MEDICINA E SALUTE di Emanuela Truzzi (foto A. Lercara) Dott. Leonardo Basso MINI-INVASIVITÁ E NUOVI ORIENTAMENTI IN CHIRURGIA ORTOPEDICA I Dottori Leonardo Basso e Fabrizio Buzzi, medici specialisti in ortopedia, operano a Torino presso l’Ospedale Cottolengo e la Clinica Fornaca. Sono anche docenti del corso universitario per infermieri dell’Università Cattolica di Roma con sede a Torino presso l’Ospedale Cottolengo. Con loro facciamo il punto sugli ultimi traguardi raggiunti dalla chirurgia ortopedica, con particolare riguardo all’implantologia protesica. 70 Dott. Basso, quali sono le innovazioni più recenti nel campo delle protesi ortopediche? Al giorno d’oggi le protesi si possono applicare su qualsiasi articolazione ma la maggior parte degli interventi vengono effettuati su anca e ginocchio. Sulla protesica di ginocchio le novità salienti riguardano i nuovi materiali. Nei soggetti più giovani applichiamo protesi con rivestimento in oxinium, una ceramizzazione del metallo, dotate di superfici di contatto in polietilene ad alto peso molecolare trattate con vitamina E, che garantiscono un risultato durevole nel lungo periodo con un’usura estremamente limitata. Per la tecnica operatoria facciamo ricorso a custom made personalizzate basate sulla risonanza magnetica. Inviamo gli esiti degli esami negli Stati Uniti dove ha sede un’azienda specializzata che ci prepara le mascherine modellate sulla morfologia anatomica del paziente. Con questa tecnica possiamo raggiungere una maggiore accuratezza sui tagli da effettuare sull’osso che ci consentono di non aprire il canale femorale, ottenendo un minor sanguinamento nel corso dell’intervento. Quali sono le protesi più richieste dai pazienti? In ospedale effettuiamo circa 400 protesi all’anno di cui circa 200 riguardano l’articolazione del ginocchio, 150 quella dell’anca e una cinquantina la spalla, più alcune protesi di caviglia. Per la protesi all’anca quali sono le novità, Dott. Buzzi? Nella protesica dell’anca abbiamo ormai standardizzato l’accoppiamento dei materiali da utilizzare sulle superfici di contatto del giunto; secondo i più moderni orientamenti della comunità scientifica internazionale, il miglior accoppiamento per una protesi da effettuare su un soggetto giovane è quello ceramica-ceramica. Le novità riguardano principalmente le tecniche di impianto. Oggi si parla molto di mini-invasività e ciò non significa solo effettuare tagli piccoli ma rispettare l’integrità delle strutture anatomiche. Questo è possibile utilizzando la porta di MEDICINA E SALUTE accesso cosiddetta “anteriore”, che consente di non ledere i muscoli e raggiungere la sede di impianto semplicemente divaricandoli. Si tratta di una tecnica che permette una guarigione più rapida e una minore percentuale di lussazione dell’impianto, una delle maggiori complicazioni da superare. È la componente muscolare, attraverso la sua integrità e il tensionamento applicato naturalmente all’articolazione, a garantire la stabilità primaria dell’impianto; rispettando la sua morfologia, questa sarà più elevata. Inoltre utilizzando teste di maggior diametro riusciamo a diminuire ulteriormente le probabilità di lussazione e ottenere un miglioramento dell’articolabilità. Quali sono le altre complicazioni a cui un paziente può andare incontro? Un altro aspetto che teniamo in grande considerazione è limitare il sanguinamento nel corso dell’intervento e il conseguente ricorso a trasfusioni. La formazione di ematomi comporta un ritardo nella guarigione e nella ripresa funzionale. In questa direzione abbiamo messo a punto una metodica che diventerà una linea guida nazionale; in collaborazione con il Ministero della Sanità e altri colleghi abbiamo pubblicato un lavoro sul trattamento intra e post operatorio per diminuire il sanguinamento dei tessuti. Un’altra peculiarità che ci distingue è aver utilizzato estesamente nei pazienti più giovani un sistema che prevede la protesizzazione della superficie del femore, preservando il tessuto osseo. Se in futuro si rendesse necessario intervenire una seconda volta troveremo ancora tutto il tessuto necessario per una prima protesi. È un sistema che è stato copiato da alcune multinazionali americane con modifiche e conseguenti risultati scadenti. Le protesi da noi impiantate nel target di paziente corretto ovvero maschio, giovane e sportivo, hanno il 99% di sopravvivenza. Un altro vantaggio è quello di poter utilizzare una testa femorale delle stesse dimensioni della testa originaria, per cui l’impianto non comporta modifiche anatomostrutturali dell’articolazione originale. Il nostro obiettivo è quello di impiantare protesi che, possibilmente, ci permettano di intervenire una volta sola nella vita del paziente. Dott. Fabrizio Buzzi La direzione dell’Ospedale Cottolengo ci ha sempre consentito di utilizzare quanto di meglio il mercato offrisse. E adesso parliamo di protesi alla spalla. Quali sono le tecniche utilizzate in questo intervento? La spalla è un’articolazione non in carico, la più mobile tra tutte quelle del corpo umano e il suo movimento si gioca sull’equilibrio dei cinque tendini della cuffia dei rotatori. Nell’artrosi di un’articolazione si verifica il consumo della cartilagine e per questo si interviene con le protesi, ma nel caso della spalla il primum movens è il tendine che si rovina. Se cambiamo l’articolazione e il tendine è consumato non risolviamo il problema. L’uovo di Colombo si chiama protesi inversa di spalla. È un concetto nato e sviluppatosi in Europa e solo successivamente negli Stati Uniti. La protesi inversa permette al paziente di raggiungere un buon movimento senza accusare dolore. La protesi inversa funziona esattamente all’opposto dell’articolazione naturale e consente al paziente di far leva sul muscolo deltoide. Chiudiamo con l’utilizzo del laser nelle patologie discali della spina dorsale. Di che cosa si tratta? L’intervento laser è utile nelle protrusioni discali ovvero ernie contenute che non rompono il legamento longitudinale posteriore, non interessano direttamente la radice nervosa e non premono sul canale midollare. È una tecnica micro-invasiva che non crea stress al paziente, si tratta di inserire in sedazione un sottile ago all’in- terno del disco. L’ago funge da grondaia e contiene all’interno una sonda laser di 200 micron di diametro, ovvero poco più di un capello, per un intervento che dura circa due minuti e mezzo. Attraverso la vacuolizzazione del disco riusciamo a ottenere una diminuzione della protrusione e un’azione necrotizzante sulle terminazioni nervose. Durante il trattamento il paziente non avverte alcun dolore e resta vigile, la tecnica viene eseguita in day hospital e dopo un breve riposo si può andare tranquillamente a casa. È necessario soltanto seguire un breve periodo di riposo senza effettuare eccessivi sforzi. Si tratta di una procedura che funziona molto bene, può essere ripetuta qualora non raggiunga gli scopi prefissati e può evitare interventi molto più gravosi oppure rimandarli nel tempo. Dott. LEONARDO BASSO Dott. FABRIZIO BUZZI Studio: Via Valeggio 7 - Torino Tel. 011 539424 (Dott. Basso) Tel. 011 5604089 (Dott. Buzzi) [email protected] [email protected] Convenzione associati FABI Plus: sconto del 10%. marzo 2015 | Plus Magazine | MEDICINA E SALUTE 71