STEFANO FRATI - 4^ LICEO CLASSICO VIDA Buio, un cappio, una pistola e due disperati. È questa la prima scena che L’impresario delle Smirne, per la regia di Roberto Valerio, presenta alla curiosità del pubblico del Ponchielli, che subito dopo sobbalza al tuonare di uno sparo e alla caduta di una sedia. Dopo questo primo assalto uditivo a sorpresa, reso davvero suggestivo dalle luci soffuse, un caleidoscopio di personaggi si fionda sulla scena, ognuno con le sue miserie: il comico Carluccio (Antonino Iuorio) coltiva un‘ingiustificata superbia; le attricette Tognina (Valentina Sperli) ed Annina (Federica Bern) si contendono lo stesso uomo, Pasqualino (Alessandro Federico), il quale però non sembra interessato a scegliere; il poeta disperato Maccario (Massimo Grigò) arraffa qua e là tutto ciò che può; l’avvenente attrice Lucrezia (Chiara Degani) è disposta a tutto pur di trovare un impiego. Tutti entrano poi in competizione per il favore di Alì (Nicola Rignanese), che afferma di voler condurre in Oriente una compagnia teatrale, pagando lauti onorari. Vero deus ex machina, o forse meglio diabolus, della vicenda è però il conte Lasca (lo stesso regista Roberto Valerio), che organizza tutto al posto di Alì, sfruttando proprio la meschinità degli attori, e riesce a lucrare persino sull’aborto del progetto alla fine della commedia. Tema di fondo dell’intera opera è lo sfruttamento dell’arte da parte dei potenti: splendida la scena in cui il conte Lasca “suona” come un violino Lucrezia, sottolineando come lei non sia che uno strumento nelle sue mani. Altro tema importante è la vanità delle illusioni umane, che vanno in fumo con la fuga di Alì, oppure come il mondo dei ricchi del mercante turco (che scende con un’altalena dal cielo) sia un “paradiso”, contrapposto all’inferno degli attori (ciò si vede dal fondale rosso che spesso li accompagna, e dalle citazioni dell’Inferno dantesco di Tognina). Piacevole tuttavia l’intervento, quasi plautino, dell’oste…, pardon, locandiere (Peter Weyel), che non esita a sfondare la quarta parete per dialogare col pubblico e sorprenderlo con uno spettacolo di giocoleria. La recitazione nel suo complesso è convincente, accattivante poi quella di Roberto Valerio, per quanto leggermente innaturale. In totale un ottimo spettacolo, capace di far pensare e sorridere allo stesso tempo. CRISTINA SIVIERI – 2^ LICEO CLASSICO MANIN "L'impresario delle Smirne" al teatro Ponchielli, con la regia di Roberto Valerio, rispecchia l’attualità delle opere di Carlo Goldoni. La commedia narra le vicende di un gruppo di attori scapestrati - Lucrezia (Chiara Degani), Tognina (Valentina Sperlì), Annina (Federica Bern), Pasqualino (Alessandro Federico), Carluccio (Antonino Iuorio) -che vedono in un impresario venuto dall'Oriente l'occasione per la tanto agognata-e fino ad ora mancata-fama. L'impresario Alì (Nicola Rignanese), un ricco mercante Turco, desidera infatti assumere alcuni attori italiani per formare una compagnia teatrale e portarla a Smirne. Gli attori, informati dell'arrivo di Alì dal conte Lasca (Roberto Valerio), loro protettore, subdolo e assetato di denaro, si impegnano, ognuno a suo modo, per fare colpo, ostentando in modo ridicolo e paradossale le proprie doti e nessuno pare voler accontentarsi di ruoli e salari minori. É guerra aperta. Così Goldoni offre una visione del tutto veritiera sul "mondo dello spettacolo", sui suoi stratagemmi e sotterfugi. Sul palco si dà vita a ciò che usualmente accade dietro le quinte, prima della stesura del copione, prima dell'assegnazione delle parti. Indubbiamente attuale, la commedia di Goldoni dimostra quanto sia breve il passo dalla Venezia del Settecento alla Hollywood dei giorni nostri. Una trama semplice, divertente, ma ricca di spunti di riflessione. Lo spettatore non fatica ad immedesimarsi e a rivalutare le proprie priorità: cosa si è disposti a perdere per la fama? E questa quanto vale davvero? Interessante la scenografia, che più volte vede tutti gli attori sulla scena e che permette di seguire lo svolgimento della trama nei vari ambienti grazie ad un gioco ben riuscito di luci e ombre. Resta però poco condivisibile il recitare spesso dando le spalle al pubblico, espediente che rende difficile sentire la voce degli attori che a volte parlano troppo velocemente per farsi capire. ELENA BRAMBILLA - 3^ LICEO SCIENTIFICO È andato in scena nei giorni scorsi al Teatro Ponchielli “L’impresario delle Smirne”, una commedia di Carlo Goldoni. La regia è di Roberto Valerio. “L’impresario delle Smirne” parla di un gruppo di attori, uomini e donne, che, disperati ed affamati, cercano denaro e fama e sperano di trovarli entrambi aggiudicandosi un ruolo nella compagnia d’Opera che un ricco impresario turco vuole mettere in piedi. L’azione prende avvio nella locanda dove soggiornano gli attori, spostandosi poi nella dimora dell’impresario delle Smirne e di nuovo nella locanda, dove si aprono scorci delle varie stanze. La commedia offre uno spaccato del mondo teatrale: gli attori fanno a gara per ottenere il ruolo migliore facendosi guerra per far carriera, cercano di ottenere un ruolo più importante, il costume più sfarzoso, un privilegio in più e soprattutto cercano di ottenere la paga l’uno più alta dell’altro, dimostrandosi disposti a qualsiasi compromesso pur di ottenere denaro e protezione. Alla fine dello spettacolo gli attori vengono scaricati dall’impresario che fa ritorno alle Smirne senza di loro, lasciandoli nelle mani del Conte Lasca, che rappresenta il potente di turno, affabulatore e taccagno. Gli attori diventano marionette nelle mani di personaggi ricchi e potenti che dispongono delle loro vite e dei loro sogni agendo nell’ombra e sfruttando le loro debolezze. L’impresario delle Smirne, in questa lettura di Valerio, risulta essere di una sconcertante verità, facendo sorgere domande sul ruolo del teatro oggi e sul ruolo che riveste l’attore. Pone l’accento sul denaro che serve per realizzare uno spettacolo e porta a chiedersi se sia possibile realizzare spettacoli di grande valore senza la giusta somma di denaro. I personaggi si completano a vicenda e rimandano con le loro debolezze ed il loro spirito libertino all’attualità. Lo spettacolo è stato un successo, il pubblico sembra aver gradito la commedia di Goldoni apprezzandone soprattutto le scene comiche e tragi-comiche. Molto bravi sono stati gli attori che hanno saputo dare vita a personaggi credibili e sono riusciti a sottolineare con gestualità e accenti le caratteristiche peculiari di ognuno di loro. ELENA SARTORI – 3^ LICEO SCIENTIFICO VIDA Al teatro Ponchielli di Cremona è stata messa in scena una divertente commedia di Carlo Goldoni intitolata “L’impresario delle Smirne”. La regia è di Roberto Valerio; protagonisti Massimo Grigò (Maccario), Federica Bern (Annina), Alessandro Federico (Pasqualino), Chiara Degani (Lucrezia), Peter Weyel (Beltrame), Valentina Sperlì (Tognina). La vicenda ruota attorno ad un gruppo di attori, uomini e donne, tutti pettegoli, invidiosi e bramosi di potere i quali per poche ore vivono l’illusione della fama e della ricchezza nella speranza di riuscire a partire per una favolosa tournée in Oriente con un ricco mercante delle Smirne di nome Alì. La vicenda si apre con una scena tragica, che mette in evidenza la disperazione dei personaggi; infatti, due stanno per uccidersi e uno sta rubando dei soldi dalla borsetta della sua fidanzata. La vicenda si svolge in due luoghi, la locanda e la casa dell’impresario, dove questi personaggi distratti dalle loro rivalità, occupati a farsi guerra per far carriera, invidiosi di una posizione nella gerarchia di palcoscenico, non si accorgono di essere delle piccole sciocche marionette i cui fili vengono manovrati da chi ha veramente il potere, che è il conte Lasca. “L’impresario delle Smirne”, in questa lettura di Valerio, risulta essere di un’allarmante attualità, sottolineando l’importanza che ha l’Arte del teatro nel mondo odierno e che ruolo riveste l’autore: realizzare spettacoli di grande valore artistico senza molto denaro. È teatro che parla di teatro. Il pubblico sembra aver gradito questo spettacolo molto più scorrevole e, nonostante l’ambientazione contemporanea, meno azzardato del “Servitore di due padroni” dello stesso Goldoni, messo in scena nel teatro cittadino poche settimane fa; è stato apprezzato soprattutto per gli effetti comici e per l’interpretazione del locandiere, che tra una scena e l’altra, coinvolgeva il pubblico con domande, scene acrobatiche e ballando in modo strano. Molto bravi gli attori, che sono riusciti a catturare l’attenzione del pubblico con scene divertimenti, perché, in fondo, il teatro è divertimento. JACOPO BOIARDI - 1^ LICEO CLASSICO MANIN Il teatro racconta se stesso. La vicenda, di una attualità che passa trasversalmente attraverso i secoli, narra le miserie e le illusioni di un gruppo di guitti in un contesto dove la recitazione non è considerata una nobile arte ma un mezzo di sussistenza. Vanità, invidie, pettegolezzi e anche mercimonio, perché le attrici sono disposte a vendere il loro corpo pur di lavorare, sono le realtà di una Venezia meta di attori in cerca di fama. Il regista Roberto Valerio mette a nudo la precarietà della professione di attore, di come il teatro stesso, a volte, remi contro ai suoi rappresentanti, rendendoli sudditi del produttore o del finanziatore di turno. Valerio è anche interprete del conte Lasca, apparentemente agente della compagnia, ma in verità individuo viscido che bada solo al proprio tornaconto; magistrale la fisicità con cui mostra il suo opportunismo: camminata, voce, sguardo, tutto trasuda ipocrisia. Bravo anche Nicola Rignanese nella sua interpretazione di Alì, un turco intenzionato a comporre una compagnia da condurre in tournèe nelle Smirne: è palese il suo disinteresse per il prodotto artistico a fronte invece di un grande interesse per le grazie delle attrici. Il triste suono iniziale della fisarmonica unito ad un cappio, che più che vedersi si intuisce nella penombra, rappresentano la disperazione in cui può piombare chi ha scelto come professione la carriera teatrale. Valore simbolico ha anche la dondolante altalena di Alì: sogno di un Oriente lontano dispensatore di fortuna e successo. Purtroppo la poca affluenza di pubblico non ha premiato la bravura degli attori che sono stati in grado di divertire e di entrare al meglio nello spirito della commedia rendendola un prodotto molto godibile, di una comicità che lascia l’amaro in bocca poiché resta l’impressione di ridere sulle disgrazie altrui. MATTEO BONAGLIA - LICEO SCIENTIFICO Cos’è uno spettacolo senza compagnia teatrale? Nulla. Per questa ragione lo spettacolo “L’impresario delle Smirne” di Roberto Valerio non può considerarsi tale. Nella messa in scena al teatro Ponchielli di Cremona si è data prova che una compagnia che non è in grado di trasmettere emozioni è come uno spettacolo televisivo: invoglia le persone a rimanere sedute e ad osservare, tuttavia non si è in grado di dire nulla se chiesti di ricordare un particolare. Musica assente, trama pressoché inesistente e cambi scena ironici, il tutto variegato in un’utopia di lirica, poetica, movimenti e gestualità. L’unico elemento di rilievo, consistente nella contemporanea messa in scena di due ambienti complementari, sbiadisce per l’impossibilità di guardare nello stesso momento i due gruppi di attori e perde di ogni senso a causa della falsità della narrazione. Soprattutto in un periodo di crisi come il nostro, proporre in modo leggero la difficoltà di trovare un lavoro, la mancanza di soldi ed il suicidio come soluzione è un atto deplorevole; il binomio povertà ed essere disposti a tutto per un lavoro è assolutamente vergognoso. La brevitas inerente la recitazione, di per sé vuota, è compensabile da un elogio alla costumista Lucia Mariani che ha realizzato dei costumi in grado di rappresentare il ruolo di ogni persona in scena, ricorrendo anche a stratagemmi come minigonne e oggetti quali un turbante, dei birilli e un raffinato bastone. Lo scarso pubblico contro ogni aspettativa ha seguito l’intero susseguirsi di battute e a fine rappresentazione ha avuto ancora la forza di battere le mani, sia nel caso che l’esibizione sia piaciuta che per il semplice e più probabile motivo che si stava chiudendo il sipario. La conclusione, se così si può definire, accentua non pochi dubbi su cosa potrebbe succedere se la vicenda proseguisse ma questo rimane e rimarrà un mistero perché dopo un immane arco di tempo: novanta minuti,gli attori sono tornati nei camerini. NICCOLO’ BONSERI - 5^ GINNASIO LICEO CLASSICO Questo adattamento de "L’impresario delle Smirne" per la regia di Roberto Valerio al teatro Ponchielli ha il sapore della comicità quasi scialba e spinta del panorama del varietà italiano degli ultimi anni. Il regista ha proposto la commedia di Goldoni in una veste che in modo tanto sapiente quanto grottesco intrattiene il pubblico ripercorrendo i temi originali che, ahimè, caratterizzano ancora oggigiorno il mondo del teatro. Siamo in una locanda misera, scenografia che rispecchia bene lo stato di bisogno in cui versano le vite dei personaggi, popolata da attori squattrinati e indebitati che vengono catapultati in un mondo di illusioni quando, trasportata dal pettegolezzo, giunge la notizia dell’arrivo di un ricco impresario turco (Rignanese) intenzionato a tornare in patria con una compagnia di attori. I personaggi tentano in tutti i modi di accaparrarsi un ingaggio proficuo, cercando di spuntarla gli uni sugli altri mediante menzogne e continui voltafaccia, soprattutto delle attrici, le quali sono agguerritissime per conquistare a reciproco discapito la parte da primadonna. Unico elemento di apparente normalità è Beltrame (il teutonico Weyel). Gli attori sono mossi a piacere dal conte Lasca (lo stesso Valerio), aiutante di campo dell’impresario Alì, che si adopera per procacciare una compagnia teatrale alla minor spesa. Il riso del pubblico è forzato, viene suscitato non tanto dalle peripezie dei personaggi, bensì dalle scene quasi da cabaret che fanno emergere una commedia dai toni cupi e dai retroscena quasi drammatici. Questo adattamento di Valerio porta a delle riflessioni elevate: la società globale di oggi arriva spesso, pensando principalmente al profitto, a calpestare l’aspetto artistico del teatro, tramutando la commedia in una mera occasione di farsi quattro grasse risate, e chi ha l’intenzione di riportare una commedia sottile si trova sopraffatto e sgominato dai grandi colossi. Con lo stesso intento i personaggi sono presentati con caratteristiche che sono comuni nel bel mondo di oggi, come gli scandali sessuali, in questo senso sono presentati un conte Lasca viscido e oggetto di sadomaso e un impresario interessato più all’aspetto carnale delle attrici che alla loro bravura. La pièce si conclude con la dipartita di Alì che lascia indietro gli attori, i quali ridanno vita ad una commedia artistica e non volta solo al guadagno, il che ci lascia una speranza. SABRINA MILANI - 3^ LICEO SCIENTIFICO Dinamicità, finzione e un sapore grottesco di attualità. Tutto ciò che è stato rappresentato ne “L’impresario delle Smirne”, al teatro Ponchielli di Cremona. La vicenda ben interpretata dal variegato gruppo di attori ha saputo regalare tanti attimi di ilarità in una convenzionale idea di rappresentazione teatrale; non sono mancati inoltre i momenti di diretto confronto con il pubblico, che coinvolto più volte, ha applaudito spontaneamente. “L’impresario delle Smirne”, improntato su una trama semplice e lineare, su intrighi e giochi di potere, ha offerto ottimi pretesti per un rimando innegabile alla realtà contemporanea.Con la regia e partecipazione di Roberto Valerio, lo spettacolo ha saputo muoversi in una scenografia, a cura di Giorgio Gori, essenziale, ma funzionale, effettiva metafora della condizione del teatro nella vicenda. La scena si sviluppa come una vera e propria finzione nella finzione, un gioco con le regole più attuali,una critica all’opportunismo e all’assenza di moralità. La rappresentazione verte sulle azioni di un manipolo di attori, tutti immersi nella dolce illusione del raggiungimento quasi tangibile della fama e del successo personale, accomunati dall’essere detentori di un segreto prezioso. Il tutto all’intero di piani sfalsati, che si confondono tra loro, sfondo della febbrille agitazione dei personaggi, a cui assiste la mente fredda e calcolatrice del conte Lasca, interpretato dallo stesso Roberto Valerio.In una scenografia che sfrutta effetti sonori accattivanti, tra cui anche colpi di pistola e che spazia in ogni dimensione del teatro, in particolare l’altezza, il vero protagonista è il tema del successo. In un disperato tentativo di raggiungere un’ agiatezza economica i protagonisti si trovano tutti coinvolti in dispute interpersonali in una vera e propria gara nell’esaltare non tanto le proprie capacità, quanto le abilità adulatrici.Di fatto gli artisti si ritrovano a essere poveri burattini nelle mani dei veri detentori del potere, troppo preoccupati per il proprio ruolo o compenso per accorgersene. Vizi, invidia, gelosie, rancori; Goldoni racconta un teatro fatto di regole eterne.Dunque viene spontaneo chiedersi, siamo anche noi marionette nelle mani di qualcun altro troppo affacendati per accorgercene