Davide Bonera
Pedagogista
Incontri filmati
Viaggio (breve) in tutto ciò che è immagine e che (quasi) mai aiuta
l’educazione.
Una produzione associata:
Centro Iniziativa Genitori Democratici – Villa Carcina
La Vela Soc. Coop. Soc. ONLUS
Istituto Comprensivo T. Olivelli – Villa Carcina
Amministrazione Comunale di Villa Carcina (Bs)
Regia e commento di Davide Bonera
PRIMO TEMPO: IL SOTTERRANEO CHE EDUCA............................................................................... 2
CAPITOLO PRIMO:LUOGHI E NON LUOGHI.................................................................................................. 2
CAPITOLO SECONDO: CONSUMO ERGO SUM................................................................................................. 2
CAPITOLO TERZO: BABY SPOT ......................................................................................................................... 4
SECONDO TEMPO: LA VITA DIGITALE FA BENE AI NOSTRI FIGLI?.......................................... 8
CAPITOLO QUARTO: CLICCATE, CLICCATE, CLICCATE............................................................................... 9
CAPITOLO QUINTO: “IO ISOLO ME STESSO”................................................................................................ 11
CAPITOLO SESTO: “AVE MADRE TECNOLOGIA” ........................................................................................ 12
TITOLI DI CODA ................................................................................................................................................ 12
BIBLIOGRAFIA.................................................................................................................................................. 13
SITI ................................................................................................................................................................... 13
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Davide Bonera
Pedagogista
PRIMO TEMPO: IL SOTTERRANEO CHE EDUCA
Capitolo primo:LUOGHI e NON LUOGHI
Chi si occupa di educazione, o di storia dell’educazione, si rende ormai conto di come, in questo
particolare momento storico, bisogna fare i conti con una serie di categorie impensabili fino a
qualche tempo fa. Trenta o quaranta anni fa era facile individuare e riconoscere luoghi
dichiaratamente educativi, comunemente chiamati “agenzie educative”, dove persone adulte si
occupavano di strutturare programmi ed eventi rivolti alla crescita delle giovani generazioni. Molti
di questi luoghi esistono ancora e tuttora resistono, ma non sono più i soli a determinare
l’educazione dei nostri figli.
Ci si rende conto di quanto oggi siano molto più famose e acclamate altre ‘agenzie’ che
disseminano messaggi con un forte potere persuasivo, con le quali la pedagogia e l’educazione
devono fare i conti.
Non sono pochi gli operatori nell’ambito dell’educazione (genitori, insegnanti, educatori) che si
scoraggiano di fronte a questo sistema sociale, che spesso bombarda e distrugge l’intervento
educativo. Un esempio fra tutti: la delusione di aver cresciuto una figlia nella sobrietà e nel
consumo critico e accorgersi che, come tutti gli altri, avanza la richiesta (spesso capricciosa) del
solito banale zaino scolastico costoso, seppur di tendenza.
Ci si rende conto che l’educazione, che influenza e dà forma, passa anche attraverso luoghi che
abitualmente si frequentano, si transitano più o meno intenzionalmente, nei quali si stanzia e che
influenzano e danno forma alle relazioni e alle persone..
I centri commerciali sono per la maggior parte delle persone luoghi di incontro non incontro, dove
le vite si intersecano e i racconti si frammentano; le rotatorie della viabilità (di indubbia positività
stradale) sono ahimè una splendida metafora del potere e di come le persone sono portate ad
esercitare i diritti piuttosto che i doveri1; ed infine, strade ed autostrade ormai non più vettori di
comunicazione e di incontro, ma palcoscenici dove esercitare la propria potenza egoica ed egoistica
in termini di cavalli/potenza.
Accanto quindi a i luoghi dell’educazione, si affacciano questi non luoghi che contrastano,
minimizzano e a volte rendono molto difficoltosa la prassi educativa. Ma quali sono le differenze
salienti tra luoghi e non luoghi, quali sono le caratteristiche che fanno di un non luogo uno spazio di
tale nefandezza educativa? O per converso, cosa trasforma un luogo educativo in un non luogo?
Troviamo preziose indicazioni leggendo Daniele Novara2.
Innanzitutto ci troviamo in un non luogo quando abbiamo la sensazione che contino solo il presente
e la precarietà, quando cioè vengono a mancare fattori di progettualità e di continuità; quando le
occasioni per conoscere e conoscere se stessi sono ridotte ai minimi termini; quando regna la
velocità e la fretta; quando sono favoriti gli abusi di potere; quando, infine, l’unico modello di
funzionamento di questi luoghi è il… consumo.
Capitolo secondo: CONSUMO ERGO SUM
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Spero che qualcuno si prenda la briga di inventare la professione del “sociologo delle rotatorie”, perché l’osservazione
scientifica di una rotatoria può offrire numerosissimi stimoli antropologici sull’essere umano e le sue interazioni sociali.
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Cfr. bibliografia.
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La vita quotidiana delle persone è sottoposta ad un bombardamento costante di stimoli e
sollecitazioni. La stragrande maggioranza di questi intendono indirizzare verso acquisti, mode ed
opinioni prefabbricate (anche politiche e religiose) nel modo più rapido possibile. Preso dalla
curiosità di verificare questo dato, ho provato a conteggiare tutte le sollecitazioni pubblicitarie che
ricevo mediamente dalle 7 alle 9, fascia oraria che coincide di solito con la fase di sveglia,
preparazione e tragitto per recarmi sul luogo di lavoro. Devo ammettere la fatica del conteggio, ma
sareste stupiti se vi dicessi l’enorme quantità di stimoli. Ebbene, tra stimoli televisivi, radiofonici,
cartellonistici e il passaparola, ho subito la bellezza di 28 messaggi che cercavano di orientarmi
verso quel particolare prodotto, convincermi che sarei più attraente con quella crema da barba, più
felice in quell’arredo, più rassicurato con quel partito.
Molti di questi stimoli si riferiscono a prodotti simili fra loro e anche superflui o comunque non
necessari per la sopravvivenza quotidiana.
Diciamolo francamente, i prodotti in commercio sono tutto sommato equivalenti dal punto di vista
qualitativo e il fatto di acquistare un prodotto piuttosto che un altro è determinato dall’impatto
pubblicitario che essi hanno su di noi.
La sollecitazione all’acquisto non ha l’obiettivo di convincere le persone sulla base di validi motivi
(per esempio la qualità intrinseca di un prodotto, la sua effettiva utilità ecc.), che richiederebbe
troppo tempo e molta più calma, ma piuttosto di condizionarle, pungolando il piano pulsionale ed
emotivo, facendole sentire inadeguate o escluse e inculcando loro delle insicurezze o anche, più
semplicemente, creando intorno a quel prodotto (a quell'opinione, comportamento, pseudo-evento,
personaggio ecc.) un clima di simpatia, di allegria e/o di condivisione.
Se l'obiettivo del messaggio pubblicitario è condizionare e non convincere, la qualità del prodotto
diventa spesso irrilevante rispetto alla confezione.
Fin qui, nulla di nuovo. Lo sappiamo benissimo che è da anni che ci troviamo nella società di
massa, individualista e consumistica; ma quello che appare più grave è che sempre meno le persone
sembra abbiano coscienza di questi meccanismi e che quasi si siano (ci siamo) adattate a questo
ruolo dell’essere mere…. consumatrici.
La verità è che esiste una vera e propria “pedagogia dei consumi”, un sistema metodologico con
tanto di pensatori e strateghi con la finalità generale di produrre consumatori.
Fa sorridere la paradossale proposta di riscrivere la Costituzione Italiana sostituendo: “L’Italia è una
repubblica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nei limiti….” Con:
“L’Italia è una Repubblica fondata sul consumo; la sovranità non appartiene al popolo, al quale
resta solo l’inalienabile obbligo a consumare…”. La logica commercial-consumista si è ormai
infilata in tutti i settori, contaminando anche le oasi più felici. Pensiamo alle esperienze parrocchiali
dei Centri Ricreativi estivi: è ormai una consuetudine sostituire il picnic a due passi da casa, con la
trasferta a Gardaland. I bambini si divertono allo stesso modo, ma nella seconda scelta si consuma
di più, si corre di più e si produce più inquinamento. Anche le indicazioni politiche orientano i
cittadini verso un generico invito ad incrementare i consumi.
Eppure, in questa società dei consumi, in questi non luoghi, si impongono piccole forme di
resistenza, che concretamente o metaforicamente ci dimostrano che la natura dell’umanità non è
(ancora) compromessa e che l’uomo non può ridursi ad un mero consumatore.
Segnali di questa ribellione sono per esempio le inevitabili code a Gardaland, dove il sistema del
consumo va in palla e costringe le persone a rallentare, fermarsi e chiacchierare restando svariati
minuti in attesa dell’atto del consumo.
Nel centro commerciale, il non luogo per eccellenza, si ritrovano ed aggregano gruppi giovanili che
non utilizzano lo spazio per consumare, ma come luogo di esperienza e di crescita. Questi gruppi
giovanili in genere non sono ben accetti nei Centri Commerciali.
Nelle rotatorie, cominciamo ad osservare automobilisti/e generosi che non utilizzano la strada come
ring per affermare il proprio potere, ma con una guida equilibrata e serena spezzano il ritmo
vorticoso dei cavalli rombanti. Anche i monumenti nel centro delle rotatorie non sono forse un
tentativo creativo di trasformare questi non luoghi in piccole forme d’arte urbana?
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Persino le strade e le autostrade si ribellano costituendo svincoli, ponti e anfratti che diventano
luoghi di vita di persone e famiglie che vivono ai margini, perché non riescono a stare ai ritmi della
società dei consumi.
La replica più feroce che di solito viene espressa a coloro che, come noi, criticano la società dei
consumi è quella consueta che individua non già nella generica società che non funziona il vero
problema, quanto piuttosto nelle modalità con le quali un cittadino si atteggia e si comporta. Ci
sentiamo di concordare anche con questa critica. Infatti, è vero che siamo in una società che ci
vuole consumatori, ma come detto non ce lo abbiamo ancora nel dna questo gene e quindi con
alcune avvertenze possiamo contrastare questa (pericolosa) deriva.
Dal punto di vista educativo e culturale è interessante tematizzare le differenze tra “consumismo” e
“consumo sobrio” e tra “atto del consumare” ed “esperienza”. Le categorie generali dei luoghi/non
luoghi permangono, ma è pur sempre vero che sono le persone che in primis determinano la valenza
di un luogo!
In base a questo, possiamo prenderci la libertà di frequentare non luoghi dichiarati e di viverli come
esperienze positive e viceversa possiamo condannarci ad abitare luoghi e trasformarli in esperienze
di esclusivo consumo.
Consumismo (atto del Consumare e basta)
Fruizione passiva degli eventi
Centrata sull’immediato
Scarso investimento personale
Non cambia niente tra il prima e il dopo
Prendi e taci
Consumo sobrio (Esperienza)
Fruizione attiva degli eventi
Progettuale (per qualcosa, al fine di …)
Elevato investimento (tempo, fatica, energie)
Crescita
Negoziazione
Possiamo analizzare i nostri comportamenti alla luce delle categorie sopra descritte e valutare se
propendiamo per un comportamento che tende al Consumismo, piuttosto che all’Esperienza. Anche
la persona singola ha quindi delle precise responsabilità da esercitare, propendendo per un
atteggiamento piuttosto che per un altro.
Concludiamo il capitolo con il motto popolare che recita: “le persone felici… non comprano!”.
Capitolo terzo: BABY SPOT
La fruizione della pubblicità da parte dei bambini rappresenta uno dei maggiori temi di discussione
e confronto tra studiosi del settore, nonché motivo di preoccupazione per molti genitori. Le
attenzioni si pongono soprattutto sulla valutazione della capacità persuasiva della pubblicità di
indurre un determinato comportamento di consumo e di proporre e orientare verso modelli di
comportamento ritenuti non adeguati all’età dei giovani fruitori.
Oggi la pubblicità rappresenta un vero e proprio genere televisivo con le sue logiche e
caratteristiche, al pari di un varietà, una fiction , un quiz o un cartoon . Quando si pensa alla
pubblicità come genere si intende dire che possiede i propri registi, operatori ed attori specializzati;
specifiche tecniche di ripresa e sceneggiatura, di utilizzo dei commenti musicali, ecc, oltre a godere
di ampio spazio in palinsesto e ad essere oggetto di studio e approfondimento. Ovviamente si
prende anche una buona fetta commerciale.
E' ormai pacifico ritenere che il messaggio pubblicitario possa avere anche effetti non del tutto
positivi sui piccoli spettatori, nonostante venga da essi percepito come uno spettacolo di
intrattenimento. Un primo effetto negativo della forza persuasiva della pubblicità è quello di
annullare il processo naturale che dal bisogno/desiderio conduce al soddisfacimento di esso. La
pubblicità infatti mette in moto il meccanismo del desiderio, invogliando al possesso (e quindi
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all'acquisto da parte dei genitori) di quanto è reclamizzato e fornendo contemporaneamente anche il
soddisfacimento del desiderio stesso.
Molte volte ci siamo fatti sedurre dalla pubblicità e abbiamo acquistato un telefonino nuovo o un
capo di abbigliamento non perché ne avessimo bisogno, ma perché ci è venuta la voglia di
comprarlo dal momento che lo abbiamo visto disponibile attraverso lo spot. In questa situazione,
l’insorgenza del desiderio (indotto) e il soddisfacimento di esso, quasi coincidono.
Se invece il nostro telefonino si dovesse rompere o ci venisse rubato, saremmo costretti ad attivare
un processo di ricerca e valutazione per il nuovo acquisto; probabilmente dovremmo anche passare
qualche ora di disagio prima di organizzare un piano per il nuovo acquisto. In questa seconda
situazione il soddisfacimento del bisogno/desiderio si realizzerebbe attraverso un processo…
Il cliente bambino
Lo spot pubblicitario è una forma di comunicazione televisiva verso cui i bambini sviluppano una
forte simpatia, attratti dalla vivacità delle sequenze, dalle musiche, dai personaggi che vi compaiono
e dagli stessi prodotti pubblicizzati.
Una breve analisi del rapporto che si instaura tra bambini e pubblicità televisiva deve prendere in
considerazione l'atmosfera di serenità, le relazioni positive e di successo che gli spot mostrano, la
consueta presenza di bambini, nel ruolo di protagonisti, nei quali i piccoli spettatori si identificano,
il ritmo incalzante delle inquadrature, l'uso di alta computer grafica, la ripetizione e così via. In
effetti i bambini, molto più degli adulti, seguono con attenzione gli spot televisivi, ricordandone
contenuti, struttura, musiche, battute, etc... i bambini sono dei piccoli esperti di pubblicità.
La pubblicità (anche per preadolescenti e adolescenti) è spesso uno spunto di conversazione con gli
amici, non solo in riferimento al prodotto reclamizzato, ma alle immagini utilizzate, alla presenza di
testimonial , alle battute, alle musiche ed ai jingle. Quante volte capita di incontrare persone che
canticchiano spot pubblicitari o recitano slogan!
Gli elementi stilistici e i meccanismi che sono responsabili della cattura dell’attenzione dei
giovanissimi spettatori sono:
 le situazioni rappresentate sono sempre familiari e facilmente riconoscibili; il clima della
famiglia, infatti, imprime agli spot pubblicitari un carattere di armonia e serenità, che i bambini
percepiscono e identificano (o in cui auspicano l'identificazione) con lo stesso clima che vivono
all'interno delle mura domestiche.
 la semplicità verbo-iconica facilita al massimo la comprensione e l'assimilazione;
 la brevità spazio-temporale dei messaggi consente una fruizione intensa in un arco di tempo
estremamente ridotto;
 i modelli proposti sono molto attraenti, legati a modalità di comportamento largamente diffuse e
la cui assunzione viene ritenuta tale da poter offrire un miglior grado di inserimento e
accettabilità nel gruppo dei pari;
 il tipo di montaggio degli spot (frequenti cambi di scena e inquadratura) e la modulazione del
volume costringono i giovani spettatori a mantenere alta l’attenzione e ad attivarsi
continuamente;
 anche la mancanza di effetti di inferenza cognitiva contribuisce a catturare lo spettatore. Non c'è
alcuna possibilità per i bambini di riflettere su quanto hanno appena visto, in quanto le immagini
e i suoni successivi sommergono immediatamente quelli precedenti;
 l'orientamento visuale della televisione minimizza l'attenzione verso altre sorgenti di
informazione, impedendo quindi la distrazione durante la visione stessa; inoltre il forte range
emozionale che la televisione è in grado di evocare; ogni azione presentata in televisione è
molto più forte che in qualsiasi altro medium.
Il fattore assillo (che tormento!)
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Un aspetto del rapporto bambini e pubblicità che è fonte di ansia e difficoltà educativa per i genitori
è quello che gli anglosassoni chiamano nag factor , fattore assillo. Si tratta di un concetto
introdotto dagli psicologi dell'età evolutiva per spiegare il successo del marketing promozionale.
Per nag factor si intende il "tormento" (richieste insistenti, capricci, paragoni con gli altri bambini,
etc...) che un bambino ben condizionato dalla pubblicità dà ai suoi genitori o ai parenti prossimi,
affinché acquistino per lui un determinato prodotto, gli consentano di vestire e comportarsi in un
certo modo e addirittura di mangiare determinati alimenti, compresi i cosiddetti cibi spazzatura
(trash food ), che rendono obesi e danneggiano l'organismo, ma sulla pubblicità le grandi
compagnie investono considerevoli cifre. In questo senso i pubblicitari collocano i bambini nella
categoria degli “influenzatori d’acquisto”, quelli cioè che non potendo disporre del potere di
consumo diretto, finiscono con l’esercitarlo indirettamente agendo su chi è… titolare di conto
corrente.
Una campagna pubblicitaria, specie se ben congegnata, può mettere a dura prova il rapporto adultobambino. Il piccolo può essere portato a ritenere l’adulto “cattivo”, perché non lo soddisfa
nell’acquisto di un prodotto costruito “per lui”.
Pensate poi a quelle situazioni nelle quali lo spot contrasta apertamente la volontà dei genitori;
questi devono fare un lavoro supplementare per convincere i figli a seguire la loro linea educativa.
Se così non dovesse accadere, ad avere la meglio sarebbero i messaggi pubblicitari: nuovi educatori
di molti bambini contemporanei.
L'obiettivo perverso e palese dei baby spot è, quindi, triplice:
1. rendere insistenti i bambini nella richiesta di determinati prodotti indirizzati specificamente a
loro e suscitare il “fattore assillo”;
2. ottenere che essi, con le loro richieste, influenzino gli acquisti degli adulti (non solo cibi e
giocattoli, ma anche prodotti per la casa, auto, telefonini, etc...);
3. ingabbiarli3 in una confezione, uno slogan, una marca, che dovrebbero accompagnarlo negli
anni successivi, così da renderli dipendenti da quel determinato prodotto per molto tempo
ancora.
Altre tecniche, variabili con l'età, sono il “regalare” le collezioni di giocattoli o figurine con il
prodotto, i cibi modellati (con forme di animali e personaggi dei fumetti) e colorati artificialmente e
l'abusato abbinamento con i personaggi dei cartoons .
Con i più grandi funzionano le star del calcio, del cinema e della musica pop. Ci sono anche
tecniche più subdole che mirano a "inoculare" nella mente di bambini e ragazzi insicurezza e
insoddisfazione nel caso in cui non riescano a venire in possesso di un determinato prodotto ed a
volte la frustrazione può creare una vera e propria ferita narcisistica, se altri bambini o ragazzi sono
invece in possesso dello status symbol pubblicizzato e (pertanto) di moda in quel momento. C'è per
molti lo sconfortante confronto tra la propria vita, il proprio ambiente familiare e quello invece
gioioso e brillante in cui si muovono i protagonisti degli spot, coetanei dei piccoli spettatori.
Età e baby spot: i pericoli in agguato
I bambini, già all’età di quattro cinque anni, sono in grado di distinguere la pubblicità televisiva dal
resto della programmazione. Questo non significa che essi siano in grado di coglierne le
caratteristiche peculiari come l'intenzionalità persuasiva e la distorsione dei messaggi, che
richiedono, come possiamo immaginare, una capacità di interpretazione più sofisticata.
Intorno ai cinque sei anni, la desiderabilità del prodotto tende a coincidere fortemente con il
gradimento dello spot: gli inserti promozionali preferiti sono in genere quelli che pubblicizzano i
giocattoli o i prodotti alimentari tipici dell'infanzia (per esempio merendine, bevande gassate, etc...).
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I pubblicitari e la gente “di Mercato” utilizza l’eufemismo “fidelizzarli”.
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E’ intorno ai sette otto anni che si riscontra nei bambini l’insorgenza dei primi segnali di scetticismo
verso il messaggio pubblicitario, basato dapprima su esperienze personali con specifici prodotti e
poi tradotto in un comportamento di sfiducia verso la pubblicità in generale. Sempre a questa età si
afferma anche un atteggiamento selettivo che vede circa il 50% dei ragazzi cambiare sempre canale
quando i programmi vengono interrotti dagli spot.
Dobbiamo però ricordare che questo senso critico, anche se sviluppato, ma non costantemente
alimentato e sostenuto da una buona educazione, non sempre ha la meglio sui desideri e sulla
componente più pulsionale. Per esempio, un ragazzino tra gli undici e i quattordici anni può essere
ormai del tutto consapevole della finalità persuasiva e manipolatoria della pubblicità, che
sponsorizza il prodotto che va per la maggiore, ma nonostante ciò può cedere ugualmente al fascino
del suo eroe sportivo preferito e di conseguenza desiderare le scarpe che questi reclamizza in TV.
L’aspetto che maggiormente deve essere preso in considerazione non riguarda tanto il messaggio
esplicito, intorno al quale probabilmente il bambino riesce ad organizzarsi e, contando sulla propria
esperienza, anche ad essere piuttosto critico. L’aspetto preoccupante è semmai l’impatto sotterraneo
che tocca le corde emotive, sollecita desideri, infonde valori che in molti casi finiscono con il
contrastare quelli familiari. La pubblicità influenza l’immagine che il minore si fa del mondo
circostante e del mondo degli adulti e può determinarne competenze e abilità. Pensate a quanto poco
assertivo potesse crescere un bambino, se fosse allevato esclusivamente a spot stile “mulino
bianco”.
La realtà che viene proposta, per esempio relativa alla raffigurazione dei rapporti fra i due sessi,
mostra ancora rappresentazioni stereotipiche dei generi sessuali: le pubblicità rivolte alle bambine
sono confezionate attraverso l'uso prevalente del colore rosa e della musica classica o melodica,
mentre quelle rivolte ai maschietti utilizzano toni di colore più accessi e musiche maggiormente
ritmate.
Tutti questi stimoli finiscono poi con l’influenzare le modalità di relazione e socializzazione del
bambino e dell’adolescente, nel senso che il linguaggio della pubblicità viene adottato nelle
conversazioni dei gruppi giovanili, convergendo nella definizione di una sorta di subcultura
specifica.
I rischi maggiori emergono sul fronte cognitivo. Come abbiamo detto sopra, gli spot mirano a
persuadere attraverso processi che escludono la concentrazione, la riflessione sui contenuti e la
valutazione. Osservando l’evoluzione del linguaggio pubblicitario si nota come sempre di più si sia
affidato a stratagemmi nel montaggio, nell’utilizzo delle musiche e di colori sgargianti; tutti stimoli
che colpiscono gli elementi periferici e non allenano all’approfondimento e alla stabilità. Un
bambino eccessivamente stimolato da spot moderni può manifestare difficoltà di concentrazione
con una soglia molto bassa di attenzione e continuità.
Concludiamo con una breve riflessione circa l'utilizzo dei bambini nella costruzione degli spot .
Quando gli spot sono rivolti ai bambini, i piccoli protagonisti innescano processi di identificazione,
dovuti alla somiglianza tra fonte e piccoli telespettatori. Se si considerano gli spot nel loro insieme,
si calcola che, in linea di massima, il protagonista sia nel 30% dei casi un uomo, nel 25% una donna
e nel 22% un bambino.
Tuttavia soltanto la metà degli spot che hanno per protagonista un bambino è effettivamente
indirizzata ai bambini. Spesso la presenza del bambino non appare nemmeno funzionale alla storia
o al prodotto che viene presentato, ma soltanto all'evocazione di associazioni tra un'emozione
positiva, che i bambini suscitano negli adulti, ed il prodotto da comprare. Anche questo un
bell’esempio di strumentalizzazione dei minori!
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SECONDO TEMPO: LA VITA DIGITALE FA BENE
AI NOSTRI FIGLI?
La risposta a questa domanda, dal mio punto di vista, è assolutamente scontata. Sì: attrezzatura
elettronica, computer, telefonini, I-pod e accidenti simili sono strumenti per i quali il rapporto
danni/benefici è assolutamente a totale appannaggio dei primi.
Il fatto però che praticamente tutti noi (salvo qualche essere in via di estinzione) ne proponiamo e
sosteniamo (anche involontariamente) l’utilizzo, ci costringe a studiarli, a non demonizzarli e
insomma a fare i conti con questa… vita digitale.
Alcuni mesi fa, due notizie si sono imposte all’attenzione della cronaca.
La prima riferiva dell’arresto di un presunto pedofilo, che adescava le sue vittime attraverso sms.
Fingendosi un adolescente, in breve tempo, era riuscito ad agganciare e mantenere contatti con uno
svariato numero di ragazzi; in molti casi aveva convinto le sue vittime a inviare fotografie intime in
cambio di ricariche telefoniche.
La seconda notizia riferiva del divieto di accedere alle cabine elettorali con telefoni cellulari o altre
apparecchiature in grado di fotografare o registrare immagini. Ammenda prevista da 300 a 1000 €,
oppure carcere da tre a sei mesi.
Due notizie che, seppur molto diverse fra loro, ci danno l’idea di quanto l’utilizzo di questi
strumenti sia pericoloso e comunque estremamente pervasivo, intrusivo, soffocante.
In qualche maniera ci si rende conto che queste tecnologie hanno preso piede e si sono intrufolate in
tutte le ore e in tutti i contesti di vita.
La diffusione della posta elettronica ha radicalmente modificato il nostro rapporto con l’attesa.
L’agognata mail può giungere in tutti i momenti del giorno e della notte, cacciando nella preistoria
il postino che continua ad arrivare una sola volta al giorno. Se poi si è dotati di una connessione flat
(a costi fissi indipendentemente dai tempi di connessione) è più conveniente rimanere sempre in
linea, costantemente connessi e aperti al mondo.
Si resta così svariate ore ad attendere con attenzione qualcosa che deve arrivare oppure a navigare
in un universo immenso.
La prima cosa che colpisce gli utilizzatori di social network è la necessità di dedicarvi molto tempo
nel corso della giornata.
La necessità di regolare l’impiego di questi strumenti attraverso leggi e norme e, in un certo senso
di frenarne l’abuso ponendo dei limiti, sta diventando una vera e propria emergenza.
Molti genitori si interrogano frequentemente su questi problemi e più in generale sull’utilità o meno
di queste tecnologie specie se insistentemente richieste e/o utilizzate dai propri figli.
La maggior parte dei genitori si pone di fronte alla vita digitale con un po’ di superficialità e tanta
improvvisazione.
Per esempio, i genitori riconoscono l’importanza di dotare i figli di computer come richiesto dalle
moderne esigenze formative, ma contemporaneamente essendo in genere impreparati in materia,
tendono a delegittimarsi rispetto ad un ruolo di monitoraggio del loro utilizzo.
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Molti genitori ammettono di aver acquistato ai figli il telefonino, non tanto per una ragione di
utilità, piuttosto per non essere riusciti a contenere le loro pressanti richieste4.
Infine, criticano fortemente l’utilizzo delle protesi acustiche musicale che a loro giudizio isolano i
figli dal contesto familiare, ma fanno fatica a proporre una comunicazione alternativa, coinvolgente
e fondata sulla reciprocità.
Riportiamo alcuni dati del fenomeno.
Il 60% dei bambini di età compresa tra i 6 e i 10 anni possiede il telefono cellulare; il 90% di essi
utilizza il computer, di cui il 70% per più di un’ora al giorno, mentre il 69% lo utilizza per navigare
in internet per più di un’ora al giorno; il 10% chatta abitualmente almeno un paio d’ore al giorno.
E’ facile concludere che tutto il tempo trascorso davanti ad un video o con lo sguardo incollato allo
screen di un telefonino è tempo rapito alla vita reale e al gioco all’aria aperta!
Capitolo quarto: CLICCATE, CLICCATE, CLICCATE
Carlo è un insegnante di mezza età, che ormai da circa un decennio utilizza abitualmente il
computer per organizzare e preparare la sua attività didattica. Trovava nella video scrittura uno
strumento molto utile per elaborare e impaginare compiti in classe, archiviare annotazioni e giudizi,
risparmiando quindi tempo e carta.
La diffusione di internet lo aveva immediatamente affascinato per la praticità e la facilità di accesso
alle notizie. Nella rete trovava vocabolari on line, ricerche on line, riassunti on line, parole chiave
on line. Velocemente si era impratichito nella frequentazione di siti dedicati agli studenti e allo
studio; si era fatto promotore di una mailing list per aggiornare i partecipanti studenti a proposito di
mostre, eventi culturali e pubblicazioni, offrendo un servizio serio e culturalmente elevato.
Attraverso internet accedeva anche ai blog di altri insegnanti, condividendo le fatiche e
partecipando a dibattiti culturali. Ben presto si era reso conto che per tenere attiva questa sua
“passione” doveva restare al monitor dalle 3 alle 4 ore al giorno (sabato e festivi compresi).. Aveva
smesso di andare i biblioteca e persino di leggere il dizionario che teneva sempre sulla scrivania
mentre preparava la lezione.
Carlo si era reso conto che a differenza degli anni precedenti il suo livello culturale non era
cresciuto di molto e che non aveva trattenuto neanche la minima parte delle notizie apprese durante
le connessioni con la rete.
In altre parole, si era reso conto che la facilità di accesso alle informazioni non si era tradotta in un
reale approfondimento.
E’ Carlo stesso che spiega questa strana deriva descrivendo alcuni passaggi di questa metamorfosi.
“Mentre preparavo le lezioni, ero solito tenere sulla scrivania un dizionario universale che potesse
permettermi di completare le informazioni e sapere sempre il significato delle parole che sarei
andato a spiegare.
Se per esempio sto spiegando Cristoforo Colombo e mi imbatto nella parola ‘caravella’, mi piace
spiegare agli studenti che non si tratta semplicemente di una barca o di una nave, ma di un natante
con particolari caratteristiche ecc. ecc.
Quando ho cominciato ad utilizzare internet mi sono accorto che era sufficiente cliccare in un
motore di ricerca, per esempio caravella, per avere una serie di pagine a disposizione con
un’infinità di informazioni… non una definizione unica, sicura e completa, ma un campionario tale
da rendere dispersiva e quindi inefficace la mia ricerca. Così, ho imparato a selezionare le fonti
risparmiando anche tempo, ma l’impressione è che il minor tempo dedicato non abbia facilitato
l’apprendimento di queste parole. Se sono davanti al monitor e mi imbatto in una parola
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Si veda a tal proposito la parte riferita al “nag factor”.
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sconosciuta, il tempo per una consultazione cartacea varia dai tre a cinque minuti; con a
disposizione un dizionario on line si riduce a 20 secondi: troppo pochi perché la mia mente possa
trattenere l’informazione. Certo potrei rallentare la lettura del monitor, ma è la macchina stessa
con i suoi colori e le infinite potenzialità che mi invita a cliccare cliccare cliccare, cambiando
continuamente pagina alla ricerca di nuovi significati che sono destinati a restare flash”.
E’ ancora Carlo che riferisce una sorta di pentimento per aver indotto negli studenti l’utilizzo di
internet.
“Gli studenti di qualche anno fa, per produrre una ricerca, nella peggiore delle ipotesi copiavano
dalla enciclopedia di casa l’argomento da approfondire, “obbligandosi” nell’esercizio di almeno
una lettura una del testo elaborato. Gli studenti internauti (a parità di tasso di lavatività)
esercitano l’efficace e immediato taglia incolla, privandosi anche di quell’ultima e significativa
fatica. Ho dovuto intervenire con ferrea fermezza allo scopo di controllare, sanzionare ed evitare
che gli studenti scaricassero wikipedia e basta”.
Completiamo questo piccolo ciclo di testimonianze con lo stralcio di un articolo di Roberta Falco5.
“Alcuni adulti un po’ nostalgici non trovano molta differenza tra la navigazione in internet alla
ricerca di siti pornografici e la lettura di giornaletti per adulti.
Non c’è da scandalizzarsi, sostengono, se sul computer del proprio figlio di 15 anni si trova una
serie impressionate di link del tipo: “orsette a disposizione”, “orgasmi sempre pronti”, “fellatio di
casalinghe”. In fondo, continuano a sostenere, ai nostri tempi (trenta/quaranta anni fa) noi
facevamo lo stesso, leggendo i vari “Il Tromba”, “Lando”, “SuperLando”, “Messalina”.
In effetti, alcune analogie tra il quindicenne maschio del 1976 e il quindicenne maschio del 2006
alla ricerca di stimoli sessuali visivi ci sono, eccome.
Tutti e due pullulano di pulsioni, si sentono invincibili, hanno tra le gambe qualcosa che talora
cresce, talaltra cala, sono travolti da piaceri e bisogni e tutti e due provano a mettere ordine a
questa complessità, scrutando e scoprendo materiale pornografico. Il tutto con un pizzico di senso
di trasgressione, un po’ di voyeurismo, qualche scappellotto del padre o del prete e tanto
autoerotismo.
Ma le analogie finiscono qui! Il resto è una colossale sfilza di differenze. Il modo di accedere al
materiale pornografico oggi, prevalentemente attraverso internet, rappresenta un profondo
spartiacque tra passato e presente, tra il consumatore del 2006 e tutti i quindicenni di ieri e
dell’altro ieri, e questo deve allarmare non poco i padri di oggi (i lettori di Lando e di Il Tromba di
ieri).
Innanzitutto, si tratta di una questione di quantità. Il ragazzetto del nuovo millennio, ben addestrato
dalla scuola e ben dotato di strumenti informatici, riesce in un paio di ore di navigazione ad
assimilare lo stesso materiale pornografico, che sarebbe costato almeno un anno di vita spesa in
ricerca ad un quindicenne del 1976.
Immaginate quest’ultimo: in primo luogo doveva pianificare l’esodo verso l’edicola più lontana e
anonima, poi convincere il fratello maggiorenne del migliore amico, affinché acquistasse
l’agognato ultimo numero di “Lando”; infine, in possesso della preziosa lettura, non gli restava
che rifugiarsi nei campi, consumarsela e poi nasconderla in qualche tombino.
Al quindicenne di oggi basta… un clik! Persino un bambino riuscirebbe a trovare materiale
pornografico in internet (e purtroppo talvolta ci riesce proprio bene), figuriamoci se non ce la fa un
allupato come un quindicenne maschio!
Ma l’aspetto più interessante riguarda la qualità di questo materiale. Premettiamo che non stiamo
parlando di letteratura erotica, ma delle solite immagini sconce ricercate dai maschi per eccitarsi e
che quindi viaggiamo su un livello artistico e contenutistico ovviamente “da fogna”. Bene,
premesso questo, anche dal punto di vista della qualità estetica, il grado che si presenta è
decisamente inferiore rispetto agli antenati cartacei”.
5
Brescia Espresso, Anno III, 8 dicembre 2006, n. 96.
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Davide Bonera
Pedagogista
La velocità di accesso alle informazioni, per certi versi comoda e funzionale, può a lungo termine
condurre ad una sapienza frammentata e superficiale; la quantità di queste informazioni, per certi
versi variegata e ricca, può portare a forme di abuso e scarso controllo. La trasgressione così a
portata di mano non è più un percorso da intraprendere con fifa e incertezza, ma diventa un viatico
tranquillo, comodo e per niente stupefacente.
Capitolo quinto: “IO ISOLO ME STESSO”
Osservando i ragazzini che manipolano i propri telefoni cellulari o che smanettano davanti al
computer, si nota come l’attenzione fisica e mentale sia costantemente concentrata sullo schermo.
Poco importa se accanto ci sono altre persone, se la casa è abitata anche da fratelli o genitori, se
sotto la pensilina ci sono a pochi centimetri altre persone ad attendere l’autobus… l’utilizzo del
telefonino costringe ad interrompere, seppur brevemente, le relazioni prossime per dedicarsi a
tesserne altre con soggetti spesso molto lontani.
Vi è un dato abbastanza sintomatico che riguarda i servizi psichiatrici.
E’ noto che viviamo in una società mediatica, dove la comunicazione e le sue infinite possibilità ne
rappresentano gli elementi salienti. Ciascuno di noi può facilmente video citofonare, video
chiamare, contattare e connettersi con chiunque in qualsiasi parte del globo. Ricordo con un sorriso
la madre di un volontario attualmente impegnato in una missione brasiliana. Alla domanda se il
figlio le mancasse, la risposta è stata quanto mai inaspettata: “ci sentiamo più di prima”. Attraverso
internet madre e figlio si parlano regolarmente tutte le sere e mai come in questo periodo, seppur a
più di 4000 kilometri di distanza, si sono “frequentati” così tanto.
Eppure in questa epoca di ipercomunicazione e di infinite possibilità di vicinanza, i servizi
psichiatrici riferiscono che sono in aumento le persone che lamentano di sentirsi… sole e di soffrire
di importanti forme di depressione a causa di questo sentimento.
E’ uno dei paradossi, come altri ce ne sono, della nostra società: il massimo della potenzialità
comunicativa, si traduce nell’aumento dei sentimenti di solitudine.
Una conseguenza è quindi certa: l’utilizzo delle protesi elettroniche ha come primo ed immediato
effetto che le persone tendono ad isolarsi, o meglio, a rimanere connesse ed in contatto con gli altri
ma private del piacere e della mediazione del corpo.
Ricerche recenti hanno messo in evidenza che queste protesi avrebbero in realtà aiutato molti
adolescenti a percepire maggiore sicurezza nel sé e a facilitare il superamento di alcune fatiche
relazionali. Un risultato probabilmente scontato dal momento che l’assenza del contatto corporeo
rende tutto più facile, ma è altrettanto intuibile che questa presunta sicurezza acquisita pare non sia
determinata dal superamento delle fatiche (come succede), ma dall’evitamento delle fonti di stress.
Molte persone riferiscono di avere interrotto relazioni amorose con un sms o una mail, oppure di
aver comunicato con maggiore facilità brutte notizie.
Questi strumenti rendono la vita facile e tolgono d’impaccio in certe situazioni; ma il rischio è che
le generazioni future perdano sempre l’abitudine e l’idea di incontrasi per comunicare anche con il
corpo, rischiando di rimanere perennemente online senza uscire dalle quattro mura di casa.
Osservando infatti i gruppi informali, ci si rende conto di come è attraverso la sperimentazione reale
dell’incontro ‘corpo a corpo’ che è possibile completare una formazione relazionale e sociale,
altrimenti carente di alcuni aspetti affettivi ed emotivi.
In questo senso, ha molto da insegnare la celebre canzone “Extraterrestre” di Eugenio Finardi6
melodia ante litteram sulla comunicazione tecnologica, il bisogno di isolarsi e la tristezza nel
riuscire a farlo.
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Se non l’avete mai ascoltata, potete sempre scaricarvela da… internet!
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Davide Bonera
Pedagogista
Bisogna infine sottolineare, e di questo ci piacerebbe avere conferma, l’atteggiamento di molti
genitori che intravedono nel non-incontro determinato dalle nuove tecnologie un fattore di
rassicurazione perché ritengono che il proprio figlio, standosene sempre in casa appiccicato a
internet, sia meno esposto ai rischi e ai pericoli della nostra società. Il medesimo discorso vale per il
telefonico, al quale molti genitori affidano la rassicurante sensazione di sapere sempre dove il figlio
si trova e il magico potere di salvarlo da situazioni pericolose con una telefonata ai numeri di
emergenza. Sono già alcuni anni che si discute di questi atteggiamenti e risulta abbastanza semplice
concludere quanto essi siano ‘primordiali’ rispetto ad un approccio educativo all’utilizzo di questi
strumenti.
Il processo di riduzione della prossimità tra le persone e tra le giovani generazioni non è iniziato
ieri, sia ben inteso e non è di totale responsabilità del computer, del telefonino o dell’I-pod.
Esso affonda le sue radici nel progresso stesso della comunicazione e delle sue tecniche, ma la
spinta che questo processo ha subito in questi ultimi anni e il marcato e incontrollato utilizzo di
questi strumenti rendono assolutamente improbabile che un soggetto in fase evolutiva possa da solo
scindere un utilizzo sano e funzionale, da uno inutile e pericoloso.
Capitolo sesto: “AVE MADRE TECNOLOGIA”
Soffermatevi accanto alle vetrine di elettronica e guardate il fervore e l’attenzione con le quali la
gente commenta e discute di protesi,ultimi modelli, tasti, touch screen, melodie polifoniche…
Passeggiate per le vie del centro e noterete totem cartonati che riproducono cellulari giganti, non
potrete non fermarvi per un momento di adorazione, così come facevano i nostri avi in prossimità
delle Santelle votive.
Viaggiando in autobus, si notano gruppi di adolescenti concentrati ciascuno sul proprio telefonino.
Sembrano tanti fraticelli ricurvi ciascuno sul proprio breviario.
Le dita corrono veloci sulla tastiera; dita indici fanno scivolare immagini sullo schermo e sembra
che il dito di Adamo abbia un nuovo e più manipolabile dio da toccare e gestire. Tutto il potere si
concentra nei polpastrelli e nella dinamicità di un pollice che preme, annulla ed invia. Tutto il
mondo a portata di tasto…
Vittorino Andreoli sottolinea la tristezza di una società che trasforma in Sacro qualcosa che per
quanto segreto e incomprensibile possa apparire alla maggior parte di noi, non sarà mai così
misterioso da avvicinarsi all’idea di Sacro.
Riuscireste ad immaginare un sacro che si muove al tocco di un dito, soggetto alle leggi di mercato
e che si può acquistare a rate con interessi zero!?!?
Titoli di coda
Il film è terminato.
La pellicola fin qui osservata ha messo in evidenza quanti e quali pericoli si nascondono se un
soggetto in età evolutiva viene abbandonato a sé stesso nella gestione delle nuove tecnologie:
rischia seri problemi di superficialità, perdita della memoria, smarrimento del Sacro, solitudine,
ipertrofia digitale e ipotrofia del resto della muscolatura!
Ecco alcuni consigli per genitori e docenti:
 Stabilire le regole relative all'utilizzo delle nuove tecnologie in modo chiaro e con
motivazioni sincere
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Davide Bonera
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Pedagogista
Se si ha l'impressione che ci sia qualcosa che non si comprende, chiedere spiegazioni
Imparare a usare i nuovi strumenti di comunicazione magari, facendoseli spiegare
direttamente dai nostri figli, allievi, ecc.
Imparare a conoscere i nuovi linguaggi
Aggiornarsi sulle possibilità di filtrare e gestire l'informazione
La sola osservazione di un utilizzo eccessivo non è di per sé negativa. Occorre
contestualizzare, per esempio, come si muove la persona a scuola, al lavoro, verificare come
vanno le relazioni sociali e familiari.
Per aiutare i genitori nel ruolo di monitoraggio e controllo suggeriamo il riadattamento di una
tabella tratta da una ricerca tedesca, che può offrire alcune indicazioni generali sulla regolazione
dell’utilizzo di computer e consolle:
Età
4–6
7 – 10
11 – 13
da 14
Durata
massima
30’ al giorno
45’ al giorno
Chattare
no
da 8 anni, non
senza
controllo e
solo su siti per
bambini
1 ora al giorno
sì, ma con
delle regole
1 ora e mezza
al giorno
sì, ma con
delle regole
Giocare da
soli
no
da 8 anni e
non senza
controllo
Pc in camera
da 12 anni e
con dei limiti
(per es. non
giocare di
notte)
si
No
da 12 anni,
anche da soli
sì, ma se non
c’è il
computer di
famiglia.
sì
No
No
Navigare in
internet
no
da 8 anni e
solo su siti per
bambini
Bibliografia
Daniele Novara, (2008), Conflitti, articoli vari, CPP, Piacenza
Vittorino Andreoli, (2007), La vita digitale, Rizzoli, Milano
Roberta Falco, ( 2006), Cercasi sesso tra edicola e internet, tratto “Brescia Espresso n. 96 dell’8
dicembre 2006, Edizioni Max, Brescia
Siti
www.bambini.it
www.guidagenitori.it
www.genitoridemocratici.it
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