REPORT ICAR 2013, TORINO
SYMPOSIUM: GENETIC AND INFECTIONS
A cura di Agostino Riva (UNIMI)
La ricerca scientifica sull’argomento della genetica nell’ambito delle patologie infettive ha
ricevuto recentemente una spinta notevole grazie all’introduzione di nuove tecniche
laboratoristiche e alla riduzione dei costi delle stesse.
Nella presentazione su HCV e genetica (Dr. Agostino Riva) è stato sottolineato il ruolo
predittivo dei polimorfismi del gene IL28B sulla risposta alla terapia in pazienti con
coinfezione HIV/HCV in una coorte di pazienti italiani afferenti all’Ospedale Sacco e
all’Ospedale san Raffaele; in particolare i polimorfismi a singolo nucleotide rs8099917 e
rs12979860 sono in grado di predire il successo terapeutico e la determinazione
contemporanea di entrambi i polimorfismi incrementa la sensibilità della predizione. E’ stata,
inoltre studiata la genetica del gene SLC29A, la cui proteina (ENT1) è il maggior trasportatore
intracellulare di ribavirina in relazione alla terapia anti-HCV; il genotype AA del polimorfismo
rs760370 è associata alla risposta virologica precoce. Infine sono stati presentati dati sul
polimorfismo del gene ITPA (Inosina trifosfatasi), 2 polimorfismi rs1127354 and rs7270101
presentano una forte associazione con la riduzione dell’emoglobina durante terapia con
ribavirina e la loro determinazione risulta, quindi, fondamentale per valutare il rischio di
anemia nei pazienti in trattamento anti-HCV. Con l’introduzione dei nuovi farmaci antivirali
contro l’epatite C questi polimorfismi assumono un peso minore nella predittività della
risposta, ma potranno essere utili per disegnare regimi terapeutici personalizzati per ciascun
paziente con diversi dosaggi e differenti durate di terapia.
Nella presentazione del professor Stefano Bonora sulla farmacogenetica del trattamento
dell’infezione da HIV si sono evidenziati i notevoli progressi avvenuti di recente per la
individualizzazione del regime antiretrovirale sulla base delle caratteristiche genetiche.
L’analisi genetica consente attualmente di predire l’efficacia e il rischio di tossicità per i
farmaci abacavir e atazanavir grazie alla determinazione della presenza di HLAB5701 e di
polimorfismi nei geni UGT, ma i dati presentati suggeriscono che l’analisi dei polimorfismi del
gene CYP2B6 possa dare indicazioni cliniche significative sulle concentrazione plasmatiche di
nevirapina ed efavirenz e consentire la valutazione dell’efficacia e della tossicità con un
possibile aggiustamento del dosaggio a seconda delle caratteristiche genetiche. Nello studio
Reyagen, che è il primo studio randomizzato che valuta l’aggiustamento di dosaggio di
atazanavir basato sulla farmacogenetica e che vede come capofila la Clinica di Malattie
Infettive dell’Università di Torino, la determinazione dei polimorfismi dei geni PXR, ABCB1 e
SLCO1B1 consente di assegnare uno score genetico a ciascun paziente. Sulla base dello score
si decide il dosaggio di atazanavir; nel braccio con la caratterizzazione farmacogenetica i
pazienti hanno una probabilità significativamente superiore di avere concentrazioni di
atazanavir superiori alla soglia di efficacia.
Il Dr. Ioannis Theodorou ha esposto i risultati di uno studio collaborativo sui pazienti Long
term Nonprogressors cui hanno partecipato il Groupe hospitalier de la Pitié-Salpêtrière, la III
Divisione di Malattie Infettive dell’Ospedale Sacco e l’Istituto Scientifico San Raffaele. E’ stato
condotto uno studio GWAS (Genome Wide Association Study) che ha consentito
l’identificazione 47 varianti genetiche che sono significativamente più presenti nelle persone
infette resistenti al virus rispetto a quelle con progressione di malattia. La maggior parte di
queste varianti sono localizzate nella porzione di genoma in cui sono presenti i geni del
cosiddetto complesso maggiore di istocompatibilità (MHCI) come già emerso in letteratura,
ma il coinvolgimento anche di geni della classe III è la novità di questa collaborazione. La
classe III è coinvolta nell’immunità naturale a conferma di recenti pubblicazioni che ne
sottolineano l’importanza nella risposta anti-HIV.
Nell’ultima presentazione della sessione il Professor Andrea Cossarizza ha presentato il ruolo
degli aplogruppi mitocondriali nell’infezione da HIV. I mitocondri possiedono il loro specifico
genoma, il DNA mitocondriale, e variazioni della sequenza del DNA mitocondriale sono state
correlate con diverse patologie. Alcune varianti polimorfiche di DNA mitocondriale acquisite
durante la storia evolutiva umana consentono di suddividere la popolazione umana in un
certo numero di aplogruppi mitocondriali. Nell’infezione da HIV gli aplogruppi sono correlate
alla progression di malattia, alla lipodistrofia, alle alterazioni metaboliche e alla progressione
della fibrosi epatica. Nello studio osservazionale CHARTER (CNS HIV Antiretroviral Therapy
Effects Research) è stata esaminata l’associazione tra variazioni del DNA mitocondriale e la neuropatia
sensoriale associate ad HIV. Due polimorfismi del DNA mitocondriale si sono rivelati associati ad una
notevole riduzione della prevalenza di neuropatia sensoriale. Per quanto riguarda il recupero
immunitario aplogruppi mitocondriali ne influenzano l’entità sia nella popolazione europea che
africana. In particolare, pazienti con aplogruppi JT, J, e T hanno maggiori probabilità di non
raggiungere una conta dei linfociti T CD4+ ≥500/ml dei pazienti con aplogruppi HV e H.