello temporale, sciogliendo dai
legami di obbedienza civili (il giuramento feudale) attraverso l’interdetto e la scomunica.
L’interdetto priva un territorio della celebrazione dei sacramenti, privando la popolazione dei
mezzi ordinari della salvezza. La scomunica priva una persona dell’accesso ai sacramenti, ma
anche dei legami di obbedienza dei suoi sudditi, se si tratta di un principe.
− L’apice del potere papale sulla cristianità è raggiunto da papa Innocenzo III (1198-1216)
− Innocenzo si sente responsabile della tutela della libertas ecclesiae, secondo la concezione
gregoriana, specie in riferimento alla situazione del papa in Italia; deve quindi tentare di
rompere l’accerchiamento tentato da Federico Barbarossa con le nozze tra il figlio Enrico VI e
Costanza d’Altavilla, ultima erede del regno normanno
− Papa Innocenzo riceve l’incarico di tutore di Federico II, figlio ancora minorenne di Enrico e
Costanza; i rapporti con Ottone IV (re di Germania nel 1198, imperatore nel 1209, morto nel
1218) sono altalenanti, finché i principi tedeschi non depongono Ottone e designano re il
giovane Federico II di Svevia; Innocenzo approva la scelta, con la condizione però che non
siano riunite le due corone (di Sicilia e di Germania)
− I contrasti con diversi sovrani europei vedono il papa sostanzialmente vittorioso: Inghilterra
(con Giovanni senza Terra); Francia (con Filippo Augusto); Portogallo e Spagna.
− Dal punto di vista del governo della Chiesa, Innocenzo si dimostra aperto alle nuove forme di
spiritualità: reintegra ufficialmente nella Chiesa gli Umiliati (1201) e approva oralmente la
nuova forma di vita promossa da san Francesco d’Assisi (1209).
− Assiste al fallimento della IV crociata; non apprezza l’occupazione di Costantinopoli, ma alla
fine ne accetta la conclusione, con la formazione degli effimeri regni latini in Grecia.
Innocenzo III convoca il IV Concilio Lateranense (il più partecipato del Medioevo come anche
delle epoche precedenti: sono presenti più di 400 vescovi e 800 abati); il Concilio prende alcune
decisioni importanti:
a. Alcuni provvedimenti di riforma della Chiesa
b. Stabilisce la dottrina eucaristica della transustanziazione, contro Berengario di Tours
c. Condanna della dottrina trinitaria di Gioacchino da Fiore
d. Prende provvedimenti contro i catari (non esplicitamente nominati)
e. Stabilisce la norma della confessione e comunione almeno una volta l’anno
Federico II di Svevia, ultimo Hohenstaufen, 1194; 1212-1250
− L’imperatore nella sua concezione governa anche la Chiesa, secondo la tradizione dei sovrani
germanici
− Emerge in lui una nuova mentalità di tipo “nazionale”; rinuncia di fatto alle pretese di
universalità dell’impero (che erano rivolte concretamente verso la Francia e l’Inghilterra)
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− Identifica la sua azione di governo con il Regno di Sicilia, che amministra e organizza in modo
esemplare; si cura invece poco della Germania, dove emergono principati locali ampiamente
autonomi, anche di tipo episcopale (retti da vescovi-principi)
− Si distingue per una condotta di vita agnostica, areligiosa; culturalmente è molto curioso; si
circonda di molti mussulmani in Sicilia, ama lo sfarzo di tipo orientale.
Tra Federico II e papa Onorio III non si verificano scontri; le difficoltà iniziano con Gregorio IX
(1227-1241) che è amico personale di san Francesco. Il papa è molto aperto ai nuovi fermenti
spirituali, già da cardinale: protegge cistercensi, san Domenico, Elisabetta di Turingia. È anche il
papa che decide la centralizzazione del nuovo tribunale dell’inquisizione, controllata da Roma.
Scomunica più volte Federico, con cui altrettante volte si riconcilia, ma la pace non regge mai a
lungo. Il rimprovero principale mosso all’imperatore è di aver tradito le sue promesse di crociata e
soprattutto i suoi tentativi di sovvertire il potere del papato; papa e imperatore si danno
reciprocamente dell’anticristo.
Papa Innocenzo IV (1243-1254) prosegue la lotta contro Federico; deve fuggire in Francia, dove al
primo Concilio di Lione (1245) scomunica Federico, lo depone, proibisce ai sudditi di obbedirgli.
Ma sono presenti pochi vescovi e Federico non se ne preoccupa affatto.
Federico II nel 1250 muore improvvisamente in Puglia; moribondo, vuole rivestire l’abito
cistercense e ricevere i sacramenti dall’arcivescovo di Palermo.
Il figlio Corrado IV muore a 26 anni; suo figlio Corradino di Svevia riceve come tutore Innocenzo
IV, che però muore poco dopo, lo stesso anno di Corrado (1254).
Intanto, lo spostamento delle alleanze papali verso la Francia comincia a comportare seri problemi;
un papa francese, Clemente IV, concede il regno di Sicilia a Carlo d’Angiò, fratello di Luigi IX.
Corradino cerca di riprendersi la Sicilia, ma viene catturato (a Tagliacozzo) e decapitato da Carlo
d’Angiò. Il titolo di “imperatore” sta diventando un’onorificenza senza contenuto politico reale. Il
papa rimane il punto di riferimento principale della cristianità, ma sta diventando progressivamente
succube della politica francese.
Papa Gregorio X (1271-1276) vuole contrastare questa tendenza, convoca il Secondo Concilio a
Lione (1274). Si reca a Lione anche l’imperatore d’Oriente, Michele VIII Paleologo, che, per
difendersi dagli attacchi degli Angiò, propone l’unione delle Chiese, che in effetti viene ratificata.
Ma dopo qualche anno Carlo d’Angiò riesce a far eleggere papa Martino IV, francese, che appoggia
le sue pretese, facendo sfumare l’unione. Comunque, grazie al Concilio, i greci si liberarono dei
regni latini in Grecia.
Intanto la questione nazionale comincia a diventare importante per l’elezione del papa: la
composizione del collegio cardinalizio diventa di interesse politico; si formano veri e propri partiti
che si vanno modellando sull’emergere degli stati nazionali.
L’impero d’Oriente
Con l’avvento degli imperatori della dinastia dei Paleologi, l’ultima dinastia bizantina, nel XIII sec.
si compie la riconquista dei Balcani soprattutto a spese dei regni latini, anche grazie all’effimera
unione del Concilio di Lione; l’impero ritorna una grande potenza; anche la Chiesa greca conosce
un nuovo sviluppo. Il sopraggiungere dei turchi ottomani nel XIV sec. però comincerà presto a
divorare lentamente l’impero, fino alla caduta di Costantinopoli del 1453 ad opera di Maometto II.
2. Gli ordini mendicanti
Francesco (1182-1226), figlio di un commerciante, appartenente alla nuova borghesia,
caratterizzata da un vero culto per il denaro, vuole diventare cavaliere; catturato in uno scontro tra
Assisi e Perugia, finisce in carcere, quindi si ammala: in quella circostanza capisce di dover servire
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il Signore: decide di diventare una sorta di cavaliere di Dio, per servire il Signore e non gli uomini;
compie un gesto di singolare omaggio al nuovo Signore, baciando un lebbroso; la sua “dama” sarà
madonna povertà, secondo gli stilemi di fedeltà e di abnegazione tipici dell’amore cavalleresco.
La sua esperienza si colloca la cuore della riforma: si sente incaricato di “ricostruire” la Chiesa che
sta cadendo a pezzi. Lascia famiglia e beni materiali in obbedienza al Vangelo e inizia a predicare: è
il programma della sua vita.
Nel 1209 con 12 compagni si reca da papa Innocenzo III, che approva verbalmente la sua forma di
vita; Francesco si accontenta di questa conferma, perché non vuole privilegi papali, ma solo sentirsi
nella Chiesa.
Come cavaliere desidera il martirio, dare la vita per il suo Signore; si reca quindi in oriente al
seguito della crociata; durante la sua assenza però l’ordine rischia di spaccarsi, perché molti frati
pensano di introdurre nuove pratiche ascetiche, soprattutto per contrastare gli eretici catari, ma
Francesco preferisce preservare la libertà dei frati.
Francesco prevedeva di essere seguito solo una piccola cerchia di discepoli, ma suscita rapidamente
un movimento impressionante, di proporzioni enormi; deve accettare regole di organizzazione e un
vero e proprio noviziato, come anche conventi in forma di residenze stabili.
Francesco non si oppone a questi mutamenti pratici, ma combatte ogni tentativo di ridurre il suo
ideale; si piega perciò alle esigenze poste dalla Chiesa. Per tutta la vita mantiene un grande rispetto
anche per i preti e i vescovi che lo contrastano.
Nel 1224 si ammala e riceve le stimmate; muore nel 1226.
Il suo ordine non è clericale, è costituito da laici; lui stesso però diventa diacono per poter predicare
legittimamente, a causa delle restrizioni di Lucio III, che riservavano la predicazione al clero. Per
quanto riguarda la scelta di povertà, in origine il sostentamento dei frati proveniva dal lavoro e solo
per necessità era indicato di mendicare.
Francesco dimostra un ardente amore per Cristo incarnato, crocifisso ed eucaristico; la sua proposta
cristiana, che non considera affatto come l’unica possibile, è la sequela di Cristo povero e crocifisso
vissuta con gioia e nella libertà.
I frati minori si distinguevano da altre forme di vita cristiana per alcune peculiarità:
1. Non solo i singoli frati, ma l’ordine in sé non poteva possedere nulla
2. L’ordine era strutturato in modo centralizzato: unico capitolo e ministro generale
3. L’obbedienza, molto rigorosa, era vissuta come rifiuto del proprio egoismo; l’obbedienza
massima (a Dio) consisteva nell’andare a subire il martirio tra i saraceni
Nel 1230 Gregorio IX concede l’uso (non la proprietà) di beni all’ordine francescano; alcuni gruppi
però non accettano la soluzione e si ribellano, fino a prendere una deriva radicale, tentando di dare
un fondamento teologico alla povertà, come unica forma possibile di vita cristiana nella “nuova
età”, secondo la loro interpretazione delle teorie di Gioachino da Fiore: per loro il profeta
“angelico” (serafico) è san Francesco e la nuova età della Chiesa consiste nell’assoluta povertà.
I francescani diventano l’ordine più importante per la cura delle anime.
Domenico 1170-1221
È un canonico spagnolo, ma a Tolosa conosce i catari e decide di darsi alla predicazione per
contrastare l’eresia; concepisce un nuovo modo di evangelizzarli: usare le loro stesse armi,
attraverso una predicazione itinerante (due a due) e vivendo in povertà radicale, soltanto di
elemosine. Nasce così un ordine di sacerdoti, però non alle dipendenze di un vescovo; Innocenzo III
chiede che accettino la regola agostiniana; Onorio III approva ufficialmente il nuovo ordine.
La predicazione comporta lo studio, e molti domenicani studiano, specie a Parigi.
3.
Figure fondamentali della teologia scolastica
Per comprendere l’evoluzione della teologia scolastica, dobbiamo tornare all’XI secolo.
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Anselmo d’Aosta (di Canterbury o di Bec) 1034-1109, scrive richiamandosi ad Agostino; nella sua
teologia emergono due tendenze che anticipano l’epoca seguente.
Da un lato la sua teologia è frutto di preghiera contemplativa e ad essa è funzionale, secondo la
grande tradizione della “teologia monastica”. Dall’altro è frutto della speculazione razionale, anche
se in un contesto orante, di adorazione: la sua massima fides quaerens intellectum si rifà a
sant’Agostino. Anselmo elabora:
− l’argomento ontologico per provare l’esistenza di Dio: Dio è id quo maius cogitari nequit (ciò di
cui non si può pensare nulla di più grande): se il concetto di Dio come massima perfezione è
presente nella mente umana, necessariamente esiste; contro l’obiezione di Gaunilone, che gli
contesta che l’idea concettuale di perfezione non ne implica l’esistenza reale (posso pensare a
un’isola perfetta che non esiste), Anselmo precisa che il concetto di Dio, a differenza di tutti gli
altri, implica in sé necessariamente l’essere.
− la sistemazione della teologia della redenzione, secondo categorie di pensiero tipicamente
medievali (nell’opera Cur Deus homo?): per riparare l’offesa del peccato che è “infinita” perché
fatta a Dio, è necessario un sacrificio di valore infinito, impossibile per l’uomo, ma realizzato da
Gesù, Dio fatto uomo; la giustizia di Dio trova la sua soddisfazione nel sacrificio di Cristo.
Termini “offesa”, “onore”, “giustizia”, “soddisfazione”, non vanno capiti in un’ottica moderna,
soggettivista, quasi che Dio si offendesse o fosse soddisfatto per la morte del Figlio, ma nel
contesto della società medievale che poneva oggettivamente questi concetti alla base di tutto
l’edificio sociale.
Abelardo (+1142) allievo del precedente; autore tra l’altro di un’opera dal titolo Sic et non: le
contraddizioni si risolvono attraverso la tecnica delle distinzioni con l’aiuto della logica e in
particolare del sillogismo, quindi attraverso un’analisi squisitamente razionale.
Pietro Lombardo (+ 1160) allievo del precedente. Sua un’opera fondamentale per lo sviluppo della
scolastica: Le sentenze. È una raccolta di sentenze di padri, specie di Agostino, decontestualizzate e
riorganizzate secondo un ordine sistematico; diventa la base dello studio della teologia, il manuale
fondamentale di cui è obbligatorio fare il commento per diventare maestri.
Nel XIII secolo per gli studenti delle università si scrivono le grandi Summae di teologia
(compendi sistematici); molti commentari della Scrittura di natura speculativa; inoltre si
introducono e si moltiplicano Quaestiones disputatae e Quaestiones quodlibetales, ovvero libere
discussioni su un argomento dato, guidate da uno o più maestri.
In teologia la novità è l’introduzione della metafisica, della fisica e della morale aristotelica,
soprattutto attraverso la mediazione degli studiosi arabi ed ebrei (Avicenna, Averroè, Mosè
Maimonide); in questi autori non cristiani emerge un’interpretazione di tipo panteista di un filosofo
già di per sé pagano, ma l’analisi degli occidentali lo libererà da queste incrostazioni, sebbene tra
molte polemiche. I domenicani Alberto Magno (1206-1280) e soprattutto il suo allievo Tommaso
d’Aquino (1226-1274) riusciranno in questa operazione. Aristotele fornisce loro una visione
unitaria e coerente di tutta la realtà.
Tommaso da ragazzo entra tra i monaci benedettini di Montecassino; inviato a Napoli per studiare,
conosce il nuovo ordine di san Domenico e decide di diventare domenicano, nonostante
l’opposizione della famiglia.
Pur se di impostazione aristotelica, riesce a integrare perfettamente nel suo sistema le dottrine
agostiniane su Dio e sulla grazia, restando un difensore della libertà dell’uomo. Rimane sempre viva
in lui, nonostante la grande sistemazione razionale, il senso dell’inconoscibilità di Dio e
dell’inadeguatezza degli sforzi umani; in sostanza nella sua opera si coniugano perfettamente le
esigenze spirituali della teologia monastica e le istanze razionali della teologia scolastica.
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Al suo tempo è considerato un innovatore e persino un sovversivo; d’altronde controbatte le
deviazioni dei filosofi aristotelici arabi e chi si ispirava a loro (come Sigieri di Brabante); confuta
l’eresia manichea (i catari). Era grande uomo di preghiera e di devozione all’Eucaristia; compone
l’ufficio liturgico per la nuova festa del Corpus Domini.
Da parte francescana, emerge la grande figura di filosofo e teologo di Bonaventura da Bagnoregio
(1217 o 21-1274), un pensatore di impostazione tradizionale platonica.
A 36 anni diventa generale dell’ordine, sostituendo Giovanni da Parma, destituito per le sue idee
radicali sulla povertà derivate della lettura di Gioacchino da Fiore. Ricompone con sapienza la
spaccatura che si era creata nell’ordine; scrive una vita “autorizzata” di san Francesco, per escludere
interpretazioni tendenziose del grande santo; tra l’altro riesce a integrare in una sintesi coerente e
ortodossa le dottrine di Gioacchino da Fiore che tanto avevano scaldato gli animi dei francescani.
Per Bonaventura la teologia rimane al servizio dell’edificazione e della preghiera.
4. I catari (XII-XIII sec.)
Evervino di Steinfeld, premonstratense, scrive a Bernardo nel 1143 segnalando il caso di due
gruppi ereticali incontrati a Colonia; è la prima segnalazione conosciuta della comparsa dei catari:
• uno è di carattere “antiistituzionale”, del tipo di quelli di Pietro di Bruys o del monaco Enrico:
segnala che si era riusciti a farli rientrare nella Chiesa;
• un altro invece si presenta come una Chiesa alternativa e organizzata; dicono di essere la vera
Chiesa, mentre i cattolici sarebbero contaminati con il mondo; praticano povertà e astinenza; il
popolo è sfuggito al controllo delle autorità e ne ha bruciati alcuni, mentre costoro andavano
lietamente a ciò che consideravano il desiderato martirio.
Gli ideali della riforma della Chiesa si erano diffusi nel secolo XI a tutti i livelli, e avevano
coinvolto monaci, imperatori, papi, vescovi, popolo, ognuno con le sue istanze. Si era data molta
importanza al distacco dal mondo, al rifiuto della violenza e della prepotenza, alla purezza dei
costumi del clero, alla fedeltà al vangelo.
La condanna del mondo, della ricchezza e della corruzione dei costumi arrivava certamente non di
rado a eccessi, che finivano per favorire idee di tipo dualistico: il mondo, la sessualità, il cibo (la
carne), la materia stessa potevano essere identificati con il male.
La riforma d’altronde non trova uguale accoglienza in tutti i Paesi, ma in molte diocesi o intere
regioni incontra le resistenze di vescovi, clero e di parte della società ricca; proprio lì si manifestano
con maggior forza problemi e divisioni (Nord Italia, sud della Francia e valle del Reno).
Nei casi in cui il desiderio di riforma prende di mira non le devianze, ma la Chiesa stessa, si
registrano due fenomeni, esattamente quelli segnalati da Evervino di Steinfeld:
- un’opposizione spontanea non organizzata, che condanna o svilisce la gerarchia e i sacramenti
- un’opposizione organizzata, mimetica e alternativa, che costituisce un’altra Chiesa
Nel secondo caso si tratta degli inizi della chiesa catara (i puri) o “buoni cristiani” o albigesi (da
Albi, città della Francia meridionale); subiscono fortemente l’influsso di dottrine dualistiche, con
ogni probabilità provenienti dall’oriente.
Se ne propone di solito una discendenza procedendo a ritroso: i Bogomilli (chiesa dualistica
bulgara) – deriverebbero dai thondraci (armeni dualisti, deportati dai bizantini in Tracia, che hanno
generato i bogomilli) – a loro volta dipendenti dai pauliciani (armeni predecessori dei thondraci,
cristiani che assumono molti elementi derivati dall’antico manicheismo e dello zoroastrismo).
L’emigrazione a occidente di molti rappresentanti di queste correnti, spinti dalla pressione dei
bizantini e soprattutto dei turchi Seljuk inizia certamente nell’XI sec.
Come movimento ereticale sono già segnalati e condannati a Tolosa intorno al 1120.
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Nel 1170 è documentato un “concilio” cataro a Tolosa, con la partecipazione di “vescovi”
bogomilli (Niketa), che amministra il “consolamentum” (battesimo cataro per la sola imposizione
delle mani) e istituisce 7 vescovi. Convergono catari dal sud della Francia e dalla Lombardia.
Hanno idee molto simili agli antichi manichei. Professano un dualismo radicale secondo due
versioni fondamentali e molte varianti:
- Satana (il vero creatore) si ribella a Dio e produce un mondo materiale; gli uomini sono una sua
creazione; Dio li libera attraverso l’ascesi, fuggendo il mondo materiale (dualismo relativo)
- Satana, Dio delle tenebre, è un principio opposto e uguale al Dio buono, Dio della luce; lo
inganna apparendo come angelo di luce, fa prigionieri alcuni angeli e li rinchiude nella materia
facendone uomini (dualismo assoluto). La salvezza è liberare gli angeli dalla materia.
I catari hanno una gerarchia (in stile manicheo): auditores, credentes, electi; episcopus e persino un
papa. Gli eletti o perfetti sono i veri catari, gli altri partecipano in diversi gradi alla salvezza.
Spesso in cristologia sono doceti, ma non sempre. Anche la divinità di Cristo non è ammessa da
tutti (è visto come un’entità spirituale inferiore a Dio). La diversità di impostazione del loro
dualismo provoca continui scismi interni, le chiese catare si dividono in diverse sette.
Il battesimo è per imposizione delle mani, in quanto la materia è negativa, anche l’acqua; si chiama
consolamentum; il rito di passaggio da “credente” a “perfetto” è detto melioramentum. Il perfetto si
astiene da ogni contatto sessuale, specialmente da ogni atto generativo; si astiene da tutti i cibi nati
da generazione sessuale (carne, latte…); quando si sente pronto si lascia morire di fame (endura).
Veste abiti neri, va scalzo, conduce una vita fortemente ascetica di distacco e disprezzo del mondo,
in stridente contrasto con certi preti e vescovi che vivono nel lusso.
Uditori e credenti fungono da supporto; praticavano digiuni e astinenza, si astengono da rapporti
fecondi, favoriscono pratiche sessuali infeconde e omosessualità. Il catarismo era un attacco
frontale alla famiglia e alla società dell’epoca.
I catari sono disinteressati alla vita sociale, sciolgono il giuramento di fedeltà, disprezzano i cristiani
come corrotti. Anche quando riescono a coinvolgere parti ampie della popolazione, si presentano
socialmente isolati e disinteressati a ogni socializzazione; considerano il martirio come un premio e
pertanto non sono spaventati dalle reazioni popolari (violente) che non di rado subiscono.
La reazione della Chiesa
Come si legge nella lettera di Evervino, le prime reazioni avvengono a livello popolare e sono
violente, difficili da controllare. La prima reazione ecclesiale è portata avanti dai cistercensi e dai
premonstratensi, che cercano il confronto su base teologica, ma con scarso successo. I catari si
considerano moralmente superiori, fedeli alla Chiesa primitiva e si disinteressano della teologia.
All’inizio del XIII sec. si strutturano due tipi di reazioni, avviate da Innocenzo III, una di tipo
militare e un’altra fondata sulla predicazione.
I catari, oltre a mettere in crisi il sistema feudale e comunale, grazie alla loro struttura piramidale
non disdegnano il ricorso alla violenza: ciò che non è permesso agli eletti possono farlo gli altri. Nel
1208 viene assassinato un legato pontificio nel sud della Francia, ad Albi (un cistercense);
Innocenzo III bandisce allora la crociata contro gli albigesi (i catari del sud della Francia);
rispondono i cavalieri del nord della Francia; i catari sono guidati dal conte Raimondo di Tolosa.
Nella guerra convergono molte ragioni politiche, tra cui specialmente l’interesse del re di Francia di
sottomettere regioni del sud che sfuggivano al suo controllo. Siamo all’interno del processo che
porterà gradualmente all’affermazione delle monarchie nazionali.
Al IV Concilio Lateranense (1215), Innocenzo III si sforza di regolare sia le misure repressive, sia
le pretese del re e dei nobili francesi; in particolare rifiuta di appoggiare la pratica delle esecuzioni
capitali (numerosi roghi di eretici erano stati fatti dai “crociati”).
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La guerra vera e propria si protrae per vent’anni (1209-1229), alla fine Raimondo VII di Tolosa si
sottomette al papa e al re di Francia. Scontri, roghi e saccheggi però continuano fino al 1244.
La reazione militare riguarda il sud della Francia; nel resto d’Europa, e specialmente in Italia, i
catari continuano a operare grazie al loro basso profilo politico: nei comuni in particolare non
costituiscono una minaccia per i ceti più importanti, si disinteressano del governo e quindi vengono
lasciati in pace dalle autorità comunali; solo la predicazione li raggiunge.
La predicazione si rivela col tempo un metodo molto più efficace. Innocenzo III capisce
l’importanza di accogliere le istanze dei laici riformatori espresse dai numerosi movimenti
pauperistici del suo tempo; accoglie gli umiliati, riconosce sia i domenicani che i francescani.
I domenicani nascono dall’intuizione di san Domenico di predicare ai catari usando le loro stesse
armi piuttosto che ragionamenti teologici: quindi non monaci, ma fratelli che vivono poveramente,
solo di elemosina, moralmente ineccepibili, ma fedeli alla Chiesa. La predicazione dei domenicani
si mostrerà decisiva.
Anche i francescani, che non erano nati per contrastare i catari, nel nord Italia e poi in Francia con il
loro stile di vita riescono a convertire intere città cadute sotto l’influenza catara.
In particolare dopo il 1230 nel nord Italia inizia il cosiddetto “movimento dell’alleluia”, culminato
nell’anno dell’alleluia (1233), un movimento di rinnovamento spirituale e sociale portato avanti da
alcuni predicatori laici e dagli ordini mendicanti; dove arrivavano i predicatori, si tengono predice
due o tre volte al giorno, digiuni, preghiere, si predica contro la violenza. A margine non mancarono
episodi violenti contro i catari.
5. Inquisizione medievale
Già con la decretale Ad abolendam, di Lucio III (1184) si faceva obbligo ai vescovi di visitare
almeno due volte l’anno la diocesi per individuare eventuali eretici da segnalare alle autorità civili
per le sanzioni del caso (inquisizione vescovile); il provvedimento ebbe scarsa efficacia per le
protezioni che godevano i catari.
Al tramonto del catarismo, si pensò necessario istituire uno strumento di controllo, sia per
contrastare quanto restava dell’eresia, sia per sottrarre i presunti eretici alle intemperanze popolari,
istituendo il tribunale dell’inquisizione pontificia (detta “inquisizione medievale”, da distinguere
dalle successive inquisizione “spagnola” e inquisizione “romana”).
Il tribunale è regolato da una forma giuridica rigorosa e affidato ai frati predicatori (i domenicani);
da notare che molti domenicani sono catari convertiti, specie tra gli inquisitori. L’esempio più
famoso è quello di san Pietro da Verona, inquisitore ucciso da sicari ingaggiati dai catari nel 1252.
Gregorio IX nel 1231 stabilisce giudici di nomina papale che possono anche deporre vescovi
inefficienti; nel 1235 il concilio di Narbona stabilisce che le condanne devono avvenire solo dietro
prove irrefutabili, secondo il principio esplicito che è meglio assolvere un colpevole che condannare
un innocente; le pene sono comminate dall’istituzione secolare; la pena di morte (il rogo) e la
tortura (i tratti di corda) vengono giustificate sulla base del diritto romano, ormai ripristinato.
La tortura era stata più volte esplicitamente condannata dalla Chiesa, in particolare da Nicola I
nell’886 (per il quale ogni confessione deve essere spontanea) e dal decreto di Graziano (1140), che
raccoglieva leggi canoniche precedenti. La riscoperta del diritto romano l’aveva rimessa in auge.
La rinascita del diritto romano, opera soprattutto delle università (Bologna) se da un lato aveva
favorito lo strutturarsi più efficiente sia del papato, sia delle amministrazioni pubbliche, dall’altro
aveva riacceso antiche velleità imperiali (Federico Barbarossa si rifaceva ai giuristi bolognesi, che
sulla base della legislazione giustinianea attribuivano all’imperatore il controllo sulla Chiesa), e
aveva fatto rientrare nel quadro giuridico istituzioni come il rogo e la tortura, che erano legittime
nella legislazione romana; l’autorità del diritto romano era d’altra parte indiscutibile. Anche una
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nuova mentalità e una legislazione su base individualistica e non più familiare comincia a
diffondersi, che insieme alla rinascita dell’economia monetaria, logorerà le istituzioni medievali
favorendo la nascita degli Stati nazionali centralizzati.
Per quello che riguarda la famigerata pratica della tortura, alcune osservazioni:
- La confessione estorta con la tortura non aveva validità se non veniva confermata senza tortura.
- L’unica tortura ammessa erano i “tratti di corda”. Le illustrazioni di incredibili e sadiche torture
cui siamo abituati e che associamo all’inquisizione, sono frutto della propaganda protestante del
XVI sec. o a quella anticlericale del sec. XIX.
- D’altronde l’imputato torturato, che subiva i tratti di corda, correva serio il rischio di rimanere
storpio tutta la vita.
- Doveva essere presente un medico all’interrogatorio perché l’accusato non rischiasse di morire
sotto tortura.
- Di fatto la maggior parte degli inquisitori non credeva all’efficacia della tortura e non la
applicava mai, tanto che alcuni manuali per inquisitori cercano di raccomandarne l’uso.
I roghi di eretici in esecuzione delle condanne dell’inquisizione medievale erano piuttosto rari; in
ben precise circostanze ci sono stati eccessi, ma non hanno niente a che fare con le esecuzioni di
massa o le pene capitali inflitte per i reati comuni dall’autorità civile; d’altra parte però la loro
stessa possibilità legittimava l’utilizzo esemplare della pena di morte.
Per fare un confronto sull’applicazione della pena di morte nella storia, nel 1794, durante la
Rivoluzione Francese (massima espressione del “secolo dei lumi”) in un solo mese furono
decapitate 1300 perone, un numero di vittime che supera di molto quelle della plurisecolare storia
dell’inquisizione; per non parlare degli eccidi del sec. XX…
Nel campo della procedura penale il processo inquisitoriale medievale ha costituito un progresso
giuridico fondamentale, introducendo una procedura di struttura garantista, basato sulla ricerca delle
prove a carico (agli accusatori spetta l’onere della prova), metodo detto appunto “inquisitorio”.
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XIII. IL TRAMONTO DEL MEDIOEVO - VICENDE DEI SEC. XIV-XV
Nei secolo XIV e XV in occidente si indeboliscono i fondamenti della civiltà medievale e si
pongono le premesse per un nuovo tipo di società. Alcuni cambiamenti caratterizzano la transizione
verso un nuovo tipo di organizzazione e di cultura:
- La ricezione del diritto romano con il suo carattere centralizzatore e individualista
- La nascita e l’imporsi degli Stati nazionali, a cominciare dalla Francia
- Lo sviluppo dell’economia monetaria e di una sociale basata sulla finanza (i banchieri)
- Guerre interminabili, prima tra Francia e Inghilterra (guerra dei cento anni) e poi in Inghilterra
(guerra delle due rose) distruggono il sistema signorile e decimano generazioni di feudatari
- La peste nera del 1347-1353, che stermina almeno un terzo della popolazione europea
- Il pensiero averroista (già recepito da Sigieri di Brabante) di tendenza panteistica e l’emergere
del volontarismo (prima in parte in Duns Scoto, poi soprattutto Occam) mettono in crisi la
concezione tradizionale di armonia tra fede e ragione, filosofia e teologia
- Lo sviluppo e la radicalizzazione delle tesi di Gioacchino da Fiore genera numerosi gruppi
dissidenti con idee estreme, come il movimento dei “Fratelli del libero Spirito”, secondo i quali
dopo un processo di purificazione nella povertà si diventa impeccabili, qualunque atto dunque
per loro diventa lecito; sono condannati da Clemente V.
1. Lo scontro tra Bonifacio VIII e Filippo il Bello
Il collegio cardinalizio è diviso in partiti, il che rende difficile l’elezione papale. In occasione
dell’elezione di Gregorio X, il conclave, tenuto a Viterbo, dura quasi tre anni (1006 giorni, dal 1268
al 1271), tanto che i viterbesi segregano i cardinali (per la prima volta cum clave: “chiusi a chiave”)
riducono il vitto e scoperchiano il tetto; la stessa situazione si ripeterà nel 1292, quando emergono
di nuovo le famiglie romane, questa volta i Colonna e gli Orsini; per varie ragioni non riescono a
eleggere un papa per due anni; nel 1294 si accordano per un santo asceta, Pietro da Morrone, che
prende il nome di Celestino V, già però molto anziano e assolutamente non in grado di governare la
difficile situazione; si dimette dopo 5 mesi. Bisogna però notare il tentativo da parte dei cardinali di
dare una soluzione schiettamente religiosa alla crisi, secondo linee di pensiero legate a Gioacchino
da Fiore: avevano scelto un “papa angelicus”; un tentativo però fallito.
Viene quindi eletto il canonista Bonifacio VIII della famiglia dei Caetani (1294-1303). Si scatena
però un violento contrasto con la famiglia dei Colonna, suoi avversari, molti dei quali devono
fuggire in Francia. Per Bonifacio però il conflitto più difficile sarà quello con Filippo IV detto il
Bello, re di Francia, un conflitto disastroso dal quale usciranno di fatto sconfitti il papa e la sua tesi
del dominio del papato su tutta la cristianità.
Filippo IV (1285-1314) è un agnostico senza scrupoli; ha al suo servizio un gruppo di giuristi
convinti assertori della tesi giustinianea della dipendenza della Chiesa dal re; non hanno difficoltà a
fare opera di falsificazione a sostegno della loro posizione. Un caso particolarmente increscioso
provocato da Filippo è la condanna dell’ordine dei templari, a cui vengono confiscati tutti i beni,
incamerati dal re, mentre i capi sono condannati a morte sulla base di false accuse di eresia.
Lo scontro tra il re e il papa inizia per motivi economici: Francia e Inghilterra sono in conflitto nella
Guyenne (Aquitania), divenuta inglese per via di matrimoni dal 1188; entrambe le parti impongono
la tassa al clero per finanziare la guerra, ma il clero si appella al papa, che la proibisce. Gli inglesi
cedono, non così Filippo, che vieta di far uscire denaro dalla Francia, appoggiato dai suoi giuristi e
da molti banchieri e nuovi ricchi. Il successivo ordine papale che impone la pace tra le due fazioni
viene respinto come illegittimo dai giuristi francesi. Alla fine è il papa a cedere.
Anche per tentare di ricostruire la pace, Bonifacio proclama il primo Giubileo (1300) che mobilita
un grande concorso di popolo a Roma.
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Continuano però i contrasti; nel 1301 il papa emette la bolla Ausculta fili, che preannuncia la
scomunica e lo scioglimento del giuramento di fedeltà al re, se questi non si presenterà a Roma per
essere giudicato, ma Filippo fa bruciare l’originale e la bolla viene falsificata dai giuristi francesi;
due assemblee di maggiorenti francesi (degli Stati e dei Notabili) approvano l’operato del re.
Bonifacio risponde con la bolla Unam sanctam (1303), che ribadisce la supremazia del papa sui
governanti terreni (enuncia la famosa teoria la teoria delle “due spade”); ma il giorno prima della
data in cui doveva entrare in vigore la scomunica, il papa ad Anagni viene catturato da mercenari
francesi guidati dal cancelliere Nogaret e da Sciarra Colonna; in quella circostanza si verifica il
famoso episodio dello schiaffo al papa; Bonifacio, catturato, dovrebbe essere portato in Francia, ma
viene liberato da milizie locali accorse in sua difesa; morirà a Roma dopo pochi mesi.
2. Il papato avignonese (1309-1377)
Dopo il breve pontificato di Benedetto XI (1303-1304), diventa papa il francese Clemente V (13051314); Filippo lo induce prima a farsi incoronare a Lione, poi a trasferirsi insieme alla curia romana
ad Avignone (1309). In quel periodo i cardinali francesi occupano ormai i due terzi del concistoro e
possono controllare agevolmente le elezioni papali.
Clemente V si oppone alla condanna postuma di Bonifacio VIII, invano pretesa da Filippo, e al
Concilio di Vienne (1312) lo fa dichiarare innocente dalle pesanti accuse mossegli dal re. Non si
oppone alla soppressione dei templari, ma non conferma l’assurda condanna per eresia; giustifica lo
scioglimento perché è venuto meno il loro compito. Il concilio condanna anche le tesi del defunto
Pietro di Giovanni Olivi (1248-1298), francescano “spirituale”, anche se in realtà alieno da
tendenze ereticali o da simpatie per le tesi di Gioacchino da Fiore.
Roma, abbandonata dai papi, viene dilaniata dalle fazioni; Enrico VII di Lussemburgo riesce a
entrare in città sconfiggendo gli Orsini; si fa incoronare imperatore per mandato papale (1312), ma
muore poco dopo, nel 1213. Il successore, Ludovico il Bavaro, viene incoronato contro la volontà
del papa Giovanni XXII dal “popolo romano”, cioè in realtà dalla famiglia dei Colonna.
Cola di Rienzo (1313-1354) tenta di mettersi a capo della città, anche con l’appoggio del papa,
ottenuto con un viaggio ad Avignone; nel 1347 viene eletto Tribuno della “sacra repubblica
romana”, ma dopo un tentativo di riorganizzare Roma secondo un programma molto ambizioso,
ostacolato dalle famiglie nobili, viene cacciato dopo pochi mesi; ritornerà nel 1354 per instaurare un
regime di terrore contro i nobili romani, ma sarà ucciso durante una sommossa popolare.
Il cardinale Egidio Albornoz (+1367) intanto riesce a restituire al papa (residente in Francia) il
controllo degli Stati Pontifici, creando i presupposti per il suo ritorno.
Con papa Giovanni XXII (1316-1334) scoppia più violenta la controversia sul rispetto della
povertà nell’ordine francescano. La corrente rigorista (i “fraticelli”) rifiuta la soluzione secondo la
quale i beni dell’ordine appartengono alla Santa Sede, l’uso ai frati; non vogliono possedere alcun
bene, anche solo di fatto. La loro tesi è che Cristo e gli Apostoli non avessero posseduto alcun bene,
quindi un cristiano vero non può possedere nulla, una posizione che Giovanni XXII giudica eretica.
Un piccolo gruppo di frati si ribella, accusando il papa di eresia; alcuni importanti personaggi
dell’ordine si rifugiano presso Ludovico il Bavaro, avversario del papa. Tra di essi, Guglielmo di
Occam (+1349). L’imperatore li appoggia con l’intento di imporre al papa di occuparsi solo di
questioni spirituali, secondo la linea tradizionale dei sovrani tedeschi.
In questi frangenti, nel 1338 a Rhens i principi elettori tedeschi dichiarano che l’elezione del re di
Germania non ha bisogno della conferma dal papa, svincolando così la nazione dal controllo papale.
Guglielmo di Occam (Ockham), francescano inglese filosofo e teologo (1300-1349).
Nel Defensor pacis sostiene il potere assoluto dello Stato anche sulle questioni ecclesiastiche;
considera d’altronde il potere divino dei vescovi allo stesso livello di quello del papa, negandone
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così il primato; ritiene quindi che la suprema istanza della Chiesa sia il Concilio generale, per altro
convocato non dal papa, ma dal potere temporale (dal principe).
Dal punto di vista teologico, Occam radicalizza alcune tesi di Giovanni Duns Scoto (1266-1308 “Il
dottor sottile”), maestro a Parigi nel 1305 e poi a Colonia; Occam rifiuta ogni giustificazione
razionale della fede; con la sua teoria della conoscenza rende la metafisica impossibile; Dio è quindi
sempre il totalmente altro, dal punto di vista dell’essere e della ragione, nessuna armonia perciò è
realizzabile tra fede e scienza, non è possibile alcuna conoscenza naturale di Dio.
− Sviluppa alquanto la logica formale, ma trasforma la teologia in filosofia mutando il linguaggio
teologico da analogico (come in Tommaso) a univoco.
− Per Occam è conoscibile solo l’individuale, ciò che veramente esiste è il singolo ente; gli
“universali” perciò non sono veri concetti, con un contenuto reale, ma solo astrazioni senza
alcuna corrispondenza con gli enti particolari, gli unici ad avere esistenza. Per questo è
considerato il principale rappresentante del “nominalismo”, secondo il quale i concetti
universali sono solo nomi, pure convenzioni linguistiche, non esprimendo alcunché di reale.
− La Chiesa deve occuparsi solo di questioni spirituali, interiori, perciò deve necessariamente
essere povera;
− l’autorità ecclesiastica deriva da Dio attraverso il popolo e non dal papa;
− la giustificazione è l’accettazione da parte di Dio dell’uomo peccatore in quanto tale, senza che
sia possibile in lui alcuna reale trasformazione;
− Dio è libertà assoluta, in lui ogni possibilità, anche la più assurda, si potrebbe realizzare;
avrebbe potuto creare il mondo in modo del tutto diverso da come lo conosciamo, avrebbe
potuto formulare i comandamenti in forma contraria a come effettivamente sono; non esiste
dunque alcuna razionalità assoluta;
− La rivelazione dipende dall’arbitrio di Dio, che incarnandosi avrebbe potuto prendere qualunque
natura, persino quella di un animale.
Nel 1365 l’imperatore Carlo IV di Boemia, preoccupato per l’influenza francese sui papi, si reca
dal papa Urbano V (1362-1370, beato) per chiederne il ritorno a Roma; il papa riceveva anche le
suppliche in tal senso di Caterina da Siena (1347-1380) e Brigida di Svezia, che dal 1350 si era
trasferita a Roma. Il papa rientra a Roma, accolto trionfalmente, nel 1367. Viene a incontrarlo a
Roma anche l’imperatore di Bisanzio, Giovanni V Paleologo, per offrire l’unione e chiedere aiuto
contro i turchi. Ma alla morte dell’Albornoz i tumulti obbligano il papa a tornarsene ad Avignone.
Il successore, l’ultimo papa francese, Gregorio XI (1370-78), torna a Roma nel 1377 e si stabilisce
definitivamente in Vaticano, che da quel momento diventa la dimora pontificia, abbandonando il
palazzo lateranense.
Ad Avignone regnarono 7 papi, tutti francesi, sottomessi alla corte di Francia. Nella curia, molto
meno tra i papi, regnava spudoratamente la simonia; la pratica del nepotismo era considerata
normale e si radicò profondamente nell’istituzione. Nonostante che almeno quattro dei papi
avignonesi fossero veri uomini di fede, il prestigio del papato subì un duro colpo. I mezzi come la
scomunica e l’interdetto perdettero ogni efficacia; specie quest’ultimo strumento si rivelò dannoso,
allontanando molti dalla pratica dei sacramenti.
La crisi avignonese e il successivo scisma d’occidente provocarono una serie di reazioni che
reclamavano ancora una volta, come nel recente passato, la riforma della Chiesa.
Il concetto di “riforma” però diventa sempre più ambiguo: riforma della Chiesa o contro la Chiesa?
Insieme ad autentiche istanze di riforma attecchivano idee ereticali, sostenute non più solo, come in
passato, da predicatori e religiosi, ma anche da eminenti professori e dottori nelle università, nei
centri di studi ormai diffusi in tutta Europa, spesso con l’appoggio del potere politico.
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Anche per questo le reazioni alle eresie furono in questo periodo piuttosto blande e queste teorie
poterono radicarsi in modo quasi incontrastato anche tra il clero e i vescovi; nel secolo XIV e XV
numerosi predicatori e professori diffondono nozioni in contrasto con il magistero della Chiesa da
sedi istituzionali, contro la gerarchia, i sacramenti e in particolare l’Eucaristia; si pensi per esempio
a Occam. I casi più famosi di eresia di questo periodo sono quelli di Wycliff e di Huss, proprio
perché, contrariamente ad altri casi, furono perseguiti; Huss addirittura fu condannato al rogo.
John Wycliff (+1384): predicatore e professore inglese; gode per tutta la vita di molti appoggi
politici ed ecclesiastici. Le tesi che diffonde, molte di derivazione occamiana, sono radicali:
− la Chiesa per sua natura è una realtà interiore e invisibile; la Chiesa come struttura deve essere
regolata e giudicata dallo Stato.
− Il destino degli uomini è fissato dalla predestinazione. Quindi sono inutili alla salvezza il
monachesimo, il celibato, le indulgenze e la confessione.
− La Bibbia è l’unica fonte della fede.
− Critica il concetto di sacramento e in particolare la transustanziazione; il Corpo e il Sangue di
Cristo sono presenti solo spiritualmente o simbolicamente.
− Le preghiere della Chiesa non possono influenzare la sorte dell’anima nell’aldilà.
− Sono assurdi il culto delle immagini e quello delle reliquie.
− Il papato è un’istituzione superflua, opera dell’anticristo.
− Ogni tassa versata alla Chiesa è da considerarsi simonia.
Le teorie sono condannate dal papa nel 1377, ma l’università di Oxford lo assolve; nel 1382 viene
condannato dalla chiesa inglese e anche Oxford deve piegarsi, ma in realtà Wycliff non viene mai
disturbato, muore nel suo letto in comunione formale con la Chiesa e ottiene sepoltura ecclesiastica.
Il Concilio di Costanza però ne condannerà le tesi; le sue ossa saranno esumate e bruciate nel 1428.
I seguaci inglesi di Wycliff sono conosciuti con il nome di Lollardi.
3. Lo scisma d’occidente (1378-1417)
Il ritorno del papa a Roma provoca presto un grave problema. Dopo tanti pontefici francesi, viene
eletto un papa italiano, Urbano VI (1378-1389), deciso assertore della riforma; dopo pochi mesi
però il nuovo papa si scontra con la resistenza dei cardinali francesi (che costituivano 2/3 del
concistoro); costoro per liberarsi del papa dichiarano nulla la sua elezione per le minacce che
avrebbero subito dal popolo romano in occasione dell’elezione, ed eleggono l’antipapa Clemente
VII (1378-1394) che se ne va ad Avignone. Inizia lo scisma d’occidente (1378). Alla morte dei papi
le due fazioni continuano a eleggere i rispettivi successori, perpetuando lo scisma.
La gravità dello scisma dipende dal fatto che non è opera di un imperatore o di un re, ma dei
cardinali, divisi per “nazione”; la cristianità e la Chiesa in occidente si divide in due obbedienze,
secondo criteri più politici che religiosi. Regna in quel periodo la più assoluta incertezza su chi sia il
vero papa, a tutti i livelli: san Vincenzo Ferrer, grande predicatore spagnolo, sta con l’avignonese,
santa Caterina da Siena con l’italiano, tutti e due sono domenicani. La divisione non riguarda solo le
nazioni, ma anche gli ordini religiosi, le congregazioni, persino le famiglie.
La Sorbona all’inizio appoggia il papa romano, ma poi per le pressioni del re di Francia passa a
sostenere l’avignonese. All’università di Parigi si elaborano tre proposte (viae) per superare la crisi:
rinuncia spontanea dei due papi, una discussione tra i due papi, un concilio per eleggere un nuovo
papa. Le prime due proposte risultano impraticabili, resta la terza.
Di fronte all’incertezza, si vanno affermando le teorie conciliariste, già tratteggiate da Marsilio da
Padova e soprattutto da Occam, molto discusse a Parigi: l’idea emergente è la superiorità del
concilio sul papa.
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I due partiti di cardinali (romano e avignonese) si riuniscono a Livorno e decidono di convocare un
concilio a Pisa, per il 1409. Il concilio depone i due papi regnanti (il papa Gregorio XII romano e
l’antipapa Benedetto XIII, che è il giurista Pietro de Luna, avignonese) ed elegge il greco
Alessandro V, morto però di lì a poco, a cui subentra Giovanni XXIII, un abile politico. Ma i due
papi deposti non accettano la soluzione e così si hanno tre papi con tre obbedienze: romana,
avignonese, pisana.
Il re tedesco Sigismondo di Lussemburgo, a cui Giovanni XXIII aveva chiesto aiuto per risolvere
la crisi, si adopera per la convocazione di un nuovo Concilio, che viene convocato a Costanza
1414-1418) sia da Giovanni, che era sicuro di essere confermato, sia dall’imperatore. Il concilio
viene organizzato su base “nazionale”: si vota per nazione (germanica, gallica, anglica, italica e alla
fine ispanica, dopo la deposizione di Benedetto XIII); per nazione si intende il gruppo dei vescovi e
dei loro numerosi collaboratori (professori, religiosi e altri).
Il concilio si riunisce per tre causae: unitatis (la questione dei tre papi), fidei (gli errori di Huss) e
reformationis (la questione della riforma).
Giovanni XXIII e Benedetto XIII (pisano e avignonese) vengono deposti di autorità: Giovanni cerca
di fuggire prima ma viene catturato, Benedetto resiste ma perde credibilità fra i suoi sostenitori per
il suo atteggiamento; Gregorio XII (il legittimo papa romano) accetta di dimettersi per favorire la
pace, però con la condizione che il Concilio accetti di essere convocato da lui stesso, da un’apposita
bolla; il papa aveva 90 anni. La sua proposta è accettata e la bolla papale rende inequivocabilmente
legittimo il concilio.
L’11 novembre del 1417 il Concilio elegge papa il cardinale Ottone Colonna, con il nome di
Martino V (1417-1431).
Il concilio alla quinta seduta aveva approvato la teoria conciliarista, secondo la quale il Concilio è
superiore al papa, in quanto riceverebbe il suo potere direttamente da Dio; tuttavia non si esprime in
termini dogmatici, ma disciplinari: si riferisce alla situazione di scisma concreto a cui deve porre
rimedio, perciò precisa che in questi casi anche il papa deve obbedienza al concilio; papa Martino
V, eletto a Costanza, rigetterà esplicitamente la teoria conciliare vietando l’appello al Concilio
contro il papa legittimo regnante.
Il concilio, nel periodo vacante dominato dai conciliaristi, aveva anche processato Jan Huss,
condannandolo come eretico e facendolo bruciare dal braccio secolare (1415). I conciliaristi, che
volevano affermare l’assoluta competenza del concilio in materia di fede, si dimostrarono più
irremovibili di Huss.
Jan Huss (1369-1415) è un boemo, professore e predicatore a Praga. Sostanzialmente seguiva le
dottrine di Wycliff, di cui dovette consegnare gli scritti nel 1409. Nell’università era in lotta con i
teologi tedeschi, tanto che l’abbandonarono alla sua sorte a Costanza nel 1415.
La vicenda di Huss è in effetti pervasa dal nascente nazionalismo boemo, di cui era un deciso
assertore, in contrapposizione all’egemonia germanica; tra l’altro Huss stabilisce i fondamenti della
grammatica della lingua ceca, per aiutare la cultura boema a emanciparsi.
Dal punto di vista teologico, si differenzia da Wycliff perché difende la sostanza della dottrina
cattolica sui sacramenti; dal punto di vista ecclesiologico però ne accoglie diversi errori: il papa è
superfluo, il suo valore dipende dalla santità personale, principio che vale anche per preti e vescovi;
in pratica nega l’agostiniano ex opere operato. È interessante notare però che era molto meno
conciliarista di coloro che lo condannarono: non credeva alla supremazia del concilio sul papa.
Come predicatore caldeggiava la riforma, ma le sue dottrine preoccuparono il vescovo che si rivolse
al papa (pisano) Alessandro V, che gli impose di ritrattare gli errori e ne limitò le facoltà di
predicazione; Huss si appellò al successore, Giovanni XXIII. Ne rifiutò però la convocazione e
continuò a predicare, anche contro il papa.
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Sigismondo, che aspirava alla corona di Boemia, invitò Huss a Costanza nel 1414 per dirimere le
controversie; Huss, convinto delle proprie ragioni, si recò a Costanza; interrogato per tre giorni di
seguito, non cedette, dichiarando di non essere affatto eretico. Il concilio lo condannò al rogo.
I boemi però erano tutti dalla parte di Huss, e si costituirono in chiesa nazionale “hussita”, che
rivendicava, quasi simbolicamente, “il calice ai laici”, ovvero il diritto per tutti di ricevere la
comunione sotto le due specie, una prassi sparita dalla Chiesa da alcuni secoli. Il successivo
Concilio di Basilea e il papa Eugenio IV acconsentiranno a questa richiesta, facendo rientrare quasi
tutti gli hussiti anche dagli errori dottrinali.
Al concilio di Costanza fu approvato un decreto, Frequens, che imponeva la convocazione regolare
del Concili, per rendere possibile la riforma della Chiesa; ma un primo tentativo naufragò per la
scarsissima adesione di vescovi (Pavia 1423).
Il nuovo tentativo di riunire un Concilio fu fatto a Basilea (1431-1437 ), con coda scismatica fino al
1449). Il concilio, che doveva occuparsi di riforma, fece ben poco; infatti, oltre ai vescovi, anche
canonisti e teologi avevano diritto al voto, il che finì per bloccare tutte le iniziative. I vescovi
costituivano meno di un decimo dei votanti.
Intanto dalla Grecia, in grave difficoltà per l’avanzata dei turchi ottomani, l’imperatore Giovanni
VIII chiese al papa Eugenio IV (1431-1447) di sancire l’unione tra le Chiese di oriente e occidente,
sperando così di ottenere un aiuto militare da parte dell’occidente. Il papa accolse la richiesta e
trasferì il concilio a Ferrara e poi a Firenze (1437-1439), città più facilmente raggiungibili per i
greci, ma il concilio si spaccò: restò a Basilea la minoranza conciliarista più estremista, che nominò
un antipapa (Felice V), con scarso seguito, e proseguì le riunioni per parecchi anni sempre a
Basilea.
L’unione del Concilio di Firenze riguardò i greci, gli armeni, i monofisiti (copti e siriaci); il
Concilio emise alcuni decreti dottrinalmente importanti, specie riguardo ai 7 sacramenti. Si trovò un
accordo sul Filioque e sul primato del papa (con la formula: “secondo gli antichi canoni”).
L’unione fu solennemente dichiarata, ma il clero ortodosso si oppose (“preferivano i turchi ai
latini”); d’altronde solo Venezia mandò un aiuto militare all’imperatore. Nel 1453 Costantinopoli
cadde sotto i turchi e Santa Sofia fu trasformata in moschea.
Nel 1438, appoggiandosi alle teorie promosse dal concilio scismatico di Basilea, Carlo VII di
Francia emana la Prammatica sanzione di Bourges, con la quale viene legittimata la tendenza detta
“gallicanesimo”, ovvero la pretesa indipendenza della Chiesa di Francia dal papa, indipendenza dal
punto di vista fiscale, canonico e gerarchico. Nel 1516 la Prammatica sanzione fu di fatto abolita dal
re Francesco I e dal papa Leone X, ma non cessarono le tendenze gallicane nella Chiesa di Francia.
4. Nuove forme di religiosità
a. La mistica tedesca
La teologia di San Tommaso d’Aquino aveva la capacità di unire la razionalità a uno slancio di fede
sincero, dai toni mistici. Gli elementi mistici presenti nel tomismo passano in primo piano presso gli
ordini contemplativi, senza perdere la loro dimensione speculativa, come si riscontra presso le
monache cistercensi del monastero di Helfta, guidato da domenicani, che assorbirono questa
spiritualità: Matilde di Magdeburgo (+1283), Matilde di Hackeborne (+1299) e Gertrude la Grande
(+1302).
Questo tipo di approccio sta anche alla base della mistica tedesca (o renana), sviluppata soprattutto
dai domenicani Eckart (+1328), Taulero (+1361) e Susone (+1366), e vissuta profondamente
soprattutto nei monasteri domenicani femminili, il luogo naturale della predicazione di questi
maestri.
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Principi fondamentali per l’ascesa a Dio della mistica di Eckart:
1. Svuotarsi di sé e di tutte le cose (distacco interiore)
2. Vivere dell’unico bene, che è Dio
3. Considerare la grande nobiltà e dignità concessa da Dio all’anima, luogo di Dio
4. Purezza e inesprimibilità della natura divina
Eckart usa formulazioni complesse, vicine al neoplatonismo, che gli sono valse accuse (ingiuste) di
panteismo. Insiste anche sul fatto che al misticismo interiore va unita la carità pratica.
Di questo periodo è anche l’Imitazione di Cristo, uno scritto anonimo, attribuito per lo più al
monaco tedesco Tommaso da Kempis (1380-1471); l’Imitazione proviene dall’ambiente dei Fratelli
della vita comune.
Altre figure femminili fondamentali per la storia della mistica, ma anche per la teologia,
caratterizzano i secoli XIV e XV, come le tre Caterine: Caterina da Siena (+1380); da Bologna
(+1463) da Genova (+1510); di grande rilevo anche Angela da Foligno (+1309) e Brigida (+1373).
Tra XIV e XV secolo si diffonde la pratica popolare del Rosario, sotto la spinta dei domenicani.
La caratteristica comune della spiritualità in questi tempi è la sua dimensione personale, quasi
privata, mentre la dimensione ecclesiale viene posta in secondo piano. Siamo entrati in un processo
di progressiva affermazione del soggetto su tutte le altre istanze.
b. Movimenti e congregazioni
Molti ordini sono in decadenza, aumenta la ricchezza dei monasteri e i francescani si dividono.
Emerge per reazione la corrente degli Osservanti, cioè dei monasteri che vogliono vivere il loro
carisma secondo le regole primitive. Anche tra i francescani si stabilisce una suddivisione tra
conventuali e osservanti.
In generale si diffonde un clima di attesa di un tempo di svolta. Dal 1260, che segna l’inizio dell’età
dello Spirito, secondo gli interpreti postumi di Gioacchino da Fiore, iniziano le grandi processioni
dei flagellanti in tutta Europa: particolarmente nel 1296, 1334, 1348-49, in connessione con la
peste; dati i frequenti abusi, le processioni furono proibite nel 1349 da Clemente VII e poi di nuovo
nel 1414 dal concilio di Costanza.
La nuova fondazione più importante è quella dei Fratelli della vita comune, che interessa
Germania e nord Europa, iniziata da Geert Groot (+1384), che dà impulso a una pietà più calda e
sentimentale, la cosiddetta Devotio moderna, che acquista molta importanza e coinvolge
personaggi di rilievo, come il cardinale Nicola Cusano.
San Francesco di Paola (+1507) fonda i Minimi, una congregazione fortemente ascetica che si
diffonde rapidamente: all’inizio del ‘500 hanno costituito già 450 fondazioni.
Si mobilitano una quantità di predicatori penitenziali, spesso grandi santi: il domenicano
Vincenzo Ferrer (+1419), che predica in modo particolare contro gli ussiti; il francescano
Bernardino da Siena (+1444) nelle città italiane, diffonde la devozione al Nome di Gesù (IHS); il
discepolo Giovanni da Capestrano (+1456), legato in Germania, predica per tutto l’impero la
conversione e contro l’eresia; tra l’altro guida personalmente la liberazione di Belgrado assediata
dai turchi di Maometto II.
A Firenze il domenicano Girolamo Savonarola (1452-1498) è un predicatore molto popolare; si
schiera contro i signori locali, i Medici, cacciati dal popolo nel 1494; si mette quindi personalmente
a capo di una amministrazione teocratica, ma entra in contrasto con il papa Alessandro VI che alla
fine lo scomunica; la popolazione stessa si rivolta contro di lui, a causa dell’eccessivo rigorismo
morale che vuole imporre alla città. Arrestato, viene torturato e giustiziato come eretico.
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5. Umanesimo
Soprattutto in Italia, ma anche, in misura minore, in gran parte dell’Europa occidentale, nel corso
del XIV e XV secolo le città principali tendono a trasformarsi in signorie, lascandosi alle spalle
l’organizzazione di tipo comunale.
Emergono infatti alcune famiglie facoltose che finiscono per egemonizzare il governo delle città,
grazie al loro potere finanziario. Venezia, Firenze, Genova, Pisa e altre città si arricchiscono,
mentre famiglie come i Visconti, i Gonzaga, i Medici assumono la guida delle città, non senza
conflitti tra le famiglie potenti.
In questo periodo si ha una grande fioritura intellettuale e artistica, che guarda alla civiltà grecoromana come punto di riferimento fondamentale; si comincia a considerare ciò che ne è seguito solo
decadenza, un’età di mezzo. Il riferimento all’antichità mette potentemente in primo piano
l’individuo, l’organizzazione giuridica centralizzata e l’intelletto individuale con le sue capacità,
mentre comincia a perdere valore la concezione comunitaria e tradizionale del medioevo; le
auctoritates perdono valore, mentre la ragione critica (che per altro non era mai venuta meno) tende
ad acquistare un valore assoluto.
L’indebolimento dell’idea di Chiesa, e il conseguente venir meno della compattezza della
“cristianità”, che ne era legato, favorisce l’indipendenza intellettuale e la ricerca di nuove forme
artistiche e culturali. Lo studio degli autori antichi non è più una preparazione alla teologia ma
diventa del tutto fine a se stesso, pura erudizione.
Anche in questo movimento la Chiesa non resta indietro, anzi per molti versi fa da battistrada:
emergono figure intellettualmente determinanti, come gli umanisti Nicola Cusano (che è cardinale)
ed Enea Piccolomini (che diventerà papa, col nome di Pio II). I papi stessi diventano grandi
mecenati delle nuove arti e delle scienze. Siamo all’alba del Rinascimento.
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Concili ecumenici antichi e medievali
Da Nicea a Basilea-Ferrara-Firenze (sottolineati i 7 concili riconosciuti da cattolici e ortodossi)
Concilio di Nicea (325) il Figlio è della stessa sostanza del Padre
Concilio di Costantinopoli I (381) il dogma trinitario: Dio unica sostanza e tre Persone:
condanna di Apollinare e degli pneumatomachi
3.
Concilio di Efeso (431) Maria è Theotokos: unità della Persona di Cristo
- Secondo concilio di Efeso (449, detto latrocinium), rifiutato. Condannò il
nestorianesimo; il patriarca Dioscoro di Alessandria dichiarò ortodosso Eutiche
4.
Concilio di Calcedonia (451) Cristo, unica Persona: il Logos incarnato, due nature
complete, indivisibili e inconfondibili
5.
Concilio di Costantinopoli II (553) condannò testi ariani, nestoriani e monofisiti (i “tre
capitoli”).
6.
Concilio di Costantinopoli III (detto Primo Concilio Trullano) (680-681): condannò il
monotelismo e affermò che Cristo possiede simultaneamente volontà umana e divina
- Concilio di Costantinopoli IV (detto Secondo Concilio Trullano) (691), detto anche
Quinisesto (in latino Quinisextum, cioè "quinto e sesto"): non accolto dai latini; di
carattere amministrativo, princìpi di disciplina ecclesiastica (alcuni antioccidentali)
- Concilio di Costantinopoli IV o V (754), detto anche Concilio di Hieria: rifiutato da
latini e greci; condanna l’iconodulia
7.
Concilio di Nicea II (787): condanna l’iconoclastia
8.
Concilio di Costantinopoli IV (869-870) papa Adriano II contro le ambizioni di Fozio, gli
orientali non lo riconoscono
Concili occidentali:
9.
Primo concilio lateranense (1123) ratifica il concordato di Worms, sotto Callisto II
10.
Secondo concilio lateranense (1139) Innocenzo II contro lo scisma di Anacleto II; il can. 7
dichiara nullo il matrimonio dei chierici (da suddiacono in su)
11.
Terzo concilio lateranense (1179) Alessandro III contro Federico Barbarossa; stabilisce la
maggioranza di due terzi del conclave per l’elezione papale
12.
Quarto concilio lateranense (1215) Innocenzo III; professione di fede contro i catari;
transustanziazione come linguaggio eucaristico adeguato; obbligo per tutti di confessione
annuale e comunione a Pasqua; condanna una tesi trinitaria di Gioacchino da Fiore
13.
Primo concilio di Lione (1245) Innocenzo IV depone Federico II di Svevia
14.
Secondo concilio di Lione (1274) Gregorio X stabilisce le regole per il conclave, l’unione
con i greci, bandisce una crociata
15.
Concilio di Vienne (1312) Clemente V; soppressione dei Cavalieri Templari perché ormai
superflui; affronta la questione della povertà francescana e la riforma della Chiesa.
16.
Concilio di Costanza (1414-18): composizione del “grande scisma” (a Roma si dimette
Gregorio XII; deposti: a Costanza Giovanni XXIII, ad Avignone Benedetto XIII); condanna
di Jan Hus. Elezione di Martino V (1417). Decreti (disciplinari): Haec sancta: superiorità
del concilio sul papa in caso di scisma; decreto Frequens sulla periodicità dei concili.
17.
Concilio di Basilea-Ferrara-Firenze (1431-1442) Papa Eugenio IV lo porta a Ferrara nel
1437 e a Firenze nel 1439, dove celebra l’unione con i greci, gli armeni e i giacobiti; la
teologia dei 7 sacramenti; si conclude a Roma nel 1442.
1.
2.
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