StMor 44 (2006) 489-505 JASNA ĆURKOVIć TRA MEMORIA ED OBLIO ALCUNI ASPETTI ANTROPOLOGICI ED ETICI NELLA COSTRUZIONE DELL’IDENTITÀ Provato duramente dal proprio passato, V. Frankl ha avuto ragione nel ritenere che il passato o l’essere-stato sia “la forma più sicura d’essere”. Il futuro non è ancora, il presente ci sfugge costantemente trasfigurandosi in passato, quindi, effettivamente, solo il passato “esiste”. Quanto detto vorrebbe esprimere il nocciolo del tema scelto, nel dire a tal proposito che il passato è un qualcosa di posseduto, di utilizzabile e sfruttabile, che, a sua volta, tramite la capacità umana di memorizzare e materializzare negli atti, diventa il presente e dirige l’avvenire. L’articolo in questione si prefigge lo scopo di intravedere i meccanismi della memoria, i cosiddetti “dispositivi” che fanno parte del processo di formazione dell’identità. Quest’ultima, forgiata sulla base dei ricordi, condiziona il nostro agire, ovvero l’esercizio della memoria, ma non ciecamente (salvo che si tratti dell’inconscio) e senza il nostro consenso. È proprio, quindi, nell’esercizio che risalta la dimensione etica della memoria che coinvolge la capacità umana di rispondere autonomamente ai ricordi. Il discernimento etico, però, esige una riflessione sui presupposti psicologici ed antropologici che spiega lo sviluppo e il funzionamento della memoria, sia individuale che collettiva. Considerati tutti questi aspetti, apparirà chiaramente come la memoria possieda una natura dinamica e volubile, sottomessa alla costruzione, alla selezione e alla trasformazione. Ragione per cui, talvolta, assume una connotazione negativa, di cui sono concreta espressione gli abusi, le manipolazioni, e, di conseguenza, le violenze. Sia l’inconscio individuale e collettivo, sia l’interesse di potere ed i desideri personali, sia lo stile di vita e la cultura postmoderna, sono fattori che rendono assai complesso l’esercizio della memoria e ne ostacolano l’impostazione etica. Un’etica che, a mio avviso, deve essere in grado di fronteggiare un determinismo storico, un comparativismo relativista e 490 JASNA ĆURKOVIĆ un’amnesia culturale, cioè senza cancellazione e alcuna prigionia della memoria, ed evolversi in una solidarietà ed esemplarità dei ricordi con un diritto di poter ricominciare. Si è, dunque, chiamati affinché “sull’altare degli antenati, conserviamo la fiamma e non la cenere!” (J. Jaurés). 1. Le note preliminari sulla memoria Filosoficamente parlando, la memoria sembra rilevarsi come un lutto per la realtà passata psicologicamente ancora presente nella memoria, ma oggettivamente non più esistente. Per dirla in parole più semplici, la memoria sarebbe un passato presente ovvero passato presente in modo differente. Dietro questo meccanismo della reintegrazione del passato, sembra ci sia una “negazione della perdita, e cioè un artificio tendente a ripristinare uno stato presente in cui viviamo, a cui, per la terribile forza del divenire, sia stato rubato qualcosa”1. Questo tentativo della memoria di opporsi al passare del tempo che spietatamente cancella l’essere-stato o il passato, chiama in causa tre concetti tra loro collegati: identità, costruzione, oblio. La tesi incipiente di questo lavoro: attraverso memoria ed oblio, entrambi collettivi ed individuali, si costruisce la propria identità, sarà messa in evidenza in questi primi passi, per poi portarci alla tesi successiva: l’agire morale presuppone un’identità (un sapere di sé), costruita sulla base della memoria. Questo perché l’identità si esprime sempre attraverso l’agire, tra cui quello morale. Sicché, sulle pagine successive non ci occuperemo tanto dell’agire di un soggetto, quanto dei suoi presupposti, ossia, dei meccanismi che precedono questo agire, e che sono anche loro certe azioni che, per alcuni versi, soggiacciono al giudizio morale. Ancora una volta, non c’interessa tanto un’identità che agisce, bensì l’agire che informa un’identità. 1.1 Memoria ed identità La capacità di avere un’immagine dell’altro e l’essere in grado di “capire” la sua memoria, la sua identità e le ragioni A. CAVICCHIA-SCALAMONTI – G. PECCHINENDA, La memoria consumata, Ipermeduim libri, Napoli 1997, 70. 1 TRA MEMORIA ED OBLIO 491 della reciproca differenza è un tema importante che riguarda la convivenza di diverse memorie/identità in un mondo globalizzato. La memoria è una premessa necessaria dell’identità, poiché le persone elaborano la propria identità e costruiscono un progetto coerente di sé, a partire dall’interpretazione dei propri ricordi e delle proprie intenzioni. La chiarezza riguardo al proprio io si può acquistare solo nella chiarezza della propria storia, sia personale che collettiva. Ogni qualvolta ci si domanda chi siamo, emerge l’intreccio tra memoria, oblio ed identità, poiché l’individuo ricorre al gruppo a cui appartiene e il gruppo ricorre alla memoria/oblio del suo passato per identificarsi e così radicarsi. Non è necessario che l’individuo faccia esperienza diretta del passato collettivo, ma già il mero “sapere” dei fatti cambia la percezione individuale del mondo2. La memoria è un fattore dell’identità, ma ne è anche la sua espressione, perciò responsabile della creazione d’identità in una duplice azione: “sia nel senso che la memoria è ciò che permette a un soggetto di riconoscersi ‘lo stesso’ nel corso del tempo, sia nel senso che l’identità è il selettore che fa privilegiare al soggetto certi ricordi piuttosto che altri”3. Siccome si costruisce nel corso del tempo, l’identità deve contare sull’imprevedibilità del tempo e perciò non si fissa in modo definitivo, ma è in continuo divenire. Il suo sviluppo dipende anche dall’ambiente sociale e dai processi comunicativi, cosicché si ricostruisce continuamente secondo il contesto e le opportunità e, perciò, ostenta aspetti stabili e aspetti mutevoli. Come ha mostrato la psicanalisi, la memoria è capace di conservare le tracce di ciò che non è stato incorporato nello stato della coscienza ed è sfuggito ai processi sociali di costruzione dell’identità. Legare, quindi, in modo troppo lineare la memoria 2 Cfr. H. HIRSCH, Genocide and the Politics of Memory. Studying Death to Preserve Life, Chapel Hill, London 1995, 135-136. Mentre gli individui si ricordano del proprio passato nel senso di sapere ciò che è accaduto, l’espressione della memoria collettiva si accosta di più al credere che al conoscere. Cfr. A. MARGALIT The Ethics of Memory, Harvard University Press, London 2004, 59. 3 P. JEDLOWSKI, Memoria, esperienza e modernità. Memorie e società nel XX secolo, Franco Angeli, Milano 2002, 52. 492 JASNA ĆURKOVIĆ all’identità, può far dimenticare che la memoria è anche ciò che può contraddire l’identità che l’individuo cerca di assumere, soprattutto, quando entrano in gioco i traumi subiti, ma socialmente difficili da incorporare in una società. La memoria e l’identità, dunque, mostrano una carica critica e destabilizzante, per cui l’intreccio tra loro non può che risultare complesso e arduo da gestire. 1.2 Memoria come ricostruzione Il significato della memoria si attesta su due idee principali: è una sorta di deposito delle informazioni e soprattutto una rete di capacità, attività e di funzioni. A differenza della storiografia, la memoria non è un registratore fedele della realtà, ma una sua interpretazione e una provvista dei significati del passato, per cui è sempre attiva e dinamica e, quindi, sottoposta alla continua trasformazione. I fatti accaduti sono incancellabili, ma il significato attribuito ad essi non lo è. Sia la memoria individuale sia quella collettiva sono organizzate in maniera prospettica, cioè entrambe non sono regolate su una totale completezza, ma poggiano su una scelta o selezione. Lo psicologo inglese Bartlett per primo mise in luce che la presenza di questi criteri selettivi fa sì che i nostri ricordi non siano una replica delle nostre esperienze, ma una loro rielaborazione, vale a dire non sono copie di un originale, ma fenomeni flessibili, costruiti in contesti variabili e quindi modificabili per principio4. Col passare del tempo, la memoria elabora, seleziona, trasforma ed interpreta il passato, avvalendosene in modo tale da adattarlo alla situazione presente. Il passato e i suoi contenuti vengono sottoposti ad una continua revisione o per dirla con Freud, ad una “trascrizione”, condizionata dagli interessi del presente e che tralascia spesso la domanda sul senso originario dell’evento5. In questo processo anche il futuro Cfr. T. GRANDE, Il passato come rappresentazione. Riflessioni sulle nozioni di memoria e rappresentazione sociale, Rubbettino Editore, Messina 1997, 23-28. 5 Cfr. J. STRAUB – C. KÖLBL, “Posteriorità” in Dizionario della memoria e del ricordo, a cura di N. Pethes - J. Ruchatz, Mondadori, Milano 2002, 429. Soprattutto quando si tratta di eventi traumatici i quali possono dispiegare 4 TRA MEMORIA ED OBLIO 493 subisce l’influenza normativa del passato. La memoria individuale si sviluppa a partire dall’esperienza di appartenenza ad un gruppo e in base all’insegnamento ricevuto dagli altri. La storia s’interpreta attraverso gli schemi conoscitivi e comunemente condivisi e per questa ragione essa entra a far parte della memoria già modificata. Sulla scia di Bartlett che ha condotto lo studio psicologico della memoria verso il sociale, il sociologo francese M. Halbwachs è stato il primo a dedicarsi per eccellenza al fenomeno memoria collettiva6 e così facendo, ha sottratto il tema della memoria ad un approccio esclusivamente individuale. Secondo Halbwachs la memoria è decisamente un fenomeno sociale che si sviluppa attraverso l’impulso di stimoli esterni e si costituisce grazie al linguaggio, all’azione, alla comunicazione e ai legami affettivi nella vita sociale7. Non esiste una memoria individuale che non sia intrecciata nei quadri sociali che ne consentono l’utilizzo come forma comunicabile di conoscenza del passato. Si attinge dalla memoria culturale per costruire i propri ricordi e ogni ricordo individuale comporta un aspetto sociale ineliminabile che riguarda tanto i processi di sedimentazione degli eventi del passato nella coscienza, quanto quelli della loro conservazione e trasmissione. Il fatto che sia legata ad una dimensione sociale, concede alla memoria la possibilità di essere ricostruita attraverso la collettività. Il passato è una costruzione, un’immagine collettiva elaborata nel presente e per il presente e deriva sempre dalle categorie di pensiero, dagli interessi e dagli affetti che agiscono nel presente. Pertanto, sostiene Halbwachs, nella memoria il passato non è mai accessibile in modo diretto e non è mai con- un influsso che non ha più alcun rapporto con le circostanze che “originariamente” lo hanno provocato a grande distanza di tempo dal momento in cui è accaduto, senza esserne consapevoli. Cfr. P. MONTESPERELLI, Sociologia della memoria, Laterza, Roma-Bari 2003, 86-104; AA. VV. Trauma. Explorations in Memory, a cura di Cathy Caruth, The Johns Hopkins University Press, Baltimore-London, 1995. 6 M. HALBWACHS, La memoria collettiva, Unicopli, Milano 1987; ID., I quadri sociali della memoria, Ipermedium libri, Napoli 1996. 7 Cfr. J. ASSMANN, “Halbwachs, Maurice” in Dizionario della memoria…, 234-235. 494 JASNA ĆURKOVIĆ servato in modo definito, e nessuna memoria, dunque, può essere considerata fedele al vissuto, ma rimane solo ciò che in ogni epoca, la società, lavorando sulle sue strutture attuali, è in grado di ricostruire. Per Halbwachs il passato, quindi, non è accessibile se non attraverso un processo di ricostruzione8. 1.3 Oblio come componente della memoria Nel lavoro in cui i dispositivi della memoria intraprendono nel creare un’identità, non si può sottovalutare né tralasciare il ruolo e l’importanza dell’oblio. La memoria è una rappresentazione del passato ottenuta attraverso il ricordo da un lato e l’oblio dall’altro, cioè si tratta di assumere certi eventi passati e di rimuoverne altri. Malgrado la psicoanalisi e la psicologia in generale affermino che non ci sia una dimostrazione che un evento sia stato del tutto dimenticato9, eppure si deve dire che 8 Cfr. M. HALBWACHS, La memoria collettiva..., 79-122; T. GRANDE, Il passato come rappresentazione…, 18-23; P. CONNERTON, Come le società ricordano, Armando Editore, Roma 1999, 43-47. 9 Cfr.B. VATERRODT-PLÜNNECKE, “Oblio” in Dizionario della memoria..., 393-396. Anche se Freud non si dedicò per eccellenza all’argomento della memoria, eppure fu una delle sue tesi più salde nell’affermare che il passato provato è indistruttibile. La tesi che niente sarebbe dimenticato non vuole negare l’oblio in linea di principio, ma piuttosto dire che ciò che è dimenticato viene pensato come ancora “presente”, anche se necessariamente non disponibile. Quello che non è mai stato cosciente, non può essere dimenticato perché non è mai stato ricordato. Dal punto di vista psicoanalitico, ciò che dimenticato perché rimosso non sfugge alla coscienza perché l’individuo vi è indifferente e non più legato emotivamente, ma al contrario, l’oblio è un meccanismo di difesa che tende ad allontanare dalla memoria di una persona i vissuti troppo angosciosi, umilianti e traumatizzanti da accettare. Ciò che è stato rimosso non viene perduto, ma solo non disponibile e continua ad agire per vie traverse e travestimenti, manifestandosi talvolta in atti mancati come lapsus verbali e di scrittura, fino al momento in cui riesce nuovamente a irrompere nel campo della coscienza. Non si può dire perciò che esiste l’oblio come la cancellazione, ma solo l’oblio come il seppellire dei ricordi o la messa al bando delle informazioni inaccettabili. Cfr. S. FREUD, Ricordare, ripetere e rielaborare, in ID., Opere 1912-1914, vol. 7., a cura di C. L. Musatti, Boringhieri, Torino 1977, 353-361; Cfr. B. BOOTHE – J. STRAUB, “Freud, Sigmund” in Dizionario della memoria..., 215-217. TRA MEMORIA ED OBLIO 495 l’oblio svolge una funzione cooperatrice nella costruzione della memoria e abbia un ruolo persino protettivo dei processi psichici quotidiani. Esso entra in gioco ogni qualvolta si parli della memoria ed appare indispensabile, poiché semplicemente per il recupero del remoto passato, si è costretti a dimenticare il passato recente. Per dirla con l’antropologo francese Augé, “i ricordi sono come le piante: alcuni vengono eliminati rapidamente per aiutare gli altri a sbocciare, a trasformarsi, a fiorire”10. Le memorie collettive e quelle individuali non archiviano qualsiasi fatto, ma solo ciò che risulta importante, utile e ciò di cui si è più emotivamente coinvolti. Per di più, l’oblio ci protegge da una pericolosa sovrabbondanza delle informazioni, per questo riveste un ruolo nel processo istintivo di auto-protezione per cui noi tendiamo a generare meccanismi di difesa per proteggerci dall’eccesso di stimoli. Il più delle volte lo svuotare la memoria, piuttosto che riempirla, è la condizione necessaria per conservare la propria efficienza. L’idea paradossale per quanto riguarda l’oblio, mostra che esso può essere così strettamente implicato con la memoria, da poter essere ritenuto come una delle sue condizioni ed anche una sua componente appartenente11. Si può, quindi, definirlo come uno dei dispositivi della memoria, uno degli strumenti necessari per lo sviluppo dell’identità, cioè positivo abbandono di una certa esperienza in vista dell’abbraccio della nuova. 2. Le inquietudini della memoria Dopo aver chiarito la cosiddetta “dialettica temporale”, per cui gli effetti del passato, sia consci che inconsci, condizionano il presente che contemporaneamente dà forma al passato, ora bisogna vedere come, in prassi, si svolge l’esercizio della memoria, soprattutto, quando l’uso della memoria si converte in abuso, cioè quando le memorie, invece di servire la pace, suscitano la violenza. Poiché la memoria non è un fatto constante e 10 M. AUGÉ, Le forme dell’oblio. Dimenticare per vivere, Il Saggiatore, Milano 2000, 29. 11 Cfr. P. R ICOEUR , La memoria, la storia, l’oblio, Raffaello Cortina Editore, Milano 2003, 607; M. AUGÉ, Le forme dell’oblio..., 11. 25. 496 JASNA ĆURKOVIĆ fidabile, ma dinamico e in continua costruzione, dato che essa poggia su una scelta e fa una selezione, avverte il pericolo d’essere interpretata a partire dalla volontà dell’interprete. La propria immagine si accorda anticipatamente con i pensieri dominanti e determinati scopi pratici, sia personali sia collettivi, e si tende a fare in modo che tale memoria diventi socialmente accettabile12. Mentre la memoria individuale esegue una selezione in base ai suoi legami emotivi a livello inconscio, quella collettiva, invece, in base ai legami con gli interessi del potere attuale, in modo intenzionale13. 2.1. La dimensione affettiva La memoria individuale appare filtrata attraverso l’esperienza del contesto sociale in cui viviamo e attraverso le emozioni e i desideri. Non solo la ragione, ma anche le emozioni morali ispirano il nostro comportamento morale e lo fanno attraverso la loro esperienza ma anche attraverso il modo in cui loro si ricordano14. Mentre da una parte la psicoanalisi ha trascurato le condizioni sociali rispetto alla memoria, Halbwachs, a sua volta, mentre ha sottratto la memoria dall’approccio individuale, nello stesso tempo ha trascurato l’apporto della psicoanalisi e la dimensione affettiva, in quanto inconscia e a-sociale nella costruzione della memoria collettiva. Halbwachs ritiene che la memoria collettiva attraverso la componente affettiva rafforzi sia l’accento della realtà di questa memoria sia il suo carattere normativo, tralasciando, però, la capacità della memoria di Cfr. H. HIRSCH, Genocide and the Politics of Memory..., 109-122. Ci si aspetta questo, dato che le istituzioni e le collettività non dispongono di una memoria come le memorie individuali, poiché mancano di ciò che corrisponde al fondamento biologico e alla disposizione antropologica del ricordare. La differenza sta nel fatto che le istituzioni e le entità non hanno una memoria, ma se ne fanno una e si servono a questo proposito di segni e simboli, testi, immagini ecc. Attraverso questa memoria loro si ‘fanno’ anche un’identità. Cfr. A. A SSMANN , “Memoria collettiva”, in Dizionario della memoria…, 315. 14 Cfr. A. MARGALIT, The Ethics of Memory…, 109. 12 13 TRA MEMORIA ED OBLIO 497 conservare le tracce di ciò che è sfuggito ai percorsi della socializzazione15. Ciò che non era in grado di incorporarsi nella memoria sociale è pur sempre una “storia vivente” che condiziona il comportamento e l’atteggiamento morale. Se da una parte questa dimensione affettiva risulta ineluttabile per la trasmissione dei ricordi da una generazione all’altra (si trasmette ciò di cui si è legati più emotivamente), dall’altra parte le emozioni, anche se sorreggono la memoria, possono incrinarla (il dolore è propenso a svisare i fatti – “false memory syndrome”16). È stato osservato anche che la coscienza delle comunità che hanno vissuto momenti drammatici è più profondamente forgiata dalla memoria, a differenza di chi hanno subito sciagure solo periodicamente17. Più un fatto è sfavorevole, più è caricato emotivamente e perciò più ricordato, cosicché la memoria nel medesimo caso diventa automaticamente più ossessiva e soggettiva, e conseguentemente il rischio dell’abuso diventa più elevato. Talvolta, proprio in ragione del suo essere vittima e dell’inondazione dei ricordi agghiaccianti, il soggetto può giustificare le sue reazioni amorali apportandole una spiegazione persuasiva. Se la sofferenza ha distrutto o messo in crisi i suoi valori morali, il soggetto si sente autorizzato a non rispettare le norme morali18. Perciò, perché tendenziosa e non Cfr. P. JEDLOWSKI, Memoria, esperienza, modernità…, 58. Questo concetto ci colloca all’interno dei processi di ricostruzione e viene sviluppato a partire dagli anni 30 in America in connessione con gli abusi sessuali subiti nell’infanzia. Indica le differenze tra le esperienze (input) e i loro ricordi (output), che coincidono con una perdita di informazione o una distorsione. Il cambiamento che apporta la falsificazione viene messo in relazione con i fattori che accadono successivamente, e che fanno sì che l’individuo alteri o dimentichi l’esperienza come accaduta. 17 Cfr. J. BLENKINSOPP, “Memory, Tradition, and the Construction of the Past in Ancient Israel” in Biblical Theology Bulletin 3 (1997) 76-82. 18 Lo stesso accade a livello collettivo, cosicché molti popoli, per il fatto di aver sofferto, hanno inciso nell’immagine di sé stessi la possibilità di lamentarsi e di protestare, servendosi della retorica di vittime, perché possano trarre dei vantaggi politici e morali e sottrarsi alle leggi internazionali. Il passato si usa per riaccendere le sofferenze e così istigare la vendetta. A tale scopo spesso si avverte la tendenza di voler amplificare le proprie vittime, perché si possa ricevere un risarcimento e un credito inestinguibile per l’offesa subita. Più sembra che l’offesa in passato sia stata più profonda, e 15 16 498 JASNA ĆURKOVIĆ fidabile, la componente affettiva gioca un ruolo importantissimo, ma conflittuale nel come gestire i ricordi. 2.2 La dispersione della memoria o “la memoria in briciole”19 Nell’ultimo secolo la memoria sul piano collettivo ha subito cambiamenti notevoli spesso politicamente incoraggiati. Un ventaglio vasto di regimi è giustamente stato accusato di sopprimere e violentare la memoria, fornendo lo spunto o la copertura per ogni genere di contrapposizioni o di conflitti20. I cosiddetti “assassini della memoria” cercavano di eliminare le persone o interi popoli (Armeni, Ebrei...) prima moralmente, e poi anche fisicamente21. Il rovesciamento dei sistemi totalitari, di conseguenza, ha comportato una vera e propria riscrittura del passato collettivo. Mentre dette accuse venivano indirizzate verso i sistemi totalitari e i poteri coercitivi, si tralasciava la consapevolezza di quanto le democrazie liberali avessero contribuito alla disper- più esaustivi saranno i diritti nel tempo presente. In questo caso la memoria sembra avere poco a che fare con la verità e si tratta piuttosto della memoria fittizia che ha lo scopo di reggere alcuni atteggiamenti o una certa identità. Cfr. P. BRUCKNER, La tentazione dell’innocenza, Ipermedium libri, Napoli 2001, 183-184. 19 Cfr. D. HERVIEU-LÉGER, Religione e memoria, Il Mulino, Bologna 1996, 197-201. 20 Cfr. M. B ETTINI , “Sul perdono storico. Dono, identità, memoria e oblio” in Storia, verità, giustizia. I crimini del XX secolo, a cura di Marcello Flores, Bruno Mondadori, Milano 2001, 34. Basta pensare al conflitto tra Hutu e Tutsi in Ruanda. Bisogna dire che loro non appartenevano alle etnie realmente diverse, ma furono i missionari e i funzionari europei che li interpretarono come due popoli differenti. Così Tutsi e Hutu sono stati “etnicizzati” dagli europei e si combattevano sulla base di un’identità e una memoria del passato posteriormente costruita sulle loro spalle. Per una comprensione migliore vedi soprattutto il capitolo “Memorie etniche in Ruanda” in U. FABIETTI – V. MATERA, Memorie e identità. Simboli e strategie del ricordo, Gli Argonauti, Roma 2000, 165-172. Vedi anche: U. FABIETTI, L’identità etnica, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1998, 162. 21 P. ROSSI, Il passato, la memoria, l’oblio, Il Mulino, Bologna 2001, 2434. TRA MEMORIA ED OBLIO 499 sione della memoria in modo forse meno diretto e brutale, ma più efficace. “Precipitati in un consumo sempre più veloce delle informazioni, noi saremmo destinati sempre alla loro più veloce eliminazione (…). La memoria, in questo caso, sarebbe minacciata non tanto dalla mancanza delle informazioni, ma piuttosto dalla loro sovrabbondanza”22. La nostra società così oggi appare caratterizzata da una sorta d’invasione del presente e, conseguentemente, da una perdita della capacità di produrre non-contemporaneità o del valore sociale delle categorie temporali del passato e futuro. Secondo alcuni studiosi “sarebbe avvenuto un abbassamento dell’orizzonte delle attese ed emerge la cultura del narcisismo, in cui è prevalsa quella che dagli studiosi americani viene definita la now generation” 23. Questo estremo schiacciamento del presente, la cosiddetta “tirannia del presente”, è una delle caratteristiche più indicative della postmodernità. Interessa il presente e ciò che può essere esperito, sfruttato e goduto nell’immediatezza. Tutto ha breve respiro. Questa immediatezza o la ristrettezza di tempo sembra connotare anche i rapporti con lo spazio, sempre più ridotto e chiuso nei suoi orizzonti. L’individualismo (la memoria di una sola vita) e la comunicazione con l’incremento costante delle immagini portano sempre più alla diffusa dimenticanza. La condizione contemporanea trasmette l’impressione che nel futuro la traduzione dell’analogico nel digitale possa decretare la scomparsa della memoria sociale, in pratica chi “verrà digitalizzato sarà ricordato, chi resterà analogico sarà dimenticato”24. Così sembra che i contenuti affettivi della memoria che ci legano al nostro passato non saranno più indispensabili né rilevanti per la trasmissione della memoria, visto le mnemotecniche a disposizione. Nello stesso tempo queste nuove tecniche dell’immagazzinamento delle informazioni sulla base informatica hanno reso possibile un’illimitata possibilità di raccolta dei dati, e perciò impongono l’interrogativo sulle forme di discernimento e strutturazione del ricordo. Senza un discernimento, 22 T. TODOROV, Gli abusi della memoria, Ipermedium libri, Napoli, 2001, 23 A. CAVICCHIA-SCALAMONTI – G. PECCHINENDA, La memoria consumata…, 24 U. FABIETTI – V. MATERA, Memorie e identità…, 16. 32. 78. 500 JASNA ĆURKOVIĆ questa crescita sarà tale da generare facilmente effetti di sterilizzazione emotiva o d’irrilevanza cognitiva in ragione del suo stesso eccesso. Qualora sia vero quanto dice Halbwachs, che non esiste un bergsoniano “ricordo puro” e che ogni ricordo è un qualcosa di forgiato dalla collettività, ci si chiede come conservare la memoria e l’identità nell’epoca moderna dove il mutamento diventa quasi una norma e dove i media a sua volta, producono una crescita immensa delle memorie sociali e comuni. Poiché l’individuo si trova entro la società caratterizzata da una pluralità di memorie e, perciò, dinanzi ad una molteplicità di sguardi sul passato, ci chiediamo: Come aderire ad una memoria collettiva? E quali criteri tale memoria dovrebbe rispettare? 3. L’uso della memoria – verso un’etica Visto che la memoria è un fenomeno di carattere ri-costruttivo e perciò instabile, giustamente ci si pone la domanda: è possibile stabilire un’etica là dove i meccanismi inconsci e le emozioni abbaglianti, quali non possono essere moralmente valutati, giochino un ruolo importante? Sosterrei che a causa, appunto, di tutte queste ragioni si dovrebbero proporre le coordinate di un’etica che non soffochi la memoria, qualsiasi sia il suo contenuto, ma che piuttosto controlli il suo esercizio. Tenterò di accostarmi a tal etica attraverso le due seguenti domande25: 1. Il ricordo è un diritto o un dovere etico? 2. Quali criteri deve seguire nella sua interpretazione? 1. Il diritto di scoprire il proprio passato e di avere una relazione con esso entra nel quadro della libertà umana di pensiero per cui esso non si può negare a nessuno. Proprio perché un diritto, ognuno può liberamente ricordare e commemorare certi eventi passati, tralasciando gli altri, facendo una sua selezione propria. Imporre un ricordo per il dovere sembra che significhi violentare questo diritto. Ma, la cosa è ben diversa se gli avvenimenti vissuti dall’individuo o dal gruppo sono di natu- In questa sede non c’è lo spazio sufficiente per discutere altri concetti etici connessi alla memoria, il che sarebbe auspicabile per uno studio più esaustivo. Tra loro, spicca soprattutto il tema del perdono. 25 TRA MEMORIA ED OBLIO 501 ra eccezionale o tragica. In tale caso “questo diritto diventa un dovere: quello di ricordare e di testimoniare”26. Ad esempio, dimenticare chi ha subito delle violenze significa mancare di giustizia27, dimenticare gli uccisi sarebbe come se loro fossero uccisi per la seconda volta, vale a dire simbolicamente. Si evidenzia pertanto che vi siano casi in cui “il punto centrale non è tanto l’antitesi tra memoria e oblio, quanto tra giustizia e ingiustizia, tra verità storica e forme istituzionali d’istigazione all’amnesia (se le vittime a distanza di venti anni stanno ancora aspettando la giustizia, la richiesta di dimenticanza appare irragionevole e immorale)”28. Questo “dovere di memoria” rende conto di tutte le tre categorie temporali, per evitare che insieme alla commemorazione dei massacri di ieri, nel contempo accada un’indifferenza totale per quelli quotidiani. L’eccessivo culto della memoria o “il tumulto della memoria” potrebbe, anche se non intenzionalmente, “generare una sterilizzazione delle emozioni e favorire una de-responsabilizzazione nei confronti del presente e del futuro o distogliere l’attenzione da altre memorie inquietanti”29. Bisogna però sempre tener presente che la preoccupazione per il passato viene veicolata in un quadro globale del dovere, della responsabilità e della solidarietà. Casomai si perdesse la facoltà della memoria, sia personale che collettiva, ineluttabilmente si è soggetti al decisionismo, perché le decisioni non sorgono sul terreno della responsabilità, che presuppone legami stabili, fondati storicamente, ma sulla capacità persuasiva di parole e 26 T. TODOROV, Gli abusi della memoria..., 34. Si tratta di un dovere che entra più nell’etica delle virtù (Aristotele) e meno nell’etica dell’obbligo (Kant). Cfr. A. MARGALIT, The Ethics of Memory…, 83. Secondo Ricoeur si deve estrapolare dai ricordi traumatizzanti il valore esemplare che rovescia la memoria in progetto, e che conferisce al dovere di memoria la forma del futuro e del imperativo. Cfr. P. RICOEUR, La memoria, la storia, l’oblio..., 126. 27 Molti studiosi hanno cercato di mettere in relazione la memoria e la giustizia. Si arriva persino a dire che “il contrario dell’oblio non è la memoria, ma la giustizia”. Cfr. A. L. TOTA, “L’oblio imperfetto” in AA. VV., Il linguaggio del passato. Memoria collettiva, mass media e discorso pubblico, a cura di M. Rampazi e A. L. Tota, Carocci, Roma 2005, 63. 28 Ibidem. 29 P. JEDLOWSKI, Memoria, esperienza e modernità..., 113; ID., “Media e memoria” in AA. VV., Il linguaggio del passato..., 36. 502 JASNA ĆURKOVIĆ immagini che coincide con la sfera emotiva legata all’istante30. 2. Gli avvenimenti non rivelano mai da soli il loro senso, poiché i fatti non sono trasparenti, e per insegnarci qualcosa, hanno bisogno d’essere interpretati. La provvisorietà e l’ambiguità dei ricordi richiedono un attento studio sull’interpretazione e sui criteri che devono sorreggere l’esercizio della memoria, richiedono cioè una pedagogia della memoria. Poiché la memoria costruisce l’identità di una comunità, è importante rammentare che tale interpretazione deve necessariamente essere orientata dalla ricerca, non solo della verità, ma soprattutto del bene, e ciò comporta la sovrapposizione dei due criteri. 2.1 Il primo criterio si riferisce all’ambizione epistemologica e veritativa per cui i ricordi devono essere veraci, cioè le immagini nella mente, la narrativa e la realtà effettivamente accaduta devono corrispondere. L’obbligo di ricordare correttamente è solo una parte dell’obbligo morale più vasto – dire la verità o “non dire la falsa testimonianza”. Infatti, ciò che non è consono alla verità, non è, affatto, un ricordo, mentre in pratica ricordare il falso significa essere in procinto di agire ingiustamente. Se ci associassimo a quanto è stato detto da Halbwachs che non ci sia “il ricordo puro”, ma soltanto i ricordi in parte consoni alla verità, apparirebbe ovvio che l’interpretazione del passato non si possa fondare sul criterio epistemologico, anche perché incompleto. Com’è già stato suggerito, i ricordi non sono una copia dell’accaduto, ma la sua interpretazione a distanza e quindi questa interpretazione, anche se basata sul passato, si riferisce al presente e al futuro ai quali tende a dare una base salda, e, perciò esige una ricerca del significato dei fatti allo scopo di progettare il bene comune per il presente/futuro31. In parole semplici, del passato si serve affinché si voglia comprendere meglio il presente e preparare meglio il futuro, e non per una conquista dei lasciti che poi 30 Cfr. D. B O N H O E F F E R , Responsabilità e memoria, www.minerva.unito.it/Rubriche/EpistemologiaEtica.htm 31 “Stabiliti i fatti, sarà necessario valutare il loro valore spirituale e morale, come pure il loro significato obiettivo. Solo così sarà possibile evitare ogni sorta di memoria mitica e accedere ad un’adeguata memoria critica…” Cfr. COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato, Paoline, Milano 2000, 93. TRA MEMORIA ED OBLIO 503 vanno messi in uno scaffale impolverato. 2.2 Il criterio epistemologico, ovvero il principio che la verità da sola ci può soccorrere a vivere in comunione, si basa sul paradigma di cosiddetta “memory-prison” e non prende in considerazione la “pragmatica della memoria”32. La sola esigenza, quindi, di ricordare il passato non ci dice ancora quale sarà l’uso che il soggetto ne farà, per cui all’approccio cognitivo si deve aggiungere l’approccio pratico. L’identità, anche se si avvale della memoria, non è assolutamente condizionata dai ricordi, ma comprende la possibilità di rispondere liberamente ai ricordi. Le persone con le esperienze simili possono dare un significato degli eventi del tutto diverso e trarre una lezione completamente diversa. La memoria della sofferenza in una persona può aumentare la sensibilità e l’apatia verso gli altri, mentre in un’altra può rafforzare l’avversione e lo spirito vendicativo33. Quando si afferma, quindi, che la storia sia una lezione per l’avvenire, il significato di ‘lezione’ in quanto ‘protezione’ può variare, cosicché, talvolta, lo scudo dalla sofferenza e dalla violenza diventa la spada nelle nostre mani 34. Il problema scottante, quindi, è come utilizzare la memoria al servizio del bene comune e proprio, vale a dire, come prospettare in modo più veritiero possibile tutto il dramma della memoria, ricavandone un significato positivo affinché si possa vivere insieme, malgrado le memorie. Nella riflessione sui criteri che permettono di distinguere l’uso buono dall’uso cattivo del passato, possiamo avvalerci dell’apporto di T. Todorov, in merito ad una distinzione tra la riscoperta del passato e la sua susseguente utilizzazione in cui 32 M. VOLF, “Istinitost, terapija, egzemplarnost” (Verità, terapia, esemplarità) in Kršćanstvo i pamćenje. Kršćansko pamćenje i oslobođenje od zlopamćenja (Cristianesimo e memoria. Memoria cristiana e liberazione dal rancore), Hrvatski caritas - Franjevaćki institut za kultura mira, SplitZagreb 2004, 230. 33 Qualora si desse uno sguardo alla letteratura sulle memorie traumatiche, purtroppo ci si accorge che chi ha subito gravi lesioni e violenze, è più propenso a ripetere gli atti di violenza che ostruirli. 34 Perché la memoria diventi “lo scudo della sofferenza” è una proposta di E. Wiesel che ha attribuito alla memoria il ruolo della redenzione e della salvezza. Cfr. E. WIESEL, From the Kingdom of Memory: Reminiscences, Schocken Books, New York 1990. 504 JASNA ĆURKOVIĆ l’avvenimento recuperato può essere letto sia in modo letterale sia in modo esemplare. Quanto al letterale, il soggetto rileva le cause e le conseguenze dell’atto, scoprendo tutte le persone che in qualche modo si possono associare con chi all’inizio ha fatto soffrire e le fa soffrire a loro volta. Stabilisce così una continuità tra il passato ed il presente estendendo le conseguenze del trauma iniziale a tutti i momenti dell’esistenza. In breve, l’evento letto nel modo letterale vuole sottomettere il presente al passato. Quanto all’esemplare, il soggetto senza negare la singolarità dello stesso avvenimento se ne serve come di un modello per comprendere delle situazioni nuove. Da una parte, si attenua il dolore causato dal ricordo addomesticandolo e marginalizzandolo; d’altra, ed è qui che il ricordo cessa di essere puramente privato ed entra nella sfera pubblica, si apre questo ricordo all’analogia ed alla generalizzazione, facendone un exemplum e traendone una lezione: il passato diventa, dunque, principio d’azione per il presente35. La proposta di Todorov è davvero auspicabile, perché punta sulla costruttività e si oppone alla distruttività dei ricordi. Essa, altrettanto, indica l’uso della memoria nelle relazioni interpersonali entro cui occorre un po’ astrarre dallo stato di cose accadute, favorendo piuttosto il presente e il futuro come categorie temporali dotate della possibilità di cambiare il percorso vitale che i ricordi dirigono. Noi siamo più ampi delle nostre memorie. Loro invece sono prive della direzione senza i progetti in cui dovrebbero trasformarsi. Non basta ricordare, ma i ricordi bisogna integrare nel più vasto contesto di storia personale e collettiva, essendo il fondamento dell’esperienza presente e mai ostacolando lo sbocciare di quella futura; dialogando con essi, scoprendo tutta la loro fragilità come anche tendenze micidiali nelle mani di un’elite arbitraria, bisogna metterli al servizio della vita. Conclusione In questo breve articolo ci siamo prefissati lo scopo di sviscerare i meccanismi della memoria che poi si ripercuotono 35 Cfr. T. TODOROV, Gli abusi della memoria..., 34-45. TRA MEMORIA ED OBLIO 505 sull’esercizio morale. È ben chiaro che questa breve analisi richieda uno studio approfondito in molte direzioni, che noi invece abbiamo voluto soltanto indicare. Se la memoria può essere ritenuta come la decisione morale, è sicuramente una decisione che richiede una lunghissima e ponderata riflessione. Non basta solo ricordare, ma anche saper come ricordare, proprio come c’insegna la letteratura sulla memoria. I ricordi sono i fenomeni assai fallaci ed ambigui; soggetti alla collettività, dato che questa li sorregge, ma anche li dirige e abusa; richiedono le facoltà cognitive, ma in loro non si esauriscono; si appoggiano alle emozioni, ma sono anche in loro balia; il tempo è il loro alleato e il loro avversario, li guarisce, mentre nello stesso tempo li trasforma. I ricordi sono un fenomeno che oscilla tra due poli opposti: solitudine e dipendenza, e tra questi due bisogna trovare una traiettoria accettabile, quella che si affaccerà nel dialogo con il mondo circostante e collettivo, ma anche nell’originalità d’ogni evento personale, cioè né solitudine né dipendenza, ma la possibilità di varcare la solitudine e la prigione dell’istante, collegandosi al mondo e al suo passato in una comunione solidale che pur raccogliendo uno sguardo collettivo sulla storia, non reca nessun danno alla storia personale dell’individuo. Bisogna fare in modo che l’individuo con l’insieme dei suoi ricordi, possa essere il fondamento della memoria collettiva sana e benevola che a sua volta sia uno “scudo” dalla sofferenza, che invece un individuo mira a trasformare nella “spada” e forse non sa fare altrimenti. Ora, se dovessi in breve rispondere alla domanda quale sia il ruolo della teologia morale nella riflessione sulla memoria, direi che questa ossia la morale abbia un ruolo inscindibile in merito ai criteri della selezione. Quanto però al livello individuale la morale incita lo sforzo di sorpassare le emozioni lesive che ispirano certi ricordi e di trarre dai ricordi un significato redentivo. Non è un’impresa facile, ma uno sforzo intellettuale, emozionale e spirituale. La morale, da parte sua, non si limita solo al dovuto, ma desta quel “di più” che ogni uomo può far sorgere dal suo interno, e se non è in grado di farlo per le ragioni svariate, speriamo ci sarà un vicino ad aiutarlo. JASNA ĆURKOVIć 506 JASNA ĆURKOVIĆ ————— The author, born in Sinj (Croatia) is completing her doctoral studies at the Alphonsian Academy. La autora, nacida en Sinj (Croacia), está completando sus estudios de doctorado en la Academia Alfonsiana. —————