Quaderni
ANNO I - NUMERO IV/08
gli incontri del club
“Attività antropiche e riscaldamento globale.
Scenari catastrofici e scenari reali.”
uaderni
del club
25/11/2008
I ndice
Considerazioni introduttive
Giovanni Briganti
1
Cambiamenti climatici e
l’inganno del protocollo di Kyoto
Franco Battaglia
5
Politiche ambientali:
efficacia, illusioni, inganni e ingenuità
Paolo Togni
17
Considerazioni introduttive
Giovanni Briganti
L’Ipcc, l’Intergovernmental Panel for Climate Changes, è un organismo che si
autodefinisce scientifico, intergovernativo e fondato nel 1988 dal World Metereological
Organization e dal programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (l’UNEP).
Ipcc nel corso degli anni ha prodotto una serie di documenti e di rapporti sullo
stato globale del clima che hanno dato origine, al di là del loro effettivo contenuto,
all’attuale preoccupazione sui cambiamenti climatici e sulla loro origine antropica
e a scenari che prevedono un andamento catastrofico delle temperature sulla Terra
e con delle conseguenze che poi praticamente verranno analizzate molto meglio
dagli altri relatori.
L’Ipcc ha prodotto l’ultimo rapporto presentato nel 2007.
IPCC (Intergovernmental Panel for Climate Changes) è un organismo
scientifico intergovernativo fondato nel 1988 dalla World Meteorological
Organization (WMO) e dal United Nations Environment Programme (UNEP).
IPCC produce una serie di documenti e rapporti sul cambiamento climatico:
l’ultimo rapporto presentato
Climate Change 2007:
Synthesis Report
Summary for Policymakers
Accanto al rapporto completo vi era il Summary for Policy Makers, cioè il riassunto
fatto per i politici che offre una sintesi di quanto l’Ipcc crede di avere individuato.
Si afferma in questo rapporto di sintesi, che le emissioni globali di GHG (i gas
responsabili dell’effetto serra) sono cresciute in maniera notevole dai tempi della
pre-industrializzazione e quest’incremento è stato maggiore (si dà la cifra del 70%)
tra il 1970 e il 2004.
1
Considerazioni introduttive
Global anthropogenic GHG emission
Figure SPM.3. (a) Global annual emissions of anthropogenic GHGs from 1970 to 2004. (b) Share of different
anthropogenic GHGs in total emissions in 2004 in terms of carbon dioxide equivalents (CO,-eq). (c)
Share of differentsectors in total anthropogenic GHG emissions in 2004 in terms of CO,-eq. (Forestry
includes deforestation.) (Figure 2.1)
Nel grafico si vede che questi colori viola rappresentano l’anidride carbonica che
deriva dal bruciare combustibili fossili e questi colori bianchi rappresentano l’anidride
carbonica che può derivare dal fatto che ci sono delle deforestazioni notevoli su alcune
parti della Terra.
Anche quest’affermazione fra virgolette sta un po’ per conto suo perché altri hanno
dimostrato anche il contrario; comunque, senza entrare in polemiche, diamo
semplicemente il quadro generale. Altri gas sono il CH4 che poi è il metano e l’ossido
di azoto, questi sono considerati i principali gas responsabili dell’effetto serra.
Ho tratto alcune citazioni sulle quali vorrei farvi riflettere, perché l’affermazione
dell’ultimo rapporto dell’Ipcc è che l’incremento delle temperature medie globali
(global average temperatures) alla metà del XX secolo è molto probabilmente,
quindi anche loro sono un po’ cauti, dovuto alle attività antropogeniche e soprattutto
alle emissioni di gas serra.
Giovanni Briganti
Most of the observed increase in global average temperatures since
the mid-20th century is very likely due to the observed increase in
anthropogenic GHG concentrations.
It is likely that there has been significant anthropogenic warming
over the past 50 years averaged over each continent
(except Antarctica).
Global atmospheric concentrations of CO2, methane(CH4) and nitrous
oxide (N2O) have increased markedly as a result of human activities since
1750 and now farexceed pre-industrial values determined from ice cores
spanning many thousands of years.
È possibile che vi sia stato un effetto determinante da parte delle attività
antropogeniche sul riscaldamento globale nei cinquant’anni trascorsi, eccetto forse
per la parte che riguarda il continente antartico. Le concentrazioni di CO2, di metano,
di ossido d’azoto sono cresciute formidabilmente nel corso delle attività umane dalla
metà del ‘700 in poi, e questo è un dato di fatto tutto sommato non è contestabile
perché in parte misurato in parte no, comunque ci sarà poi il Professor Battaglia che
potrà darci qualche informazione più precisa, io ho soltanto voluto indicare i punti
salienti sui quali si sono basate poi le conclusioni del rapporto dell’Ipcc.
A mio parere, queste affermazioni hanno portato allo sviluppo di scenari catastrofici,
che preannunciano desertificazioni, innalzamento dei mari e conseguenti sparizioni
di innumerevoli terre emerse quali Venezia o anche le Maldive.
Uno di questi esempi è la cartina che vi faccio vedere, di cui faccio notare solo i
colori, che sono nella scala di sotto, vedete che in tutta la Terra c’è un incremento che
può anche essere di 6-7 gradi intorno all’Artico e quindi non è minore di 2-3 gradi
l’incremento di temperatura proiettato a quanto, questo è lo scenario, perché da certi
dati si costruiscono scenari che vengono poi proiettati nel futuro e questa proiezione
va alla fine del 2000, quindi tra il 2090 e il 2099 ed è basata sulla struttura della crescita
delle temperature.
3
Considerazioni introduttive
Geographical patten of surface warming
0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5 5.5 6 6.5 7 7.5
(*C)
Figure SPM6. Projected surface temperature changes for the late 21st century (2090-2099). The map shows the
multi-AOGOM average projection for the AB SPERS scenario. Temperature are relative to the period
1980-199.
In questo caso avremo un incremento di calore così evidente e notevole che tutte
quelle catastrofi di cui vi parlavo prima sono probabilmente dovute.
Io mi fermo qui perché volevo solo introdurre, però sulla base di questo vi voglio
dire soltanto altre due cose. Adesso vi faremo vedere un breve video, che raccoglie le
interviste di molti scienziati, alcuni dei quali hanno partecipato all’Ipcc e poi o se ne
sono andati o hanno contestato le conclusioni.
Accanto a questo, poco tempo fa, ma ve ne parlerà meglio il Professor Battaglia, è
stato costituito un contro-Panel di scienziati che non sono affatto d’accordo con
quello che dice l’Ipcc e che hanno prodotto anch’essi un rapporto molto dettagliato
che è stato pubblicato nel 2007, le cui conclusioni, a cui ha partecipato anche il
Professor Battaglia, sono contenute nel piccolo rapporto “La natura non l’attività
dell’uomo governa il clima”.
Cambiamenti climatici e
l’inganno del protocollo di Kyoto
Franco Battaglia
Secondo il Terzo Rapporto dell’Ipcc (Comitato internazionale sui cambiamenti
climatici) - un organismo intergovernativo che comprende scienziati da 100 Paesi “il riscaldamento globale previsto per il prossimo secolo potrebbe risultare senza
precedenti negli ultimi 10.000 anni”. Ma secondo Richard Lindzen, uno degli estensori
di quel rapporto e membro dell’Accademia nazionale delle scienze americana, “la
possibilità di un eccezionale riscaldamento globale, anche se non escludibile, è priva
di basi scientifiche”.
Il riscaldamento globale è ritenuto essere la conseguenza di vari fattori tra cui
anche un incremento della concentrazione atmosferica di gas-serra (soprattutto
CO2 e, in misura molto minore, metano e altri gas-serra). Siccome nell’ultimo secolo
sono progressivamente aumentati sia l’uso mondiale dei combustibili fossili sia le
concentrazioni atmosferiche di CO2, si potrebbe pensare che, assumendo che questi
aumenti continuino senza sosta, il raggiungimento di livelli pericolosi sia solo questione
di tempo, e che più aspettiamo più difficile potrebbe essere affrontare il problema.
Il sillogismo logico, secondo alcuni, sarebbe allora il seguente: (1) i gas-serra stanno
aumentando senza sosta, (2) ogni cosa che aumenta senza sosta raggiunge prima o
poi livelli catastrofici, (3) la catastrofe non può evitarsi se non si blocca quell’aumento.
Ma, piaccia o no, le cose non sono così semplici. Ad esempio, le previsioni del futuro
riscaldamento globale assumono che la crescita di popolazione s’interromperà in alcuni
decenni: se così non fosse, avremmo ben altro - prima ancora del riscaldamento globale
- di cui preoccuparci. E, d’altra parte, dovesse la popolazione mondiale stabilizzarsi, il
timore dell’aumento senza sosta dei gas-serra non sarebbe più giustificato.
Secondo altri, invece, non vi è alcuna evidenza che il riscaldamento sia reale; ammesso
che lo sia, esso è minimo e non vi è alcuna evidenza che sia stato indotto dalle attività
umane; e, infine, esso potrebbe essere addirittura benefico.
Naturalmente, finché nessuna delle due parti comprende solo isolati casi di
dissenzienti (e non è questo il caso), non ha importanza sapere quale pensiero
ha il maggior numero di sostenitori: i risultati della scienza non si acquisiscono a
maggioranza. Poniamoci allora le seguenti quattro domande: Il riscaldamento globale
è reale? Qualora lo fosse, la causa dominante è l’effetto serra d’origine antropica?
Qualora anche questo fosse il caso, quale aumento di temperatura media globale
potremmo realisticamente attenderci fra, poniamo, 100 anni? E, infine, l’aumento
realisticamente prevedibile in caso di contributo antropogenico determinante,
apporterà, globalmente, danni o benefìci?
5
Cambiamenti climatici e
l’inganno del protocollo di Kyoto
I l riscaldamento globale è reale?
Anche se misure dirette in grado di fornire informazioni sulle temperature medie
globali sono state effettuate solo recentemente, vari dati indiretti (in particolare le
concentrazioni relative di 16O e 18O nelle “carote” di ghiaccio1 estratte in Groenlandia)
ci permettono di concludere che attualmente la Terra si trova tra due ere glaciali (che
avvengono ogni 100.000 anni circa). Durante l’ultima era glaciale le temperature
erano di 10 gradi inferiori ad ora e non è escluso che il pianeta sia più caldo adesso che
non in ogni altro periodo degli ultimi 1000 anni; un riscaldamento, quello di questo
millennio, che è avvenuto gradualmente per ragioni certamente indipendenti dalle
attività umane.
Il problema che nasce è se per caso queste ultime abbiano o no, sul riscaldamento
globale, un’influenza significativa rispetto a cause naturali. A questo scopo, è
necessario limitarsi a osservare le variazioni negli ultimi 150 anni, cioè dall’avvento
dell’industrializzazione. Ebbene, vi è concordanza nella comunità scientifica che le
misurazioni di temperatura effettuate da stazioni sulla Terra rivelano valori che negli
ultimi 150 anni sono aumentati di circa mezzo grado. I maggiori aumenti si sono
registrati nei periodi 1910-1945 e 1975-2000.
Se però ci si chiede se le misurazioni di temperatura a terra corrispondano alla
temperatura media globale, ci si imbatte in una prima seria difficoltà: non vi è
garanzia che l’aumento osservato non sia da attribuire al fatto che nell’intorno delle
stazioni di misura si sviluppava, nei decenni, un’urbanizzazione, e che è ad essa che
dovrebbe attribuirsi quell’aumento. L’assenza di quella garanzia nasce anche dal fatto
che i tentativi di aggiustare i dati in modo tale da tenere conto di questo “effetto da
urbanizzazione” - mediante soppressione dei dati più recenti dalle stazioni “incerte”
- aumenta l’incertezza sull’analisi finale, visto che si ha bisogno di dati abbondanti e
accurati proprio in riferimento ai tempi più recenti. Per farla breve: potrebbe benissimo
essere che il riscaldamento osservato successivamente al 1975 (circa 0,15 gradi per
decennio) sia da attribuirsi totalmente all’effetto dell’urbanizzazione attorno alle
stazioni di misura.
Nel periodo successivo al 1975 si ha però disponibilità di dati satellitari. I satelliti non
registrano la temperatura della Terra, ma quella dell’atmosfera, misurando la quantità
di radiazione a microonde emessa dalle molecole che costituiscono l’aria sino a circa 8
km di distanza dalla Terra. Le misure satellitari sono più attendibili, sia perché i satelliti
Trattasi di cilindri di ghiaccio di alcuni centimetri di diametro e alcuni metri di lunghezza, estratti da profondità sino
a 10 chilometri.
1
Franco Battaglia
riescono a campionare contemporaneamente una porzione di globo più ampia, sia
perché esse non sono viziate dall’effetto di urbanizzazione. Ebbene, il risultato è che le
misure satellitari non registrano l’aumento di temperatura registrato dalle misure sulla
Terra. Un risultato, questo, che trova conforto nelle misure effettuate, sin dal 1960, dai
palloni aerostatici, dai quali, pure, non si registra alcun aumento di temperatura.
Una curiosa osservazione che spesso viene avanzata dai media è la seguente:
riferendosi ad un evento climatico eccezionale, e a “prova” dei cambiamenti climatici in
atto, si osserva che quell’evento «non accadeva da 120 anni!». Non si pensa, però, che
se non accadeva da 120 anni, allora 120 anni fa è accaduto: come mai? Nella tabella
1 si riportano, aggiornati al 22 luglio 2005, i record di temperatura in alcune zone del
pianeta da quando si cominciarono a registrare le temperature (da circa 150 anni). È
vero, ad esempio, che nel 1998 e nel 2003 si registrarono record di alte temperature (si
veda Italia e Germania), ma è altrettanto vero che le temperature più alte mai registrate
in Spagna, Finlandia, Usa, Alaska e Argentina furono registrate tutte in data anteriore
al 1915 (nel 1881 in Spagna), e la temperatura più alta mai registrata al mondo fu
registrata, in Libia, nel 1922. Così come la temperatura più bassa mai registrata in
Germania fu registrata nel 2001 e, nel mondo, nel 1983. Interessante anche il record del
Regno Unito, ove la temperatura più bassa mai registrata fu di -27,2 C, e fu registrata
negli anni 1895, 1982 e 1995: cioè oggi come 100 anni fa.
Tab 1: Record di temperature (in gradi Celsius) nel mondo (1880-2005).
Località
Temperatura massima
Temperature minima
Mondo
58.0 Al’azizyah, Libia, 13.09.1922
-89.6 Vostok, Antartica, 23.07.1983
Regno Unito
38.5 Brogdale, 10 August 2003
-27.2 Braemar, 11.02.1895 & 10.01.1982 and
Altnaharra, 30.12.1995
Germania
40.2 Karlsruhe, 13 August 2003
-45.9 Berchtesgaden, 24.12.2001
Spagna
50.0 Sevilla, 04.08.1881
-22.5 Albacete, 25.02.1944
Italia
45.2 Catania, 02.07.1998
-34.6 Palteau Rosa, 06.03.1971
Finlandia
35.9 Turku, 09.07.1914
-51.5 Kittila, 28.01.1999
Canada
45.0 Midale & Yellow Grass, 05.07.1937
-63.0 Snag, Yukon, 03.02.1947
USA
56.7 Greenland Ranch, CA, 10.07.1913
-62.0 Alaska, 23.01.1971
Alaska
38.0 Fort Yukon, 27.06.1915
-62.0 Prospect Creek, 23.01.1971
Argentina
48.9 Rivadavia, 11.12.1905
-33.0 Sarmiento, 01.06.1907
7
Cambiamenti climatici e
l’inganno del protocollo di Kyoto
Qual è il contributo d’origine antropica al presunto riscaldamento
globale ?
Stabilite le incertezze su cui si fonda l’esistenza stessa del riscaldamento globale,
passiamo a valutarne, nell’ipotesi che esso sia reale, il contributo antropogenico. Due
cose vanno subito dette.
1. Innanzitutto un riscaldamento anche più accentuato dell’attuale occorse già in
passato: alcuni secoli durante l’età del bronzo, il periodo caldo olocenico e un paio
di secoli nel periodo caldo medievale.
2. L’attuale riscaldamento cominciò nel 1700, dal minimo della piccola era glaciale,
quando erano l’industrializzazione assente e meno di mezzo miliardo gli abitanti
della Terra.
3. Continuò, il riscaldamento, fino al 1940, quando erano l’industrializzazione quasi
assente e 2/3 dell’attuale la popolazione della Terra.
Indubbiamente, i gas-serra (innanzi tutto acqua, e poi anidride carbonica) tengono
la Terra calda: senza di essi, avremmo 33 gradi di meno. Ma l’anidride carbonica (il
secondo componente naturale, dopo il vapore acqueo, responsabile dell’effetto serra
“naturale”) è anche immessa nell’atmosfera dall’uomo ogni volta che si bruciano
combustibili fossili. Ma le concentrazioni atmosferiche di CO2 e le temperature non
hanno seguito un comportamento proprio parallelo:
1. Il riscaldamento s’interruppe - anzi vi fu un rinfrescamento - nel periodo 19451975, in pieno boom demografico, industriale e di emissioni.
2. Il riscaldamento si è interrotto dal 1998, cioè da 10 anni, senza che si siano
interrotte le emissioni.
Non vi è dubbio che la Terra potrebbe riscaldarsi per altre ragioni - l’attività solare, ad
esempio - che disturbino il bilancio tra la radiazione proveniente dal Sole e quella che
la Terra rispedisce indietro nello spazio.
Alcuni, infatti, ritengono che le variazioni di temperatura registrate negli ultimi 150
anni siano da attribuire esclusivamente a variazioni dell’attività solare. In particolare,
il numero delle macchie solari (osservabili facilmente con un modesto telescopio) è
stato accuratamente registrato negli ultimi 400 anni (e segue un ben noto ciclo con
periodo di 11 anni). Ed effettivamente, esattamente come avveniva tra concentrazione
Franco Battaglia
di CO2 e temperatura della Terra, si è osservato che, nel tempo, l’attività solare e le
temperature hanno seguito un comportamento parallelo, come mostra la figura
seguente, nella quale si riportano, in funzione del tempo (dal 1860 al 1990), due curve:
una rappresenta la lunghezza dei cicli di attività solare (indicata lungo l’asse verticale
sinistro), l’altra rappresenta le variazioni di temperatura globale media (indicate lungo
l’asse verticale destro)2.
0,3
9,7
9,9
Solvyklus-længde (år)
10,3
0,1
10,5
0,0
10,7
-0,1
10,9
11,1
-0,2
11,3
-0,3
11,5
-0,4
11,7
11,9
1860
Middel-Temperatur (grader C)
0,2
10,1
-0,5
1880
1900
1920
1940
1960
1980
2000
Solo che, in questo caso - dovesse esserci una relazione di causa-effetto - non ci
sarebbero dubbi sull’attribuzione della causa e dell’effetto. Va però detto che il
tentativo di valutare, dagli aumenti osservati di attività solare, la consistenza degli
aumenti di temperatura attesi, ha portato alla conclusione che questi sono inferiori
agli aumenti di temperatura osservati. Allora, vi è, forse, ancora spazio per attribuire
all’uomo almeno una parte dell’aumento di temperatura osservato (ammesso che
esso sia reale). Per cercare di togliersi il dubbio non c’è altro da fare che affidarsi a
modelli matematici e tentare di simulare la realtà al calcolatore.
Questi modelli sono, essenzialmente, dello stesso tipo di quelli che si usano per fare
le previsioni meteorologiche, anche se vi sono alcune fondamentali differenze su cui
qui non è il caso di soffermarsi. Comunque, ecco in breve come funzionano, almeno
per la parte più simile ai modelli di previsione del tempo: (1) La superficie della Terra
è suddivisa in cellette bidimensionali da una griglia tracciata lungo i meridiani e i
E. Friis-Christensen and K. Lassen, Science 254, 698 (1991).
2
9
Cambiamenti climatici e
l’inganno del protocollo di Kyoto
paralleli, e l’atmosfera sopra ogni celletta è quindi suddivisa in strati: l’intera atmosfera
è così ripartita in tante “scatole”; (2) entro ognuna di esse si fissano, ad un particolare
istante di tempo, i valori delle grandezze fisiche significative (temperatura, pressione,
umidità, velocità e direzione del vento, etc.); (3) si usano le equazioni del modello per
far evolvere nel tempo la situazione iniziale, calcolando i valori futuri delle grandezze
fisiche significative in ogni “scatola”.
L’attendibilità di un modello dipende dalla sua capacità di predire... il passato: si
parte dalle condizioni iniziali, poniamo, nel 1860; si usa il modello per riprodurre le
condizioni presenti; se queste non sono riprodotte, si modificano le condizioni iniziali
e i parametri del modello sino a che non si ottengono da esso previsioni in accordo
col futuro (rispetto al 1860) che conosciamo già (cioè sino ad oggi). Questo modo di
procedere è senz’altro il migliore possibile, viste le enormi difficoltà del problema; ma
non bisogna dimenticare che variando a piacimento un gran numero di parametri si è
in grado di riprodurre qualunque cosa si voglia: la verità è che un modello costruito su
un numero sufficiente di parametri è in grado di riprodurre tutto e il contrario di tutto
da qualunque insieme di dati.
Ad ogni modo, l’Ipcc, in un rapporto firmato da 515 (sic!) autori, osserva che i modelli
matematici riprodurrebbero l’attuale riscaldamento globale solo a patto che siano
incluse le emissioni antropogeniche di gas-serra, e pertanto conclude che “tenendo
conto dei pro e dei contro dei fatti, sembra che vi sia una ben distinguibile influenza
umana sui cambiamenti climatici”. Alcuni ritengono la conclusione azzardata.
Innanzitutto, a causa dei limiti già detti inerenti a modelli che contengono un gran
numero di parametri. In secondo luogo, perché molti modelli considerati dall’Ipcc
falliscono quando s’includono in essi i contributi provenienti dagli aerosol, che sono
particelle - principalmente di solfati - che si formano dalle emissioni vulcaniche e
antropogeniche: includendo gli aerosol, le temperature calcolate dai modelli sono
inferiori a quelle osservate. Infine, perché modelli diversi danno risultati molto diversi
tra loro, a causa della difficoltà connessa alla trattazione delle masse di nuvole; per
includerle appropriatamente nei modelli, bisognerebbe dividere l’atmosfera in
“scatole” molto più piccole, e quindi molto più numerose, fatto che renderebbe però
impraticabili i già complessi calcoli.
In alcuni casi i modelli hanno dimostrato una più che soddisfacente attendibilità:
quando, nel 1991, in seguito alla gigantesca eruzione del vulcano Pinatubo nelle
Filippine, la temperatura media globale diminuì di 0,5 gradi, una diminuzione che fu
osservata e anche “prevista” dai modelli. L’evento, tuttavia, non può non farci riflettere:
se basta un’eruzione vulcanica per diminuire di 0,5 gradi in un anno la temperatura
Franco Battaglia
media globale, qual è il senso di preoccuparsi di un’eventuale contributo antropogenico
che sarebbe stato la causa di un aumento di 0,6 gradi in 150 anni? Sembrerebbe,
ancora una volta, che il contributo antropogenico alle variazioni di temperatura media
globale sia ben mascherato da contributi naturali, ben più importanti e sui quali poco
o nulla possiamo fare se non, ove possibile, adattarci.
Ma il segno più evidente della mancanza di influenza significativa da parte dell’uomo
è il fatto che i modelli - tutti - prevedono che, se fosse l’uomo responsabile, allora a
15 km nella troposfera sopra l’equatore dovrebbe osservarsi un riscaldamento triplo
di quello che si osserva a terra; le misure satellitari, però, non osservano, lassù, alcun
riscaldamento, men che meno triplo, ma, addirittura, un rinfrescamento. Questa,
che voleva essere l’impronta digitale della congettura del riscaldamento globale
antropogenico, è evoluta in impronta digitale della sua inconsistenza.
Quali temperature potremmo attenderci fra 100 anni?
Se si assumono attendibili le misure satellitari e le si estrapola da qui a 100 anni, per
allora la temperatura media globale sarà aumentata di mezzo grado, con un’incertezza
di 1,5 gradi. Se invece - come fa l’Ipcc - si assumono fedeli le misure dalle stazioni a
Terra e si attribuisce esclusivamente all’uomo la causa del riscaldamento globale, le
previsioni da qui a 100 anni dipendono da molteplici considerazioni (economiche,
politiche, tecnologiche, etc.) sullo sviluppo dell’umanità; e che si riflettono, alla fine,
sulla reale consistenza futura di emissioni di gas-serra.
Ebbene, l’Ipcc, assumendo fedeli le temperature registrate sulla Terra e attribuendo
all’uomo la principale responsabilità del riscaldamento, esamina 40 possibili
scenari, prende nota dei due scenari che prevedono l’aumento minore e l’aumento
maggiore di temperatura, e conclude che per il 2100 ci si deve attendere un aumento
di temperatura compreso fra 1,4 e 5,8 gradi. Curiosamente, l’Ipcc non riporta né
l’incertezza di ciascun valore di temperatura previsto da ciascuno degli scenari, né la
probabilità che questi scenari hanno di realizzarsi. Ad esempio, gli scenari che prospettano
i maggiori aumenti di temperatura sono quelli che assumono che tutti i paesi in via di
sviluppo avranno nel frattempo raggiunto standard di vita uguali a quelli dei paesi
industrializzati. Un’assunzione, questa, che, anche se desiderabile col cuore, sembra
francamente lontana da ogni oggettiva realtà delle cose. Anche se noi che scriviamo
possiamo prenderci la libertà di essere così “politicamente poco corretti”, l’Ipcc,
un organismo intergovernativo comprendente rappresentanze da un centinaio di
11
Cambiamenti climatici e
l’inganno del protocollo di Kyoto
paesi, molti dei quali in via di sviluppo, non può evidentemente prendersi quella
stessa libertà. Certamente non sino al punto da escludere dai propri rapporti quei
fantasiosi scenari.
Se si fa questa “scrematura” (ed è stata fatta in studi indipendenti)3 l’aumento
massimo di temperatura da attendersi per il 2100 (nell’ipotesi che siano le attività
umane le responsabili principali del presunto global warming) non è superiore a
3 gradi. Se invece il contributo antropogenico fosse irrisorio, dai dati disponibili
sull’attività solare possiamo attenderci, fra 100 anni, variazioni di temperatura
comprese fra -1,0 e 2,0 gradi.
Un eventuale riscaldamento globale, che sia di realistica entità,
sarebbe dannoso o benèfico per l ’ umanità ?
Una comune affermazione è quella che si fa in occasione di eventi climatici catastrofici.
Ad esempio, si dice che solo nei più recenti anni si sono avuti uragani così frequenti
e così intensi. Ma è vero? La tabella 2 riporta i 24 uragani più intensi (tutti quelli di
forza 4 e 5) registrati negli anni 1850-2004. Ebbene, come si vede, ve ne furono 11 nei
76 anni compresi fra il 1852 e il 1928, e 13 nei 76 anni compresi fra il 1928 e il 2004;
e, tra i primi 14 (tutti quelli di forza 5), ne occorsero 7 negli anni 1852-1928 e 7 negli
anni 1928-2004: sostenere di essere in presenza di un evidente e marcato aumento di
uragani ci sembra quanto meno precipitoso, se non azzardato.
Ciò premesso, è chiaro che - a meno di credere che la temperatura oggi sia esattamente
la migliore concepibile - è ragionevole pensare che il mondo potrebbe trarre benefìci
da modeste variazioni di temperatura. Bisogna stabilire se questi benefìci verrebbero
da una modesta diminuzione o da un modesto riscaldamento.
a) L’incidenza di mortalità è certamente correlata alle temperature: sia il caldo che
il freddo estremo favoriscono i decessi, ma è stato dimostrato che condizioni di
freddo estremo causano un’incidenza doppia di mortalità rispetto alle condizioni
di caldo estremo. Inoltre, se si tiene conto del fatto che un eventuale global
warming comporterà maggiori aumenti di temperatura nelle stagioni fredde
che non in quelle calde, si può concludere che, rispetto alla mortalità umana, un
modesto global warming avrebbe effetti benèfici.
T.M.L. Wigley and S.C.B. Raper, Science 293, 451 (2001).
3
Franco Battaglia
Tab 2: I più intensi uragani che hanno colpito gli Usa (1851-2004).
Rango
Nome dell’uragano e luogo
Anno
1
Senza nome (FL Keys)
1935
2
Camille (MS, SE LA, VA)
1969
3
Andrew (SE FL, SE LA)
1992
4
TX (Indianola)
1886
5
Senza nome (FL Keys)
1919
6
Senza nome (Lake Okeechobee FL)
1928
7
Donna (FL, Eastern U.S.)
1960
8
Senza nome (New Orleans LA)
1915
9
Carla (N & Cent. TX)
1961
10
LA (Last Island)
1956
11
Hugo (SC)
1989
12
Senza nome (Miami FL)
1926
13
Senza nome (Galveston TX)
1900
14
Senza nome GA/FL (Brunswick, GA)
1898
15
Hazel (SC, NC)
1954
16
Senza nome (SE FL, SE LA, MS)
1947
17
Senza nome (N TX)
1932
18
Charley (Eastern U.S.)
2004
19
Gloria (Eastern U.S.)
1985
20
Opal (NW FL, AL)
1995
21
Senza nome (Central FL)
1888
22
Senza nome (E NC)
1899
23
Audrey (SW LA, N TX)
1957
24
Senza nome (Galveston TX)
1915
13
Cambiamenti climatici e
l’inganno del protocollo di Kyoto
b) Gli scenari dell’Ipcc prevedono, per il 2100, un innalzamento dei mari compreso
fra 9 e 90 centimetri4. Ma bisogna osservare due fatti. Innanzi tutto, il mondo riesce
benissimo ad affrontare questo problema, come testimonia l’Olanda, col suo
imponente sistema di dighe che la difende dal mare. Naturalmente, si potrebbe
obiettare che un paese come il Bangladesh, la cui popolazione vive, per il 25%, in
zone costiere a circa un metro sul livello del mare, potrebbe non essere in grado,
per la sua povertà, a prendere le adeguate misure protettive. Non bisogna tuttavia
dimenticare che i “peggiori” scenari previsti dall’Ipcc si realizzerebbero solo se
anche i paesi poveri raggiungessero lo stesso benessere economico dei paesi
ricchi, per cui, in quel caso, come oggi l’Olanda, anche il Bangladesh saprebbe
come affrontare il problema.
Va anche precisato che il livello del mare sta aumentando da millenni. Da quando
la Terra è uscita dall’ultima glaciazione, il livello del mare è aumentato di ben 100
metri, per due cause principali: la fusione dei ghiacciai e la dilatazione termica delle
acque. La prima, è un evento in corso a partire dalla fine dell’ultima era glaciale, e
non ha avuto alcuna accelerazione nell’ultimo secolo. Anzi, non è escluso che un
clima più caldo possa interromperla, in conseguenza di aumentate precipitazioni,
che ai poli si depositerebbero come neve.
c) I benefìci sull’agricoltura da un modesto global warming sono indubbi. Anzi, in
questo caso l’aumento di temperatura è sinergico con l’aumento di concentrazione
di CO2: nelle serre tecnologicamente più avanzate si pompa, appunto, CO2 per
ottenere rendimenti più alti.
Conclusioni
In conclusione, nell’ipotesi che effettivamente l’uomo contribuisca significativamente
al riscaldamento globale, non c’è da attenderselo, realisticamente, superiore a 1-2
gradi da qui al 2100. Ma, in questo caso, esso avrebbe, nel complesso, effetti benèfici
per l’umanità. Naturalmente, sarebbe insensato che l’umanità si sforzi di raggiungere
artificialmente la temperatura che si ritenga essere la migliore possibile. Ma, allo
stesso modo, dovremmo convenire che sarebbe parimenti insensato ogni sforzo, per
di più in nome di un vago principio di precauzione, per evitare di raggiungere quella
condizione ideale.
Già nel recente Quarto Rapporto queste previsioni sono state mitigate a 18-59 cm.
4
Franco Battaglia
Un’ultima osservazione va fatta, in ordine al presunto eccezionale ed eccezionalmente
rapido cambiamento climatico di cui saremmo testimoni: d’eccezionale non c’è
né l’attuale presunto cambiamento climatico né la sua rapidità. Un fatto è certo: il
clima del pianeta può radicalmente cambiare, come le ere glaciali inconfutabilmente
attestano. Cinquant’anni fa, quando ancora si riteneva che ciò potesse avvenire solo
con tempi dell’ordine delle decine di migliaia d’anni, ci si è confrontati con l’evidenza
che seri cambiamenti climatici avvennero anche nell’arco di pochi millenni; ridotti a
pochi secoli dai risultati delle ricerche nei successivi 20 anni, e ulteriormente ridotti
ad un solo secolo dai resoconti scientifici degli anni 70 e 80. Oggi, la scienza sa che
cambiamenti climatici, nel passato, sono avvenuti anche nell’arco di pochi decenni.
Nel 1955, datazioni al carbonio-14 effettuate su reperti scandinavi rivelarono che il
passaggio, circa 12000 anni fa, da clima caldo a clima freddo, avvenne durante un
millennio. Un periodo che fu definito “rapido”, vista l’universale convinzione che tali
cambiamenti potevano avvenire solo in tempi di decine di migliaia d’anni. Conferme
vennero da altre ricerche: ad esempio, quella dell’anno successivo che accertò
che l’ultima era glaciale finì col “rapido” aumento di un grado per millennio della
temperatura globale media; e quella di 4 anni dopo, secondo cui vi furono nel passato,
e nell’arco di un solo millennio, aumenti di temperatura anche di 10 gradi. E altre
ancora, finché nel 1972 il climatologo Murray Mitchell ammetteva che le evidenze
degli ultimi 20 anni forzavano a sostituire la vecchia visione di un grande, ritmico
ciclo con quella di una successione rapida e irregolare di periodi glaciali e interglaciali
all’interno di un millennio.
Anche se, allora, il timore dominante era la possibilità che la fine del secolo avrebbe
potuto segnare l’inizio di un periodo glaciale con evoluzione rapida (cioè in pochi
secoli) verso condizioni “fredde” catastrofiche per l’umanità) non mancava, tuttavia,
chi avvertiva del pericolo opposto: il riscaldamento globale a causa delle emissioni
umane. In quello stesso 1972, infatti, il climatologo M. Budyko dichiarava che alla
velocità con cui l’uomo immetteva CO2 nell’atmosfera, i ghiacciai ai poli si sarebbero
completamente sciolti entro il 2050. Insomma, ancora 30 anni fa gli scienziati non si
erano messi d’accordo se un’eventuale minaccia proveniva dal troppo freddo o dal
troppo caldo.
Mentre erano concordi su una cosa, che di troppo era certamente: la loro ignoranza. E
invocarono - giustamente - maggiori risorse. Grazie alle quali andarono in Groenlandia
ove, dopo 10 anni di tenace lavoro, estrassero, dalle profondità fino ad oltre 2 km,
“carote” di ghiaccio di 10 cm di diametro. Dalle analisi dell’abbondanza relativa degli
isotopi dell’ossigeno nei diversi strati di ghiaccio (il più profondo dei quali conserva le
15
Cambiamenti climatici e
l’inganno del protocollo di Kyoto
informazioni sulle temperature di 14mila anni fa) si ebbe la conferma che drammatiche
diminuzioni di temperatura erano avvenute in pochi secoli. Ma fu solo nel 1993 che gli
scienziati rimasero, è il caso di dire, di ghiaccio: quando scoprirono, da nuovi carotaggi,
che la Groenlandia aveva subito aumenti di anche 7 gradi nell’arco di soli 50 anni; e, a
volte, con drastiche oscillazioni anche di soli 5 anni!
Anche se “questi rapidissimi cambiamenti del passato non hanno ancora una
spiegazione”, come dichiara un recente rapporto dell’Accademia Nazionale delle
Scienze americana, la scienza ha accettato l’idea di un sistema climatico la cui variabilità
naturale si può manifestare anche nell’arco di pochi decenni. Non c’è nessuna ragione
- di là da quella che ci rassicura psicologicamente - per ritenere che essi non debbano
manifestarsi oggi. Vi sono invece tutte le ragioni per ritenere che quella secondo cui
l’uomo avrebbe influenzato i cambiamenti climatici sia un’idea - come tutte quelle
dei Verdi, ad essere franchi - priva di fondamento; e per ritenere, semmai, che sono i
cambiamenti climatici ad aver influenzato l’uomo e il percorso della civiltà.
Una cosa senz’altro certa è che i vincoli del protocollo di Kyoto (ridurre del 5%, rispetto
a quelle del 1990, le emissioni di gas serra da parte dei paesi industrializzati) avrebbero
effetto identicamente nullo sul clima: nell’atmosfera vi sono 3000 miliardi di tonnellate
di CO2, l’uomo ne immette, ogni anno, 20 miliardi di tonnellate, di cui 10 provengono
dai paesi industrializzati, e pertanto il protocollo di Kyoto equivarrebbe a immettere
nell’atmosfera 19,5 miliardi di tonnellate di CO2 anziché 20 miliardi. Un primo passo,
dicono gli ambientalisti; ma anche montare su uno sgabello è un primo passo per
raggiungere la Luna! (Né, d’altra parte, veniamo informati di quali sarebbero gli altri
passi)5. Insomma, la temuta temperatura che l’umanità potrebbe dover sopportare
nel 2100, se si applicasse il protocollo di Kyoto verrebbe ritardata al 2101! Senonché,
gli sforzi economici conseguenti al rendere operativo quel protocollo sarebbero
disastrosi: nel caso dell’Italia, quel disastro - è stato valutato - comporterebbe, tra le
altre cose, la perdita di decine di migliaia di posti di lavoro per ridotta produttività.
Tanto più che, curiosamente (e schizofreneticamente, aggiungeremmo) viene respinta la possibilità di servirsi
dell’unica fonte energetica - quella nucleare - che, veramente competitiva coi combustibili fossili, permetterebbe, se
massicciamente impiegata, di raggiungere gli obbiettivi non di uno ma di diversi “protocolli di Kyoto”: la Francia, ad
esempio, raggiunge già quegli obbiettivi e la Svezia è addirittura in credito rispetto alle emissioni di gas-serra. Per
converso, la Danimarca, il paese al mondo che più investe sulle energie rinnovabili (principalmente nell’eolico), deve
ridurre le proprie emissioni di gas-serra di un buon 21% per allinearsi coi vincoli di Kyoto.
5
Politiche ambientali:
efficacia, illusioni, inganni e ingenuità
Paolo Togni
Mi pare che Franco Battaglia e prima di lui Briganti abbiano definito con esattezza
i termini scientifici del problema.
Per motivi marginali non sono d’accordo con Franco Battaglia: non sono d’accordo
sulle energie alternative, perché queste possono essere anche viste in chiave di
sicurezza e approvvigionamento in un Paese come il nostro.
È chiaro che tutti questi tipi di produzione di energie alternative hanno senso solo in
quanto c’è un potente contributo dello Stato per farle andare avanti perché altrimenti
il costo per l’energia di origine fotovoltaica, eolica, da biomasse, non sarebbe
paragonabile a quello dell’energia di cui attualmente disponiamo in Italia, che è
sostanzialmente, quella dalla combustione di idrocarburi, da combustibili fossili.
Possiamo concordare sul fatto che la Terra sta diventando un po’ più calda, con tutte le
limitazioni a questo concetto che dobbiamo tenere però presenti.
Considerati i dati che Franco Battaglia ci ha appena esposto, ci dobbiamo chiedere:
cosa fare?
Seppure io non sia né un chimico né un fisico né un ingegnere, bensì una persona che
si occupa di attività umanistica, in senso lato, di amministrazione in qualche misura e,
nei limiti che la mia ignoranza mi consente, anche di fatti economici, trovo che l’ultimo
grafico sia il più interessante.
In particolare vedo che la proiezione della crescita delle temperature, con o senza
il Protocollo di Kyoto presenta, da qui al 2100, una differenza di pochi decimali di
grado.
Nel frattempo per ottenere 0,6 gradi, cioè passare, ad esempio, da 36,4 a 37 gradi
della temperatura umana, l’economia mondiale dovrebbe spendere non meno
dell’equivalente di 100 miliardi di euro all’anno. Per fare cosa?
Per pagare gli scienziati dell’IPCC, per esempio, per pagare una moltitudine di persone
che vanno in giro a fare propaganda, per pagare libri che vengono pubblicati a
sostegno di questa posizione; per finanziare una serie di associazioni o strutture che
si definiscono “fraudolentemente indipendenti”, perché dipendono dal punto di vista
economico e dal punto di vista ideologico da centri ben individuati, che hanno la
funzione primaria di portarci alla rovina.
Scusate se forse qualcuno vorrà pensare che esageri, ma io sono convinto di non
esagerare.
Franco Battaglia ha già accennato cosa significhi l’applicazione del Protocollo di Kyoto
in termini economici, seppure torno a dirlo, io non sono uno scienziato:
17
Politiche ambientali:
efficacia, illusioni, inganni e ingenuità
- il blocco dello sviluppo dei Paesi cosiddetti in via di sviluppo, cioè quelli non
sviluppati;
- conseguentemente un aumento delle differenze fra i redditi e quindi il
livello di vita, il livello sanitario di questi Paesi e quello dei Paesi ricchi, e
sostanzialmente, a mio modo di vedere, questo significa applicare non una
logica di vita; la vita si migliora per sé.
Io ho fatto una considerazione sui dati ambientali dell’Italia; abbiamo fatto
delle stime da quando sono stati rilevati, dagli anni ’60 - ’70 più o meno, ed
abbiamo constatato che in questo periodo tutti i dati ambientali sono in forte
miglioramento, perché sono diminuiti notevolmente i composti dello zolfo;
anche il benzene, seppure non sia sparito, è ridotto ai minimi termini; è poi
diminuito il metano.
Lo stesso discorso vale per l’acqua. Una quantità sempre maggiore della
stessa, di anno in anno viene depurata prima di essere reimmessa in un corpo
idrico superficiale. Ci sono meno fenomeni macroscopici derivanti da mala
amministrazione e dal ladroneccio, tipo quello di Napoli e quello che si sta
avvicinando a Roma.
Allora i dati italiani stanno migliorando; la storia italiana ha visto un paese
agricolo, quello che è uscito dalla guerra mondiale, cioè sostanzialmente senza
industria, ovvero con pochissima attività di trasformazione, modificarsi pian
piano in un paese industriale, anche qui con un fenomeno non lineare, perché
naturalmente ci sono passi avanti e indietro, però il tutto è avvenuto con una
progressione sostanzialmente costante.
Ci lamentiamo quando l’aumento del reddito è di zero virgola qualcosa all’anno.
Abbiamo avuto periodi in cui era dell’8% all’anno, ma anche perché partivamo
da una posizione molto bassa. Però tranne credo 2 o 3 anni, dagli anni 50 ad
oggi, il reddito e quindi l’attività industriale e conseguentemente le “emissioni
italiane” sono aumentate, poco alla volta ma sono cresciute, in presenza di una
diminuzione dell’impatto ambientale derivante da queste attività.
Noi oggi abbiamo i giornali che si spaventano: sulla Cina c’è la nuvola marrone: è
vero, per carità, è un problema grosso. La Cina, specialmente, ha a disposizione una
grande quantità di carbone e lo usa senza risparmiare in quanto questo è il metodo
più facile per produrre energia e non ha ancora introdotto nei propri ordinamenti e nei
propri processi i sistemi di desulfurazione e quant’altri che servono a rendere anche i
fumi di una centrale a carbone sostanzialmente pochissimo inquinanti.
Paolo Togni
Se possiamo estrapolare l’andamento dei fenomeni incrociati, cioè crescita
industriale ed emissioni in atmosfera, che sono le più macroscopiche, è più facile
individuarle; diciamo che sono più vicini a entrare nella fase attiva dello sviluppo;
noi dovremmo ritenere che man mano in questi Paesi lo sviluppo economico,
industriale e produttivo progredisce e contemporaneamente diminuiscano i
fattori di inquinamento.
Io sono sicuro, seppure non lo vedrò perché morirò prima, che fra cinquant’anni,
l’inquinamento del mondo sostanzialmente non ci sarà più, perché voi vedete
che le automobili che sono immesse oggi sul mercato inquinano una frazione di
quelle che venivano immesse solo vent’anni fa - e che ognuno di noi ha guidato;
che i nostri frigoriferi consumano una frazione di quanto consumavano quelli
delle nostre madri e delle nostre nonne - semmai li possedessero) - e così via.
Allora questo è un dato su cui vorrei richiamare l’attenzione per tranquillizzare
tutti: io ho due nipoti ed altri due sono in arrivo. Penso che dal punto di vista
ambientale quando saranno grandi non avranno grossi problemi.
Abbiamo visto che la CO2 che non è un inquinante; è il nutrimento delle piante;
magari avessimo più CO2, perché le piante sarebbero più verdi.
Chi fa l’autostrada del Sole ha visto che da 10 anni a questa parte ci sono dei
cambiamenti nel paesaggio, perché i prati e i monti sono meno brulli di quanto
lo fossero in passato.
Forse una relazione fra questo maggior verde del paesaggio italiano e una
maggior presenza di CO2 nell’atmosfera una relazione ci sarà pure.
Voglio fare solo altre due considerazioni: abbiamo detto 0,6 gradi di meno fra
90 anni, abbiamo detto 100 miliardi di euro all’anno adesso, e poi non è solo
questo. Stiamo parlando del costo immediato, che noi dovremmo pagare per
stare nei parametri di Kyoto, ma c’è da considerare non solo il costo economico,
ma anche quello sociale e, se mi consentite, di giustizia, che deriva dal fatto
che per arrivare al raggiungimento di questo obbiettivo insignificante, abbiamo
bloccato la crescita di più di metà del mondo.
Questo atteggiamento nei confronti degli altri, guardate bene, non è nuovo.
Non so chi si ricorda un certo Maltus.
Maltus era un pastore, credo scozzese, comunque inglese, che fra il ‘700 e
‘800 elaborò una teoria sull’andamento della popolazione e disse: qui siamo
troppi; se la gente continua a aumentare non ci sarà più da mangiare per
tutti quanti, quindi è necessario che gli altri paesi non crescano più; logica
questa tipicamente colonialista inglese, seppure oggi sia seguita da tutto
19
Politiche ambientali:
efficacia, illusioni, inganni e ingenuità
il mondo sviluppato occidentale. Gettò quindi un seme che ha portato poi
successivi sviluppi; ancora oggi questo tipo di atteggiamento è sostanzialmente
radicato nella logica maltusiana di non consentire agli altri di arrivare dove
siamo noi. Questo è il succo ultimo dell’atteggiamento dell’ambientalismo
classico, per cui nessun progresso; per cui poi nel tempo, quali rami e
rametti di questa posizione, son venuti l’eugenetica, la politica degli aborti,
è venuta tutta una serie di conseguenze che io giudico non negative ma
negativissime, rispetto al libero dispiegarsi del progresso della razza umana
Quindi sostanzialmente il primo è un discorso che è una logica di morte; il secondo,
l’ha detto Franco Battaglia molto bene, l’energia è l’alimento del progresso; non
ci può essere progresso materiale che però è la premessa anche di quello sociale,
se non c’è una sufficiente quantità di energia per alimentarlo.
Ora, è vero che nell’arco di qualche decennio c’è una prospettiva di esaurimento
delle fonti fossili (seppure io mi ricordo che quando ero ragazzo si diceva che prima
del 2000 il petrolio sarebbe finito ed invece non mi sembra proprio che sia così).
Speriamo di andare avanti ancora un po’ di tempo, fino a che, ed io ne sono
convinto, sarà individuata una fonte energetica più maneggevole dell’energia
da fusione nucleare e più accettata dalla popolazione, che ci darà l’idrogeno,
la fusione nucleare. Non so quale sarà. Io non credo però molto a quelli che
pospongono sempre l’obiettivo, della fusione. Negli anni ’80 si diceva che fra
vent’anni ci saranno gli impianti; ora si seguita a dire che ci saranno impianti fra
altri vent’anni; ma questi vent’anni mi sembrano destinati a non finire mai.
In merito all’uso dell’idrogeno c’è un problema di base, perché l’idrogeno oltre al
fatto che non è una fonte energetica ma un vettore di energia, per esser prodotto ha
bisogno di una certa quantità di energia – e quindi, a parte le difficoltà di trasporto e
conservazione, in qualche misura è come il cane che si morde la coda.
L’ultima considerazione è sul rapporto costi/benefici. Non esiste nessun padre
di famiglia, imprenditore, chiunque abbia due euro in tasca da spendere per
fare qualche cosa, che prima di impegnarle non debba decidere in che modo
investirli: cambio la macchina, oppure pago la scuola ai figli oppure cose del
genere. Ognuno fa i suoi conti e decide secondo i suoi criteri; ci sarà chi preferirà
andare a Montecarlo e giocarli al casinò, chi preferirà depositarli sul libretto in
banca per lasciarli ai figli o ai nipoti, e così via. Ognuno farà le proprie scelte.
Però nel prendere qualunque decisione, conscia o inconscia, una valutazione del
rapporto fra costi e benefici la facciamo tutti, in ogni momento.
Paolo Togni
Guardate che costi e benefici non significa solo costi e benefici economici. Vanno
messi in questo pacchetto i costi e benefici sociali, per la salute, per l’ambiente
e tutta una serie di fattori. È molto complesso e infatti questo giustifica il fatto
che ci siano posizioni politiche molto diverse, perché la politica non è altro che
la proposta di un rapporto costi/ benefici tradotto in termini sociali.
Per parlare di Kyoto - a cui credo anche Obama nell’arco di un anno e
mezzo circa, aderirà (ma se abbiamo resistito a Kennedy ed a Carter “anche
Obama passerà”, convinzione questa personale), va ricordato che applicato
integralmente comporterà dei costi esagerati, oltre al fatto di dover tener conto
dell’incipienza con la quale l’allora Ministro Ronchi sottoscrisse l’accordo, che
ricordo, comportava per i paesi europei il costo di un euro all’anno per ogni
abitante francese, circa 5 per ogni tedesco e 289 per ogni italiano; ciò in quanto
evidentemente i francesi hanno il nucleare, i tedeschi avevano i crediti dell’Ex
Europa dell’est e noi abbiamo tutta l’energia di idrocarburi, di fonti fossili e
quindi, mentre ai francesi l’applicazione del protocollo costa un euro all’anno,
a noi costa 289 euro all’anno - previsioni e ragionamenti, questi, fatti da un
istituto olandese, quindi neutro perché l’Olanda non è uno di quei paesi che
spendevano di meno, visto che all’epoca stava sui 70 euro all’anno per abitante.
Tutto ciò per ottenere 0,6 gradi in meno di temperatura media, cioè una cosa di
cui nessuno si accorgerà mai, perché lo sbalzo naturale da un anno all’altro, da
un mese all’altro, da un giorno all’altro, da una zona all’altra è largamente più
ampio, credo, di 0,6 gradi, che veramente sono un margine veramente basso.
Non so chi ha letto l’ultimo libro di Lomborg, quello sulla temperatura; si tratta
di un libro carino che riporta molti dati e fra l’altro porta una considerazione:
lui conta il numero di morti per freddo nell’anno, che sono oltre 10.000 e quello
di morti per caldo nello stesso periodo, che sono 2.000 e più; quindi dice;
“se si riscalda il mondo, vuol dire che staremo tutti meglio, ci saranno meno
morti”. Ed alla fine fa un esempio, che forse sentimentalmente non ci piace: noi
spenderemmo 100 miliardi di euro per salvare la vita a 0,6 orsi polari, perché
questo è il numero di orsi che lui stima nell’anno morirebbe.
Ora, mi ricordo che nella Genesi il racconto dice che il Padre Eterno creò tutte
le creature, poi creò l’uomo e gli disse è tutto tuo, gestiscitelo, fanne il meglio
possibile, cresci e moltiplicati e utilizzalo.
Allora io sono convinto che la bontà di un mondo, di una situazione del mondo,
consiste nel fatto che sappia garantire una migliore vita agli uomini che ci vivono.
Allora in questo contesto vedere sprecati i soldi per Kyoto, francamente è una
21
Politiche ambientali:
efficacia, illusioni, inganni e ingenuità
cosa che mi affligge, mi indigna e mi disturba. Non so come ne potremmo uscire,
anche perché devo dire che tutti i governi che si sono susseguiti dal ’97 in poi
hanno preso delle “cantonate” sull’argomento.
L’atteggiamento ultimo del governo attuale, che vuole rivedere i parametri sulla
base del rapporto costi/benefici, contiene una sola cosa giusta: il rapporto costi
benefici, perché per il resto non è un problema quello di rivedere i parametri
0,5 in più 0,5 in meno; il problema è di non accettare questa logica, che è
l’unica soluzione che dovremmo veramente abbracciare e che è l’unica che ci
garantirebbe un futuro anche migliore di quello attuale.
Autori
Giovanni Briganti
Dopo la laurea in fisica e fino ai primi anni ottanta si è dedicato alla ricerca nei campi
della biofisica e delle biotecnologie, applicate allo studio degli effetti biologici,
sanitari e ambientali delle radiazioni e della produzione energetica in generale. Ha
pubblicato in proposito oltre 80 lavori e monografie scientifiche su riviste nazionali e
internazionali.
Ha ricoperto numerosi incarichi tra i quali ricordiamo brevemente:
-
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Direttore del Laboratorio di Dosimetria e Biofisica delle Radiazioni dell’ENEA
Vicepresidente del “Progetto Finalizzato Energetica” cogestito dal CNR e dall’ENEA
Membro della Giunta Esecutiva dell’ENEA
Presidente della Società di ricerche SOTACARBO S.p.A. per le “clean coal
technologies”
- Presidente della Società di ricerca e sviluppo nel campo delle biotecnologie
applicate ai problemi ambientali
- Addetto scientifico presso la Rappresentanza d’Italia per i rapporti con l’Unione
Europea.
Attualmente è titolare degli insegnamenti di Fisica e Biofisica per Scienze Agrarie e
di Radioprotezione per Ingegneria Nucleare presso l’Università “Guglielmo Marconi” e
direttore del “International Research Department” di questa Università.
Franco Battaglia
Laureato in Chimica ha conseguito negli Stati Uniti il Ph.D. in Chimica-Fisica. Attualmente
è docente di Chimica Ambientale all’Università di Modena.
Ha svolto ricerca in questo campo all’estero per sette anni: un anno in Germania, al
Max Planck Institut (Gottingen), e sei anni in USA, all’University of Rochester (Rochester,
NY), alla State University of New York at Buffalo (Buffalo, NY) e alla Columbia University
(New York, NY).
È stato membro del comitato scientifico dell’Agenzia Nazionale Protezione Ambiente
23
ed è attualmente membro del Non-governative International Panel on Climate Change
(NIPCC), (organizzazione che non condivide l’approccio ai problemi ambientali del
IPCC) e coautore del rapporto da questo organismo pubblicato nel 2007 e tradotto
in 5 lingue (l’edizione italiana, La Natura, non l’attività dell’Uomo governa il clima è
pubblicata da 21moSecolo Editore).
Ha pubblicato numerosi lavori e alcuni libri tra i quali, Elettrosmog: un’emergenza creata
ad arte e L’Illusione dell’Energia dal Sole.
È tra i fondatori dell’Associazione Galileo 2001 per la libertà e dignità della scienza ed è
editorialista del Giornale.
Paolo Togni
Laureato in Giurisprudenza (Diritto Civile) presso l’Università di Roma.
Attualmente è titolare della Cattedra di Istituzioni di Diritto Pubblico presso l’Università
Telematica “Guglielmo Marconi” e Direttore della SSTAM (Scuola Superiore Territorio
Ambiente Management) dell’Università di Perugia.
È impegnato in attività di ricerca inerenti la semplificazioni della legislazione ambientale
e l’elaborazione di testi unici; è stato portavoce del gruppo di coordinamento della
Commissione Ministeriale per l’attuazione della Legge 308/04 (riforma della normativa
ambientale).
Tra i vari incarichi ricoperti ricordiamo brevemente:
Capo dell’Ufficio Legislativo del Ministero dell’Ambiente (1994-95) e poi Capo di
Gabinetto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio (2001-2006);
Presidente dell’Associazione Ambientalista “Kronos” (1997-2001) - Membro del CdA
dell’ENEA (1997-2000) - Presidente di Waste Management Italia S.p.A. (2000-2001) Vice Presidente SOGIN S.p.A. (2002-2005).
Attualmente è Presidente dell’Associazione “VIVA” per la diffusione di una corretta
conoscenza ambientale e Portavoce di “Ambiente è Sviluppo - Forum delle Associazioni
per l’ecologia umana”.