L. Candiotto, Le vie della confutazione. I dialoghi socratici di Platone

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L. Candiotto, Le vie della confutazione. I dialoghi socratici di Platone, prefazione di L. Brisson,
postfazione di L. V. Tarca, Milano-Udine, 2012.
Ormai da parecchi anni è maturata una doverosa attenzione sia agli aspetti specificamente letterari e
drammaturgici dei dialoghi di Platone sia alle implicazioni della scelta della forma dialogica e, più
specificamente, di quel particolare genere di dialogo costituito dai logoi Sokratikoi, un genere
letterario che conobbe una enorme, rapida fioritura all'indomani della morte di Socrate ad opera di
molti dei suoi discepoli. Questa attenzione, lungi dal rimanere confinata ad aspetti specifici e
settoriali, si è rivelata estremamente feconda nel promuovere riletture complessive dell'opera di
Platone anche e soprattutto dal punto di vista prettamente filosofico: un esempio davvero
significativo in tal senso è dato da questo recentissimo saggio di una giovane studiosa, Laura
Candiotto. La ricerca di Candiotto verte, come enunciato dalla studiosa stessa all'inizio della sua
Introduzione, sulla metodologia elenctica propria del dialogo socratico, ma in realtà va molto oltre
quanto si potrebbe supporre in base a una simile enunciazione: non si limita infatti ad analizzare e a
classificare le varie modalità di confutazione presenti nei dialoghi socratici, ma prende in esame
tutta una serie di implicazioni sia della metodologia elenctica stricto sensu, sia più in generale dello
stile e del metodo dialogico. In effetti, come è dichiarato esplicitamente nelle pagine introduttive, la
ricerca si muove su due piani, distinti e nel contempo intrecciati: il primo concerne, per quanto
riguarda Platone, le regole di scrittura, lo stile, la forma letteraria e drammaturgica, le finalità
filosofiche, etiche e politiche; il secondo prende in esame le strategie che Socrate (il Socrate dei
dialoghi socratici) mette in atto in rapporto ai diversi interlocutori e alle finalità che si prefigge;
l'intrecciarsi di questi due piani è dato dal fatto che il secondo piano, quello relativo alle strategie
socratiche, è stato comunque creato anch'esso da Platone. I due piani, inoltre, finiscono per risultare
intrecciati anche perché l'indagine di Candiotto mira a individuare in entrambi i medesimi aspetti:
strategie, interlocutori, finalità. Un punto che, però, non viene chiarito né nell'Introduzione né nel
prosieguo del lavoro è che cosa la studiosa intenda per “dialogo socratico”, cioè in base a quali
criteri consideri alcuni dialoghi “socratici” e altri “non socratici”, e quali dialoghi appartengano
rispettivamente all'uno e all'altro gruppo. Si possono quindi notare delle oscillazioni nell'uso del
termine “dialogo socratico”: in effetti se nelle pp. 80-87 Candiotto, pur sostenendo la continuità tra
i due gruppi di dialoghi, sembra considerare “socratici” i dialoghi caratterizzati dalla forma
dialogica in opposizione ai dialoghi caratterizzati dalla presenza della dialettica (senza per altro
precisare quali dialoghi si debbano considerare socratici e quali dialettici), altrove e in particolare
quando si tratta di operare una serie di catalogazione dei dialoghi “socratici” (pp.112-133), la
studiosa prende in considerazione un ampio gruppo di dialoghi definiti “giovanili” e quindi pare
fondarsi su un criterio meramente cronologico1 (senza tuttavia esplicitare a quale tipo di cronologia,
tra le varie cronologie proposte, faccia riferimento). E' quindi auspicabile che, nei suoi lavori futuri,
Candiotto si impegni a fornire opportuni chiarimenti su questo punto, senza dubbio delicato e
rilevante.
Ciò premesso, se passiamo a esaminare la struttura del volume, vediamo che esso si articola in
cinque capitoli, a cui fanno seguito una sintetica conclusione, un'appendice sul dialogo socratico nel
1 In effetti all'inizio del paragrafo 3 del capitolo 3, prima di procedere ai vari tipi di catalogazioni, Candiotto elenca i
“dialoghi giovanili presi in considerazione” (p. 112): Protagora, Lachete, Repubblica libro I, Carmide, Eutifrone,
Liside, Ippia Maggiore, Ione, Ippia Minore, Critone, Eutidemo, Cratilo, Gorgia, Menone, aggiungendo di non aver
preso in considerazione né il Menesseno, in quanto non è propriamente un dialogo, né l'Apologia, perché “presenta
modalità dialogiche e un utilizzo dell'elenchos che richiedono uno studio a sé stante” (ibid.). Un riferimento alla
cronologia è presente anche quando la studiosa parla dei “primi dialoghi socratici” (pp. 68, 168, 202), senza però
specificare di quali dialoghi si tratti; anche altrove (pp. 40-41), quando Candiotto distingue i dialoghi “socratici” dai
dialoghi della maturità e della vecchiaia, tale distinzione si fonda evidentemente su un criterio cronologico; non
diversamente, quando rileva “le profonde differenze metodologiche e stilistiche tra i dialoghi socratici e i
successivi” (p. 44), benché non manchi un riferimento al “passaggio dal metodo dialogico al metodo dialettico”
(ibid.), i dialoghi “socratici” appaiono comunque individuati in base alla loro collocazione cronologica; anche da
quanto si legge a p. 102 sembra che i dialoghi “socratici” siano da identificarsi con “i primi dialoghi”; infine nelle
pp. 130-131, dove pure vengono descritte alcune caratteristiche peculiari dei dialoghi “socratici”, la distinzione
dichiarata è tra questi e i dialoghi della maturità e della vecchiaia, quindi ancora una volta di tipo cronologico.
mondo attuale e, infine, una ricca e puntuale bibliografia. Il primo capitolo, Le interpretazioni sullo
stile dialogico, dopo una breve disamina delle principali modalità di approccio al corpus
Platonicum che, seguendo le indicazioni di C. Gill 2, vengono classificate come “tradizionale,
“analitica”, “esoterica” e “maieutica”, prende posizione a favore di quest'ultima, che ritiene che
Platone abbia scelto la forma dialogica per indurre i lettori, contemporanei e futuri, a intraprendere
in prima persona la ricerca filosofica. La studiosa sottolinea come l'interpretazione maieutica
consenta di attribuire una motivazione di ordine pedagogico alla scelta della forma dialogica, che
non risulta quindi un elemento secondario né dovuta soltanto alla volontà di rendere testimonianza
del metodo di Socrate; inoltre, a giudizio della studiosa, è proprio l'interpretazione maieutica che
permette di cogliere un aspetto rilevante della gnoseologia platonica: “la conoscenza che viene
attinta è sì oggettiva, ma essa, affinché possa essere colta, necessita di un contesto dialogicorelazionale” (p. 30): su questo aspetto Candiotto si soffermerà soprattutto nella sua analisi
dell'Epistola VII, ma si può affermare che l'importanza della dimensione dialogico-relazionale per
un'adeguata comprensione dei dialoghi di Platone, nonché più in generale per la ricerca filosofica e
la pratica della filosofia, costituisce un Leitmotiv, se non il Leitmotiv di tutto il volume. La studiosa,
tuttavia, si discosta in parte dalla lettura maieutica proposta da Gill, in quanto ritiene, a ragione, che
sia troppo attualizzante nel presupporre un intento maieutico che vada oltre il pubblico
contemporaneo a Platone per investire i lettori di ogni epoca e, quindi, anche i lettori di oggi:
Candiotto, pertanto, saggiamente propone una interpretazione maieutica ristretta all'epoca storica di
Platone (vedi in particolare pp. 35-39). A questo proposito la studiosa sottolinea che i dialoghi di
Platone, scritti in un'epoca di graduale trapasso dall'oralità alla scrittura, avevano come destinatari
non dei lettori, bensì degli uditori: erano quindi oggetto di pubbliche letture, non solo nell'ambito
ristretto dell'Accademia, dove l'uditorio era costituito da un pubblico ovviamente amico, ma anche,
come argomenta Candiotto, in ambiti in cui l'uditorio era formato da un pubblico ampio e variegato:
Platone infatti con i suoi primi dialoghi non intendeva soltanto testimoniare, costruire, difendere la
memoria del maestro, ma si proponeva anche di incidere su un pubblico composito, in cui
figuravano uomini con posizioni e ruoli differenti nell'Atene del tempo, spesso tutt'altro che
benevoli nei confronti di Socrate e portati invece a identificarsi con coloro che Socrate andava
confutando. A questo proposito la studiosa sottolinea come nei dialoghi socratici, oltre agli
interlocutori attivi, che dialogano con Socrate, compaiano anche degli uditori; ma oltre a questi
uditori, definibili come “interni”, esistono anche degli uditori “esterni”, costituiti dal pubblico che
assisteva alla lettura dei dialoghi: quindi l'elenchos a cui Socrate sottopone gli interlocutori attivi
(spesso sofisti, politici, retori) finisce per incidere anche sugli uditori interni ed esterni (ed era
ovviamente a questi ultimi che era rivolta l'attenzione di Platone): questa azione, per così dire
indiretta, dell'elenchos viene indicata da Candiotto con il termine di “elenchos retroattivo”3 e senza
dubbio l'individuazione e l'analisi dell'“elenchos retroattivo” costituisce uno dei risultati più
importanti e significativi di tutto il lavoro4. La studiosa insiste, a ragione, sul valore politico che
assume l'“elenchos retroattivo”, in quanto esso diviene lo strumento attraverso il quale Platone
“chiede al pubblico di giudicare non solo l'interlocutore ma anche la società che rappresenta e di cui
il pubblico stesso fa parte” (p. 22).
Nel capitolo successivo Candiotto si propone di illustrare le relazioni che intercorrono tra il dialogo
socratico, la retorica e la dialettica platonica. A giudizio della studiosa, la caratteristica
fondamentale del metodo proprio dei dialoghi socratici è quella di essere un metodo maieutico: la
maieutica socratica è rivolta all'interlocutore e, retroattivamente, agli uditori, interni ed esterni; non
solo: Candiotto sottolinea, a ragione, che la conoscenza maieutica, possibile solo nell'ambito di un
dialogo e di una ricerca comune, non rimane un mero dato di conoscenza ma, proprio perché
partorita dall'interlocutore stesso, tende alla trasformazione di chi è riuscito a coglierla, divenendo
quindi un elemento etopoietico. Ma la conoscenza maieutica richiede una fase preliminare,
2 C. Gill, Le dialogue platonicien, in L. Brisson-F. Fronterotta (éd.), Lire Platon, Paris, 2006, pp. 53-75.
3 Personalmente troverei più appropriata la denominazione proposta da L. V. Tarca nella sua Postfazione, cioè quella
di “elenchos collaterale”, in quanto “evoca più esplicitamente il contesto comunitario e sociale nel quale la
confutazione socratica ha luogo” (p. 251).
4 Anche su questo aspetto vedi L. V. Tarca, Postfazione, p. 251.
l'elenchos, cioè l'esame delle tesi dell'interlocutore e le obiezioni ad esse, la loro confutazione; la
studiosa si sofferma attentamente sui diversi tipi di elenchos, ma la considerazione più interessante
mi sembra data dall'affermazione che l'elenchos non mira semplicemente a cogliere e a smascherare
le contraddizioni logiche presenti nelle tesi dell'interlocutore, bensì a confutare la persona
dell'interlocutore nella sua globalità (quindi nel nesso tra le sue convinzioni e il suo stile di vita)
nonché la società ateniese del tempo. Quanto alla retorica, per Platone esiste una opposizione
radicale tra filosofia e retorica, che rinvia anche alla opposizione tra filosofia e sofistica e, in ambito
politico, tra filosofia e politica democratica; è per altro vero che Platone utilizza la retorica (e, mi
sentirei di aggiungere, con straordinaria abilità), ma, afferma Candiotto con efficace metafora,
operandone una trasfigurazione, nella misura in cui la retorica, il discorso persuasivo, si pone al
servizio della filosofia, del discorso dialettico-dimostrativo. Nei dialoghi socratici, quindi, si
rinviene una utilizzazione positiva della retorica che va a incidere sulle emozioni degli interlocutori
e degli uditori, interni ed esterni, mentre nei dialoghi successivi predomina nettamente, se non
esclusivamente, il metodo dialettico. Merita di essere sottolineata l'attenzione della studiosa per le
componenti emotive che entrano in gioco nei dialoghi socratici, anche se Candiotto, a differenza di
Rossetti (a cui riconosce il merito non piccolo di aver collocato in primo piano il complesso
intreccio di emozioni che caratterizza i dialoghi socratici), ritiene che, se è senz'altro vero che
Socrate fa appello al piano emotivo degli interlocutori, tuttavia questa non è mai la sua unica
strategia né la principale, in quanto essa va comunque a inserirsi all'interno di un processo
maieutico “dove il riconoscimento intellettuale dell'errore e la scoperta della verità gioca il ruolo
principale” (p. 76): ed è proprio la maieutica a costituire “l'orizzonte di senso di tutte le strategie
socratiche” (p. 77). Quanto poi al passaggio dalla forma dialogica socratica alla dialettica, al
passaggio da un Platone socratico a un Platone dialettico, la studiosa sposa sostanzialmente la tesi
della continuità: il Platone socratico e il Platone dialettico hanno in comune non solo l'opposizione
alla sofistica, ma anche e soprattutto un atteggiamento nei confronti della filosofia che richiede la
continua, sistematica messa in discussione di ogni verità raggiunta; questa sostanziale continuità per
altro non implica che Platone non esponesse, all'interno dei dialoghi, determinate verità,
determinati punti di dottrina, il che risultava per lui necessario sia da un punto di vista ontologico e
gnoseologico, sia da un punto di vista pedagogico-politico; d'altro canto, afferma Candiotto, non è
affatto scontato che Socrate, all'interno del metodo dialogico, non avanzasse, seppure in modo meno
esplicito, delle tesi positive: “Dal punto di vista morale, specialmente nei primi dialoghi socratici, è
possibile rinvenire delle tesi positive” (p. 83). Un altro elemento di continuità è poi colto nel fatto
che anche nei dialoghi socratici Socrate cercava di condurre l'interlocutore dal particolare
all'universale, dal sensibile al concettuale attraverso la strategia dell'esempio, anche se non sempre
l'interlocutore si mostrava in grado di seguire Socrate in questo percorso. Quanto all'elenchos, a
giudizio della studiosa, sopravvive anche nella dialettica, ma risulta, per così dire, “disincarnato”,
nel senso che, a differenza di quanto accadeva nel dialogo socratico, prescinde dalla persona
dell'interlocutore e dal suo stile di vita per muoversi a livello concettuale: dialogo socratico e
dialettica, pertanto, sono differenti per quanto riguarda le strategie (soprattutto quelle retoriche),
differenti per quanto riguarda i personaggi coinvolti (vengono meno quasi del tutto i personaggi
storici presenti nei dialoghi socratici e, quindi, diminuisce l'impatto sugli uditori esterni attraverso
l'“elenchos retroattivo”), ma “ a un livello generale, hanno le medesime finalità, in quanto collegate
all'attingimento di una verità necessaria per vivere rettamente” (p. 87).
Nel capitolo seguente, Gli usi della forma dialogica, Candiotto sottolinea e ribadisce, innanzi tutto,
che il metodo di Socrate è sempre contestuale: Socrate mette in atto strategie e modalità diverse in
relazione sia agli interlocutori sia alle finalità che si prefigge: la studiosa intende esaminare i
dialoghi del primo periodo, in cui lo stile dialogico è dato prevalentemente da domande aperte del
tipo “che cos'è?” e la strategia è soprattutto quella elenctica. Inoltre, a proposito degli esiti aporetici
di alcuni dialoghi, Candiotto afferma, a ragione, che l'aporia, lungi dal rappresentare il fallimento
del metodo, costituisce invece il primo necessario passaggio perché l'anima possa intraprendere la
strada che porta a cogliere la verità: questo vale non solo per l'interlocutore, ma anche per gli
uditori, interni ed esterni. Quindi la studiosa si sofferma sugli interlocutori di Socrate e sull'uditorio
dei dialoghi, ribadendo le finalità che Platone si proponeva: finalità di testimonianza e di difesa
della memoria del maestro e, al tempo stesso, finalità pedagogico-politiche nei confronti del
pubblico a lui contemporaneo: la scelta di personaggi contemporanei quali politici, retori e
soprattutto sofisti come interlocutori di Socrate aveva lo scopo “di portare un cambiamento nella
società attuale attraverso un confronto aperto con essa” (p. 109): gli uditori, infatti, che ben
conoscevano quei personaggi, potevano così, grazie all'“elenchos retroattivo”, mettere in
discussione e modificare le proprie convinzioni. Ancora in questo capitolo troviamo, per un nutrito
gruppo di dialoghi giovanili, una serie di catalogazioni: vengono minuziosamente catalogate le
tipologie degli interlocutori di Socrate, le tipologie di strategie impiegate da Socrate, nonché i
contesti spazio-temporali, le modalità espositive, i contenuti; particolarmente importanti e preziose
le catalogazioni delle prime due tipologie, strettamente connesse alle finalità e agli obiettivi dei
dialoghi in questione.
Proprio per illustrare le differenti strategie di Socrate in rapporto alle differenti tipologie di
interlocutori Candiotto affronta poi, nel quarto capitolo, l'analisi di tre dialoghi, il Lachete, il
Carmide e il Gorgia, un'analisi davvero esemplare per il rigore e la lucidità dello sguardo: di
particolare interesse la sottolineatura dell'intrecciarsi nel Gorgia di finalità apologetiche e di finalità
politiche, nonché del fatto che il Gorgia, l'Apologia e tutti gli altri dialoghi socratici che hanno una
finalità apologetica, “conducono alla riflessione politica della Repubblica e all'esigenza di un
impegno politico da parte di Platone” (p. 197).
Il quinto e ultimo capitolo, L'Epistola VII e la pratica dialogica in comunità, verte sulla pratica
dialogica all'interno dell'Accademia e intende sottolineare da un lato la continuità con il metodo
socratico, dall'altro come tale pratica non abbia soltanto una valenza gnoseologica, ma sia connessa
anche a una finalità politica: a tal fine la studiosa prende appunto in esame e analizza attentamente
alcuni passi dell'Epistola VII. Come è noto, nell'Ep. VII Platone narra anche le varie fasi del suo
rapporto con la politica, dalla disillusione nei confronti del governo dei Trenta fino ai suoi tre viaggi
in Sicilia nel tentativo di realizzare quella che Candiotto chiama “la politica buona”. La studiosa
evidenzia come in vista di questo obiettivo Platone percorse vie diverse e convergenti: scrisse
dialoghi che potessero educare gli uditori, fondò una scuola per formare filosoficamente i politici,
tentò di giocare il ruolo di maestro e consigliere di tiranni: un programma che certo Platone non
programmò a tavolino, ma che andò gradualmente maturando in base alle vicende della sua vita e
della sua epoca. Riguardo ai dialoghi, se è vero che Platone li scrisse in primo luogo per
testimoniare la vita di Socrate e per rappresentare la sua opera maieutica, è per altro innegabile che
“successivamente, grazie all'insegnamento socratico, assunse la forma dialogica come espressione
della stessa filosofia, come procedimento di ricerca del vero” (p. 213). Quanto allo stile di vita
filosofico che doveva realizzarsi come pratica all'interno dell'Accademia, esso si fondava su alcune
indicazioni ben precise, opportunamente messe in luce da Candiotto: una scelta di vita che
coinvolgesse tutta la quotidianità; un lavoro in profondità su se stessi; molto tempo da dedicare allo
studio e al confronto con gli altri; una vita in comunità. E' necessario inoltre tenere presente che
l'Ep. VII ha come destinatari i politici del tempo, che dovrebbero mostrarsi sensibili ai consigli dei
filosofi, nonché i giovani aristocratici, in quanto politici del futuro. Candiotto insiste, a ragione, sul
fatto che in Platone esigenze teoretiche e finalità politiche sono costantemente intrecciate e
complementari, e su come la vita teoretica e la vita politica siano entrambe a pieno titolo parte della
vita filosofica; tuttavia la parte più significativa di questo capitolo mi sembra quella dedicata alla
natura della conoscenza filosofica: la studiosa sottolinea da un lato come la conoscenza filosofica
non possa che nascere “da una sinergia tra lavoro su di sé e un lavoro con gli altri, in comunità” (p.
221), dall'altro come la ricerca filosofica e la pratica del filosofare debbano necessariamente
tradursi in un processo di trasformazione di sé e della propria vita. Viene quindi ribadito che non è
un caso che Platone abbia scritto dei dialoghi: “essi rappresentano la viva generazione della
conoscenza filosofica e non valgono solo a livello descrittivo di come quella conoscenza è
avvenuta” (p. 224): è questo uno dei motivi più importanti per cui Platone non ha scritto trattati né
ha presentato una filosofia sistematica, irrigidita in formule definitorie.
Nella sintetica Conclusione la studiosa ricapitola i risultati raggiunti in relazione agli obiettivi
indicati nell'Introduzione: sono state individuate le strategie utilizzate da Socrate a seconda degli
interlocutori; è stata proposta una chiave di lettura chiamata “interpretazione maieutica ristretta ai
tempi di Platone”; è stato evidenziato l'“elenchos retroattivo”; è emersa l'importanza decisiva della
biografia dei singoli personaggi nel determinare l'atteggiamento di Socrate, l'esito del dialogo e le
finalità che si proponeva Platone; si è dimostrato come il contesto di ricerca dialogica permanga in
tutta l'opera di Platone e rappresenti il metodo educativo socratico e platonico, propedeutico al
raggiungimento della conoscenza; infine si è evidenziato come la ricerca dialogica sia finalizzata al
conseguimento di una conoscenza capace di incidere sulla società e di migliorarla. Queste
conclusioni, ribadisce Candiotto, mostrano quanto l'analisi di una serie di aspetti formali (stile,
forma dialogica, drammaturgia) e del contesto socio-politico siano di fondamentale importanza per
la stessa comprensione degli aspetti propriamente filosofici: ed è proprio questa dimostrazione,
condotta in modo sistematico ed esauriente nel corso di tutto il lavoro, a costituirne uno dei meriti
più rilevanti.
Infine devo dire che ho apprezzato in modo particolare la breve Appendice, relativa al dialogo
socratico contemporaneo, posta a conclusione del volume: non soltanto per le osservazioni, corrette
e condivisibili, sulle differenze tra il dialogo socratico antico e il dialogo socratico attualmente
praticato in diversi ambiti (dialogo che, proprio in base a tali differenze, sarebbe forse più
opportuno chiamare “di tipo socratico”), ma anche e soprattutto per il riferimento autobiografico
alla propria esperienza di pratica filosofica nei seminari tenutisi nell'università di Venezia, in una
felice simbiosi di razionalità e di componenti emotive che sembra appunto richiamarsi al dialogo
socratico e segnare una sorta di continuità con l'antico filosofare di Socrate nell'agorà e nelle vie di
Atene e con la comunità filosofica a cui Platone diede vita nell'Accademia.
Fiorenza Bevilacqua
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