01.07.2005 CORTE di CASSAZIONE - ( sull'onere di verifica di controindicazioni all'uso del
farmaco)
§ - La semplice avvertenza , esistente nel foglio illustrativo, di un uso cauto del farmaco nei
pazienti con danno renale ed epatico, con l'indicazione espressa di evitarne l'impiego nel
caso di soggetto con conclamata insufficienza renale , impone uno specifico e preventivo
(oltre che periodico) controllo di detta funzionalità (e quindi la necessità di appositi esami di
laboratorio) onde verificare l'eventuale sussistenza di controindicazioni all'uso del farmaco:
e ciò anche nel rispetto degli ordinari criteri di diligenza e prudenza, la cui inosservanza
rileva anche sotto il profilo della mera colpa generica (imprudenza, imperizia e negligenza)
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Cass. pen. Sez. IV - 01-12-2004, n. 46586
Svolgimento del processo
.....venivano tratti a giudizio dinanzi al Tribunale di Milano per rispondere del reato di lesioni
colpose in danno di A.A. secondo la seguente contestazione: perchè, nelle rispettive qualità di
medici curanti il paziente A.A. presso il servizio di gastroenterologia ed endoscopia digestiva
dell'ospedale Luigi Sacco di Milano - ed intervenuti, rispettivamente, la B. in data 2/12/1996, l'A. in
data 30/1/1997 e 24/6/1997, la M. in data 7/1/1998 - per colpa, consistita in imprudenza, imperizia
e negligenza, e segnatamente perchè seguendo il caso del paziente A.A. affetto da rettocolite
ulcerosa precedentemente diagnosticata, e con terapia farmacologica già instaurata dal dottor G.
presso l'ospedale di Varese consistente nella somministrazione di Asacol (farmaco a base di
mesalazina e dotato di effetti collaterali sull'apparato renale secondo quanto evidenziato dal
foglietto illustrativo allegato alla confezione commerciale del farmaco), avevano omesso di
effettuare e/o di prescrivere i dovuti e periodici esami ematochimici diretti a verificare la funzionalità
renale del paziente sottovalutando altresì gli indici infiammatori emergenti dagli esami eseguiti in
data 2/12/1996, in tal modo cagionando all'A. medesimo una nefropatia tubulo interstiziale
acuta/cronica in portatore di rettocolite ulcerosa, con iniziale insufficienza renale accertata il
31/1/1998 a seguito di ricovero presso l'ospedale di Varese, comportante una malattia della durata
di circa 17 mesi con indebolimento permanente della funzione renale.
Il giudice, all'esito del dibattimento e sulla base anche di accertamenti peritali, riteneva di assolvere
gli imputati, motivando il suo convincimento con argomentazioni che possono così riassumersi: a)
la B aveva visitato l'A. la prima volta il 2/12/1996, aveva raccolto ed annotato i dati anamnestici
riferitile dal paziente, aveva effettuato il prelievo del sangue, aveva quindi verificato la normalità
della funzionalità renale attraverso i valori di azotemia e creatinina (sulla scorta anche dell'esito
della "clearance" della creatinina) ed aveva prescritto la prosecuzione della terapia con mesalazina
riducendo la dose originaria della metà; da allora la B. non aveva avuto più modo di occuparsi di
quel paziente, per cui la stessa, non riscontrandosi nella sua condotta elementi di colpa, doveva
ritenersi del tutto estranea a quanto successivamente accaduto, con conseguente sua assoluzione
conla formula "per non aver commesso il fatto"; b) per quel che riguarda l'A. e la M., nella loro
condotta non era dato riscontrare profili di colpa, nè sotto l'aspetto della negligenza nè sotto quello
dell'imperizia, atteso che:
1) la terapia prescritta per la rettocolite ulcerosa, di cui la persona offesa soffriva, era
assolutamente idonea, sia per la scelta del farmaco che per le dosi prescritte;
2) all'inizio della terapia l'Anania non aveva presentato alcuna controindicazione all'uso di detto
farmaco, posto che gli indici della funzionalità renale erano risultati normali come emerso dagli
esami ematochimici eseguiti nel giugno del 1996;
3) i periti avevano affermato la sussistenza del nesso di causalità tra il farmaco somministrato al
paziente e l'insorgenza della patologia renale, in termini di rilevante probabilità, sul rilievo della
nefrotossicità della mesalazina - in quanto acido 5 aminosalicidico - ed in assenza di altre cause
quali infezioni nefrologiche rilevantio patologie autoimmuni; ad avviso dei periti, se nel periodo tra il
gennaio 1997 ed il gennaio 1998 fossero stati richiesti esami del sangue comprensivi dei valori di
azotemia e creatinina, questi ultimi avrebbero rivelato l'insorgenza di una insufficienza renale: di tal
che, la condotta contestata agli imputati andava qualificata come condizione necessaria
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dell'evento lesivo, anche alla luce di quanto affermato in materia, nel 2002, dalle Sezioni Unite
della Cassazione;
4) la costruzione accusatoria muoveva tuttavia dal presupposto che in quegli anni (1996 e 1997) vi
fosse, da parte dei medici imputati, la conoscenza degli effetti nefrotossici della mesalazina;
5) era invece emerso che a quell'epoca detta conoscenza non era ancora patrimonio comune,
specie tra i medici gastroentorologi;
6) pur appartenendo l'Asacol alla categoria dei salicilati, detto farmaco presentava però molecole
del tutto diverse e modificate, e soltanto nel 2000avevano cominciato a diffondersi tra i nefrologi,
ed anche tra i gastroenterologi, sufficienti e complete segnalazioni in ordine ad una tossicità del
farmaco per i reni tale da poter determinare l'insorgenza di una nefrite interstiziale: prima del 2000,
anche nella letteratura scientifica vi erano state sporadiche informazioni, comunque pubblicate su
riviste minori, di una nefrotossicità della mesalazina, peraltro anche contrastate da altre di segno
contrario;
7) non esistevano ancora in ambito gastroenterologo "linee guida" di comportamento con
raccomandazioni di controlli della funzionalità renale in caso di terapia prolungata con il farmaco in
questione;
8) il foglietto illustrativo che accompagnava il farmaco somministrato all'A. non conteneva
indicazioni sulla necessità di sottoporre il paziente al controllo periodico della funzionalità renale,
ma solo raccomandazioni di uso con cautela nei confronti di pazienti in cui fosse presente un
danno renale o epatico, e divieto di somministrazione del farmaco a soggetti portatori di
conclamata insufficienza renale; 9) gli stessi specialisti nefrologi dell'ospedale di Varese, in
occasione del ricovero dell'A. il 19 gennaio 1998, benchè a conoscenza dell'assunzione da parte
dell'A. di mesalazina, avevano continuato la terapia farmacologica con l'Asacol, senza neanche
ridurne la dose, nonostante la presenza in quel momento di valori indicativi di una insufficienza
renale, ed avevano disposto l'interruzione della somministrazione del farmaco solo all'esito della
biopsia che aveva consentito di diagnosticare la nefrite interstiziale; 10) alcun elemento era
emerso per ritenere che la B., al momento della visita del 2 dicembre 1996 - allorquando la
creatinina era risultata pari a 1,5 - fosse a conoscenza dei risultati di laboratorio del giugno
precedente che avevano evidenziato un valore della creatinina di 1,3: pertanto non poteva
rimproverarsi ai medici posti sotto accusa di aver trascurato un "trend" in salita della creatinina la
quale tuttavia ben poteva considerarsi sostanzialmente nella norma anche ad un valore di 1,5,
specie perchè erano risultati contestualmente normali il valore dell'azotemia ed i dati dell'esame
delle urine; 11) pur non essendo stato più controllato il valore della creatinina dal 2 dicembre 1996,
erano state comunque sempre regolarmente effettuate le analisi delle urine da cui erano emersi
valori normali.
Avverso detta sentenza proponevano gravame sia la parte civile che il pubblico ministero,
quest'ultimo limitatamente alle posizioni dell'A.e della M.
La Corte d'Appello di Milano confermava l'assoluzione della B., e, quanto agli altri due imputati,
ribaltava il verdetto di primo grado condannando entrambi alla pena ritenuta di giustizia.
La Corte di merito sostanzialmente rivalutava nell'ottica dell'accusa circostanze ed elementi che
avevano formato oggetto di esame ed analisi da parte del primo giudice, e, specificamente in
ordine alla posizione dell'A. e della M.i, sottolineava quanto segue:
1) come peraltro già evidenziato dallo stesso Tribunale, poteva affermarsi in termini di rilevante
probabilità la sussistenza del nesso causale tra la somministrazione della mesalazina e
l'insorgenza della nefrite tubulo-interstiziale, anche perchè era stata esclusa qualsiasi altra causa
alternativa: di tal che risultavano pienamente rispettati i criteri dettati dalle Sezioni Unite in tema di
accertamento del nesso causale;
2) per quel che concerne la prevedibilità dell'evento, contrariamente a quanto ritenuto dal primo
giudice, gli imputati - anche in considerazione della loro qualifica di medici specialisti - non
potevano ignorare gli effetti nefrotossici dell'Asacol posto che: a) informazioni al riguardo eranogià
state pubblicate su riviste scientifiche sin dagli anni '80 e '90 (ad esempio, sulla rivista Lancet la cui
diffusione non era certo limitata ad isolate regioni); b) il farmaco in argomento apparteneva alla
famiglia dei salicilati, di cui era nota la possibile nefrotossicità; c) il foglietto illustrativo del
medicinale raccomandava speciali precauzioni d'uso nei confronti di pazienti con danno renale ed
epatico, il che rendeva irrilevante che tale rischio, nel caso del paziente Anania, non fosse stato
ancora conclamato in maniera incontrovertibile;
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3) d'altra parte la stessa dottoressa B., a fronte di un dato relativo alla creatinina (1,5) non ancora
preoccupante, ma tuttavia meritevole di attenzione, si era posta il problema della "clearance" della
creatinina, a dimostrazione della necessità di cautela e controllo per un'emergenza ematochimica
non del tutto soddisfacente;
4) al contrario, i dottori Ardizzone eMolteni non avevano mai disposto esami ematochimici, nè
generici nè mirati alla funzionalità renale, pur disponendo dei dati già noti alla Bollarti, che, al
momento del loro intervento, erano certamente datati e, quindi, non più significativi;
5) conclusivamente, appariva innegabile che l'A. e la Mo., per quanto rispettivamente fatto, non
avevano prestato adeguata attenzione al rischio derivante dall'uso prolungato dei salicilati da parte
dell'Anania, "così omettendo quegli esami che, se tempestivamente effettuati, avrebbero
consentito o di evitare l'insorgere della malattia o di limitarne le conseguenze negative per la parte
offesa" (per come si legge testualmente a pag. 10 della sentenza della Corte d'Appello). Ricorrono
per Cassazione gli imputati A. e Mo. deducendo doglianze - sotto il duplice profilo della violazione
di legge e del vizio motivazionale - sostanzialmente simili ed in gran parte sovrapponigli anche dal
punto di vista letterale, trattandosi di posizioni pressochè identiche; le impugnazioni divergono solo
nella parte concernente l'intensità del rapporto terapeutico instauratosi tra i medici suddetti e
l'Ananaia - avendo l'A. e la M. visitato il paziente, rispettivamente, due volte il primo ed una sola
volta la seconda - e le prescrizioni e le indicazioni dai medesimi fornite al paziente stesso.
Ciò posto, le censure dei ricorrenti - che in buona sostanza fanno leva principalmente sulle
argomentazioni svolte dal primo giudice a sostegno della sentenza di assoluzione - possono
sintetizzarsi come segue:
A) anche il dottor G. - il quale aveva avuto precedentemente in cura l'Anania prescrivendogli
l'Asacol - non aveva ritenuto di eseguire esami finalizzati a controllare la funzionalità renale del
paziente;
B) l'Asacol, pur rientrando nella categoria dei salicilati, presenta tuttavia molecole peculiari che ben
possono differenziarne gli effetti collaterali rispetto agli altri farmaci appartenenti allamedesima
categoria: di tal che, sotto il profilo del nesso di causalità, i giudici di merito avrebbero errato nel
trarre la certezza della nefrotossicità della mesalazina dalla sua appartenenza alla categoria dei
salicilati;
C) solo nel 2000 avrebbero cominciato a diffondersi tra i nefrologi ed i gastroenterologi complete
informazioni e segnalazioni circa una nefrotossicità del farmaco; in precedenza si era trattato di
notizie pubblicate su riviste minori, e peraltro anche contrastanti, tant'è che i medici non avevano a
disposizione neanche le "linee guida"; neppure la "guida all'uso dei farmaci" (a cura della Direzione
Generale del Ministero della Sanità) suggeriva l'opportunità di controlli di "routine" della
funzionalità renale nel caso di uso di aminosalicilati; quanto al foglietto illustrativo del farmaco in
argomento, fino al 1998 lo stesso presentava solo l'indicazione di unuso cauto nei confronti di
pazienti già affetti da problemi renali (o epatici) e divieto per pazienti affetti da conclamata
insufficienza renale, trattandosi di farmaco eliminato per via renale e metabolizzato per via epatica;
il che sarebbe cosa diversa da una avvertenza di pericolo di nefrotossicità: prova ne sia che solo a
partire dal 2000, nel foglietto allegato alla confezione del farmaco, risulta espressamente
raccomandato il monitoraggio della funzionalità renale in corso di trattamento con il farmaco;
dunque, secondo i ricorrenti, in base alle cognizioni scientifiche ed agli studi dell'epoca, negli anni
1996 e 1997 l'evento dannoso occorso all'Anania non era nè prevedibile nè prevenibile, tant'è che
gli stessi specialisti nefrologi dell'Ospedale di Varese - in occasione del ricovero dell'Anania presso
quel nosocomio nel gennaio 1998 - pur in presenza di un valore di creatinina (3,8) sicuramente
ben superiore alla norma, avevano continuato a somministrare all'Anania,dal 21 gennaio 1998 al
31 gennaio 1998, l'Asacol ed avevano deciso di interrompere tale terapia farmacologica solo
all'esito della biopsia che aveva evidenziato l'insorgenza della nefrite tubulo- interstiziale;
D) dubbia sarebbe anche la sussistenza del nesso causale tra l'omesso monitoraggio e
l'insorgenza della patologia renale: ed invero, un farmaco può essere tossico in modo acuto ovvero
per dipendenza, ed ancora oggi vi sarebbero incertezze circa la riconducibilità della mesalazina nel
novero dei farmaci ad effetto tossico per dipendenza;
E) la M., nell'unica occasione in cui aveva visto la parte offesa, aveva riscontrato che i valori di
azotemia e creatinina dell'Anania, relativi ai precedenti esami, erano rispettivamente pari a 49 e
1,5, ritenendoli dunque pressochè nella norma, ed aveva comunque mutato la terapia sostituendo
l'Asacol con la Salazopirina: successivamente l'Anania, dopo aver consultatotelefonicamente un
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medico dell'ospedale Sacco di Milano, aveva ripreso l'uso dell'Asacol all'insaputa della Molteni;
quest'ultima, in quell'unica circostanza in cui aveva visitato il paziente, aveva riportato in cartella
solo i dati relativi ai globuli bianchi perchè si trattava degli unici valori risultati al di fuori della
norma: tutti gli altri esami (ivi compreso l'esame delle urine) avevano evidenziato valori normali e
quindi soltanto per tale ragione non erano stati riportati in cartella, come sottolineato anche a pag.
10 della sentenza di primo grado (con riferimento all'udienza del 5 luglio 2002);
F) la M. non aveva dunque rilevato alcun dato che potesse essere spia di una cattiva funzionalità
renale, procedendo peraltro anche alla sostituzione dell'Asacol con altro farmaco; dopo due
settimane l'Anania si era recato poi all'ospedale di Varese per un blocco vertebrale, ed in
quell'occasione al paziente erano state riscontrate anomalie nella funzionalità renale e quindi
diagnosticata la nefrite tubulo-interstiziale;
G) sulla scorta di tali ultime circostanze, secondo i ricorrenti, non potrebbe in assoluto escludersi
che a provocare la malattia renale possa essere stato un abbondante uso di antidolorifici da parte
dell'Anania, magari assunti in regime di automedicazione, per fronteggiare i dolori acuti derivanti
dal blocco vertebrale.
Motivi della decisione
1) Ricorso Ar. - il ricorso del dottor A. non merita accoglimento.
Le dedotte doglianze, pur articolate con diffuse argomentazioni - specie per quel che concerne la
problematica relativa al nesso causale tra la condotta omissiva e l'evento in materia di colpa
professionale medica (che ha visto l'intervento delle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza
Franzese: ud. 10/7/2002, dep.11/9/2002) - risultano invero prive di giuridico fondamento. Deve
innanzi tutto sottolinearsi che, per quel che riguarda l'individuazione dei profili di colpa nella
condotta del dottor Ardizzone, con il gravame - attraverso la denunzia di asseriti vizi di violazione
di legge e di motivazione - sono state riproposte questioni, anche di fatto, già ampiamente
dibattute in sede di merito. Orbene i vizi denunciati non sono riscontrabili nella sentenza
impugnata, con la quale la Corte territoriale - quanto alla posizione del dottor A. - ha dimostrato di
aver analizzato tutti gli aspetti essenziali della vicenda, pervenendo, all'esito di un approfondito
vaglio di tutta la materia del giudizio, a conclusioni sorrette da argomentazioni adeguate e
logicamente concatenate.
Trattandosi di contestazione di condotta colposa omissiva, preliminarmente è necessario verificare
la sussistenza di un obbligo di garanzia in capo all'imputato. Orbene, nella concreta fattispecie la
verifica al riguardo è particolarmente agevole; ed invero l'obbligo di garanzia non presenta
particolari problemi per quel che riguarda i trattamenti medico chirurgici: è sufficiente che si sia
instaurato un rapporto sul piano terapeutico tra paziente e medico per attribuire a quest'ultimo la
posizione di garanzia ai fini della causalità omissiva, e comunque quella funzione di garante della
vita e della salute del paziente che lo rende responsabile delle condotte colpose che abbiano
cagionato una lesione di questi beni. Passando ad esaminare nello specifico la condotta del dottor
Ardizzone, va innanzi tutto sottolineato che la Corte d'Appello di Milano ha ritenuto di condividere
pienamente le conclusioni dei periti di ufficio secondo cui l'insorgenza della patologia renale, poi
diagnosticata all'A., doveva certamente ricollegarsi, sotto il profilo eziologico, alla somministrazione
(per un lungo periodo)di un farmaco, l'Asacol, che al paziente stesso era stato prescritto per la
cura di una rettocolite ulcerosa; conclusione questa sorretta da adeguata e puntuale motivazione
(anche nel rispetto dei principi enunciati nella sentenza Franzese delle Sezioni Unite) - e peraltro
sostanzialmente non contestata nemmeno dal consulente della difesa, per come si evince dalle
sentenze di primo e secondo grado - atteso che, all'esito di puntuale verifica al riguardo, è stata
esclusa qualsiasi altra causa potenzialmente idonea, sul piano della credibilità razionale (e sulla
scorta delle nozioni e delle esperienze scientifiche al momento disponibili), a causare la nefrite
interstiziale. Decisivo rilievo, nella produzione dell'evento, è stato dunque attribuito alla terapia
farmacologica (protrattasi nel tempo) a base di "mesalazina", e, sotto il profilo della colpa per
condotta omissiva, alla mancata acquisizione di dati relativi allafunzionalità renale del paziente che
sarebbe stato possibile ottenere attraverso semplici esami ematochimici. Alcuna censura può
dunque essere mossa alla Corte territoriale, avendo questa motivatamente condiviso le conclusioni
dei periti di ufficio (il giudice resta pur sempre il "peritus peritorum"); muovendo dalle risultanze
peritali, la Corte stessa ha poi individuato gli elementi ritenuti utili per confutare la tesi difensiva,
traendo nel contempo, dalle risultanze medesime, validi argomenti per affermare che il mancato
controllo dei valori di creatinina ed azotemia (indici della funzionalità renale) aveva favorito
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l'insorgenza e l'aggravamento della patologia renale. Ad avviso dei giudici di secondo grado, in
sostanza, se il dottor Ardizzone avesse disposto le analisi predette, avrebbe avuto la possibilità,
riscontrando l'alterazione dei valori della cretinina edell'azotemia, di rendersi conto della cattiva
funzionalità renale, e quindi, sospendendo innanzi tutto la terapia di Asacol, avrebbe reso possibile
altresì un più immediato ed efficace intervento, in tal modo impedendo, quanto meno,
l'aggravamento della patologia renale (ove già insorta) tenuto conto dei tempi in cui intervenne il
dottor Ardizzone rispetto al momento (fine gennaio 1998) in cui fu diagnosticata all'. la malattia
renale. E la Corte di merito ha saldamente ancorato l'affermazione di colpevolezza del dottor A. ad
oggettive circostanze e specifici elementi probatori, in tal modo dando sicura dimostrazione di aver
espresso il proprio convincimento anche all'esito del necessario giudizio controfattuale, secondo i
criteri dettati dalle Sezioni Unite. Ed invero, se nel novembre 1996, in occasione della visita della
dottoressa Bollani (l'unica che si preoccupò di richiedere esami concernenti la funzionalità renale
dell'Anania), la creatinina era di 1,5 el'azotemia era pari a 49 (ai limiti della norma secondo i
"range" di riferimento, tanto che la dottoressa B. ritenne indispensabile avvalersi anche della
"clearance" della creatinina), e se nel gennaio 1998 (allorquando presso l'ospedale di Varese fu
poi accertata la nefrite interstiziale) la creatinina stessa era di 3,8 (e quindi notevolmente alterata),
deve ritenersi acquisita la "certezza processuale" che (pur se si volesse, in ipotesi, prescindere dal
primo intervento del dottor Ardizzone nel gennaio 1997, atteso che in tale circostanza il sanitario
stesso poteva aver fatto affidamento sui dati acquisiti dalla dottoressa Bollani, anche se comunque
erano pur sempre trascorsi circa due mesi) nel giugno del 1997 (quando il dottor Ardizzone visitò
per la seconda volta il paziente), semplici esami di laboratorio avrebbero evidenziato - su un piano
di credibilità razionale e probabilità logica (Sez. Unite, Franzese) - un valore di creatinina superiore
a quello considerato quale parametro normale: il che avrebbe consentito un pronto intervento con
tutte le conseguenze, favorevoli per il paziente, di cui si è sopra detto.
Quanto alla prevedibilità dell'evento, parimenti vanno condivise le argomentazioni svolte dalla
Corte distrettuale, con qualche ulteriore precisazione.
Non appare, invero, di decisivo rilievo il grado di conoscenza e di diffusione, nel mondo scientifico
all'epoca dei fatti in questione, per quel che concerne la specifica nefrotossicità della "mesalazina"
(e quindi dell'Asacol), pur non potendo sottacersi che una rivista a larga diffusione e di riconosciuto
valore di informazione scientifica, quale la Lancet, aveva comunque già dato notizia di studi
concernenti effetti nefrotossici del medicinale in argomento.
Il dato particolarmente significativo, e sicuramente rilevante, è che già a quell'epoca il bugiardino
(foglio illustrativo) allegato alla confezione del farmaco, come pacificamente acclarato, richiamava
l'attenzione sulla funzionalità renale: orbene, non è dato comprendere come sia possibile verificare
la funzionalità renale di un soggetto se non attraverso esami di laboratorio, peraltro estremamente
agevoli ed attuabili con un semplice prelievo di sangue senza alcun rischio per l'integrità fisica del
paziente. Nè il dottor A. può invocare a propria giustificazione la circostanza che solo a far tempo
dal 2000 con il "bugiardino" relativo al farmaco "de quo" è stato raccomandato il monitoraggio, in
corso di terapia, della funzionalità renale del paziente; giova ribadire che già la semplice
avvertenza (esistente nel foglio illustrativo di quegli anni, come detto) di un uso cauto del farmaco
nei pazienti con danno renale ed epatico, con l'indicazione espressa di evitarne l'impiego nel caso
di soggetto con conclamata insufficienza renale (come letteralmente riportato nel
foglietto),imponeva uno specifico e preventivo (oltre che periodico) controllo di detta funzionalità (e
quindi la necessità di appositi esami di laboratorio, invece omessi) onde verificare l'eventuale
sussistenza di controindicazioni all'uso del farmaco: e ciò anche nel rispetto degli ordinari criteri di
diligenza e prudenza, la cui inosservanza rileva anche sotto il profilo della mera colpa generica
(imprudenza, imperizia e negligenza) pure oggetto di contestazione nel capo di imputazione.
Conclusivamente, sulla scorta di tutte le suesposte considerazioni, appare del tutto giustificato, e
corroborato dalle acquisite risultanze processuali, il convincimento espresso dalla Corte di merito
secondo cui la condotta omissiva del dottor A. è stata condizione necessaria dell'evento lesivo
subito dal paziente Anania Angelo, con "alto o elevato grado di credibilità razionale" o "probabilità
logica" (c.d. "certezza processuale"). Avuto riguardo alla successione cronologica degli interventi
del dottor A., ed alla condotta di quest'ultimo, appare del tutto infondata la tesi subordinata
sostenuta dalla difesa secondo cui il reato contestato all'imputato sarebbe estinto per intervenuta
prescrizione. L'assunto difensivo si basa, evidentemente, sulla individuazione della data del 30
gennaio 1997 quale momento di inizio della decorrenza del termine prescrizionale. Detta data,
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tuttavia, corrisponde solo alla prima delle occasioni nelle quali il Dottor Ardizzone ebbe modo di
occuparsi direttamente dell'A.ed omise di effettuare i controlli per verificare la funzionalità renale
del paziente. Il dottor Ardizzone, infatti, visitò l'Anania ancora il 24 giugno 1997, ed anche in tale
circostanza, come pacificamente accertato, non richiese i dovuti esami ematochimici, così
ponendo in essere una condotta che ulteriormente incise sull'evoluzione dellapatologia renale poi
diagnosticata all'Anania nel gennaio 1998.
Quanto alla terapia a base di Asacol, nel periodo dal 24 giugno 1997 in poi, nel ricorso dell'A. si
legge testualmente (pag. 20) che quest'ultimo (in occasione, appunto, della visita dell'Anania del
24 giugno 1997) "...modificava la terapia sostituendo l'Asacol a base di mesalazina con la terapia
cortisonica" e che (sempre il dottor Ardizzone) "...provvide al cambiamento della terapia con quella
cortisonica" (pag. 21). Orbene, dalle sentenze di primo e secondo grado si rileva che allorquando
intervenne poi la dottoressa Molteni (il 7 gennaio 1998), costei sostituì la mesalazina con la
salazopirina (pag. 2 della sentenza di primo grado e pag. 5 della sentenza d'appello). Ne deriva
che, al momento dell'intervento della dottoressa Molteni, l'Anania stava ancora assumendo
l'Asacol (l'uso del verbo sostituire non lascia spazio a dubbi di sorta in proposito), e ciò proprio in
base alle indicazioni del dottor A. come si rileva inequivocabilmente dalla relazione della perizia
collegiale in atti, laddove a pag. 5 risulta specificato che in occasione della visita del dottor
Ardizzone del 24 giugno 1997 la terapia di Asacol fu sospesa per due mesi (dunque solo fino a
tutto agosto di quell'anno); è documentalmente provato, quindi, che la ripresa della terapia a base
di Asacol, dopo la temporanea sospensione, era stata prevista e prescritta dal dottor Ardizzone il
24 giugno 1997 (senza alcun controllo dei valori della funzionalità renale, come detto).
Ne consegue che il termine prescrizionale per il reato ascritto al dottor Ardizzone, tenuto conto
dell'intervento e della condotta di costui del 24 giugno 1997, a tutt'oggi non risulta ancora decorso.
2) Ricorso M.. Diversa è invece la posizione della dottoressa M., per quel che riguarda il nesso di
causalità tra la sua condotta e l'evento. Ed invero, ferme restando tutte le considerazioni svolte in
precedenza nell'esaminare il ricorso del dottor A.e da intendersi qui integralmente richiamate - che
valgono anche per la dottoressa M., sotto il duplice profilo della colpa generica e specifica secondo
l'addebito a suo carico formulato - la sentenza della Corte di merito risulta assolutamente carente
sul piano motivazionale laddove è stata affermata la riconducibilità dell'evento lesivo anche al
comportamento della Molteni.
Risultano dagli atti pacificamente accertate le seguenti circostanze di fatto:
a) l'A. aveva iniziato la terapia con l'Asacol sin dal novembre 1995 su prescrizione del dottor
Gullotta;
b) la dottoressa Molteni visitò l'Anania in una sola occasione, esattamente in data 7 gennaio 1998,
ed in tale circostanza sostituì l'Asacol con la salazopirina, dimezzando la dose giornaliera;
c) la nefrite interstiziale - patologia insorta quale conseguenza dellasomministrazione dell'Asacol, e
non diagnosticata prima del 31 gennaio 1998 a causa della mancata verifica (dopo il primo
intervento della dottoressa B.) dei valori relativi alla funzionalità renale con appositi esami
ematochimici - fu accertata appunto il 31 gennaio 1998 presso l'ospedale di Varese. Muovendo
dunque dalle premesse fattuali appena ricordate, la Corte di merito, nel pronunciare sentenza di
condanna a carico della dottoressa Molteni, avrebbe dovuto specificamente indicare - nel rispetto
dei principi enunciati dalle Sezioni Unite (innanzi più volte ricordati) in tema di rapporto di causalità
in presenza di una condotta colposa omissiva - gli elementi processuali di significativa valenza
probatoria, nonchè i dati scientifici eventualmente disponibili, cui poter ancorare saldamente il
convincimento della sussistenza del nesso causale (è opportuno ricordare che le Sezioni Unite
hanno altresì precisato, con la sentenza Franzese, che "l'insufficienza, la contraddittorietà e
l'incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole
dubbio, in base all'evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva
del medico rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell'evento lesivo, comportano la
neutralizzazione dell'ipotesi prospettata dall'accusa e l'esito assolutorio del giudizio").
I giudici di seconda istanza avrebbero cioè dovuto ritenere acquisite (e, di conseguenza,
specificamente indicare) risultanze processuali tali da poter legittimare la seguente affermazione
(all'esito del necessario giudizio controfattuale): se la dottoressa Molteni in occasione del suo
unico intervento, 24 giorni prima che fosse diagnosticata all'ospedale di Varese la patologia renale
all'Anania (il quale assumeva l'Asacol da oltre due anni), avesse eseguito gli esami di laboratorio
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(in specie,creatinina ed azotemia) finalizzati a verificare la funzionalità renale, riscontrando valori al
di fuori della norma, avrebbe, con tale condotta (doverosa ed invece omessa) - ed in termini di
"alto o elevato grado di credibilità razionale" o "probabilità logica" (c.d. "certezza processuale") impedito l'insorgenza della nefrite interstiziale, o quanto meno avrebbe evitato un significativo
aggravamento della patologia stessa rispetto al livello poi riscontrato il 31 gennaio 1998 dai medici
di Varese (i quali, a loro volta, pur in presenza di un valore di creatinina di 3,8, sospesero la
somministrazione di Asacol solo dopo aver conosciuto l'esito della biopsia).
La Corte distrettuale ha ritenuto di poter basare l'affermazione della sussistenza del nesso
causale, tra la condotta degli imputati condannati e l'evento, sulla seguente considerazione: "....A.e
M, per quanto rispettivamente fatto, non hannoprestato adeguata attenzione al rischio derivante
dall'uso prolungato dei salicilati da parte di Anania, così omettendo di prescrivere quegli esami
che, se tempestivamente effettuati, avrebbero consentito o di evitare l'insorgere della patologia o di
limitarne le conseguenze negative per la persona offesa" (così letteralmente, a pag. 10 della
sentenza). Orbene, siffatta enunciazione, se per il dottor A. ben può ritenersi suffragata da
adeguate risultanze processuali e da argomentazioni logicamente concatenate (sulla scorta di tutto
quanto sopra evidenziato nel vagliare le censure dedotte dall'imputato), viceversa, per la M., risulta
semplicemente assertiva e del tutto priva di un logico ed adeguato supporto motivazionale: e ciò,
giova ripeterlo, avuto riguardo alle circostanze di fatto prima ricordate (in particolare, la data
dell'unico intervento della dottoressa M.), dalle quali non può assolutamente prescindersi per una
corretta e compiuta valutazione inordine alla sussistenza del nesso causale tra la condotta della M.
stessa - pur certamente colposamente omissiva - e l'evento lesivo.
Alla stregua di tutte le suesposte considerazioni, l'impugnata sentenza deve essere dunque
annullata nei confronti di Molteni Paola, con rinvio, per nuovo esame, ad altra sezione della Corte
d'Appello di Milano che si atterrà ai principi di diritto sopra ricordati. Al rigetto del ricorso
dell'Ardizzone segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
l'Ardizzone va altresì condannato a rifondere alla parte civile le spese del presente giudizio che si
liquidano in euro 2250,00 di cui euro 2000,00 (duemila/00) per onorari, oltre I.V.A. e C.P.A. se
dovute.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Molteni Paola e rinviaper nuovo esame ad altra
Sezione della Corte d'Appello di Milano.
Rigetta il ricorso di Ardizzone Sandro e condanna detto ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonchè a rifondere alla parte civile le spese del presente giudizio che si liquidano in
euro 2250,00 di cui euro 2000,00 (duemila/00) per onorari, oltre I.V.A. e C.P.A. se dovute.
Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2004.
Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2004
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