Quaderni ANNO I - NUMERO IV/08 gli incontri del club “Attività antropiche e riscaldamento globale. Scenari catastrofici e scenari reali.” uaderni del club 25/11/2008 I ndice Considerazioni introduttive Giovanni Briganti 1 Cambiamenti climatici e l’inganno del protocollo di Kyoto Franco Battaglia 5 Politiche ambientali: efficacia, illusioni, inganni e ingenuità Paolo Togni 17 Considerazioni introduttive Giovanni Briganti L’Ipcc, l’Intergovernmental Panel for Climate Changes, è un organismo che si autodefinisce scientifico, intergovernativo e fondato nel 1988 dal World Metereological Organization e dal programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (l’UNEP). Ipcc nel corso degli anni ha prodotto una serie di documenti e di rapporti sullo stato globale del clima che hanno dato origine, al di là del loro effettivo contenuto, all’attuale preoccupazione sui cambiamenti climatici e sulla loro origine antropica e a scenari che prevedono un andamento catastrofico delle temperature sulla Terra e con delle conseguenze che poi praticamente verranno analizzate molto meglio dagli altri relatori. L’Ipcc ha prodotto l’ultimo rapporto presentato nel 2007. IPCC (Intergovernmental Panel for Climate Changes) è un organismo scientifico intergovernativo fondato nel 1988 dalla World Meteorological Organization (WMO) e dal United Nations Environment Programme (UNEP). IPCC produce una serie di documenti e rapporti sul cambiamento climatico: l’ultimo rapporto presentato Climate Change 2007: Synthesis Report Summary for Policymakers Accanto al rapporto completo vi era il Summary for Policy Makers, cioè il riassunto fatto per i politici che offre una sintesi di quanto l’Ipcc crede di avere individuato. Si afferma in questo rapporto di sintesi, che le emissioni globali di GHG (i gas responsabili dell’effetto serra) sono cresciute in maniera notevole dai tempi della pre-industrializzazione e quest’incremento è stato maggiore (si dà la cifra del 70%) tra il 1970 e il 2004. 1 Considerazioni introduttive Global anthropogenic GHG emission Figure SPM.3. (a) Global annual emissions of anthropogenic GHGs from 1970 to 2004. (b) Share of different anthropogenic GHGs in total emissions in 2004 in terms of carbon dioxide equivalents (CO,-eq). (c) Share of differentsectors in total anthropogenic GHG emissions in 2004 in terms of CO,-eq. (Forestry includes deforestation.) (Figure 2.1) Nel grafico si vede che questi colori viola rappresentano l’anidride carbonica che deriva dal bruciare combustibili fossili e questi colori bianchi rappresentano l’anidride carbonica che può derivare dal fatto che ci sono delle deforestazioni notevoli su alcune parti della Terra. Anche quest’affermazione fra virgolette sta un po’ per conto suo perché altri hanno dimostrato anche il contrario; comunque, senza entrare in polemiche, diamo semplicemente il quadro generale. Altri gas sono il CH4 che poi è il metano e l’ossido di azoto, questi sono considerati i principali gas responsabili dell’effetto serra. Ho tratto alcune citazioni sulle quali vorrei farvi riflettere, perché l’affermazione dell’ultimo rapporto dell’Ipcc è che l’incremento delle temperature medie globali (global average temperatures) alla metà del XX secolo è molto probabilmente, quindi anche loro sono un po’ cauti, dovuto alle attività antropogeniche e soprattutto alle emissioni di gas serra. Giovanni Briganti Most of the observed increase in global average temperatures since the mid-20th century is very likely due to the observed increase in anthropogenic GHG concentrations. It is likely that there has been significant anthropogenic warming over the past 50 years averaged over each continent (except Antarctica). Global atmospheric concentrations of CO2, methane(CH4) and nitrous oxide (N2O) have increased markedly as a result of human activities since 1750 and now farexceed pre-industrial values determined from ice cores spanning many thousands of years. È possibile che vi sia stato un effetto determinante da parte delle attività antropogeniche sul riscaldamento globale nei cinquant’anni trascorsi, eccetto forse per la parte che riguarda il continente antartico. Le concentrazioni di CO2, di metano, di ossido d’azoto sono cresciute formidabilmente nel corso delle attività umane dalla metà del ‘700 in poi, e questo è un dato di fatto tutto sommato non è contestabile perché in parte misurato in parte no, comunque ci sarà poi il Professor Battaglia che potrà darci qualche informazione più precisa, io ho soltanto voluto indicare i punti salienti sui quali si sono basate poi le conclusioni del rapporto dell’Ipcc. A mio parere, queste affermazioni hanno portato allo sviluppo di scenari catastrofici, che preannunciano desertificazioni, innalzamento dei mari e conseguenti sparizioni di innumerevoli terre emerse quali Venezia o anche le Maldive. Uno di questi esempi è la cartina che vi faccio vedere, di cui faccio notare solo i colori, che sono nella scala di sotto, vedete che in tutta la Terra c’è un incremento che può anche essere di 6-7 gradi intorno all’Artico e quindi non è minore di 2-3 gradi l’incremento di temperatura proiettato a quanto, questo è lo scenario, perché da certi dati si costruiscono scenari che vengono poi proiettati nel futuro e questa proiezione va alla fine del 2000, quindi tra il 2090 e il 2099 ed è basata sulla struttura della crescita delle temperature. 3 Considerazioni introduttive Geographical patten of surface warming 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5 5.5 6 6.5 7 7.5 (*C) Figure SPM6. Projected surface temperature changes for the late 21st century (2090-2099). The map shows the multi-AOGOM average projection for the AB SPERS scenario. Temperature are relative to the period 1980-199. In questo caso avremo un incremento di calore così evidente e notevole che tutte quelle catastrofi di cui vi parlavo prima sono probabilmente dovute. Io mi fermo qui perché volevo solo introdurre, però sulla base di questo vi voglio dire soltanto altre due cose. Adesso vi faremo vedere un breve video, che raccoglie le interviste di molti scienziati, alcuni dei quali hanno partecipato all’Ipcc e poi o se ne sono andati o hanno contestato le conclusioni. Accanto a questo, poco tempo fa, ma ve ne parlerà meglio il Professor Battaglia, è stato costituito un contro-Panel di scienziati che non sono affatto d’accordo con quello che dice l’Ipcc e che hanno prodotto anch’essi un rapporto molto dettagliato che è stato pubblicato nel 2007, le cui conclusioni, a cui ha partecipato anche il Professor Battaglia, sono contenute nel piccolo rapporto “La natura non l’attività dell’uomo governa il clima”. Cambiamenti climatici e l’inganno del protocollo di Kyoto Franco Battaglia Secondo il Terzo Rapporto dell’Ipcc (Comitato internazionale sui cambiamenti climatici) - un organismo intergovernativo che comprende scienziati da 100 Paesi “il riscaldamento globale previsto per il prossimo secolo potrebbe risultare senza precedenti negli ultimi 10.000 anni”. Ma secondo Richard Lindzen, uno degli estensori di quel rapporto e membro dell’Accademia nazionale delle scienze americana, “la possibilità di un eccezionale riscaldamento globale, anche se non escludibile, è priva di basi scientifiche”. Il riscaldamento globale è ritenuto essere la conseguenza di vari fattori tra cui anche un incremento della concentrazione atmosferica di gas-serra (soprattutto CO2 e, in misura molto minore, metano e altri gas-serra). Siccome nell’ultimo secolo sono progressivamente aumentati sia l’uso mondiale dei combustibili fossili sia le concentrazioni atmosferiche di CO2, si potrebbe pensare che, assumendo che questi aumenti continuino senza sosta, il raggiungimento di livelli pericolosi sia solo questione di tempo, e che più aspettiamo più difficile potrebbe essere affrontare il problema. Il sillogismo logico, secondo alcuni, sarebbe allora il seguente: (1) i gas-serra stanno aumentando senza sosta, (2) ogni cosa che aumenta senza sosta raggiunge prima o poi livelli catastrofici, (3) la catastrofe non può evitarsi se non si blocca quell’aumento. Ma, piaccia o no, le cose non sono così semplici. Ad esempio, le previsioni del futuro riscaldamento globale assumono che la crescita di popolazione s’interromperà in alcuni decenni: se così non fosse, avremmo ben altro - prima ancora del riscaldamento globale - di cui preoccuparci. E, d’altra parte, dovesse la popolazione mondiale stabilizzarsi, il timore dell’aumento senza sosta dei gas-serra non sarebbe più giustificato. Secondo altri, invece, non vi è alcuna evidenza che il riscaldamento sia reale; ammesso che lo sia, esso è minimo e non vi è alcuna evidenza che sia stato indotto dalle attività umane; e, infine, esso potrebbe essere addirittura benefico. Naturalmente, finché nessuna delle due parti comprende solo isolati casi di dissenzienti (e non è questo il caso), non ha importanza sapere quale pensiero ha il maggior numero di sostenitori: i risultati della scienza non si acquisiscono a maggioranza. Poniamoci allora le seguenti quattro domande: Il riscaldamento globale è reale? Qualora lo fosse, la causa dominante è l’effetto serra d’origine antropica? Qualora anche questo fosse il caso, quale aumento di temperatura media globale potremmo realisticamente attenderci fra, poniamo, 100 anni? E, infine, l’aumento realisticamente prevedibile in caso di contributo antropogenico determinante, apporterà, globalmente, danni o benefìci? 5 Cambiamenti climatici e l’inganno del protocollo di Kyoto I l riscaldamento globale è reale? Anche se misure dirette in grado di fornire informazioni sulle temperature medie globali sono state effettuate solo recentemente, vari dati indiretti (in particolare le concentrazioni relative di 16O e 18O nelle “carote” di ghiaccio1 estratte in Groenlandia) ci permettono di concludere che attualmente la Terra si trova tra due ere glaciali (che avvengono ogni 100.000 anni circa). Durante l’ultima era glaciale le temperature erano di 10 gradi inferiori ad ora e non è escluso che il pianeta sia più caldo adesso che non in ogni altro periodo degli ultimi 1000 anni; un riscaldamento, quello di questo millennio, che è avvenuto gradualmente per ragioni certamente indipendenti dalle attività umane. Il problema che nasce è se per caso queste ultime abbiano o no, sul riscaldamento globale, un’influenza significativa rispetto a cause naturali. A questo scopo, è necessario limitarsi a osservare le variazioni negli ultimi 150 anni, cioè dall’avvento dell’industrializzazione. Ebbene, vi è concordanza nella comunità scientifica che le misurazioni di temperatura effettuate da stazioni sulla Terra rivelano valori che negli ultimi 150 anni sono aumentati di circa mezzo grado. I maggiori aumenti si sono registrati nei periodi 1910-1945 e 1975-2000. Se però ci si chiede se le misurazioni di temperatura a terra corrispondano alla temperatura media globale, ci si imbatte in una prima seria difficoltà: non vi è garanzia che l’aumento osservato non sia da attribuire al fatto che nell’intorno delle stazioni di misura si sviluppava, nei decenni, un’urbanizzazione, e che è ad essa che dovrebbe attribuirsi quell’aumento. L’assenza di quella garanzia nasce anche dal fatto che i tentativi di aggiustare i dati in modo tale da tenere conto di questo “effetto da urbanizzazione” - mediante soppressione dei dati più recenti dalle stazioni “incerte” - aumenta l’incertezza sull’analisi finale, visto che si ha bisogno di dati abbondanti e accurati proprio in riferimento ai tempi più recenti. Per farla breve: potrebbe benissimo essere che il riscaldamento osservato successivamente al 1975 (circa 0,15 gradi per decennio) sia da attribuirsi totalmente all’effetto dell’urbanizzazione attorno alle stazioni di misura. Nel periodo successivo al 1975 si ha però disponibilità di dati satellitari. I satelliti non registrano la temperatura della Terra, ma quella dell’atmosfera, misurando la quantità di radiazione a microonde emessa dalle molecole che costituiscono l’aria sino a circa 8 km di distanza dalla Terra. Le misure satellitari sono più attendibili, sia perché i satelliti Trattasi di cilindri di ghiaccio di alcuni centimetri di diametro e alcuni metri di lunghezza, estratti da profondità sino a 10 chilometri. 1 Franco Battaglia riescono a campionare contemporaneamente una porzione di globo più ampia, sia perché esse non sono viziate dall’effetto di urbanizzazione. Ebbene, il risultato è che le misure satellitari non registrano l’aumento di temperatura registrato dalle misure sulla Terra. Un risultato, questo, che trova conforto nelle misure effettuate, sin dal 1960, dai palloni aerostatici, dai quali, pure, non si registra alcun aumento di temperatura. Una curiosa osservazione che spesso viene avanzata dai media è la seguente: riferendosi ad un evento climatico eccezionale, e a “prova” dei cambiamenti climatici in atto, si osserva che quell’evento «non accadeva da 120 anni!». Non si pensa, però, che se non accadeva da 120 anni, allora 120 anni fa è accaduto: come mai? Nella tabella 1 si riportano, aggiornati al 22 luglio 2005, i record di temperatura in alcune zone del pianeta da quando si cominciarono a registrare le temperature (da circa 150 anni). È vero, ad esempio, che nel 1998 e nel 2003 si registrarono record di alte temperature (si veda Italia e Germania), ma è altrettanto vero che le temperature più alte mai registrate in Spagna, Finlandia, Usa, Alaska e Argentina furono registrate tutte in data anteriore al 1915 (nel 1881 in Spagna), e la temperatura più alta mai registrata al mondo fu registrata, in Libia, nel 1922. Così come la temperatura più bassa mai registrata in Germania fu registrata nel 2001 e, nel mondo, nel 1983. Interessante anche il record del Regno Unito, ove la temperatura più bassa mai registrata fu di -27,2 C, e fu registrata negli anni 1895, 1982 e 1995: cioè oggi come 100 anni fa. Tab 1: Record di temperature (in gradi Celsius) nel mondo (1880-2005). Località Temperatura massima Temperature minima Mondo 58.0 Al’azizyah, Libia, 13.09.1922 -89.6 Vostok, Antartica, 23.07.1983 Regno Unito 38.5 Brogdale, 10 August 2003 -27.2 Braemar, 11.02.1895 & 10.01.1982 and Altnaharra, 30.12.1995 Germania 40.2 Karlsruhe, 13 August 2003 -45.9 Berchtesgaden, 24.12.2001 Spagna 50.0 Sevilla, 04.08.1881 -22.5 Albacete, 25.02.1944 Italia 45.2 Catania, 02.07.1998 -34.6 Palteau Rosa, 06.03.1971 Finlandia 35.9 Turku, 09.07.1914 -51.5 Kittila, 28.01.1999 Canada 45.0 Midale & Yellow Grass, 05.07.1937 -63.0 Snag, Yukon, 03.02.1947 USA 56.7 Greenland Ranch, CA, 10.07.1913 -62.0 Alaska, 23.01.1971 Alaska 38.0 Fort Yukon, 27.06.1915 -62.0 Prospect Creek, 23.01.1971 Argentina 48.9 Rivadavia, 11.12.1905 -33.0 Sarmiento, 01.06.1907 7 Cambiamenti climatici e l’inganno del protocollo di Kyoto Qual è il contributo d’origine antropica al presunto riscaldamento globale ? Stabilite le incertezze su cui si fonda l’esistenza stessa del riscaldamento globale, passiamo a valutarne, nell’ipotesi che esso sia reale, il contributo antropogenico. Due cose vanno subito dette. 1. Innanzitutto un riscaldamento anche più accentuato dell’attuale occorse già in passato: alcuni secoli durante l’età del bronzo, il periodo caldo olocenico e un paio di secoli nel periodo caldo medievale. 2. L’attuale riscaldamento cominciò nel 1700, dal minimo della piccola era glaciale, quando erano l’industrializzazione assente e meno di mezzo miliardo gli abitanti della Terra. 3. Continuò, il riscaldamento, fino al 1940, quando erano l’industrializzazione quasi assente e 2/3 dell’attuale la popolazione della Terra. Indubbiamente, i gas-serra (innanzi tutto acqua, e poi anidride carbonica) tengono la Terra calda: senza di essi, avremmo 33 gradi di meno. Ma l’anidride carbonica (il secondo componente naturale, dopo il vapore acqueo, responsabile dell’effetto serra “naturale”) è anche immessa nell’atmosfera dall’uomo ogni volta che si bruciano combustibili fossili. Ma le concentrazioni atmosferiche di CO2 e le temperature non hanno seguito un comportamento proprio parallelo: 1. Il riscaldamento s’interruppe - anzi vi fu un rinfrescamento - nel periodo 19451975, in pieno boom demografico, industriale e di emissioni. 2. Il riscaldamento si è interrotto dal 1998, cioè da 10 anni, senza che si siano interrotte le emissioni. Non vi è dubbio che la Terra potrebbe riscaldarsi per altre ragioni - l’attività solare, ad esempio - che disturbino il bilancio tra la radiazione proveniente dal Sole e quella che la Terra rispedisce indietro nello spazio. Alcuni, infatti, ritengono che le variazioni di temperatura registrate negli ultimi 150 anni siano da attribuire esclusivamente a variazioni dell’attività solare. In particolare, il numero delle macchie solari (osservabili facilmente con un modesto telescopio) è stato accuratamente registrato negli ultimi 400 anni (e segue un ben noto ciclo con periodo di 11 anni). Ed effettivamente, esattamente come avveniva tra concentrazione Franco Battaglia di CO2 e temperatura della Terra, si è osservato che, nel tempo, l’attività solare e le temperature hanno seguito un comportamento parallelo, come mostra la figura seguente, nella quale si riportano, in funzione del tempo (dal 1860 al 1990), due curve: una rappresenta la lunghezza dei cicli di attività solare (indicata lungo l’asse verticale sinistro), l’altra rappresenta le variazioni di temperatura globale media (indicate lungo l’asse verticale destro)2. 0,3 9,7 9,9 Solvyklus-længde (år) 10,3 0,1 10,5 0,0 10,7 -0,1 10,9 11,1 -0,2 11,3 -0,3 11,5 -0,4 11,7 11,9 1860 Middel-Temperatur (grader C) 0,2 10,1 -0,5 1880 1900 1920 1940 1960 1980 2000 Solo che, in questo caso - dovesse esserci una relazione di causa-effetto - non ci sarebbero dubbi sull’attribuzione della causa e dell’effetto. Va però detto che il tentativo di valutare, dagli aumenti osservati di attività solare, la consistenza degli aumenti di temperatura attesi, ha portato alla conclusione che questi sono inferiori agli aumenti di temperatura osservati. Allora, vi è, forse, ancora spazio per attribuire all’uomo almeno una parte dell’aumento di temperatura osservato (ammesso che esso sia reale). Per cercare di togliersi il dubbio non c’è altro da fare che affidarsi a modelli matematici e tentare di simulare la realtà al calcolatore. Questi modelli sono, essenzialmente, dello stesso tipo di quelli che si usano per fare le previsioni meteorologiche, anche se vi sono alcune fondamentali differenze su cui qui non è il caso di soffermarsi. Comunque, ecco in breve come funzionano, almeno per la parte più simile ai modelli di previsione del tempo: (1) La superficie della Terra è suddivisa in cellette bidimensionali da una griglia tracciata lungo i meridiani e i E. Friis-Christensen and K. Lassen, Science 254, 698 (1991). 2 9 Cambiamenti climatici e l’inganno del protocollo di Kyoto paralleli, e l’atmosfera sopra ogni celletta è quindi suddivisa in strati: l’intera atmosfera è così ripartita in tante “scatole”; (2) entro ognuna di esse si fissano, ad un particolare istante di tempo, i valori delle grandezze fisiche significative (temperatura, pressione, umidità, velocità e direzione del vento, etc.); (3) si usano le equazioni del modello per far evolvere nel tempo la situazione iniziale, calcolando i valori futuri delle grandezze fisiche significative in ogni “scatola”. L’attendibilità di un modello dipende dalla sua capacità di predire... il passato: si parte dalle condizioni iniziali, poniamo, nel 1860; si usa il modello per riprodurre le condizioni presenti; se queste non sono riprodotte, si modificano le condizioni iniziali e i parametri del modello sino a che non si ottengono da esso previsioni in accordo col futuro (rispetto al 1860) che conosciamo già (cioè sino ad oggi). Questo modo di procedere è senz’altro il migliore possibile, viste le enormi difficoltà del problema; ma non bisogna dimenticare che variando a piacimento un gran numero di parametri si è in grado di riprodurre qualunque cosa si voglia: la verità è che un modello costruito su un numero sufficiente di parametri è in grado di riprodurre tutto e il contrario di tutto da qualunque insieme di dati. Ad ogni modo, l’Ipcc, in un rapporto firmato da 515 (sic!) autori, osserva che i modelli matematici riprodurrebbero l’attuale riscaldamento globale solo a patto che siano incluse le emissioni antropogeniche di gas-serra, e pertanto conclude che “tenendo conto dei pro e dei contro dei fatti, sembra che vi sia una ben distinguibile influenza umana sui cambiamenti climatici”. Alcuni ritengono la conclusione azzardata. Innanzitutto, a causa dei limiti già detti inerenti a modelli che contengono un gran numero di parametri. In secondo luogo, perché molti modelli considerati dall’Ipcc falliscono quando s’includono in essi i contributi provenienti dagli aerosol, che sono particelle - principalmente di solfati - che si formano dalle emissioni vulcaniche e antropogeniche: includendo gli aerosol, le temperature calcolate dai modelli sono inferiori a quelle osservate. Infine, perché modelli diversi danno risultati molto diversi tra loro, a causa della difficoltà connessa alla trattazione delle masse di nuvole; per includerle appropriatamente nei modelli, bisognerebbe dividere l’atmosfera in “scatole” molto più piccole, e quindi molto più numerose, fatto che renderebbe però impraticabili i già complessi calcoli. In alcuni casi i modelli hanno dimostrato una più che soddisfacente attendibilità: quando, nel 1991, in seguito alla gigantesca eruzione del vulcano Pinatubo nelle Filippine, la temperatura media globale diminuì di 0,5 gradi, una diminuzione che fu osservata e anche “prevista” dai modelli. L’evento, tuttavia, non può non farci riflettere: se basta un’eruzione vulcanica per diminuire di 0,5 gradi in un anno la temperatura Franco Battaglia media globale, qual è il senso di preoccuparsi di un’eventuale contributo antropogenico che sarebbe stato la causa di un aumento di 0,6 gradi in 150 anni? Sembrerebbe, ancora una volta, che il contributo antropogenico alle variazioni di temperatura media globale sia ben mascherato da contributi naturali, ben più importanti e sui quali poco o nulla possiamo fare se non, ove possibile, adattarci. Ma il segno più evidente della mancanza di influenza significativa da parte dell’uomo è il fatto che i modelli - tutti - prevedono che, se fosse l’uomo responsabile, allora a 15 km nella troposfera sopra l’equatore dovrebbe osservarsi un riscaldamento triplo di quello che si osserva a terra; le misure satellitari, però, non osservano, lassù, alcun riscaldamento, men che meno triplo, ma, addirittura, un rinfrescamento. Questa, che voleva essere l’impronta digitale della congettura del riscaldamento globale antropogenico, è evoluta in impronta digitale della sua inconsistenza. Quali temperature potremmo attenderci fra 100 anni? Se si assumono attendibili le misure satellitari e le si estrapola da qui a 100 anni, per allora la temperatura media globale sarà aumentata di mezzo grado, con un’incertezza di 1,5 gradi. Se invece - come fa l’Ipcc - si assumono fedeli le misure dalle stazioni a Terra e si attribuisce esclusivamente all’uomo la causa del riscaldamento globale, le previsioni da qui a 100 anni dipendono da molteplici considerazioni (economiche, politiche, tecnologiche, etc.) sullo sviluppo dell’umanità; e che si riflettono, alla fine, sulla reale consistenza futura di emissioni di gas-serra. Ebbene, l’Ipcc, assumendo fedeli le temperature registrate sulla Terra e attribuendo all’uomo la principale responsabilità del riscaldamento, esamina 40 possibili scenari, prende nota dei due scenari che prevedono l’aumento minore e l’aumento maggiore di temperatura, e conclude che per il 2100 ci si deve attendere un aumento di temperatura compreso fra 1,4 e 5,8 gradi. Curiosamente, l’Ipcc non riporta né l’incertezza di ciascun valore di temperatura previsto da ciascuno degli scenari, né la probabilità che questi scenari hanno di realizzarsi. Ad esempio, gli scenari che prospettano i maggiori aumenti di temperatura sono quelli che assumono che tutti i paesi in via di sviluppo avranno nel frattempo raggiunto standard di vita uguali a quelli dei paesi industrializzati. Un’assunzione, questa, che, anche se desiderabile col cuore, sembra francamente lontana da ogni oggettiva realtà delle cose. Anche se noi che scriviamo possiamo prenderci la libertà di essere così “politicamente poco corretti”, l’Ipcc, un organismo intergovernativo comprendente rappresentanze da un centinaio di 11 Cambiamenti climatici e l’inganno del protocollo di Kyoto paesi, molti dei quali in via di sviluppo, non può evidentemente prendersi quella stessa libertà. Certamente non sino al punto da escludere dai propri rapporti quei fantasiosi scenari. Se si fa questa “scrematura” (ed è stata fatta in studi indipendenti)3 l’aumento massimo di temperatura da attendersi per il 2100 (nell’ipotesi che siano le attività umane le responsabili principali del presunto global warming) non è superiore a 3 gradi. Se invece il contributo antropogenico fosse irrisorio, dai dati disponibili sull’attività solare possiamo attenderci, fra 100 anni, variazioni di temperatura comprese fra -1,0 e 2,0 gradi. Un eventuale riscaldamento globale, che sia di realistica entità, sarebbe dannoso o benèfico per l ’ umanità ? Una comune affermazione è quella che si fa in occasione di eventi climatici catastrofici. Ad esempio, si dice che solo nei più recenti anni si sono avuti uragani così frequenti e così intensi. Ma è vero? La tabella 2 riporta i 24 uragani più intensi (tutti quelli di forza 4 e 5) registrati negli anni 1850-2004. Ebbene, come si vede, ve ne furono 11 nei 76 anni compresi fra il 1852 e il 1928, e 13 nei 76 anni compresi fra il 1928 e il 2004; e, tra i primi 14 (tutti quelli di forza 5), ne occorsero 7 negli anni 1852-1928 e 7 negli anni 1928-2004: sostenere di essere in presenza di un evidente e marcato aumento di uragani ci sembra quanto meno precipitoso, se non azzardato. Ciò premesso, è chiaro che - a meno di credere che la temperatura oggi sia esattamente la migliore concepibile - è ragionevole pensare che il mondo potrebbe trarre benefìci da modeste variazioni di temperatura. Bisogna stabilire se questi benefìci verrebbero da una modesta diminuzione o da un modesto riscaldamento. a) L’incidenza di mortalità è certamente correlata alle temperature: sia il caldo che il freddo estremo favoriscono i decessi, ma è stato dimostrato che condizioni di freddo estremo causano un’incidenza doppia di mortalità rispetto alle condizioni di caldo estremo. Inoltre, se si tiene conto del fatto che un eventuale global warming comporterà maggiori aumenti di temperatura nelle stagioni fredde che non in quelle calde, si può concludere che, rispetto alla mortalità umana, un modesto global warming avrebbe effetti benèfici. T.M.L. Wigley and S.C.B. Raper, Science 293, 451 (2001). 3 Franco Battaglia Tab 2: I più intensi uragani che hanno colpito gli Usa (1851-2004). Rango Nome dell’uragano e luogo Anno 1 Senza nome (FL Keys) 1935 2 Camille (MS, SE LA, VA) 1969 3 Andrew (SE FL, SE LA) 1992 4 TX (Indianola) 1886 5 Senza nome (FL Keys) 1919 6 Senza nome (Lake Okeechobee FL) 1928 7 Donna (FL, Eastern U.S.) 1960 8 Senza nome (New Orleans LA) 1915 9 Carla (N & Cent. TX) 1961 10 LA (Last Island) 1956 11 Hugo (SC) 1989 12 Senza nome (Miami FL) 1926 13 Senza nome (Galveston TX) 1900 14 Senza nome GA/FL (Brunswick, GA) 1898 15 Hazel (SC, NC) 1954 16 Senza nome (SE FL, SE LA, MS) 1947 17 Senza nome (N TX) 1932 18 Charley (Eastern U.S.) 2004 19 Gloria (Eastern U.S.) 1985 20 Opal (NW FL, AL) 1995 21 Senza nome (Central FL) 1888 22 Senza nome (E NC) 1899 23 Audrey (SW LA, N TX) 1957 24 Senza nome (Galveston TX) 1915 13 Cambiamenti climatici e l’inganno del protocollo di Kyoto b) Gli scenari dell’Ipcc prevedono, per il 2100, un innalzamento dei mari compreso fra 9 e 90 centimetri4. Ma bisogna osservare due fatti. Innanzi tutto, il mondo riesce benissimo ad affrontare questo problema, come testimonia l’Olanda, col suo imponente sistema di dighe che la difende dal mare. Naturalmente, si potrebbe obiettare che un paese come il Bangladesh, la cui popolazione vive, per il 25%, in zone costiere a circa un metro sul livello del mare, potrebbe non essere in grado, per la sua povertà, a prendere le adeguate misure protettive. Non bisogna tuttavia dimenticare che i “peggiori” scenari previsti dall’Ipcc si realizzerebbero solo se anche i paesi poveri raggiungessero lo stesso benessere economico dei paesi ricchi, per cui, in quel caso, come oggi l’Olanda, anche il Bangladesh saprebbe come affrontare il problema. Va anche precisato che il livello del mare sta aumentando da millenni. Da quando la Terra è uscita dall’ultima glaciazione, il livello del mare è aumentato di ben 100 metri, per due cause principali: la fusione dei ghiacciai e la dilatazione termica delle acque. La prima, è un evento in corso a partire dalla fine dell’ultima era glaciale, e non ha avuto alcuna accelerazione nell’ultimo secolo. Anzi, non è escluso che un clima più caldo possa interromperla, in conseguenza di aumentate precipitazioni, che ai poli si depositerebbero come neve. c) I benefìci sull’agricoltura da un modesto global warming sono indubbi. Anzi, in questo caso l’aumento di temperatura è sinergico con l’aumento di concentrazione di CO2: nelle serre tecnologicamente più avanzate si pompa, appunto, CO2 per ottenere rendimenti più alti. Conclusioni In conclusione, nell’ipotesi che effettivamente l’uomo contribuisca significativamente al riscaldamento globale, non c’è da attenderselo, realisticamente, superiore a 1-2 gradi da qui al 2100. Ma, in questo caso, esso avrebbe, nel complesso, effetti benèfici per l’umanità. Naturalmente, sarebbe insensato che l’umanità si sforzi di raggiungere artificialmente la temperatura che si ritenga essere la migliore possibile. Ma, allo stesso modo, dovremmo convenire che sarebbe parimenti insensato ogni sforzo, per di più in nome di un vago principio di precauzione, per evitare di raggiungere quella condizione ideale. Già nel recente Quarto Rapporto queste previsioni sono state mitigate a 18-59 cm. 4 Franco Battaglia Un’ultima osservazione va fatta, in ordine al presunto eccezionale ed eccezionalmente rapido cambiamento climatico di cui saremmo testimoni: d’eccezionale non c’è né l’attuale presunto cambiamento climatico né la sua rapidità. Un fatto è certo: il clima del pianeta può radicalmente cambiare, come le ere glaciali inconfutabilmente attestano. Cinquant’anni fa, quando ancora si riteneva che ciò potesse avvenire solo con tempi dell’ordine delle decine di migliaia d’anni, ci si è confrontati con l’evidenza che seri cambiamenti climatici avvennero anche nell’arco di pochi millenni; ridotti a pochi secoli dai risultati delle ricerche nei successivi 20 anni, e ulteriormente ridotti ad un solo secolo dai resoconti scientifici degli anni 70 e 80. Oggi, la scienza sa che cambiamenti climatici, nel passato, sono avvenuti anche nell’arco di pochi decenni. Nel 1955, datazioni al carbonio-14 effettuate su reperti scandinavi rivelarono che il passaggio, circa 12000 anni fa, da clima caldo a clima freddo, avvenne durante un millennio. Un periodo che fu definito “rapido”, vista l’universale convinzione che tali cambiamenti potevano avvenire solo in tempi di decine di migliaia d’anni. Conferme vennero da altre ricerche: ad esempio, quella dell’anno successivo che accertò che l’ultima era glaciale finì col “rapido” aumento di un grado per millennio della temperatura globale media; e quella di 4 anni dopo, secondo cui vi furono nel passato, e nell’arco di un solo millennio, aumenti di temperatura anche di 10 gradi. E altre ancora, finché nel 1972 il climatologo Murray Mitchell ammetteva che le evidenze degli ultimi 20 anni forzavano a sostituire la vecchia visione di un grande, ritmico ciclo con quella di una successione rapida e irregolare di periodi glaciali e interglaciali all’interno di un millennio. Anche se, allora, il timore dominante era la possibilità che la fine del secolo avrebbe potuto segnare l’inizio di un periodo glaciale con evoluzione rapida (cioè in pochi secoli) verso condizioni “fredde” catastrofiche per l’umanità) non mancava, tuttavia, chi avvertiva del pericolo opposto: il riscaldamento globale a causa delle emissioni umane. In quello stesso 1972, infatti, il climatologo M. Budyko dichiarava che alla velocità con cui l’uomo immetteva CO2 nell’atmosfera, i ghiacciai ai poli si sarebbero completamente sciolti entro il 2050. Insomma, ancora 30 anni fa gli scienziati non si erano messi d’accordo se un’eventuale minaccia proveniva dal troppo freddo o dal troppo caldo. Mentre erano concordi su una cosa, che di troppo era certamente: la loro ignoranza. E invocarono - giustamente - maggiori risorse. Grazie alle quali andarono in Groenlandia ove, dopo 10 anni di tenace lavoro, estrassero, dalle profondità fino ad oltre 2 km, “carote” di ghiaccio di 10 cm di diametro. Dalle analisi dell’abbondanza relativa degli isotopi dell’ossigeno nei diversi strati di ghiaccio (il più profondo dei quali conserva le 15 Cambiamenti climatici e l’inganno del protocollo di Kyoto informazioni sulle temperature di 14mila anni fa) si ebbe la conferma che drammatiche diminuzioni di temperatura erano avvenute in pochi secoli. Ma fu solo nel 1993 che gli scienziati rimasero, è il caso di dire, di ghiaccio: quando scoprirono, da nuovi carotaggi, che la Groenlandia aveva subito aumenti di anche 7 gradi nell’arco di soli 50 anni; e, a volte, con drastiche oscillazioni anche di soli 5 anni! Anche se “questi rapidissimi cambiamenti del passato non hanno ancora una spiegazione”, come dichiara un recente rapporto dell’Accademia Nazionale delle Scienze americana, la scienza ha accettato l’idea di un sistema climatico la cui variabilità naturale si può manifestare anche nell’arco di pochi decenni. Non c’è nessuna ragione - di là da quella che ci rassicura psicologicamente - per ritenere che essi non debbano manifestarsi oggi. Vi sono invece tutte le ragioni per ritenere che quella secondo cui l’uomo avrebbe influenzato i cambiamenti climatici sia un’idea - come tutte quelle dei Verdi, ad essere franchi - priva di fondamento; e per ritenere, semmai, che sono i cambiamenti climatici ad aver influenzato l’uomo e il percorso della civiltà. Una cosa senz’altro certa è che i vincoli del protocollo di Kyoto (ridurre del 5%, rispetto a quelle del 1990, le emissioni di gas serra da parte dei paesi industrializzati) avrebbero effetto identicamente nullo sul clima: nell’atmosfera vi sono 3000 miliardi di tonnellate di CO2, l’uomo ne immette, ogni anno, 20 miliardi di tonnellate, di cui 10 provengono dai paesi industrializzati, e pertanto il protocollo di Kyoto equivarrebbe a immettere nell’atmosfera 19,5 miliardi di tonnellate di CO2 anziché 20 miliardi. Un primo passo, dicono gli ambientalisti; ma anche montare su uno sgabello è un primo passo per raggiungere la Luna! (Né, d’altra parte, veniamo informati di quali sarebbero gli altri passi)5. Insomma, la temuta temperatura che l’umanità potrebbe dover sopportare nel 2100, se si applicasse il protocollo di Kyoto verrebbe ritardata al 2101! Senonché, gli sforzi economici conseguenti al rendere operativo quel protocollo sarebbero disastrosi: nel caso dell’Italia, quel disastro - è stato valutato - comporterebbe, tra le altre cose, la perdita di decine di migliaia di posti di lavoro per ridotta produttività. Tanto più che, curiosamente (e schizofreneticamente, aggiungeremmo) viene respinta la possibilità di servirsi dell’unica fonte energetica - quella nucleare - che, veramente competitiva coi combustibili fossili, permetterebbe, se massicciamente impiegata, di raggiungere gli obbiettivi non di uno ma di diversi “protocolli di Kyoto”: la Francia, ad esempio, raggiunge già quegli obbiettivi e la Svezia è addirittura in credito rispetto alle emissioni di gas-serra. Per converso, la Danimarca, il paese al mondo che più investe sulle energie rinnovabili (principalmente nell’eolico), deve ridurre le proprie emissioni di gas-serra di un buon 21% per allinearsi coi vincoli di Kyoto. 5 Politiche ambientali: efficacia, illusioni, inganni e ingenuità Paolo Togni Mi pare che Franco Battaglia e prima di lui Briganti abbiano definito con esattezza i termini scientifici del problema. Per motivi marginali non sono d’accordo con Franco Battaglia: non sono d’accordo sulle energie alternative, perché queste possono essere anche viste in chiave di sicurezza e approvvigionamento in un Paese come il nostro. È chiaro che tutti questi tipi di produzione di energie alternative hanno senso solo in quanto c’è un potente contributo dello Stato per farle andare avanti perché altrimenti il costo per l’energia di origine fotovoltaica, eolica, da biomasse, non sarebbe paragonabile a quello dell’energia di cui attualmente disponiamo in Italia, che è sostanzialmente, quella dalla combustione di idrocarburi, da combustibili fossili. Possiamo concordare sul fatto che la Terra sta diventando un po’ più calda, con tutte le limitazioni a questo concetto che dobbiamo tenere però presenti. Considerati i dati che Franco Battaglia ci ha appena esposto, ci dobbiamo chiedere: cosa fare? Seppure io non sia né un chimico né un fisico né un ingegnere, bensì una persona che si occupa di attività umanistica, in senso lato, di amministrazione in qualche misura e, nei limiti che la mia ignoranza mi consente, anche di fatti economici, trovo che l’ultimo grafico sia il più interessante. In particolare vedo che la proiezione della crescita delle temperature, con o senza il Protocollo di Kyoto presenta, da qui al 2100, una differenza di pochi decimali di grado. Nel frattempo per ottenere 0,6 gradi, cioè passare, ad esempio, da 36,4 a 37 gradi della temperatura umana, l’economia mondiale dovrebbe spendere non meno dell’equivalente di 100 miliardi di euro all’anno. Per fare cosa? Per pagare gli scienziati dell’IPCC, per esempio, per pagare una moltitudine di persone che vanno in giro a fare propaganda, per pagare libri che vengono pubblicati a sostegno di questa posizione; per finanziare una serie di associazioni o strutture che si definiscono “fraudolentemente indipendenti”, perché dipendono dal punto di vista economico e dal punto di vista ideologico da centri ben individuati, che hanno la funzione primaria di portarci alla rovina. Scusate se forse qualcuno vorrà pensare che esageri, ma io sono convinto di non esagerare. Franco Battaglia ha già accennato cosa significhi l’applicazione del Protocollo di Kyoto in termini economici, seppure torno a dirlo, io non sono uno scienziato: 17 Politiche ambientali: efficacia, illusioni, inganni e ingenuità - il blocco dello sviluppo dei Paesi cosiddetti in via di sviluppo, cioè quelli non sviluppati; - conseguentemente un aumento delle differenze fra i redditi e quindi il livello di vita, il livello sanitario di questi Paesi e quello dei Paesi ricchi, e sostanzialmente, a mio modo di vedere, questo significa applicare non una logica di vita; la vita si migliora per sé. Io ho fatto una considerazione sui dati ambientali dell’Italia; abbiamo fatto delle stime da quando sono stati rilevati, dagli anni ’60 - ’70 più o meno, ed abbiamo constatato che in questo periodo tutti i dati ambientali sono in forte miglioramento, perché sono diminuiti notevolmente i composti dello zolfo; anche il benzene, seppure non sia sparito, è ridotto ai minimi termini; è poi diminuito il metano. Lo stesso discorso vale per l’acqua. Una quantità sempre maggiore della stessa, di anno in anno viene depurata prima di essere reimmessa in un corpo idrico superficiale. Ci sono meno fenomeni macroscopici derivanti da mala amministrazione e dal ladroneccio, tipo quello di Napoli e quello che si sta avvicinando a Roma. Allora i dati italiani stanno migliorando; la storia italiana ha visto un paese agricolo, quello che è uscito dalla guerra mondiale, cioè sostanzialmente senza industria, ovvero con pochissima attività di trasformazione, modificarsi pian piano in un paese industriale, anche qui con un fenomeno non lineare, perché naturalmente ci sono passi avanti e indietro, però il tutto è avvenuto con una progressione sostanzialmente costante. Ci lamentiamo quando l’aumento del reddito è di zero virgola qualcosa all’anno. Abbiamo avuto periodi in cui era dell’8% all’anno, ma anche perché partivamo da una posizione molto bassa. Però tranne credo 2 o 3 anni, dagli anni 50 ad oggi, il reddito e quindi l’attività industriale e conseguentemente le “emissioni italiane” sono aumentate, poco alla volta ma sono cresciute, in presenza di una diminuzione dell’impatto ambientale derivante da queste attività. Noi oggi abbiamo i giornali che si spaventano: sulla Cina c’è la nuvola marrone: è vero, per carità, è un problema grosso. La Cina, specialmente, ha a disposizione una grande quantità di carbone e lo usa senza risparmiare in quanto questo è il metodo più facile per produrre energia e non ha ancora introdotto nei propri ordinamenti e nei propri processi i sistemi di desulfurazione e quant’altri che servono a rendere anche i fumi di una centrale a carbone sostanzialmente pochissimo inquinanti. Paolo Togni Se possiamo estrapolare l’andamento dei fenomeni incrociati, cioè crescita industriale ed emissioni in atmosfera, che sono le più macroscopiche, è più facile individuarle; diciamo che sono più vicini a entrare nella fase attiva dello sviluppo; noi dovremmo ritenere che man mano in questi Paesi lo sviluppo economico, industriale e produttivo progredisce e contemporaneamente diminuiscano i fattori di inquinamento. Io sono sicuro, seppure non lo vedrò perché morirò prima, che fra cinquant’anni, l’inquinamento del mondo sostanzialmente non ci sarà più, perché voi vedete che le automobili che sono immesse oggi sul mercato inquinano una frazione di quelle che venivano immesse solo vent’anni fa - e che ognuno di noi ha guidato; che i nostri frigoriferi consumano una frazione di quanto consumavano quelli delle nostre madri e delle nostre nonne - semmai li possedessero) - e così via. Allora questo è un dato su cui vorrei richiamare l’attenzione per tranquillizzare tutti: io ho due nipoti ed altri due sono in arrivo. Penso che dal punto di vista ambientale quando saranno grandi non avranno grossi problemi. Abbiamo visto che la CO2 che non è un inquinante; è il nutrimento delle piante; magari avessimo più CO2, perché le piante sarebbero più verdi. Chi fa l’autostrada del Sole ha visto che da 10 anni a questa parte ci sono dei cambiamenti nel paesaggio, perché i prati e i monti sono meno brulli di quanto lo fossero in passato. Forse una relazione fra questo maggior verde del paesaggio italiano e una maggior presenza di CO2 nell’atmosfera una relazione ci sarà pure. Voglio fare solo altre due considerazioni: abbiamo detto 0,6 gradi di meno fra 90 anni, abbiamo detto 100 miliardi di euro all’anno adesso, e poi non è solo questo. Stiamo parlando del costo immediato, che noi dovremmo pagare per stare nei parametri di Kyoto, ma c’è da considerare non solo il costo economico, ma anche quello sociale e, se mi consentite, di giustizia, che deriva dal fatto che per arrivare al raggiungimento di questo obbiettivo insignificante, abbiamo bloccato la crescita di più di metà del mondo. Questo atteggiamento nei confronti degli altri, guardate bene, non è nuovo. Non so chi si ricorda un certo Maltus. Maltus era un pastore, credo scozzese, comunque inglese, che fra il ‘700 e ‘800 elaborò una teoria sull’andamento della popolazione e disse: qui siamo troppi; se la gente continua a aumentare non ci sarà più da mangiare per tutti quanti, quindi è necessario che gli altri paesi non crescano più; logica questa tipicamente colonialista inglese, seppure oggi sia seguita da tutto 19 Politiche ambientali: efficacia, illusioni, inganni e ingenuità il mondo sviluppato occidentale. Gettò quindi un seme che ha portato poi successivi sviluppi; ancora oggi questo tipo di atteggiamento è sostanzialmente radicato nella logica maltusiana di non consentire agli altri di arrivare dove siamo noi. Questo è il succo ultimo dell’atteggiamento dell’ambientalismo classico, per cui nessun progresso; per cui poi nel tempo, quali rami e rametti di questa posizione, son venuti l’eugenetica, la politica degli aborti, è venuta tutta una serie di conseguenze che io giudico non negative ma negativissime, rispetto al libero dispiegarsi del progresso della razza umana Quindi sostanzialmente il primo è un discorso che è una logica di morte; il secondo, l’ha detto Franco Battaglia molto bene, l’energia è l’alimento del progresso; non ci può essere progresso materiale che però è la premessa anche di quello sociale, se non c’è una sufficiente quantità di energia per alimentarlo. Ora, è vero che nell’arco di qualche decennio c’è una prospettiva di esaurimento delle fonti fossili (seppure io mi ricordo che quando ero ragazzo si diceva che prima del 2000 il petrolio sarebbe finito ed invece non mi sembra proprio che sia così). Speriamo di andare avanti ancora un po’ di tempo, fino a che, ed io ne sono convinto, sarà individuata una fonte energetica più maneggevole dell’energia da fusione nucleare e più accettata dalla popolazione, che ci darà l’idrogeno, la fusione nucleare. Non so quale sarà. Io non credo però molto a quelli che pospongono sempre l’obiettivo, della fusione. Negli anni ’80 si diceva che fra vent’anni ci saranno gli impianti; ora si seguita a dire che ci saranno impianti fra altri vent’anni; ma questi vent’anni mi sembrano destinati a non finire mai. In merito all’uso dell’idrogeno c’è un problema di base, perché l’idrogeno oltre al fatto che non è una fonte energetica ma un vettore di energia, per esser prodotto ha bisogno di una certa quantità di energia – e quindi, a parte le difficoltà di trasporto e conservazione, in qualche misura è come il cane che si morde la coda. L’ultima considerazione è sul rapporto costi/benefici. Non esiste nessun padre di famiglia, imprenditore, chiunque abbia due euro in tasca da spendere per fare qualche cosa, che prima di impegnarle non debba decidere in che modo investirli: cambio la macchina, oppure pago la scuola ai figli oppure cose del genere. Ognuno fa i suoi conti e decide secondo i suoi criteri; ci sarà chi preferirà andare a Montecarlo e giocarli al casinò, chi preferirà depositarli sul libretto in banca per lasciarli ai figli o ai nipoti, e così via. Ognuno farà le proprie scelte. Però nel prendere qualunque decisione, conscia o inconscia, una valutazione del rapporto fra costi e benefici la facciamo tutti, in ogni momento. Paolo Togni Guardate che costi e benefici non significa solo costi e benefici economici. Vanno messi in questo pacchetto i costi e benefici sociali, per la salute, per l’ambiente e tutta una serie di fattori. È molto complesso e infatti questo giustifica il fatto che ci siano posizioni politiche molto diverse, perché la politica non è altro che la proposta di un rapporto costi/ benefici tradotto in termini sociali. Per parlare di Kyoto - a cui credo anche Obama nell’arco di un anno e mezzo circa, aderirà (ma se abbiamo resistito a Kennedy ed a Carter “anche Obama passerà”, convinzione questa personale), va ricordato che applicato integralmente comporterà dei costi esagerati, oltre al fatto di dover tener conto dell’incipienza con la quale l’allora Ministro Ronchi sottoscrisse l’accordo, che ricordo, comportava per i paesi europei il costo di un euro all’anno per ogni abitante francese, circa 5 per ogni tedesco e 289 per ogni italiano; ciò in quanto evidentemente i francesi hanno il nucleare, i tedeschi avevano i crediti dell’Ex Europa dell’est e noi abbiamo tutta l’energia di idrocarburi, di fonti fossili e quindi, mentre ai francesi l’applicazione del protocollo costa un euro all’anno, a noi costa 289 euro all’anno - previsioni e ragionamenti, questi, fatti da un istituto olandese, quindi neutro perché l’Olanda non è uno di quei paesi che spendevano di meno, visto che all’epoca stava sui 70 euro all’anno per abitante. Tutto ciò per ottenere 0,6 gradi in meno di temperatura media, cioè una cosa di cui nessuno si accorgerà mai, perché lo sbalzo naturale da un anno all’altro, da un mese all’altro, da un giorno all’altro, da una zona all’altra è largamente più ampio, credo, di 0,6 gradi, che veramente sono un margine veramente basso. Non so chi ha letto l’ultimo libro di Lomborg, quello sulla temperatura; si tratta di un libro carino che riporta molti dati e fra l’altro porta una considerazione: lui conta il numero di morti per freddo nell’anno, che sono oltre 10.000 e quello di morti per caldo nello stesso periodo, che sono 2.000 e più; quindi dice; “se si riscalda il mondo, vuol dire che staremo tutti meglio, ci saranno meno morti”. Ed alla fine fa un esempio, che forse sentimentalmente non ci piace: noi spenderemmo 100 miliardi di euro per salvare la vita a 0,6 orsi polari, perché questo è il numero di orsi che lui stima nell’anno morirebbe. Ora, mi ricordo che nella Genesi il racconto dice che il Padre Eterno creò tutte le creature, poi creò l’uomo e gli disse è tutto tuo, gestiscitelo, fanne il meglio possibile, cresci e moltiplicati e utilizzalo. Allora io sono convinto che la bontà di un mondo, di una situazione del mondo, consiste nel fatto che sappia garantire una migliore vita agli uomini che ci vivono. Allora in questo contesto vedere sprecati i soldi per Kyoto, francamente è una 21 Politiche ambientali: efficacia, illusioni, inganni e ingenuità cosa che mi affligge, mi indigna e mi disturba. Non so come ne potremmo uscire, anche perché devo dire che tutti i governi che si sono susseguiti dal ’97 in poi hanno preso delle “cantonate” sull’argomento. L’atteggiamento ultimo del governo attuale, che vuole rivedere i parametri sulla base del rapporto costi/benefici, contiene una sola cosa giusta: il rapporto costi benefici, perché per il resto non è un problema quello di rivedere i parametri 0,5 in più 0,5 in meno; il problema è di non accettare questa logica, che è l’unica soluzione che dovremmo veramente abbracciare e che è l’unica che ci garantirebbe un futuro anche migliore di quello attuale. Autori Giovanni Briganti Dopo la laurea in fisica e fino ai primi anni ottanta si è dedicato alla ricerca nei campi della biofisica e delle biotecnologie, applicate allo studio degli effetti biologici, sanitari e ambientali delle radiazioni e della produzione energetica in generale. Ha pubblicato in proposito oltre 80 lavori e monografie scientifiche su riviste nazionali e internazionali. Ha ricoperto numerosi incarichi tra i quali ricordiamo brevemente: - - - - Direttore del Laboratorio di Dosimetria e Biofisica delle Radiazioni dell’ENEA Vicepresidente del “Progetto Finalizzato Energetica” cogestito dal CNR e dall’ENEA Membro della Giunta Esecutiva dell’ENEA Presidente della Società di ricerche SOTACARBO S.p.A. per le “clean coal technologies” - Presidente della Società di ricerca e sviluppo nel campo delle biotecnologie applicate ai problemi ambientali - Addetto scientifico presso la Rappresentanza d’Italia per i rapporti con l’Unione Europea. Attualmente è titolare degli insegnamenti di Fisica e Biofisica per Scienze Agrarie e di Radioprotezione per Ingegneria Nucleare presso l’Università “Guglielmo Marconi” e direttore del “International Research Department” di questa Università. Franco Battaglia Laureato in Chimica ha conseguito negli Stati Uniti il Ph.D. in Chimica-Fisica. Attualmente è docente di Chimica Ambientale all’Università di Modena. Ha svolto ricerca in questo campo all’estero per sette anni: un anno in Germania, al Max Planck Institut (Gottingen), e sei anni in USA, all’University of Rochester (Rochester, NY), alla State University of New York at Buffalo (Buffalo, NY) e alla Columbia University (New York, NY). È stato membro del comitato scientifico dell’Agenzia Nazionale Protezione Ambiente 23 ed è attualmente membro del Non-governative International Panel on Climate Change (NIPCC), (organizzazione che non condivide l’approccio ai problemi ambientali del IPCC) e coautore del rapporto da questo organismo pubblicato nel 2007 e tradotto in 5 lingue (l’edizione italiana, La Natura, non l’attività dell’Uomo governa il clima è pubblicata da 21moSecolo Editore). Ha pubblicato numerosi lavori e alcuni libri tra i quali, Elettrosmog: un’emergenza creata ad arte e L’Illusione dell’Energia dal Sole. È tra i fondatori dell’Associazione Galileo 2001 per la libertà e dignità della scienza ed è editorialista del Giornale. Paolo Togni Laureato in Giurisprudenza (Diritto Civile) presso l’Università di Roma. Attualmente è titolare della Cattedra di Istituzioni di Diritto Pubblico presso l’Università Telematica “Guglielmo Marconi” e Direttore della SSTAM (Scuola Superiore Territorio Ambiente Management) dell’Università di Perugia. È impegnato in attività di ricerca inerenti la semplificazioni della legislazione ambientale e l’elaborazione di testi unici; è stato portavoce del gruppo di coordinamento della Commissione Ministeriale per l’attuazione della Legge 308/04 (riforma della normativa ambientale). Tra i vari incarichi ricoperti ricordiamo brevemente: Capo dell’Ufficio Legislativo del Ministero dell’Ambiente (1994-95) e poi Capo di Gabinetto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio (2001-2006); Presidente dell’Associazione Ambientalista “Kronos” (1997-2001) - Membro del CdA dell’ENEA (1997-2000) - Presidente di Waste Management Italia S.p.A. (2000-2001) Vice Presidente SOGIN S.p.A. (2002-2005). Attualmente è Presidente dell’Associazione “VIVA” per la diffusione di una corretta conoscenza ambientale e Portavoce di “Ambiente è Sviluppo - Forum delle Associazioni per l’ecologia umana”.