Elettrostatica
Indice dei contenuti:
1. Introduzione, legge di Coulomb
2. Campo elettrico
3. Condensatore elettrico
4. Comportamento elettrostatico dei corpi conduttori
5. Induzione elettrostatica e spostamento elettrico
6. Flusso del vettore spostamento elettrico, teorema di Gauss
7. Applicazioni del teorema di Gauss
8. Polarizzazione dei dielettrici, rigidità dielettrica
9. Costante dielettrica e rigidità dielettrica: tabella
10. Energia nel campo elettrico
11. Forze attrattive tra le armature di un condensatore carico
12. Campo elettrico nei corpi conduttori percorsi da corrente
13. Transitorio di carica e scarica nei condensatori
14. Esercizio 1 (campo elettrico e forza elettrica)
15. Esercizio 2 (condensatore con dielettrico a doppio strato)
16. Esercizio 3 (forza di attrazione tra le armature di un condensatore)
17. Esercizio 4 (forza elettrostatica sul dielettrico)
18. Esercizio 5 (reti di condensatori)
19. Esercizio 6 (circuito in c.c. con condensatori)
Introduzione, legge di Coulomb
Quanto esposto in questi appunti ha lo scopo di riassumere quelle conoscenze della elettrostatica già
note dal corso di fisica del biennio e di proporre quelle integrazioni che più direttamente fanno
riferimento alle applicazioni elettrotecniche. Nelle espressioni, le grandezze vettoriali sono indicate
mediante sottolineatura.
Con elettrostatica si intende la teoria che studia l'effetto di forza dovuto a cariche elettriche
immobili.
Si chiama carica elettrica la quantità di elettricità positiva o negativa di un corpo, essa è sempre un
multiplo intero della carica elementare (quanto elementare) e = 1,602·10-19 [C] (la più piccola
quantità di carica elettrica esistente è la carica dell'elettrone, pari a -e ).
Una delle proprietà più importanti delle cariche elettriche è descritta dalla legge di Coulomb : la
forza elettrica F di attrazione (cariche di segno opposto) o di repulsione (cariche di uguale segno)
fra due cariche puntiformi Q1 e Q2 immerse in un mezzo isolante è proporzionale al prodotto delle
cariche ed inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza :
La direzione della forza è la retta passante per le due cariche. La grandezza  è chiamata costante
dielettrica assoluta delmezzo isolante e, per il vuoto, essa vale :
1
Per un mezzo diverso dal vuoto si è soliti esprimerla come prodotto tra la costante dielettrica del
vuoto e la costante dielettrica relativa del mezzo  = o · r .
Campo elettrico
E' così chiamata ogni regione dello spazio ove si esercitano forze elettriche su cariche elettriche. Il
campo elettrico è determinato in ogni punto dalla grandezza vettoriale E , quindi è definito in ogni
punto da una intensità, una direzione ed un verso. L'intensità, la direzione ed il verso sono pari a
quelli della forza elettrica che agisce su un'unità di carica positiva posta in quel punto. Se ne ha una
rappresentazione visibile mediante le linee di forza e le superfici equipotenziali. Le linee di forza
sono linee orientate secondo il verso di E le cui tangenti coincidono in ogni punto del campo con la
direzione del vettore E .
Con potenziale di un punto del campo elettrico si intende il valore di energia potenziale che l'unità
di carica positiva possiede in quel punto. Si sceglie a piacere un punto come punto zero dell'energia
potenziale. I punti di eguale potenziale sono posti su superfici equipotenziali, tali superfici sono
perpendicolari alle linee di forza. Una carica elettrica positiva può essere mossa su di una superficie
equipotenziale senza perdita ne guadagno di energia, mentre per essere mossa da una superficie a
minor potenziale verso una a maggior potenziale richiede un lavoro che, infine, si ritrova sotto
forma di maggior energia potenziale posseduta dalla carica. Qualunque carica positiva collocata in
un punto del campo elettrico tende a muoversi nel verso della linea di forza passante per quel punto,
così facendo vede diminuire il proprio potenziale.
Si definisce differenza di potenziale tra due punti M, N del campo elettrico la differenza tra il
potenziale nel primo punto ed il potenziale nel secondo punto : VMN = VM - VN .
Nota Bene.: quello di campo è un concetto fondamentale per la descrizione di stati ed effetti nello
spazio, risalente a Faraday. I campi di forza (campi vettoriali), quali quelli di forza elettrica, di forza
2
magnetica, di forza gravitazionale, sono definiti dalla intensità, dalla direzione e dal verso di una
forza per ogni punto dello spazio. I campi scalari indicano invece la distribuzione nello spazio di
valori numerici, ad esempio di temperatura o densità.
Se in un punto dello spazio caratterizzato da una intensità di campo elettrico pari ad E vi è una
carica pari a Q, si avrà agente sulla carica una forza elettrica pari a F = E·Q , da cui si ricava che
l'unità di misura del campo elettrico è il [N / C] . La direzione di questa forza è la stessa del campo,
il verso è quello del campo se la carica è positiva, altrimenti è ad esso opposto.
Il potenziale elettrico, essendo un'energia per unità di carica, si misura in [J/C]. Così è pure per la
differenza di potenziale. Se in un punto di un campo elettrico ove il potenziale vale V è presente
una carica Q , tale carica possederà una energia potenziale elettrica pari a W = Q·V [Joule]. Il [J/C]
è chiamato volt [V].
Consideriamo ora un campo elettrico stazionario (cioè non variabile nel tempo) ed uniforme (cioè
non variabile al variare del punto considerato). Prendiamo due punti M, N sulla stessa linea di forza,
distanti tra di loro d , ed immaginiamo una carica positiva Q che passi dal punto M al punto N .
Tale carica perderà energia potenziale e compirà un lavoro se VM > VN perché sarà la forza elettrica
a determinarne lo spostamento, viceversa acquisterà energia potenziale e su di essa bisognerà
compiere un lavoro se VM < VN perché si dovrà vincere la forza elettrica con una forza esterna. In
ogni caso, per il principio di conservazione dell'energia, dovrà essere il lavoro uguale alla
variazione di energia potenziale :
F·d = Q·VM - Q·VN = Q·VMN  E·Q·d = Q·VMN 
La situazione appena descritta è quella che si verifica nel dielettrico (isolante) posto tra le armature
piane e parallele di un condensatore.
Nel caso di campi elettrici non uniformi, quanto detto rimane ancora valido solo che si dovranno
considerare punti M ed N a distanza tra di loro talmente piccola da potersi ritenere in tale tratto
uniforme il campo.
Per i campi elettrici si può inoltre dire che il lavoro connesso al movimento di una carica tra due
punti M ed N (situati anche su diverse linee di forza) non dipende dal percorso seguito dalla carica
per passare da M ad N , ma dipende solo dalla posizione dei punti M ed N ( i campi che godono di
tale proprietà sono detti campi conservativi e tale è anche il campo gravitazionale).
Condensatore elettrico
3
E' così chiamato il dispositivo atto a realizzare un adeguato valore concentrato di capacità elettrica.
Per capacità elettrica si intende l'attitudine di un circuito ad accumulare carica elettrica. La capacità
elettrica è definita dalla legge C = Q / V e si misura in [Farad]. Un condensatore si realizza
generalmente mediante due superfici di materiale conduttore con interposto un mezzo dielettrico
(isolante). Applicando una differenza di potenziale tra le armature si crea un campo elettrico nel
dielettrico e, grazie al lavoro del generatore, un accumulo di carica sulle stesse (carica positiva
sull'una e negativa sull'altra), tanto più grande quanto più è grande la capacità del condensatore.
Una volta che il condensatore si è caricato, per i circuiti in corrente continua si ha che nel ramo ove
è inserito il condensatore non può più passare la corrente elettrica.
La capacità di un condensatore ad armature piane e parallele dipende dalla superficie delle armature
S [m2], dalla loro distanza d [m] e dalla costante dielettrica del dielettrico interposto  [F/m]
secondo la seguente relazione:
S

d
C  
S
[F]
d
Se si hanno diversi condensatori in parallelo, ovvero sottoposti alla stessa differenza di potenziale,
la capacità totale è pari alla somma aritmetica delle singole capacità:
Se si hanno diversi condensatori in serie, ovvero tutti aventi la stessa quantità di carica elettrica, la
capacità totale è pari all'inverso della somma aritmetica degli inversi delle singole capacità:
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Anche per i condensatori sono possibili le trasformazioni triangolo – stella e viceversa così come
per le resistenze. Le relazioni da usare sono le seguenti:
B
B
CB
CAB
CBC
A
CA
C
CC
A
CCA
C

C A  CB
C AB 
C A  C B  CC

C B  CC

CBC 
C A  C B  CC

CC  C A

CCA  C  C  C
A
B
C


C AB  CBC  CBC  CCA  CCA  C AB
C A 
CBC

C AB  CBC  CBC  CCA  CCA  C AB

 CB 
CCA

C AB  CBC  CBC  CCA  CCA  C AB

 CC 
C AB

Si mota che le espressioni relative alla trasformazione da triangolo a stella per le capacità risulta
formalmente simile alla trasformazione da stella a triangolo per le resistenze e viceversa.
Nel caso si abbia un condensatore con il dielettrico costituito da n strati accostati tra di loro e
aderenti alle armature, il tutto si considera come la serie di n condensatori ciascuno dei quali
corrispondente ad uno strato. Nel caso ad esempio di un condensatore ad armature piane e parallele
avente il dielettrico in doppio strato con spessore costante per ciascun strato avremo:
1
2
S
S
1
S
d1
d1
2
d2
d2
Comportamento elettrostatico dei corpi conduttori
5
Nei corpi conduttori elettrizzati (cioè che abbiano acquisito carica elettrica, ad esempio sotto forma
di elettroni se si tratta di metalli) si verifica quanto segue :
a) in condizione di equilibrio le cariche elettriche libere sono distribuite unicamente sulla superficie
esterna del corpo conduttore perché, data la mobilità delle cariche elettriche libere, le interazioni
coulombiane che si esercitano tra di esse, essendo le cariche libere tutte dello stesso segno, portano
tutte le cariche a raggiungere la superficie limite del corpo conduttore.
b) le cariche elettriche libere in equilibrio sulla superficie del conduttore devono assumere una
distribuzione tale che il potenziale di ciascun punto P1 , P2 , P3 , ecc. rispetto ad un riferimento O
sia sempre lo stesso, ovvero VP1 = VP2 = VP3 = ecc. Si dice così che la superficie è equipotenziale.
Se fosse diversamente avremmo tra due punti, ad esempio P1 e P2 , una differenza di potenziale
che provocherebbe uno spostamento degli elettroni liberi verso il punto a potenziale maggiore,
contraddicendo così la condizione di equilibrio statico.
c) le cariche elettriche libere in equilibrio sulla superficie dei conduttori producono un campo
elettrico E sempre perpendicolare alla superficie stessa del conduttore, se così non fosse si avrebbe,
oltre alla componente normale En , una componente tangenziale Et a causa della quale una carica
elettrica libera superficiale Q si muoverebbe essendo sotto l'azione di una forza elettrica Ft = Et·Q
la qual cosa contraddice la condizione di equilibrio statico.
d) il campo elettrico all'interno di un corpo conduttore in equilibrio statico è sempre nullo in quanto,
se fosse diverso da zero, gli elettroni liberi sarebbero in movimento la qual cosa contraddice la
condizione di equilibrio statico. Ne risulta in particolare che l'equilibrio elettrico di un conduttore
elettrizzato non viene alterato se si immagina di scavare internamente il conduttore stesso fino a
ridurlo ad un involucro, anche sottilissimo, costituito da una pellicola metallica corrispondente alla
superficie esterna. Nei fenomeni elettrostatici, quindi, il comportamento di un conduttore massiccio
non differisce da quello di un conduttore internamente cavo avente eguale forma e dimensioni.
6
Nell'interno di questi conduttori cavi (praticamente sono degli involucri metallici) il campo elettrico
rimane sempre nullo , qualunque sia la carica elettrica distribuita sulla superficie esterna, e cioè
qualunque sia l'intensità del campo elettrico nello spazio esterno al conduttore cavo. Si intende che,
se nell'interno dell'involucro sono racchiusi dei conduttori isolati dalle pareti del l'involucro ed
elettrizzati, questi vi producono un campo elettrico il quale rimane del tutto indipendente da tutte le
eventuali cariche elettriche situate all'esterno. Si può dire che un involucro metallico completamente
chiuso costituisce uno schermo elettrostatico che protegge l'intera regione interna dalle azioni di
tutti i campi elettrici esterni (schermo di Faraday).
Induzione elettrostatica e spostamento elettrico
Per induzione elettrostatica si intende l'azione di un campo elettrico esterno su un conduttore
isolato. Le cariche elettriche alla superficie vengono separate dalle forze di Coulomb. Poiché il
bilancio di carica del conduttore non è alterato dall'induzione, il conduttore resta nel complesso
elettricamente neutro.
Con spostamento dielettrico (eccitazione dielettrica) si intende il vettore D = ·E , esso corrisponde
alla carica prodotta nell'unità di superficie per induzione elettrostatica e si misura in [C / m2] .
Flusso del vettore spostamento elettrico, teorema di Gauss
Si consideri una superficie di area S immersa in un campo elettrico uniforme (cioè costante in tutti i
punti e perciò con le linee di forza rettilinee e parallele), per il quale il vettore spostamento elettrico
sia D . Si definisce flusso del vettore spostamento elettrico attraverso la superficie S la grandezza
scalare :
S(D) = D·S·cos() [C]
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Il flusso viene considerato positivo se il campo elettrico è orientato concordemente col versore N
(vettore adimensionale unitario ortogonale alla superficie) diversamente esso è considerato
negativo.
Il teorema di Gauss afferma che il flusso totale del vettore spostamento attraverso una superficie
chiusa qualsiasi SC(D) è uguale alla somma algebrica delle cariche elettriche QSC racchiuse
all'interno della superficie considerata :
Il flusso, per quanto precedentemente detto, sarà uscente dalla superficie chiusa se la carica
racchiusa è positiva, altrimenti sarà entrante nella superficie.
Applicazioni del teorema di Gauss
a) Campo elettrico originato da una carica puntiforme.
Consideriamo una carica puntiforme positiva Q ed un punto P distante d dalla carica. Consideriamo
la superficie chiusa sferica S avente la carica al suo centro. Si può affermare che il vettore
spostamento elettrico D è sempre ortogonale alla superficie e costante per qualunque punto sulla
superficie (quindi  = 0 e cos() = 1 ). Il flusso del vettore spostamento elettrico attraverso la
superficie varrà quindi :
S(D) = D·S·cos() = D·4··d2 [C]
Applicando il teorema di Gauss sarà D·4··d2 = Q.
Ricordando che in ogni punto del campo elettrico è D = ·E , sostituendo si avrà :
che è quanto cercato.
b) Capacità di un condensatore con armature piane e parallele.
8
Consideriamo l'armatura carica positivamente Q ed applichiamo il teorema di Gauss alla superficie
chiusa SC che racchiude tale armatura. Siccome il campo elettrico è praticamente nullo
esternamente allo spazio racchiuso tra le armature, è costante e normale alla superficie internamente
alle armature, possiamo limitarci a considerare la sola parte della superficie chiusa SC coincidente
con la superficie interna S dell'armatura stessa e scrivere :
SC(D) = S(D) = D·S = ·E·S = Q [C]
Ricordando che il campo elettrico uniforme tra le armature distanti d del condensatore è legato alla
tensione V applicata tra le armature stesse dalla relazione E = V / d , sostituendo nella espressione
precedente e risolvendo rispetto alla Q si ottiene infine :
dove, per omogeneità dimensionale deve essere :
la capacità del condensatore.
Polarizzazione dei dielettrici, rigidità dielettrica
Si chiama polarizzazione la costituzione e l'orientamento dei dipoli elettrici (coppia di cariche
puntiformi di segno opposto ed eguale valore fra loro vincolate in modo da mantenere costante la
distanza che le separa) nei mezzi dielettrici a causa della presenza di un campo elettrico non nullo. I
meccanismi della polarizzazione sono molteplici, in generale si può dire che alla base vi sono le
forze elettriche, il più semplice da comprendere è riassunto nel seguente disegno :
La quantità di elettricità che, per effetto della polarizzazione, si sposta per unità di superficie è
ancora determinata dallo spostamento elettrico così che, in un condensatore, a parità di superficie, la
quantità di carica elettrica che per induzione si raccoglie sulle armature è uguale alla quantità di
carica elettrica che nel dielettrico si sposta per polarizzazione.
Ovviamente, aumentando l'intensità di campo elettrico aumentano le forze elettriche che agiscono
sui due poli del dipolo così che si potrà arrivare alla rottura del legame che tiene unito il dipolo
elettrico : si definisce rigidità dielettrica di un materiale isolante il massimo valore di campo
9
elettrico che in esso può essere presente senza che avvenga la rottura dei dipoli elettrici e la
conseguente scarica distruttiva. Tale valore dipende fortemente dalle condizioni ambientali del
dielettrico (temperatura, pressione, presenza di umidità o di impurità, ecc.). Per sicurezza, le
condizioni di impiego dei materiali isolanti devono essere tali per cui il campo elettrico al loro
interno sia molto inferiore alla loro rigidità dielettrica. Un fenomeno direttamente legato alla rigidità
dielettrica dell'aria ( 3 [kV / mm] per l'aria secca e pura) è l'effetto corona che si manifesta nelle
linee aeree messe in tensione. Accade infatti, in presenza di forte umidità, che la rigidità dielettrica
dell'aria possa scendere al di sotto del valore di campo elettrico nell'intorno della superficie del
conduttore così che si verificano scariche distruttive avvertibili sotto forma di sfrigolio e
luminescenza.
Costante dielettrica e rigidità dielettrica: tabella
La tabella sottostante riporta le più importanti caratteristiche dielettriche di alcuni materiali isolanti.
Costante dielettrica assoluta del vuoto o = 8,854·10-12 [F/m]
Mezzo dielettrico
Costante dielettrica Rigidità dielettrica
relativa
[kV/mm]
Aria secca (alla pressione di 1 [bar])
1,0006
3
Acqua pura
81,07
15
Olio minerale
2,2  2,5
7,5  16
Olio per trasformatori
2  2,5
12  17
Bachelite
10
5,5  8,5
Carta comune
2
6
Carta paraffinata
2,5  4
40  50
Carta da condensatori
30
5  5,5
Gomma
2,2  2,5
15  40
Mica
68
50  100
Polietilene
2,3
50
Porcellana
47
12  30
Vetro
68
25  100
Ossido di titanio
5
90  170
Titanati di Ba-Sr
5
1000  10000
Energia nel campo elettrico
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Considerando il condensatore inizialmente scarico, a partire dall'istante nel quale si chiude
l'interruttore M si ha che il generatore inizia a spostare la carica elettrica, convenzionalmente quella
positiva, dall'armatura di destra verso quella di sinistra ovvero si originerà una corrente elettrica.
Così facendo il generatore compie un lavoro, e per una quantità di carica pari a dq si avrà un lavoro
pari a dW = dq·v rappresentato dall'area tratteggiata. A carica del condensatore esaurita, la tensione
ai suoi capi varrà V = E , la carica accumulata varrà Q = C·V ed il lavoro complessivamente
compiuto dal generatore sarà pari all'area del triangolo (0 Q N) ovvero :
Per il principio di conservazione dell'energia, non essendovi alcuna dissipazione, tutto il lavoro
compiuto dal generatore per caricare il condensatore verrà a ritrovarsi sotto forma di energia
elettrostatica nel dielettrico compreso tra le armature del condensatore che, in effetti, sarà
polarizzato.
Distaccando, una volta caricato, il condensatore dal generatore accade che l'energia elettrostatica
rimane immagazzinata nel dielettrico. Infatti, se si collega il condensatore caricato ad una resistenza
esterna si avrà una circolazione di corrente di verso contrario a quello di carica che produrrà una
dissipazione per effetto Joule nella resistenza esterna e tale corrente persisterà, seppure con intensità
decrescente, fino a quando il condensatore non sarà del tutto scaricato.
Supponendo il dielettrico omogeneo ( ovvero  = costante ) ed il campo elettrico uniforme, cosa
accettabile nel caso del condensatore, possiamo facilmente esprimere l'energia elettrostatica
specifica:
la cui unità di misura è [Joule / m3] e dove si è applicato il teorema di Gauss e la definizione di
intensità di campo elettrico.
11
Forze attrattive tra le armature di un condensatore carico
Facciamo riferimento ad un condensatore carico ed isolato, ovvero non collegato ad un circuito
esterno . Indichiamo con d la distanza tra le sue armature, con S la superficie, con Q la carica, con
V la differenza di potenziale e con  la costante dielettrica. Lasciata libera, l'armatura di destra
tenderà a muoversi verso sinistra perché attratta dalla forza elettrica F dovuta alla carica di segno
opposto distribuita sulle armature. Per non contraddire le condizioni di staticità del sistema,
immaginiamo che a causa della forza F l'armatura compia uno spostamento infinitamente piccolo
dx.
Tale spostamento per poter avvenire necessita di un lavoro che, considerando il sistema isolato, può
solo provenire dall'energia elettrostatica posseduta nel dielettrico del condensatore. In conseguenza
dello spostamento dx possiamo dire che la carica delle armature non può essere cambiata essendo il
condensatore isolato, la capacità del condensatore sarà aumentata di una quantità infinitesima a
causa della diminuzione dx della distanza d tra le armature, la differenza di potenziale tra le
armature, essendo inversamente proporzionale alla capacità, sarà diminuita di una quantità
infinitesima, lo spostamento elettrico (e quindi il campo elettrico) sarà rimasto invariato essendo
invariate sia Q che S, l'energia elettrostatica specifica sarà rimasta invariata essendo invariati sia il
campo che lo spostamento elettrico.
Il lavoro compiuto attraverso lo spostamento dx dell'armatura vale dL = F·dx , mentre la variazione
(diminuzione) dell'energia elettrostatica vale dW = Ws·S·dx .
Per il principio di conservazione dell'energia dovrà essere dL = dW e quindi:
Allo stesso risultato si perviene considerando il condensatore collegato ad un generatore.
Campo elettrico nei corpi conduttori percorsi da corrente
12
Prendiamo in considerazione un tratto M N di conduttore omogeneo di resistività elettrica  , avente
lunghezza d e sezione S . Sia questo conduttore percorso da una corrente elettrica costante I nel
verso che va da M a N . Potremo scrivere che la tensione tra i punti M ed N vale, per la legge di
Ohm :
e che il campo elettrico E al suo interno è legato alla tensione fra le sezioni M ed N dalla relazione
VMN = E·d .
Eguagliando le due espressioni si ottiene :
La grandezza J = I / S [A /m2] è chiamata densità di corrente elettrica.
In termini vettoriali si potrà infine scrivere E = ·J .
Nota bene: quanto esposto esula dall'elettrostatica in quanto viene fatto riferimento a cariche
elettriche in movimento.
Nota bene: quanto detto completa la descrizione degli effetti che il campo elettrico produce nei
mezzi dielettrici e nei mezzi conduttori. All’interno dei dielettrici il campo determina la
polarizzazione con conseguente formazione di dipoli mentre per i corpi conduttori isolati (cioè
circondati da un mezzo dielettrico) il campo elettrico esterno determina l’induzione elettrostatica
sulla loro superficie (con conseguente separazione della carica, mentre all’interno del corpo il
campo è nullo). Entrambi i fenomeni seguono la legge per la quale lo spostamento elettrico che si
produce è pari al prodotto della costante dielettrica del dielettrico per il campo elettrico. Invece nel
caso di campo elettrico interno ad un mezzo conduttore facente parte di un circuito il campo stesso
agisce con forze sulle cariche interne del conduttore che sono libere di muoversi determinando così
una corrente elettrica. Non siamo più in condizioni elettrostatiche bensì in condizioni
elettrodinamiche e la legge che regola tale fenomeno dice che il campo elettrico nel conduttore è
pari al prodotto della resistività elettrica del mezzo conduttore per la densità di corrente elettrica.
Transitorio di carica e scarica nei condensatori
13
Prendiamo in considerazione le leggi di variazione nel tempo della corrente nel circuito i(t) e della
tensione v(t) ai capi del condensatore durante la fase di carica dello stesso. Assumiamo che il
condensatore sia inizialmente scarico v(0-) = 0 , ovvero sia inizialmente nulla la carica accumulata
sulle sue armature (condizioni iniziali nulle). Individuiamo come istante iniziale t = 0 [s] quello
coincidente con la chiusura dell'interruttore K . A partire da tale istante iniziale si avrà un graduale
aumento della tensione ai capi del condensatore che raggiungerà il valore definitivo Vo solo dopo
un tempo infinito. In realtà si potrà ritenere esaurita la fase di carica quando la tensione ai capi del
condensatore avrà superato il 99% del valore finale Vo (valore a regime). Tale intervallo di tempo,
durante il quale variano sia la tensione ai capi del condensatore che la corrente nel circuito, viene
detto transitorio elettrico ed è presente in qualsiasi circuito che contenga dispositivi capaci di
immagazzinare energia (condensatori ed induttori) ogniqualvolta vari una delle grandezze (tensione
o corrente) applicate al circuito. Infatti, nel corso della carica del condensatore, l'energia
immagazzinata nel suo campo elettrico richiede tempo per passare da zero al valore finale. Se così
non fosse, ovvero se la carica si realizzasse istantaneamente, si dovrebbe presumere di avere a che
fare con un generatore di potenza infinita la qual cosa è un assurdo fisico. Per ciascun circuito
elettrico si può individuare una grandezza caratteristica chiamata costante di tempo che serve a
valutare la durata del transitorio. Infatti si può dimostrare che il transitorio ha una durata pari a circa
5· . La legge di variazione sia della tensione ai capi del condensatore che della corrente nel circuito
è di tipo esponenziale.
Vediamo di riassumere le più importanti proprietà.
14
A sinistra sono mostrate le leggi che regolano la carica, a destra quelle della scarica. Al flusso
ordinato di carica elettrica costituente la corrente di carica (scarica) corrisponde uno spostamento
elettrico di carica nel dielettrico compreso tra le armature del condensatore che si polarizza
(depolarizza). Al lavoro compiuto dal generatore corrisponde, a meno della potenza elettrica
dissipata nelle resistenze, l'energia accumulata nel dielettrico del condensatore; tale energia è
totalmente dissipata nelle resistenze durante la scarica.
15
Si ricorda che la lettera e che compare nella espressione esponenziale è la base dei logaritmi
naturali, ovvero il numero 2,718...
In qualsiasi processo regolato da una legge esponenziale, la costante di tempo rappresenta il tempo
necessario al completamento del processo nel caso in cui lo stesso avvenga ad una velocità costante
e pari a quella dell'istante iniziale. Detto in altre parole, la tangente nell'origine alla curva
esponenziale interseca l'orizzontale di ordinata pari al valore a regime in corrispondenza dell'ascissa
pari alla costante di tempo.
Esercizio 1 (campo elettrico e forza elettrica)
Si abbia un sistema isolato costituito da due piastre metalliche piane e parallele poste alla distanza
d=7 [cm] l’una dall’altra. La piastra A abbia potenziale elettrico VA=2000 [V] e la piastra B
potenziale VB=500 [V]. Si consideri inizialmente presente sulla piastra B un elettrone e libero di
muoversi. Il dielettrico interposto tra le piastre sia il vuoto:
V=0 [V]
VA=2000 [V]
VB=500 [V]
E
A
B
Fe, ve, ae
e
VAB
d=7 [cm]
Ci proponiamo di studiare il moto dell’elettrone che per effetto della forza elettrica su di esso agente
si sposterà dall’armatura B all’armatura A (in tutte le considerazioni che seguono trascuriamo i
fenomeni relativistici e quindi supponiamo costante ed indipendente dalla velocità la massa
dell’elettrone, cosa non vera se la velocità è, come si vedrà nel nostro caso, una frazione
significativa della velocità della luce che vale circa 3·108 [m/s]).
1) determinare la forza che agisce sull’elettrone.
Allo scopo si deve considerare che il campo elettrico presente tra le armature ha lo stesso valore in
tutti i punti. Le linee di forza sono rette parallele, orientate dall’armatura a potenziale più alto verso
l’armatura a potenziale più basso.
L’intensità del campo vale in ogni punto:
16
VAB VA  VB 2000  500


 21,43  103 [V/m]

2
d
d
7  10
Considerando la carica dell’elettrone, la forza elettrica che su di esso agisce vale in ogni punto:
E
Q e  1,602  10 19 [C]  Fe  E  Q e  21,43  10 3  1,602  10 19  3,433  10 15 [N]
Essendo la carica dell’elettrone una carica negativa, la forza elettrica che su di esso agisce avrà
verso opposto a quello del campo.
2) determinare l’accelerazione impressa all’elettrone.
Conoscendo la massa dell’elettrone risulta immediato calcolare la sua accelerazione:
me  9,11  10
 31
Fe 3,433  1015
[kg]  ae 

 3,768  1015 [m/s 2 ]

31
me
9,11  10
3) determinare il tempo che l’elettrone impiega a raggiungere l’armatura positiva.
Il moto dell’elettrone è del tipo uniformemente accelerato con velocità iniziale zero:
d
1
2d
2  7  10 2
 ae  t 2  t 

 6,095  109 [s]
15
2
ae
3,768  10
4) determinare la velocità con la quale l’elettrone impatta sull’armatura A:
Il moto dell’elettrone è del tipo uniformemente accelerato con velocità iniziale zero:
vef  ae  t  3,768  1015  6,095  109  2,297  107 [m/s]
Osservazione.
Si poteva pervenire allo stesso risultato attraverso il principio di conservazione dell’energia.
L’energia elettrica potenziale inizialmente posseduta dall’elettrone quando ancora si trova
sull’armatura B rispetto all’armatura A vale:
WBA  Q e  (VB  VA )  1,602  10 19  (500  2000)  2,403  10 16 [J]
l’energia cinetica che la massa dell’elettrone accumula nel processo di accelerazione da zero [m/s]
fino alla velocità vef dovrà, per il principio di conservazione dell’energia, essere uguale all’energia
WBA:
1
1
 m e  v ef 2  WBA   9,11  10  31  v ef 2  2,403  10 16  v fe  2,297  10 7 [m/s]
2
2
Esercizio 2 (condensatore con dielettrico a doppio strato)
Un condensatore ad armature piane e parallele di area S=500 [cm2] ha il dielettrico costituito da due
strati accostati tra loro e aderenti alle armature. Il primo dielettrico è mica con spessore 3 [mm] ed il
secondo dielettrico è aria secca con spessore 1,5 [mm]. Al condensatore è applicata una tensione
pari a 4 [kV].
17
1
2
D
S
E1
E2
d1
d2
V1
V2
V
1) determinare la capacità del condensatore.
Considerando che il condensatore va visto come se si trattasse di due condensatori posti in serie e
tenendo conto della costante dielettrica dei dielettrici impiegati, si ha:
 1   r1   0  7  8,854  10 12  6,198  10 11 [F/m]
 2   r 2   0  1  8,854  10 12  8,854  10 12 [F/m]

S
500  10 4
9
 6,198  10 11 

1
,
033

10
[F]

1
d1

3  10  3
 2,295  10 10 [F]
  C
4
1
1
S
500  10

C2   2 
 8,854  10 12 
 2,951  10 10 [F]

3

C
C2
d2
1
1,5  10

C1   1 
2) determinare la carica elettrica accumulata sulle armature del condensatore.
Allo scopo basta applicare la legge del condensatore:
Q  C  V  2,295  10 10  4000  9,181  10 7 [C]
L’armatura che si trova a potenziale elettrico maggiore si caricherà positivamente, l’altra
negativamente.
3) determinare lo spostamento elettrico nei due dielettrici.
Lo spostamento elettrico nei due dielettrici è lo stesso ed è uguale alla densità di carica elettrica
sulle armature ovvero alla quantità di carica elettrica che si raccoglie per unità di superficie sulle
armature:
D
Q 9,181  10 7

 1,836  10  5 [C/m 2 ]
4
S
500  10
4) determinare l’intensità del campo elettrico nei due dielettrici e verificare che sia compatibile con
la rigidità dielettrica degli stessi.
Allo scopo si può utilizzare la relazione che lega il campo elettrico allo spostamento elettrico:
D   1  E1  E1 
D 1,836  10 5

 2,962  10 5 [V/m]  E1  0,2962 [kV/mm]
ε 1 6,198  10 11
D   2  E2  E2 
D
1,836  10  5

 2,074  10 6 [V/m]  E 2  2,074 [kV/mm]
ε 2 8,854  10 12
18
Si osserva che in entrambi i dielettrici il campo elettrico è inferiore alla rigidità dielettrica, quindi i
dielettrici possono sopportare tale campo senza che si verifichi la scarica distruttiva.
5) determinare la tensione applicata a ciascuno strato.
Si ricorre alla relazione che lega il campo elettrico alla tensione:
V1  E1  d1  2,962  105  3  103  888,6 [V]
V2  E 2  d 2  2,074  106  1,5  10 3  3111 [V]
Si osserva che il secondo strato, pur avendo uno spessore pari alla metà del primo, sopporta una
tensione maggiore in quanto ha una costante dielettrica molto più piccola. Infatti, dati due diversi
dielettrici di eguale spessore, per produrre in entrambi lo stesso spostamento elettrico bisogna usare
una tensione più grande per il dielettrico avente più piccola costante dielettrica (la costante
dielettrica viene anche chiamata permettività elettrica).
Ovviamente, la somma di V1 e V2 è pari, a meno degli errori di approssimazione, alla tensione V.
6) determinare l’energia elettrostatica immagazzinata in ciascun dielettrico.
Usando l’espressione per il calcolo dell’energia nel condensatore si ha:
1
1
W1   Q  V1   9,181  10  7  888,6  4,079  10  4 [J]
2
2
1
1
W2   Q  V2   9,181  10  7  3111  1,428  10  3 [J]
2
2
L’energia complessiva sarà data dalla somma delle due e potrà essere verificata con l’espressione
per il calcolo dell’energia del condensatore:
W  W1  W2  1,836  103 [J]
1
1
 C  V 2   2,295  1010  40002  1,836  10 3 [J]
2
2
L’energia accumulata nei singoli dielettrici si può trovare anche ricorrendo all’energia specifica ed
al volume dei dielettrici:
1
1
WS1   D  E1   1,836  10 5  2,962  105  2,719 [J/m 3 ]
2
2
1
1
WS 2   D  E 2   1,836  10  5  2,074  106  19,04 [J/m 3 ]
2
2
W
W1  WS1  (S  d1 )  2,719  (500  10  4  3  10  3 )  4,079  10  4 [J]
W2  WS 2  (S  d 2 )  19,04  (500  10 4  1,5  10  3 )  1,428  10  3 [J]
Esercizio 3 (forza di attrazione tra le armature di un condensatore)
Si abbia un condensatore ad armature piane e parallele, carico alla tensione di VAB=600 [V] ed
isolato. Il dielettrico sia aria secca con costante dielettrica relativa unitaria, le armature abbiano
superficie S=1500 [cm2] e siano distanti d=5 [mm].
19
Q
Q
A
B
E
F
F
VAB
d
Q
Q
B
A
F’
E
F
F’
F
VAB’
x
d
d’
1) determinare la forza di attrazione che si esercita tra le armature.
Questa forza è pari al prodotto dell’energia specifica del dielettrico per la superficie delle armature,
quindi per determinarla serve conoscere il campo elettrico nel dielettrico:
V
600
E  AB 
 120  103 [V/m]

3
d
5  10
1
1
1
F  WS  S   D  E  S    0  E2  S   8,854  1012  (120  103 )2  1500  104  9,562  10 3 [N]
2
2
2
2) determinare il lavoro che bisogna compiere per allontanare le armature parallelamente tra di loro
di 3 [mm].
20
Visto che le armature sono soggette ad una forza di attrazione, è evidente che per allontanarle
bisogna compiere un lavoro. Allontanando le armature ed essendo il condensatore isolato si avrà
che la quantità di carica elettrica Q presente sulle armature dovrà rimanere costante. Invece la
capacità del condensatore diminuirà essendo essa inversamente proporzionale alla distanza. Per la
legge del condensatore, essendo la quantità di carica elettrica pari al prodotto della tensione per la
capacità, dovrà aumentare la tensione in misura proporzionale alla distanza affinché rimanga
costante la carica . In definitiva, siccome la distanza e la tensione aumentano nella stessa misura,
rimarrà costante il campo elettrico nel dielettrico e quindi rimarrà costante la forza di attrazione tra
le armature. A causa di tutto ciò, per allontanare le armature bisognerà applicare una forza F’
uguale e contraria a F ed il lavoro W che bisognerà spendere sarà pari al prodotto di detta forza
per la distanza d della quale si allontanano le armature:
W  F'd  9,562  103  3  103  28,69  106 [J]
Osservazione: per il principio di conservazione dell’energia, il lavoro speso per allontanare le
armature si ritroverà sotto forma di energia potenziale del campo elettrico tra le armature del
condensatore. Tale energia aumenterà infatti da W a W’:
C  
S
1500  10 4
 8,854  10 12 
 2,656  10 10 [F]

3
d
5  10
Q  C  VAB  2,656  10 10  600  1,594  10  7 [Q]
VAB '  E  d'  120  10 3  (5  3)  10  3  960 [V]
1
1

 Q  VAB   1,594  10 7  600  4,781  10 5 [J] 
6
2
2
  W  W' W  28,70  10 [J]
1
1
W'   Q  VAB '   1,594  10 7  960  7,651  10 5 [J]
2
2

Esercizio 4 (forza elettrostatica sul dielettrico)
W
Il campo elettrico esercita forze elettrostatiche sia sui corpi conduttori che sui corpi isolanti
(dielettrici) che esso investe. L’entità ed il verso di tali forze seguono un principio generale comune
a qualunque sistema fisico dotato di energia potenziale. Secondo tale principio il sistema tende a
deformarsi spontaneamente in modo tale da provocare la massima trasformazione di energia
potenziale in lavoro meccanico.
Nel caso specifico le forze elettrostatiche che agiscono sui corpi conduttori o dielettrici soggetti
all’azione di un campo elettrico tendono a produrre deformazioni tali da provocare un aumento
della capacità elettrica del sistema in quanto, se il sistema è isolato, a parità di carica elettrica
l’energia potenziale accumulata nel campo diminuisce se la capacità aumenta. Ecco allora spiegato
perché tra le armature di un condensatore carico agiscono forze attrattive che, se le armature fossero
libere di muoversi, determinerebbero il loro avvicinarsi e quindi l’aumento della capacità con
conseguente trasformazione dell’energia potenziale del campo elettrico in lavoro meccanico di
spostamento delle armature.
Se invece le armature sono impedite di muoversi e si avvicina un corpo dielettrico (avente costante
dielettrica maggiore di quella del mezzo nel quale il campo si sviluppa) fino a farlo investire dal
campo elettrico accade che sul corpo dielettrico agisce una forza elettrostatica tale da risucchiarlo
all’interno del campo tra le armature facendo assumere al corpo una posizione finale che
corrisponde a quella di massima capacità elettrica del condensatore; anche in questo caso si avrebbe
la trasformazione di parte dell’energia potenziale del campo elettrico in lavoro meccanico sul corpo
dielettrico risucchiato. Infine, se avvicino un corpo conduttore ad un condensatore fino a farlo
lambire dal campo elettrico presente tra le armature accade ancora che il corpo conduttore viene
21
risucchiato all’interno del campo ed assume la posizione finale per la quale diventa massima la
capacità del condensatore con conseguente trasformazione di parte dell’energia potenziale del
campo elettrico in lavoro meccanico.
Le considerazioni sopra fatte valgono sempre, anche nel caso di sistema non isolato, nel qual caso le
trasformazioni energetiche dovranno avvenire rispettando i vincoli imposti dall’esterno.
A titolo di esempio consideriamo un condensatore avente le armature rettangolari di lati a=50 [cm]
e b=70 [cm], poste alla distanza d=4 [mm], il dielettrico sia aria secca. Fra le armature sia applicata
e mantenuta costante mediante un generatore elettrico la tensione V=2000 [V].
V
d
+ Q
b
b-x
0
-Q
F
x
r
1) determinare la forza F con la quale è risucchiata tra le armature una lastra di mica (costante
dielettrica relativa r=7) di ampiezza uguale ad a e spessore uguale a d e parzialmente immersa nel
campo tra le armature.
Rispetto alla trattazione iniziale bisogna tenere conto del fatto che il condensatore non costituisce
un sistema isolato in quanto è collegato ad un generatore elettrico che vincola al valore costante
V=2000 [V] la tensione tra le armature.
Il condensatore si può immaginare come se fosse costituito da due condensatori tra di loro in
parallelo, il primo di capacità C1 avente come dielettrico l’aria secca ed il secondo di capacità C2
avente come dielettrico la mica. La capacità complessiva per un generico valore x di penetrazione si
può quindi esprimere come la somma delle due capacità:
a  (b  x ) 
C1   0

a  (b  x )
ax
d
 C  C1  C2   0
 0  r 
a x 
d
d

C2   0   r 
d 
22
 0  a  b ( 0   r  a   0  a)  x

d
d
Si osserva come la capacità del condensatore tenda ad aumentare all’aumentare della penetrazione
x, il primo termine della sommatoria non dipende dalla penetrazione e rappresenta ovviamente la
capacità del condensatore quando la penetrazione è ancora nulla.
Rispetto alla generica situazione di penetrazione x consideriamo ora cosa succede al sistema in
conseguenza di una ulteriore penetrazione di valore x.
La capacità subirà una variazione che evidentemente sarà pari a:
(    a   0  a)  x
C  0 r
d
Essendo costante la tensione applicata al condensatore (perché vincolata dalla presenza del
generatore elettrico), l’aumento di capacità comporterà un aumento della quantità di carica elettrica
sulle armature Q ed un aumento dell’energia elettrica del campo WE secondo le espressioni:
Q  V  C
C
WE 
1 2
 V  C
2
Naturalmente, considerando la maggiore quantità di carica elettrica Q separata ai suoi poli, il
generatore sarà chiamato ad erogare una maggiore quantità di energia elettrica WG, nella misura:
WG  V  Q
Per il principio di conservazione dell’energia la maggior quantità di energia erogata dal generatore
WG dovrà corrispondere alla sommatoria della maggior energia elettrica del campo WE e del
lavoro meccanico WF compiuto dalla forza F che il campo elettrico esercita sulla lastra di mica:
WG  WE  WF
dove:
WF  F  x
Risolvendo rispetto F e sostituendo a WE e WG le rispettive espressioni si ottiene infine:
1 2
1 2
WG  WE V  Q  2  V  C V  ( V  C)  2  V  C
F



x
x
x
(     a   0  a )  x 1 2 (  0   r  a   0  a )  x
V2  0 r
 V 
(    a   0  a)
1
d
2
d

  V2  0 r
x
2
d
Si osserva che la forza F non dipende dal valore x della penetrazione, in altri termini essa rimane
costante qualsiasi sia il valore di x ovvero la lastra di mica sarà risucchiata tra le armature da una
forza costante. La forza si annullerà solo quando la lastra di mica avrà occupato interamente lo
spazio tra le armature in quanto a tale posizione corrisponde la massima capacità elettrica del
condensatore. Sostituendo nell’espressione alle varie grandezze i rispettivi valori si può calcolare
l’intensità della forza:
12
1 2 ( 0   r  a   0  a) 1
 7  50  10 2  8,854  10 12  50  10 2 )
2 ( 8,854  10
F  V 
  2000 

2
d
2
4  10  3
 13,28  10  3 [N]
2) determinare di quanto aumenta l’energia elettrostatica WE immagazzinata dal dielettrico del
condensatore in seguito alla penetrazione completa della lastra di mica tra le armature e l’energia
WG fornita al sistema da parte del generatore di alimentazione.
23
Considerando che in tal caso x=b, basta calcolare in sequenza:
C 
( 0   r  a   0  a)  b (8,854  10 12  7  50  10 2  8,854  10 12  50  10 2 )  70  10 2


d
4  10  3
 4,648  10 9 [F]
1
1
WE   V 2  C   2000 2  4,648  10 9  9,297  10 3 [J]
2
2
Q  V  C  2000  4,648  10 9  9,296  10 6 [C]
WG  V  Q  2000  9,296  10 6  18,59  10  3 [J]
Si osserva che WG è il doppio di WE ovvero l’energia fornita dal generatore per metà va ad
incrementare l’energia di polarizzazione del dielettrico e per metà si trasforma in lavoro meccanico
di spostamento della lastra.
Esercizio 5 (reti di condensatori)
Data la seguente rete di condensatori:
C3
C4
D
C5
A
E
B
C1
C1 = 6 [F]
C2 = 2 [F]
C3 = 2 [F]
C4 = 4 [F]
C5 = 3 [F]
VAE = 2000 [V]
C2
VAE
+
-
1) determinare la carica totale assorbita dalla rete di condensatori.
Allo scopo bisogna ridurre il gruppo di capacità ad un’unica capacità equivalente tra i nodi A ed E
applicando le semplificazioni dei condensatori in serie o in parallelo e, se necessario, le
trasformazioni stella-triangolo. Nel nostro caso non ci sono condensatori in serie o in parallelo,
quindi bisogna procedere con una trasformazione. Ad esempio si può trasformare il triangolo C1,
C3, C5 in una stella:
CD
O
CA
D
VDB
C4
VDE
VBE
(*)
CB
A
E
B
C2
VAE
+
24
In seguito alla trasformazione compare il nuovo nodo O centro della stella cui fanno capo le tre
capacità della stella i cui valori si determinano con le note relazioni:
C  C  C3  C5  C5  C1
CA  1 3
 12 [F]
C5
CB 
C1  C3  C3  C5  C5  C1
 18 [F]
C3
C1  C3  C3  C5  C5  C1
 6 [F]
C1
Nel circuito che si ottiene si possono ridurre CD, C4 e CB, C2 in quanto entrambe le coppie sono in
serie:
CD 
CD4
O
VOE
CA
(**)
A
E
CB2
VAE
+
-
Le nuove capacità varranno:
1
C D4 
 2,4 [F]
1
1

C D C4
CB 2 
1
 1,8 [F]
1
1

CB C 2
Nel circuito che si ottiene si possono ridurre CD4, CB2 in quanto sono in parallelo:
CP
O
VOE
CA
(***)
A
E
VAE
+
-
CP  CD4  CB2  4,2 [F]
Infine la capacità equivalente tra i nodi A ed E sarà data dalla serie di CA, CP:
25
1
 3,111 [F]
1
1

CA CP
Applicando la nota legge del condensatore si può ora calcolare la carica complessiva accumulata:
Ceq 
QT  Ceq  V  3,111  106  2000  6,222  103 [C]
2) determinare la carica accumulata dal condensatore C5 individuando quale delle sue due armature
si caricherà positivamente.
Allo scopo bisogna determinare la tensione tra i punti D, B essendo il condensatore in oggetto
collegato tra di essi. Posso innanzitutto calcolare VOE utilizzando la rete (***), infatti in tale rete le
capacità CA e CP sono in serie e quindi presentano la stessa carica che è anche la carica complessiva
QT:
QP 6,222  103

 1481 [V]
CP
4,2  106
Ora, dalla rete (**), conoscendo VOE posso calcolare la carica QD4 della capacità CD4:
QP  QT  6,222  10 3 [C]  VOE 
QD4  CD4  VOE  2,4  106  1481  3,554  103 [C]
Dalla rete (*) vedo che CD4 è la serie di CD e C4 e quindi avremo che la carica QD4 sarà anche la
carica di CD e C4, posso allora determinare la tensione ai capi di C4:
Q 4 3,554  10 3

 888,5 [V]
C4
4  10 6
Con procedimento del tutto analogo trovo la tensione VBE ai capi di C2:
Q 4  Q D4  3,554  10  3 [C]  VDE 
Q B2  CB2  VOE  1,8  10 6  1481  2,666  10 3 [C]
Q 2 2,666  10 3
Q 2  Q B2  2,666  10 [C]  VBE 

 1333 [V]
C2
2  10 6
La polarità delle armature dei condensatori C1, C3, C4, C2 sono univocamente determinate in
quanto è nota la polarità della tensione VAE che presenta il potenziale in A maggiore del potenziale
in E; quindi i condensatori C1, C3 hanno positive le armature direttamente connesse al punto A,
mentre i condensatori C4, C2 hanno negative le armature direttamente connesse al punto E. Ne
consegue che le tensioni ai capi dei condensatori C4, C2 hanno l’orientamento riportato nello
schema (*).
3
Risulta ora possibile determinare la tensione VDB presente ai capi del condensatore C5 e la carica
del condensatore stesso:
VDB  VDE  VBE  0  VDB  VDE  VBE  888,5  1333  444,5 [V]
Q 5  C 5  VDB  3  10  6  444,5  1,333  10  3 [C]
Essendo risultata VDB negativa avremo che il potenziale nel punto B sarà maggiore del potenziale
nel punto D e quindi il condensatore C5 si caricherà positivamente sull’armatura collegata al punto
B.
Esercizio 6 (circuito in c.c. con condensatori)
Sia data la rete elettrica sotto raffigurata, in condizioni di regime stazionario e con generatori di
tensione continua:
26
E3
R3
A
E1 = 1200 [V]
E2 = 400 [V]
E3 = 100 [V]
R1 = 4 []
R2 = 5 []
R3 = 10 []
R4 = 8 []
C3 = 800 [F]
C2 = 6 [mF]
C1 = 3 [mF]
E2
R1
C3
R4
N
M
R2
E1
B
C1
C2
Determinare la carica elettrica di ciascuno dei tre condensatori presenti.
Soluzione
Per trovare la carica dei condensatori bisogna prima calcolare la tensione ai loro capi. Allo scopo
bisogna analizzare la rete elettrica nei quali sono inseriti. Questa analisi va condotta tenendo
presente che in corrente continua ed in condizioni di regime stazionario nei rami che presentano
condensatori la corrente elettrica è nulla in quanto il condensatore costituisce una interruzione del
circuito.
Al fine della tensione tra i punti MN ed AB si possono allora togliere i rami con condensatori in
quanto in essi la corrente è nulla, in tal modo la rete da studiare si riduce alla seguente:
I2
A
VAB
E2
R1
R4
N
M
R2
E1
B
VMN
Tale rete si presta ad essere risolta mediante la formula di Millman:
27
E1 E 2
1200 400


R1 R 2
4
5  660,9 [V]
VAB 

1
1
1
1 1 1


 
R1 R 4 R 2
4 8 5
Per trovare VMN devo prima calcolare I2:
VAB   E 2  R 2  I 2  I 2 
 E 2  VAB  400  660,9

 52,17 [A]
R2
5
Quindi calcolo VMN:
VMN   E1  R 2  I 2  1200  5  (52,17)  939,2 [V]
Sono ora in grado di calcolare la carica dei condensatori prendendo in considerazione il ramo ove
sono inseriti e la tensione applicata al ramo stesso.
Per quanto riguarda C3, la presenza della resistenza R3 è ininfluente perché nel ramo non circola
corrente. Fisso arbitrariamente il verso della tensione V3 applicata al condensatore:
E3
R3
A
C3
VAB
VC3
B
VAB   E3  VC3  VC3  VAB  E3  660,9  100  560,9 [V]
Q 3  C3  VC3  800  106  560,9  0,4487 [C]
Essendo VC3 positiva si caricherà positivamente l’armatura rivolta verso il punto A.
Per quanto riguarda C1, C2, essendo in serie accumuleranno la stessa carica che posso trovare
attraverso la loro capacità equivalente:
28
VMN
N
M
C1
C12 
1
1
1

C1 C 2

1
1 1

3 6
C2
 2 [mF]
Q1  Q 2  Q12  C12  VMN  2  10  3  939,2  1,878 [C]
Essendo VMN positiva, si caricheranno positivamente le armature rivolte verso il punto M.
Se si desidera conoscere la tensione ai capi di ciascun condensatore, si può facilmente trovare:
Q
1,878
VC1  1 
 626,1 [V]
C1 3  10  3
VC 2 
Q2
1,878

 313,1 [V]
C 2 6  10  3
29
Campi e circuiti magnetici
Indice dei contenuti:
1. Introduzione
2. Campo magnetico
3. Induzione magnetica, permeabilià magnetica
4. Flusso concatenato con un circuito
5. Induttanza elettrica di un circuito
6. Coefficiente di mutuo accoppiamento tra due circuiti
7. Legge generale dell'induzione elettromagnetica
8. Forze elettromagnetiche
9. Forze elettrodinamiche
10. Coppia agente su di una spira immersa in un campo magnetico
11. Moto di una carica elettrica in un campo magnetico
12. Energia immagazzinata in un campo magnetico
13. Tensione magnetica, legge della circuitazione magnetica
14. Circuiti magnetici, legge di Hopkinson
15. La non linearità dei mezzi ferromagnetici
16. Caratteristiche dei più comuni materiali ferromagnetici: tabelle
17. La risoluzione dei problemi diretti e dei problemi inversi
18. Circuiti magnetici a più maglie
19. Forza portante di un elettromagnete
20. Perdite di potenza nei materiali ferromagnetici
21. Significato delle unità di misura nel magnetismo
22. Transitorio elettrico nei circuiti ohmico-induttivi
23. Esercizio 1 (campo magnetico in un solenoide, induttanza, f.e.m autoindotta, energia)
24. Esercizio 2 (f.e.m indotta in una spira che ruota in un campo magnetico)
25. Esercizio 3 (circuito magnetico tutto serie, problema diretto)
26. Esercizio 4 (circuito magnetico tutto serie, problema inverso)
27. Esercizio 5 (forza portante di un elettromagnete)
Introduzione
Quanto esposto in questi appunti ha lo scopo di riassumere quelle conoscenze sul magnetismo già
note dal corso di fisica del biennio e di proporre quelle integrazioni che più direttamente fanno
riferimento alle applicazioni elettrotecniche. Nelle espressioni, le grandezze vettoriali sono indicate
mediante sottolineatura.
Originariamente col termine magnetismo si intendeva la proprietà di certi corpi, detti magneti, di
attirare il ferro e di attirare, o respingere, altri magneti. Oggi si intende la teoria dei fenomeni
magnetici, cioè la teoria del campo magnetico e del comportamento della materia in esso. E' bene
precisare che non esiste un magnetismo separato da correnti elettriche o campi elettrici.
Nella natura (ma possono anche essere prodotti artificialmente) esistono dei materiali, detti magneti
permanenti, che riescono a sviluppare delle forze, anche a distanza, sul ferro attirandolo verso se
stessi o che interagiscono tra di loro con forze di attrazione o repulsione secondo come vengono
avvicinati. In definitiva nello spazio circostante tali materiali esiste un campo di forze, detto
appunto campo magnetico. La teoria dei campi permette lo studio dei fenomeni legati al
magnetismo ed avvicina tale studio a quanto già considerato a proposito della elettrostatica.
30
Campo magnetico
E' così chiamato il campo di forza prodotto da un magnete, oppure da una corrente elettrica, oppure
da un campo elettrico variabile nel tempo. Con campo magnetico si intende anche la grandezza
fisica, simbolo H [A / m] , che indica la forza che agisce nel campo su un polo magnetico di
intensità unitaria.
Cominciamo col prendere in considerazione il campo magnetico generato da un magnete avente
forma di barretta. Si possono individuare due poli, più precisamente il polo Nord dal quale escono
le linee di forza del campo magnetico ed il polo Sud nel quale entrano le linee di forza del campo
magnetico. Si osserva che, a differenza dei campi elettrici, nel caso dei campi magnetici le linee di
forza sono chiuse. I due poli sono così chiamati perché, se il magnete è lasciato libero di orientarsi
nello spazio, rivolge sempre l'estremità individuata come polo Nord verso il Nord geografico e
l'altra verso il Sud geografico. Ciò accade perché la Terra è per sua natura un gigantesco magnete,
avente il polo Sud magnetico quasi in corrispondenza del polo Nord geografico, che agisce nello
spazio circostante attraverso un suo campo magnetico e due magneti tendono ad attrarsi se sono
affacciati coi poli opposti.
Una ulteriore proprietà dei magneti è quella che, se sminuzzati, tendono a formare ulteriori magneti
di dimensioni più piccole, questo perché i poli magnetici Nord e Sud non possono essere divisi in
alcun modo.
Ancora si deve dire che i materiali ferrosi, se avvicinati ad un magnete in modo tale da entrare nel
suo campo magnetico, subiscono il fenomeno della magnetizzazione, ovvero anche essi diventano
magnetici e presentano dal lato col quale sono accostati una polarità magnetica opposta a quella del
magnete permanente. Questo è il motivo per il quale il ferro viene attratto dai magneti. Se poi i
materiali ferrosi sono allontanati dal campo magnetico del magnete permanente accade che essi
perdono quasi tutto il magnetismo precedentemente acquisito.
Prendiamo ora in considerazione il campo magnetico prodotto dalle correnti elettriche.
31
In un conduttore rettilineo percorso da una corrente di intensità I, il campo magnetico nello spazio
circostante avrà le linee di forza come in figura e la sua intensità in un punto distante d dalla
corrente varrà H = I / (2··d) [A /m] ( legge di Biot-Savart ).
32
Consideriamo come ulteriore esempio un solenoide (avvolgimento avente forma di bobina), di
lunghezza l molto maggiore del diametro, composto di N spire e percorso dalla corrente di intensità
I . Per tale sistema si può dire che il campo all'interno è praticamente uniforme e di intensità H =
N·I / l [A / m] .
Infine consideriamo un solenoide toroidale la cui principale caratteristica è quella di contenere tutto
il campo al proprio interno. Se N è il numero di spire, r è la lunghezza del raggio medio ed I
l'intensità della corrente, sarà H = N·I / (2··r) [A / m] .
In ogni caso, qualsiasi sia il circuito, tra il verso della corrente nel circuito ed il verso del campo
magnetico generato dalla corrente, esiste sempre la stessa relazione che si riscontra tra il verso di
rotazione di una vite ed il verso di avanzamento della vite stessa.
Induzione magnetica, permeabilità magnatica
Gli effetti dovuti alla presenza di campo magnetico dipendono, oltre che dal valore del campo,
anche dalla natura del mezzo entro il quale il campo si sviluppa. Rispetto al loro comportamento nei
confronti dei campi magnetici, le sostanze si possono classificare in :
diamagnetiche pure : sono così chiamate perché presentano solo diamagnetismo (proprietà
riconducibile alla precessione di Larmor degli elettroni nel campo magnetico, comune a tutte le
sostanze). Il diamagnetismo è indipendente dallo stato fisico del mezzo, tali sostanze si
magnetizzano solo in presenza di un campo magnetico esterno assumendo una polarità opposta a
quella del campo esterno. Per tale motivo, in un campo magnetico non omogeneo, agisce su di un
corpo diamagnetico una forza che cerca di spingerlo fuori dal campo magnetico, mentre in un
campo magnetico omogeneo la presenza di un corpo diamagnetico produce la deformazione delle
linee di campo rappresentata in figura. Sono sostanze diamagnetiche i gas nobili, l'azoto, l'idrogeno,
la grafite, l'oro, la salgemma e l'acqua.
paramagnetiche : sono così chiamate quelle sostanze che, a causa della presenza di livelli elettronici
non chiusi, tendono a costituire molecole magneticamente dipolari (assimilabili a magnetini
elementari). Per tali sostanze la magnetizzazione provocata da un campo magnetico esterno è in
linea e concorde con questo e le sostanze paramagnetiche vengono attirate da un campo esterno non
omogeneo verso le zone con maggiore intensità di campo. In un campo magnetico omogeneo la
presenza di un corpo paramagnetico produce la deformazione delle linee di campo rappresentata in
figura. Il paramagnetismo diminuisce coll'aumentare della temperatura e già alla temperatura
33
ambiente i magnetini elementari si trovano in disordine statistico a causa del movimento termico.
Sono sostanze paramagnetiche l'alluminio, il magnesio, il manganese, il cromo, il sodio, il potassio,
l'ossigeno e l'aria.
ferromagnetiche : sono così chiamate quelle sostanze che, a causa del loro particolare stato
cristallino, presentano delle aree con magnetizzazione costante (domini di Weiss) nelle quali i
magnetini elementari sono orientati parallelamente tra di loro. Godono delle stesse proprietà dei
materiali paramagnetici con l'aggiunta di poter essere, già alla temperatura ambiente, loro stesse
sorgenti di campo magnetico qualora siano state precedentemente immerse in un campo magnetico.
Le sostanze ferromagnetiche perdono le loro proprietà e diventano paramagnetiche se sottoposte ad
una temperatura uguale o maggiore alla temperatura di Curie ( 768 [°C] per il ferro). Sono sostanze
ferromagnetiche il ferro, il nickel, il cobalto e speciali leghe.
Nelle sostanze ferromagnetiche la tendenza a "catturare" le linee di campo magnetico, propria anche
delle sostanze paramagnetiche, è particolarmente accentuata (vedi figura). Tale fatto viene utilizzato
al fine di creare degli schermi magnetici che rendono lo spazio al loro interno praticamente
insensibile ai campi magnetici esterni. Sono varie le applicazioni degli schermi magnetici, ad
esempio in alcuni strumenti la schermatura serve ad evitare che il campo magnetico terrestre od i
campi magnetici spuri prodotti nel laboratorio possano alterare i valori misurati.
Si chiama induzione magnetica (o densità di flusso magnetico) il vettore associato al campo
magnetico la cui grandezza rappresenta una misura dell'intensità dell'azione di un campo
magnetico; in essa viene compreso l'influsso del materiale attraversato dal campo e del relativo
stato di magnetizzazione. Così che l'induzione magnetica, a parità di campo magnetico inducente,
ad esempio è maggiore nel ferro piuttosto che nell'aria:
B = ·H [Wb / m2] , nel vuoto si ha o = 1,257·10-6 [H / m]
34
Per i mezzi diversi dal vuoto, la permeabilità magnetica assoluta si esprime relativamente a quella
del vuoto r · o dove r è un numero puro chiamato permeabilità relativa. Per le sostanze
diamagnetiche si ha che r è di pochissimo inferiore ad uno, per le sostanze paramagnetiche r è di
pochissimo superiore ad uno, per le sostanze ferromagnetiche r è di molto più grande di uno (può
arrivare anche a 100.000).
Flusso concatenato con un circuito
Considerando un campo magnetico omogeneo di induzione costante B ed una superficie piana di
area S orientata rispetto al campo in modo tale che la normale N alla superficie formi un angolo 
con la direzione del campo, si chiama flusso del vettore induzione magnetica attraverso la superficie
di area S la grandezza scalare :
 = B·S·cos() [Wb]
chiamata più semplicemente flusso magnetico.
Se poi la superficie S è quella delimitata dal perimetro di un circuito elettrico, si parla di flusso
concatenato col circuito elettrico c.
Siccome, come si vedrà più avanti, nelle applicazioni elettrotecniche si cerca di rendere massimo il
flusso concatenato coi circuiti elettrici, si dà a questi la forma di avvolgimenti. Si osserva che una
linea qualsiasi del campo magnetico è concatenata con un circuito elettrico se attraversa un numero
dispari di volte la superficie chiusa delimitata dal perimetro del circuito stesso.
Induttanza elettrica di un circuito
E', più correttamente, chiamata coefficiente di autoinduzione. Rappresenta l'attitudine di un circuito
elettrico a concatenarsi col flusso di campo magnetico ac originato dalla corrente elettrica I che
percorre il circuito stesso :
L = ac / I [H]
Tale parametro dipende dalla forma e dalle dimensioni geometriche del circuito elettrico oltre che
dalla permeabilità magnetica  del mezzo entro il quale si sviluppa il campo magnetico prodotto
dalla corrente che percorre il circuito stesso. Tende ad essere grande per i circuiti con forma ad
avvolgimento ed avvolti su nuclei ferromagnetici. Ad esempio, per un solenoide rettilineo di
lunghezza l superiore di almeno 10 volte del diametro, di sezione S e composto da N spire,
l'induttanza vale :
35
L = ·S·N2 / l [H]
La stessa espressione vale pure per il solenoide toroidale già visto.
I dispositivi che realizzano valori concentrati elevati di induttanza sono chiamati induttori. Possono
essere collegati in serie od in parallelo, se collegati in serie l'induttanza complessiva è pari alla
somma delle singole induttanze, se collegati in parallelo l'inverso dell'induttanza complessiva è pari
alla somma degli inversi delle singole induttanze.
Nei circuiti elettrici, il parametro induttanza elettrica viene indicato col simbolo sopra disegnato.
Coefficiente di mutuo accoppiamento tra due circuiti
Dati due circuiti, il loro coefficiente di mutuo accoppiamento esprime l'attitudine del sistema
formato dai due circuiti a far si che il flusso di campo magnetico prodotto dalla corrente che circola
nel primo si concateni col secondo e viceversa . Chiamando con c21 il flusso che, originato dalla
corrente I2 che circola nel secondo circuito, si concatena col primo circuito e con c12 il flusso che,
originato dalla corrente I1 che circola nel primo circuito, si concatena col secondo circuito, si può
scrivere :
M = c21 / I2 = c12 / I1 [H]
Si osserva che il coefficiente di mutua induzione può essere sia positivo che negativo, perché il
segno dipende dalla relazione esistente tra i flussi generati dai due circuiti in quanto se questi sono
concordi M è positivo, se questi sono discordi M è negativo. Inoltre M non cambia di valore se i
due circuiti si scambiano di posto.
Il coefficiente di mutua induzione tra due circuiti è legato al valore delle rispettive induttanze dalla
relazione :
dove k è il coefficiente di accoppiamento espresso da un numero positivo compreso tra zero ed uno.
Se k = 0 non vi è alcun mutuo accoppiamento, se k = 1 vi è un accoppiamento perfetto.
Nei circuiti elettrici il simbolo col quale si indica il mutuo accoppiamento è quello riportato nella
figura sopra disegnata. I puntini neri posti ad una estremità di ciascuno degli avvolgimenti indicano
i morsetti corrispondenti del componente, nel senso che il valore di M risulta positivo se la corrente
in entrambi gli avvolgimenti entra nel morsetto contraddistinto dal puntino, negativo in caso
contrario.
36
Legge generale dell'induzione elettromagnetica
E' alla base del principio di funzionamento di gran parte delle macchine e applicazioni elettriche
(generatori, motori, trasduttori, ecc.) e prende anche il nome di legge di Faraday-Neuman-Lenz.
Essa dice che ogniqualvolta varia nel tempo il flusso concatenato con un circuito elettrico, nel
circuito elettrico scaturisce una forza elettromotrice indotta di intensità proporzionale alla velocità
di variazione del flusso concatenato.
Con riferimento ad un intervallo finito di tempo t , il valore medio della f.e.m.i. vale :
Il verso della f.e.m.i. è tale da opporsi alla variazione di flusso concatenato che l'ha generata, ovvero
se nel circuito, grazie alla ei , può circolare una corrente essa avrà verso tale da dar luogo ad un
campo magnetico concorde con quello concatenato che sta variando se questi sta diminuendo,
opposto se questi sta aumentando.
Se il flusso concatenato che varia è quello dovuto alla induttanza stessa del circuito elettrico, si
parla di forza elettromotrice autoindotta :
dove la prima espressione è da riferirsi ad una variazione di corrente mentre la seconda è da riferirsi
ad una variazione della forma o della posizione del circuito.
Quale esempio consideriamo quello del circuito di figura, costituito da tre lati indeformabili ed un
lato MN di lunghezza l che può scorrere verticalmente. Supponiamo che tale movimento avvenga
senza attrito. Sia R la resistenza complessiva de circuito. Il circuito sia concatenato con un campo
magnetico di induzione B uniforme, le cui linee di forza siano perpendicolari ed entranti nel piano
su cui giace il circuito. Si consideri il lato MN in movimento verso il basso con una velocità
37
costante ve . Se all'istante t la posizione occupata dal lato in movimento è quella indicata a tratto
pieno,dopo un intervallo di tempo t , e quindi all'istante (t + t) , la posizione occupata sarà quella
indicata in tratteggio essendo lo spazio percorso x = ve·t . Nell'intervallo di tempo t , a causa
dell'aumento della superficie del circuito intersecata dalle linee di campo magnetico, sarà aumentato
il flusso concatenato di una quantità pari a c = B·l·x e, quindi, per la legge generale della
induzione elettromagnetica si sarà sviluppata una f.e.m.i. di valore :
Il verso di tale f.e.m.i. dovrà essere tale da opporsi alla variazione di flusso concatenato e, quindi,
considerando che il flusso concatenato aumenta, la ei dovrà tendere a far circolare una corrente da
M verso N così che il flusso generato da tale corrente si opponga a quello preesistente dovuto
all'induzione B . Molto semplicemente il verso della f.e.m.i. si può determinare con la regola delle
tre dita della mano destra, orientate a formare una terna cartesiana ortogonale ( ponendo il pollice
nel verso della velocità del conduttore rispetto al campo, l'indice nel verso dell'induzione magnetica,
il medio fornirà il verso della f.e.m.i.).
Nel caso in cui il conduttore di lunghezza l sia soggetto ad una velocità formante un generico
angolo  con l'asse del conduttore stesso, sarà:
Forze elettromagnetiche
L'esempio riportato nel paragrafo precedente permette di evidenziare come dall'interazione tra un
campo magnetico ed una corrente elettrica possa scaturire una forza elettromagnetica. Infatti, a
causa della f.e.m.i. circolerà nel circuito una corrente I che produrrà per effetto Joule una
dissipazione di potenza nella resistenza R . Durante l'intervallo di tempo t si avrà lo sviluppo di
una quantità di calore pari a Wj = R·I2·t . Per il principio di conservazione dell'energia, a tale
calore dovrà corrispondere un lavoro fatto sul sistema e, per come avviene il processo, l'unico
lavoro possibile è quello fatto per muovere il conduttore di x . Questo significa che lo spostamento
del conduttore non avviene liberamente ma solo vincendo una forza Fe contraria al movimento. Il
38
lavoro fatto sul sistema varrà quindi WL = - Fe·x . Dal momento che l'energia complessiva deve
restare invariata, dovrà essere Wj + WL = 0 ovvero R·I2·t - Fe·x = 0 . Ponendo R·I2 = I·ei e
risolvendo rispetto Fe si ottiene infine :
La forza Fe è appunto chiamata forza elettromagnetica. Essa è orientata, da quanto detto, verso
l'alto (opposta allo spostamento x) . In ogni caso il suo verso si può determinare con la regola delle
tre dita della mano sinistra, orientate a formare una terna cartesiana ortogonale ( ponendo l'indice
nel verso dell'induzione magnetica, il medio nel verso della corrente, il pollice fornirà il verso della
forza).
Se il conduttore percorso dalla corrente non è esattamente perpendicolare al campo magnetico (vedi
figura sopra disegnata), ma forma un angolo  , allora sarà Fe = I·B·l·sin().
Forze elettrodinamiche
Sono chiamate forze elettrodinamiche quelle forze che scaturiscono tra due conduttori entrambi
percorsi da corrente. In effetti ciascuno dei due conduttori si trova immerso nel campo magnetico
prodotto dalla corrente circolante nell'altro conduttore. Risulta facile verificare che, se i due
conduttori sono paralleli, le forze sono di attrazione se le correnti hanno lo stesso verso, le forze
sono di repulsione se le correnti hanno versi opposti. Nel caso di due conduttori paralleli, entrambi
di lunghezza l , posti alla distanza d , immersi in un mezzo di permeabilità  , percorsi da correnti di
intensità I1 ed I2 , si ha :
39
Due conduttori disposti ad angolo e percorsi da corrente tendono a orientarsi in modo da rendere le
correnti che li attraversano concordi in quanto l'azione elettrodinamica tende a chiudere l'angolo 
compreso tra le direzioni positive delle due correnti, come si vede in figura.
Coppia agente su di una spira immersa in un campo magnetico
Si immagini un circuito avente forma di spira rettangolare, libero di ruotare attorno all'asse verticale
Nr, immerso in un campo magnetico di induzione B diretto ortogonalmente rispetto l'asse Nr e
formante l'angolo  rispetto all'asse Ns ortogonale alla superficie delimitata dai lati del circuito. Se
il circuito è percorso da una corrente I si avrà che, a causa dell'interazione tra il campo e la corrente
nei lati, si svilupperanno sui quattro lati della spira quattro forze elettromagnetiche.
Più precisamente sui due lati di lunghezza a si avranno le forze Fv = a·B·I·sin(90 - ) mentre sui
due lati di lunghezza l si avranno le forze Fr = l·B·I .
Mentre le forze Fv sono opposte sulla stessa direzione e quindi danno risultante nulla, le forze Fr
sono opposte su due direzioni parallele e distinte e, quindi, danno luogo ad una coppia di valore C =
Fr·b = l·B·I·a·cos(90 - ) .
Si osserva che l·a rappresenta la superficie delimitata dalla spira e, quindi, max = B·l·a
rappresenta il massimo flusso attraverso la superficie stessa (che si ha quando  = 0 ). Inoltre
cos(90 - ) = sin() e,quindi, C = max·I·sin() .
40
Si può quindi dire che la coppia si annulla quando la spira assume la posizione per la quale è
massimo il flusso concatenato. Questa osservazione fatta nel caso particolare di una spira è valevole
in generale, ovvero un qualsiasi circuito elettrico percorso da corrente, libero di muoversi o di
deformarsi ed immerso in un campo magnetico, assume sempre quella posizione o quella forma per
la quale il valore del flusso concatenato diventa massimo.
Analogamente, in un sistema isolato, due spire percorse da corrente tendono, se libere di muoversi,
a sovrapporsi affinché il flusso magnetico concatenato risulti massimo.
Moto di una carica elettrica in un campo magnetico
Una carica elettrica Q (supposta positiva) che si muova in un campo magnetico di induzione B
subisce un'azione di forza da parte di quest'ultimo. Ciò è logico se si considera che una carica in
movimento dà luogo ad una corrente, la quale esiste però solamente là dove la carica si sta
muovendo, si parla infatti di elemento di corrente ( I·l ). Indicata con Ve la velocità e con l il
tratto di traiettoria percorso nell'intervallo di tempo t dalla carica, la corrente I associabile al tratto
di traiettoria l è data dalla relazione :
41
sulla carica agisce perciò la stessa forza che si manifesterebbe su un tratto di circuito lungo l e
percorso da una corrente avente l'intensità sopra ricavata, ovvero F = B·I·l·sin() =
B·Ve·Q·sin() ove  è l'angolo formato dalla traiettoria della carica con le linee di induzione
magnetica.
La forza elettromagnetica F risulta perpendicolare alla traiettoria e, quindi, alla velocità Ve ed
all'induzione B , il verso si troverà con la regola delle tre dita della mano sinistra. Quando però la
carica in movimento è negativa (ad esempio un elettrone) si dovrà considerare quale verso della
corrente quello opposto al verso della velocità posseduta dalla carica, questo perché il verso della
corrente è convenzionalmente quello delle cariche positive. Si possono avere i seguenti casi :
a) se la carica entra in un campo magnetico con velocità inizialmente parallela alle linee del campo,
essa non subisce alcuna azione di forza essendo  = 0 .
b) se la carica ha velocità inizialmente ortogonale alle linee del campo magnetico, essa verrà a
descrivere successivamente una traiettoria circolare contenuta nel piano ortogonale alle linee di
campo e di raggio :
La traiettoria risulta circolare perché viene percorsa sotto l'azione di una forza centripeta costante (
B·Ve·Q ) ed a questa forza fa equilibrio la forza centrifuga (
) . Dalla eguaglianza tra le
due forze viene dedotta la relazione che fornisce il raggio (m [Kg] è la massa della particella avente
carica pari a Q) .
c) se la velocità inizialmente posseduta dalla carica è obliqua rispetto alle linee di campo magnetico,
la carica verrà a percorrere una traiettoria elicoidale a causa della componente di velocità parallela
alle linee di campo che si aggiunge alla velocità del moto rotatorio impresso dalla forza
elettromagnetica.
Energia immagazzinata in un campo magnetico
42
Si consideri un circuito costituito da una pura induttanza lineare L percorsa da una corrente che, nel
tempo 0 [s] T [s], vari da 0 [A] a I [A]. Ovviamente il flusso di campo magnetico autoconcatenato
con il circuito varierà, nello stesso intervallo di tempo, da 0 [Wb] a  [Wb] essendo = L·I. Per la
legge generale dell'induzione elettromagnetica, considerato un intervallo di tempo t si avrà lo
sviluppo di una f.e.m.a.i. di valore medio pari a:
Moltiplicando ambo i membri per ( Im·t ) si ottiene:
dove è facile riconoscere per W le dimensioni di una energia corrispondente all'area del trapezio
tratteggiato di figura. Il significato di questa energia è quello di "erogata" dal generatore ed
"immagazzinata" nel campo magnetico che risulta concatenato col circuito. Se anziché considerare
l'intervallo di tempo t consideriamo l'intero intervallo 0 [s] T [s] avremo che l'energia diverrà
pari all'area del triangolo ( O, , N ) ovvero:
L'energia immagazzinata in un campo magnetico si può pure esprimere nella forma di densità
d'energia. Immaginando che nel volume Vol [m3] siano costanti in ogni suo punto il campo
magnetico e la permeabilità magnetica, dalle I = H·l ,  = B·S si avrà :
Tensione magnetica, legge della circuitazione magnetica
43
Si consideri una linea di campo magnetico e si individuino diversi tratti l per ciascuno dei quali si
possano ritenere costanti la permeabilità magnetica, il campo magnetico e, quindi, l'induzione
magnetica.
Per ciascuno di questi tratti, il prodotto H·l [A] viene chiamato tensione magnetica (per analogia
col caso elettrostatico, ove il prodotto del campo elettrico per la lunghezza fornisce una tensione
elettrica). Se si desidera la tensione magnetica tra i punti M e K si dovrà considerare:
(H·l)MH = H1·l1 + H2·l2 + H3·l3
La legge della circuitazione (nota anche come legge di Ampere) dice che se si estende la
sommatoria all'intera linea chiusa di campo magnetico si ha :
H1·l1 + H2·l2 + H3·l3 + . . . = N·I
dove N rappresenta il numero di volte per il quale la linea di campo magnetico di concatena col
circuito percorso dalla corrente di intensità I .
Se la stessa linea di forza è concatenata con più circuiti elettrici si avrà :
H1·l1 + H2·l2 + H3·l3 + . . . = ± Na·Ia ± Nb·Ib ± Nc·Ic ± . . .
dove a , b , c , . . . sono i vari circuiti concatenati con la stessa linea di forza. I vari termini ± N·I
[A] si chiamano forze magnetomotrici (per analogia con le forze elettromotrici dei circuiti elettrici).
Le forze magnetomotrici si assumono positive se favoriscono un campo magnetico concorde col
verso della linea chiusa, altrimenti si considerano negative.
Circuiti magnetici, legge di Hopkinson
Si chiama tubo di flusso del vettore induzione magnetica lo spazio tubolare racchiuso dalla
superficie descritta dalle linee di forza passanti per i punti di una qualsiasi linea chiusa tracciata nel
campo.
Si definisce circuito magnetico una qualunque regione dello spazio costituita da un tubo di flusso
del vettore induzione magnetica. Un tronco di circuito magnetico si dice omogeneo se in esso sono
costanti la sezione, la permeabilità magnetica e l'induzione magnetica.
Considerando un circuito magnetico composto da k tronchi omogenei sui quali agiscono m
avvolgimenti, la legge di Hopkinson afferma che:
dove:
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è chiamata riluttanza magnetica.
Nelle espressioni sopra scritte, con lj si intende la lunghezza del tronco generico j misurata in [m] e
con Sj la sua sezione misurata in [m 2].
La legge di Hopkinson viene usata per il calcolo dei circuiti magnetici mediante il metodo delle
riluttanze. Tale legge è analoga formalmente alla legge di Ohm per i circuiti elettrici. L'analogia
riveste notevole importanza in quanto si mantengono formalmente valide, con le opportune
schematizzazioni, le leggi relative ai collegamenti delle resistenze elettriche ed i due principi di
Kirchhoff con le seguenti corrispondenze:
intensità di corrente I [A]  flusso  [Wb]
densità di corrente  [A/m2] campo magnetico B [Wb/m2]
f.e.m. Eo [V] forza magnetomotrice N·I [A]
resistenza elettrica R [] riluttanza magnetica R [H-1]
caduta di tensione R·I [V] caduta di tensione magnetica R·= H·l [A]
d.d.p. VMN [V] tensione magnetica (H·l)MN [A]
resistività elettrica  [·m] inverso della permeabilità magnetica,  [H-1·m]
Ad esempio, per il tronco omogeneo di sezione SAD riportato sopra, si può scrivere l'analoga della
legge di Ohm applicata ad un tronco di circuito:
(H·l)DA = + N1·I1 - N2·I2 + RAD·
ove RAD = lAD / (·SAD) [H-1]
Vale inoltre:
(H·l)AD = -(H·l)DA
ove H = B /  [A/m] e B = / SAD [Wb/m2].
45
Si osservi come i segni nelle equazioni scritte seguano le regole già viste per gli analoghi circuiti
elettrici.
La non linearità dei mezzi ferromagnetici
Nei materiali ferromagnetici accade che la funzione che lega l'induzione con il campo magnetico
non è rappresentabile con una retta, questo è dovuto al fatto che la permeabilità magnetica varia al
variare del campo magnetico.
Per curva di prima magnetizzazione si intende il diagramma che rappresenta l'induzione magnetica
in funzione del campo magnetico per un materiale ferromagnetico vergine (cioè mai
precedentemente immerso in un campo magnetico). La curva è formata da quattro tratti a
caratteristiche diverse. Il tratto 0-1 tipico delle intensità di magnetizzazione piccole, per il quale la
permeabilità aumenta partendo da un valore iniziale i . Il tratto 1-2 caratterizzato da una pendenza
che può essere anche molto elevata, nel quale la permeabilità raggiunge il valore massimo max . In
tale tratto l'andamento della caratteristica è pressoché rettilineo e, per tale motivo, è chiamato tratto
lineare; di solito è proprio questa la zona di funzionamento prescelta per le più importanti
applicazioni elettrotecniche dei materiali ferromagnetici. Il tratto 2-3 , tipico delle intensità di
magnetizzazione elevate, nel quale viene abbandonato l'andamento rettilineo e la permeabilità
prende a diminuire. Per la sua forma, si parla di ginocchio della caratteristica. Infine il tratto a destra
del punto 3 ove, pur aumentando moltissimo il campo, l'induzione si incrementa di pochissimo
essendo l'andamento pressoché orizzontale. Si parla di tratto di saturazione e la permeabilità ha un
valore costante pari alla permeabilità nel vuoto.
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Il ciclo d'isteresi è il diagramma che esprime la relazione tra il campo e l'induzione per un materiale
ferromagnetico sottoposto a variazioni alternative del campo magnetizzante. Elementi caratteristici
sono l'induzione di saturazione Bs, l'induzione residua Br , il campo coercitivo Hc. La forma del
ciclo dipende dalle escursioni del campo magnetizzante, dalla natura del materiale e dalle
lavorazioni cui esso è stato sottoposto. L'area racchiusa è proporzionale all'energia dissipata nel
materiale ad ogni ciclo completato.
Caratteristiche dei più comuni materiali ferromagnetici: tabelle
La tabella sottostante riporta la caratteristica di magnetizzazione dei più comuni materiali
ferromagnetici. La tabella è seguita da un grafico che rappresenta gli stessi valori, sul grafico è
immediato cogliere la grande diversità di comportamento per i diversi materiali.
Permeabilità magnetica del vuoto o = 1,257·10-6 [H/m]
Ferro fucinato ed
Ghisa
Lamiere
Lamiere al silicio
acciaio fuso
normali
Induzione Campo Perm. Campo Perm. Campo Perm. Campo
Perm.
2
[Wb/m ] [A/cm ] relativa [A/cm ] relativa [A/cm ] relativa [A/cm ] relativa
0,1
0,7
1136
2
398
0,45
1768
0,8
994
0,2
0,9
1768
4,5
354
0,5
3182
1
1591
0,3
1
2387
8
298
0,6
3978
1,25
1909
0,4
1,2
2652
13
245
0,7
4546
1,45
2195
0,5
1,4
2841
20
199
0,9
4420
1,6
2486
0,6
1,7
2808
28
170
1,3
3672
1,8
2652
0,7
2,2
2531
40
139
1,7
3276
2
2784
0,8
2,7
2357
55
116
2,3
2767
2,5
2546
0,9
3,2
2237
80
89
3,3
2170
3,1
2310
1
4
1989
110
72
4,7
1693
4
1989
1,1
5
1750
150
58
6,3
1389
5
1750
1,2
6,2
1540
200
48
8
1193
7
1364
1,3
8,5
1217
10,5
985
12
862
1,4
12
928
13,5
825
23
484
1,5
20
597
18
663
40
298
Lamiere a cristalli
orientati
Campo
Perm.
[A/cm ] relativa
0,4
0,58
0,75
0,88
1
1,4
19887
15088
12729
11752
11138
8524
47
1,6
1,7
1,8
1,9
2
2,1
2,2
2,3
2,4
2,5
35
60
100
160
250
400
750
1300
2100
3000
364
225
143
94
64
42
23
14
9
7
31
52
90
148
300
460
670
920
1200
1500
411
260
159
102
53
36
26
20
16
13
75
140
240
370
510
168
97
60
41
31
4,5
16
2829
845
Vediamo ora i dati caratteristici di alcuni materiali ferromagnetici dolci (adatti alla costruzione dei
nuclei, ovvero dei circuiti magnetici, delle apparecchiature elettriche).
Materiale
Nome
commerciale
Ferro
Fe-Si (4% Si)
laminato a
caldo
Fe-Ni (50% Ni) Isoperm 50
Fe-Ni-Mo (79% Supermalloy
Ni, 5% Mo)
Permeabilità Permeabilità Induzione di Campo di
Campo
Punto
iniziale
massima
saturazione saturazione coercitivo Curie
relativa
relativa
[T]
[A/m]
[A/m]
[°C]
10000
200000
2,15
4
770
500
7000
1,97
120000
40
690
90
100000
100
1000000
1,6
0,79
800
480
0,2
500
400
48
Per ultimo esaminiamo i dati caratteristici di alcuni materiali ferromagnetici duri (adatti alla
costruzione dei magneti permanenti).
Materiale
Fe-C (1% C)
Fe-Co (35% Co)
Fe-Ni-Al-Co-Cu
Ferrite (Fe-Co)
Fe-Ni-Al-Co-Cu
Nome
commerciale
Acciaio al
carbonio
Acciaio al cobalto
Alnico
Vectolite
Ticonal
Campo coercitivo Induzione residua
Campo di
[A/m]
[T]
saturazione [A/m]
4000
1
20000
20000
40000
72000
51000
0,9
0,8
0,16
1,27
100000
200000
360000
255000
Osservazione: l’alnico ed il ticonal combinano gli stessi elementi chimici, ma in quantità
percentuali diverse.
La risoluzione dei problemi diretti e dei problemi inversi
I problemi che praticamente si presentano nelle soluzioni dei circuiti magnetici sono essenzialmente
due e precisamente:
1. assegnate le caratteristiche strutturali e geometriche del circuito ed il flusso che in esso si
vuole ottenere, determinare il numero delle amperspire necessarie per avere il flusso
richiesto ( problema diretto);
2. assegnato il numero delle amperspire e le caratteristiche geometriche e strutturali del
circuito, determinare il flusso che vi si stabilisce ( problema inverso ).
Nel primo caso la soluzione di qualsiasi circuito magnetico si riconduce alla applicazione della
legge della circuitazione ( metodo delle forze magnetomotrici parziali ) o della legge di Hopkinson (
metodo delle riluttanze ), in quanto la conoscenza delle caratteristiche geometriche e strutturali
consente di determinare la riluttanza di qualunque tronco omogeneo del circuito.
Nel secondo caso la soluzione si presenta semplice solamente quando il circuito è costituito da un
sol tronco ( nel qual caso si ricava il campo dalla H = N·I / l , si risale al valore di induzione B
usando le caratteristiche o le tabelle di magnetizzazione, infine si calcola il flusso mediante  = B·S
).
Se il circuito si compone di più tronchi accade che la non linearità della caratteristica di
magnetizzazione rende impossibile prevedere il valore della permeabilità o del campo magnetico
nelle diverse parti del circuito mediante l'applicazione diretta di equazioni risolutrici. Bisogna
quindi procedere per tentativi applicando il seguente algoritmo:
a) si stabilisce il valore di accuratezza percentuale  che si desidera soddisfare. Esso può essere
convenientemente espresso relativamente alla f.m.m. assegnata (N·I)A ;
b) si assegna arbitrariamente l'induzione B in uno dei tronchi del circuito. E' bene scegliere per il
primo tentativo un valore centrale fra quelli possibili tabulati sulle caratteristiche di
magnetizzazione del mezzo ferromagnetico interessato;
c) si calcola quale f.m.m. (N·I)C è necessaria per sostenere tale induzione. Questa fase della
risoluzione corrisponde ad un problema diretto, si può risolvere indifferentemente col metodo delle
riluttanze o col metodo delle forze magnetomotrici parziali;
49
d) si verifica se la condizione di accuratezza è soddisfatta, ovvero si verifica se risulta essere:
··(N·I)A  (N·I)C (N·I)A+··(N·I)A ;
e) se la condizione non è soddisfatta, si assegna un nuovo valore B all'induzione decidendo
opportunamente se esso deve essere superiore od inferiore al valore assegnato nel tentativo
precedente, quindi si ripetono nell'ordine i passi c) , d) , e) . Se la condizione è soddisfatta si
procede al passo seguente;
f) si comunica che il valore di induzione B è quello che soddisfa il problema.
Osservazione : molto spesso le caratteristiche di magnetizzazione sono note sotto forma tabellare.
Questo significa che si conoscono solo alcune triple dei valori di induzione, campo, permeabilità. In
tal caso, se si ha bisogno dei valori di una tripla non riportata sulla tabella è consentito linearizzare
le caratteristiche nell'intorno del punto K interessato. Ciò equivale a sostituire la curva (che
effettivamente rappresenta la caratteristica) con la retta passante per i due punti noti P , Q che
stanno l'uno immediatamente prima e l'altro immediatamente dopo il punto interessato K:
50
Circuiti magnetici a più maglie
La risoluzione dei circuiti magnetici è relativamente semplice se i circuiti sono del tipo tutto serie
(ovvero con i tronchi omogenei che si succedono l'uno all'altro così che il flusso sia costante in tutte
le sezioni del circuito).
Nel caso di circuiti formati da più maglie, ovvero con tronchi percorsi da flussi anche tra di loro
diversi, la risoluzione è alquanto più complessa. Capita infatti che anche nel caso di problemi del
tipo diretto, a causa della non linearità del mezzo ferromagnetico non si possa prevedere il flusso
nei vari rami e, quindi, si debba procedere per tentavi. Solo la presenza di simmetrie nel circuito
può, in certi casi, semplificare la risoluzione permettendo il calcolo diretto dei flussi nei vari rami.
Forza portante di un elettromagnete
Gli elettromagneti sono dispositivi di largo impiego nella tecnica odierna (comandi, controlli
automatici, ecc.). Essi constano di un nucleo ferromagnetico, costituito da una parte fissa e da una
mobile (detta ancora), e di uno o più avvolgimenti (detti di eccitazione).
Quando negli avvolgimenti di eccitazione circola una corrente, accade che l'ancora viene attratta
perché si magnetizza per induzione.
51
La forza di attrazione per ciascun polo è così determinabile:
assumiamo che, grazie ad una forza esterna Fe , l'ancora subisca uno spostamento virtuale dx
(ovvero talmente piccolo da non modificare i valori di induzione, campo e permeabilità nel
traferro). La forza esterna compirà un lavoro dl = Fe·dx . A causa dello spostamento dx sarà pure
aumentato il volume del traferro di una quantità dv = A·dx dove A è la sezione del tubo di flusso in
aria. Tenendo conto che la densità di energia vale:
avremo un aumento di energia nel traferro compreso tra polo ed ancora pari a:
che per il principio di conservazione dell'energia dovrà eguagliare il lavoro compiuto dalla forza
esterna dl = dw ovvero:
da cui:
Il fatto che per allontanare l'ancora sia necessaria una forza esterna di intensità Fe indica che
l'ancora stessa è attratta verso l'elettromagnete da una forza di uguale intensità. Quindi la forza di
attrazione per ciascun polo dell'elettromagnete F avrà la stessa espressione di Fe sopra calcolata.
Passando alle due forme costruttive riportate sopra, indicando con I la corrente di eccitazione
dell'elettromagnete, per l'elettromagnete di sinistra, trascurando le cadute di tensione magnetica nel
ferro rispetto a quelle nel traferro si ha:
52
Sostituendo nell'espressione della forza si ha:
Per l'elettromagnete di destra, sempre trascurando le cadute di tensione magnetica nel ferro rispetto
a quelle nel traferro si ha:
Sostituendo nell'espressione della forza si ha:
Si osservi che l'ancora, essendo un organo mobile, introduce una variabilità nel valore  del traferro
così che la forza di attrazione ad ancora staccata risulta di valore notevolmente inferiore di quella ad
ancora attaccata (forza portante dell'elettromagnete). Infatti, a parità di corrente d'eccitazione, un
raddoppio del traferro comporta la riduzione di quattro volte della forza di attrazione.
Perdite di potenza nei materiali ferromagnetici
Si manifestano quando il materiale è attraversato da un flusso di induzione di campo magnetico
variabile nel tempo, oppure quando il materiale è in movimento rispetto alle linee di campo
magnetico venendo così tagliato dalle linee stesse. Si considerano due diversi tipi di perdite:
a) perdite per isteresi, causate da fenomeni d'attrito nella struttura cristallina del materiale
ferromagnetico. Se il flusso varia ciclicamente con frequenza pari ad f [Hz], le perdite per isteresi in
ciascun [Kg] peso valgono:

Pis = Kis · f · BM [W/Kg]
dove Kis è una costante che dipende dalla natura del materiale ferromagnetico, BM è il valore
massimo dell'induzione elettromagnetica, l'esponente  vale 1,6 se BM < 1 [Wb/m2] , 2 se BM 1
[Wb/m2] .
b) perdite per correnti parassite (o di Foucault), causate dalle correnti parassite che si instaurano nel
materiale essendo questo conduttore. Tali correnti parassite sono sostenute dalle f.e.m. indotte nel
materiale ferromagnetico tagliato dal flusso di induzione variabile. Se il flusso varia ciclicamente
con frequenza pari ad f [Hz] , le perdite per correnti parassite in ciascun [Kg] peso valgono:
Pcp = Kcp · (Kf · f · BM)2 [W/Kg]
53
dove Kcp è una costante che dipende dalla natura del materiale ferromagnetico e dallo spessore dei
singoli lamierini nel caso di nuclei a lamierini, Kf è il fattore di forma dell'onda di variazione del
flusso nel tempo (esso vale 1,111 nel caso di variazioni perfettamente sinusoidali).
Quasi sempre le due perdite vengono riassunte in un'unica perdita, si parla così di perdita
complessiva nel ferro. I costruttori di materiali ferromagnetici forniscono ai loro clienti un dato
tecnico molto importante, noto come cifra specifica di perdita cp . La cifra specifica di perdita per
un dato materiale ferromagnetico rappresenta le perdite complessive nel ferro riferite ad 1 [Kg] di
materiale, con una frequenza di 50 [Hz] , una forma d'onda sinusoidale ed una induzione massima
di 1 [Wb / m2]. Nota la cifra specifica di perdita, con l'espressione empirica:
è possibile determinare le perdite nel ferro nel caso in cui si abbia una induzione massima pari a BM
[Wb/ m2], una frequenza pari ad f [Hz] ed un peso del ferro pari a G [Kg].
Significato delle unità di misura nel magnetismo
Nelle applicazioni tecniche è particolarmente importante saper valutare quantitativamente i valori
assunti dalle varie grandezze fisiche interessate, solo così è possibile rendersi conto di eventuali
grossolani errori di calcolo. Inoltre è altrettanto importante conoscere il significato fisico delle unità
di misura delle grandezze fisiche, così da tenere sotto controllo la correttezza delle trasformazioni
cui si sottopongono le numerose equazioni necessarie alla risoluzione dei problemi.
Particolarmente importante è il weber [Wb] , unità di misura del flusso. Infatti la gran parte delle
macchine elettriche basa il proprio funzionamento sulla legge generale dell'induzione
elettromagnetica. Si definisce 1 weber la quantità di flusso che, variando in un secondo, produce nel
circuito concatenato una f.e.m. pari ad 1 volt :
1[Wb] = 1[V] · 1[s]
I valori che può assumere il flusso variano dai milliweber a pochi weber, secondo la potenza ed il
tipo di macchina interessata.
In diretta relazione col flusso abbiamo l'induzione magnetica la cui unità di misura è il tesla (oppure
il weber / metroquadro). Si definisce 1 tesla l'induzione prodotta dal flusso di 1 weber attraverso
una sezione di 1 metroquadro :
1[T] = 1[Wb] / 1[m2]
I valori che può assumere l'induzione variano da qualche decimo a poco meno di 2 tesla, secondo la
potenza ed il tipo di macchina interessata.
Il flusso autoconcatenato con un circuito dipende dal coefficiente di autoinduzione (induttanza
elettrica) del circuito stesso la cui unità di misura è l' henry. Si definisce 1 henry l'induttanza di quel
circuito che, se percorso da una corrente di intensità 1 ampere, determina 1 weber di flusso
autoconcatenato :
54
I valori che può assumere l'induttanza di un circuito variano dai millihenry a qualche henry,
secondo la forma del circuito ed il mezzo materiale nel quale esso è immerso.
L'induzione magnetica in un determinato mezzo viene determinata dalla presenza nel mezzo di un
campo magnetico H . A sua volta il campo magnetico è quasi sempre originato da una corrente
circolante in un avvolgimento e, come è facile dedurre dalla legge di Biot-Savart, si misura in
ampere / metro . Si definisce 1 ampere / metro quel campo magnetico che produce nel vuoto una
induzione pari a 4··10-7 = 1,257·10-6 tesla.
I valori di campo magnetico internamente alle macchine elettriche possono variare da qualche
ampere / metro a qualche centinaia di migliaia di ampere / metro.
Il valore dell'induzione, oltre che dall'intensità di campo magnetico, dipende anche dalla
permeabilità magnetica assoluta del mezzo la cui unità di misura è :
Il valore di  varia da o = 1,257·10-6 [H / m] a qualche decina di migliaia di o , secondo il tipo di
mezzo.
Per finire giustifichiamo l'unità di misura della riluttanza magnetica :
Transitorio elettrico nei circuiti ohmico-induttivi
Consideriamo il circuito di figura. E' evidente che, con l'interruttore nella posizione 0, la corrente è
nulla e, quindi, saranno pure nulle le cadute di tensione ai capi della resistenza e dell'induttanza;
tutto questo si riassume dicendo che le condizioni iniziali nel sistema sono nulle, ovvero i(0-) = 0 ,
avendo assunto quale istante iniziale del transitorio l'istante del passaggio dell'interruttore dalla
posizione 0 alla posizione 1. La corrente i(t) nel circuito non può tuttavia assumere istantaneamente
il valore finito i() = Ir = Vo / R che essa avrà a regime, infatti, se così fosse, si dovrebbe
presumere che il generatore abbia potenza infinita visto che trasferirebbe al campo elettromagnetico
l'energia 0,5·L·Ir2 in un tempo nullo, il che è un assurdo fisico. In effetti la corrente passa da zero
al valore di regime in un tempo teoricamente infinito, seguendo una legge di variazione
55
esponenziale e determinando così un transitorio. Quello che accade è che il passaggio della corrente
durante il transitorio provoca un aumento di flusso autoconcatenato con un conseguente sviluppo di
forza elettromotrice autoindotta e(t) che, dovendosi opporre all'aumento di flusso concatenato,
dovrà necessariamente essere contraria alla forza elettromotrice del generatore. Tale f.e.m.a.i. sarà
massima, e pari a -Vo , nell'istante iniziale essendo in tale istante massima la variazione di corrente.
Quindi, col trascorrere del transitorio, si ridurrà con legge esponenziale essendo la variazione
dell'intensità di corrente nel tempo (e quindi del flusso concatenato) sempre più piccola. A regime
raggiunto (teoricamente dopo un tempo infinito, praticamente dopo un tempo pari a 5· ) sarà nulla
la caduta di tensione ai capi dell'induttanza mentre sarà massima, e pari a Vo , la caduta sulla
resistenza. Si può quindi dire che un'induttanza, in un circuito sollecitato da generatori di tensione
costante e continua, si comporta a regime come un semplice cortocircuito. In effetti, a regime, la
corrente nel circuito si mantiene rigorosamente costante e, con essa, rimane costante il flusso
autoconcatenato. Non vi sarà, quindi, nessun fenomeno di induzione di forza elettromotrice.
Se, dopo aver raggiunto la condizione di regime, si porta istantaneamente l'interruttore dalla
posizione 1 alla posizione 2 , accade che tutta l'energia precedentemente immagazzinata nel campo
elettromagnetico verrà riceduta al circuito e dissipata sotto forma di calore nella resistenza R .
Ancora una volta il processo non può essere istantaneo, in quanto è assurdo pensare ad una
trasformazione d'energia a potenza infinita. Il tutto avviene seguendo la solita legge esponenziale.
In particolare la corrente diminuirà dal valore iniziale Ir a zero circolando con lo stesso precedente
verso.
Nel caso in cui l'interruttore venga portato dalla posizione 1 alla posizione 0 accade che il circuito
risulta metallicamente interrotto. La corrente, e quindi il campo elettromagnetico con la relativa
energia immagazzinata, si dovrà quindi annullare. Siccome il processo, per il solito motivo, non può
avvenire istantaneamente, la corrente si annullerà gradualmente. Dal momento che il circuito
metallico è interrotto, si creerà tra i due elettrodi dell'interruttore un arco elettrico (tratto di circuito
ove il conduttore è costituito da gas ionizzato) che permetterà il passaggio della corrente di
estinzione dell'energia immagazzinata dal campo elettromagnetico e che si estinguerà con
l'estinguersi dell'energia. L'arco elettrico introduce una ulteriore resistenza (di tipo non ohmico) nel
circuito, così che il tempo di estinzione della corrente sarà diverso che nel caso precedente ed anche
la legge di estinzione non sarà più strettamente esponenziale.
56
Si ricorda che la lettera e che compare nella espressione esponenziale è la base dei logaritmi
naturali, ovvero il numero 2,718...
In qualsiasi processo regolato da una legge esponenziale, la costante di tempo rappresenta il tempo
necessario al completamento del processo nel caso in cui lo stesso avvenga ad una velocità costante
e pari a quella dell'istante iniziale. Detto in altre parole, la tangente nell'origine alla curva
esponenziale interseca l'orizzontale di ordinata pari al valore a regime in corrispondenza dell'ascissa
pari alla costante di tempo.
Esercizio 1 (campo magnetico in un solenoide, induttanza, f.e.m. autoindotta, energia)
Si abbia un solenoide rettilineo lungo l = 100 [cm] di sezione circolare formato da N = 1500 spire di
diametro d = 8 [cm] disposte in un unico strato e strettamente affiancate tra di loro. Il solenoide sia
avvolto in aria e sia percorso dalla corrente continua I = 5 [A]:
57
l
S
H, B, 
d
0
I
I
1) determinare il campo magnetico, l’induzione ed il flusso all’interno del solenoide.
Nei solenoidi rettilinei lunghi (ovvero di lunghezza almeno dieci volte maggiore del diametro) ed
avvolti a spire serrate con verso omogeneo, il campo magnetico all’interno è praticamente uniforme
e di intensità pari a:
N  I 1500  5
H

 7500 [A/m]
l
1
Le linee di campo magnetico all’interno sono parallele all’asse del solenoide ed hanno verso
determinato dal senso di avvolgimento e dal verso della corrente. Con riferimento alla figura,
applicando la regola della vite ed immaginando quindi di ruotare la vite secondo il verso col quale
la corrente percorre l’avvolgimento avremo che la vite avanzerà verso destra, quindi questo è il
verso del campo all’interno del solenoide. Un altro modo per individuare il verso del campo
consiste nell’immaginare di prendere nel palmo della mano il solenoide in modo tale che la corrente
percorra la parte di avvolgimento a contatto con la mano con verso che va dal polso alle dita: il
pollice indicherà il verso del campo.
L’induzione magnetica si determina moltiplicando il campo per la permeabilità magnetica del
mezzo nel quale il campo si sviluppa. Nel nostro caso essendo il mezzo l’aria assumeremo come
valore della permeabilità quello del vuoto:
B   0  H  1,257  106  7500  9,428  103 [Wb/m 2 ]
Il flusso di induzione magnetica si determina moltiplicando l’induzione per la sezione interna del
solenoide calcolata trasversalmente alle linee di campo:
  d 2   0,08 2
S

 5,027  10  3 [m 2 ]
4
4
  B  S  9,428  10  3  5,027  10  3  4,739  10 5 [Wb]
Sia l’induzione che il flusso hanno sempre lo stesso verso del campo.
2) calcolare l’induttanza del solenoide.
L’induttanza (detta anche coefficiente di autoinduzione) di un qualsiasi circuito elettrico è per
definizione il rapporto tra il flusso autoconcatenato col circuito e l’intensità della corrente che
circolando nel circuito stesso produce il flusso.
In un solenoide il flusso autoconcatenato si calcola moltiplicando il flusso prodotto dalla corrente
circolante nell’avvolgimento per il numero di spire che compone l’avvolgimento (naturalmente tutte
58
le spire devono essere avvolte nello stesso senso). Infatti il flusso si concatena col circuito
ogniqualvolta interseca il piano delimitato da una spira. Nel nostro caso:
ac  N    1500  4,739  105  0,07109 [Wb]
L’induttanza vale quindi:
ac 0,07109
L

 0,01422 [H]  14,22 [mH]
I
5
Osservazione: i dispositivi che come il solenoide hanno lo scopo di realizzare un valore concentrato
di induttanza sono chiamati induttori. E’ importante non confondere gli induttori con i reostati a filo
avvolto. Infatti questi ultimi hanno lo scopo di realizzare un valore concentrato di resistenza e per
questo scopo il conduttore che si impiega non è il rame bensì una lega resistiva (manganina,
costantana, ferro-nichel. ecc.). Inoltre il filo conduttore di lega resistiva viene avvolto sul supporto
in un numero pari di strati invertendo il verso di avvolgimento passando da strato a strato al fine di
rendere il più piccolo possibile il flusso autoconcatenato e l’induttanza (che in questo dispositivo è
un parametro elettrico parassita).
3) determinare l’energia immagazzinata nel campo magnetico interno al solenoide.
Questa energia si può calcolare attraverso l’espressione:
1
1
W   L  I 2   0,01422  5 2  0,17775 [J]
2
2
Oppure si può calcolare attraverso l’energia specifica interna al campo magnetico:
1
1
Ws   B  H   9,428  10 3  7500  35,35 [J/m 3 ]
2
2
vol  S  l  5,027  10 3  1  5,027  10 3 [m 3 ]
W  Ws  vol  35,35  5,027  10 3  0,1777 [J]
4) supponendo che l’intensità della corrente si annulli nel tempo di un centesimo di secondo,
calcolare il valore medio della forza elettromotrice autoindotta Eai che si sviluppa in tale intervallo
di tempo nel solenoide.
Per la legge generale dell’induzione elettromagnetica, la variazione di corrente nel solenoide
comporta la variazione di flusso autoconcatenato e quindi lo sviluppo di una forza elettromotrice
chiamata autoindotta in quanto prodotta dalla variazione del flusso dovuto alla stessa corrente
presente nel circuito.
Per prima cosa individuiamo il verso di tale f.e.m. autoindotta. A tale scopo bisogna tenere presente
che essa deve opporsi alla causa che l’ha generata. Siccome la causa è una diminuzione della
corrente e quindi del flusso autoconcatenato, per opporsi a tale diminuzione la f.e.m. autoindotta
dovrà essere tale da sostenere la corrente e quindi si presenterà ai morsetti del solenoide con le
polarità di figura:
59
H, B, 
Eai
I
I
Ovviamente se, a differenza del caso in esame, la corrente variasse aumentando, il verso della f.e.m.
autoindotta sarebbe opposto a quello appena determinato in quanto comunque la f.e.m. deve opporsi
alla causa che l’ha generata.
La sua intensità si calcola applicando la legge generale dell’induzione elettromagnetica:
ac
0  0,07109
Eai  

 7,109 [V]
t
0,01
la variazione di flusso autoconcatenato è stata calcolata facendo il flusso finale (zero perché se si
annulla la corrente si annulla anche il flusso) meno il flusso iniziale.
Lo stesso risultato, ricordando la definizione di induttanza, si ottiene anche nel seguente modo:
I
05
ac  L  I  Eai   L 
  14,22  10 3 
 7,109 [V]
t
0,01
Osservazione: da quanto fino ad ora esposto risulta evidente il diverso comportamento elettrico
dell’induttanza nel caso in cui la corrente che l’attraversa vari nel tempo rispetto al caso in cui
rimanga costante. Se la corrente varia nel tempo l’induttanza reagisce opponendosi a tale variazione
attraverso lo sviluppo della f.e.m. autoindotta, se invece la corrente è costante l’induttanza non
produce alcun effetto comportandosi come se fosse un cortocircuito.
Esercizio 2 (f.e.m. indotta in una spira che ruota in un campo magnetico)
Si abbia una bobina di forma rettangolare composta da N = 10 spire ed immersa in un campo
magnetico uniforme di induzione B = 0,8 [Wb/m2]. La bobina abbia i lati di lunghezza
rispettivamente a = 20 [cm] e l = 30 [cm] ed una posizione nell’istante considerato iniziale per la
quale il suo piano sia parallelo alle linee di induzione, cioè sia nell’istante iniziale  = −90° ( è
l’angolo misurato tra la direzione positiva del campo magnetico e la direzione positiva della
normale Ns alla superficie della bobina). La bobina ruoti attorno al proprio asse Nr con una velocità
angolare costante pari ad  = 314,2 [rad/s].
60
a
Nr
B
a
B


l
Ns

Ns
N
M
(vista laterale)
(vista dall’alto)
1) determinare la f.e.m. media indotta nella bobina durante il primo quarto di giro.
Nel primo quarto di giro la bobina ruota dalla posizione iniziale per la quale  = −90° alla posizione
per la quale  = 0°. Siccome il flusso concatenato con la bobina è nullo quando  = −90° (la bobina
giace in un piano parallelo alle linee di campo) e massimo quando  = 0° (la bobina giace in un
piano perpendicolare alle linee di campo) vi sarà una variazione di flusso concatenato con
conseguente sviluppo di f.e.m. indotta. Il valor medio di tale f.e.m. indotta si determina applicando
la legge generale dell’induzione elettromagnetica:
S  a  l  20  30  600 [cm 2 ]  0,06 [m 2 ]
c  B  S  N  0  0,8  0,06  10  0  0,48 [Wb]


t 
 2  5  10 3 [s]

314,2
c
0,48
Ei  

 96 [V]
t
5  10 3
Nelle espressioni sopra scritte (B·S·N) rappresenta il flusso concatenato con la bobina, calcolato
come prodotto del flusso attraverso una spira (B·S) per il numero di spire che compongono la
bobina.
La polarità che caratterizza la f.e.m. indotta si determina considerando che deve opporsi alla causa
che l’ha generata. Nel caso in esame ad avere generato la f.e.m. è un aumento del flusso
concatenato e quindi, per opporsi, la f.e.m. deve essere tale da agire nella bobina (guardata da un
osservatore che veda il campo andargli incontro) con verso orario così che il campo magnetico
generato dalla corrente sostenuta dalla f.e.m. indotta si opponga al campo esterno di induzione B. In
definitiva la f.e.m. indotta si presenterà alle estremità della bobina con la polarità positiva in N e
negativa in M:
61
Nr
B
Ei

Ns
N
M
(vista laterale)
2) determinare la f.e.m. media indotta nella bobina durante il secondo quarto di giro.
Nel secondo quarto di giro la bobina ruota dalla posizione per la quale  = 0° alla posizione per la
quale  = +90°. Siccome il flusso concatenato con la bobina è massimo quando  = 0° (la bobina
giace in un piano perpendicolare alle linee di campo) e nullo quando  = 90° (la bobina giace in un
piano parallelo alle linee di campo) vi sarà una variazione di flusso concatenato con conseguente
sviluppo di f.e.m. indotta. Il valor medio di tale f.e.m. indotta varrà:
c  0  B  S  N  0  0,8  0,06  10  0,48 [Wb]
c
 0,48

 96 [V]
t
5  10 3
Ovviamente il valor medio è lo stesso di prima, solo che adesso vi è una diminuzione del flusso
concatenato anziché un aumento e quindi cambia il segno della f.e.m. indotta che ora agirà nella
bobina con verso antiorario con conseguente inversione delle polarità in N ed M.
Ei  
3) determinare la f.e.m. media indotta nella bobina durante il terzo quarto di giro.
Nel terzo quarto di giro la bobina ruota dalla posizione per la quale  = +90° alla posizione per la
quale  = +180°. Siccome il flusso concatenato con la bobina è nullo quando  = +90° (la bobina
giace in un piano parallelo alle linee di campo) e massimo negativo quando  = +180° (il flusso
concatenato è negativo perché la bobina giace in un piano perpendicolare alle linee di campo ma
orientata con verso opposto rispetto al caso in cui  = 0°) vi sarà una variazione di flusso
concatenato con conseguente sviluppo di f.e.m. indotta. Il valor medio di tale f.e.m. indotta varrà:
c  (  B  S  N )  0  0,8  0,06  10  0  0,48 [Wb]
c
 0,48

 96 [V]
t
5  10 3
Si nota che il segno è lo stesso del caso precedente. Infatti continua ad esservi una diminuzione del
flusso concatenato che passa da zero al valore massimo negativo e quindi per opporsi a tale
variazione la f.e.m. indotta dovrà continuare ad agire con verso antiorario facendo permanere
positiva l’estremità M e negativa l’estremità N.
Ei  
4) determinare la f.e.m. media indotta nella bobina durante il quarto quarto di giro.
Nell’ultimo quarto di giro la bobina ruota dalla posizione per la quale  = +180° alla posizione per
la quale  = +270° = −90°. Siccome il flusso concatenato con la bobina è massimo negativo quando
62
 = +180° e nullo quando  = −90° (la bobina giace in un piano parallelo alle linee di campo) vi
sarà una variazione di flusso concatenato con conseguente sviluppo di f.e.m. indotta. Il valor medio
di tale f.e.m. indotta varrà:
c  0  (  B  S  N )  0  ( 0,8  0,06)  10  0,48 [Wb]
c
0,48

 96 [V]
t
5  10 3
Si nota che il segno è opposto rispetto quello del caso precedente. Infatti ora il flusso concatenato
varia aumentando in quanto passa da un valore negativo a zero e di conseguenza la f.e.m. indotta
per opporsi alla variazione dovrà agire come nel primo caso, cioè in senso orario determinando alle
estremità della bobina le polarità positiva per N e negativa per M.
Ei  
5) determinare l’espressione della f.e.m. indotta in un generico istante di tempo.
Riassumendo quanto finora accertato possiamo dire che, grazie al moto rotatorio, nella bobina si
sviluppa a partire dall’istante considerato iniziale (nel quale la bobina è parallela alla direzione del
campo,  = −90°) una f.e.m. indotta avente segno alternato. Nel succedersi dei quarti di giro il
segno risulta avere la sequenza −, +, +, −. Quando il segno della f.e.m. è negativo è l’estremità N
della bobina ad essere positiva, quando il segno della f.e.m. è positivo è l’estremità M della bobina
ad essere positiva. E’ facile intuire che se si considera un giro completo si avrà una f.e.m. indotta
media nulla in quanto il flusso concatenato finale coinciderà col flusso concatenato iniziale e non vi
sarà quindi variazione alcuna di flusso concatenato.
Per esprimere il valore istantaneo di f.e.m. indotta bisogna innanzitutto individuare l’espressione del
valore istantaneo di flusso concatenato. Allo scopo si osserva che nel generico istante t [s] il flusso
concatenato sarà proporzionale alla parte di sezione della spira che in quell’istante è trasversale alla
direzione dell’induzione:
a
B
aT


Ns
(vista dall’alto)
Se indico con  l’angolo del quale la bobina ha ruotato nel generico istante t rispetto alla posizione
che essa aveva nell’istante iniziale, l’area della bobina che risulta essere trasversale alla direzione
del campo vale:
s(t )  aT  l  (a  sen)  l
Ricordando l’espressione che lega l’angolo con la velocità angolare ed il tempo si ha:
    t  s(t )  aT  l  (a  sen)  l  a  l  sen(  t )  S  sen(  t )
Il flusso concatenato avrà quindi un valore istantaneo pari a:
63
c(t )  B  s(t )  N  B  S  sen(  t )  N

  c(t )  CMAX  sen(  t )  0,48  sen(314,2  t )
CMAX  B  S  N  0,8  0,06  10  0,48 [Wb]
In tale espressione ho chiamato con CMAX il valore del flusso concatenato quando la bobina è
esattamente trasversale al campo, che ovviamente è il massimo valore che il flusso stesso può
assumere.
Il flusso concatenato è quindi variabile nel tempo con legge periodica alternata sinusoidale ed il
grafico che rappresenta tale variazione è il seguente:
c(t)
0,48
0
0,005
/2
0,01

0,015
3/2
0,02
2
t

−0,48
In ascissa, per una migliore comprensione del fenomeno, è pure riportato in radianti l’angolo  del
quale la bobina è ruotata a partire dall’istante iniziale.
Applicando ora la legge generale dell’induzione magnetica col necessario rigore matematico (e
quindi assumendo che le variazioni delle grandezze siano infinitesimali) e tenendo conto delle note
regole di derivazione, avrò:
dc(t )
d CMAX  sen(  t )
ei (t )  

   CMAX    cos(  t )
dt
dt
Sostituendo i valori relativi all’esercizio si ha:
ei (t )  CMAX    cos(  t )  0,48  314,2  cos(314,2  t )  150,82  cos(314,2  t ) [V]
Il grafico che rappresenta tale funzione è:
64
ei(t)
150,8
0
0,005
/2
0,01

0,015
3/2
0,02
2
t

−96
−150,8
Si nota che la f.e.m. indotta è massima quando è massima la pendenza della tangente alla funzione
che rappresenta il flusso concatenato (e questo avviene quando il flusso concatenato cambia di
segno), è nulla quando è nulla la pendenza della tangente alla funzione che rappresenta il flusso
concatenato (e questo avviene quando il flusso concatenato raggiunge il valore massimo positivo e
il valore massimo negativo).
Per ultimo andiamo a verificare se è vero che il valore medio della f.e.m. indotta nel primo quarto di
periodo, cioè nell’intervallo di tempo da 0 [s] a 0,005 [s], vale proprio Ei=−96 [V]. Bisogna per
prima cosa calcolare l’area sottesa dalla funzione ei(t) nell’intervallo da 0 a 0,005 ed allo scopo
calcolo l’integrale definito:
A
0, 005
0
 150,82  cos(314,2  t )  dt  0,48 [V  s]
Ricordando che il valor medio è quel valore che, rimanendo costante nell’intervallo di tempo
considerato, determina un’area rettangolare pari a quella sottesa dalla funzione, si ha:
A
 0,48
Ei 

 96 [V]
t 0,005  0
Esercizio 3 (circuito magnetico tutto serie, problema diretto)
Si abbia il seguente circuito magnetico:
65
l1
S1
Φ
I1
H1 , B1
FMM1
N1
lT
ghisa
A
N2
HT , BT
l2
lamiere
normali
I2
D
E
FMM2
S2
H2 , B2
Il circuito magnetico sia composto da due tronchi in materiale ferromagnetico e da un traferro.
Le dimensioni geometriche siano l1=30 [cm], S1=12 [cm2] per il tronco in ghisa, l2=10 [cm], S2= 8
[cm2] per il tronco in lamierini normali (la lunghezza è quella della linea di induzione media
misurata come indicato nella figura e la sezione è quella netta trasversale alla linea di induzione
media). Il traferro abbia estensione lT=1,5 [mm] e la sua sezione sia del 5% maggiore di S1 a causa
dell’effetto ai bordi delle linee di campo magnetico (si tratta del fenomeno della espansione laterale
delle linee di forza).
Sul circuito magnetico agiscano due avvolgimenti, il primo composto da N1=100 spire e percorso
dalla corrente I1= 40 [A] col verso di figura, il secondo composto da N2=75 spire. Infine si
trascurino eventuali flussi dispersi.
1) determinare l’intensità che deve avere la corrente I2 nel secondo avvolgimento affinché il campo
magnetico nel traferro valga HT= 800000 [A/m] ed abbia il verso dall’alto al basso.
Il tipo di problema proposto è sicuramente del tipo diretto in quanto è fornito il campo magnetico in
un tratto del circuito così che diventa possibile trovare direttamente l’induzione ed il campo in ogni
altro tratto e applicare la legge della circuitazione magnetica (metodo delle forze magnetomotrici
parziali) o la legge di Hopkinson (metodo delle riluttanze) al fine di determinare la corrente
incognita.
Noi risolviamo col metodo delle forze magnetomotrici parziali. Per prima cosa bisogna assegnare
un verso arbitrario alla corrente incognita I2 nel secondo avvolgimento, nel nostro caso scegliamo il
verso di figura.
Quindi andiamo a determinare per ogni tronco omogeneo (si intende un tratto di circuito
caratterizzato da uniformità di materiale, di sezione e di flusso) del circuito il campo magnetico e la
lunghezza.
66
Traferro:
l T  1,5  103 [m]
H T  8  105 [A/m]
Tronco in ghisa:
l1  0,3 [m]
Per trovare il campo considero che essendo il circuito tutto serie il flusso sarà lo stesso in tutti i
tronchi. Avendo poi imposto il campo nel traferro diretto dall’alto al basso, il flusso circolerà nel
circuito con verso orario. Il valore del flusso varrà:
  BT  ST  o  HT  1,05  S1  1,257  106  8  105  1,05  12  104  1,267  103 [Wb]
L’induzione nella ghisa varrà:
 1,267  103
B1 

 1,056 [Wb/m 2 ]
4
S1
12  10
Per conoscere il campo magnetico nella ghisa dovrò consultare le caratteristiche di magnetizzazione
di questo materiale. Tali caratteristiche riportano:
B'  1 [Wb/m 2 ]  H'  110 [A/cm]
B"  1,1 [Wb/m 2 ]  H"  150 [A/cm]
Eseguendo una interpolazione lineare tra le due coppie ho:
H" H'
150  110
H1  H'
 (B1  B' )  110 
 (1,056  1)  132,4 [A/cm]  13240 [A/m]
B" B'
1,1  1
Tronco in lamierini normali:
l 2  0,1 [m]
 1,267  10 3

 1,584 [Wb/m 2 ]
4
S2
8  10
Per conoscere il campo magnetico nelle lamiere dovrò consultare le caratteristiche di
magnetizzazione di questo materiale. Tali caratteristiche riportano:
B'  1,5 [Wb/m 2 ]  H'  18 [A/cm]
B2 
B"  1,6 [Wb/m 2 ]  H"  31 [A/cm]
Eseguendo una interpolazione lineare tra le due coppie ho:
H" H'
31  18
H 2  H'
 (B 2  B' )  18 
 (1,584  1,5)  28,92 [A/cm]  2892 [A/m]
B" B'
1,6  1,5
Ora che ho il campo e la lunghezza per ciascun tronco posso applicare la legge della circuitazione
magnetica.
Questa legge dice che lungo una linea chiusa la somma aritmetica delle cadute di tensione
magnetica eguaglia la somma algebrica delle forze magnetomotrici (le forze magnetomotrici si
prendono positive se agiscono concordemente col verso della linea chiusa assunto positivo). Si
sceglie come linea chiusa la linea di induzione media e come verso positivo il verso del flusso.
Con tali presupposti è facile verificare che la forza magnetomotrice del primo avvolgimento è da
prendersi positiva mentre la forza magnetomotrice del secondo avvolgimento è da prendersi
negativa. L’equazione rappresentante la legge della circuitazione diventa quindi:
H1  l1  H2  l 2  HT  l T  FMM 1  FMM 2  H1  l1  H2  l 2  HT  l T   N1  I1  N2  I 2
Risolvendo rispetto I2 si ha infine:
67
I2 
 N1  I1  H1  l1  H 2  l 2  H T  l T 100  40  13240  0,3  2892  0,1  8  105  1,5  103


N2
75
 19,48 [A]
Il fatto che la corrente da determinarsi sia risultata negativa significa che al fine di ottenere nel
traferro il campo desiderato bisogna imporre nel secondo avvolgimento una corrente di 19,48 [A]
con verso opposto a quello prefissato, ovvero anche il secondo avvolgimento deve produrre una
forza magnetomotrice concorde col verso del flusso.
2) Determinare la tensione magnetica ai capi del tronco in ghisa.
La tensione magnetica tra i punti D e A può essere trovata in due diversi modi, in ogni caso si
applica al circuito magnetico l’analogo della legge di Ohm applicata ad un tratto di circuito
elettrico.
Se uso il tratto comprendente il tronco in ghisa e l’avvolgimento fatto di N1 spire ho:
(H  l)DA  FMM 1  H1  l1  100  40  13240  0,3  28 [A]
Se uso il tratto comprendente il traferro ed il tronco in lamiere con l’avvolgimento fatto di N2 spire
ho:
(H  l ) DA   FMM 2  H 2  l 2  H T  l T  75  (19,48)  2892  0,1  8  105  1,5  103  28,2 [A] .
3) Risolvere lo stesso circuito usando il metodo delle riluttanze.
Per prima cosa si disegna il circuito magnetico in forma analoga ad un circuito elettrico:
D
Φ
R1
RT
FMM1
E
A
R2
FMM2
Quindi si determinano le riluttanze che compongono il circuito.
Riluttanza del traferro:
lT
lT
1,5  103
RT 


 947,1  103 [H -1 ]
o  ST o  1,05  S1 1,257  10 6  1,05  12  10 4
Riluttanza del tronco in ghisa:
Per conoscere la permeabilità magnetica relativa nella ghisa dovrò consultare le caratteristiche di
magnetizzazione di questo materiale. Tali caratteristiche riportano:
68
B'  1 [Wb/m 2 ]  r'  72
B"  1,1 [Wb/m 2 ]  μr"  58
Eseguendo una interpolazione lineare tra le due coppie ho:
r"r'
58  72
r1  r'
 (B1  B' )  72 
 (1,056  1)  64,16
B" B'
1,1  1
l1
0,3
R1 

 3,100  106 [H -1 ]
6
4
r1  o  S1 64,16  1,257  10  12  10
Riluttanza del tronco in lamierini normali:
Per conoscere la permeabilità magnetica relativa nelle lamiere dovrò consultare le caratteristiche di
magnetizzazione di questo materiale. Tali caratteristiche riportano:
B'  1,5 [Wb/m 2 ]  r'  663
B"  1,6 [Wb/m 2 ]  μr"  411
Eseguendo una interpolazione lineare tra le due coppie ho:
r"r'
411  663
r2  r'
 (B 2  B' )  663 
 (1,584  1,5)  451,3
B" B'
1,6  1,5
l2
0,1
R2 

 2,203  105 [H -1 ]
6
4
r2  o  S 2 451,3  1,257  10  8  10
Note le riluttanze, applico la legge di Hopkinson al circuito magnetico (in modo analogo alla legge
do Ohm applicata ad un circuito elettrico chiuso, con la forza magnetomotrice che corrisponde alla
forza elettromotrice, il flusso che corrisponde alla corrente e la riluttanza che corrisponde alla
resistenza):
 FMM 1  FMM2  Φ  (R 1  R 2  R T ) 
N  I  Φ  (R 1  R 2  R T )

FMM1  N1  I1   I 2  1 1

N2

FMM2  N 2  I 2 
100  40  1,267  10 3  ( 3,100  106  2,203  105  947,1  103 )

 18,76 [A]
75
Osservazione: la differenza numerica tra le due soluzioni dipende dal fatto che si sono utilizzati i
valori tabulati di campo e di permeabilità relativa che sono stati rilevati sperimentalmente e dal fatto
che è stato necessario effettuare su tali valori delle interpolazioni lineari (essendo le caratteristiche
di magnetizzazione e di permeabilità diverse tra di loro, l’interpolazione lineare introduce nei due
casi errori diversi). Per gli stessi motivi, le cadute di tensione magnetica danno risultati leggermente
diversi a seconda che siano calcolate come (H·l) oppure come (Φ·R).
Esercizio 4 (circuito magnetico tutto serie, problema inverso)
Si abbia un circuito magnetico di ghisa di forma toroidale avente un traferro dallo spessore costante
pari a lT=3 [mm]. La lunghezza della circonferenza media, compreso il traferro, è lm=60 [cm] e la
sezione del nucleo di ghisa è S1=16 [cm2]. L’avvolgimento di eccitazione è disposto uniformemente
sulla metà del nucleo opposta al traferro ed è composto di N=600 spire percorse dalla corrente I=2
[A]. Si trascurino gli eventuali flussi dispersi e si consideri la sezione del traferro maggiorata del
5% rispetto alla sezione del nucleo in ghisa a causa dell’effetto ai bordi delle linee di campo
magnetico.
69
Φ
I
A
N
lT
C
E
D
1) Determinare il flusso presente nel circuito magnetico.
Essendo il circuito magnetico tutto serie, il flusso avrà lo stesso valore in tutte le sezioni. Il verso
del flusso si determina immediatamente conoscendo il senso di avvolgimento delle spire ed il verso
della corrente nell’avvolgimento. Nel caso in esame il verso del flusso sarà quello orario.
La determinazione del valore del flusso è invece molto più problematica. Infatti si conosce la forza
magnetomotrice assegnata che vale:
FMMA  N  I  600  2  1200 [A]
ma, essendo il circuito composto di più tronchi (due nel nostro caso, il nucleo in ghisa ed il traferro)
accade che la non linearità della caratteristica di magnetizzazione rende impossibile determinare il
valore della permeabilità o del campo magnetico nelle diverse parti del circuito mediante
l'applicazione diretta di equazioni risolutrici. Bisogna quindi procedere per tentativi applicando il
seguente algoritmo:
70
inizio
passo a) scelta del valore desiderato di
accuratezza per la soluzione.
passo b) scelta del valore
dell’induzione in un tronco per il 1° tentativo.
passo e) scelta di un nuovo valore
per l’induzione, secondo
le risultanze del confronto.
no
passo c) calcolo della f.m.m.
conseguente al valore prefissato
di induzione (problema diretto).
passo d) verifica che il valore di
f.m.m.
calcolata soddisfi l’accuratezza
prefissata.
si
passo f) comunicazione del valore di
induzione che risolve il problema.
fine
passo a)
Scegliamo per l’accuratezza della risoluzione un valore pari al 5% (è inutile scegliere un valore
migliore in quanto le tabelle di magnetizzazione delle quali disponiamo sono piuttosto grossolane).
Quindi riterremo accettabile la soluzione per la quale la forza magnetomotrice necessaria a
sostenere il flusso calcolato sarà compresa nella fascia di valori:
5
5
FMMA 
 FMMA  FMMC  FMMA 
 FMMA
100
100
5
5
1200 
 1200  FMMC  1200 
 1200  1140 [A]  FMMC  1260 [A]
100
100
passo b)
Scegliamo pari a B1= 0,6 [Wb/m2] il valore dell’induzione nel tronco in ghisa per il primo tentativo.
Questo valore è stato fissato considerando che è centrale nella tabella di magnetizzazione della
ghisa a nostra disposizione ove i valori possibili variano tra 0,1 ed 1,2 [Wb/m2].
passo c)
Calcoliamo la FMMC necessaria a sostenere il valore di induzione prefissato. Si tratta di risolvere il
problema diretto, ad esempio col metodo delle forze magnetomotrici parziali.
71
Per il tronco in ghisa si ha:
l 1  lm  l T  0,6  0,003  0,597 [m]
B 1  0,6 [Wb/m 2 ]  H 1  2800 [A/m] , dalla lettura della tabella di magnetizza zione.
Il flusso nel circuito sarà:
  B1  S 1  0,6  16  10 4  9,6  10 4 [Wb]
Per il traferro si ha:
lT = 3·10−3 [m]
ST = 1,05·S1 = 1,05·16·10−4 = 16,8·10−4 [m2]

9,6  10 4
BT 

 0,5714 [Wb/m 2 ]
4
S T 16,8  10
BT
0,5714

 4,546  105 [A/m]
6
o 1,257  10
La forza magnetomotrice necessaria a sostenere il valore prefissato di induzione vale:
FMMC  l 1  H 1  l T  H T  0,597  2800  3  10 3  4,546  10 5  3035 [A]
HT 
Passo d)
Verifichiamo se il valore di forza magnetomotrice calcolata soddisfa l’accuratezza prefissata.
Essendo FMMC > 1260 [A] la condizione non è soddisfatta.
Passo e)
Scelgo un nuovo valore di induzione. Essendo il tentativo precedente fallito per eccesso del valore
di FMMC, la nuova scelta dovrà essere per un valore inferiore di induzione. Scelgo il valore
intermedio tra il minimo tabulato ed il valore del tentativo precedente:
0,1  0,6
B1 
 0,35 [Wb/m 2 ]
2
passo c2)
Calcoliamo la FMMC necessaria a sostenere il valore di induzione prefissato.
Per il tronco in ghisa si ha:
B1  0,35 [Wb/m 2 ]  H1  1050 [A/m]
ottenuto dalla lettura della tabella di magnetizzazione con relativa interpolazione lineare.
Il flusso nel circuito sarà:
  B1  S1  0,35  16  104  5,6  104 [Wb]
Per il traferro si ha:

5,6  10 4
BT 

 0,3333 [Wb/m 2 ]
S T 16,8  10 4
BT
0,3333

 2,652  10 5 [A/m]
6
o 1,257  10
La forza magnetomotrice necessaria a sostenere il valore prefissato di induzione vale:
FMMC  l 1  H 1  l T  H T  0,597  1050  3  10 3  2,652  10 5  1422 [A]
HT 
Passo d2)
Verifichiamo se il valore di forza magnetomotrice calcolata soddisfa l’accuratezza prefissata.
Essendo FMMC > 1260 [A] la condizione non è soddisfatta.
Passo e2)
72
Scelgo un nuovo valore di induzione. Essendo il tentativo precedente fallito per eccesso del valore
di FMMC, la nuova scelta dovrà essere per un valore inferiore di induzione. Considerando il piccolo
scostamento rispetto alla fascia accettabile, scelgo il valore tabulato immediatamente minore:
B1  0,3 [Wb/m 2 ]
passo c3)
Calcoliamo la FMMC necessaria a sostenere il valore di induzione prefissato.
Per il tronco in ghisa si ha:
B1  0,3 [Wb/m 2 ]  H1  800 [A/m]
ottenuto dalla lettura della tabella di magnetizzazione.
Il flusso nel circuito sarà:
  B1  S1  0,3  16  104  4,8  104 [Wb]
Per il traferro si ha:

4,8  10 4
BT 

 0,2857 [Wb/m 2 ]
4
S T 16,8  10
BT
0,2857

 2,273  10 5 [A/m]
6
o 1,257  10
La forza magnetomotrice necessaria a sostenere il valore prefissato di induzione vale:
FMMC  l 1  H 1  l T  H T  0,597  800  3  10 3  2,273  10 5  1159 [A]
HT 
Passo d3)
Verifichiamo se il valore di forza magnetomotrice calcolata soddisfa l’accuratezza prefissata.
Essendo:
1140 [A]  FMMC  1159  1260 [A]
la condizione è soddisfatta.
Passo f)
I valori di induzione e di flusso che soddisfano l’accuratezza prefissata sono quindi:
B1  0,3 [Wb/m 2 ] ,   4,8  104 [Wb]
2) Determinare la corrente nell’avvolgimento affinché il flusso nel circuito magnetico sia quello
sopra calcolato.
Nella precedente parte dell’esercizio abbiamo calcolato in modo approssimato quale flusso viene
indotto dalla corrente di 2 [A]. Ora vogliamo vedere quale corrente è in effetti necessaria per
sostenere il flusso di 4,8·10−4 [Wb]. Basterà allo scopo calcolare:
F
1159
FMMC  N  I'  I'  MMC 
 1,932 [A]
N
600
3) Determinare l’induttanza dell’avvolgimento ipotizzando che sia nullo il flusso disperso.
L’induttanza dell’avvolgimento dipende dal flusso autoconcatenato che è pari a:
 AC    N  4,8  104  600  0,288 [Wb]
Quindi l’induttanza varrà:

0,288
L  AC 
 0,1491 [H]
I
1,932
73
4) Determinare l’energia immagazzinata nel circuito magnetico.
Tale energia si può determinare in due diversi modi.
Il primo consiste nel passare attraverso l’energia specifica. In tal caso con ovvio significato dei
simboli si avrà:
1

WS1   B1  H1  0,3  800  120 [J/m 3 ]

2
  W1  WS1  V1  0,1146 [J]
4
4
3 
V1  S1  l1  16  10  0,597  9,552  10 [m ]
1

 BT  H T  0,2857  2,273  105  3,247  104 [J/m 3 ]
2
  WT  WST  VT  0,1636 [J]
4
3
6
3

VT  ST  l T  16,8  10  3  10  5,04  10 [m ]

W  W1  WT  0,1146  0,1636  0,2782 [J]
Il secondo consiste nell’utilizzare il valore dell’induttanza dell’avvolgimento:
1
1
W   L  I 2   0,1491  1,9322  0,2782 [J]
2
2
WST 
5) Determinare la tensione magnetica tra i punti A, D.
Allo scopo possiamo usare la parte di circuito a sinistra dei punti A, D:
lm
0,6
(H  l ) AD   FMMC  H1 
 1159  800 
 919 [A]
2
2
dove lm/2 è la lunghezza della parte in ghisa a sinistra dei punti A, D.
Ma possiamo anche usare la parte di circuito a destra dei punti A, D:
 lm

 0,6

( H  l ) AD   H1  
 l T   H T  l T  800  
 3  10 3   2,273  105  3  10 3  919 [A]
 2

 2

Esercizio 5 (forza portante di un elettromagnete)
Si abbia un elettromagnete a nucleo mobile (il nucleo mobile costituisce l’ancora
dell’elettromagnete) realizzato in ferro fucinato con l’avvolgimento costituito da N = 1000 spire:
l2

l2
N
l1
lT
Fe
lT
Le sue dimensioni geometriche siano le seguenti:
74
lunghezza media della colonna centrale comprensiva del traferro l1 = 8 [cm];
sezione trasversale della colonna centrale A1 = 6 [cm2];
lunghezza media dei gioghi comprensiva dei traferri l2 = 17 [cm];
sezione trasversale dei gioghi A2 = 3 [cm2];
lunghezza massima della corsa del nucleo mobile (ancora alla massima distanza) δM = 5 [mm];
lunghezza minima della corsa del nucleo mobile (ancora accostata) δm = 0,2 [mm];
lunghezza dei tra ferri tra nucleo mobile e gioghi lT = 0,7 [mm].
1) Determinare il valore da assegnare alla corrente di eccitazione nell’avvolgimento affinché la
forza sviluppata ad ancora accostata valga Fea = 350 [N] (si trascurino eventuali flussi dispersi e gli
effetti ai bordi dei tra ferri).
La forza di attrazione che l’elettromagnete esercita sull’ancora dipende dall’induzione nel traferro e
dalla superficie del polo secondo la seguente relazione:
Boa 2  A1
Fea 
2  o
dove Boa è il valore di induzione nel traferro tra il nucleo mobile ed il giogo quando la lunghezza
del traferro ha il valore minimo (ancora accostata) pari a δm = 0,2 [mm].
Si può quindi calcolare il valore che deve assumere l’induzione nel traferro ad ancora accostata:
Boa 2  A 1
2  o  Fea
2  1,257  10 6  350
 Boa 

 1,327 [Wb/m 2 ]
2  o
A1
5  10 4
Considerando la simmetria del circuito magnetico rispetto l’asse verticale e considerando che i
gioghi hanno sezione pari alla metà della sezione della colonna centrale, avremo un’induzione
costante in tutto il circuito magnetico.
Per conoscere il campo magnetico nel ferro dovrò consultare le caratteristiche di magnetizzazione
di questo materiale. Tali caratteristiche riportano:
B'  1,3 [Wb/m 2 ]  H'  8,5 [A/cm]
Fea 
B"  1,4 [Wb/m 2 ]  H"  12 [A/cm]
Eseguendo una interpolazione lineare tra le due coppie ho:
H" H'
12  8,5
Hfea  H'
 (Boa  B' )  8,5 
 (1,327  1,3)  9,445 [A/cm]  944,5 [A/m]
B" B'
1,4  1,3
Il campo magnetico nei traferri varrà:
Boa
1,327
Hoa 

 1,057  10 6 [A/m]
o
1,256  10  6
Per determinare la forza magnetomotrice necessaria a sostenere questi campi conviene applicare la
legge della circuitazione magnetica indifferentemente ad una delle due maglie (tra di loro uguali)
del circuito magnetico.
La lunghezza complessiva della parte in ferro per ciascuna maglia è:
lfea  (l1  m )  (l 2  l T )  (8  0,02)  (17  0,7)  24,28 [cm]
La lunghezza complessiva dei traferri per ciascuna maglia è:
l Ta  m  l T  0,2  0,7  0,9 [mm]
Applicando la legge della circuitazione si trova infine la corrente di eccitazione richiesta:
N  Ia  Hfea  lfea  Hoa  l Ta
Hfea  lfea  Hoa  l Ta 944,5  0,2428  1,057  106  0,9  10 3
Ia 

 1,181 [A]
N
1000
75
2) Determinare la forza di attrazione sviluppata dall’elettromagnete quando l’ancora è alla massima
distanza dall’elettromagnete e la corrente di eccitazione è quella precedentemente calcolata.
Una soluzione precisa al quesito richiede che si calcoli l’induzione nel traferro e, quindi, che si
proceda per tentativi nella soluzione del problema che si presenta del tipo inverso. Tuttavia, quando
si ha la massima lunghezza della corsa dell’ancora accade che nel circuito magnetico quasi tutta la
tensione magnetica cade nel traferro così che si può trascurare la parte in ferro ed il problema si può
risolvere con accettabile approssimazione per via diretta.
Trascurando la parte in ferro, la legge della circuitazione applicata ad una delle due maglie dice che:
N  Ia  Hos  l Ts
dove lTs è la lunghezza complessiva del traferro ad ancora massimamente staccata:
l Ts   M  l T  5  0,7  5,7 [mm]
Risolvendo rispetto al campo si ha:
N  Ia 1000  1,181
Hos 

 2,072  105 [A/m]
l Ts
5,7  103
A tale campo corrisponde l’induzione:
Bos  o  Hos  1,257  106  2,072  105  0,2604 [Wb/m 2 ]
Si nota come l’induzione si è ridotta di circa cinque volte; praticamente l’induzione, se si trascura il
ferro, risulta inversamente proporzionale alla lunghezza del traferro. Siccome poi la forza è
direttamente proporzionale al quadrato dell’induzione avremo che essa sarà inversamente
proporzionale al quadrato della lunghezza del traferro:
Bos 2  A1 0,2604  6  10 4
Fes 

 16,18 [N]
2  o
2  1,257  10 6
3) Determinare la corrente necessaria per produrre la forza di 350 [N] quando l’ancora è scostata
alla massima distanza dall’elettromagnete.
In tal caso nel traferro servirà ancora l’induzione di 1,327 [Wb/m2] e quindi il campo di 1,057·106
[A/m]. Sempre trascurando la caduta di tensione magnetica nel ferro e con ovvio significato dei
passaggi si ha:
Hoa  l Ts 1,057  106  5,7  10 3
N  Ia'  Hoa  l Ts  Ia' 

 6,025 [A]
N
1000
76
Reti elettriche in corrente continua e corrente alternata
Indice dei contenuti:
1. Introduzione, bipoli fondamentali
2. Principali grandezze elettriche
3. Leggi e principi fondamentali
4. Resistività e coefficiente di temperatura di alcuni materiali: tabella
5. Risoluzione delle reti mediante i principi di Kirchhoff
6. Risoluzione delle reti mediante il metodo di Maxwell
7. Teorema del generatore equivalente di Thevenin
8. Teorema del generatore equivalente di Norton
9. Principio di sovrapposizione degli effetti
10. Principio di Millman
11. Caratteristica esterna e rendimento dei generatori, teorema della massima potenza trasferita
12. Esercizio N° 1 (circuito in c.c., legge di Joule)
13. Esercizio N° 2 (circuito in c.c., differenza di potenziale e potenziale)
14. Esercizio N° 3 (circuito in c.c., risoluzione mediante riduzione delle resistenze)
15. Esercizio N° 4 (circuito in c.c., vari metodi di risoluzione)
16. Esercizio N° 5 (circuito in c.c., Millman)
17. Esercizio N° 6 (circuito in c.c., risoluzione con Kirchhoff ed Ohm)
18. Esercizio N° 7 (circuito in c.c., con generatori di corrente)
19. Esercizio N° 8 (circuito in c.c., vari metodi di risoluzione)
20. Grandezze alternate sinusoidali
21. Grandezze alternate sinusoidali e vettori ruotanti
22. Forme rappresentative per i numeri complessi, operazioni
23. Significato fisico del valore efficace
24. Circuito puramente resistivo in regime sinusoidale, potenza attiva
25. Circuito puramente induttivo in regime sinusoidale, reattanza induttiva
26. Circuito puramente capacitivo in regime sinusoidale, reattanza capacitiva
27. Complementi matematici
28. Potenza elettrica associata ad una corrente in quadratura con la tensione, potenza reattiva
29. Impedenza elettrica, triangolo delle potenze
30. Ammettenza elettrica
31. Criterio di Kennelly-Steinmetz
32. Esercizio N° 9 (circuito in c.a., applicazione di Thevenin e di Millman)
33. Esercizio N° 10 (circuito in c.a., applicazione di Kirchhoff)
34. Teorema di Boucherot
35. Esercizio N° 11 (circuito in c.a., risoluzione e applicazione di Boucherot)
36. Linee semplici monofase, rifasamento
37. Esercizio N° 12 (circuito in c.a., linea monofase con nota la tensione all’arrivo)
38. Esercizio N° 13 (circuito in c.a., linea monofase con nota la tensione alla partenza)
39. Risonanza
Introduzione, bipoli fondamentali
Ancor prima di passare in rassegna le grandezze fisiche e le leggi che caratterizzano i sistemi
elettrici, cerchiamo di capire il significato di circuito elettrico facendo riferimento ad un caso
semplice. Consideriamo una "torcia elettrica", essa contiene un circuito elettrico che comprende
alcuni dei fondamentali dispositivi che costituiscono i sistemi elettrici. Più precisamente troviamo:
77
a.
b.
c.
d.
un generatore elettrico, nella fattispecie una pila chimica;
un utilizzatore (detto anche carico), nella fattispecie una lampada ad incandescenza;
un dispositivo di comando, nella fattispecie un interruttore;
dei fili di materiale metallico conduttore (rame) per il collegamento elettrico dei dispositivi.
Il sistema elettrico appena descritto si può riassumere con un circuito equivalente che ne
rappresenta il modello:
Con Vo è indicato il generatore (più precisamente la sua forza elettromotrice), con K è indicato
l'interruttore e con Lp è indicata la lampada ad incandescenza. I conduttori di collegamento sono
rappresentati mediante delle linee continue e senza alcuna indicazione letterale, questo perché nella
trattazione semplice che stiamo facendo li supponiamo ideali (ovvero capaci di condurre la corrente
elettrica senza che questa incontri alcuna resistenza al suo avanzamento). Quando l'interruttore è
aperto (come in figura) il circuito è interrotto e si dice che il sistema è a riposo. Quando
l'interruttore è chiuso si dice che il sistema è attivo ed è questa la condizione che ci interessa
discutere. Il generatore separa al suo interno la carica elettrica positiva da quella negativa,
concentrando la prima sul suo polo positivo e la seconda sul suo polo negativo. Siccome le cariche
di uguale segno tendono naturalmente a respingersi, il generatore è obbligato a compiere un lavoro
e quindi necessita di energia (nel nostro caso energia chimica, che col trascorrere del tempo tenderà
ovviamente ad esaurirsi), a lavoro compiuto (cioè a cariche separate) tale energia si sarà tramutata
in energia potenziale elettrica posseduta dalle cariche accumulate ai poli. Le cariche accumulate sui
poli tenderanno a ricombinarsi attraverso il circuito esterno al generatore visto che l'interruttore è
chiuso, quindi considerando che il conduttore metallico permette il solo passaggio degli elettroni
(cariche negative), avremo un flusso ordinato di cariche negative (elettroni) che circoleranno in
senso antiorario nel circuito costituendo così la corrente elettrica. E' tuttavia bene introdurre fin da
ora una importante convenzione adottata nei sistemi elettrici: la corrente elettrica è definita come un
flusso ordinato di carica elettrica positiva, quindi, anche se in realtà a spostarsi sono gli elettroni
(carica negativa), si ragionerà sempre e soltanto sulla carica positiva. Allo scopo basta applicare un
piccolo artificio che consiste nel considerare, invece del flusso di elettroni, un flusso uguale ma
opposto di carica elettrica positiva. Adottando tale convenzione diremo che la carica accumulata sul
polo positivo del generatore circola in senso orario nel circuito per ricombinarsi con la carica
negativa che si trova sul polo opposto e così facendo sostiene la corrente elettrica I. La carica
elettrica attraverserà l'utilizzatore Lp e nell'attraversamento perderà l'energia elettrica potenziale
che si trasformerà in altra forma, nel nostro caso in calore che porterà all'incandescenza il filamento
78
della lampadina determinando quindi l'emissione di radiazione luminosa. Una volta che la carica
positiva avrà raggiunto, grazie al circuito esterno, il polo negativo del generatore, il generatore
stesso provvederà a ricondurla al polo positivo fornendole nuova energia potenziale elettrica e
consumando nel compiere tale lavoro una parte dell'energia chimica posseduta. Quanto descritto
continuerà nel tempo fin tanto che non verrà riaperto l'interruttore oppure fin tanto che non si sarà
esaurita l'energia chimica posseduta dal generatore (pila chimica). Vi è una stretta relazione tra la
quantità di carica elettrica che si muove nel circuito, la forza elettromotrice del generatore ed il
lavoro compiuto (sia quello speso nel generatore che quello utile eseguito nell'utilizzatore), più
precisamente la forza elettromotrice del generatore rappresenta il lavoro che può compiere un
coulomb di carica elettrica separata sui suoi poli.
Quanto finora esposto ha inteso descrivere sommariamente l'organizzazione e lo scopo di un
semplice circuito elettrico, quanto seguirà permetterà di analizzare anche quantitativamente il
comportamento di circuiti comunque complessi.
Con rete elettrica si intende un qualsiasi circuito, comunque complesso, formato da generatori (nei
quali l'energia di qualsiasi forma viene trasformata in elettrica) ed utilizzatori (nei quali l'energia
elettrica viene trasformata in altra forma).
Nei circuiti elettrici si distinguono i nodi e le maglie. Per nodo si intende ogni punto in cui
concorrono almeno tre lati o rami indipendenti, mentre una maglia è un circuito chiuso che si
ottiene partendo da un nodo della rete e ritornando allo stesso dopo aver percorso i rami della
maglia una sola volta in un senso arbitrario prefissato.
Una rete elettrica si dice lineare se è costituita soltanto da componenti lineari. Sono tali quei
componenti i cui parametri caratteristici non dipendono dai valori di tensione e corrente che li
interessano.
Una rete elettrica si dice invariante se i suoi componenti hanno parametri caratteristici costanti nel
tempo.
Una rete elettrica si dice funzionante a regime (o in condizioni stazionarie) se si trova nel tempo
sufficientemente lontana rispetto all'istante nel quale si sia applicata ad essa l'ultima sollecitazione,
ovvero se si è esaurito qualsiasi fenomeno transitorio.
Noi studieremo reti elettriche comprendenti i seguenti cinque componenti bipolari:
regolati dalle seguenti note leggi:
generatore ideale di tensione:
79
v(t) = vo(t) [V]
generatore ideale di corrente:
i(t) = io(t) [A]
resistore ideale:
v(t) = R · i(t) [V] , R [] è la resistenza elettrica
condensatore ideale:
induttore ideale:
dove con dv , di , dt si intendono variazioni infinitesime ( od almeno talmente piccole da poterle
ritenere infinitesimali) della tensione, della corrente e del tempo, mentre con v(t) , i(t) si intendono i
valori istantanei della tensione e della corrente.
I parametri dei componenti passivi sono rispettivamente R (resistenza), C (capacità), L (induttanza)
invarianti nel tempo.
I parametri dei componenti attivi (generatori) sono la forza elettromotrice vo(t) per il generatore
ideale di tensione, la corrente impressa io(t) per il generatore ideale di corrente. Nelle reti che noi
considereremo, la forza elettromotrice e la corrente impressa potranno essere soltanto o costanti nel
tempo (reti in corrente continua) o variabili sinusoidalmente nel tempo (reti in corrente alternata).
Lo studio delle reti elettriche che noi condurremo, oltre a rispondere ai requisiti sopra esposti,
presuppone che le reti medesime siano del tipo a parametri concentrati, ovvero si dovranno
considerare i valori di resistenza, capacità ed induttanza concentrati in punti particolari della rete ed
interconnessi mediante conduttori ideali.
Lo studio delle reti è importantissimo sia in ambito elettronico che elettrotecnico, per quest'ultimo
tipo di applicazioni, in particolare, esso permette l'analisi dei modelli dei sistemi di distribuzione
dell'energia elettrica e dei modelli delle macchine elettriche.
Principali grandezze elettriche
Carica elettrica : è la quantità di elettricità positiva o negativa di un corpo, essa è sempre un
multiplo intero della carica elementare (quanto elementare pari alla carica di un elettrone). L'unità
di misura della quantità di carica elettrica è il coulomb. 1 [C] è, a meno del segno, la carica
posseduta da 6,242·1018 elettroni. Nello studio delle reti che noi faremo, trascureremo la natura
corpuscolare della carica elettrica ed immagineremo che tale grandezza fisica vari con continuità.
80
Intensità di corrente : è il rapporto tra la quantità di carica elettrica che attraversa la sezione di un
conduttore ed il tempo impiegato per tale attraversamento. Se il tempo impiegato ha valore finito si
parla di intensità media:
[A]
se il tempo impiegato ha valore infinitesimo si parla di intensità istantanea:
[A]
Si dice che l'intensità di corrente vale 1 [A] se nel tempo di 1 [s] la sezione del conduttore è
attraversata da 1 [C] di carica elettrica.
Per convenzione, si assume quale verso di riferimento della corrente quello relativo al movimento
di carica positiva, anche se nella maggior parte dei conduttori le cariche libere il cui flusso
costituisce corrente sono elettroni (cariche negative).
Corrente impressa : è l'intensità di corrente che un generatore ideale di corrente imprime nel ramo
ove esso si trova inserito.
Differenza di potenziale (tensione elettrica) : si intende sempre valutata tra due punti, ad esempio
A e B , si indica con VAB [V] ed è espressa dal rapporto tra il lavoro W [J] necessario per trasferire
la carica positiva Q [C] dal punto A al punto B e la carica stessa:
[V]
Si considera positiva se, nel passare da A a B, la carica positiva compie lavoro cedendo all'esterno
parte della propria energia potenziale elettrica che si trasformerà in altra forma, si considera
negativa se è dall'esterno che si deve compiere lavoro aumentando così l'energia potenziale elettrica
della carica. L'unità di misura della differenza di potenziale è il volt. Si dice che tra due punti vi è la
d.d.p. di 1 [V] se lo spostamento di 1 [C] di carica tra essi comporta un lavoro di 1 [Joule].
Potenziale : si intende sempre valutato in un punto, ad esempio A , si indica con VA [V], e
rappresenta la d.d.p. tra il punto considerato ed un punto di riferimento ( chiamato punto di massa )
al quale si assegna il valore nullo di potenziale. Il potenziale è legato alla differenza di potenziale
dalla seguente relazione VAB = VA - VB [V].
Caduta di tensione : è la d.d.p. valutata ai capi di un utilizzatore o di un generico dispositivo
passivo. Rappresenta il lavoro compiuto da un coulomb di carica elettrica che attraversi
l'utilizzatore.
Forza elettromotrice : è la d.d.p. che un generatore ideale di tensione impone tra i due punti
attraverso i quali esso è inserito nella rete. Rappresenta l'energia potenziale elettrica posseduta da un
coulomb di carica elettrica separata e raccolta sui poli del generatore.
Potenza elettrica : è, in un certo istante t e con riferimento ad un bipolo di morsetti A e B , il
prodotto tra i valori istantanei della corrente i(t) entrante nel morsetto A del bipolo e della tensione
vAB(t) presente tra i capi A e B del bipolo:
81
Infatti al passaggio da A a B della quantità di carica dq [C] corrisponde un lavoro pari a:
Se tale passaggio avviene nel tempo dt [s] la potenza associata al lavoro vale:
Se il risultato del prodotto è positivo si ha che nel bipolo avviene una trasformazione da energia
elettrica in altra forma, se il risultato è negativo avviene la trasformazione inversa.
Leggi e principi fondamentali
Legge di Ohm per i conduttori filiformi
La resistenza elettrica R [] di un conduttore metallico filiforme dipende dalla natura del
conduttore e dalle sue dimensioni secondo la relazione:
R = ( · l) / S []
con  in [·mm2/m] , l in [m] , S in [mm2] , si ricorda che la resistività elettrica  dipende dalla
temperatura.
La caduta di tensione ai capi di un utilizzatore dipende dalla resistenza dell'utilizzatore ed è
direttamente proporzionale alla corrente che lo attraversa ( legge di Ohm ):
VAB = R · I [V] , VBA = - VAB = -R · I [V]
la corrente percorrendo l'utilizzatore determina la riduzione dell'energia potenziale posseduta dalla
carica elettrica il cui flusso costituisce la corrente stessa, tale energia potenziale elettrica si
trasforma in calore (o lavoro meccanico, o lavoro chimico secondo il tipo di utilizzatore) e viene
così ceduta all'esterno del sistema "rete elettrica". Da tale fatto dipende la relazione tra il verso della
82
corrente ed il verso della caduta di tensione ai capi dell'utilizzatore, i due versi sono ovviamente
opposti.
Variazione della resistività elettrica con la temperatura
Se t [·mm2/m] e t [°C-1] sono la resistività elettrica ed il coefficiente di temperatura di un
determinato conduttore alla temperatura t [°C] , la resistività elettrica alla temperatura T varrà:
T = t·(1 + t·(T-t)) [·mm2/m]
Inoltre vale la relazione:
con H = 234,5 [°C] per il rame ed H = 230 [°C] per l'alluminio. T , t , RT , Rt sono due diverse
temperature e le rispettive resistenze.
Legge di Ohm generalizzata applicata ad un circuito chiuso
Dato un circuito elettrico, tutto serie, composto di un'unica maglia e quindi interessato da un'unica
corrente, la somma algebrica delle f.e.m. dei generatori presenti è uguale alla somma aritmetica
delle c.d.t. nei vari utilizzatori :
dove le f.e.m. vanno prese positive se concordi col verso della corrente.
Vediamo un esempio riferito ad un circuito in corrente continua :
+V01 -V02 -V03 +V04 = R1·I + R2·I + R3·I + R4·I = I·( R1+ R2+ R3+ R4 )
Legge di Ohm generalizzata applicata ad un tronco di circuito
La d.d.p. ai capi di un tronco di circuito, anche costituito da più rami, è pari alla somma algebrica
delle f.e.m. dei generatori e delle c.d.t. negli utilizzatori presenti lungo il tronco :
83
Le une e le altre devono essere prese positive se contribuiscono a rendere positiva l'estremità del
tronco ( A ) assunta a potenziale maggiore.
Per quanto riguarda la c.d.t. negli utilizzatori, è bene ricordare che essa presenta la polarità positiva
nel morsetto ove entra la corrente, negativa ove la corrente esce.
Vediamo un esempio riferito ad un circuito in corrente continua :
Se decidiamo di determinare VAB , significa che supponiamo VA > VB e quindi scriveremo:
VAB = -V01 + V02 + V03 + R1·I1 - R2·I2 + R3·I3 [V]
Primo principio di Kirchhoff
La somma delle correnti entranti in un nodo è uguale alla somma delle correnti uscenti dal nodo :
Il principio è valido pure per un nodo esteso, dove con nodo esteso si intende una porzione di rete
elettrica delimitata da una sezione chiusa della rete medesima.
Vediamo un esempio riferito ad un circuito in corrente continua :
I1 + I4 = I2 + I3 + I5
Secondo principio di Kirchhoff
La somma algebrica di tutte le d.d.p. (f.e.m. e c.d.t.) che si incontrano percorrendo una qualsiasi
maglia chiusa di una rete elettrica è pari a zero. Tale fatto risulta ovvio, infatti il punto di partenza
coincide col punto di arrivo e, quindi, non vi può essere variazione di potenziale elettrico :
84
Per applicare tale legge conviene scegliere innanzitutto un verso positivo ( + ) di percorrenza della
maglia e confrontare le varie d.d.p. con tale verso al fine di stabilire se i singoli contributi sono da
considerarsi positivi o negativi (è bene tenere conto del fatto che le c.d.t. sulle resistenze hanno
verso opposto alle correnti che le producono).
Vediamo un esempio riferito ad un circuito in corrente continua :
+ V01 + R1·I1 - V02 + R2·I2 - V03 - R3·I3 + V04 - R4·I4 = 0
Riduzione di resistenze in serie o parallelo
Più resistenze si dicono in serie quando sono percorse dalla stessa corrente, in tal caso la resistenza
equivalente vale:
RS = R1 + R2 + R3 + ... []
Più resistenze si dicono in parallelo quando ai loro capi presentano la stessa tensione, in tal caso la
resistenza equivalente vale:
Trasformazione triangolo - stella e viceversa
Con riferimento ad un circuito in corrente continua :
85
Trasformazione di generatori reali
I modelli di generatore elettrico si dicono reali se tengono conto delle dissipazioni di potenza e delle
cadute di tensione che si hanno internamente ai generatori stessi, in tal caso il circuito equivalente
presenta il parametro resistenza interna Ro. Con riferimento ai generatori reali di tensione e
corrente continua si ha:
Osservazione : se in una rete elettrica è presente un generatore ideale di tensione, allora è nota la
d.d.p. tra i due punti ai quali è applicato il generatore e tale d.d.p. è pari alla f.e.m. del generatore
ideale di tensione. Se in una rete elettrica è presente un generatore ideale di corrente, allora è nota la
corrente nel ramo in serie al quale è inserito il generatore e tale corrente è pari alla corrente
impressa del generatore ideale di corrente.
86
Legge di Joule
Quando una resistenza elettrica è attraversata da una corrente accade che parte dell'energia elettrica
potenziale posseduta dalla carica elettrica (il cui flusso costituisce la corrente stessa) si trasforma in
calore (infatti il potenziale elettrico diminuisce mano a mano che la corrente attraversa la
resistenza). La quantità di calore sviluppato si calcola moltiplicando la potenza elettrica per il
tempo. Con riferimento ad un circuito in corrente continua (ma la cosa è analoga in corrente
alternata) si ha:
Additività delle potenze elettriche
In una rete elettrica qualsiasi (purché non interconnessa con altre reti), la somma delle potenze
generate dai generatori elettrici (calcolate come prodotto della f.e.m. per la corrente erogata) è
sempre uguale alla somma delle potenze dissipate per effetto Joule nelle resistenze elettriche
presenti nella rete.
Resistività e coefficienti di temperatura dei materiali più comuni: tabella
La tabella sottostante riporta la resistività elettrica ed il coefficiente di temperatura di alcuni
materiali riferiti alla temperatura di 0 [°C]
Temperatura di riferimento 0 [°C]
Resistività
Materiale
elettrica 0
[·mm2/m]
Argento
0,015
Buoni
Rame
0,016
conduttori
Oro
0,021
Alluminio
0,026
Tungsteno (Wolframio)
0,05
Stagno
0,115
Ferro dolce
0,13
Piombo
0,2
Conduttori
Manganina (Cu, Mn, Ni)
0,4
Costantana (Cu, Ni)
0,5
Ferro-Nichel
0,85
Mercurio
0,951
Carbone
30
Semiconduttori Germanio purissimo
5·105
Coefficiente di
temperatura 0
[1/°C]]
4·10-3
4,2·10-3
3,9·10-3
4,3·10-3
4,5·10-3
4,3·10-3
4,8·10-3
4,2·10-3
0,01·10-3
0
0,6·10-3
0,9·10-3
negativo
negativo
87
Isolanti
Silicio purissimo
Olio minerale
Porcellana
Mica
Polistirolo
25·108
1·1017
1·1018
1·1020
1·1022
negativo
Se servono la resistività ed il coefficiente di temperatura ad una temperatura t [°C] diversa da 0
[°C], si possono calcolare con le seguenti espressioni:
Risoluzione mediante i principi di Kirchhoff
In una rete elettrica, indicando con n il numero dei nodi, con m il numero delle maglie indipendenti
e con r il numero dei rami, si ha sempre (r = n - 1 + m) . La risoluzione mediante i principi di
Kirchhoff consiste nello scrivere un sistema di r equazioni in r incognite (le correnti nei rami). Le
prime (n -1) equazioni consistono nel primo principio di Kirchhoff applicato ad (n -1) nodi, le
rimanenti (r - n + 1) equazioni consistono nel secondo principio di Kirchhoff applicato a (r - n + 1)
maglie indipendenti. Più maglie si dicono indipendenti se nessuna di loro è una combinazione
lineare delle altre, ad esempio tutte le maglie topologicamente contigue e che non si comprendono
l'una nell'altra sono sicuramente indipendenti.
Con riferimento alla rete in corrente continua riportata nella figura sottostante, si individuano
quattro nodi, otto maglie delle quali tre sono indipendenti e sei rami. Quindi, dopo aver prefissato
un arbitrario verso per la corrente in ciascuno dei sei rami e per l'orientamento di ciascuna maglia
indipendente, scriveremo un sistema lineare di sei equazioni in sei incognite. Delle sei equazioni,
tre saranno relative ai rami e tre alle maglie. Risolvendo il sistema si determineranno le intensità
delle sei correnti. Se l'intensità è positiva si potrà dire che il verso prefissato è quello effettivo,
diversamente il verso effettivo sarà opposto a quello prefissato.
88
Risoluzione mediante il metodo di Maxwell
Si assumono come incognite le correnti di circolazione delle maglie indipendenti che sono correnti
fittizie e non rappresentano quelle che percorrono ciascun ramo della rete. Quindi, detto m il
numero delle maglie indipendenti, si ha m = r - (n-1) e di conseguenza il numero delle incognite è
minore di quello del metodo precedente. Il sistema risolvente si comporrà di tante equazioni,
corrispondenti al secondo principio di Kirchhoff, quante sono le maglie indipendenti. Con questo
metodo il primo principio di Kirchhoff risulta senz'altro verificato in quanto la corrente in ogni
nodo si intende una volta entrante ed una volta uscente. La corrente in ogni ramo comune a due
maglie contigue risulta la somma algebrica delle due correnti fittizie relative alle due maglie.
Applichiamo il metodo alla rete già risolta con Kirchhoff, assumendo quali correnti fittizie di
maglia Im1 (maglia superiore di sinistra), Im2 (maglia superiore di destra), Im3 (maglia inferiore).
I versi delle correnti di maglia sono stati scelti arbitrariamente. Si dovrà comporre un sistema
lineare di tre equazioni in tre incognite (le correnti fittizie di maglia) essendo tre il numero delle
maglie indipendenti:
89
Risolvendo il sistema si determinano le tre correnti di maglia Im1 , Im2 , Im3. Per le correnti nei
sei rami della rete bisogna, per prima cosa, prefissarne i versi. Supponendo che i versi siano quelli
riportati nello schema elettrico, le correnti varranno:
I1 = -Im1 [A], I2 = -Im2 [A], I3 = +Im1-Im2 [A]
I4 = -Im3 [A], I5 = +Im1-Im3 [A], I6 = +Im2-Im3 [A]
Teorema del generatore equivalente di Thevenin
Risulta particolarmente adatto per determinare la corrente Ir che circola in un qualsiasi ramo (o la
tensione Vr ai capi di esso) di una rete elettrica lineare comunque complessa. Considerata allora
una rete elettrica lineare nella quale siano accessibili due morsetti P e Q qualsiasi, il teorema
afferma che, per quanto riguarda il calcolo della corrente (o della tensione) relativa al ramo ad essi
collegato, il resto della rete equivale ad un generatore reale di tensione avente f.e.m. Veq e
resistenza interna Req :
Il generatore reale di tensione Veq , Req è chiamato generatore equivalente di Thevenin e la rete
semplificata è chiamata rete equivalente di Thevenin.
La f.e.m. Veq del generatore equivalente è il valore della tensione a vuoto (cioè dopo aver
distaccato il ramo interessato) esistente tra i morsetti P e Q.
La resistenza Req è quella della rete di partenza, resa passiva e priva del ramo interessato, vista dai
morsetti P e Q. Per rendere passiva la rete di partenza bisogna annullarne i generatori, ovvero aprire
i generatori ideali di corrente e cortocircuitare quelli di tensione.
90
E' importante osservare che la polarità positiva del generatore equivalente di Thevenin deve essere
rivolta verso lo stesso morsetto del ramo interessato rispetto al quale si è assunta positiva la d.d.p.
Veq quando questa è stata calcolata. Teorema del generatore equivalente di Norton
E' il duale di quello di Thevenin, solo che il generatore reale equivalente, anziché di tensione, è di
corrente. Esso viene chiamato generatore equivalente di Norton.
La sua resistenza interna Req si determina così come già visto per il generatore di Thevenin. La sua
corrente impressa Ieq è quella corrente che, nella rete lineare di partenza, circolerebbe nel
cortocircuito che unisce i punti P e Q .
E' importante osservare che il verso della corrente impressa Ieq è legato al verso col quale si è
trovata la corrente nel cortocircuito che unisce i punti P e Q . Più precisamente la corrente impressa
Ieq deve puntare verso P se la corrente nel cortocircuito è stata determinata col verso che va da P a
Q.
91
Principio di sovrapposizione degli effetti
La corrente in un ramo qualsiasi (o la d.d.p. ai capi dello stesso) appartenente ad una rete elettrica
lineare comunque complessa nella quale agiscono simultaneamente più generatori di tensione e/o di
corrente, si ottiene facendo la somma algebrica delle correnti (o delle d.d.p.) relative al ramo
considerato e dovute a ciascun generatore supposto agente da solo, con i rimanenti annullati
(cortocircuitati se di tensione, aperti se di corrente).
Principio di Millman
Si applica quando la rete ha solo due nodi M ed N , cioè è costituita da rami tutti in parallelo tra di
loro. Se J è il numero di rami, Vok è la f.e.m. totale per il ramo k-esimo , Rk è la resistenza totale
per il ramo k-esimo , la d.d.p. fra i due nodi vale:
Nella somma algebrica a numeratore, il singolo termine è positivo se la f.e.m. Vok è tale da rendere
positivo il potenziale del punto M rispetto al potenziale del punto N .
Caratteristica esterna e rendimento dei generatori, teorema della massima potenza
trasferita
Caratteristica esterna di un generatore
I generatori elettrici sono macchine che trasformano energia di altro tipo in energia elettrica. Per ora
ci limitiamo a considerare generatori di tensione e corrente continua, ma esistono (ed anzi sono
molto più diffusi in ambito elettrotecnico) anche i generatori di tensione e corrente alternata. Il
motivo per il quale esistono due diversi modelli, generatore di tensione e generatore di corrente, per
la stessa macchina è dovuto al fatto che nelle applicazioni si hanno sia dispositivi che tendono a
mantenere costante la tensione d'uscita al variare della resistenza dell'utilizzatore alimentato, e per
essi è più opportuno come modello il generatore di tensione, sia dispositivi che tendono a mantenere
costante la corrente erogata al variare della resistenza dell'utilizzatore alimentato, e per essi è più
opportuno come modello il generatore di corrente.
Per caratteristica esterna di un generatore si intende la funzione V = f (I) ovvero la tensione d'uscita
in funzione della corrente erogata.
Vediamo nel caso di generatori ideali (cioè privi di dissipazioni interne di potenza) quale è
l'andamento della caratteristica esterna, allo scopo supponiamo che i generatori alimentino un
utilizzatore avente una resistenza Ru che dobbiamo immaginare variabile tra  [] (funzionamento
a vuoto del generatore) e 0 [] (funzionamento in cortocircuito del generatore):
92
Per il generatore ideale di tensione la caratteristica esterna sarà una retta orizzontale di equazione V
= Vo in quanto la sua tensione d'uscita è rigorosamente uguale alla sua forza elettromotrice,
qualsiasi sia la resistenza dell'utilizzatore alimentato e quindi qualsiasi sia la corrente erogata. Per il
generatore ideale di corrente la caratteristica esterna sarà una retta verticale di equazione I = Io in
quanto la corrente erogata è rigorosamente uguale alla sua corrente impressa, qualsiasi sia la
resistenza dell'utilizzatore alimentato e quindi qualsiasi sia la tensione d'uscita.
Passiamo ora ad esaminare il caso di generatori reali (cioè generatori per i quali si considerino i
fenomeni dissipativi interni). Il circuito equivalente dei generatori dovrà ora prevedere una
resistenza interna Ro grazie la quale si può tenere conto delle perdite interne di potenza. Tale
resistenza verrà messa in serie nel caso del generatore di tensione (e vale zero se il generatore è
ideale), mentre verrà messa in parallelo nel caso del generatore di corrente (e vale infinito se il
generatore è ideale). Infatti la resistenza interna, oltre che delle perdite di potenza, dovrà pure tenere
conto della diminuzione della tensione d'uscita all'aumentare della corrente erogata per il generatore
reale di tensione e della diminuzione della corrente erogata all'aumentare della tensione d'uscita per
il generatore reale di corrente.
93
Vediamo la discussione nel caso del generatore reale di tensione, il caso del generatore reale di
corrente è del tutto analogo.
L'equazione della caratteristica esterna V = f (I) si determina applicando la legge di Ohm al tronco
di circuito comprendente il generatore:
V = Vo - Ro·I
si tratta dell'equazione di una retta sul piano cartesiano (I,V) avente pendenza negativa, la pendenza
è tanto più accentuata quanto più è grande la resistenza interna del generatore. L'intersezione con
l'ordinata rappresenta il punto di funzionamento a vuoto essendo nulla la corrente erogata, quindi
con resistenza dell'utilizzatore di valore infinito, e la tensione d'uscita è in tal caso pari alla f.e.m.
del generatore. L'intersezione con l'ascissa rappresenta il punto di funzionamento in cortocircuito
essendo nulla la tensione d'uscita, quindi con resistenza dell'utilizzatore di valore nullo, e la corrente
erogata è in tal caso uguale a:
V = 0  Icc = Vo / Ro
94
Per una generica condizione di funzionamento del generatore si avrà una tensione d'uscita che
risulterà inferiore alla f.e.m. del generatore stesso di una quantità pari a Ro·I che rappresenta la
caduta di tensione interna al generatore dovuta alla sua resistenza interna.
Viene chiamata retta di carico l'equazione corrispondente alla legge di Ohm applicata
all'utilizzatore, ovvero:
V = Ru·I
Sul piano cartesiano (I,V) tale equazione rappresenta una retta passate per l'origine ed avente
pendenza positiva. Se i due assi hanno il medesimo fattore di scala, risulta essere:
tg() = Ru
quindi la retta di carico coincide con l'ascissa se Ru = 0, coincide con l'ordinata se Ru = . Il punto
di intersezione tra la caratteristica esterna e la retta di carico individua il punto di lavoro del sistema
formato dal generatore e dall'utilizzatore, ovvero la coppia di valori (I,V) che soddisfa il sistema
elettrico complessivo.
Rendimento elettrico di un generatore
Data una qualsiasi macchina si definisce rendimento  il rapporto tra la potenza erogata Pe e la
potenza assorbita Pa. Siccome ogni macchina reale è inevitabilmente sede di perdite di potenza Pd,
risulterà la potenza erogata sempre inferiore alla potenza assorbita e quindi il rendimento sarà
sempre inferiore all'unità:
Per un generatore elettrico si definisce rendimento elettrico E il rapporto tra la potenza elettrica
erogata Pe e la potenza elettrica generata Pg:
Naturalmente il termine (Ro·I2) rappresenta le perdite di potenza per effetto Joule sulla resistenza
interna del generatore. Abbiamo considerato un generatore reale di tensione, per quello di corrente
valgono considerazioni analoghe.
Teorema della massima potenza trasferita
Vediamo, sempre per il generatore reale di tensione, come varia la potenza erogata in funzione della
resistenza dell'utilizzatore. Allo scopo è necessario studiare la funzione Pe = f(Ru):
95
Si osserva che per Ru = 0 risulta essere Pe = 0, inoltre per Ru tendente ad infinito di nuovo Pe
tende a zero, infine Pe assume valori sempre positivi. Quindi la funzione Pe = f(Ru) ha un
andamento a campana e si potrebbe dimostrare che il massimo della campana si ha quando Ru è
uguale a Ro:
Ponendo nell'equazione Pe = f(Ru) al posto di Ru la Ro si ottiene l'espressione della massima
potenza erogabile dal generatore:
Per quanto riguarda il rendimento elettrico in coincidenza della condizione Ru = Ro di massima
potenza erogata si ha:
Si può quindi enunciare il seguente teorema della massima potenza trasferita:
se una rete elettrica (o un generatore reale) alimenta un'altra rete (o un carico) si ha il massimo
trasferimento di potenza quando la resistenza di uscita della rete alimentante (o la resistenza interna
del generatore) è uguale alla resistenza d'ingresso della rete alimentata (o alla resistenza del carico),
si suole dire allora che il carico è adattato in potenza. In queste condizioni il rendimento vale 0,5 e,
quindi, il problema dell'adattamento è particolarmente sentito nei circuiti a basso livello di potenza
(telefonia, telegrafia, ecc.) e non in quelli ad alto livello di potenza tipici delle applicazioni
industriali dell'elettrotecnica.
Esercizio N° 1 (circuito in c.c., legge di Joule)
96
Il presente esercizio ha lo scopo di mostrare il legame esistente tra tensione, corrente e potenza
elettrica.
Parte prima.
Si abbia un forno elettrico a resistenza alimentato con una tensione continua pari a V=230 [V] (ma
nulla cambierebbe se fosse alimentato con una tensione alternata di valore efficace 230 [V], come
sarà chiarito quando si studieranno le reti elettriche in corrente alternata). Si vuole determinare il
valore della resistenza R del forno sapendo che esso deve essere in grado di elevare da 1=20 [°C]
a 2=60 [°C] la temperatura di una quantità d’olio minerale pari a 50 litri nel tempo di 15 minuti. Si
assuma per il forno un rendimento del =90%.
Il sistema allo studio può essere rappresentato con la seguente figura:
V
I
R

Per prima cosa si deve determinare il lavoro termico necessario per realizzare il voluto
riscaldamento dell’olio. Come si sa dal corso di fisica, la quantità di calore W necessaria per
riscaldare una sostanza si determina con l’espressione:
W  m  cS  (2  1 ) [cal]
dove m [kg] è la massa della sostanza, cS [cal/(°C·g)] è il calore specifico della sostanza, 1 e 2
[°C] le temperature iniziale e finale della sostanza.
Nel nostro caso la massa la determiniamo attraverso il volume v [dm3] e la densità dell’olio
minerale  [kg/dm3]:
v  50 [l]  50 [dm 3 ] 

 m  v    50  0,875  43,75 [kg]
3 
  0,875 [kg/dm ] 

Il calore specifico per l’olio minerale vale cS=458,6 [cal/(kg·°C)], siamo quindi in grado di
determinare il calore necessario:
W  m  cS  (2  1 )  43,75  458,6  (60  20)  80,25  104 [cal]
Ricordando che una caloria equivale a 4,187 joule abbiamo infine:
W  80,25  104  4,187  33,60  105 [J]
Considerando che detto lavoro deve essere compiuto in 15 minuti, calcoliamo la potenza calorica
del forno:
P 
W 33,60  105

 3733 [W]
t
15  60
97
Naturalmente, essendo il forno non ideale ma caratterizzato da un rendimento pari al 90% ovvero
pari a 0,90, la potenza elettrica della resistenza riscaldante sarà maggiore:
P
P
3733
    PR   
 4148 [W]
PR

0,90
Considerando che è nota la tensione applicata alla resistenza, mediante la legge di Joule possiamo
trovare la resistenza stessa:
PR  V  I  V 
V V2
V 2 2302

 R

 12,75 [ohm]
R R
PR 4148
PR 4148

 18,03 [A]
V
230
La corrente assorbita dalla resistenza vale:
I
Parte seconda.
La resistenza sopra calcolata deve essere realizzata con un filo di Nichel-Cromo a spirale che
presenta una resistività a zero gradi centigradi pari a 1,06 [·mm2/m] ed un coefficiente di
temperatura a zero gradi centigradi pari a 5,1·10-5 [°C-1]. Considerando in base all’esperienza una
densità di corrente I=9 [A/mm2] calcoliamo la sezione e la lunghezza del filo necessario allo
scopo.
La sezione si calcola immediatamente:
I
I 18,03
I   s 

 2 [mm 2 ]
s
I
9
Visto il piccolissimo valore del coefficiente di temperatura possiamo ritenere in questa applicazione
trascurabile la variazione di resistività conseguente alla variazione di temperatura. Ricordando come
la resistenza dipende dalle dimensioni avremo infine:
 l
R  s 12,75  2
R
 l

 24,06 [m]
s

1,06
Esercizio N° 2 (circuito in c.c., differenza di potenziale e potenziale)
Il presente esercizio ha lo scopo di chiarire il significato di differenza di potenziale tra due punti e di
potenziale di un punto.
Parte prima.
Si abbia una rete elettrica isolata (cioè che non possa scambiare corrente con un’altra rete, noi
studieremo sempre reti isolate):
98
F
Ri = i []
Ei = (100·i) [V]
R7
VAF
E9
E5
G
R2
E4
D
I
R1
R3
E2
E6
E7
R6
E8
C
A
B
R4
E1
R5
E3
VAC
In questa rete i punti F ed A non siano collegati, come già detto, a nessun’altra rete ed il punto C sia
il punto di massa. Il significato di punto a massa è quello di un punto della rete il cui potenziale è
preso come riferimento e posto, convenzionalmente, pari a zero ovvero VC=0 [V]. Nella stessa rete
più punti possono essere connessi a massa ed in tal caso tutti questi punti avranno il potenziale di
riferimento. Solo se esiste un punto di riferimento, ovvero un punto connesso a massa, è possibile
definire il potenziale di ogni altro punto della rete che verrà espresso come differenza di potenziale
rispetto a massa. La differenza di potenziale tra due punti è invece sempre definibile, non è
necessario che esista una massa.
Analizzando la rete al fine di individuare il percorso della corrente si nota che la corrente non
circolerà nei tratti AB e FD in quanto nei punti A e F vi è una interruzione e la corrente per
circolare ha bisogno di un circuito chiuso. Analogamente la corrente non circolerà nel tratto che
collega il punto C alla massa. Per tali motivi la corrente potrà circolare solo nel circuito chiuso
CDGBC ed i punti D, B, C non si comporteranno come nodi elettrici in quanto in essi la corrente
non può dividersi su più rami. In definitiva nella rete si ha un’unica corrente che percorre il circuito
chiuso CDGBC.
Per determinare l’intensità della corrente basta prefissare arbitrariamente il verso della stessa, ad
esempio quello orario come in figura, ed applicare la legge generalizzata di Ohm al circuito chiuso:
 E3  E1  E6  E5  E4  E2  I  ( R 5  R 4  R1  R 2  R 3 ) 
 E3  E1  E6  E5  E4  E2  300  100  600  500  400  200

 46,67 [A]
R 5  R 4  R1  R 2  R 3
5 41 2 3
Proponiamoci ora di determinare la differenza di potenziale tra i punti A ed F, cioè la VAF. Allo
scopo applichiamo la legge generalizzata di Ohm al tronco di circuito ABGDF ed ovviamente non
considereremo le cadute di tensione sulle resistenze R6 ed R7 in quanto esse non sono percorse da
corrente:
 I
99
VAF   E7  E8  E6  R1  I  E5  R 2  I  E4  E9 
 700  800  600  1  ( 46,67)  500  2  ( 46,67)  400  900  1360 [V]
Volendo avremmo potuto usare in alternativa il tronco ABCDF ottenendo ovviamente lo stesso
risultato:
VAF   E7  E8  R 4  I  E1  R5  I  E3  E2  R 3  I  E9  1360 [V]
Adesso vogliamo determinare il potenziale nei punti A ed F, cioè VA e VF. Allo scopo, essendo il
punto C a massa, determiniamo innanzitutto VAC:
VAC   E7  E8  R4  I  E1  R 5  I  E3  120,0 [V]
Ricordando la definizione di differenza di potenziale:
VAC  VA  VC  VA  VAC  VC  120,0  0  120,0 [V]
Per determinare VF possiamo ricorrere alla differenza di potenziale nota VAF:
VAF  VA  VF  VF  VA  VAF  120,0  1360  1240 [V]
Parte seconda.
Si abbia ora la seguente rete:
F
Ri = i []
Ei = (100·i) [V]
R7
VAF
E9
G
E5
R2
E4
D
I
R1
E6
E7
A
R6
E8
B
R4
E1
R5
E3 C
VAC
Analizzando la rete sembrerebbe che manchi un qualsiasi circuito chiuso ove possa circolare la
corrente. In realtà un circuito chiuso esiste grazie alla presenza di due punti messi a massa, si tratta
dei punti C e F. Questi due punti sono equipotenziali ed elettricamente è come se fossero uniti da
un cortocircuito grazie al quale si chiude la maglia CBGDFC. In tale maglia circolerà una corrente
il cui verso può essere fissato arbitrariamente, ad esempio antiorario, e la cui intensità si può
determinare con la legge di Ohm generalizzata:
100
 E3  E1  E6  E5  E4  E9  I  ( R 5  R 4  R1  R 2  R 7 ) 
 E3  E1  E6  E5  E4  E9  300  100  600  500  400  900

 94,74 [A]
R 5  R 4  R1  R 2  R 7
5 41 2 7
Determiniamo la VAF:
VAF   E7  E8  E6  R1  I  E5  R 2  I  E4  E9  R 7  I 
 I
 700  800  600  1  (94,74)  500  2  (94,74)  400  900  7  (94,74)  552,6 [V]
Oppure, considerando che F e C sono allo stesso potenziale essendo entrambi messi a massa:
VAF  VAC   E7  E8  R4  I  E1  R5  I  E3  552,6 [V]
Ricordando la definizione di differenza di potenziale e che VF=0 [V]:
VAF  VA  VF  VA  VAF  VF  552,6  0  552,6 [V]
Esercizio N° 3 (circuito in c.c., risoluzione mediante riduzione delle resistenze)
Il presente esercizio ha lo scopo di mostrare come risolvere una rete elettrica attraverso la
successiva riduzione delle maglie che compongono la rete stessa utilizzando il raggruppamento
delle resistenze in serie e/o in parallelo, oppure la trasformazione stella-triangolo.
Parte prima.
Partiamo con la rete di figura nella quale sia da determinare la corrente sulla resistenza R4 col verso
indicato in figura.
R1
A
B
R2
C
R3
D
Ri = i []
Ei = (100·i) [V]
I4
R4
E1
R5
E2
Come si nota la rete è composta da un’unica maglia chiusa percorsa da un’unica corrente, appunto
la I4. Tutti i dispositivi, resistenze e generatori, sono in serie tra di loro e per determinare la corrente
posso applicare la legge di Ohm generalizzata:
 E1  E2
 E1  E2  I 4  ( R 4  R1  R 2  R 3  R 5 )  I 4 

( R 4  R1  R 2  R 3  R 5 )
 100  200
 6,667 [A]
41 2 3 5
Si nota che la corrente è risultata di valore negativo, questo fatto dipende dal verso che si è
prefissato. In una rete semplice può essere possibile intuire quale verso assegnare alla corrente
affinché essa risulti positiva (nel nostro caso è evidente che essendo E2 > E1 la corrente avrà valore
positivo se scelta con verso uscente dal polo positivo del generatore E2), ma se la rete è complessa
con diversi generatori collocati su più rami è molto difficile prevedere il verso che determina un
valore positivo della corrente. D'altronde l’intensità di una corrente continua è rappresentata da un
numero reale che può anche essere negativo e, quando ciò accade, non si deve ritornare sui propri
passi e capovolgere il verso prefissato ma, più semplicemente, usare il valore negativo nei calcoli
successivi.

Parte seconda.
101
Rendiamo più complessa la rete inserendo due cortocircuiti rispettivamente tra i punti A e C ed i
punti B e D, come mostrato in figura:
VAB’
R1
A
B
R2
C
(*)
R3
D
I1 ’
Ri = i []
Ei = (100·i) [V]
I6 ’
I4 ’
R4
E1
R5
E2
La rete è radicalmente cambiata, infatti i punti A, B, C, D sono ora dei nodi ed ovviamente la
corrente sulla resistenza R4 avrà un valore diverso dal precedente. Proponiamoci di trovarlo assieme
al valore della corrente nel cortocircuito AC usando i versi indicati in figura.
La rete è composta da più maglie, tuttavia essendo i generatori presenti disposti su un unico ramo è
possibile risolvere attraverso la riduzione successiva della rete fino ad ottenere un’unica maglia.
Osserviamo che le resistenze R1, R2, R3 sono tra di loro in parallelo, infatti tutte e tre sono
sottoposte alla stessa tensione. La cosa si può notare facilmente se si ridisegna la rete facendo
coincidere i punti che si trovano allo stesso potenziale elettrico (e sono tali i punti uniti da un
cortocircuito) in un unico punto geometrico:
VAB’
R2
(**)
A=C I1’ R1
B=D
R3
Ri = i []
Ei = (100·i) [V]
I4 ’
R4
E1
R5
E2
Riduco le tre resistenze in parallelo:
1
1
RP 

 0,5455 [ ]
1
1
1
1 1 1


 
R1 R 2 R 3 1 2 3
Risulta evidente che, dopo la riduzione, la rete si compone di un’unica maglia alla quale posso
applicare la legge di Ohm generalizzata per calcolare la corrente I4’:
 E1  E2
 E1  E2  I 4 '( R 4  R P  R 5 )  I 4 ' 

(R4  R P  R5 )
 100  200
 10,48 [A]
4  0,5455  5
Per trovare la corrente I6’, considerando che essa circola in un cortocircuito, non posso applicare
direttamente la legge di Ohm ma devo ricorrere al primo principio di Kirchhoff applicato ad uno dei

102
due nodi cui fa capo il cortocircuito stesso, ad esempio il nodo A della rete (*). Prima determino la
corrente I1’ sulla resistenza R1 e questo lo posso fare ragionando sulla rete (**):
VAB '   E1  E2  I 4 'R 4  I 4 'R 5  100  200  ( 10,48  4)  ( 10,48  5)  5,68 [V]
VAB '  5,68

 5,68 [A]
R1
1
Applico ora il primo principio di kirchhoff al nodo A della rete (*):
I 4 ' I 6 '  I1'  I 6 '  I1'I4 '  5,68  (10,48)  4,8 [A]
VAB '  R1  I1 '  I1 ' 
Parte terza.
Modifichiamo ulteriormente la rete inserendo una resistenza R6=6 [] al posto del cortocircuito tra
i punti A e C:
R1
A
B
R2
C
R3
D
(***)
R6
Ri = i []
Ei = (100·i) [V]
I6’’
I4’’
R4
R5
E1
E2
Ancora siano da trovare le correnti I4” ed I6”.
Allo scopo devo ridurre la rete ad un’unica maglia. Considerando che i punti B e D sono allo stesso
potenziale concludo che le resistenze R2 ed R3 sono tra di loro in parallelo, posso quindi ridisegnare
la rete nel seguente modo:
R3
R1
A
R2
C
B=D
R6
I6’’
I4’’
R4
E1
R5
E2
Dalla rete così ridisegnata risulta evidente che R2 è in parallelo con R3:
R R
2 3
R 23  2 3 
 1,2 []
R2  R3 2  3
La resistenza R23 è poi in serie con R6:
R 236  R 23  R 6  1,2  6  7,2 []
La rete è così ridotta:
103
(****)
VAB”
R1
A
B=D
R236
I6’’
I4’’
R4
E1
R5
E2
Facendo infine il parallelo tra R1 e R236 ottengo una rete costituita da un’unica maglia alla quale
applico la legge di Ohm determinando così la corrente I4”:
VAB”
A
R1236
B=D
(*****)
I4’’
R4
R1236 
E1
R5
E2
R1  R 236 1  7,2

 0,8780 [ ]
R1  R 236 1  7,2
 E1  E2
 100  200

 10,12 [A]
R 4  R1236  R 5 4  0,8780  5
Rimane ora da trovare la corrente I6” sulla resistenza R6 col verso indicato in figura (***). Tale
corrente è pure presente nel circuito equivalente (****) dove il suo calcolo è più semplice. Allo
scopo determino la tensione tra i punti A e B ragionando sul circuito (*****) ed applico poi la legge
di Ohm alla resistenza R236 sul circuito (****):
VAB "  R1236  I 4 "  0,8780  ( 10,12)  8,885 [V]
 E1  E2  I 4 "( R 4  R1236  R 5 )  I 4 " 
 VAB "  ( 8,885)

 1,234 [A]
R 236
7, 2
Si faccia attenzione al segno negativo usato per la legge di Ohm applicata alla R236, esso è dovuto al
fatto che la corrente I6” ha un verso che produce una tensione opposta alla VAB”. Non bisogna mai
dimenticare che per la legge di Ohm la corrente che attraversa una resistenza provoca una caduta di
tensione.
VAB "   R 236  I 6 "  I 6 " 
Parte quarta.
Modifichiamo ulteriormente la rete inserendo una resistenza R7=7 [] al posto del cortocircuito tra
i punti B e D:
104
R7
R1
A
R2
B
R3
C
D
R6
Ri = i []
Ei = (100·i) [V]
I6’’’
I4’’’
R4
(******)
R5
E1
E2
Ancora siano da trovare le correnti I4’’’ ed I6’’’.
Come già visto si comincerà col cercare di trovare la corrente nel ramo dei generatori ed allo scopo
si dovranno ridurre le resistenze fino ad avere un’unica maglia. Si nota però che non vi sono
resistenze in serie e/o parallelo (R4 ed R5 possono essere considerate in serie, ma la loro riduzione
non porta a nessun beneficio) e quindi si dovrà procedere alla trasformazione stella-triangolo. Si
nota la presenza nella rete di tre stelle, rispettivamente di centro A, B, C, e di due triangoli,
rispettivamente ABC, BCD.
Pur essendo lecita qualsiasi trasformazione, è bene cercare di evitare la scomparsa della resistenza
R6 visto che la corrente su di essa è uno dei nostri obiettivi. Noi proviamo a trasformare la stella di
centro B in un triangolo.
Per effetto di questa trasformazione scomparirà il punto B (centro della stella) assieme alle
resistenze R1, R2, R7 al posto delle quali compariranno le resistenze RAC, RCD, RDA che
costituiranno i lati del nuovo triangolo:
RDA
RCD
VAC’’’
RAC
A
C
R3
(*******)
D
R6
I6’’’
I4’’’
R4
E1
R5
R AC 
R1  R 2  R 2  R 7  R 7  R1 23

 3,286 [ ]
R7
7
R CD 
R1  R 2  R 2  R 7  R 7  R1 23

 23 [ ]
R1
1
E2
R1  R 2  R 2  R 7  R 7  R1 23

 11,5 [ ]
R2
2
Analizzando la rete si nota che RAC è in parallelo con R6, RCD è in parallelo con R3:
R DA 
105
R P1 
R AC  R 6
3,286  6

 2,123 [ ]
R AC  R 6 3,286  6
R CD  R 3
23  3

 2,654 [ ]
R CD  R 3 23  3
La rete si riduce alla seguente:
R P2 
RDA
A
IRP1’’’ R
P1
RP2
C
(********)
D
VAC’’’
VAD’’’
I4’’’
R4
E1
R5
E2
In tale rete abbiamo la serie tra i due paralleli appena calcolati e quindi il parallelo di tale serie con
RDA:
R S  R P1  R P 2  2,123  2,654  4,777 []
R S  R DA
4,777  11,5

 3,375 []
R S  R DA 4,777  11,5
Otteniamo così la rete finale ridotta ad un’unica maglia:
RP 
RP
A
D
I4’’’
R4
E1
R5
E2
Applicando la legge di Ohm generalizzata determino infine la corrente I4’’’:
 E1  E2
 100  200
 E1  E2  I 4 '''(R 4  R P  R 5 )  I 4 ''' 

 8,081 [A]
R 4  R P  R 5 4  3,375  5
Rimane ora da trovare la corrente I6” sulla resistenza R6. Allo scopo determino prima la VAC’’’
usando la rete equivalente (********):
VAD '''   E1  E2  R 4  I 4 ''' R 5  I 4 '''  100  200  4  ( 8,081)  5  ( 8,081)  27,27 [V]
VAD '''  R S  I RP 1 '''  I RP 1 ''' 
VAD '''  27,27

 5,709 [A]
RS
4,777
VAC '''  R P1  I RP 1 '''  2,123  ( 5,709)  12,12 [V]
Ora che conosco la tensione ai suoi capi, posso determinare la corrente che attraversa la resistenza
R6:
106
VAC '''   R 6  I 6 '''  I 6 ''' 
 VAC '''  ( 12,12)

 2,02 [A]
R6
6
Parte quinta.
Risolviamo ancora la rete della parte quarta effettuando però la trasformazione del triangolo BCD
in una stella.
R7
R1
A
R2
B
R3
C
D
(******)
R6
Ri = i []
Ei = (100·i) [V]
I6’’’
I4’’’
R4
R5
E1
E2
Come effetto della trasformazione scompariranno le resistenze R2, R3, R7 e compariranno le nuove
resistenze RB, RC, RD ed il nuovo punto O centro della stella:
O
RB
R1
A
B
RC
RD
C
D
R6
I6’’’
I4’’’
R4
E1
R5
E2
Determino I4’’’ riducendo la rete ad un’unica maglia alla quale applicherò infine la legge di Ohm
generalizzata:
R2  R7
27
RB 

 1,167 [ ]
R2  R 3  R7 2  3  7
RC 
R2  R3
2 3

 0,5 [ ]
R2  R3  R7 2  3  7
RD 
R3  R7
37

 1,75 [ ]
R2  R3  R7 2  3  7
Faccio la serie tra R1 e R B e tra R 6 e R C , quindi il parallelo tra le due serie :
R S1  R1  R B  1  1,167  2,167 [ ]
R S1  R S 2
2,167  6,5

 1,625 [ ]
  RP3 
R S 2  R 6  R C  6  0,5  6,5 [ ]
R S1  R S 2 2,167  6,5
107
O
VAO’’’
RD
RP3
A
D
I4’’’
R4
E1
R5
E2
Applico la legge di Ohm generalizzata e calcolo la corrente I4’’’:
 E1  E2
 E1  E2  I 4 '''( R 4  R P 3  R D  R 5 )  I 4 ''' 

R4  RP3  RD  R5

 100  200
 8,081 [A]
4  1,625  1,75  5
VAO '''  R P 3  I 4 '''  1,625  ( 8,081)  13,13 [V]
 VAO'''  ( 13,13)

 2,02 [A]
R6  RC
6  0,5
Per determinare I6’’’ calcolo prima VAO’’’, quindi applico la legge di Ohm al ramo interessato:
VAO'''  ( R 6  R C )  I 6 '''  I 6 ''' 
Esercizio N° 4 (circuito in c.c., vari metodi di risoluzione)
Proponiamoci di risolvere la rete elettrica:
108
con tutti i metodi sopra visti. I valori delle f.e.m. e delle resistenze della rete siano i seguenti:
V01 = 100 [V] , V02 = 200 [V] , R1 = 1  , R2 = 2  , R3 = 3  , R4 = 4 
I versi delle correnti incognite siano quelli indicati in figura.
Risolvo coi principi di Kirchhoff
Sostituendo nel sistema risolvente alle f.e.m. ed alle resistenze i rispettivi valori si ha:
Risolvo col metodo di Maxwell
109
Sostituendo nel sistema risolvente alle f.e.m. ed alle resistenze i rispettivi valori si ottengono le
correnti fittizie di maglia (i cui versi sono quelli indicati nella figura e le cui denominazioni sono
Im1 per la maglia in alto a sinistra, Im2 per la maglia in alto a destra, Im3 per la maglia in basso):
Componendo linearmente le correnti di maglia:
I1 = -Im1 , I2 = -Im2 , I3 = +Im1-Im2 , I4 = -Im3 , I5 = +Im1-Im3 , I6 = +Im2-Im3
si determinano le correnti nei rami che assumono i valori già riportati nell'esempio coi principi di
Kirchhoff.
Risolvo col teorema di Thevenin
Ci proponiamo di determinare la corrente attraverso la resistenza R2 con verso da B a C. Il circuito
equivalente di Thevenin, ottenuto dopo aver ridotto la rete iniziale con l'esclusione del ramo CB ad
un semplice generatore reale di tensione, è quello disegnato sotto.
Per definirlo è necessario determinare i valori della f.e.m. e della resistenza interna del generatore
equivalente di Thevenin.
Determino Req , allo scopo considero la rete di partenza privata del ramo interessato e resa passiva
mediante la cortocircuitazione dei generatori ideali di tensione presenti. Calcolo quindi la resistenza
che si misurerebbe tra i nodi C e B.
110
Determino Veq , allo scopo considero la rete lineare di partenza privata del ramo interessato e, visto
che il generatore equivalente di Thevenin ha la polarità positiva rivolta verso il punto C , pongo
Veq = VCB*.
Risolvo il circuito equivalente di Thevenin, allo scopo basta applicare la legge di Ohm:
Risolvo col teorema di Norton
Si vuole determinare la corrente attraverso la resistenza R3 con verso da C a D. Il circuito
equivalente di Norton, ottenuto dopo aver ridotto la rete iniziale con l'esclusione del ramo CD ad un
semplice generatore reale di corrente, è quello disegnato sotto.
111
Per definirlo è necessario determinare i valori della corrente impressa e della resistenza interna del
generatore equivalente di Norton.
Determino Req , allo scopo considero la rete di partenza privata del ramo interessato e resa passiva
mediante la cortocircuitazione dei generatori ideali di tensione presenti. Calcolo quindi la resistenza
che si misurerebbe tra i nodi C e D.
Determino Ieq , allo scopo considero la rete lineare di partenza col ramo interessato sostituito da un
cortocircuito. Visto che il generatore equivalente di Norton imprime la corrente con un verso tale
per cui la corrente stessa circola nel ramo interessato da C verso D, dovrò calcolare Ieq come quella
corrente che, nel cortocircuito CD , circola con verso da C a D.
112
Risolvo il circuito equivalente di Norton, allo scopo basta applicare la legge di Ohm:
Risolvo col principio di sovrapposizione degli effetti
Ci proponiamo di determinare la corrente attraverso la resistenza R1 con verso da C ad A. Siccome
sono presenti due generatori, sono da considerarsi due effetti.
Effetto del generatore V01, per valutarlo devo annullare gli altri generatori:
Effetto del generatore V02, per valutarlo devo annullare gli altri generatori:
113
Compongo algebricamente i due effetti, trovando così la corrente cercata:
I1 = -I1' + I1" = -45,455 + 54,545 = 9,090 [A]
Esercizio N° 5 (circuito in c.c., Millman)
Vediamo ora un esempio di applicazione del teorema di Millman. Nella rete di figura ( R1 = 1  ,
R2 = 2  , R3 = 3  , V01 = 100 [V] , V02 = 200 [V] ), si debba determinare la corrente
circolante, con verso dall'alto al basso, nella resistenza R1.
114
Esercizio N° 6 (circuito in c.c., risoluzione con Kirchhoff ed Ohm)
La rete di figura:
presenta una curiosità, infatti i valori di R1 , R2 , R3 non influiscono sul valore della corrente
attraverso R4. Questo perché la tensione tra i nodi A e B è vincolata dai due generatori ideali di
tensione al valore VAB = +V01 - V02.
Per tale motivo, le correnti nei diversi rami si possono determinare applicando ripetutamente il
primo principio di Kirchhoff e la legge di Ohm, senza ricorrere ad uno specifico metodo
risoluzione:
115
Esercizio N° 7 (circuito in c.c., con generatori di corrente)
Negli esempi fino ad ora visti compaiono soltanto generatori di tensione. Nel caso in cui compaiano
pure generatori di corrente, se ad essi è posta in parallelo una resistenza, questa può sempre essere
intesa come resistenza interna del generatore e, quindi, il generatore di corrente può essere
trasformato in un generatore reale di tensione. Se il generatore di corrente non ha in parallelo alcuna
resistenza diventa impossibile la trasformazione e, in tal caso, nelle equazioni applicate al circuito si
deve considerare nota, e pari alla corrente impressa, la corrente nel ramo ove è inserito il generatore
ideale di corrente ed, eventualmente, incognita la tensione ai capi del ramo stesso.
A titolo d'esempio, si determino le correnti I1 , I2 e la tensione VAB nella rete seguente, ove V01=8
[V] , R01=0,2  , R1=3,8  , I01=4 [A] , I02=35 [A] , R02=0,4  , R2=3,6 
Per prima cosa trasformo il generatore reale di corrente in un generatore reale di tensione:
Quindi applico i principi di Kirchhoff per risolvere la rete rispetto alle incognite proposte, allo
scopo applico il primo principio di Kirchhoff al nodo A ed il secondo alle due maglie contigue
(adottando quale verso di maglia quello orario):
Esercizio N° 8 (circuito in c.c., vari metodi di risoluzione)
Determinare la tensione VAB nella rete dell'esercizio precedente impiegando i teoremi di Thevenin,
di Norton ed il principio di Millman.
Metodo del teorema di Thevenin
116
Determino Req :
Determino Veq :
Risolvo il circuito equivalente di Thevenin :
VAB = Veq + I01·Req =11 + 4·2 = 19 [V]
Metodo del teorema di Norton
117
Determino Req : Req = 2 []
Determino Ieq :
Risolvo il circuito equivalente di Norton : VAB = Req·(Ieq + I01) = 2·(5,5 + 4) = 19 [V]
Metodo del principio di Millman
Osservazione : nella rete studiata, una eventuale resistenza collegata in serie al generatore ideale di
corrente I01 non influisce sulla d.d.p. tra i nodi A e B perché la corrente nel ramo centrale è
forzatamente pari alla corrente impressa I01.
Grandezze alternate sinusoidali
Sono grandezze (nel caso di circuiti elettrici tensioni e correnti) che variano nel tempo secondo la
legge:
y(t) = YM·sen(·t + )
rappresentabile anche graficamente:
118
Si tratta di grandezze periodiche in quanto riassumono sempre lo stesso valore ad istanti di tempo
tra di loro intervallati di K·T [s] con K = ±1 , ±2 , ... ove T [s] è detto periodo.
Si tratta di grandezze alternate in quanto, considerato un intervallo qualsiasi di tempo di ampiezza
pari al periodo T , l'area sottesa dalla parte positiva della funzione è uguale all'area sottesa dalla
parte negativa della funzione. Per tale motivo si dice che il valore medio in un periodo è nullo.
I valori caratterizzanti di una grandezza che varia sinusoidalmente nel tempo sono:
a) Il valore massimo YM ;
b) Il periodo T [s] ;
c) La frequenza f = 1 / T [Hz] che rappresenta il numero di sinusoidi al secondo;
d) La pulsazione:
e) L'argomento iniziale O [rad];
f) Il valore iniziale YO;
g) Il valore medio in un semiperiodo:
che rappresenta l'altezza del parallelogramma di base T / 2 affinché l'area del parallelogramma
stesso sia uguale all'area sottesa da un'intera semionda positiva;
h) Il valore efficace:
119
che, matematicamente, ha il significato di radice quadrata del valore medio in un periodo dei
quadrati dei valori istantanei (più avanti esamineremo il suo significato fisico);
i) Il fattore di forma:
Grandezze alternate sinusoidali e vettori ruotanti
E' possibile creare una corrispondenza biunivoca tra i vettori ruotanti e le grandezze sinusoidali.
Questo significa che le grandezze sinusoidali possono essere raffigurate come vettori ruotanti:
La figura rappresenta il vettore ruotante , di modulo pari al valore massimo YM della grandezza
sinusoidale, nella posizione che esso assume nell'istante t = 0 [s]. Ad esso corrisponde il valore
istantaneo Yo della grandezza sinusoidale che è, anche, il valore della proiezione del vettore
sull'asse dei valori istantanei. Siccome il vettore ruota in senso antiorario (scelta convenzionale) ad
una velocità  [rad/s] pari alla pulsazione della grandezza sinusoidale, al generico istante t [s] esso
si troverà ad aver descritto, rispetto all'asse polare, l'angolo (·t + O) e quindi la proiezione del
vettore sull'asse dei valori istantanei varrà YM·sen(·t + O) , ovvero y(t). Convenzionalmente, gli
angoli si intendono positivi se misurati in senso antiorario.
120
La figura sopra mostra la rappresentazione mediante il vettore ruotante di una grandezza sinusoidale
che ha un argomento iniziale negativo ( pari a - O ).
L'espressione analitica, sul piano di Gauss, del generico vettore ruotante è:
Dove ej··t è il termine che determina la rotazione.
Le grandezze sinusoidali (tensioni e correnti) nei circuiti che noi studiamo sono tutte
isofrequenziali, questo significa che tutti i vettori ruotanti che le rappresentano ruotano alla
medesima velocità angolare  [rad/s]. Per tale motivo i vettori ruotanti conservano nel tempo una
posizione reciproca costante, quindi è sufficiente rappresentarli nella posizione che essi occupano
all'istante t = 0 [s]. A questo punto, per rappresentare una grandezza sinusoidale è sufficiente un
vettore statico e, per il suo trattamento analitico, l'equivalente numero complesso.
Nella figura seguente sono rappresentate due grandezze sinusoidali yA(t) ed yB(t) :
yA(t) = YMA·sen(·t + OA) , yB(t) = YMB·sen(·t + OB)
mediante i corrispondenti vettori
ed
che sono riportati su di un unico piano di Gauss
essendo le due grandezze sinusoidali isofrequenziali (stessa pulsazione ). Nella rappresentazione è
omessa l'informazione riguardante il fatto che i vettori sono ruotanti e gli stessi sono riportati nella
posizione assunta all'istante t = 0 [s]. Il piano di Gauss è il luogo ove rappresentare in forma grafica
i numeri complessi, più precisamente l'ascissa diventa l'asse dei valori reali Re mentre l'ordinata
diventa l'asse dei valori immaginari Im.
121
Gli angoli OA ed OB sono gli argomenti iniziali delle grandezze sinusoidali, servono per orientare
i vettori rappresentativi delle grandezze sinusoidali sul piano di Gauss e vengono riportati a partire
dal semiasse reale positivo seguendo la nota convenzione secondo la quale gli angoli si intendono
positivi se misurati in senso antiorario (convenzione che discende direttamente da quella, già
dichiarata, per la quale il verso di rotazione dei vettori ruotanti è antiorario).
L'angolo AB rappresenta lo sfasamento tra la grandezza sinusoidale yA(t) e la yB(t). Analiticamente
si ha:
AB = OA - OB , BA = OB - OA , AB = - BA
Forme rappresentative per i numeri complessi, operazioni
Vediamo ora in quali forme si può rappresentare un numero complesso che, analiticamente,
raffigura un vettore giacente sul piano di Gauss. Inoltre prenderemo in considerazione alcune delle
operazioni che si possono eseguire sui numeri complessi. Quanto segue si limita a quelle poche
informazioni direttamente utili nell'analisi dei circuiti elettrici in corrente alternata sinusoidale, una
trattazione più completa e rigorosa dei numeri complessi viene fatta nel corso di matematica.
a) Forma algebrica :
ove a è la parte reale, j·b è la parte immaginaria. I valori di a , b
sono numeri reali (quindi possono essere sia positivi che negativi). Tale forma è utile nel caso si
debba eseguire la somma di due numeri complessi:
b) Forma polare :
ove Y è il modulo ed  l'argomento. Il modulo è un numero reale
sempre positivo, mentre l'argomento è l'angolo misurato tra il semiasse reale positivo ed il vettore e,
quindi, positivo se misurato in senso antiorario, negativo se misurato in senso orario. Tale forma è
utile nel caso si debba eseguire il prodotto od il quoziente tra due numeri complessi:
122
Per convertire dalla forma algebrica (detta anche rettangolare) alla forma polare:
Per convertire dalla forma polare alla forma algebrica:
c) forma trigonometrica :
d) forma esponenziale :
con ovvio significato.
che deriva dalla formula di Eulero per la quale si ha:
Tale forma è particolarmente utile nel caso in cui il numero complesso debba rappresentare un
vettore ruotante (come accade per le grandezze sinusoidali quando non si voglia omettere
l'informazione riguardante la pulsazione); infatti se  è la velocità angolare si ha:
Significato fisico del valore efficace
Nella figura riportata sopra sono rappresentate le funzioni i(t) ed [i(t)]2 . La prima esprime una
corrente sinusoidale i(t) = IM·sen(·t) [A] mentre la seconda esprime i quadrati della prima.
123
La funzione [i(t)]2 è di tipo periodico, sempre positiva, di frequenza doppia rispetto ad i(t) , ma non
è una funzione sinusoidale. Tale funzione ha un valore massimo pari a IM2 ed un valore medio che,
per evidenti motivi di simmetria, vale IM2/2. La definizione matematica data al valore efficace di
una grandezza sinusoidale porta ad affermare che il valore efficace della i(t) vale:
come già si sapeva.
Per capire il significato fisico del valore efficace di una corrente, immaginiamo che la corrente
sinusoidale i(t) percorra una resistenza di valore R []. Nell'intervallo di tempo infinitamente
piccolo dt [s] (vedi figura) si può ritenere che la corrente abbia un valore costante pari ad i [A] e
che l'energia dissipata per effetto Joule nella resistenza valga
[J]. La quantità dA =
i2 · dt [A2·s] corrisponde all'area del rettangolo di base dt e di altezza i2. Se ora si immagina di
considerare il numero infinito di intervalli dt [s] presenti nell'intervallo finito T [s] pari al periodo, è
evidente che la somma degli infiniti termini dA verrà a coprire un'area coincidente con l'area A
sottesa dalla funzione [i(t)]2 nell'intervallo di tempo pari a T [s], area che è legata al valore medio
della [i(t)]2 dalla relazione:
L'energia dissipata nel tempo pari a T [s] si può quindi scrivere:
Osservando che:
si avrà W = R·I2·T [J] ovvero il valore efficace I [A] della corrente sinusoidale è responsabile,
attraverso il suo quadrato, dell'energia dissipata nel tempo T [s] attraverso la resistenza R [].
Esattamente la stessa espressione si sarebbe ottenuta qualora si fosse dovuto calcolare la potenza
dissipata nel tempo T [s] attraverso la resistenza R [] da una corrente continua di intensità I [A].
Si può dire che il valore efficace di una corrente sinusoidale rappresenta quella intensità di corrente
continua che, in pari tempo, produce i medesimi effetti termici. Esattamente la stessa cosa si può
dire per il valore efficace della tensione e sia le correnti che le tensioni sinusoidali vengono sempre
comunicate mediante il loro valore efficace.
Circuito puramente resistivo in regime sinusoidale, potenza attiva
E' così chiamato un circuito totalmente privo di effetti d'autoinduzione dovuta a campi magnetici
variabili e di accumulo di carica dovuta a campi elettrici.
124
Sollecitando la resistenza R [] con una corrente sinusoidale i(t) [A] si avrà (legge di Ohm) per
ogni istante t ai capi della resistenza una caduta di tensione pari a v(t) = R·i(t) [V] pure essa
sinusoidale, di eguale pulsazione, di eguale argomento iniziale e di valore massimo VM = R·IM [V].
Per quanto riguarda i valori efficaci si avrà la relazione V = R·I [V].
Siccome gli argomenti iniziali della tensione e della corrente sono gli stessi, si suole dire che esse
sono tra di loro in fase.
Facendo riferimento ad una corrente sinusoidale qualsiasi, per l'espressione ai valori istantanei si
avranno le seguenti relazioni:
i(t) = IM·sen(·t + O) , v(t) = VM·sen(·t + O) [A]
Per l'espressione simbolica si avrà:
Per quanto riguarda la potenza, applicando la legge di Joule in ogni istante t si può calcolare come
varia la potenza istantanea p(t) facendo il prodotto dei valori istantanei i(t) e v(t).
125
Dal grafico che così si ottiene si osserva che la potenza p(t) è una grandezza periodica (non
sinusoidale) pulsante, sempre maggiore di zero,di frequenza doppia di quella della corrente. Sempre
dal grafico si può osservare che il valore medio P [W] della p(t) è la metà del suo valore massimo
PM , ovvero:
L'area sottesa dalla forma d'onda di p(t) rappresenta in un determinato intervallo di tempo l'energia
( [W]·[s] = [J] ) e tale energia è sempre positiva, questo significa che nella resistenza avviene una
trasformazione di energia sempre nel senso energia elettrica  calore. Per tali motivi P prende il
nome di potenza attiva (cioè ad essa corrisponde una effettiva trasformazione di energia).
Ricordando la legge di Ohm, la potenza attiva si può anche calcolare con le relazioni:
Circuito puramente induttivo in regime sinusoidale
E' tale un circuito totalmente privo di resistenza ohmica e di accumulo di carica dovuto a campi
elettrici. L'unico parametro elettrico che caratterizza un circuito puramente induttivo è perciò la sua
induttanza. L'induttanza (chiamata pure coefficiente di autoinduzione) è definita dal rapporto tra il
flusso di campo magnetico (originato dalla corrente che percorre il circuito) che si concatena col
circuito e la corrente che percorre il circuito stesso:
Il valore di induttanza di un circuito dipende dalla geometria del circuito e dalla permeabilità
magnetica del mezzo che circonda il circuito: se queste sono costanti, l'induttanza è costante. Per
tale motivo, l'induttanza di un circuito avvolto su di un nucleo ferromagnetico non è costante ma
varia al variare della corrente nel circuito in quanto al variare della corrente varia il campo
magnetico e, con esso, la permeabilità (noi, comunque, considereremo costante l'induttanza).
Invece, l'induttanza di un circuito in aria è rigorosamente costante essendo costante la permeabilità
magnetica dell'aria.
126
Si supponga di avere un circuito puramente induttivo, di induttanza costante L [H], percorso da una
corrente sinusoidale i(t) = IM·sen(·t) [A]. A causa della induttanza L, si autoconcatenerà col
circuito un flusso:
C(t) = L·i(t) = L·IM· sen(·t) = ACM· sen(·t) [Wb]
con ACM = L·IM [Wb]. Ovviamente tale C(t) , essendo proporzionale in ogni istante alla
corrente, varierà esso pure nel tempo con legge sinusoidale.
Per via della legge generale dell'induzione elettromagnetica, la variazione nel tempo del flusso
autoconcatenato produrrà una forza elettromotrice autoindotta di valore:
che gode delle seguenti proprietà:
a) eai(t) è proporzionale alla rapidità con cui varia il flusso concatenato nel tempo;
b) eai(t) ha in ciascun istante un verso tale da opporsi alla causa che la genera, perciò sarà contraria
alla corrente quando questa aumenta facendo aumentare C(t) , mentre avrà lo stesso verso della
corrente quando questa diminuisce facendo diminuire C(t).
Dal secondo punto si determina immediatamente il segno della f.e.m.a.i., dal primo punto si
determina la sua intensità che è nulla quando la pendenza della i(t) , e quindi di C(t) , è nulla
127
(vedi gli istanti T/4 , 3·T/4 ), mentre è massima quando la pendenza della i(t) , e quindi di C(t) , è
massima (vedi gli istanti 0 , T/2 ,T ).
Il risultato che si ottiene è una f.e.m.a.i. sinusoidale ed in ritardo di un quarto di periodo (ovvero /2
) rispetto sia al flusso che alla corrente:
Inoltre, qualitativamente, si può pure affermare che il valore massimo di f.e.m.a.i. sarà tanto più
grande quanto più è grande il valore massimo del flusso e quanto più rapida è la variazione di C(t)
nel tempo (cioè quanto più è grande la sua pulsazione ):
Abbiamo fino ad ora dedotto quanto vale la f.e.m.a.i. dovuta ad una corrente sinusoidale circolante
in un circuito puramente induttivo, supponiamo ora che la corrente i(t) venga impressa nel circuito
puramente induttivo da un generatore sinusoidale.
Applicando la legge di Ohm generalizzata all'intero circuito (generatore più resistenza) e facendo
riferimento ai valori istantanei si deduce che dovrà essere in ogni istante nulla la somma algebrica
della tensione vL(t) ai capi dell'induttanza e della forza elettromotrice indotta eai(t) :
cioè la tensione vL(t) è in ogni istante uguale ed opposta alla f.e.m.a.i. eai(t). Ciò significa (vedi
anche il grafico):
dove ovviamente VLM = EaiM. Confrontando con i(t), si dirà che la tensione vL(t) ai capi
dell'induttanza è in anticipo di /2 ed il suo valore massimo vale
.
Passando dall'espressione delle grandezze sinusoidali nella forma di valori istantanei alla forma
simbolica (vettori ruotanti e relativi numeri complessi) quanto ottenuto può essere così riassunto:
128
con AC = L·I [Wb] ( AC ed I valori efficaci ).
con Eai = VL = ·L·I [V].
La quantità:
è chiamata reattanza induttiva ed ha le dimensioni di una resistenza. La quantità
chiamata reattanza induttiva immaginaria ed è un operatore vettoriale in quanto se applicato al
numero complesso rappresentante la corrente fornisce il numero complesso rappresentante la
tensione ai capi dell'induttanza:
è
La figura riportata sopra mostra le varie grandezze sinusoidali prese fino ad ora in considerazione
rappresentate sul piano di Gauss.
Circuito puramente capacitivo in regime sinusoidale
E' così chiamato un circuito totalmente privo di resistenza ohmica e di effetti d'autoinduzione dovuti
a variazioni di campi elettromagnetici. L'unico parametro elettrico che caratterizza un circuito
puramente capacitivo è la sua capacità elettrica. La capacità del circuito rappresenta l'attitudine del
circuito ad accumulare carica elettrica quando nel dielettrico circostante sia presente un campo
elettrico. Se V è la d.d.p., Q la carica accumulata, C la capacità elettrica, si ha:
Al fine di dedurre il comportamento della capacità in regime sinusoidale, è importante ricordare il
fenomeno della carica e della scarica del condensatore facendo particolare attenzione al verso della
corrente i(t) e della tensione vC(t) ai capi del condensatore:
129
N.B.: l'istante t = 0 [s] coincide, sia per la carica che per la scarica all'istante di chiusura
dell'interruttore nel relativo circuito. Le varie funzioni vC(t) ed i(t) sia nella carica che nella scarica
sono di tipo esponenziale, con costante di tempo pari a R·C [s] e quindi con un tempo
d'esaurimento pari a circa 5·R·C [s]. Nel caso di circuito in corrente continua, in ogni caso, una
volta esauritosi il transitorio la corrente nel circuito è identicamente nulla in quanto il condensatore
costituisce a regime un'interruzione del ramo ove si trova inserito.
Supponiamo ora di avere un condensatore di capacità C, inizialmente scarico, collegato ai morsetti
di un generatore di tensione sinusoidale v(t). Vediamo di ricavare qualitativamente l'andamento
della corrente. Le considerazioni che seguono sono conseguenti al fatto che:
a) durante gli intervalli di carica la corrente deve avere lo stesso verso (segno) della tensione,
mentre durante gli intervalli di scarica la corrente è opposta alla tensione;
b) la corrente ha modulo massimo quando inizia la carica, nullo quando la tensione di carica
raggiunge il massimo.
130
Nel primo quarto di periodo (1), avendosi un intervallo di carica la tensione aumenta positivamente
da zero al valore massimo VCM , il condensatore deve corrispondentemente assorbire una corrente
di carica positiva, la quale parte dal suo valore massimo IM e va poi gradatamente diminuendo fino
a ridursi a zero nell'istante in cui il condensatore raggiunge il suo stato di massima carica.
Nel secondo quarto di periodo (2), trattandosi di un intervallo di scarica la tensione alle armature
diminuisce da VCM a zero, il condensatore dovrà corrispondentemente scaricarsi mediante una
corrente analoga alla precedente ma di verso (segno) opposto e perciò negativa.
Nel terzo quarto di periodo (3), trattandosi di un intervallo di carica di segno opposto a quello della
fase (1), la tensione alle armature aumenterà da zero a -VCM ed il condensatore sarà interessato da
una corrente di carica che varierà da -IM a zero.
Nell'ultimo quarto di periodo (4), trattandosi di un intervallo di scarica la tensione alle armature
diminuirà in valore assoluto da |-VCM| a zero e la corrente dovrà variare analogamente a quanto
avvenuto nell'intervallo (3) ma con verso (segno) opposto.
E' importante osservare che la tensione ai capi del condensatore è obbligata ad essere uguale a
quella sinusoidale del generatore, cioè deve essere v(t) = vC(t) e che la corrente, sia durante gli
intervalli di carica che di scarica, non potrà variare con legge esponenziale essendo sia la carica che
la scarica non libere ma vincolate dalla tensione sinusoidale presente ai capi del condensatore.
Quindi anche la corrente i(t) sarà sinusoidale.
Si riconosce in tal modo che mentre la tensione alle armature del condensatore varia secondo la
funzione sinusoidale vC(t) , la corrente attraverso il condensatore varia secondo una funzione i(t)
pure sinusoidale, ma sfasata di un quarto di periodo in anticipo rispetto alla tensione. In forma
analitica:
vC(t) = VCM·sen(·t) [V] , i(t) = IM·sen(·t + /2) [A]
Si può poi dimostrare che è IM = ·C·VCM [A] ed analoga relazione vale per i valori efficaci.
Intuitivamente si può infatti osservare che tanto più grandi sono C e VCM , tanto più grande sarà la
131
quantità di carica accumulata sulle armature del condensatore. Inoltre la variazione nel tempo della
quantità di carica accumulata rappresenta l'intensità della corrente e, perciò, se è elevato  sarà più
grande la corrente essendo più grande la variazione di carica nel tempo.
Passando dall'espressione delle grandezze sinusoidali nella forma di valori istantanei alla forma
simbolica (vettori ruotanti e relativi numeri complessi) quanto ottenuto può essere così riassunto:
con VC [V] ed I [A] valori efficaci.
La quantità:
è chiamata reattanza capacitiva ed ha le dimensioni di una resistenza. La quantità
è chiamata reattanza capacitiva immaginaria ed è un operatore vettoriale in
quanto se applicato al numero complesso rappresentante la corrente fornisce il numero complesso
rappresentante la tensione ai capi del condensatore:
La figura riportata sopra mostra le varie grandezze sinusoidali prese fino ad ora in considerazione
rappresentate sul piano di Gauss.
Complementi matematici
Nelle dimostrazioni delle relazioni tra tensione e corrente in regime sinusoidale per le induttanze e
le capacità abbiamo fatto ampiamente ricorso all'intuito. Dimostrazioni analiticamente rigorose si
possono fare solo conoscendo l'operazione di derivazione rispetto al tempo di una funzione,
argomento che si affronterà in matematica nel corso del quarto anno. A titolo di complemento
anticipiamo quanto sarà comprensibile solo il prossimo anno:
Induttanza
132
capacità
Potenza elettrica associata ad una corrente in quadratura con la tensione, potenza
reattiva
Questo stato di regime si verifica in un circuito puramente induttivo (corrente in ritardo di 90° sulla
tensione), oppure puramente capacitivo (corrente in anticipo di 90° sulla tensione). Eseguendo per
ogni istante il prodotto v(t)·i(t) si ottiene p(t) che è una grandezza ancora sinusoidale di frequenza
doppia rispetto alla corrente ed alla tensione. Si osserva che l'asse di simmetria della p(t) coincide
con l'asse dei tempi (ascissa) e, quindi, la potenza non ha più carattere pulsante ma ha carattere
alternativo e conseguentemente il suo valor medio è nullo.
133
Quindi, in un circuito nel quale la tensione e la corrente sono in quadratura tra di loro, la potenza
istantanea è tale per cui l'energia viene alternativamente scambiata tra il circuito ed il campo
(elettrico per la capacità, elettromagnetico per l'induttanza), più precisamente l'energia viene ceduta
dal circuito al campo quando la potenza è positiva e viceversa quando è negativa. Quindi,
considerando un intero periodo, il bilancio energetico tra circuito e campo è nullo così che si può
dire che la potenza media è nulla, ovvero non vi è alcuna trasformazione permanente di energia. Per
tali motivi si suole dire che un circuito puramente induttivo o puramente capacitivo non è
interessato da potenza attiva.
Viene convenzionalmente considerata, sotto il nome di potenza reattiva, la quantità
. Tale potenza reattiva non riveste assolutamente il significato fisico di potenza,
ma costituisce un puro riferimento convenzionale ai valori efficaci della tensione V [V] e della
corrente I [A] in quadratura tra di loro e, per questa ragione, la potenza reattiva non si misura in
[Watt] ma si esprime in VoltAmpereReattivi [VAR].
A tale potenza vengono convenzionalmente associati segni opposti a secondo che il circuito sia
induttivo o capacitivo. Le norme assegnano il segno positivo alla potenza reattiva induttiva QL = X
2
2
L·I ed il segno negativo alla potenza reattiva capacitiva QC = X C·I . Ciò perché è positivo lo
sfasamento tra tensione e corrente nel circuito induttivo, negativo nel circuito capacitivo.
Impedenza elettrica, triangolo delle potenze
Si tratta di un operatore vettoriale (quindi una grandezza complessa, non una grandezza variabile
sinusoidalmente nel tempo) così definito:
L'impedenza riassume la resistenza e la reattanza complessive di un ramo infatti se  è la
pulsazione della tensione alternata sinusoidale applicata al ramo, si ha:
Il modulo dell'impedenza vale ovviamente:
134
mentre il suo argomento vale:
e tale argomento coincide con lo sfasamento tra la tensione
applicata all'impedenza e la corrente
che percorre l'impedenza.
Le potenze che riguardano l'impedenza sono:
potenza attiva :
P = V·I·cos(V,I) = R·I2 [W]
potenza reattiva, da considerarsi induttiva se positiva, da considerarsi capacitiva se negativa :
Q = V·I·sen(V,I) = (XL - XC)·I2 [VAR]
modulo potenza apparente, che riassume le prime due :
potenza apparente complessa (
è il coniugato di
):
Le tre potenze di cui sopra si possono riassumere nel seguente triangolo delle potenze:
per il quale valgono le seguenti relazioni:
Ammettenza elettrica
135
E' un operatore vettoriale
definito come l'inverso dell'impedenza:
La parte reale dell'ammettenza è chiamata conduttanza, la parte immaginaria è chiamata
suscettanza. L'ammettenza, la conduttanza e la suscettanza si misurano in siemens, [-1] = [S].
Si dimostra facilmente che il modulo dell'ammettenza è pari all'inverso del modulo dell'impedenza,
mentre l'argomento dell'ammettenza è l'opposto dell'argomento dell'impedenza.
L'operatore vettoriale ammettenza può essere usato per la risoluzione delle reti elettriche. La legge
di Ohm diventa:
La serie di più ammettenze si calcola con l'espressione:
mentre il parallelo di più ammettenze si calcola con l'espressione:
Vediamo ora la trasformazione serie-parallelo dei parametri di una impedenza:
Perché i due circuiti siano equivalenti, quando vengono sottoposti alla stessa tensione devono
assorbire la stessa corrente. Quindi sarà:
da cui:
136
Si osserva che i parametri parallelo dell'impedenza altro non sono che l'inverso della conduttanza e
della suscettanza dell'ammettenza equivalente all'impedenza data.
Criterio di Kennelly - Steinmetz
Le equazioni che si possono scrivere per un circuito elettrico in regime sinusoidale permanente sono
sostanzialmente le stesse che si scriverebbero per lo stesso circuito se considerato in corrente
continua, coll'avvertenza però che ora le tensioni, le correnti, le f.e.m. e le correnti impresse
(grandezze sinusoidali) devono apparire in forma simbolica (mediante i rispettivi numeri complessi
ed
) e che al posto delle resistenze compaiono le impedenze
(operatori vettoriali complessi).
Quindi tutti i metodi di analisi delle reti elettriche sono applicabili sia alle reti in corrente continua
che alle reti in corrente alternata.
Esercizio N° 9 (circuito in c.a., applicazione di Thevenin e di Millman)
Parte prima.
Applicando il metodo del generatore equivalente di Thevenin, determinare la corrente i1(t) nella rete
di figura:
R1
M
L1
i1(t)
e2(t)
C
R2
e1(t)
L2
N
I valori dei parametri della rete siano i seguenti:
e1(t) = 169,7·sen(377·t) [V] , e2(t) = 339,4·sen(377·t - /3) [V] , R1 = 3 [] , R2 = 5 [] , L1 =
10,61 [mH], L2 = 5,305 [mH] , C = 442,1 [F].
Per prima cosa passo al circuito delle impedenze:
E
169,7

E1M  169,7 [V]  E1  1M 
 120 [V]
  E1  E1 E1  1200 [V]
2
2
α E1  0
E
339,4

E 2M  339,4 [V]  E 2  2M 
 240 [V]

2
2
  E 2  E 2 E 2  240  60 [V]

α E 2   [rad]  60 
3

137
  377 [rad/s]
R1  3 [ohm] 
  Z1  R 1  j  X L1  3  j  4  553,13 [ohm]
X L1    L1  377  10,61  10  3  4 [ohm] 
R 2  5 [ohm] 
  Z 2  R 2  j  X L 2  5  j  2  5,385 21,80 [ohm]
X L 2    L 2  377  5,305  10  3  2 [ohm] 
1
1
XC 

 6 [ohm]  Z 3  0  j  6  6  90 [ohm]
  C 377  442,1  10  6
M
M
Thevenin
Zeq
I1
E2
Z1
Z1
I1
E1
E1
Z3
Eeq
Z2
N
N
Ora applico il teorema di Thevenin al circuito alle impedenze trovando così il circuito equivalente
di Thevenin.
Determino Zeq.
Allo scopo considero la rete di partenza privata del ramo interessato e resa passiva:
M
Z3
Zeq
Z2
N
Zeq 
Z 2  Z 3 (5,38521,80)  (6  90)

 5,046  29,54  4,390  j  2,488 [ohm]
(5  j  2)  (0  j  6)
Z2  Z3
Determino Eeq.
Allo scopo considero la rete di partenza privata del ramo interessato:
M
I’
E2
Z3
Eeq
Z2
N
138
I' 
E2
240  60

 37,48  21,34 [A]
Z 2  Z 3 ( 5  j  2)  ( 0  j  6)
Eeq  Z3  I'  (6  90)  37,48  21,34  224,9  111,3  81,84  j  209,5 [V]
Risolvo il circuito equivalente di Thevenin.
Eeq  E1 ( 81,84  j  209,5)  (120  j  0)
Eeq  E1  I1  ( Zeq  Z1 )  I1 


(4,390  j  2,488)  ( 3  j  4)
Zeq  Z1
 38,57  145,5 [A]
Parte seconda.
Risolvere la stessa rete usando la formula di Millman.
Con riferimento alla rete di impedenze applico la formula di Millman:
E2 E1
240  60
1200


Z 2 Z1
5,385 21,80 553,13
VMN 

 222,9  59,82 
1
1
1
10
10
10




Z 2 Z 3 Z1 5,385 21,80 6  90 553,13
 112,0  j  192,7 [V]
Applico ora la legge generalizzata di Ohm al ramo nel quale cerco la corrente:
V  E1 (112,0  j  192,7)  (120  j  0)
VMN   Z1  I1  E1  I1  MN

 38,57  145,5 [A]
553,13
Z1
Il diagramma vettoriale riguardante le tensioni e le correnti nella rete studiata è il seguente:
50 [V]
25 [A]
Immag.
0
E1
I1
I1
Reale
E2 , VMN
VMN
E2
L’espressione ai valori istantanei per la corrente i1(t) e la tensione vMN(t) è:
139

  377 [rad/s] 

I1M  I1  2  38,57  2  54,55 [A]  i1 (t )  54,55  sen( 377  t  2,539) [A]


α I1  145,5  145,5 
 2,539 [rad]
180


  377 [rad/s] 

VMNM  VMN  2  222,9  2  315,2 [V]  v MN (t )  315,2  sen( 377  t  1,044) [V]


α VMN  59,82    59,82 
 1,044 [rad]
180

La rappresentazione grafica ai valori istantanei è la seguente:
600
400
e2(t)
200
VMN(t)
0
e1(t)
-200
-400
10*i1(t)
-600
0
0.002
0.004
0.006
0.008
0.01
0.012
0.014
0.016
tempo [s]
Esercizio N° 10 (circuito in c.a., applicazione di Kirchhoff)
Applicando il metodo dei principi di Kirchhoff determinare le correnti i(t) , i1(t) , i2(t) nei tre rami
della seguente rete:
140
I valori dei parametri della rete sono i seguenti:
vO(t) = 141,4·sen(314,2·t) [V] , R0 = 5 [] , R1 = R2 = 20 [] , L1 = L2 = 95,48 [mH] , C =
79,57 [F]
Per prima cosa passo al circuito delle impedenze:
Ora assegniamo il verso alle correnti nei tre rami (che dovrà essere lo stesso nel circuito di partenza
e nel circuito alle impedenze), quindi assegniamo il verso alle due maglie contigue e scriviamo il
sistema risolvente applicando il primo principio di Kirchhoff al nodo superiore ed il secondo
principio alle due maglie contigue:
che ordinato e risolto rispetto
fornisce:
141
L'espressione ai valori istantanei delle tre correnti vale (con gli argomenti iniziali espressi in
radianti per omogeneità con le pulsazioni in [rad/s] ):
I diagrammi vettoriale ed ai valori istantanei sono:
Teorema di Boucherot
In un sistema elettrico in regime sinusoidale costituito da più utilizzatori si può dire che:
a) la potenza attiva totale è data dalla somma aritmetica delle singole potenze attive:
b) la potenza reattiva totale è data dalla somma algebrica delle singole potenze reattive assunte
positive se induttive, negative se capacitive:
142
c) la potenza apparente complessa totale è data dalla somma vettoriale delle singole potenze
apparenti complesse, in ogni caso il modulo della potenza apparente totale si può più
convenientemente determinare con:
Esercizio N° 11 (risoluzione circuito in c.a., applicazione di Boucherot)
Si abbia la seguente rete in corrente alternata:
R
L
i2(t)
A
i(t)
R1
R2
L1
C2
e(t) = 365·sen(628·t + 0,2443) [V]
R = 10 [] , L = 15,92 [mH]
R1 = 4 [] , L1 = 4,777 [mH]
R2 = 6 [] , C2 = 199 [F]
e(t)
i1(t)
B
1) Determinare le correnti nei tre rami.
Per prima cosa si passa al circuito alle impedenze determinando per ciascun ramo la corrispondente
impedenza ed esprimendo la f.e.m. nota in forma simbolica:
A
I2
Z
I
E
I1
Z1
I2
Z2
B


EM  365 [V]

EM 365

E

 258,1 [V] E  Eα E  258,114 [V]
2
2


180
α E  0,2443 
 14 


143
R  10 [ ]
  628 [rad/s]
X    L  628  15,92  10 3


 Z  R  jX  10  j10  14,1445

 10 [ ]
R 1  4 [ ]
  628 [rad/s]
X 1    L 1  628  4,777  10  3
R 2  6 [ ]
  628 [rad/s]
X2 
1
1

  C 2 628  199  10  6
[]


 Z 1  R 1  jX 1  4  j3  5 36,87

 3 [ ]
[]



 Z 2  R 2  jX 2  6  j8,002  10  53,14

 8,002 [ ]

[]
Quindi si applicano al circuito alle impedenze le solite regole di risoluzione delle reti. Nel caso in
esame vi è un solo generatore e risulta possibile risolvere la rete attraverso la riduzione successiva
delle impedenze. Le impedenze Z 1 e Z 2 sono in parallelo:
Z 12 
Z1  Z 2
Z1  Z 2

(536,87)  (10  53,14)
 4,47210,30  4,400  j0,7996
(4  j3)  (6  j8,002)
[]
La rete diventa quindi:
A
Z
I
Z12
E
VAB
B
Applicando a questa rete la legge generale di Ohm si può calcolare la corrente I :
 E  I  ( Z  Z 12 )  0  I 
E
Z  Z 12

258,114
 14,34  22,87 [A]
(10  j10)  (4,4  j0,7996)
144
Si osserva che tale corrente è in ritardo rispetto alla f.e.m. del generatore, quindi l’impedenza totale
vista ai morsetti del generatore sarà di natura ohmico−induttiva.
Per determinare le correnti nelle due impedenze in parallelo determino prima la tensione ai capi del
parallelo:
VAB  Z 12  I  (4,47210,30 )  (14,34  22,87 )  64,13  12,57 [V]
Quindi dividendo tale tensione per ciascuna delle impedenze trovo le correnti:
V
64,13  12,57
I 1  AB 
 12,83  49,44 [A]
536,87
Z1
I2 
VAB
Z2

64,13  12,57
 6,41340,57 [A]
10  53,14
A titolo di controllo si può applicare il primo principio di Kirchhoff al nodo A e attestare così che
esso è verificato.
Il diagramma vettoriale rappresentativo delle tensioni e correnti alternate calcolate è il seguente:
Immaginario
50 [V]
5 [A]
E
I2
0
Reale
VAB
I
I1
Le espressioni ai valori istantanei delle tre correnti sono le seguenti:
 

i(t )  14,34  2  sen 628  t  22,87 
 [A]
180 

 

i 1 (t )  12,83  2  sen 628  t  49,44 
 [A]
180 

 

i 2 (t )  6,413  2  sen 628  t  40,57 
 [A]
180 

145
A tali espressioni corrispondono gli oscillogrammi:
40
20
i1(t)
i2(t)
0
i(t)
-20
e(t)/10
-40
0
0.002
0.004
0.006
0.008
0.01
tempo [s]
2) Determinare la potenza erogata dal generatore ideale di tensione.
Trattandosi di un generatore di corrente alternata avremo erogazione sia di potenza attiva che
reattiva. Entrambe le potenze dipendono dallo sfasamento tra la f.e.m. e la corrente erogata:
 E   E   I  14  (22,87)  36,87
Le potenze attiva e reattiva erogate valgono quindi:
PE  E  I  cos( E )  258,1  14,34  cos(36,87)  2961 [W]
Q E  E  I  sen( E )  258,1  14,34  sen( 36,87)  2221 [VAR] induttivi
Si osserva che lo sfasamento tra la f.e.m. del generatore e la corrente da esso erogata corrisponde
all’argomento della impedenza totale Z T vista ai morsetti del generatore stesso:
Z T  Z  Z 12  (10  j10)  (4,4  j0,7996)  14,4  j10,80  18,00 36,87 []
Si conferma inoltre la natura ohmico−induttiva dell’impedenza totale.
3) Determinare le potenze attiva e reattiva complessivamente impegnate dalle impedenze.
Queste potenze si possono calcolare applicando il teorema di Boucherot:
PZ  R  I 2  R 1  I 1  R 2  I 2  10  14,34 2  4  12,83 2  6  6,413 2  2962 [W]
2
2
146
Q Z  X  I 2  X 1  I 1  X 2  I 2  10  14,34 2  3  12,83 2  8,002  6,413 2  2221 [VAR] induttivi
2
2
Le potenze totali potevano ovviamente essere pure determinate utilizzando l’impedenza totale:
PZ  R T  I 2  14,4  14,34 2  2961 [W]
Q Z  X T  I 2  10,80  14,34 2  2221 [VAR] induttivi
Ovviamente le potenze erogate dal generatore corrispondono alle potenze impegnate dalle
impedenze.
Linee semplici monofase, rifasamento
Sono quelle per le quali è valido il seguente circuito equivalente:
Si definisce caduta di tensione industriale della linea la differenza aritmetica tra la tensione
all'arrivo a vuoto e la tensione all'arrivo a carico:
calcolabile con l'espressione semplificata:
Si definisce rendimento della linea:
dove PA = PU è la potenza all'arrivo della linea mentre PP è la potenza alla partenza della linea.
Al fine di ridurre la c.d.t. industriale ed aumentare il rendimento della linea, se il carico ha un basso
fattore di potenza si può procedere al rifasamento del carico stesso che consiste nel porgli in
parallelo un condensatore di adeguata capacità. Indicando con A* lo sfasamento desiderato
all'arrivo della linea (con ovviamente A* < U ), il valore della capacità rifasante sarà dato da:
147
Esercizio N° 12 (circuito in c.a., linea monofase con nota la tensione all’arrivo)
Una linea elettrica in corrente alternata monofase alimenta alla tensione VA=230 [V], f=50 [Hz] i
seguenti carichi:
1) un’impedenza formata dalla serie di una resistenza R=8 [] e di una induttanza L=19,1 [mH];
2) un carico ohmico-capacitivo che assorbe la potenza PU2=2 [kW] con fattore di potenza
cosU2=0,85 in anticipo;
3) un motore a induzione di rendimento =0,85 e fattore di potenza cosU3=0,8 in ritardo il cui
albero ruota alla velocità n=1400 [rpm] ed eroga la coppia C=10 [N·m].
Sapendo che la linea ha resistenza RL=0,2 [] e reattanza XL=0,15 [], determinare:
1) la corrente nella linea ed il fattore di potenza all’arrivo della linea;
2) la tensione ed il fattore di potenza alla partenza della linea;
3) la caduta di tensione industriale ed il rendimento della linea;
4) la capacità per il rifasamento totale all’arrivo della linea e la nuova corrente di linea nell’ipotesi
che la tensione all’arrivo rimanga costante.
RL
XL
IL
VP
IU1
VA
R
PP, QP, SP
cosP
PA, QA, SA
cosA
cosU3

X
PU2
cosU2
M
P
n, C
Risposta alla domanda 1)
Per prima cosa si trova il carico complessivo equivalente ai tre carichi applicati alla linea. Per fare
questo si applica il teorema di Boucherot ed inizio calcolando le potenze attiva e reattiva assorbite
dai singoli carichi.
Primo carico:
R  8 [ohm] 
2
2
2
2
  Z  R  X  8  6  10 [ohm]
3
X  2    f  L  2    50  19,1  10  6 [ohm] 
I U1 
VA 230

 23 [A]
Z
10
PU1  R  I U12  8  23 2  4232 [W]
Q U1  X  I U12  6  23 2  3174 [VARi]
Secondo carico:
148
PU 2  2000 [W]
QU 2  PU 2  tg U 2  2000  tg(a cos(0,85))  1239 [VARc]
Nel secondo carico, essendo il fattore di potenza in anticipo, la potenza reattiva impegnata è di
natura capacitiva.
Terzo carico:
2    n 2    1400


 146,6 [rad/s]
60
60
P  C    10  146,6  1466 [W]
P 1466

 1725 [W]
 0,85
Q U 3  PU 3  tg U 3  1725  tg(a cos(0,8))  1294 [VARc]
Come si nota ho prima calcolato la potenza meccanica erogata dal motore e successivamente la
potenza elettrica assorbita dividendo per il rendimento.
PU 3 
Applico ora il teorema di Boucherot:
PA  PU1  PU 2  PU 3  4232  2000  1725  7957 [W]
Q A   Q U1  Q U 2  Q U 3  3174  1239  1294  3229 [VARi]
S A  PA 2  Q A 2  7957 2  32292  8587 [VA]
Posso ora calcolare la corrente di linea ed il fattore di potenza all’arrivo:
S
8587
IL  A 
 37,33 [A]
VA
230
cos  A 
PA 7957

 0,9266 in ritardo
S A 8587
Risposta alla domanda 2)
Applicando ancora Boucherot risalgo nella sezione di monte della linea:
PP  PA  R L  I L 2  7957  0,2  37,332  8236 [W]
Q P  Q A  XL  I L 2  3229  0,15  37,332  3438 [VARi]
S P  PP 2  Q P 2  82362  34382  8925 [VA]
Posso ora calcolare la tensione ed il fattore di potenza alla partenza:
S
8925
VP  P 
 239,1 [A]
I L 37,33
PP 8236

 0,9228 in ritardo
S P 8925
Risposta alla domanda 3)
cos  P 
Sapendo che la caduta di tensione industriale è la differenza aritmetica tra la tensione all’arrivo a
vuoto e la tensione all’arrivo a carico ho:
VL  VA0  VA  VP  VA  239,1  230  9,1 [V]
Si può anche usare l’espressione approssimata:
149
VL  IL  (RL  cos A  XL  senA )  37,33  (0,2  0,9266  0,15  sen(a cos(0,9266)))  9,0 [V]
Il rendimento sarà dato da:
P
7957
L  A 
 0,8915
PP 8925
Risposta alla domanda 4)
Il rifasamento totale presuppone che la capacità rifasante impegni una potenza reattiva pari
all’intera potenza reattiva induttiva in modo tale che il fattore di potenza dopo il rifasamento sia
unitario:
QC
3229
QC  3229 [VARc]  C 

 194,3  10  6 [F]
2
2
2    50  230
  VA
La corrente di linea dopo il rifasamento si può determinare tenendo conto del fatto che in
conseguenza del rifasamento cambia il fattore di potenza ma non la potenza attiva (l’inserzione del
condensatore di rifasamento influisce sulla potenza reattiva):
PA
7957
IL ' 

 34,60 [A]
VA  cos  A ' 230  1
Si osserva che si ha una riduzione della corrente di linea che comporta una minore caduta di
tensione industriale ed un maggior rendimento della linea.
Esercizio N° 13 (circuito in c.a., linea monofase con nota la tensione alla partenza)
Una linea elettrica in corrente alternata monofase è alimentata alla tensione VP=230 [V], f=50 [Hz]
ed alimenta un carico ohmico-induttivo che assorbe la potenza PA=10 [kW] con fattore di potenza
cosA=0,8 in ritardo.
Sapendo che la linea ha resistenza RL=0,2 [] e reattanza XL=0,1 [], determinare:
1) la corrente nella linea e la tensione all’arrivo;
2) il fattore di potenza alla partenza della linea;
3) la caduta di tensione industriale ed il rendimento della linea;
4) la capacità per il rifasamento a 0,92 in ritardo della partenza della linea.
RL
XL
IL
VP
VA
PP, QP, SP
cosP
PA, QA, SA
cosA
PA
cosA
Risposta alla domanda 1)
In questo caso non è possibile il calcolo diretto della corrente di linea in quanto si conosce la
tensione alla partenza e la potenza all’arrivo e le due grandezze non possono essere poste
150
direttamente in relazione. Si può tuttavia scrivere un sistema di secondo grado usando l’espressione
della potenza all’arrivo e l’espressione approssimata della caduta di tensione industriale la cui
risoluzione fornisce il valore della corrente di linea e della tensione all’arrivo:
 PA  VA  I L  cos  A
10000  VA  I L  0,8
 


 VP  VA  I L  ( R L  cos  A  X L  sen A )
 230  VA  I L  (0,2  0,8  0,1  0,6)
12500

I L  V

A
 
 V  12,65
 230  VA  12500  0,22  VA 2  230  VA  2750  0   A1
VA

 VA 2  217,3
Delle due soluzioni ottenute solo la seconda è accettabile in quanto compatibile con le
caratteristiche della linea. Infatti è impensabile che una linea con alla partenza 230 [V] possa avere
all’arrivo solo 12,65 [V], normalmente la caduta di tensione industriale in una linea è contenuta ben
al di sotto del 10%. Di conseguenza la soluzione accettabile per il sistema di secondo grado è:
12500

 57,52 [A]
I L 
217,3

VA  217,3 [V]
Risposta alla domanda 2)
Applicando Boucherot risalgo nella sezione di monte della linea:
PP  PA  R L  I L 2  10000  0,2  57,522  10660 [W]
Q A  PA  tg A  10000  tg(a cos(0,8))  7500 [VARi]
QP  Q A  XL  I L 2  7500  0,1  57,522  7831 [VARi]
S P  PP 2  QP 2  106602  78312  13230 [VA]
Posso ora calcolare il fattore di potenza alla partenza:
P
10660
cos  P  P 
 0,8057 in ritardo
S P 13230
Risposta alla domanda 3)
Sapendo che la caduta di tensione industriale è la differenza aritmetica tra la tensione all’arrivo a
vuoto e la tensione all’arrivo a carico ho:
VL  VA0  VA  VP  VA  230  217,3  12,7 [V]
Si osserva che, a meno delle approssimazioni introdotte dai calcoli, la c.d.t. industriale coincide con
la soluzione del sistema scartata. Questo è sempre vero e dipende dalla natura algebrica del sistema
stesso.
Il rendimento sarà dato da:
P
10000
L  A 
 0,9381
PP 10660
Risposta alla domanda 4)
La capacità per il rifasamento a cosP’=0,92 in ritardo della partenza della linea vale:
151
QC  PP  (tg P  tg P ' )  10660  (tg(a cos(0,8057))  tg(a cos(0,92)))  3296 [VARc] 
 C
QC
  VP
2

3296
2    50  2302
 198,3  10 6 [F]
Risonanza
Un circuito in corrente alternata, comunque complesso, nel quale siano presenti resistenze,
induttanze e capacità si dice in risonanza quando rispetto alla tensione che lo alimenta si comporta
come un circuito puramente ohmico.
Si parla di risonanza serie (chiamata anche risonanza di tensione) quando i bipoli R , L , C sono
collegati in serie tra di loro. Affinché il circuito si comporti come se fosse puramente ohmico deve
ovviamente essere XL = XC . La pulsazione per la quale questa condizione si verifica è chiamata
pulsazione di risonanza e vale:
come è facile dimostrare.
Per pulsazioni più grandi di 0 il circuito si comporta da ohmico-induttivo, tendente al puramente
induttivo per 0 tendente ad infinito. Per pulsazioni più piccole di 0 il circuito si comporta da
ohmico-capacitivo, tendente al puramente capacitivo per 0 tendente a zero.
Se si immagina di alimentare il circuito con un generatore di tensione di valore efficace costante e
pulsazione variabile, è facile verificare che in coincidenza della pulsazione di risonanza è massima
la corrente che varrà
[A]. Quindi ai capi dell'induttanza e della capacità si può avere una
c.d.t. molto grande, anche maggiore della tensione applicata al circuito. Infatti se per
XL0 = XC0 >> R accadrà che sarà VL0 = VC0 >> VR0 = V.
si ha
152
Si parla di risonanza parallelo (chiamata anche risonanza di corrente o antirisonanza) quando si
presenta il circuito riportato sopra. La pulsazione di risonanza, per la quale la tensione ai capi del
parallelo è in fase con la corrente che lo alimenta, si dimostra che vale:
e, nel caso di RL = RC, tale espressione diventa uguale a quella della risonanza serie. In coincidenza
di 0 si ha che il parallelo assume il valore massimo di impedenza (tale impedenza è puramente
ohmica) pari a:
Per pulsazioni più grandi di 0 il circuito si comporta da ohmico-capacitivo, tendente al puramente
capacitivo per 0 tendente ad infinito. Per pulsazioni più piccole di 0 il circuito si comporta da
ohmico-induttivo, tendente al puramente induttivo per 0 tendente a zero.
Se si immagina di alimentare il circuito con un generatore di corrente di valore efficace costante e
pulsazione variabile, accade che in coincidenza della pulsazione di risonanza è massima la tensione
ai capi del parallelo. Quindi nei rami del parallelo si può avere una corrente molto grande, anche
maggiore della corrente erogata dal generatore.
153
Transitori nelle reti elettriche
Indice dei contenuti:
1. Generalità
2. La trasformata di Laplace
3. Metodi di antitrasformazione
4. Esempio1, rete RL sollecitata in tensione continua
5. Esempio2, rete RC sollecitata in tensione continua
6. Analisi operazionale del transitorio
7. Esempio 3, rete RLC sollecitata in tensione continua
8. Esempio 4, rete RLC sollecitata in tensione alternata
9. Esempio 5, rete RL sollecitata a frequenza industriale
10. Analisi del transitorio mediante la funzione di trasferimento
11. Esempio 6, rete RLC sollecitata con diversi segnali
12. Tipi di risposta dei sistemi elettrici
Generalità
L’analisi ed il progetto dei sistemi di controllo retroazionati (che si studierà nella materia
Sistemi Automatici) prevede ovviamente lo studio del comportamento del sistema in condizioni non
stazionarie, ovvero lo studio del transitorio del sistema.
Avendo noi maggiore familiarità coi sistemi elettrici tratteremo lo studio del transitorio facendo
soprattutto riferimento alle reti elettriche (in ogni caso le conclusioni che trarremo saranno valide
per sistemi di qualsiasi natura, non bisogna dimenticare che spesso sistemi diversi da quelli elettrici
si studiano attraverso l’analogo elettrico).
Quando in una rete elettrica qualsiasi si passa da una condizione di funzionamento ad un'altra,
sia per una variazione delle f.e.m. o delle correnti impresse dai bipoli attivi (generatori di tensione e
corrente), sia per una variazione del valore dei parametri caratteristici di alcuni bipoli passivi che la
costituiscono, si verifica sempre una situazione transitoria durante la quale i valori della tensione e
della corrente nei vari rami si modificano passando da quelli preesistenti a quelli finali o di regime.
Durante tale fase sia la tensione che la corrente possono assumere valori anche notevolmente
differenti da quelli di regime e provocare sollecitazioni dielettriche, magnetiche, termiche,
meccaniche che è necessario conoscere sia per un corretto dimensionamento dei singoli
componenti, sia per controllare che non si verifichi un funzionamento instabile della rete stessa.
Lo studio dei fenomeni transitori può essere condotto con metodi del tutto generali (ad esempio
utilizzando le equazioni differenziali), applicabili quindi anche a campi differenti dall'elettrotecnica.
Noi tratteremo il metodo operazionale della trasformata di Laplace ed il metodo della funzione di
trasferimento particolarmente idonei all'analisi dei transitori nei sistemi elettrici oltre che
propedeutici allo studio dei controlli automatici.
LA TRASFORMATA DI LAPLACE
I sistemi dinamici invarianti e lineari (e tali sono le reti elettriche) possono essere studiati , nel
dominio del tempo, attraverso le equazioni differenziali nelle quali l'incognita non è un numero
reale, come nelle equazioni algebriche, bensì una funzione del tempo.
154
Ad esempio la condizione d’equilibrio (legge generalizzata di Ohm) per una rete elettrica
costituita dalla serie di un condensatore di capacità C ed una resistenza di valore R, alimentata da
un generatore di tensione qualsiasi avente f.e.m. e(t), si scrive:
che costituisce appunto una equazione differenziale dove l’incognita è vc(t), ovvero una
funzione del tempo (che oltretutto dipende anche dal valore che nell’istante iniziale aveva la
tensione ai capi del condensatore vc(0¯), ovvero che dipende dalle condizioni iniziali). Lo studio
analitico di una simile equazione sarà visto nel corso di matematica ove si impareranno le regole per
la risoluzione delle equazioni differenziali.
Lo studio dei transitori, tuttavia, diventa più agevole, pur restando rigoroso, se si trasferisce il
calcolo dal campo reale, ove le variabili sono funzione del tempo t , al campo complesso, ove le
variabili sono funzione di s =  + j  ed s è chiamata frequenza complessa.
Tale operazione avviene mediante la trasformazione di Laplace:
dove deve essere f(t)=0 per t<0 , f(t) definita per ogni t  0 , f(t) soddisfacente alle
condizioni di Dirichlet in ogni intervallo finito di tempo (ovvero presentare un numero finito di
discontinuità, oscillare tra un valore massimo e minimo un numero finito di volte, assumere
solamente valori finiti). Tali condizioni sono, almeno nelle applicazioni che ci interessano, sempre
soddisfatte.
E' possibile anche la antitrasformazione ossia il passaggio dalla F(s) alla f(t):
Esiste quindi una corrispondenza biunivoca tra le funzioni f(t) trasformabili secondo Laplace
e le loro trasformate F(s). Nei casi più comuni non è necessario calcolare l'integrale ma è
sufficiente consultare la tabella riportata nelle pagine seguenti.
Le regole fondamentali di trasformazione, utilizzate nelle applicazioni che ci interessano, sono
le seguenti:
1) La trasformata di Laplace del prodotto di una costante K per la funzione f(t) è data dal
prodotto fra la costante stessa e la trasformata F(s) della f(t):
L[ K·f(t) ] = K·F(s)
2) La trasformata della derivata di una funzione f(t) è data dalla trasformata F(s) della
funzione moltiplicata per s e diminuita del valore f(0-) che la funzione assume all'istante t
= 0- (condizioni iniziali); in detto enunciato è anche riassunto il cosiddetto teorema della
trasformata della derivata generalizzata:
155
3) La trasformata dell'integrale di una funzione f(t) corrisponde alla F(s) divisa per s:
dove, nei casi pratici, l’integrale scritto a secondo membro altro non è che la grandezza f(t)·t
calcolata nell’istante iniziale.
4) Teorema del valore iniziale: il valore assunto dalla funzione f(t) all'istante t=0 si ottiene
moltiplicando s per la trasformata della funzione stessa e calcolandone successivamente il
limite per s tendente all'infinito:
5) Teorema del valore finale: il valore assunto dalla funzione f(t) quando t tende a infinito si
ottiene moltiplicando s per la trasformata della funzione stessa e calcolandone
successivamente il limite per s che tende a 0. Questo teorema vale solo se il denominatore
della s·F(s) ha radici tutte a parte reale minore di zero.
Questi due teoremi consentono di valutare rispettivamente il valore iniziale e quello finale
(condizione di regime statico) della grandezza assoggettata ad un fenomeno transitorio, nota
che sia la trasformata della grandezza stessa.
6) La trasformata della somma di due funzioni f1(t) e f2(t) è data dalla somma delle
trasformate delle due funzioni (la stessa regola vale anche per le antitrasformate):
L [ f1(t) + f2(t) ] = F1(s) + F2(s)
7) Teorema della moltiplicazione per t:
8) Teorema della traslazione in s:
Ovvero una traslazione  nel dominio della variabile s corrisponde nel tempo a
moltiplicare per la quantità e-·t .
9) Teorema della traslazione nel tempo:
Ovvero una traslazione  nel dominio del tempo corrisponde a moltiplicare per il termine
e-s· nel dominio della s.
Il grande vantaggio di condurre l'analisi del transitorio nel dominio della frequenza
complessa consiste nel fatto che la trasformazione di Laplace consente di ricondurre operazioni
con derivate ed integrali ad operazioni algebriche ovvero di ricondurre equazioni differenziali
ad equazioni algebriche. Quindi, in linea del tutto generale, possiamo concludere che assegnata
una qualsiasi equazione differenziale, purché siano rispettate le condizioni sopra richiamate, è
possibile mediante la trasformata di Laplace passare dal dominio del tempo al dominio della
156
frequenza complessa, risolvere algebricamente l’equazione in s così ottenuta, ed infine
antitrasformare per avere la soluzione nel dominio del tempo.
Metodi di antitrasformazione
Abbiamo visto che il metodo della trasformata di Laplace richiede, per ottenere infine
l'andamento della variabile nel tempo, di antitrasformare la funzione di s rappresentante la
variabile stessa nel dominio della frequenza.
Se la Y(s) = N(s) / D(s) è semplice si utilizza la tabella sotto riportata:
FUNZIONE DEL TEMPO
impulso unitario:
gradino unitario: 1
TRASFORMATA


rampa unitaria: t

esponenziale:

potenza ennesima:


sinusoide:

cosinusoide:

sinusoide sfasata:

sinusoide smorzata:
cisoide:


Se la Y(s) è complicata, per poter usare la tabella sopra riportata è necessario scomporre la
generica frazione rappresentante la Y(s) nella somma di più frazioni semplici per ciascuna delle
quali sia data l'antitrasformata in tabella. L'antitrasformata della Y(s) complessiva si otterrà
applicando il principio di linearità di cui gode la trasformata.
Il procedimento per la scomposizione della Y(s) in una sommatoria di frazioni semplici è
diverso a secondo che il denominatore della Y(s) si annulli per valori di s reali semplici , reali
multipli , complessi coniugati.
1° caso - Il denominatore di Y(s) si annulli per valori di s tutti reali semplici.
In tal caso la Y(S) si presenta nella forma:
157
La somma di frazioni semplici cercata sarà del tipo:
I coefficienti Ao , A1 , ... , Am (detti residui) si trovano imponendo l'eguaglianza tra il
NUM(s) ed il numeratore calcolato della somma di frazioni semplici.
Esempio:
Si deduce che questo tipo di antitrasformata è pari ad una somma di esponenziali.
2° caso - Il denominatore della Y(S) si annulli per valori di s anche reali multipli.
In tal caso a denominatore della Y(s), dopo aver scomposto in fattori, si ha un fattore del tipo
(s - Pi)n.
Vediamo un esempio al fine di dedurre il metodo generale.
Ancora una volta si ha la somma di termini esponenziali, alcuni dei quali sono però moltiplicati
per t elevato all'ordine di molteplicità meno uno.
3° caso - Il denominatore di Y(s) si annulla per valori di s anche complessi e coniugati.
158
Si osserva che la antitrasformata ha i caratteri di una oscillazione di pulsazione  racchiusa in
una fascia delimitata dall'esponenziale di esponente  . Ovviamente solo se  è negativo
l'oscillazione sarà smorzata. Si verifica che  rappresenta la parte reale delle radici
complesse coniugate del trinomio di secondo grado a denominatore mentre  ne è la parte
immaginaria presa in valore assoluto. Questo tipo di funzioni prende il nome di funzioni
cisoidali.
Di particolare interesse è il caso di parte reale negativa, in tal caso l’antitrasformata è un
segnale che tende ad un valore finito per il tempo tendente ad infinito. Prende il nome di
pulsazione naturale la quantità:
si tratta del modulo del numero complesso.
Viene chiamato coefficiente di smorzamento la quantità:
Per valori del coefficiente di smorzamento inferiori ad uno si hanno delle sovraelongazioni
durante il transitorio rispetto al valore assunto a regime tanto più grandi quanto più è piccolo lo
smorzamento. Per valori del coefficiente uguali o maggiori di uno la risposta tende
asintoticamente al valore finale senza mai superarlo.
159
Esempio 1, rete RL sollecitata da un generatore di tensione continua
Data la rete di figura nella quale Vo=24 [V], R=10 [], L=0,5 [H], determinare come varia nel
tempo l’intensità della corrente a partire dall’istante di chiusura dell’interruttore.
Per prima cosa scrivo l’equazione che rappresenta l’equilibrio elettrico della rete (legge di Ohm
generalizzata):
dove:
Sostituendo si ha infine:
160
Si tratta di una equazione differenziale avente per incognita i(t). Per la sua risoluzione è
necessario conoscere le condizioni iniziali, ovvero il valore che aveva la grandezza incognita
immediatamente prima dell’istante iniziale. Risulta del tutto evidente che tale condizione non può
essere che i(0-)=0 [A].
Risolviamo tale equazione mediante la trasformata di Laplace.
Per prima cosa trasformo tutti i termini dell’equazione:
Utilizzando la tabella e le proprietà della trasformata si ottiene:
Questa è un’equazione algebrica che risolvo rispetto I(s):
Si osservi come l’espressione finale sia stata scritta mettendo in evidenza a denominatore tutti i
fattori, ciascuno con il termine in s di grado maggiore col coefficiente unitario. E’ questa una forma
conveniente in quanto le tabelle di trasformazione presentano le espressioni in s proprio nella stessa
forma.
Ora bisogna antitrasformare I(s) per avere i(t). L’espressione ottenuta non è una frazione
semplice presente in tabella e per tale motivo bisogna provvedere alla sua rielaborazione. Siamo nel
caso di radici a denominatore tutte reali e semplici, quindi si procede nel seguente modo:
Perché le due espressioni di I(s) corrispondano dovrà essere:
Adesso è possibile applicare a ciascun termine della I(s) la tabella di antitrasformazione:
[A]
Questa è la soluzione del problema proposto. Si tratta di una esponenziale crescente avente
costante di tempo pari a 1/20= 0,05 [s], ovvero pari a L/R come già sapevamo dalla Elettrotecnica.
A regime raggiunto la corrente varrà i()=2,4 [A], anche questo concorda con quanto già noto
dall’Elettrotecnica, infatti in una rete in corrente continua, a regime, l’induttanza si comporta come
un cortocircuito così che la corrente risulta limitata dalla sola resistenza. Nell’istante iniziale i(0)=0
[A], infatti la presenza dell’induttanza impedisce alla corrente di avere una variazione finita in un
tempo infinitesimo in modo tale che la corrente all’istante iniziale deve essere uguale a quella che si
aveva prima della chiusura dell’interruttore.
L’aspetto del grafico della i(t) è il seguente:
161
Esempio 2, rete RC sollecitata da un generatore di tensione continua
Data la rete di figura nella quale Vo=100 [V], R=10 [], C=0,05 [F] e col condensatore carico
al valore iniziale QC=1,5 [C] determinare come varia nel tempo l’intensità della corrente a partire
dall’istante di chiusura dell’interruttore.
Per prima cosa scrivo l’equazione che rappresenta l’equilibrio elettrico della rete (legge di Ohm
generalizzata):
dove:
Sostituendo si ha infine l’equazione differenziale:
con la condizione iniziale QC(0-)=1,5 [C].
Applico la trasformata di Laplace:
Utilizzando la tabella e le proprietà della trasformata si ottiene:
dove
162
Il segno del termine dovuto alle condizioni iniziali non nulle è positivo perché la carica iniziale
è positiva sull’armatura superiore del condensatore e quindi essa è di segno concorde con la
tensione vC(t).
Risolvo rispetto I(s):
Antitrasformo:
[A]
Si tratta di una esponenziale decrescente. La costante di tempo è 1/2=0,5 [s], ovvero proprio
R·C come già si sapeva dall’elettrotecnica. A regime raggiunto la corrente vale i()=0 [A] in
quanto nei circuiti in corrente continua la capacità costituisce a regime una interruzione del circuito
stesso. Il valore iniziale è i(0)=7 [A], infatti essendo il condensatore già carico a QC=1,5 [C], esso
presenta ai suoi capi la d.d.p. iniziale vC(0)=QC/C=1,5/0,05=30 [V] e di conseguenza la corrente
iniziale nel circuito (tenendo conto anche della polarità della carica del condensatore) dovrà valere
i(0)=(Vo-vC(0))/R=(100-30)/10=7 [A].
L’aspetto del grafico della i(t) è il seguente:
Analisi operazionale del transitorio
Si effettua attraverso il seguente procedimento:
a) si disegna la rete topologicamente equivalente a quella assegnata, ma costituita non dai
bipoli effettivamente esistenti (e descrittivi nel dominio del tempo) bensì dai corrispondenti
bipoli (descrittivi nel dominio della frequenza complessa) ottenuti applicando la
trasformazione di Laplace;
b) si applicano alla rete (descrittiva nel dominio della frequenza complessa) i noti teoremi e
metodi risolutivi tipici della analisi delle reti elettriche (principi di Kirchhoff, principio di
sovrapposizione degli effetti, teoremi del generatore equivalente, teorema di Millman,
metodo di Maxwell, ecc.) con lo scopo di determinare le correnti e tensioni incognite, che
saranno funzione della frequenza complessa s anziché del tempo t;
c) si antitrasformano tali funzioni ottenendo così le corrispondenti funzioni del tempo.
Per poter eseguire il primo passo basta tener conto di quanto segue:
generatori di tensione:
163
generatori di corrente:
resistore:
condensatore:
induttore:
164
I versi delle f.e.m. e correnti impresse nei generatori fittizi (che tengono conto di eventuali
condizioni iniziali di carica dei condensatori e corrente negli induttori non nulle) riportati negli
schemi sopra disegnati sono relativi ad una Vc(0¯) concorde con Vc(t) ed una IL(0¯) concorde
con IL(t) , t 0.
Esempio 3, rete RLC sollecitata in corrente continua
Assegnata la rete elettrica di figura, determinare in funzione del tempo la legge di variazione
delle correnti che circolano nell'induttore e nel condensatore quando, all'istante considerato come
iniziale, si chiude il tasto T:
Alla chiusura del tasto T la rete può essere trasformata in quella topologicamente equivalente
sotto riportata, nella quale si è tenuto conto delle condizioni iniziali non di quiete a causa della
corrente circolante nell'induttore e della carica del condensatore presenti ancor prima di chiudere il
tasto T:
Determino per prima cosa il valore della forza elettromotrice dei due generatori di tensione
fittizi che tengono conto delle condizioni iniziali non nulle:
Applicando il metodo di Maxwell, dopo aver fissato il verso delle correnti di maglia, si può
scrivere:
165
Dopo aver determinato le grandezze richieste nel dominio della frequenza complessa, per
conoscerne l'andamento nel dominio del tempo si rende necessaria la loro antitrasformazione.
Entrambi i denominatori presentano radici complesse coniugate, quindi entrambe le variabili
conterranno termini cisoidali.
Antitrasformo I2(s):
Antitrasformo I1(s):
166
Vediamo l’andamento grafico delle due correnti durante l’evolversi del transitorio:
167
Esempio 4, rete RLC sollecitata da un generatore di tensione
alternata
Assegnato il circuito di figura, determinare in funzione del tempo la legge di variazione della
corrente I(t) quando si apre, all'istante considerato come iniziale, il tasto T.
168
Si osserva come il generatore di tensione sia ora di tipo sinusoidale, più precisamente è applicata al
circuito una f.e.m sinusoidale di ampiezza massima 100 [V], di pulsazione 500 [rad / s] ed
argomento iniziale nullo. Le condizioni iniziali sono nulle riguardo al condensatore (esso è
cortocircuitato prima dell'istante iniziale) mentre non sono nulle riguardo all'induttore in quanto vi è
una corrente attraverso l'induttore ancor prima dell'istante iniziale.
Il circuito nel dominio della frequenza complessa sarà quindi il seguente:
169
E' facile verificare che il terzo termine della sommatoria che costituisce l'espressione della I(t)
non è altro che la componente della corrente a regime permanente raggiunto (dopo cioè un tempo
infinito dall'istante di apertura del tasto). Infatti il circuito è sollecitato da un generatore sinusoidale
e, per quanto riguarda il comportamento a regime, si può studiare col noto metodo simbolico.
Il valore iniziale della corrente si determina col noto teorema del valore iniziale applicato alla
trasformata I(s) oppure calcolando la I(t) dopo aver posto t = 0, in ogni caso il risultato (come è
facile verificare) vale - 2 [A].
Il valore finale non esiste, infatti per sua natura la corrente in questo circuito è sinusoidale e quindi
varierà a regime raggiunto tra il valor massimo + 3,2 [A] ed il valor minimo - 3,2 [A].
Vediamo l'oscillogramma della corrente nel circuito:
170
Esempio 5, rete RL sollecitata a frequenza industriale
Quanto fino ad ora visto ci permette di verificare un fenomeno che si manifesta nei circuiti elettrici
di natura ohmico-induttiva quando venga bruscamente applicata una f.e.m. sinusoidale.
Facciamo riferimento al seguente circuito:
E(t) = 311,1·sen(314,2·t) [V] , R = 1 [] , L = 0,02 [H]
Si tratta evidentemente di una rete elettrica alimentata alla tensione di 220 [V] efficaci ed alla
frequenza industriale di 50 [Hz] (da cui la pulsazione di 314,2 [rad/sec]). Vediamo di studiare ciò
che succede subito dopo la chiusura dell'interruttore ed allo scopo passiamo dal dominio del tempo
al dominio della frequenza complessa. Siccome negli istanti precedenti quello iniziale la corrente è
sicuramente nulla (essendo il circuito aperto), al bipolo induttore non sarà associato alcun
generatore fittizio ed il circuito equivalente sarà quello sopra raffigurato.
171
Si osserva che la corrente risulta composta di due termini, il primo è esponenziale decrescente e si
potrà ritenere esaurito dopo un tempo pari a cinque volte la costante di tempo e cioè dopo 5·(1 / 50)
= 0,1 [sec], il secondo termine è sinusoidale e coincide esattamente con la corrente di regime
stazionario (come si può facilmente verificare).
Dal punto di vista pratico è importante osservare come, durante il transitorio, la corrente possa
assumere valori istantanei molto più grandi di quelli tipici del regime stazionario. Questo fatto è ben
visibile sul primo grafico della pagina seguente che mostra l'evoluzione nel tempo della corrente e
della sua componente esponenziale.
Applicando lo stesso ingresso ad un circuito sempre ohmico-induttivo, ma con induttanza L = 0,01
[H] e resistenza tale da dar luogo ad una impedenza che abbia lo stesso modulo di quella
precedente si ha invece:
172
Analisi del transitorio mediante la funzione di trasferimento
Presa una qualsiasi rete elettrica, comunque complessa, inizialmente in quiete (nessuna carica sulle
armature dei condensatori e nessuna corrente attraverso gli induttori nell'istante t = 0¯ [sec]) nella
quale agisca un solo bipolo attivo, assunta X(t) quale grandezza di ingresso ed Y(t) quale
173
grandezza d'uscita (X(t) ed Y(t) possono indifferentemente essere tensioni o correnti) viene
definita funzione di trasferimento H(s):
dove X(s) è la trasformata dell'ingresso X(t) ed Y(s) è la trasformata dell'uscita Y(t).
Tale linguaggio è mutuato direttamente da quello tipico dei Controlli Automatici per lo studio dei
quali la funzione di trasferimento costituisce uno strumento importantissimo.
La funzione di trasferimento non dipende dalla particolare funzione del tempo in ingresso, ma solo
dai parametri caratteristici della rete ed è, quindi, tipica per ciascuna rete.
L'uscita di una rete nel dominio complesso è data dal prodotto della trasformata dell'ingresso per la
funzione di trasferimento. Quindi, se l'ingresso è la funzione impulsiva, avendo questa trasformata
pari ad 1, si potrà affermare che l'uscita si identifica con la funzione di trasferimento. Da questo
caso particolare si può ricavare un'altra interpretazione della funzione di trasferimento di una rete:
essa coincide con la trasformata di Laplace della risposta della rete ad un impulso unitario in
ingresso (purché le condizioni iniziali siano nulle e l'unico bipolo attivo sia quello che determina
l'impulso).
Per il calcolo della funzione di trasferimento di una rete è conveniente prendere in considerazione la
rete equivalente nel dominio della frequenza complessa ed applicare ad essa i metodi tradizionali di
analisi delle reti lineari.
Il procedimento che permette di individuare la variazione dell'uscita di una rete elettrica
conseguente alla applicazione di un segnale al suo ingresso si sviluppa attraverso i seguenti passi:
1) si determina la funzione di trasferimento H(s) della rete elettrica;
2) si trasforma il segnale di ingresso X(t) nel corrispondente X(s) consultando l'apposita
tabella;
3) si calcola la trasformata dell'uscita Y(s) = X(s)·H(s);
4) si antitrasforma Y(s) in Y(t) ottenendo così la legge con cui l'uscita si evolve nel tempo.
Osservazione: la trattazione della funzione di trasferimento fatta in questo momento è
assolutamente riduttiva rispetto quanto è necessario conoscere sul tale argomento nell'ambito della
disciplina dei Controlli Automatici. In effetti noi vediamo (al momento) la funzione di trasferimento
soltanto quale strumento per la determinazione del transitorio in una rete elettrica, trascurando
totalmente le implicazioni riguardo alla stabilità ed alla risposta in frequenza della rete.
Esempio 6, rete RLC sollecitata con diversi segnali
Assegnata la rete elettrica di figura, assumendo che essa sia inizialmente a riposo, determinare
l'andamento della tensione Vc(t) ai capi del condensatore a partire dall'istante di chiusura
dell'interruttore T per i vari tipi di ingresso indicati:
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Per prima cosa disegno la rete topologicamente equivalente alla data ma con le grandezze formulate
nel dominio della frequenza complessa:
Determino quindi la funzione di trasferimento. Allo scopo applico le tecniche di analisi tipiche per
le reti lineari:
La trasformata del segnale di ingresso del tipo impulsivo vale:
La trasformata del segnale di ingresso del tipo a gradino vale:
La trasformata del segnale di ingresso del tipo a rampa vale:
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La trasformata del segnale di ingresso del tipo sinusoidale vale:
La trasformata dell'uscita, il valore iniziale ed il valore a regime quando in ingresso vi è un impulso
unitario valgono:
La trasformata dell'uscita, il valore iniziale ed il valore a regime quando in ingresso vi è un gradino
valgono:
La trasformata dell'uscita, il valore iniziale ed il valore a regime quando in ingresso vi è una rampa
valgono:
Il teorema del valore finale non è applicabile in quanto la funzione s·Vc(s) presenta a denominatore
una radice nulla. In effetti Vc(t) per t tendente ad infinito tende pure ad infinito.
La trasformata dell'uscita, il valore iniziale ed il valore a regime quando in ingresso vi è una
sinusoide valgono:
Il teorema del valore finale non è applicabile in quanto la funzione s·Vc(s) presenta a
denominatore una coppia di radici immaginarie e quindi a parte reale nulla. In effetti a regime
l'uscita sarà una grandezza sinusoidale e quindi sarà contenuta fra un valor massimo ed un valor
minimo, oscillando tra detti valori.
L'uscita nel dominio del tempo quando in ingresso vi è un impulso unitario si determina
antitrasformando la associata Vc(s):
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Si tratta di una funzione cisoidale e più precisamente di una oscillazione esponenziale smorzata il
cui andamento è il seguente:
L'uscita nel dominio del tempo quando in ingresso vi è un gradino di 2 [V] si determina
antitrasformando la associata Vc(s), cosa già fatta nel paragrafo relativo ai metodi di
antitrasformazione:
Si tratta di un termine costante cui si sovrappone una funzione cisoidale costituita da una
oscillazione esponenziale smorzata; l'andamento complessivo è il seguente:
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L'uscita nel dominio del tempo quando in ingresso vi è una rampa unitaria si determina
antitrasformando la associata Vc(s):
L'oscillogramma corrispondente è il seguente:
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L'uscita nel dominio del tempo quando in ingresso vi è una sinusoide si determina antitrasformando
la associata Vc(s):
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Il primo termine corrisponde alla sinusoide di regime raggiunto, il secondo alla parte transitoria che
si esaurirà dopo un tempo pari a circa cinque volte la costante di tempo ovvero (5·1/50)=0,1 [sec].
L'oscillogramma è il seguente:
Tipi di risposta dei sistemi elettrici
Le sorgenti che alimentano un circuito possono essere di due tipi:
a)
sorgenti esterne, che danno luogo alla risposta forzata;
b)
sorgenti interne, che danno luogo alla risposta libera o naturale.
Le sorgenti esterne sono i generatori che possono fornire una tensione (chiamata forza
elettromotrice) o una corrente (chiamata corrente impressa) avente diversi possibili andamenti nel
tempo (es. continuo, sinusoidale, impulsivo rettangolare, a dente di sega, ecc.).
Le sorgenti interne sono rappresentate dall’eventuale energia presente, nell’istante iniziale, nel
campo elettrico di un condensatore e/o nel campo magnetico di un induttore e, quindi, dalle tensioni
iniziali presenti ai capi dei condensatori e/o dalle correnti iniziali che attraversano gli induttori. Si
usa dire che queste tensioni e/o correnti determinano lo stato del circuito e, pertanto, sono chiamate
variabili di stato.
La risposta libera, detta anche risposta ad ingresso nullo (zero input), è conseguente alla
presenza di sorgenti interne non nulle e, tenuto conto della presenza di elementi resistivi nel circuito
che dissipano via via l’energia inizialmente accumulata nei campi, avrà un andamento smorzato al
passare del tempo, fino ad esaurirsi praticamente del tutto.
La risposta forzata, detta anche risposta a stato nullo (zero state), è conseguente alla presenza di
sorgenti esterne non nulle ed avrà nel tempo un andamento dipendente sia dalla forma della
sorgente applicata, sia dal tipo di circuito e dai componenti in esso presenti. Se sono presenti solo
componenti resistivi, la risposta forzata assume istantaneamente la forma del termine forzante (se
quest’ultimo è di tipo sinusoidale, sarà pure essa sinusoidale con la stessa pulsazione e la stessa fase
mentre l’ampiezza sarà generalmente differente). Se invece sono presenti nel circuito elementi con
memoria (cioè capaci di immagazzinare energia quali condensatori e/o induttori), la risposta forzata
non potrà assumere istantaneamente la forma voluta dal termine forzante (in quanto la tensione ai
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capi di un condensatore e/o la corrente in un induttore non possono variare subendo discontinuità).
Viene chiamato transitorio il tempo che impiega la risposta forzata ad adeguarsi al termine forzante,
viene invece chiamata risposta a regime permanente la risposta forzata a transitorio esaurito.
Lo studio dei transitori da noi effettuato conduce quindi a risultati che sono funzioni del tempo
rappresentanti correnti e/o tensioni. Tali funzioni riassumono sia la risposta libera che la risposta
forzata. Alla parte transitoria concorrono la risposta libera alle sorgenti interne e la reazione dei
componenti con memoria alle sorgenti esterne (tali risposte hanno lo stesso andamento temporale e
possono quindi essere sommate e dare luogo ad un’unica componente), alla parte a regime concorre
soltanto l’adeguamento della risposta all’andamento delle sorgenti esterne.
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