Estratto - La Tribuna

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PARTE PRIMA
LEGGE FALLIMENTARE
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LA LEGGE FALLIMENTARE
1.
R.D. 16 marzo 1942, n. 267. Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, [dell’amministrazione controllata] e della liquidazione
coatta amministrativa (Gazzetta Ufficiale n. 81 del
6 aprile 1942) (1).
(1) A norma dell’art. 147, comma 2, del D.L.vo 9 gennaio 2006,
n. 5, a decorrere dal 16 luglio 2006 sono soppressi tutti i riferimenti
all’amministrazione controllata contenuti in questo provvedimento. Per la disciplina transitoria, si veda l’art. 150 del D.L.vo 9
gennaio 2006, n. 5, di cui si riporta il testo:
«150. (Disciplina transitoria). 1. I ricorsi per dichiarazione di
fallimento e le domande di concordato fallimentare depositate
prima dell’entrata in vigore del presente decreto, nonché le procedure di fallimento e di concordato fallimentare pendenti alla
stessa data, sono definiti secondo la legge anteriore».
Si veda inoltre l’art. 22 del D.L.vo 12 settembre 2007, n. 169,
di cui si riporta il testo:
«1. Il presente decreto entra in vigore il 1° gennaio 2008.
«2. Le disposizioni del presente decreto si applicano ai procedimenti per dichiarazione di fallimento pendenti alla data della
sua entrata in vigore, nonché alle procedure concorsuali e di concordato fallimentare aperte successivamente alla sua entrata in
vigore.
«3. Gli articoli 7, comma 6, 18, comma 5, e 20 si applicano
anche alle procedure concorsuali pendenti.
«4. L’articolo 19 si applica alle procedure di fallimento pendenti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, pendenti o chiuse alla data di entrata in vigore
del presente decreto».
Titolo I
Disposizioni generali
1.  (1) Imprese soggette al fallimento e al concor-
dato preventivo. – Sono soggetti alle disposizioni sul
fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano una attività commerciale, esclusi gli
enti pubblici.
Non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento
e sul concordato preventivo gli imprenditori di cui al
primo comma, i quali dimostrino il possesso congiunto
dei seguenti requisiti:
a) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di
deposito della istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di
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ammontare complessivo annuo non superiore ad euro
trecentomila;
b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei
tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata
inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo
annuo non superiore ad euro duecentomila;
c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti
non superiore ad euro cinquecentomila.
I limiti di cui alle lettere a), b) e c) del secondo
comma possono essere aggiornati ogni tre anni con
decreto del Ministro della Giustizia, sulla base della
media delle variazioni degli indici ISTAT dei prezzi al
consumo per le famiglie di operai ed impiegati intervenute nel periodo di riferimento.
(1) Questo articolo, già sostituito dall’art. 1 del D.L.vo 9 gennaio 2006, n. 5, è stato ora così sostituito dall’art. 1, comma 1, del
D.L.vo 12 settembre 2007, n. 169, a decorrere dal 1° gennaio 2008.
SOMMARIO:
a) Qualità di imprenditore come presupposto
per l’assoggettabilità a fallimento, in genere;
b) Società cooperative;
c) Piccoli imprenditori;
d) Imprese agricole e di allevamento;
e) Società di fatto;
f) Cause di esclusione dal fallimento (nuova
normativa).
a) Qualità di imprenditore come presupposto
per l’assoggettabilità a fallimento, in genere.
l L’onere della prova del mancato superamento dei limiti di fallibilità previsti dall’art.
1, comma 2, l. fall., nella formulazione derivante dal d.lgs. n. 5 del 2006, applicabile "ratione temporis", grava sul debitore, atteso che
la menzionata disposizione, anche prima delle
ulteriori modifiche ad essa apportate dal d.lgs.
n. 169 del 2007, già poneva come regola generale
l’assoggettamento a fallimento degli imprenditori commerciali e, come eccezione, il mancato
raggiungimento dei ricordati presupposti dimensionali. Né osta a tale conclusione la natura
officiosa del procedimento prefallimentare,
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Art. 1
PARTE I: LA LEGGE FALLIMENTARE
che impone al tribunale unicamente di attingere
elementi di giudizio dagli atti e dagli elementi acquisiti, anche indipendentemente da una specifica allegazione della parte, senza che, peraltro, il
giudice debba trasformarsi in autonomo organo
di ricerca della prova, tanto meno quando l’imprenditore non si sia costituito in giudizio e non
abbia, quindi, depositato i bilanci dell’ultimo
triennio, rilevanti ai fini in esame. * Cass. civ., sez.
I, 15 gennaio 2016, n. 625, Centro Ceramiche Di
Drago Tommaso e Bono Salvatore Snc ed altro c.
Mediocreval Spa ed altre. [RV638150]
l In tema di requisiti dimensionali per l’esonero dalla fallibilità dell’imprenditore commerciale, ai fini del computo del triennio cui fa riferimento l’art. 1, secondo comma, lett. a), legge fall.
(nel testo modificato dal d.lgs. 12 settembre 2007,
n. 169) per la determinazione dell’attivo patrimoniale occorre fare riferimento agli ultimi tre
esercizi antecedenti alla data del deposito dell’unica (ovvero della prima) istanza di fallimento. *
Cass. civ., sez. I, 27 maggio 2015, n. 10952, Tramontana Srl c. Fallimento Della Tramontana Srl
ed altro. Conforme, Cass.I, 14 gennaio 2016 n.
501. [RV635515]
l È configurabile una “holding” di tipo
personale, costituente impresa commerciale
suscettibile di fallimento, per essere fonte di responsabilità diretta dell’imprenditore, quando si
sia in presenza di una persona fisica che agisca in nome proprio, per il perseguimento di un
risultato economico, ottenuto attraverso l’attività
svolta, professionalmente, con l’organizzazione
e il coordinamento dei fattori produttivi, relativi
al proprio gruppo di imprese. * Cass. civ., sez. I,
13 marzo 2003, n. 3724. [RV561124]
l Ai fini della configurabilità dell’esercizio di
un’impresa da parte del promotore finanziario
(figura disciplinata prima dall’art. 5 della legge
n. 1/1991, poi dall’art. 23 D.L.vo n. 415/1996 e
quindi dall’art. 31 D.L.vo n. 58/1998) è irrilevante
che quest’ultimo agisca sulla base di un mandato
con rappresentanza o senza rappresentanza. Lo
stesso, infatti, è definito, dalle disposizioni citate, come colui che esercita professionalmente,
“in qualità di dipendente, agente o mandatario”,
l’attività di offerta fuori sede di servizi finanziari;
pertanto, affinché assuma la qualità di imprenditore è sufficiente che svolga la sua attività sulla
base di una propria autonoma organizzazione
di mezzi e a proprio rischio, considerato che gli
altri elementi che caratterizzano l’attività di impresa già sono presenti, per definizione, nell’attività del promotore finanziario, la quale rientra,
quando è svolta da un imprenditore, tra le attività
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ausiliarie previste dall’art. 2195, n. 5, c.c. e costituisce, dunque, impresa commerciale (con conseguente assoggettabilità, tra l’altro, a fallimento).
* Cass. civ., sez. I, 20 dicembre 2002, n. 18135.
[RV559321]
l Le società costituite nelle forme previste
dal codice civile ed aventi ad oggetto un’attività
commerciale sono assoggettabili al fallimento
indipendentemente dall’effettivo esercizio di
una siffatta attività, in quanto esse acquistano
la qualità di imprenditore commerciale dal momento della loro costituzione, non dall’inizio del
concreto esercizio dell’attività d’impresa, al contrario di quanto avviene per l’imprenditore commerciale individuale. Sicché, mentre quest’ultimo
è identificato dall’esercizio effettivo dell’attività,
relativamente alle società commerciali è lo statuto a compiere tale identificazione, realizzandosi
l’assunzione della qualità in un momento anteriore a quello in cui è possibile per l’impresa non collettiva stabilire che la persona fisica abbia scelto,
tra i molteplici fini potenzialmente raggiungibili,
quello connesso alla dimensione imprenditoriale.
(La S.C. ha così confermato la sentenza che aveva attribuito la qualità di impresa commerciale
alla società nel cui oggetto sociale erano compresi
l’acquisto, la vendita, la permuta e l’edificazione
di immobili in genere). * Cass. civ., sez. I, 26 giugno 2001, n. 8694, Ellegi c. Fall. Ellegi. Conforme,
sulla prima parte della massima: Cass. I, 4 novembre 1994, n. 9084; Cass. civ., sez. I, 28 aprile
2005, n. 8849; Cass. pen., sez. V, 14 febbraio 2006,
n. 5493 (ud. 22 novembre 2005). [RV547727]
l Ai fini della assoggettabilità al fallimento di
una società apparente, il comportamento atto
ad ingenerare il convincimento incolpevole,
nei terzi, della sussistenza di un vincolo sociale è sufficiente ad affermare l’esistenza di una
società di persone, senza necessità di accertare se,
in concreto, ricorrano anche gli ulteriori elementi
della comunione dei conferimenti e della condivisione dell’alea. (Nella specie, sulla base di tale
principio, la S.C. ha confermato la sentenza di
fallimento che aveva ravvisato l’esteriorizzazione
del vincolo nelle fideiussioni prestate dalla moglie
e dal figlio a favore dell’imprenditore, escludendo che fossero giustificabili come espressione di
solidarietà familiare data la loro continuità e sistematicità). * Cass. civ., sez. I, 14 febbraio 2001,
n. 2095.
b) Società cooperative.
l Lo scopo di lucro (c.d. lucro soggettivo) non
è elemento essenziale per il riconoscimento della
qualità di imprenditore commerciale, essendo
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R.D. 16 marzo 1942, n. 267
individuabile l’attività di impresa tutte le volte in
cui sussista una obiettiva economicità dell’attività
esercitata, intesa quale proporzionalità tra costi e
ricavi (cd. lucro oggettivo), requisito quest’ultimo
che, non essendo inconciliabile con il fine mutualistico, ben può essere presente anche in una società cooperativa, pur quando essa operi solo nei
confronti dei propri soci. Ne consegue che anche
tale società ove svolga attività commerciale
può, in caso di insolvenza, può essere assoggettata a fallimento in applicazione dell’art.
2545 terdecies cod. civ. (Nella specie, la S.C. ha
confermato la sentenza dichiarativa di fallimento
di una società cooperativa avente quale oggetto la
commercializzazione verso terzi di prodotti agricoli conferiti dai soci, dei quali la società incassava il prezzo, senza che sia risultato provato che
tutte le operazioni di vendita ed incasso compiute
dalla società siano state seguite dal completo versamento del denaro ai soci). * Cass. civ., sez. I, 24
marzo 2014, n. 6835, Assopoa Societa’ Cooperativa Per Azioni c. Fond. Enpaia Ente Nazionale
Previdenza ed altri. [RV630547]
l In pendenza di istanza di fallimento proposta nei confronti di una società cooperativa, la
deduzione circa il carattere non commerciale
dell’attività di tale cooperativa, con la conseguenza della sua assoggettabilità a liquidazione coatta
amministrativa, non attiene alla giurisdizione,
e non può essere quindi fatta valere con istanza di
regolamento preventivo, ma riguarda il merito,
atteso che, ove fondata, comporta che il tribunale adito deve dichiarare, anziché il fallimento, lo
stato d’insolvenza della società medesima, ai sensi dell’art. 195 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267. *
Cass. civ., Sezioni Unite, 8 agosto 1990, n. 8069,
Soc. Coop. Adige c. Soc. Stilcasa. Si veda anche,
nello stesso senso, Cass. civ., Sezioni Unite, 25
agosto 1990 n. 8590, riportata infra, par. d), in
fine.
l L’assoggettamento di una società cooperativa a fallimento, e quindi la giurisdizione del
giudice ordinario sulla relativa domanda, vanno
affermati, a norma dell’art. 2540 secondo comma
c.c., quando la cooperativa medesima risulti in
concreto svolgere una attività commerciale con
fini speculativi (non incompatibili con lo scopo
mutualistico), indipendentemente dal fatto
che tale attività rientri o meno nell’oggetto sociale. * Cass. civ., Sezioni Unite, 12 marzo 1986,
n. 1665, Soc. Coop. Danub. c. Grifantini.
l L’esercizio, da parte di una società cooperativa, di attività imprenditoriale commerciale, che
deve ritenersi compatibile con le sue finalità mutualistiche, sia o meno detta attività contemplata
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Art. 1
dallo statuto sociale, comporta che la cooperativa medesima è soggetta al fallimento, non alla
liquidazione coatta amministrativa, ai sensi
dell’art. 2540 secondo comma, c.c., salvo diversa
disposizione di legge speciale. * Cass. civ., Sezioni Unite, 24 febbraio 1986, n. 1104, Soc. Incera
Agr. c. Soc. Edil. Incera.
c) Piccoli imprenditori.
l In tema di presupposti dimensionali per
l’esonero dalla fallibilità del debitore, nel computo dei ricavi, ai fini del riconoscimento della
qualifica di piccolo imprenditore, il triennio cui
si richiama il legislatore nell’art. 1, comma 2,
lett. b), legge fall. (nel testo modificato dal d.l.vo
n. 5 del 2006, applicabile "ratione temporis") va
riferito agli ultimi tre esercizi, in cui la gestione
economica è scadenzata, e non agli anni solari;
a tale interpretazione si perviene, in assenza di
un dato letterale della norma sufficientemente
chiaro ed inequivoco che ne permetta la ricostruzione del significato e la connessa portata precettiva, mediante il ricorso al criterio ermeneutico
sussidiario costituito dalla ricerca, nell’esame
complessivo del testo, della "mens legis", con
un’interpretazione sistematica delle norme ed il
richiamo, tra esse, dell’art. 14 legge fall., che, in
tema di istanza di fallimento, impone al debitore, che chieda tale dichiarazione, di depositare le
scritture contabili e fiscali degli ultimi tre anni,
cioè degli ultimi tre esercizi, cui ha invero riguardo la documentazione funzionale all’accertamento delle sue condizioni di fallibilità, mentre la
modifica letterale del citato art. 1, intervenuta ad
opera del d.l.vo n. 169 del 2007, pur non fungendo
da fonte di interpretazione autentica, ha proprio
voluto eliminare ogni incertezza sull’interpretazione effettiva della disposizione, nel senso sopra
indicato. * Cass. civ., sez. I, 3 dicembre 2010, n.
24630, Eclix Moda S.r.l. In Liquidazione c. Malibu S.r.l. ed altri. [RV615105]
l In tema di presupposti dimensionali per
l’esonero dalla fallibilità dell’imprenditore
commerciale, nella valutazione del capitale
investito, ai fini del riconoscimento della qualifica di piccolo imprenditore, trovano applicazione
i principi contabili, cui si richiama il legislatore
nell’art. 1, comma 2, lett. a), legge fall. (nel testo
modificato dal d.l.vo n. 5 del 2006, applicabile
"ratione temporis", ed anche successivamente in
quello sostituito dal d.l.vo n. 169 del 2007) e di cui
è espressione l’art. 2424 c.c., con la conseguenza
che, con riferimento agli immobili, iscritti tra le
poste attive dello stato patrimoniale, opera - al
pari che per ogni altra immobilizzazione materia-
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Art. 1
PARTE I: LA LEGGE FALLIMENTARE
le - il criterio di apprezzamento del loro costo storico al netto degli ammortamenti, quale risultante dal bilancio di esercizio, ai sensi dell’art. 2426,
numeri 1 e 2, c.c., e non il criterio del valore di
mercato al momento del giudizio. * Cass. civ., sez.
I, 29 ottobre 2010, n. 22146, Mantovana Sport
di Ghebbioni Marinella ed altro c. Curatela Fall.
Mantovana Sport di Ghebbio ed altri. [RV614605]
l Ai fini dell’accertamento del requisito
dimensionale per l’assoggettabilità a fallimento, nel quadro normativo formato dall’art. 1,
secondo comma, lettera a), della legge fallimentare, nel testo introdotto dal d.l.vo n. 5 del 2006,
successivamente modificato, in senso solo correttivo e non modificativo del d.l.vo n. 169 del 2007,
nella nozione di "capitale investito" nell’azienda,
rilevante ai fini dell’integrazione del predetto
parametro dimensionale, devono essere inclusi i
crediti che, peraltro rientrano nell’attivo patrimoniale ai sensi dell’art. 2424 c.c.. * Cass. civ., sez. I,
29 ottobre 2010, n. 22150, Fall. Saiu Elettronica
S.r.l. in liquidazione c. IBM servizi finanziari ed
altri. [RV615278]
l L’art. 1, secondo comma, del r.d. 16 marzo
1942, n. 267, nel testo modificato dal d.l.vo 12
settembre 2007, n. 169, aderendo al principio di
"prossimità della prova", pone a carico del debitore l’onere di provare di essere esente dal
fallimento gravandolo della dimostrazione del
non superamento congiunto dei parametri dimensionali ivi prescritti, ed escludendo quindi
la possibilità di ricorrere al criterio sancito nella
norma sostanziale contenuta nell’art. 2083 c.c., il
cui richiamo da parte dell’art. 2221 c.c. (che consacra l’immanenza dello statuto dell’imprenditore commerciale al sistema dell’insolvenza, salve
le esenzioni ivi previste), non spiega alcuna rilevanza; il regime concorsuale riformato ha infatti
tratteggiato la figura dell’"imprenditore fallibile"
affidandola in via esclusiva a parametri soggettivi
di tipo quantitativo, i quali prescindono del tutto
da quello, canonizzato nel regime civilistico, della
prevalenza del lavoro personale rispetto all’organizzazione aziendale fondata sul capitale e sull’altrui lavoro. * Cass. civ., sez. I, 28 maggio 2010, n.
13086, Alto Di Gullino Sas ed altro c. Fredo Spa
ed altri. [RV613383]
l Nella valutazione del capitale investito, ai
fini del riconoscimento della qualifica di piccolo
imprenditore, trovano applicazione i principi di
logica contabile, cui si richiama l’art. 1, secondo comma, lett. a), della legge fall. (nel testo
modificato dall’art. 1 del D.L.vo 12 settembre
2007, n. 169) e di cui è espressione lo stesso
art. 2424 c.c., con la conseguenza che, pur non
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essendo il piccolo imprenditore tenuto alla redazione di un bilancio come quello previsto per le
società di capitali, tra le poste attive della situazione patrimoniale vanno incluse anche le rimanenze di magazzino, mentre nel passivo devono
essere computati i debiti contratti per l’acquisto
degli stessi beni. * Cass. civ., sez. I, 29 luglio 2009,
n. 17553, Todaro c. Alesi ed altri. [RV609797]
d) Imprese agricole e di allevamento.
l In tema di presupposti soggettivi della fallibilità, la nozione d’imprenditore agricolo, contenuta nell’art. 2135 c.c., nel testo conseguente la
modifica introdotta con il d.l.vo n. 228 del 2001,
ha determinato un notevole ampliamento delle
ipotesi rientranti nello statuto agrario, avendo
introdotto mediante il richiamo alle attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico,
anche attività che non richiedono una connessione necessaria tra produzione e utilizzazione del
fondo, essendo sufficiente a tale scopo il semplice
collegamento potenziale o strumentale con il terreno invece che reale come richiesto nella nozione giuridica antevigente. Ne consegue che ai fini
dell’assoggettamento a procedura concorsuale,
tenuto altresì conto che l’art. 2135 c.c. non è stato inciso da alcuna delle riforme delle procedure
concorsuali, l’accertamento della qualità d’impresa commerciale non può essere tratto esclusivamente da parametri di natura quantitativa, non
più compatibili con la nuova formulazione della
norma. (Nella fattispecie, la Corte ha cassato la
pronuncia di secondo grado che aveva ritenuto
sussistente la qualità d’impresa commerciale e la
conseguente fallibilità di un’azienda agricola sulla
base della dimensione dell’impresa, della complessità dell’organizzazione, della consistenza degli investimenti e dell’ampiezza del volume d’affari). * Cass. civ., sez. I, 10 dicembre 2010, n. 24995,
Mariotti ed altro c. Fall. Azienda Agricolo Casearia
Antica Torre Di Bocelli Dr Gino. [RV615788]
l La nozione di imprenditore agricolo contenuta nell’art. 2135 c.c. (nel testo precedente alla
novella di cui al D.L.vo n. 228 del 2001), alla quale occorre necessariamente fare riferimento per il
richiamo contenuto nell’art. 1 legge fall. (Imprese
soggette al fallimento), presuppone che l’attività
economica sia svolta con la terra o sulla terra e
che l’organizzazione aziendale ruoti attorno al
“fattore terra”. Ne consegue che il riferimento al
solo ciclo biologico del prodotto (pur se esatto
dal punto di vista tecnico) non esaurisce il tema
d’indagine devoluto al giudice di merito per
l’accertamento, ai fini della soggezione al fallimento, della natura dell’impresa (la S.C. ha così
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R.D. 16 marzo 1942, n. 267
cassato la sentenza che aveva ritenuto che l’attività di ortoflorovivaistica potesse essere qualificata
agricola, non in base alla coltivazione diretta del
fondo, bensì in relazione al fatto che la produzione dipende da un ciclo biologico che, nonostante
le tecniche di perfezionamento, non è mai controllabile e, rispetto al quale, il fondo può ridursi
a sede dell’attività produttiva). * Cass. civ., sez. I,
5 dicembre 2002, n. 17251. [RV558986]
l In relazione a procedimento promosso per
la dichiarazione di fallimento davanti al tribunale, il regolamento preventivo di giurisdizione,
con il quale il debitore contesti la sua assoggettabilità a detta procedura concorsuale,
per la qualità d’imprenditore agricolo, ovvero di
ente cooperativo sottoposto ai poteri di vigilanza
dell’autorità amministrativa, deve essere dichiarato inammissibile, considerando che le indicate
questioni non attengono alla giurisdizione di quel
tribunale, ma alla sussistenza dei presupposti per
l’apertura del fallimento, e, quindi, al fondamento nel merito della relativa domanda. * Cass. civ.,
Sezioni Unite, 25 agosto 1990, n. 8590, Soc. Unicoop c. Soc. Bn Fectori.
e) Società di fatto.
l La assoggettabilità al fallimento di una
società irregolare dura sino a quando le vicende estintive della società stessa non si siano
esteriorizzate, a nulla rilevando la interruzione o
cessazione dell’attività commerciale svolta. * Cass.
civ., sez. I, 8 settembre 2003, n. 13070. [RV566622]
f) Cause di esclusione dal fallimento (nuova
normativa).
l In tema di presupposti per la dichiarazione di fallimento, agli effetti dell’art. 1, comma
secondo, lett. a), legge fall., nel testo modificato
dal d.l.vo 9 gennaio 2006, n. 5, applicabile "ratione
temporis", nella nozione di investimenti nell’azienda non deve essere considerato il totale di
quelli effettuati nel corso degli anni dall’imprenditore, posto che, a tale stregua, finirebbe
con il divenire fallibile anche l’esercente un’attività di modestissime dimensioni protrattasi per
lungo tempo, ma occorre verificare se l’attivo,
che fa parte dello stato patrimoniale da indicare
in bilancio ex art. 2424 c.c., negli ultimi tre esercizi sia stato o meno inferiore a 300.000 euro;
infatti, il legislatore ha voluto che la ricorrenza
di tale presupposto, complementare a quello dei
ricavi, fosse riferita ad un periodo prossimo alla
manifestazione dell’insolvenza, come confermato
dalla circostanza che si tratta dello stesso periodo
in relazione al quale, ai sensi del novellato art. 14
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Art. 2
legge fall., l’imprenditore che richieda il proprio
fallimento è tenuto a depositare presso la cancelleria del tribunale le scritture contabili e fiscali
obbligatorie. * Cass. civ., sez. I, 23 marzo 2012,
n. 4738, Maccari c. Gial Strumentazioni S.r.l. ed
altro. [RV622177]
l Nel verificare la sussistenza del requisito
della fallibilità posto dall’art. 1, secondo comma,
lett. c), legge fall., è prioritario il dato ricavabile dalle scritture contabili; tuttavia, devono
tenersi in considerazione pure altri elementi
dai quali risulti l’esistenza di debiti ulteriori,
anche qualora essi siano in parte contestati, essendo comunque rilevanti quale dato dimensionale
dell’impresa; la contestazione, infatti, non ne impedisce l’inclusione nel computo dell’indebitamento
complessivo e non si sottrae alla valutazione del
giudice chiamato a decidere sull’apertura della procedura concorsuale, anche se la relativa pronuncia non pregiudica l’esito della controversia volta
all’accertamento di quel debito. * Cass. civ., sez. I,
2 dicembre 2011, n. 25870, Giovanetti c. Proc. Gen.
Corte Appello Trento ed altro. [RV620452]
l Ai fini dell’accertamento del requisito di
fallibilità di cui all’art. 1 art. 1, secondo comma,
lettera c), la legge fall., occorre procedere a valutazione dell’esposizione complessiva dell’imprenditore, anche con riguardo ai debiti non scaduti, trattandosi di requisito assunto dal legislatore
quale indice dimensionale dell’impresa; pertanto,
vanno considerati anche i debiti condizionati, come quelli derivanti dalla prestazione di
garanzie, che presuppongono la preventiva
escussione del debitore. (Nell’enunciare il principio, la C.S. ha respinto il ricorso avverso la sentenza impugnata, la quale aveva tenuto conto, ai
fini dimensionali, dell’intero credito vantato da
un creditore, sebbene condizionato alla preventiva escussione del debitore ceduto in virtù di cessione "pro solvendo"). * Cass. civ., sez. I, 4 maggio
2011, n. 9760, Abrond House Società Coop. Giornalisti c. Litosud S.r.l. ed altri. [RV617866]
2. Liquidazione coatta amministrativa e fallimen-
to. – La legge determina le imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa, i casi per i quali la liquidazione coatta amministrativa può essere disposta e
l’autorità competente a disporla.
Le imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa non sono soggette al fallimento, salvo che la
legge diversamente disponga.
Nel caso in cui la legge ammette la procedura di
liquidazione coatta amministrativa e quella di fallimento si osservano le disposizioni dell’art. 196.
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Art. 3
PARTE I: LA LEGGE FALLIMENTARE
3. Liquidazione coatta amministrativa, concorda-
to preventivo [e amministrazione controllata] (1). –
Se la legge non dispone diversamente le imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa possono
essere ammesse alla procedura di concordato preventivo [e di amministrazione controllata] (1), osservate per
le imprese escluse dal fallimento le norme del settimo
comma dell’art. 195.
[Le imprese esercenti il credito non sono soggette all’amministrazione controllata prevista da questa
legge] (2).
(1) A norma dell’art. 147, comma 2, del D.L.vo 9 gennaio 2006,
n. 5, sono soppressi tutti i riferimenti all’amministrazione controllata contenuti in questo provvedimento.
(2) Questo comma è stato abrogato dall’art. 2 del D.L.vo 9
gennaio 2006, n. 5, a decorrere dal 16 luglio 2006.
4. (1) [Rinvio a leggi speciali. – L’agente di cambio è
soggetto al fallimento nei casi stabiliti dalle leggi speciali.
Sono salve le disposizioni delle leggi speciali circa
la dichiarazione di fallimento del contribuente per debito d’imposta].
(1) Questo articolo è stato abrogato dall’art. 3 del D.L.vo 9
gennaio 2006, n. 5, a decorrere dal 16 luglio 2006.
l In relazione al fallimento dell’agente di
cambio (espressamente previsto dall’art. 4 L.
fall.), non si pone alcun problema di incompatibilità tra la disciplina del R.D.L. n. 815 del
1932 (che, all’art. 9, istituisce un fondo comune
di garanzia a disposizione dei creditori dell’agente di cambio e ne disciplina l’utilizzazione attraverso il Comitato) e quella degli artt. 61 e 62 L.
fall., che regolano la posizione del creditore nei
confronti di più coobbligati solidali nel caso di
fallimento di uno di essi, a seconda che il pagamento da parte del coobbligato non fallito sia avvenuto dopo o prima del fallimento medesimo. *
Cass. civ., sez. I, 17 aprile 1999, n. 3841, Consiglio
di Borsa c. Fall. E. Giugni. [RV525497]
Titolo II
Del fallimento
Capo I
Della dichiarazione
di fallimento
5. Stato d’insolvenza. – L’imprenditore che si trova in
stato d’insolvenza è dichiarato fallito.
Lo stato d’insolvenza si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il
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32
debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente
le proprie obbligazioni.
SOMMARIO:
a) In genere;
b) Organismi societari;
c) Pactum de non petendo.
a) In genere.
l Nel giudizio di reclamo avverso la sentenza
dichiarativa di fallimento l’accertamento dello
stato di insolvenza va compiuto con riferimento alla data della dichiarazione di fallimento,
ma può fondarsi anche su fatti diversi da quelli
in base ai quali il fallimento è stato dichiarato,
purché si tratti di fatti anteriori alla pronuncia,
anche se conosciuti successivamente in sede di
gravame e desunti da circostanze non contestate
dello stato passivo. * Cass. civ., sez. I, 27 maggio
2015, n. 10952, Tramontana Srl c. Fallimento
Della Tramontana Srl ed altro. [RV635517]
l Lo stato di insolvenza richiesto ai fini della
pronunzia dichiarativa del fallimento dell’imprenditore non è escluso dalla circostanza che
l’attivo superi il passivo e che non esistano conclamati inadempimenti esteriormente apprezzabili. In particolare, il significato oggettivo
dell’insolvenza, che è quello rilevante agli effetti
dell’art. 5 legge fall., deriva da una valutazione
circa le condizioni economiche necessarie (secondo un criterio di normalità) all’esercizio di
attività economiche, si identifica con uno stato
di impotenza funzionale non transitoria a soddisfare le obbligazioni inerenti all’impresa e si
esprime, secondo una tipicità desumibile dai dati
dell’esperienza economica, nell’incapacità di produrre beni con margine di redditività da destinare alla copertura delle esigenze di impresa (prima
fra tutte l’estinzione dei debiti), nonché nell’impossibilità di ricorrere al credito a condizioni normali, senza rovinose decurtazioni del patrimonio.
Il convincimento espresso dal giudice di merito
circa la sussistenza dello stato di insolvenza costituisce apprezzamento di fatto, incensurabile in
cassazione, ove sorretto da motivazione esauriente e giuridicamente corretta. * Cass. civ., sez. I, 27
marzo 2014, n. 7252, Curto c. Fall. Eurotrasporti
Srl ed altro. [RV630136]
l Ai fini della dichiarazione di fallimento, la
ragionevole contestazione dei crediti toglie
all’inadempimento del debitore il significato indicativo dell’insolvenza, cosicché il giudice deve
procedere all’accertamento, sia pur incidentale,
degli stessi. * Cass. civ., sez. I, 19 marzo 2014, n.
30/03/17 17:10
33
R.D. 16 marzo 1942, n. 267
6306, Vita c. Fall. Manufatti Cemento Ferro Sas di
Vita F. & C e Vita F. ed altri. [RV630452]
l Ai fini della valutazione dello stato di insolvenza di una società in liquidazione ex art. 5 della
legge fall. non costituisce vizio di motivazione
della sentenza di merito, impugnabile in cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5,
cod. proc. civ. (nel regime introdotto dall’art. 54
del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134), l’avere erroneamente
inserito il valore del patrimonio netto tra le
passività, trattandosi di fatto non decisivo per
il giudizio, oggetto di discussione tra le parti. *
Cass. civ., sez. I, 7 marzo 2014, n. 5402, Marchese
c. Creditalia Sviluppo Impresa Mediazione Creditizia ed altro. [RV630479]
l In tema di procedimento per la dichiarazione di fallimento, l’art. 1, secondo comma, legge
fall., nel testo modificato dal d.l.vo 12 settembre
2007, n. 169, pone a carico del debitore l’onere di
provare di essere esente dal fallimento, così gravandolo della dimostrazione del non superamento congiunto dei parametri ivi prescritti, mentre
il potere di indagine officiosa è residuato in capo
al tribunale, pur dopo l’abrogazione dell’iniziativa
d’ufficio e tenuto conto dell’esigenza di evitare la
pronuncia di fallimenti ingiustificati, potendo il
giudice tuttora assumere informazioni urgenti, ex
art. 15, quarto comma, legge fall., utilizzare i dati
dei ricavi lordi in qualunque modo essi risultino
e dunque a prescindere dalle allegazioni del debitore, ex art. 1, secondo comma, lettera b), legge
fall., assumere mezzi di prova officiosi ritenuti
necessari nel giudizio di impugnazione ex art. 18
legge fall.; tale ruolo di supplenza, volgendo a colmare le lacune delle parti, è però necessariamente
limitato ai fatti da esse dedotti quali allegazioni
difensive ma non è rimesso a presupposti vincolanti, richiedendo una valutazione del giudice
di merito competente circa l’incompletezza del
materiale probatorio, l’individuazione di quello
utile alla definizione del procedimento, nonchè
la sua concreta acquisibilità e rilevanza decisoria.
* Cass. civ., sez. I, 23 luglio 2010, n. 17281, Crg
Costruzioni s.r.l. c. Fal. Crg Costruzioni s.r.l. ed
altro. [RV614676]
l In tema di procedimento per la dichiarazione di fallimento, l’onere, posto a carico del creditore, di provare la sussistenza del proprio credito
e la qualità di imprenditore in capo al debitore,
non esclude, ai sensi dell’art. 15 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, la sussistenza di spazi residuati
di verifica officiosa da parte del tribunale, che
può assumere informazioni urgenti, utili al completamento del bagaglio istruttorio e non esclusi-
COM_358_CodiceFallimento_2017_1.indb 33
Art. 5
vamente strumentali all’adozione di un’eventuale
misura cautelare, in quanto il procedimento, pur
essendo espressione di giurisdizione oggettiva
perché incide su diritti soggettivi, consacrando il
potere dispositivo delle parti, nel contempo tutela interessi di carattere generale ed ha attenuato,
ma senza eliminarlo, il suo carattere inquisitorio. * Cass. civ., sez. I, 28 maggio 2010, n. 13086,
Alto Di Gullino Sas ed altro c. Fredo Spa ed altri.
[RV613384]
l Le disposizioni di cui agli artt. 214 e ss.
c.p.c., sul riconoscimento e la verificazione
della scrittura privata, non sono applicabili
nel procedimento che precede la dichiarazione di fallimento, tenuto conto che tale procedimento ha carattere sommario e camerale, investe
materia sottratta al potere dispositivo delle parti,
tende al riscontro dei presupposti per l’instaurazione della procedura concorsuale, senza
un preciso accertamento delle obbligazioni
facenti carico all’imprenditore. * Cass. civ., sez. I,
18 giugno 2007, n. 14064, Ancora 85 Srl c. Banco
Sicilia Spa ed altro. [RV597432]
l Gli accertamenti eseguiti in sede di verificazione dei crediti non fanno stato nel
giudizio di opposizione alla dichiarazione di
fallimento e non precludono in modo assoluto
l’attività di chi nega lo stato di insolvenza, a meno
che su qualche credito definitivamente ammesso
al passivo fallimentare non sia intervenuta sentenza passata in cosa giudicata. * Cass. civ., sez. I,
26 novembre 2004, n. 22343. [RV578335]
l In tema di dichiarazione di fallimento, lo
stato di insolvenza dell’impresa, che esso presuppone, da intendersi come situazione (in prognosi) irreversibile, e non già mera temporanea
impossibilità di regolare adempimento delle obbligazioni assunte, legittimamente può essere
desunto, nel contesto dei vari elementi, anche
dal mancato pagamento di un solo debito;
mentre, d’altro canto, dichiarato il fallimento, la
successiva estinzione delle obbligazioni ne consente solamente la chiusura e non anche la revoca,
a meno che non trattisi di elementi attinenti, pure
se forniti nel successivo giudizio di opposizione,
ad epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento ed idonei ad escludere, nel contesto delle varie
circostanze, tale stato d’insolvenza. (Nell’affermare il suindicato principio, la S.C. ha cassato la pronunzia del giudice del merito che, nel rigettare il
gravame, si era limitata a ribadire l’esistenza dello
stato d’insolvenza basandosi unicamente, senza
alcuna motivazione, sullo stato passivo provvisorio e, omettendo di fare riferimento al momento
della dichiarazione di fallimento ma prendendo in
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Art. 5
PARTE I: LA LEGGE FALLIMENTARE
considerazione quello del pagamento del debito
effettuato nella fase prefallimentare, non aveva
considerato che esso può essere escluso anche sulla base di elementi di prova forniti successivamente nel corso del giudizio di opposizione, purché
riferibili ad epoca precedente a tale dichiarazione,
ulteriormente omettendo di prendere atto, con
le conseguenti e dovute valutazioni, della revoca
dell’insinuazione al passivo successivamente alla
dichiarazione di fallimento). * Cass. civ., sez. I, 30
settembre 2004, n. 19611. [RV577451]
l La dichiarazione di fallimento trova il suo
presupposto, dal punto di vista obiettivo, nello
stato d’insolvenza del debitore, il cui riscontro
prescinde da ogni indagine sull’effettiva esistenza dei crediti fatti valere nei confronti
del debitore (essendo a tal fine sufficiente l’accertamento di uno stato d’impotenza economicopatrimoniale, idoneo a privare tale soggetto della
possibilità di far fronte, con mezzi “normali”, ai
propri debiti) e può quindi essere legittimamente
effettuato dal giudice ordinario anche quando i
crediti derivino da rapporti riservati alla cognizione di un giudice diverso. * Cass. civ., Sezioni
Unite, 11 febbraio 2003, n. 1997. [RV560390]
l Lo stato d’insolvenza dell’imprenditore
commerciale, quale presupposto per la dichiarazione di fallimento, si realizza in presenza di
una situazione d’impotenza, strutturale e non
soltanto transitoria, a soddisfare regolarmente e
con mezzi normali le proprie obbligazioni a seguito del venir meno delle condizioni di liquidità
e di credito necessarie alla relativa attività, mentre resta in proposito irrilevante ogni indagine
sull’imputabilità o meno all’imprenditore medesimo delle cause del dissesto, ovvero sulla
loro riferibilità a rapporti estranei all’impresa,
così come sull’effettiva esistenza ed entità dei crediti fatti valere nei suoi confronti. Ne consegue
che del tutto legittimamente l’autorità giudiziaria
ordinaria adita per la dichiarazione di fallimento
dell’imprenditore insolvente a fronte di un ingente debito tributario provvede a tale dichiarazione,
senza entrare nel merito delle pretese impositive
(che, nella specie, si assumevano impugnate dinanzi alla competente commissione tributaria da
parte del fallito) e senza, pertanto, violare alcun
principio in tema di riparto di giurisdizione tra
G.O. e Commissioni tributarie. * Cass. civ., Sezioni Unite, 13 marzo 2001, n. 115. Conforme, sulla
prima parte, Cass. I, 21 novembre 1986, n. 6856.
b) Organismi societari.
l Ai fini della dichiarazione di fallimento di una
società, che sia inserita in un gruppo, cioè in una
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34
pluralità di società collegate ovvero controllate da
un’unica società "holding", l’accertamento dello
stato di insolvenza deve essere effettuato con
esclusivo riferimento alla situazione economica
della società medesima, poichè, nonostante tale
collegamento o controllo, ciascuna di dette società
conserva propria personalità giuridica ed autonoma
qualità di imprenditore, rispondendo con il proprio
patrimonio soltanto dei propri debiti. * Cass. civ.,
sez. I, 18 novembre 2010, n. 23344, Pesce ed altri c.
Maccari curatore fall. Agnarus ed altri. [RV614736]
l Quando la società è in liquidazione, la
valutazione del giudice, ai fini dell’applicazione
dell’art. 5 della legge fall., deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del
patrimonio sociale consentano di assicurare
l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali, e ciò in quanto - non proponendosi
l’impresa in liquidazione di restare sul mercato,
ma avendo come esclusivo obiettivo quello di
provvedere al soddisfacimento dei creditori sociali, previa realizzazione delle attività sociali, ed
alla distribuzione dell’eventuale residuo tra i soci
- non è più richiesto che essa disponga, come
invece la società in piena attività, di credito e
di risorse, e quindi di liquidità, necessari per
soddisfare le obbligazioni contratte. * Cass. civ.,
sez. I, 14 ottobre 2009, n. 21834, Real Srl In Liq. c.
Fall. Real Srl In Liq. ed altri. [RV610688]
l Il mancato pagamento di somme dovute
all’amministrazione finanziaria per Iva ed iscritte a ruolo può considerarsi atto sintomatico
di una situazione di insolvenza ai fini della
dichiarazione di fallimento senza che rilevi in
contrario la circostanza dell’avvenuta impugnazione del ruolo stesso, che ha natura di titolo
esecutivo, salvo che il debitore dimostri che l’esecutività dell’atto impugnato è stata sospesa. *
Cass. civ., sez. I, 5 dicembre 2001, n. 15407.
c) Pactum de non petendo.
l L’efficacia del «pactum de non petendo»
pur non condizionata all’adesione di tutti i creditori, è tuttavia correlata alla sua idoneità – che
deve essere valutata alla luce della complessiva
condizione debitoria dell’impresa, e, quindi anche con riguardo alla scadenza delle obbligazioni
escluse dal patto medesimo – ad escludere lo stato
d’insolvenza del debitore, se ed in quanto esso
testimoni la condizione di credito e di fiducia
di cui gode il debitore nel ceto creditorio considerato nel suo complesso. * Cass. civ., sez. I, 12
dicembre 2005, n. 27386. [RV586355]
30/03/17 17:10
35
R.D. 16 marzo 1942, n. 267
6.  (1) Iniziativa per la dichiarazione di fallimen-
to. – Il fallimento è dichiarato su ricorso del debitore,
di uno o più creditori o su richiesta del pubblico ministero.
Nel ricorso di cui al primo comma l’istante può indicare il recapito telefax o l’indirizzo di posta elettronica presso cui dichiara di voler ricevere le comunicazioni
e gli avvisi previsti dalla presente legge.
(1) Questo articolo è stato così sostituito dall’art. 4 del D.L.vo 9
gennaio 2006, n. 5, a decorrere dal 16 luglio 2006.
SOMMARIO:
a) Documentazione a corredo della richiesta;
b) Regolamento preventivo di giurisdizione;
c) Dichiarazione d’ufficio;
d) Istanza del pubblico ministero;
e) Istanza della società debitrice;
f) Partecipazione del creditore;
g) Rinuncia.
a) Documentazione a corredo della richiesta.
l L’art. 6 legge fallimentare non prescrive
l’obbligatoria produzione della certificazione della cancelleria commerciale a corredo
dell’istanza di fallimento di società presentata dal creditore, ancorché trattasi di società di
capitale soggetta all’iscrizione nel registro delle
imprese (art. 100 att. c.c.), né un simile obbligo è
desumibile da altre disposizioni del codice civile
o della legge fallimentare. * Cass. civ., sez. I, 22
novembre 1993, n. 11507, Il Volo dei Gabbiani srl
c. Compass spa.
b) Regolamento preventivo di giurisdizione.
l Il procedimento prefallimentare, che si
apre con la richiesta di fallimento del debitore
proposta a norma dell’art. 6 del R.D. 16 marzo
1942, n. 267, pur se soggetto al rito camerale, e
presentante peculiari caratteristiche rispetto al
processo contenzioso ordinario, ha intrinseca
natura giurisdizionale, in quanto tende ad una
pronuncia suscettibile di incidere, con autorità di
giudicato, sullo “status” e sui diritti del fallito e
delle persone che hanno con esso avuto rapporti.
Pertanto, in pendenza di detto procedimento, e
prima cioè che il tribunale decida su detta istanza, deve ritenersi esperibile da parte del debitore, soggetto passivo del procedimento stesso,
il regolamento preventivo di giurisdizione,
ai sensi dell’art. 41 c.p.c., sempreché la relativa istanza sia rivolta a sollevare una questione
di giurisdizione, e non anche, quindi, a porre in
contestazione i requisiti necessari per l’apertura
della procedura concorsuale (ivi compresa la sus-
COM_358_CodiceFallimento_2017_1.indb 35
Art. 6
sistenza di una situazione debitoria), che attengono al fondamento nel merito della domanda. *
Cass. civ., Sezioni Unite, 7 febbraio 1985, n. 924,
Soc. Teleiblea c. Banco Sicilia. Nello stesso senso,
Cass. Sezioni Unite 17 agosto 1990 n. 8363.
l Il ricorso per regolamento preventivo di
giurisdizione che sia proposto, in pendenza
di istanza di fallimento del ricorrente presentata al tribunale da un istituto di credito
(nella specie, cassa di risparmio), per sostenere
l’illegittimità della deliberazione con cui l’istituto
medesimo abbia assunto detta iniziativa e la sua
sindacabilità solo davanti al giudice amministrativo, separatamente adito, deve essere dichiarato inammissibile, posto che la relativa questione
non attiene alla competenza giurisdizionale del
giudice ordinario sulla dichiarazione di fallimento, ma al merito. * Cass. civ., Sezioni Unite, ord.
27 gennaio 1989, n. 26, Soc. Camerp. c. Cassa
Risp. TO.
c) Dichiarazione d’ufficio.
l In tema di iniziativa per la dichiarazione
di fallimento, l’art. 6 legge fall., laddove stabilisce che il fallimento è dichiarato, fra l’altro, su
istanza di uno o più creditori, non presuppone
un definitivo accertamento del credito in sede
giudiziale, né l’esecutività del titolo, essendo viceversa a tal fine sufficiente un accertamento incidentale da parte del giudice, all’esclusivo scopo
di verificare la legittimazione dell’istante. * Cass.
civ., Sezioni Unite, 23 gennaio 2013, n. 1521,
Idraulica Sud Sas c. Fall. Idraulica Sud Sas di
Ruongo ed altro. [RV624795]
l In tema di procedimento per la dichiarazione di fallimento, la nuova formulazione dell’art.
6 legge fall. esclude l’iniziativa d’ufficio del tribunale ed implica, pertanto, che il giudice possa
pronunciarsi nel merito solo in presenza di
iniziativa proposta da soggetto legittimato ed
a condizione che la domanda sia mantenuta
ferma, cioè non rinunciata; ne deriva che, in caso
di accertamento dell’insussistenza del credito in
capo al ricorrente, la conseguente carenza di legittimazione di tale parte impone una pronuncia
in rito di inammissibilità, senza alcuna possibilità
di ulteriore esercizio della giurisdizione. * Cass.
civ., sez. VI, 11 febbraio 2011, n. 3472, Curatela
Fall. Cons. Eurosviluppo Scrl c. Cons. Eurosviluppo Scrl ed altri. [RV616742]
d) Istanza del pubblico ministero.
l  In tema di fallimento, l’esigenza di assicurare la terzietà e l’imparzialità del tribunale
fallimentare, emergente da un’interpretazione
30/03/17 17:10
Art. 6
PARTE I: LA LEGGE FALLIMENTARE
sistematica della legge fallimentare (così come
modificata dal d.lgs. 9 gennaio 2009, n. 5) ed in
particolare degli artt. 6 e 7, letti alla luce del novellato art. 111 Cost., porta ad escludere che l’iniziativa del P.M. ai fini della dichiarazione di
fallimento possa essere assunta in base ad una
segnalazione proveniente dallo stesso tribunale fallimentare, in tal senso deponendo, oltre alla
soppressione del potere di aprire d’ufficio il fallimento ed alla riduzione dei margini d’intervento
del giudice nel corso della procedura, anche il n.
2 dell’art. 7 cit., che limita il potere di segnalazione del giudice civile all’ipotesi in cui l’insolvenza
risulti, nei riguardi di soggetti diversi da quelli
destinatari dell’iniziativa, in un procedimento diverso da quello rivolto alla dichiarazione di fallimento, nonché dagli interventi correttivi del d.lgs.
12 settembre 2007, n. 169, che hanno reso totalmente estranea al sistema l’ingerenza dell’organo
giudicante sulla nascita o l’ultrattività della procedura. (In applicazione di tale principio, la S.C.
ha confermato la sentenza impugnata, con cui
era stata dichiarata nulla la dichiarazione di fallimento intervenuta ad iniziativa del P.M., al quale
il tribunale fallimentare aveva trasmesso gli atti a
seguito della desistenza del creditore dalla propria
istanza). * Cass. civ., sez. I, 26 febbraio 2009, n.
4632, Mentasti c. Vismetal Srl ed altri. [RV606989]
l Il potere del P.M. di assumere, ai sensi dell’art. 6 della legge fallimentare, l’iniziativa della
richiesta al tribunale della dichiarazione di
fallimento non è limitata alle ipotesi di cui all’art.
7 della citata legge – il quale dispone il relativo
obbligo a carico del Procuratore della Repubblica
che procede contro l’imprenditore, quando l’insolvenza risulta dalla fuga o dalla latitanza dello stesso, dalla chiusura dei locali dell’impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione
fraudolenta dell’attivo da parte dell’imprenditore
–, ma ha, invece, carattere generale. * Cass. civ.,
sez. I, 5 dicembre 2001, n. 15407.
e) Istanza della società debitrice.
l Il P.M. è legittimato a formulare la richiesta
di fallimento a seguito della comunicazione del
decreto con il quale il tribunale abbia revocato
l’ammissione al concordato preventivo, essendo egli, nel sistema della legge, informato sia della
domanda di concordato ai fini dell’intervento nella
procedura e dell’eventuale richiesta di fallimento
(art. 161 legge fall.), sia della procedura d’ufficio
per la revoca dell’ammissione al concordato (art.
173 legge fall.), onde è anche il naturale e legittimo
destinatario della comunicazione dell’esito di tale
procedimento. * Cass. civ., sez. I, 16 marzo 2012, n.
COM_358_CodiceFallimento_2017_1.indb 36
36
4209, Adriauto s.r.l. Fallita c. Curatela Fall. Adriauto s.r.l. in liquidazione. [RV621721]
l Il ricorso per la dichiarazione di fallimento
del debitore, nel caso in cui si tratti di una società,
deve essere presentato dall’amministratore, dotato del potere di rappresentanza legale, senza necessità della preventiva autorizzazione dell’assemblea o dei soci, non trattandosi di un atto
negoziale né di un atto di straordinaria amministrazione, ma di una dichiarazione di scienza,
peraltro doverosa, in quanto l’omissione risulta
penalmente sanzionata; tale principio trova applicazione anche nel caso in cui l’amministratore
sia stato nominato dal custode giudiziario della
quota pari all’intero capitale sociale di cui il giudice per le indagini preliminari abbia disposto il
sequestro. * Cass. civ., sez. I, 16 settembre 2009,
n. 19983, Gaucci c. Erregi Srl ed altri. [RV610562]
f) Partecipazione del creditore.
l La partecipazione del creditore al procedimento prefallimentare può esaurirsi nella sola
istanza di fallimento, stante il permanente effetto propulsivo di questa, non essendo pertanto
necessario che, come invece per il debitore, ne
venga disposta la convocazione. * Cass. civ.,
sez. I, 28 settembre 2004, n. 19411. [RV578234]
g) Rinuncia.
l La rinuncia all’istanza di fallimento non
richiede alcuna forma di accettazione del
debitore, atteso che il ricorso del creditore persegue un interesse autonomo rivolto esclusivamente alla tutela privatistica del proprio diritto
di credito così come risulta confermato anche
dalla esclusione della dichiarazione d’ufficio del
fallimento ai sensi dell’art. 6 nella nuova formulazione introdotta dal d.l.vo n. 5 del 2006. (Nella
fattispecie, nel provvedimento impugnato era stata affermata la validità di una rinuncia tacita,
effettuata mediante la mancata comparizione
del creditore all’udienza successiva a quella in
cui era stato accettato il pagamento del credito mediante assegni "salvo buon fine"). * Cass.
civ., sez. I, 11 agosto 2010, n. 18620, Fall. Edildomus Di Giuseppe Gatti c. Edildomus Di Giuseppe
Gatti ed altri. [RV614091]
l La desistenza o rinuncia dell’unico creditore istante rilasciata in data successiva alla
dichiarazione di fallimento non è idonea a determinare l’accoglimento del reclamo e, conseguentemente, la revoca della sentenza di fallimento. * Cass. civ., sez. VI-I, 5 maggio 2016, n.
8980, Bonasio Ferdinando c. Fallimento di Ferdinando Bonasio. [RV639565]
30/03/17 17:10
37
R.D. 16 marzo 1942, n. 267
7.  (1) Iniziativa del pubblico ministero. – Il pubblico
ministero presenta la richiesta di cui al primo comma
dell’articolo 6:
1) quando l’insolvenza risulta nel corso di un procedimento penale, ovvero dalla fuga, dalla irreperibilità o dalla latitanza dell’imprenditore, dalla chiusura dei
locali dell’impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell’attivo da parte
dell’imprenditore;
2) quando l’insolvenza risulta dalla segnalazione
proveniente dal giudice che l’abbia rilevata nel corso di
un procedimento civile.
(1) Questo articolo è stato così sostituito dall’art. 5 del D.L.vo 9
gennaio 2006, n. 5, a decorrere dal 16 luglio 2006.
l Il P.M. è legittimato a chiedere il fallimento dell’imprenditore, ai sensi dell’art. 7,
n. 1, l. fall., anche se la "notitia decoctionis",
da lui appresa nel corso di indagini svolte nei
confronti di soggetti diversi o collegati all’imprenditore medesimo, sia stata approfondita,
sul piano investigativo, dopo che siano già state
formulate le proprie richieste in sede penale, ove
quegli approfondimenti non costituiscano una
nuova e arbitraria iniziativa d’indagine, ma si caratterizzino come uno sviluppo di essa, collegato
strettamente alle sue risultanze, per quanto non
complete, già acquisite nel corso dell’indagine
penale. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto legittima l’iniziativa del P.M., intrapresa a seguito di
indagini della Guardia di finanza sulla situazione
patrimoniale e finanziaria della società ricorrente ed espletate, in epoca successiva all’esercizio
dell’azione penale, sulla base della documentazione acquisita e delle indicazioni ricevute dal proprio consulente). * Cass. civ., sez. VI-I, 5 maggio
2016, n. 8977, Sant’Elena Srl In Liquidazione c.
Fallimento Sant’Elena Srl In liquidazione ed altra. [RV639564]
l In tema di concordato preventivo, quando
in conseguenza della ritenuta inammissibilità
della domanda il tribunale dichiara il fallimento dell’imprenditore, su istanza di un creditore
o su richiesta del P.M., può essere impugnata
con reclamo solo la sentenza dichiarativa di
fallimento e l’impugnazione può essere proposta
anche formulando soltanto censure avverso la
dichiarazione di inammissibilità della domanda
di concordato preventivo. * Cass. civ., Sezioni
Unite, 15 maggio 2015, n. 9935, Fallimento Della
Musa Immobiliare Srl c. La Musa Immobiliare
Srl ed altro. [RV635326]
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Art. 7
8. (1) [Stato d’insolvenza risultante in giudizio ci-
vile. – Se nel corso di un giudizio civile risulta l’insolvenza di un imprenditore che sia parte nel giudizio il
giudice ne riferisce al tribunale competente per la dichiarazione di fallimento].
(1) Questo articolo è stato abrogato dall’art. 6 del D.L.vo 9
gennaio 2006, n. 5, a decorrere dal 16 luglio 2006.
l Nel procedimento di estensione del fallimento previsto dall’art. 147 legge fall., il tribunale esercita poteri officiosi rispetto ai quali
l’istanza di estensione presentata da un creditore (Corte cost. 16 luglio 1970, n. 142) o dal curatore o dallo stesso fallito (Corte cost. 28 maggio
1975, n. 127) non è niente più che una sollecitazione ad attuare la regola della responsabilità
illimitata dei soci nei fallimenti delle società a
cui si riferisce il predetto art. 147, onde il tribunale può procedere anche in mancanza di una sollecitazione qualificata; nè pertinente, si rivela, al riguardo, la disposizione di cui all’art. 8 legge fall.,
la cui disciplina dell’iniziativa d’ufficio – estesa,
comunque, a tutte le ipotesi in cui il tribunale
competente, nell’esercizio della sua ordinaria
attività, acquisisca la conoscenza dell’insolvenza
di un imprenditore ovvero gli indicati presupposti gli risultino dal rapporto di un altro giudice
per situazioni emerse in un altro procedimento
giurisdizionale – non esclude certamente la stessa quando i poteri officiosi del tribunale sono,
come nell’ipotesi in esame, espressamente previsti. (Nella fattispecie la S.C. ha respinto il motivo
di ricorso con cui si lamentava che il tribunale
avesse dichiarato il fallimento del socio occulto
su sollecitazione fatta per conto di un creditore,
nel corso dell’adunanza di verificazione dei crediti, da un soggetto privo di valida procura). * Cass.
civ., sez. I, 11 giugno 2004, n. 11079. [RV573544]
l L’iniziativa con la quale il giudice delegato ai fallimenti trasmette al tribunale la comunicazione ricevuta nell’esercizio delle sue
funzioni dal curatore di un fallimento, relativa all’insolvenza di un’impresa, costituisce un
adempimento doveroso degli obblighi stabiliti
dall’art. 8, legge fall., il quale conferisce all’iniziativa d’ufficio per la dichiarazione di fallimento
un’apertura estesa a tutte le ipotesi in cui il tribunale competente, nell’esercizio della sua ordinaria attività, acquisisce la conoscenza dell’insolvenza di un imprenditore, senza ch’essa comporti
una preventiva valutazione di merito in ordine
alla fondatezza della notizia, trattandosi di un
mero atto dovuto. Ne discende che, quandanche
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Art. 9
PARTE I: LA LEGGE FALLIMENTARE
vi sia stato un preventivo, sommario esame
della comunicazione da parte di quel giudice
delegato, che l’abbia poi trasmessa al tribunale il
quale abbia dichiarato il fallimento dell’imprenditore, nella formazione collegiale composta con la
presenza anche di quel giudice, va esclusa ogni
ragione di incompatibilità del magistrato con
la regiudicanda attinente all’accertamento dello
stato d’insolvenza dell’impresa segnalata. * Cass.
civ., sez. I, 28 giugno 2002, n. 9483. [RV555441]
9. Competenza. – Il fallimento è dichiarato dal tribu-
nale del luogo dove l’imprenditore ha la sede principale dell’impresa.
Il trasferimento della sede intervenuto nell’anno
antecedente all’esercizio dell’iniziativa per la dichiarazione di fallimento non rileva ai fini della competenza
(1).
L’imprenditore, che ha all’estero la sede principale
dell’impresa, può essere dichiarato fallito nella Repubblica italiana anche se è stata pronunciata dichiarazione di fallimento all’estero (1).
Sono fatte salve le convenzioni internazionali e la
normativa dell’Unione europea (1).
Il trasferimento della sede dell’impresa all’estero
non esclude la sussistenza della giurisdizione italiana,
se è avvenuto dopo il deposito del ricorso di cui all’articolo 6 o la presentazione della richiesta di cui all’articolo 7 (1).
(1) Gli originari secondo e terzo comma sono stati così sostituiti dagli attuali secondo, terzo, quarto e quinto dall’art. 7 del
D.L.vo 9 gennaio 2006, n. 5, a decorrere dal 16 luglio 2006.
SOMMARIO:
a) Nozione di “tribunale fallimentare”;
b) Inderogabilità della competenza;
c) “Sede principale dell’impresa” (nozione in
genere e criteri applicativi);
d) Trasferimento di sede;
e) Situazioni di conflitto; e-1) Conflitti negativi;
e-2) Conflitti positivi; e-3) Casistica varia in tema
di regolamento di competenza;
f) Impresa con sede principale all’estero.
a) Nozione di “tribunale fallimentare”.
l Con riguardo alla causa instaurata davanti al tribunale che ha dichiarato il fallimento, nell’ambito delle attribuzioni contemplate
dall’art. 24 del R.D. 16 marzo 1942 n. 267, non
spiega effetti invalidanti, sull’atto di citazione,
la circostanza che si indichi il giudice adito
nel tribunale stesso, anziché nella sua sezione
fallimentare, tenendo conto che questa è espres-
COM_358_CodiceFallimento_2017_1.indb 38
38
sione della organizzazione interna dell’ufficio
giudiziario e non costituisce un ufficio autonomo, munito di propria competenza. * Cass. civ.,
sez. I, 15 marzo 1990, n. 2117, Giuffrida c. Soc.
Fall. Molino.
l Quando il tribunale ordinario e quello
fallimentare non sono territorialmente diversi, l’adizione del primo in luogo del secondo
non fa sorgere una questione suscettibile di essere fatta valere con il regolamento di competenza,
ma integra piuttosto un caso di improcedibilità
della domanda, denunziabile in sede di gravame
ordinario. * Cass. civ., sez. I, 8 agosto 1989, n.
3634, Fall. Soc. Etrur. c. Berardi.
l Poiché la differenza fra tribunale fallimentare e tribunale in sede ordinaria non ha
alcuna rilevanza quando gli stessi non siano
territorialmente diversi, sono validi gli atti compiuti da una sezione ordinaria cui la causa di fallimento sia stata eventualmente affidata. * Cass.
civ., sez. I, 9 maggio 1986, n. 3090, Ditta Conti c.
Bracco. Parzialmente difforme appare l’indirizzo
della massima che segue.
b) Inderogabilità della competenza.
l La competenza territoriale per la dichiarazione di fallimento, che appartiene al tribunale del luogo dove l’imprenditore ha la sede
principale dell’impresa, è di carattere funzionale ed inderogabile, e, pertanto, non può trovare
eccezione per il fatto che altro tribunale abbia
aperto la procedura di ammissione del medesimo imprenditore al concordato preventivo –
non essendo applicabile, nell’ipotesi, il principio
della prevenzione – né, a maggior ragione, per il
solo fatto che la domanda di ammissione a tale
procedura sia stata presentata ad altro tribunale.
* Cass. civ., sez. I, 26 novembre 1992, n. 12631,
Ricci G. c. Fallimento Ricci Giovanni. Nello stesso senso, Cass. civ., sez. I, 14 ottobre 1985 n. 4982.
l La competenza alla dichiarazione del fallimento spetta in via esclusiva al tribunale del
luogo della sede principale dell’impresa, a norma
dell’art. 9 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, e non
può trovare deroga per il fatto che un altro tribunale abbia in precedenza ammesso al concordato preventivo lo stesso debitore. * Cass.
civ., sez. I, 19 marzo 1984, n. 1864, Soc. Polindust.
c. Fall. Soc. Polind.
c) “Sede principale dell’impresa” (nozione in
genere e criteri applicativi).
l La competenza territoriale per la dichiarazione di fallimento spetta al tribunale del luogo
in cui l’imprenditore ha la sede principale dell’im-
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39
R.D. 16 marzo 1942, n. 267
presa, che si identifica con quello in cui vengono individuate e decise le scelte strategiche cui
dare seguito, e coincide, di regola, con la sede
legale, salvo che non emergano prove univoche
tali da smentire la presunzione suddetta. (In applicazione di tale principio la S.C., confermando
la sentenza impugnata, ha ritenuto inidonei al superamento della menzionata presunzione, perché
non univocamente deponenti in tal senso, il luogo
di stipulazione di accordi sindacali o quello in cui
erano dislocati alcuni uffici). * Cass. civ., Sezioni
Unite, 25 giugno 2013, n. 15872, Itam International di Nerina Filippone Ltd c. Fall. Itam International S.a.s. ed altri. [RV626755]
l Ai sensi dell’art. 9 legge fall., al fine della
determinazione del tribunale competente a dichiarare il fallimento, nel caso in cui sia accertato che la sede legale (nella specie, all’estero)
non coincida con quella effettiva, acquistano una
particolare rilevanza l’ubicazione in Italia della
sede secondaria amministrativa, essendo plausibile che l’allocazione della stessa coincida con il
luogo in cui la società operi dal punto di vista decisionale, e l’operatività, presso tale luogo, di altre
società del medesimo gruppo. * Cass. civ., sez. I,
12 dicembre 2011, n. 26518, Burani Designer Holding N.V. c. Fall. Burani Designer Holding N.V. ed
altri. [RV620554]
l Ai sensi dell’art. 9 legge fall., la competenza a dichiarare il fallimento spetta al Tribunale
del luogo ove l’impresa ha la sua sede principale, ove, cioè, promuove sul piano organizzativo i suoi affari, e tale luogo, di regola, si deve
presumere coincidente con quello della sede
legale, potendo, tuttavia, siffatta presunzione di
coincidenza essere vinta dalla prova del carattere meramente fittizio o formale della sede legale.
A tal fine resta irrilevante la circostanza che
l’attività imprenditoriale contemplata nell’oggetto sociale si esplichi in luogo diverso dalla
sede legale, essendo necessario, per superare
l’anzidetta presunzione, dimostrare che in quel
diverso luogo si colloca il centro direttivo della
società, ove operano i suoi dirigenti, viene tenuta la sua contabilità e normalmente si riuniscono in assemblea i suoi soci. * Cass. civ., sez. I,
11 marzo 2005, n. 5391. Nello stesso senso, per
la prima parte: Cass. I, 24 marzo 2006, n. 6677.
[RV580086]
l La competenza territoriale per la declaratoria di fallimento di una società di persone
si determina sulla base della sede dell’impresa,
anche in caso di cessazione dell’attività mentre è
privo di rilievo il luogo di residenza del socio,
in quanto egli viene dichiarato fallito non quale
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Art. 9
imprenditore, ma in dipendenza della sua qualità
di socio. * Cass. civ., sez. I, 8 novembre 2002, n.
15677. [RV558323]
d) Trasferimento di sede.
l È inopponibile al creditore che abbia
chiesto il fallimento di una società la deliberazione di trasferimento all’estero della sede di
quest’ultima, iscritta nel registro delle imprese
successivamente alla proposizione di detta istanza, con conseguente sua insensibilità rispetto al
corso della procedura alla stregua dell’art. 5 c.p.c.
e sussistenza della giurisdizione italiana. * Cass.
civ., Sezioni Unite, 25 giugno 2013, n. 15872,
Itam International di Nerina Filippone Ltd c. Fall.
Itam International S.a.s. ed altri. [RV626754]
l Laddove la cancellazione di una società dal
registro delle imprese italiano sia avvenuta come
conseguenza dell’asserito trasferimento all’estero (nella specie in Gran Bretagna) della sua sede
sociale, il successivo accertamento della fittizietà
del trasferimento - che quindi non comporta il
venire meno della giurisdizione del giudice italiano, né determina, come effetto di quella cancellazione, il decorso del termine di cui all’art. 10 legge
fall. - non è precluso dal fatto che non sia preventivamente intervenuto, alla stregua dell’art. 2191
c.c., alcun provvedimento di segno opposto alla
predetta cancellazione, atteso che per poter fornire la prova contraria alle risultanze della pubblicità legale riguardanti la sede dell’impresa non
occorre precedentemente ottenere dal giudice del
registro una pronuncia che ripristini, anche sotto
il profilo formale, la corrispondenza tra la realtà
effettiva e quella risultante dal registro. * Cass.
civ. , Sezioni Unite, 18 aprile 2013, n. 9414, Gelfusa ed altro c. Fallimento Centralconsulting Srl
ed altro. [RV625784]
l Ai fini della competenza del tribunale a dichiarare il fallimento, a norma dell’art. 9, comma
2, legge fall. - nel testo, "ratione temporis" vigente,
di cui al D.L.vo 9 gennaio 2006, n. 5, resta imprescindibile la verifica dell’effettività del trasferimento della sede legale; ne consegue che se,
come nella specie la sede legale, coincida con
un mero recapito di uno studio professionale,
dove non vi sono beni o strutture aziendali,
è superata la presunzione "juris tamtum" di
coincidenza della sede effettiva con quella legale, a nulla rilevando la positività della notifica
del ricorso per la dichiarazione di fallimento nella
nuova sede, di significato neutro rispetto all’oggetto dell’accertamento in questione. * Cass. civ.,
sez. VI, 8 febbraio 2011, n. 3081 .
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Art. 9
PARTE I: LA LEGGE FALLIMENTARE
l Ai fini della competenza del tribunale a
dichiarare il fallimento, a norma del nuovo art.
9, comma 2, della legge fall., non rileva il trasferimento della sede dell’imprenditore intervenuto nell’anno antecedente all’esercizio
dell’iniziativa per la dichiarazione di fallimento (principio enunciato su un regolamento di
competenza d’ufficio nel quale la S.C. ha cassato
senza rinvio la sentenza dichiarativa di fallimento emessa dal tribunale che di fatto aveva erroneamente attribuito rilevanza al trasferimento
infrannuale). * Cass. civ., sez. I, 27 luglio 2010, n.
17583, Fall. Alinox Acciai s.r.l. [RV614490]
l Ai fini della determinazione del tribunale
territorialmente competente alla dichiarazione
del fallimento, è ininfluente il trasferimento
della sede legale dell’impresa successivo al
verificarsi dello stato di insolvenza. (La S.C. ha
affermato tale principio con riguardo a fattispecie anteriore all’entrata in vigore della modifica
dell’art. 9 legge fall. introdotta dall’art. 7 D.L.vo 9
gennaio 2006, n. 5, ma rilevando la sintonia con
la novella del principio affermato). * Cass. civ.,
sez. I, 29 aprile 2006, n. 10051, Lts Spa c. Fall. Lts
Spa ed altri. [RV590199]
l Ai sensi dell’art. 9 della legge fallimentare,
la competenza a provvedere sul ricorso per fallimento va individuata con riferimento al luogo in
cui ha sede l’impresa al momento del deposito del
ricorso medesimo nella cancelleria del giudice al
quale esso è rivolto, quello essendo il momento
in cui il procedimento ha inizio. Pertanto rileva
il trasferimento della sede che sia avvenuto
prima del deposito del ricorso (nella specie,
oltre un anno e mezzo prima), ove difetti la prova del carattere fittizio o strumentale di detto
trasferimento di sede; mentre nessun rilievo
può attribuirsi alla circostanza che il debitore
(nella specie, una società) abbia mantenuto una
«sede amministrativa» nel luogo in cui, prima del
trasferimento, si trovava la sede legale, essendo
l’espressione «sede amministrativa» impropria e
priva d’univoco significato giuridico, da essa non
essendo dato desumere l’esistenza di una sede di
fatto destinata eventualmente a prevalere, ai fini
della competenza, sull’ubicazione della sede legale. * Cass. civ., sez. I, 8 marzo 2005, n. 05033.
[RV579673]
l Ai sensi dell’art. 9 legge fallim., la competenza a dichiarare il fallimento spetta al tribunale
del luogo ove l’impresa ha la sua sede principale, ove, cioè, promuove sul piano organizzativo
i suoi affari, e tale luogo, di regola, si deve presumere coincidente con quello della sede legale,
potendo, tuttavia, siffatta presunzione di coin-
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40
cidenza essere vinta dalla prova del carattere
meramente fittizio o formale della sede legale,
restando irrilevanti in ogni caso i trasferimenti
della sede legale non accompagnati dal reale trasferimento del centro propulsore dell’impresa o
contestuali alla effettiva cessazione dell’attività
dell’impresa stessa. * Cass. civ., sez. I, 25 gennaio
2005, n. 01489. [RV578809]
l La competenza per la dichiarazione di fallimento spetta al Tribunale del luogo in cui l’imprenditore ha la sede effettiva dell’impresa, senza
che possano rilevare trasferimenti di detta sede
nell’imminenza o successivamente alla dichiarazione di fallimento. In particolare assume rilievo
decisivo, ai fini dell’individuazione del giudice
competente, la situazione in atto al momento
della presentazione della domanda, sicché non
assume rilievo un trasferimento della sede
sociale posteriore al deposito dell’istanza di
fallimento con la conseguenza che in base al
principio della perpetuatio iurisdictionis diviene
irrilevante ogni successivo spostamento di sede;
con l’ulteriore conseguenza che la presunzione di
coincidenza della sede legale con la sede effettiva
dell’impresa è superata quando si è provato che
il trasferimento della sede legale nell’imminenza
della dichiarazione di fallimento non abbia avuto
alcun seguito concreto ed effettivo. * Cass. civ.,
sez. I, 18 luglio 2001, n. 9753.
l La competenza territoriale per la dichiarazione di fallimento si determina con riferimento
alla sede effettiva dell’impresa sociale, costituita
dal centro di direzione e organizzazione dell’impresa stessa, da identificarsi in via presuntiva con
la sede legale; tale presunzione opera anche in
caso di trasferimento della sede legale con riferimento alla nuova sede, salvo ricorra la prova
che il trasferimento sia meramente formale
e disposto per difficoltà economiche e per intralciare gli interessi dei creditori. (Nella specie la
sede era stata trasferita nel 1995 nell’ambito di un
progetto di espansione dell’attività e le passività
erano tutte del 1997 e la S.C., in sede di regolamento di competenza d’ufficio, ha affermato la
competenza del giudice della nuova sede). * Cass.
pen., sez. I, 4 febbraio 2000, n. 1224.
l Ai fini dell’individuazione del tribunale
competente per territorio sull’istanza di fallimento, la presunzione di coincidenza della sede legale con la sede effettiva dell’impresa è superata
quando sia provato che il trasferimento della
sede legale nell’imminenza della dichiarazione di
fallimento non ha avuto alcun seguito concreto
ed effettivo. * Cass. civ., sez. I, 1 settembre 1999,
n. 9199, Fall. Il Borgo. [RV529568]
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41
R.D. 16 marzo 1942, n. 267
l Ai fini della competenza per la dichiarazione di fallimento ex art. 9 della legge fallimentare
non hanno rilievo i trasferimenti della sede sociale adottati in epoca sospetta, specie quando
non risulti che l’attività imprenditoriale sia concretamente e fisiologicamente proseguita con la
istituzione del centro direzionale nella sede designata. * Cass. civ., sez. I, 21 maggio 1999, n. 4948,
Magnani c. New Game. [RV526492]
l In tema di fallimento, ai fini della corretta individuazione del tribunale territorialmente
competente a conoscere della domanda di fallimento di una società, ai sensi dell’art. 9 della
legge fallimentare, la presunzione di coincidenza della sede effettiva con quella legale dell’ente
opera, in caso di trasferimento, con riguardo
alla sede precedente e non a quella successiva
tutte le volte in cui il trasferimento stesso risulti
temporalmente vicino alla istanza di fallimento (e, quindi, ricompreso in epoca in cui debba
considerarsi già manifestata, o quantomeno imminente, la crisi economica dell’impresa), in tale
evenienza, il mutamento del centro direttivo della
società, carenti i presupposti naturali connessi
all’evoluzione delle sue esigenze, si presenta sospetto, se non fittiziamente preordinato ad incidere proprio sulla competenza per territorio. A più
forte ragione deve ritenersi del tutto ininfluente,
sul piano della competenza, il trasferimento della
sede sociale operato in epoca posteriore alla data
di deposito dell’istanza di fallimento (vicenda
equiparabile, sul piano degli effetti, alla proposizione della domanda giudiziale), che si pone
come evento del tutto impeditivo rispetto alla
(potenziale) rilevanza giuridica dei successivi
mutamenti della situazione di fatto relativi all’impresa. * Cass. civ., sez. I, 8 aprile 1998, n. 3652,
Tribunale Roma. Nello stesso senso, Cass. I, 10
febbraio 1999, n. 1118 nonché, sulla prima parte della massima: Cass. I, 22 dicembre 1998, n.
12777; Cass. I, 7 maggio 1999, n. 4578; Cass. I,
17 luglio 1999, n. 7601; Cass. I, 4 marzo 2005, n.
4782; Cass. I, 15 marzo 2005, n. 5570. [RV514380]
l Rientra nella giurisdizione del giudice
italiano il procedimento per la dichiarazione di fallimento di una società avente sede in
Italia all’atto della presentazione dell’istanza
di fallimento, non assumendo rilevanza al fine
dell’individuazione della competenza giurisdizionale, il successivo trasferimento in Francia della
sede sociale, sia in considerazione del principio
della perpetuatio iurisdictionis (art. 5 c.p.c.), sia in
forza dell’art. 20 della Convenzione italo francese
del 3 giugno 1930, ratificata con L. n. 45 del 1932,
secondo cui competenti a dichiarare il fallimento
COM_358_CodiceFallimento_2017_1.indb 41
Art. 9
di una società commerciale sono gli organi giurisdizionali di quello dei due Stati in cui trovasi
la sede sociale. * Cass. civ., Sezioni Unite, 11 novembre 1994, n. 9417, Società Nice Country Club
c. Spa Centro Leasing.
e) Situazioni di conflitto.
e-1) Conflitti negativi.
l Considerato che, in materia di dichiarazione di fallimento, a seguito della pronuncia di
sentenza di incompetenza per territorio da parte
del tribunale investito del relativo procedimento,
svolge un ruolo centrale la trasmissione d’ufficio
degli atti (in luogo della riassunzione del processo ad iniziativa di parte, come di norma) ai fini
dell’assunzione della cognizione da parte del
tribunale dichiarato competente, deve ritenersi
inammissibile la proposizione contro la sentenza stessa del regolamento di competenza
ad iniziativa di parte, che farebbe sorgere il
pericolo di concorso, sulla questione della competenza, di difformi decisioni della cassazione e
del tribunale investito del procedimento a seguito
della sentenza impugnata con l’istanza di regolamento. Rimane salva, peraltro, la facoltà del
privato di impugnare anche per ragioni inerenti alla competenza la sentenza di tale ultimo
giudice, ove egli si dichiari competente, ovvero
di depositare presso la cancelleria della Corte di
cassazione le scritture difensive ex art. 47, ultimo
comma, c.p.c., nel caso in cui lo stesso giudice
sollevi il conflitto di competenza ai sensi dell’art.
45. * Cass. civ., sez. I, 15 dicembre 1995, n. 12839,
Costruzioni Stradali Srl c. Proc. Rep. Trib. Torino.
l Anche nel processo fallimentare la richiesta di regolamento d’ufficio, a norma dell’art. 45
c.p.c., per la soluzione di un conflitto negativo di
competenza è ammissibile solo quando, dopo la
declaratoria di incompetenza del tribunale adito,
la causa sia stata riassunta, ai sensi dell’art. 50
c.p.c., davanti al giudice indicato con tale declaratoria come competente. Pertanto, qualora un
tribunale, rilevando la propria incompetenza
territoriale sull’istanza di fallimento disponga la
trasmissione del relativo fascicolo ad altro tribunale ritenuto competente, quest’ultimo, ove
si ritenga a sua volta incompetente non può, in difetto di rituale riassunzione, richiedere il regolamento, ma deve autonomamente pronunciare
sulla competenza. * Cass. civ., sez. I, 26 giugno
1992, n. 8018, Trib. di Lucera c. Srl Threed. Conformi: Cass. civ., sez. I, 26 giugno 1992 n. 8018;
Cass. civ., sez. I, 16 marzo 1994 n. 2520.
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Art. 9
PARTE I: LA LEGGE FALLIMENTARE
e-2) Conflitti positivi.
l In tema di competenza territoriale, nell’ipotesi di due società di persone dichiarate fallite
da diversi tribunali, il conflitto positivo di competenza, denunziabile ex art. 45 c.p.c., per la declaratoria di fallimento del socio illimitatamente
responsabile di entrambe le due società, va risolto
secondo il criterio della prevenzione in favore
del tribunale che per primo abbia dichiarato
il fallimento della persona fisica, ferma restando la competenza di ciascun tribunale per il fallimento delle società. * Cass. civ., sez. I, 28 marzo
2001, n. 4461, Fall. Caseificio Barone di Barone
Guglielmo Snc ed altro. [RV546190]
l In tema di fallimento, qualora una persona
fisica sia socio (illimitatamente responsabile) di
più società operanti in luoghi diversi, il conflitto
di competenza eventualmente insorto in relazione alla dichiarazione di fallimento della persona
fisica deve essere risolto, – in base al generale
principio della prevenzione, che esige unicità di
procedura concorsuale nei confronti del medesimo soggetto – dichiarando la competenza del giudice che, per primo, ne ebbe a dichiarare il fallimento, mentre il conflitto insorto con riguardo
alla dichiarazione di fallimento delle società
va risolto secondo il criterio indicato dall’art.
9 della legge fallimentare, tenuto conto che la
competenza – inderogabile – stabilita in tale disposizione risponde ad esigenze funzionali, che
possono essere assolte nel modo più conveniente
solo dal giudice del luogo ove ha sede l’impresa,
e che prevalgono, pertanto, su quelle considerate
dall’art. 148 della legge fallimentare. * Cass. civ.,
sez. I, 24 marzo 1998, n. 3105, P.M. Torino c. Racca. Conforme, sulla prima parte della massima,
Cass. I, 28 novembre 2001, n. 15105. [RV513928]
l È configurabile un conflitto positivo di
competenza nel caso di pendenza, davanti a due
distinti tribunali, di procedure concorsuali di
tipo diverso, come quella fallimentare e quella di
concordato preventivo, e di conseguenza – stante
l’interesse dei creditori all’unicità della procedura
e il rilievo dei particolari principi del sistema fallimentare e specificamente di quello fondamentale
e prevalente dell’unitarietà della procedura corcorsuale – è proponibile da parte del curatore
del fallimento il regolamento di competenza
anche dopo il decorso del termine di cui all’art.
47, comma secondo, c.p.c., in difetto della denuncia d’ufficio del conflitto a norma dell’art. 45,
senza che abbia carattere ostativo la proposizione da parte del fallito di opposizione avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, per
motivi inerenti alla competenza. (Nella specie
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42
la Suprema Corte, dichiarata la competenza del
tribunale che aveva dichiarato il fallimento – in
considerazione del carattere strumentale e fittizio
del trasferimento della sede sociale – ha annullato il decreto di ammissione al concordato preventivo emesso dall’altro tribunale antecedentemente
alla dichiarazione di fallimento). * Cass. civ., sez.
I, 9 aprile 1996, n. 3269. Nello stesso senso, sul
principio di cui alla prima parte della massima,
Cass. civ., sez. I, 28 agosto 1997, n. 8152.
l Il carattere di unitarietà della procedura
fallimentare esclude la coesistenza di più procedure concorsuali nei confronti del medesimo imprenditore, con la conseguenza che nelle
ipotesi di conflitto positivo di competenza il curatore può proporre istanza di regolamento anche
dopo la scadenza del termine previsto dall’art. 47,
comma secondo, c.p.c. * Cass. civ., sez. I, 15 marzo 1996, n. 218.
l Nell’ipotesi in cui una società di capitali sia dichiarata fallita da due diversi tribunali,
è esperibile da parte del socio il ricorso per
regolamento facoltativo volto a denunziare il
conflitto positivo attuale di competenza, in difetto di denunzia ex officio ai sensi dell’art. 45 c.p.c.
* Cass. civ., sez. I, 24 gennaio 1996, n. 524, Aloisi
c. Krups Italia.
e-3) Casistica varia in tema di regolamento di competenza.
l Nel caso in cui, a seguito di conflitto positivo
di competenza conseguente alla pronuncia dichiarativa di fallimento e all’apertura della procedura
di concordato preventivo da parte di due distinti
tribunali, penda regolamento di competenza
d’ufficio, la corte d’appello, davanti alla quale
sia stata reclamata, anche per ragioni di competenza, la sentenza dichiarativa di fallimento,
deve applicare analogicamente l’art. 48 c.p.c.
e dichiarare sospeso l’intero procedimento e non
solo la questione di competenza, sicché, qualora, in
sede di regolamento, venga dichiarata l’incompetenza del tribunale che ha dichiarato il fallimento,
è nulla la sentenza della corte d’appello che abbia
pronunciato in via non definitiva sul merito prima
di dichiarare sospeso il processo sulla questione di
competenza. * Cass. civ., Sezioni Unite, 15 maggio
2015, n. 9936, Gavioli c. Fallimento Enerambiente
Spa In Liquidazione ed altri. [RV635327]
l La dichiarazione, da parte di un primo
tribunale, dell’incompetenza per territorio a
pronunciare il fallimento di un imprenditore,
quand’anche non seguita da riassunzione del
processo, nei modi e nei tempi previsti dall’art.
50 c.p.c., davanti al tribunale indicato come
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43
R.D. 16 marzo 1942, n. 267
competente, ma soltanto da trasmissione ex officio degli atti di causa a tale secondo giudice,
legittima quest’ultimo, il quale si ritenga a sua
volta incompetente, a sollevare, sia nel caso di
procedimento promosso di ufficio o ad istanza del
debitore, sia in quello di procedimento promosso
ad istanza dei creditori, conflitto di competenza
ed a chiedere il relativo regolamento di ufficio.
Laddove non promuova il regolamento di competenza d’ufficio, il giudice indicato come competente è tenuto allora a provvedere sul merito della
denuncia d’insolvenza presentata dal creditore,
giacchè gli effetti di quest’ultima, così come quelli della pronunzia d’incompetenza, restano fermi
anche in caso di mancata riassunzione ad istanza
di parte, trattandosi di procedura non soggetta ad
estinzione per inattività delle parti. * Cass. civ.,
sez. I, 28 settembre 2004, n. 19411. [RV578233]
l Affinché il regolamento necessario di competenza sia proponibile avverso un provvedimento
che declina la competenza territoriale a dichiarare
il fallimento, occorre che la pronuncia declinatoria si fondi sull’effettivo accertamento della
sede dell’impresa e non si limiti a prendere atto
della decisione di altro tribunale già dichiaratosi
competente in ordine a procedure concorsuali riguardanti la medesima impresa, nonché, che il tribunale dichiaratosi incompetente non abbia trasmesso d’ufficio gli atti al giudice indicato come
competente. (Nel caso di specie la S.C. ha dichiarato inammissibile il regolamento avendo il giudice dichiaratosi incompetente trasmesso gli atti
al tribunale indicato come competente). * Cass.
civ., sez. I, 25 maggio 2004, n. 10097. [RV573133]
l In tema di procedura per la dichiarazione di
fallimento, una volta dichiarata l’incompetenza territoriale da parte di un primo tribunale,
anche la sola formulazione di una nuova istanza di fallimento dinanzi ad altro tribunale è
sufficiente a rendere ammissibile la richiesta,
da parte di quest’ultimo, del regolamento d’ufficio ex art. 45 c.p.c., senza necessità né di una formale riassunzione, né della trasmissione officiosa
degli atti da parte del primo tribunale, atteso che
la crisi aperta dalla pronuncia di incompetenza
va avviata a soluzione, indipendentemente dalla
volontà e dalla diligenza di parte, perché così esige la finalità pubblicistica della procedura fallimentare, che non conosce estinzione. * Cass. civ.,
sez. I, 21 marzo 2003, n. 4206. [RV561312]
l Ha natura di sentenza ed è impugnabile
con il regolamento necessario di competenza ex
art. 42 c.p.c. la pronuncia, anche se contenuta in
un provvedimento diverso dalla sentenza, con la
quale il tribunale fallimentare, a seguito dell’in-
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Art. 9
dividuazione della sede effettiva di una società,
abbia declinato la propria competenza territoriale a decidere sull’istanza di fallimento ed indicato il tribunale ritenuto competente, senza disporre la trasmissione degli atti a tale giudice.
Non osta a tale conclusione la circostanza che
l’altro tribunale abbia già emesso una pronuncia
in materia, ammettendo la società alla procedura
di concordato preventivo. Ed invero ove il ricorso
per regolamento fosse respinto, resterebbe confermata la competenza del diverso tribunale; ove,
invece, fosse ritenuto territorialmente competente il tribunale che ha declinato la sua competenza,
si disporrebbe conseguentemente la cassazione
del decreto dell’altro tribunale, in quanto pronunciato da giudice incompetente. * Cass. civ., sez. I,
21 giugno 2000, n. 8413, Ro.ma Sas Romero Gian
Vincenzo & C. c. Toy Service ed altro. [RV537852]
l L’ammissione di un imprenditore commerciale alla procedura di concordato preventivo da parte del tribunale all’uopo adito non
comporta l’automatica improcedibilità del
ricorso per la dichiarazione di fallimento successivamente presentata, dal creditore dello stesso
imprenditore, presso altro tribunale, dovendosi,
in ogni caso, risolvere il problema pregiudiziale
della compentenza ai sensi dell’art. 9 della L. fall.
Ne consegue che, ritenuta, in sede di regolamento
necessario dinanzi alla Suprema Corte, la competenza per territorio del tribunale presso il quale
venne presentata l’istanza di fallimento, il decreto della (diversa) autorità giudiziaria che, pur
prima della formale dichiarazione di fallimento,
ebbe ad ammettere l’imprenditore alla procedura di concordato preventivo va annullato
con la stessa pronuncia regolatrice della competenza. * Cass. civ., sez. I, 21 giugno 2000, n. 8413
Idem, Cass. I, 28 agosto 1997, n. 8152.
f) Impresa con sede principale all’estero.
l Ai fini della individuazione della competenza territoriale dell’ufficio giudiziario cui spetta
dichiarare il fallimento di una società di capitali,
il cui trasferimento di sede all’interno del territorio dello Stato si assuma reale e non fittizio, il
trasferimento successivo della società in uno
Stato estero costituisce circostanza irrilevante
se non risulta, in alcun modo, che esso sia avvenuto conformemente alle leggi dei due Stati
interessati, atteso che l’art. 25, comma 3, legge
31 maggio 1995, n. 218, subordina a tale condizione l’efficacia del mutamento di sede. * Cass.
civ., sez. I, 9 settembre 2005, n. 17983, De Cupis c.
Fall. L’Ecolucente Srl 478/04 ed altro. [RV583196]
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Art. 9 bis
PARTE I: LA LEGGE FALLIMENTARE
l Rientra nella giurisdizione del giudice italiano il procedimento per la dichiarazione di fallimento di una società avente sede in Italia all’atto
della presentazione dell’istanza di fallimento,
non assumendo rilevanza al fine dell’individuazione della competenza giurisdizionale, il successivo
trasferimento in Francia della sede sociale, sia in
considerazione del principio della perpetuatio iurisdictionis (art. 5 c.p.c.), sia in forza dell’art. 20 della
Convenzione italo francese del 3 giugno 1930, ratificata con L. n. 45 del 1932, secondo cui competenti
a dichiarare il fallimento di una società commerciale sono gli organi giurisdizionali di quello dei
due Stati in cui trovasi la sede sociale. * Cass. civ.,
Sezioni Unite, 11 novembre 1994, n. 9417, Società
Nice Country Club c. Spa Centro Leasing.
l Il difetto di giurisdizione del giudice italiano, in ordine alla istanza di fallimento di una
società con sede all’estero e priva di stabile rappresentanza in Italia, non può essere escluso
in relazione al fatto che la società medesima
abbia “operato” in Italia, ivi stipulando contratti, dato che il luogo in cui si svolge l’attività negoziale dell’impresa non può identificarsi con quello
della sua sede, da intendersi come centro degli
interessi e della effettiva attività amministrativa
e direttiva. * Cass. civ., Sezioni Unite, 4 luglio
1985, n. 4049, Soc. Capisec In. c. Soc. B. Priv. It.
l La disciplina fissata dalla Convenzione italo
– francese del 3 giugno 1930 sulla esecuzione delle
sentenze civili e commerciali, resa esecutiva in Italia
con legge 7 gennaio 1932 n. 45, e tuttora in vigore in
materia fallimentare, ed, in particolare, il principio
secondo il quale gli effetti del fallimento, dichiarato
in uno dei due Stati, si estendono al territorio dell’altro Stato, riguarda anche la cosiddetta forza attrattiva della competenza del tribunale fallimentare
nei confronti di tutte le azioni connesse col fallimento, e comporta, pertanto, per il caso in cui
il debitore sia stato dichiarato fallito in Francia,
che il giudice italiano difetta di giurisdizione in
ordine alle pretese del creditore, ivi comprese quelle
dirette al conseguimento di provvedimenti cautelari,
come l’istanza di autorizzazione e di convalida di sequestro conservativo su beni del debitore medesimo.
* Cass. civ., Sezioni Unite, 6 febbraio 1984, n. 879,
Soc. Manif. Pont c. Fall. Tissages.
l Qualora, nel corso del giudizio di opposizione avverso la dichiarazione di fallimento, il fallito
chieda l’estensione della procedura concorsuale ad una società con sede nella Repubblica francese, tale domanda, da intendersi come
istanza per l’instaurazione di un autonomo fallimento, spetta alla competenza del giudice francese, restando sottratta alla cognizione del giudice
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44
italiano, ancorché detta società svolga in Italia parte della sua attività mediante succursali, atteso che
l’art. 20 secondo comma della Convenzione italo –
francese in materia civile e commerciale del 3 giugno 1930 (resa esecutiva in Italia con L. 7 gennaio
1932 n. 45 e rimessa in vigore con scambio di note
dell’1 ed 11 marzo 1948), il quale è norma speciale
derogativa della norma generale dettata dall’art. 9
del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, devolve la dichiarazione del fallimento di una società all’autorità di
quello dei due Stati in cui la stessa abbia la propria
sede. * Cass. civ., Sezioni Unite, 14 giugno 1980, n.
3796, Soc. Valluit c. Alessi.
9
bis. (1) Disposizioni in materia di incompetenza. – Il provvedimento che dichiara l’incompetenza
è trasmesso (2) in copia al tribunale dichiarato incompetente, il quale dispone con decreto l’immediata trasmissione degli atti a quello competente. Allo stesso
modo provvede il tribunale che dichiara la propria incompetenza.
Il tribunale dichiarato competente, entro venti
giorni dal ricevimento degli atti, se non richiede d’ufficio il regolamento di competenza ai sensi dell’articolo
45 del codice di procedura civile, dispone la prosecuzione della procedura fallimentare, provvedendo alla
nomina del giudice delegato e del curatore.
Restano salvi gli effetti degli atti precedentemente
compiuti.
Qualora l’incompetenza sia dichiarata all’esito del
giudizio di cui all’articolo 18, l’appello, per le questioni
diverse dalla competenza, è riassunto, a norma dell’articolo 50 del codice di procedura civile, dinanzi alla corte di appello competente.
Nei giudizi promossi ai sensi dell’articolo 24 dinanzi al tribunale dichiarato incompetente, il giudice
assegna alle parti un termine per la riassunzione della
causa davanti al giudice competente ai sensi dell’articolo 50 del codice di procedura civile e ordina la cancellazione della causa dal ruolo.
(1) Questo articolo è stato inserito dall’art. 8 del D.L.vo 9 gennaio 2006, n. 5, a decorrere dal 16 luglio 2006.
(2) Le parole: «La sentenza che dichiara l’incompetenza è trasmessa» sono state così sostituite dalle attuali: «Il provvedimento
che dichiara l’incompetenza è trasmesso» dall’art. 2, comma 1, del
D.L.vo 12 settembre 2007, n. 169, a decorrere dal 1° gennaio 2008.
9 ter. (1) Conflitto positivo di competenza. – Quan-
do il fallimento è stato dichiarato da più tribunali, il
procedimento prosegue avanti al tribunale competente che si è pronunciato per primo.
Il tribunale che si è pronunciato successivamente,
se non richiede d’ufficio il regolamento di competenza
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R.D. 16 marzo 1942, n. 267
ai sensi dell’articolo 45 del codice di procedura civile,
dispone la trasmissione degli atti al tribunale che si
è pronunziato per primo. Si applica l’articolo 9 bis, in
quanto compatibile.
Art. 10
(1) Questo articolo è stato così sostituito dall’art. 9 del D.L.vo 9
gennaio 2006, n. 5, a decorrere dal 16 luglio 2006.
(2) Le parole: «per il creditore o per il pubblico ministero» sono
state aggiunte dall’art. 2, comma 2, del D.L.vo 12 settembre 2007,
n. 169, a decorrere dal 1° gennaio 2008.
a) In genere.
l Nel caso di dichiarazione di fallimento
dell’imprenditore entro l’anno dalla morte
non è obbligatoria, ai sensi dell’art. 10 legge fall.,
l’audizione dell’erede nella fase istruttoria anteriore alla dichiarazione di fallimento, atteso che
nessuno degli accertamenti rimessi al tribunale
incide in modo immediato e diretto sulla sua posizione ovvero gli reca un pregiudizio eliminabile
solo attraverso la partecipazione all’istruttoria
prefallimentare, dovendosi ritenere l’audizione
dell’erede necessaria solo quando anch’egli sia
imprenditore commerciale o lo diventi in seguito
alla prosecuzione dell’impresa ereditaria. * Cass.
civ., sez. I, 21 marzo 2013, n. 7181, Calò c. Curatela Fall. La Stalla Fra Calò ed altri. [RV625717]
l Ai fini della decorrenza del termine annuale dalla cessazione dell’attività, entro il quale, ai
sensi dell’art. 10 L. fall., può essere dichiarato il
fallimento dell’imprenditore, il principio della
effettività, alla cui stregua l’acquisizione della
qualità di imprenditore commerciale è indissolubilmente collegata, al di là di ogni elemento
nominalistico e formale, al concreto esercizio
dell’attività di impresa, anche la dismissione di
tale qualità – per quanto attiene all’imprenditore
individuale, diversi criteri essendo accolti per le
società – deve intendersi correlata al mancato compimento, nel periodo di riferimento, di
operazioni intrinsecamente corrispondenti a
quelle poste normalmente in essere nell’esercizio dell’impresa, ed il relativo apprezzamento
compiuto dal giudice del merito, se sorretto da
sufficiente e congrua motivazione, si sottrae al
sindacato in sede di legittimità. (Nella specie, alla
stregua del principio di cui alla massima, la S.C.
ha ritenuto viziata la decisione della Corte territoriale – che aveva respinto l’appello avverso la decisione di rigetto della opposizione alla dichiarazione di fallimento – nella parte in cui aveva desunto
gli unici elementi significativi della continuazione
dell’attività imprenditoriale oltre il termine di cui
all’art. 10 L. fall. dal compimento degli adempimenti amministrativi relativi e conseguenti alla
cancellazione dall’albo, negando apoditticamente
rilevanza al dato oggettivo dell’assenza di registrazione fiscale di operazioni imponibili ai fini
IVA nel periodo considerato). * Cass. civ., sez. I,
28 marzo 2001, n. 4455.
SOMMARIO:
a) In genere;
b) Società commerciali;
c) Soci receduti.
b) Società commerciali.
l Ai fini della tempestività della dichiarazione di fallimento di una società di fatto, non
assume alcun rilievo la circostanza che l’impresa
apparentemente individuale, ad essa in realtà ri-
(1) Questo articolo è stato inserito dall’art. 8 del D.L.vo 9 gennaio 2006, n. 5, a decorrere dal 16 luglio 2006.
l La risoluzione del conflitto positivo di competenza (territoriale) tra due tribunali fallimentari e la conseguente individuazione, quale giudice
competente, di un tribunale diverso da quello che
per primo ha dichiarato il fallimento, non comporta la cassazione della relativa sentenza e la
caducazione degli effetti sostanziali della prima
dichiarazione di fallimento, ma solo la prosecuzione del procedimento avanti il tribunale
ritenuto competente presso il quale la procedura prosegue con le sole modifiche necessarie (sostituzione del giudice delegato) o ritenute opportune (sostituzione del curatore), avuto
riguardo al principio dell’unitarietà del procedimento fallimentare a far tempo dalla pronuncia
del giudice incompetente, enunciato dall’art. 9 bis
della legge fall. (introdotto dall’art. 8 del d.l.vo n.
5 del 2006), ma desumibile anche dal sistema e
dai principi informatori della legge fallimentare,
nel testo anteriormente vigente. * Cass. civ., sez. I,
31 maggio 2010, n. 13316, Fallimento Europoliplast Spa c. Francia. [RV613613]
10.  (1) Fallimento dell’imprenditore che ha cessa-
to l’esercizio dell’impresa. – Gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro
un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese,
se l’insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo.
In caso di impresa individuale o di cancellazione di
ufficio degli imprenditori collettivi, è fatta salva la facoltà per il creditore o per il pubblico ministero (2) di dimostrare il momento dell’effettiva cessazione dell’attività
da cui decorre il termine del primo comma.
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Art. 10
PARTE I: LA LEGGE FALLIMENTARE
feribile, sia stata cancellata dal registro delle imprese da oltre un anno, posto che la società, sia
pur di fatto, assume un’identità soggettiva distinta da quella delle persone (fisiche e non) che la
compongono. * Cass. civ., sez. I, 24 febbraio 2016,
n. 3621, Curatela del Fallimento della società di
fatto tra Cassetta Antonio e c. DI.Ba Rimorchi
s.r.l. ed altre. [RV638843]
l La previsione dell’art. 10 legge fall., per il
quale una società cancellata dal registro delle
imprese può essere dichiarata fallita entro l’anno
dalla cancellazione, implica che il procedimento
prefallimentare e le eventuali successive fasi impugnatorie continuano a svolgersi, per "fictio iuris",
nei confronti della società estinta, non perdendo
quest’ultima, in ambito concorsuale, la propria
capacità processuale. Ne consegue che pure il ricorso per la dichiarazione di fallimento può
essere validamente notificato presso la sede
della società cancellata, ai sensi dell’art. 145, primo comma, cod. proc. civ. * Cass. civ., sez. I, 6 novembre 2013, n. 24968, Degli Atti c. Curatela Fall.
Tecnogeo Srl In Liquidazione ed altri. [RV628837]
l Il termine annuale, previsto dall’art. 10 legge fall. ai fini della dichiarazione di fallimento,
nell’ipotesi della società cancellata d’ufficio ai
sensi dell’art. 2490 c.c., decorre dalla data di
iscrizione nel registro delle imprese del decreto di
cancellazione. * Cass. civ., sez. I, 10 aprile 2012, n.
5655, Euro Editrice 2000 S.r.l. in liquidazione c.
Fondazione Enasarco ed altro. [RV622284]
l In tema di procedimento per la dichiarazione di fallimento di una società di capitali cancellata dal registro delle imprese, la legittimazione
al contraddittorio spetta al liquidatore sociale, poiché, pur implicando detta cancellazione
l’estinzione della società, ai sensi dell’art. 2495
c.c. (novellato dal d.l.vo n. 6 del 2003), nondimeno entro il termine di un anno da tale evento è ancora possibile, ai sensi dell’art. 10 legge fall., che
la società sia dichiarata fallita se l’insolvenza si
è manifestata anteriormente alla cancellazione o
nell’anno successivo, con procedimento che deve
svolgersi in contraddittorio con il liquidatore, il
quale, anche dopo la cancellazione è altresì legittimato a proporre reclamo avverso la sentenza
di fallimento, tenuto conto che, in generale, tale
mezzo di impugnazione è esperibile, ex art. 18
legge fall., da parte di chiunque vi abbia interesse. * Cass. civ., sez. I, 5 novembre 2010, n. 22547,
Coppola c. Banca Credito Coop. Sorisole Lepreno
Sc ed altri. [RV615609]
l In tema di dichiarazione di fallimento di
una società, ai fini del rispetto del termine di un
anno dalla cancellazione dal registro delle im-
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46
prese, previsto dall’art. 10 legge fall., l’iscrizione
nel registro delle imprese del decreto con cui
il giudice del registro, ai sensi dell’art. 2191
c.c., ordina la cancellazione della pregressa
cancellazione della società già iscritta nello stesso registro, fa presumere sino a prova
contraria la continuazione delle attività d’impresa, atteso che il rilievo, di regola, solo dichiarativo della pubblicità, se avvenuta in assenza
delle condizioni richieste dalla legge, comporta
che la iscrizione del decreto, emanato ex art. 2191
c.c., determina solo la opponibilità ai terzi della
insussistenza delle condizioni che avevano dato
luogo alla cancellazione della società alla data in
cui questa era stata iscritta e, di conseguenza, la
stessa cancellazione, con effetto retroattivo, della
estinzione della società, per non essersi questa
effettivamente verificata; nè è di ostacolo a tale
conclusione l’estinzione della società per effetto
della cancellazione dal registro delle imprese, a
norma dell’art. 2495 c.c., introdotto dal d.l.vo 17
gennaio 2003, n. 6, atteso che la legge di riforma non ha modificato la residua disciplina della
pubblicità nel registro delle imprese. * Cass. civ.,
Sezioni Unite, 9 aprile 2010, n. 8426, Coppola c.
Fallimento Assa Srl 370/07 ed altri. [RV612504]
l In tema di società di capitali, la cancellazione dal registro delle imprese determina
l’immediata estinzione della società, indipendentemente dall’esaurimento dei rapporti giuridici ad essa facenti capo, soltanto nel caso in cui
tale adempimento abbia avuto luogo in data successiva all’entrata in vigore dell’art. 4 del d.l.vo 17
gennaio 2003, n. 6, che, modificando l’art. 2495,
secondo comma, c.c., ha attribuito efficacia costitutiva alla cancellazione: a tale disposizione,
infatti, non può attribuirsi natura interpretativa
della disciplina previgente, in mancanza di un’espressa previsione di legge, con la conseguenza
che, non avendo essa efficacia retroattiva e dovendo tutelarsi l’affidamento dei cittadini in ordine
agli effetti della cancellazione in rapporto all’epoca in cui essa ha avuto luogo, per le società cancellate in epoca anteriore al 1° gennaio 2004 l’estinzione opera solo a partire dalla predetta data.
* Cass. civ., Sezioni Unite, 22 febbraio 2010, n.
4060, Spano c. Sassu Nieddu Snc. [RV612083]
l In caso di scioglimento della società in
nome collettivo per il venir meno della pluralità di soci, il fallimento della società (e del socio
superstite) può essere dichiarato, ai sensi dell’art.
10 legge fallim., sino a quando sia decorso un
anno dalla cancellazione della società dal registro
delle imprese (Corte cost. sent. n. 319 del 2000), e
non già dal verificarsi della causa di scioglimento,
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atteso che, per quanto le cause di scioglimento
operino automaticamente, ossia di diritto, tuttavia, verificatasi una di tali cause, la società non si
estingue automaticamente, ma entra in stato di liquidazione e rimane in vita sino al momento della
cancellazione. * Cass. civ., sez. I, 13 luglio 2006, n.
15924, D’Ignazio c. Lamarca ed altri. [RV592464]
l A seguito della sentenza 21 luglio 2000, n.
319, della Corte costituzionale, il termine annuale dalla cessazione dell’attività entro il quale,
ai sensi dell’art. 10 della legge fallimentare, può
essere dichiarato il fallimento dell’imprenditore,
decorre, per la dichiarazione di fallimento
delle società, non più dalla liquidazione effettiva
di tutti i rapporti che fanno capo alla società stessa, ma dalla cancellazione di essa dal registro
delle imprese. Ciò impone, allorché il motivo di
censura attenga al profilo dell’avvenuta decorrenza del termine, la cassazione della sentenza impugnata, affinché il giudice del rinvio si uniformi
alla pronuncia di incostituzionalità, compiendo
l’accertamento in fatto, in precedenza omesso, in
ordine al rispetto del prescritto limite temporale
ai fini dell’assoggettabilità a fallimento. * Cass.
civ., sez. I, 19 novembre 2003, n. 17544, Fratelli
Lumia Snc c. Inps. Conforme, sulla prima parte della massima, Cass. I, 8 novembre 2002, n.
15677. Pure conformi: Cass. I, 21 febbraio 2007,
n. 4105, la quale precisa che il principio «non è
applicabile nei casi risalenti ad epoca anteriore
alla istituzione del registro, nei quali, quindi,
l’accertamento della tempestività della dichiarazione del fallimento rimane affidato esclusivamente al criterio dell’effettività di una perdurante attività dell’impresa entro l’anno precedente.
(Nella fattispecie, relativa a fallimento di imprenditore individuale dichiarato nell’aprile 1993, la
S.C. ha respinto il ricorso)»; Cass. I, 28 agosto
2006, n. 18618, per le società non iscritte nel registro delle imprese, per le quali il «necessario bilanciamento tra le opposte esigenze di tutela dei
creditori e di certezza delle situazioni giuridiche
impone d’individuare il dies a quo nel momento
in cui la cessazione dell’attività sia stata portata a conoscenza dei terzi con mezzi idonei, o
comunque sia stata dagli stessi conosciuta, anche
in relazione ai segni esteriori attraverso i quali si
è manifestata. (In applicazione di tale principio,
la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, la
quale aveva rigettato l’istanza di fallimento proposta nei confronti di una società di fatto per
intervenuta scadenza del termine di cui all’art. 10
cit., facendolo decorrere dalla data dell’atto notarile di trasferimento dell’azienda, da essa ritenuto
idoneo a rendere manifesta la cessazione dell’atti-
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Art. 10
vità»). Conforme a quest’ultima, Cass. I, 13 marzo
2009, n. 6199. [RV568299]
c) Soci receduti.
l Il recesso del socio da una società di persone composta da due soli soci (nella specie,
una società in nome collettivo) e la mancata ricostituzione della pluralità della compagine sociale
da parte del socio superstite determinano lo
scioglimento della società, ex art. 2272, n. 4,
c.c., non già la sua estinzione, con conseguente
possibilità della stessa di essere sottoposta a fallimento entro l’anno dall’intervenuta cancellazione
dal registro delle imprese ai sensi dell’art. 10 l.
fall. * Cass. civ., sez. I, 14 gennaio 2016, n. 501,
Bongarzoni Alberto c. Curatela Fallimento Dialca
Snc Di Bongarzoni Alberto ed altri. [RV638270]
l Il recesso del socio di società di persone,
di cui non sia stata data pubblicità, ai sensi dell’art. 2290, secondo comma, c.c., non è opponibile ai terzi, non producendo esso i suoi effetti al di
fuori dell’ambito societario; conseguentemente,
il recesso non adeguatamente pubblicizzato non
è idoneo ad escludere l’estensione del fallimento
al socio ai sensi dell’art. 147 della legge fall., né
assume rilievo il fatto che il recesso sia avvenuto
oltre un anno prima della sentenza dichiarativa
di fallimento, posto che il rapporto societario, per
quanto concerne i terzi, a quel momento è ancora in atto. In particolare, non costituisce mezzo
idoneo a portare il predetto recesso a conoscenza
dei terzi il mero mutamento della ragione sociale
della società di persone, con la eliminazione da
essa del nome del socio receduto, potendo tale
mutamento giustificarsi con altre ragioni. * Cass.
civ., sez. I, 1 marzo 2010, n. 4865, Fall. Nisal Di
Nibali c. Finocchio ed altri. [RV611924]
l L’estensione del fallimento della società
commerciale di persone al socio illimitatamente
responsabile è ammissibile solo se operata entro il limite temporale di un anno dallo scioglimento del rapporto sociale di cui agli artt. 10 ed
11 della legge fallimentare, realizzandosi, in caso
contrario (e, cioè, nella ipotesi in cui si ritenesse legittima l’estensione del fallimento del socio
anche oltre il predetto limite temporale, alla sola
condizione che l’insolvenza della società riguardi
anche obbligazioni contratte prima del suo recesso), una inaccettabile disparità di trattamento tra
l’imprenditore individuale cessato o defunto ed il
socio illimitatamente responsabile di una società
di persone. (Cfr. Corte Cost. 12 marzo 1999, n.
66). * Cass. civ., sez. I, 6 ottobre 2000, n. 13322.
Conforme, Cass. I, 11 aprile 2001, n. 5379.
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Art. 11
PARTE I: LA LEGGE FALLIMENTARE
11. Fallimento dell’imprenditore defunto. – L’im-
prenditore defunto può essere dichiarato fallito quando ricorrono le condizioni stabilite nell’articolo precedente.
L’erede può chiedere il fallimento del defunto, purché l’eredità non sia già confusa con il suo patrimonio;
l’erede che chiede il fallimento del defunto non è soggetto agli obblighi di deposito di cui agli articoli 14 e
16, secondo comma, numero 3) (1).
Con la dichiarazione di fallimento cessano di diritto
gli effetti della separazione dei beni ottenuta dai creditori del defunto a norma del codice civile.
(1) Questo comma è stato così sostituito dall’art. 1 del D.L.vo 9
gennaio 2006, n. 5, a decorrere dal 16 luglio 2006.
l La dichiarazione di fallimento dell’imprenditore defunto pronunciata a seguito della
mancata omologazione del concordato preventivo,
cui l’imprenditore sia stato ammesso entro l’anno
dal decesso, può intervenire anche dopo che sia
decorso il termine annuale stabilito dall’art. 11
legge fall., atteso che detta norma è derogata, appunto, dall’art. 181 della stessa legge, dal quale si
desume che la mancanza delle condizioni previste
per l’omologazione del concordato dà luogo alla
dichiarazione di fallimento. * Cass. civ., sez. I, 21
novembre 2002, n. 16415. [RV558635]
12. Morte del fallito. – Se l’imprenditore muore do-
po la dichiarazione di fallimento, la procedura prosegue nei confronti degli eredi, anche se hanno accettato
con beneficio d’inventario.
Se ci sono più eredi, la procedura prosegue in confronto di quello che è designato come rappresentante.
In mancanza di accordo nella designazione del rappresentante entro quindici giorni dalla morte del fallito, la
designazione è fatta dal giudice delegato.
Nel caso previsto dall’art. 528 del codice civile, la
procedura prosegue in confronto del curatore dell’eredità giacente e nel caso previsto dall’art. 641 del codice civile nei confronti dell’amministratore nominato a
norma dell’art. 642 dello stesso codice.
13. (1)
[Obbligo di trasmissione dell’elenco dei
protesti. – I pubblici ufficiali abilitati a levare protesti cambiari devono trasmettere ogni quindici giorni al
presidente del tribunale, nella cui giurisdizione esercitano le loro funzioni, un elenco dei protesti per mancato pagamento levati nei quindici giorni precedenti.
L’elenco deve indicare la data di ciascun protesto, il cognome, il nome e il domicilio della persona alla quale
fu fatto e del richiedente, la scadenza del titolo prote-
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stato, la somma dovuta ed i motivi del rifiuto di pagamento.
Eguale obbligo hanno i procuratori del registro per
i rifiuti di pagamento fatti in conformità della legge
cambiaria].
(1) Questo articolo è stato abrogato dall’art. 11 del D.L.vo 9
gennaio 2006, n. 5, a decorrere dal 16 luglio 2006.
14.  (1) Obbligo dell’imprenditore che chiede il
proprio fallimento. – L’imprenditore che chiede il
proprio fallimento deve depositare presso la cancelleria del tribunale le scritture contabili e fiscali obbligatorie concernenti i tre esercizi precedenti ovvero l’intera
esistenza dell’impresa, se questa ha avuto una minore
durata. Deve inoltre depositare uno stato particolareggiato ed estimativo delle sue attività, l’elenco nominativo dei creditori e l’indicazione dei rispettivi crediti, l’indicazione dei ricavi lordi per ciascuno degli ultimi tre
esercizi (2), l’elenco nominativo di coloro che vantano
diritti reali e personali su cose in suo possesso e l’indicazione delle cose stesse e del titolo da cui sorge il
diritto.
(1) Questo articolo è stato così sostituito dall’art. 12 del D.L.vo
9 gennaio 2006, n. 5, a decorrere dal 16 luglio 2006.
(2) Le parole: «tre anni» sono state così sostituite dalle attuali:
«tre esercizi» dall’art. 2, comma 3, del D.L.vo 12 settembre 2007, n.
169, a decorrere dal 1° gennaio 2008.
l In materia di dichiarazione di fallimento
l’omissione da parte dell’imprenditore che
chieda il proprio fallimento del deposito delle
scritture contabili, del bilancio e del conto dei
profitti e delle perdite ai sensi dell’art. 14, R.D.
16 marzo 1942, n. 267, che può essere eccepita
solo da chi dimostri di avere un interesse proprio
a tale produzione, non costituisce di per sé motivo di nullità della dichiarazione di fallimento, dovendo il fallito ovviare a tale omissione ai
sensi dell’art. 16, comma secondo, n. 3 del detto
decreto. * Cass. civ., sez. I, 20 aprile 1990, n. 3301,
Mirabella c. Fall.to Franci.
15.  (1) Procedimento per la dichiarazione di falli-
mento. – Il procedimento per la dichiarazione di fallimento si svolge dinanzi al tribunale in composizione
collegiale con le modalità dei procedimenti in camera
di consiglio.
Il tribunale convoca, con decreto apposto in calce
al ricorso, il debitore ed i creditori istanti per il fallimento; nel procedimento interviene il pubblico ministero
che ha assunto l’iniziativa per la dichiarazione di fallimento.
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R.D. 16 marzo 1942, n. 267
Il decreto di convocazione è sottoscritto dal presidente del tribunale o dal giudice relatore se vi è delega alla trattazione del procedimento ai sensi del sesto
comma. Il ricorso e il decreto devono essere notificati,
a cura della cancelleria, all’indirizzo di posta elettronica
certificata del debitore risultante dal registro delle imprese ovvero dall’Indice nazionale degli indirizzi di posta
elettronica certificata delle imprese e dei professionisti.
L’esito della comunicazione è trasmesso, con modalità
automatica, all’indirizzo di posta elettronica certificata
del ricorrente. Quando, per qualsiasi ragione, la notificazione non risulta possibile o non ha esito positivo, la
notifica, a cura del ricorrente, del ricorso e del decreto si
esegue esclusivamente di persona a norma dell’articolo 107, primo comma, del decreto del Presidente della
Repubblica 15 dicembre 1959, n. 1229, presso la sede
risultante dal registro delle imprese. Quando la notificazione non può essere compiuta con queste modalità,
si esegue con il deposito dell’atto nella casa comunale
della sede che risulta iscritta nel registro delle imprese e
si perfeziona nel momento del deposito stesso. L’udienza è fissata non oltre quarantacinque giorni dal deposito
del ricorso e tra la data della comunicazione o notificazione e quella dell’udienza deve intercorrere un termine
non inferiore a quindici giorni (2).
Il decreto contiene l’indicazione che il procedimento è volto all’accertamento dei presupposti per
la dichiarazione di fallimento e fissa un termine non
inferiore a sette giorni prima dell’udienza per la presentazione di memorie e il deposito di documenti e relazioni tecniche. In ogni caso, il tribunale dispone che
l’imprenditore depositi i bilanci relativi agli ultimi tre
esercizi, nonché una situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata; può richiedere eventuali
informazioni urgenti.
I termini di cui al terzo e quarto comma possono
essere abbreviati dal presidente del tribunale, con
decreto motivato, se ricorrono particolari ragioni di
urgenza. In tali casi, il presidente del tribunale può
disporre che il ricorso e il decreto di fissazione dell’udienza siano portati a conoscenza delle parti con ogni
mezzo idoneo, omessa ogni formalità non indispensabile alla conoscibilità degli stessi.
Il tribunale può delegare al giudice relatore l’audizione delle parti. In tal caso, il giudice delegato provvede all’ammissione ed all’espletamento dei mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d’ufficio.
Le parti possono nominare consulenti tecnici.
Il tribunale, ad istanza di parte, può emettere i
provvedimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio o dell’impresa oggetto del provvedimento,
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Art. 15
che hanno efficacia limitata alla durata del procedimento e vengono confermati o revocati dalla sentenza
che dichiara il fallimento, ovvero revocati con il decreto
che rigetta l’istanza.
Non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se
l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti
dagli atti dell’istruttoria prefallimentare è complessivamente inferiore a euro trentamila. Tale importo è periodicamente aggiornato con le modalità di cui al terzo
comma dell’articolo 1.
(1) Questo articolo, già sostituito dall’art. 13 del D.L.vo 9 gennaio 2006, n. 5, è stato ora così sostituito dall’art. 2, comma 4, del
D.L.vo 12 settembre 2007, n. 169, a decorrere dal 1° gennaio 2008.
(2) Questo comma è stato così sostituito dall’art. 17, comma
1, lett. a), del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, nella L. 17 dicembre 2012, n. 221. A norma dell’art. 17,
comma 3, del medesimo decreto tali disposizioni si applicano ai
procedimenti introdotti dopo il 31 dicembre 2013.
Si riporta il testo precedente: «Il decreto di convocazione è
sottoscritto dal presidente del tribunale o dal giudice relatore se
vi è delega alla trattazione del procedimento ai sensi del sesto
comma. Tra la data della notificazione, a cura di parte, del decreto
di convocazione e del ricorso e quella dell’udienza deve intercorrere un termine non inferiore a quindici giorni.».
SOMMARIO:
a) In genere;
b) Pluralità di istanze di fallimento;
c) Fallimento chiesto dallo stesso debitore;
d) Fallimento di società;
e) Fallimento di imprenditore defunto;
f) Termine di comparizione;
g) Termine di sanatoria;
h) Sentenze straniere;
i) Rilevabilità della nullità.
a) In genere.
l Ai fini dell’accertamento dello stato di insolvenza, il giudice della fase prefallimentare,
a fronte della ragionevole contestazione del
credito vantato dal ricorrente, deve procedere all’accertamento, sia pur incidentale, dello
stesso, salvo che la sua esistenza risulti già accertata con una pronuncia giudiziale a cognizione piena, potendo, in tal caso, onde adempiere al
suo dovere di motivazione, limitarsi ad un mero
rinvio ad essa, con l’obbligo, invece, ove rilevi significative anomalie, tali da giustificare il dubbio
sulla correttezza della conclusione ivi raggiunta,
di dare specificamente conto delle ragioni che
l’hanno indotto ad allontanarsi dalla precedente
decisione. * Cass. civ., sez. VI-I, 14 marzo 2016,
n. 5001, Immobiliare Valsusa Srl c. Fallimento
Immobiliare Valsusa Srl. [RV639009]
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Art. 15
PARTE I: LA LEGGE FALLIMENTARE
l Ai fini del computo del limite minimo di
fallibilità previsto dall’art. 15, ultimo comma,
legge fall. deve aversi riguardo al complesso
dei debiti scaduti e non pagati accertati non
già alla data della proposizione dell’istanza di
fallimento, ma a quella in cui il tribunale decide
sulla stessa. * Cass. civ., sez. I, 27 maggio 2015,
n. 10952, Tramontana Srl c. Fallimento Della Tramontana Srl ed altro. [RV635516]
l In tema di requisiti dimensionali per l’esonero dalla fallibilità dell’imprenditore commerciale, ai fini del computo del triennio cui fa
riferimento l’art. 1, secondo comma, lett. a), legge
fall. (nel testo modificato dal d.l.vo 12 settembre
2007, n. 169) per la determinazione dell’attivo patrimoniale occorre fare riferimento agli ultimi tre
esercizi antecedenti alla data del deposito dell’unica (ovvero della prima) istanza di fallimento. *
Cass. civ., sez. I, 27 maggio 2015, n. 10952, Tramontana Srl c. Fallimento Della Tramontana Srl
ed altro. [RV635515]
l Ai sensi dell’art. 15, comma terzo, legge fall.,
nel testo modificato dal d.l.vo 9 gennaio 2006, n.
5, e dal successivo decreto correttivo 2 settembre
2007, n. 169, la notificazione al debitore del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza
deve necessariamente avvenire nelle forme di cui
agli artt. 136 e seguenti c.p.c. - salvo che non ricorra l’ipotesi dell’abbreviazione dei termini per
ragioni di urgenza, prevista dall’art. 15, comma
quinto, della legge fall. - sicché il ricorso alle formalità di notificazione di cui all’art. 143 c.p.c., per
il caso delle persone irreperibili, presuppone sempre e comunque che, nel luogo di ultima residenza nota, siano compiute effettive ricerche e che
di esse l’ufficiale giudiziario dia espresso conto
(mentre, nella specie, si era limitato a riferire che
il debitore non viveva più in loco da tempo); ne
consegue che, in mancanza di tali adempimenti,
deve essere dichiarata la nullità della notificazione e, per violazione del contraddittorio, la nullità della sentenza dichiarativa di fallimento, con
conseguente obbligo per il giudice di appello di
rimettere gli atti al primo giudice ai sensi dell’art.
354 c.p.c., applicabile anche ai reclami camerali,
quale deve considerarsi l’impugnazione avverso
la dichiarazione di fallimento. * Cass. civ., sez. I,
11 luglio 2013, n. 17205, Paruscio c. My ed altro.
[RV627067]
l Nella fase che precede la dichiarazione di
fallimento, il diritto di difesa dell’imprenditore insolvente va esercitato nei limiti compatibili
con le regole del procedimento, che ha carattere
sommario e camerale, sicché egli deve essere informato dell’iniziativa assunta nei suoi confron-
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ti e degli elementi su cui la stessa è fondata, in
modo da poter svolgere compiutamente, eventualmente anche con l’assistenza di difensori, la
propria difesa, rivelandosi, così, affatto irrilevante che quest’ultima sia svolta davanti al giudice
relatore, anziché innanzi al collegio. (Fattispecie
anteriore all’entrata in vigore del d.l.vo 9 gennaio
2006, n.5). * Cass. civ., sez. Sezioni Unite, 25 giugno 2013, n. 15872, Itam International di Nerina
Filippone Ltd c. Fall. Itam International S.a.s. ed
altri. [RV626756]
l La produzione di copie informali di bilanci che non risultano approvati deve equipararsi alla mancata produzione dei bilanci stessi,
sicché tale evenienza, integrando una violazione
dell’art. 15, quarto comma, legge fall., come sostituito dal d.l.vo 12 settembre 2007, n. 169, si
risolve in danno dell’imprenditore che intenda dimostrare l’inammissibilità della dichiarazione di
fallimento. * Cass. civ., sez. I, 30 maggio 2013, n.
13643, Albereta Srl c. Perini ed altro. [RV626748]
l Nel procedimento per la dichiarazione di
fallimento, divenuto - per effetto delle modifiche
all’art. 15 della legge fall. introdotte dal D.L.vo n.
5 del 2006, nel testo "ratione temporis" applicabile
- un procedimento a cognizione piena, il rapporto
cittadino-giudice si instaura con il deposito del
ricorso, mentre la successiva fase, che si perfeziona con la notifica al convenuto del ricorso e
del decreto di fissazione dell’udienza, è finalizzata
esclusivamente all’instaurazione del contraddittorio: pertanto, in caso di omissione della notifica o mancato rispetto del termine assegnato
per il suo compimento, non ne deriva, in difetto
di espressa sanzione, la nullità del ricorso stesso, ma solo la necessità di assicurare l’effettiva
instaurazione del contraddittorio, realizzabile
mediante l’ordine di rinnovazione della notifica
emesso dal giudice, in applicazione dell’art. 162,
primo comma, c.p.c., o mediante la costituzione
spontanea del resistente, ovvero ancora, come
nella specie, attraverso la rinnovazione della notifica eseguita spontaneamente dalla parte. * Cass.
civ., sez. I, 29 ottobre 2009, n. 22926, Nuova Immagine Srl In Liq. c. Curatela Fall. Nuova Immagine Srl In Liq ed altri. [RV610480]
l In tema di procedimento per la dichiarazione di fallimento, non sussiste un diritto del debitore, convocato avanti al giudice, ad ottenere
il differimento della trattazione per consentire
il ricorso a procedure concorsuali alternative
(nella specie, il concordato preventivo o l’accordo
di ristrutturazione dei debiti), nè il relativo diniego
da parte del giudice configura una violazione del
diritto di difesa, in quanto tali iniziative (nella spe-
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51
R.D. 16 marzo 1942, n. 267
cie, nemmeno promosse con il deposito dei relativi
atti) sono riconducibili all’autonomia privata, il
cui esercizio dev’essere oggetto di bilanciamento,
ad opera del giudice, con le esigenze di tutela degli interessi pubblicistici al cui soddisfacimento
la procedura fallimentare è tuttora finalizzata. *
Cass. civ., sez. I, 4 settembre 2009, n. 19214, Adl
Srl In Liq c. Intesa San Paolo ed altri. [RV609766]
l In tema di procedimento officioso per la dichiarazione di fallimento, allorchè il debitore sia
stato già sentito dal tribunale a norma dell’art. 15
legge fall., ove alla desistenza dal ricorso dell’unico creditore ricorrente segua un’iniziativa
istruttoria del tribunale volta alla ricerca di
prove sugli elementi della fallibilità, non occorre rinnovare la convocazione nè comunicare tali provvedimenti, essendo sufficiente, ai
fini della tutela del diritto di difesa, che il debitore sia già stato posto nella condizione di chiarire tempestivamente al giudice ogni elemento
utile per valutare la sua situazione e restando
a suo carico l’onere di seguire gli sviluppi del
procedimento; ne consegue che, in una fattispecie regolata dall’art. 6 legge fall. ed anteriore
al D.L.vo 9 gennaio 2006, n. 5 (con il quale è
venuto meno il potere d’ufficio del tribunale nell’iniziare il predetto procedimento), va confermata
la sentenza che non ha disposto l’ulteriore convocazione del debitore per una nuova emergenza
processuale, non avendo essa evidenziato fatti
significativi, in relazione ai presupposti della fallibilità soggettivi ed oggettivi, positivi e negativi,
posteriori all’inizio dell’unica istruttoria e sconosciuti al debitore. * Cass. civ., sez. I, 7 marzo 2008,
n. 6191, Carves Srl c. Bifolco ed altro. [RV602253]
l Nel procedimento per la dichiarazione di
fallimento, alla convocazione del debitore in
camera di consiglio si applica il principio di
libertà delle forme proprio dei procedimenti
camerali e la stessa è viziata solo se non abbia
consentito al debitore di conoscere l’oggetto
della convocazione e di difendersi; pertanto è
irrilevante che la convocazione sia avvenuta
mediante comunicazione e non anche mediante notificazione, come prescritto dal giudice, che
il biglietto di cancelleria non indichi se la comparizione sia davanti al giudice delegato o al collegio, che non sia stata indicata espressamente la
società il cui fallimento avrebbe comportato quello del socio illimitatamente responsabile quando
il fallendo sia stato comunque in grado di acquisire compiuta conoscenza della procedura e delle
sue possibili conseguenze. * Cass. civ., sez. I, 20
aprile 2007, n. 9445, Pagnutti c. Fall. Cmt Di Pagnutti Giancarlo Snc ed a. [RV597189]
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Art. 15
l Nella fase che precede la dichiarazione di
fallimento, al fine di garantire al debitore l’effettivo esercizio del diritto di difesa, se è indispensabile che egli sia informato dell’iniziativa
assunta nei suoi confronti, è altresì necessario
che la relativa convocazione, per svolgere la
funzione di garanzia che le è propria, sia da
lui ricevuta prima della audizione nella sede
giudiziale competente e contenga la precisa ed
adeguata rappresentazione delle ragioni e delle
finalità della stessa, affinché il debitore medesimo sia posto in grado di acquisire la compiuta
conoscenza dei problemi e delle conseguenze che
l’iniziativa comporta a suo carico e gli elementi
necessari a contestare la sussistenza dei presupposti (soggettivi ed oggettivi, positivi e negativi)
per la dichiarazione di fallimento, onde stabilire
le opportune linee difensive. * Cass. civ., sez. I, 28
aprile 2004, n. 8091. [RV572382]
l L’esigenza di assicurare il diritto di difesa dell’imprenditore nella fase anteriore alla
dichiarazione di fallimento deve ritenersi soddisfatta, avuto riguardo alla struttura sommaria
e camerale del procedimento, ogni qualvolta
l’imprenditore stesso sia comunque messo in
grado di avere piena conoscenza della vicenda giudiziaria e di contraddire le ragioni poste
a base dell’istanza di fallimento, mentre è estraneo alla disciplina del procedimento camerale
in genere, e specialmente di quello (improntato
a particolare speditezza) volto alla dichiarazione
di fallimento, l’obbligo del giudice di concedere
rinvii su richiesta di parte. * Cass. civ., sez. I, 2
aprile 2004, n. 6508. [RV571951]
l Nella fase che precede la dichiarazione di
fallimento, il diritto di difesa dell’imprenditore insolvente, in considerazione del carattere camerale
e sommario del relativo procedimento, può essere
garantito con differenti modalità, quali l’audizione del debitore da parte dal Tribunale o del giudice relatore, ovvero mediante l’attribuzione della
facoltà di presentare scritti difensivi e documenti; tuttavia, una volta stabilite dal Tribunale le
modalità di esercizio di detto diritto, devono
essere osservate le regole che concernono la
modalità scelta. Pertanto, nel caso in cui il Tribunale abbia disposto la convocazione dell’imprenditore innanzi al giudice designato per l’istruttoria
prefallimentare, qualora l’udienza fissata a detto
fine sia stata rinviata d’ufficio, senza che risulti
annotato sul ruolo d’udienza alcun provvedimento di rinvio, all’imprenditore deve essere data comunicazione della nuova udienza fissata per l’audizione, dovendo ritenersi inapplicabile l’art. 82,
disp. att., c.p.c. – in virtù del quale, se il giudice
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Art. 15
PARTE I: LA LEGGE FALLIMENTARE
istruttore non tiene udienza nel giorno fissato
questa deve intendersi rinviata d’ufficio alla prima
udienza successiva – poiché quest’ultima norma
non è applicabile al procedimento camerale per la
dichiarazione di fallimento, improntato da regole
procedurali diverse dal rito ordinario, in considerazione delle esigenze di speditezza che lo connota e della sua natura inquisitoria. * Cass. civ., sez.
I, 14 novembre 2003, n. 17185, San Marino Global
Net Work Srl c. Fall. Labellarte. [RV568157]
b) Pluralità di istanze di fallimento.
l Ogni dichiarazione di fallimento assume effetti dal momento della pronuncia ed il rispetto
del principio espresso dall’art. 15 legge fall. (nel
testo risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 141 del 16 luglio 1970) richiede che
l’instaurazione del contraddittorio coinvolga i
presupposti specifici della singola dichiarazione
di fallimento ed abbia carattere preventivo rispetto alla pronuncia stessa, sia che il procedimento
sia promosso ad istanza di un creditore, sia che
avvenga ad iniziativa di ufficio. Pertanto, nel
caso in cui, in una prima dichiarazione di fallimento, siano emerse le qualifiche sia di socio
che di imprenditore individuale di un soggetto
e su di esse vi sia stato il contraddittorio e la pronuncia di fallimento personale, il venire meno
di una qualifica in fase di opposizione non
comporta la revoca del fallimento personale,
che rimane tuttavia fondato sull’altra; se, invece,
la dichiarazione di fallimento viene pronunciata
solo in base ad una delle menzionate qualifiche, la
revoca della dichiarazione di fallimento e l’eventuale iniziativa di ufficio per un nuovo fallimento,
sulla base di un diverso presupposto in precedenza non contestato, assumono carattere di autonomia, sia sul piano della tutela della difesa, sia su
quello degli effetti ricollegati in via conseguenziale (e non retroattiva) a ciascuna pronuncia. *
Cass. civ., sez. I, 30 agosto 1995 n. 9156.
c) Fallimento chiesto dallo stesso debitore.
l L’esigenza di assicurare l’esercizio del diritto di difesa dello imprenditore prima della dichiarazione di fallimento deve essere soddisfatta
sul piano sostanziale e non formale, nel senso che
essa non postula necessariamente che il debitore
compaia davanti al tribunale o al giudice delegato
e renda dichiarazioni assunte a verbale, ma deve
ritenersi assolta ogni volta che egli sia stato posto
in grado di svolgere e documentare le sue ragioni
in ordine al procedimento a suo carico. Non può
pertanto ritenersi sussistente la necessità di
una formale convocazione quando il debitore
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stesso abbia sollecitato la dichiarazione del
proprio fallimento, rappresentando l’incapacità economica dell’impresa, sebbene il tribunale
faccia nella sentenza riferimento ad una diversa
iniziativa o ai suoi poteri d’ufficio, a meno che
sulla richiesta del debitore non sia stata emessa una pronuncia negativa, ovvero i presupposti
della dichiarazione di fallimento non emergano
proprio e solo da elementi estranei alla richiesta
medesima. * Cass. civ., sez. I, 3 novembre 1983, n.
6473, Banca Subalpin. c. Fall. Soc. Nuovo.
d) Fallimento di società.
l Nel procedimento per la dichiarazione di
fallimento di società con soci illimitatamente responsabili, l’obbligo di convocazione in camera di
consiglio del socio (illimitatamente responsabile),
sancito dalla sentenza della Corte costituzionale
n. 110 del 1972, trova giustificazione non in un
generico interesse del socio stesso riferito alla
dichiarazione di fallimento della società, ma nel
fatto che detta dichiarazione produce anche il suo
fallimento; ne consegue che, siccome la sentenza che dichiara il fallimento della società e dei
soci contiene una pluralità di statuizioni (ossia
una pluralità di dichiarazioni di fallimento), tra le
quali esiste un rapporto di dipendenza unidirezionale (nel senso che la dichiarazione di fallimento
del socio trova il suo presupposto nella dichiarazione di fallimento della società, la cui nullità
travolge anche l’altra dichiarazione, mentre non
è vero il contrario), in difetto di convocazione
del socio, essendo violato il diritto di difesa dello
stesso e non della società, la conseguente nullità
riguarda il suo fallimento, non anche quello
della società medesima. * Cass. civ., sez. I, 21
marzo 2013, n. 7181, Calò c. Curatela Fall. La Stalla Fra Calò ed altri. Conforme Cass. civ., sez. I, 6
febbraio 2003, n. 1751. [RV625718]
l Nel caso di dichiarazione di fallimento di
una società entro l’anno dall’estinzione per
fusione, il diritto ad essere sentito in camera di
consiglio, ai sensi dell’art. 15 del R.D. 16 marzo
1942, n. 267, spetta al legale rappresentante
della società estinta, per le conseguenze che tale
pronuncia può avere nei suoi confronti, nonché
al socio illimitatamente responsabile, in quanto
assoggettabile a fallimento personale, mentre non
è obbligatoria l’audizione della società nata dalla
fusione, pur rivestendo quest’ultima la qualità di
successore a titolo universale della società sottoposta alla procedura concorsuale. * Cass. civ., sez.
I, 27 settembre 2006, n. 21016, Di Grazia c. Fall.
Gargano Calzature Di Grazia Aldo e. [RV592807]
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53
R.D. 16 marzo 1942, n. 267
e) Fallimento di imprenditore defunto.
l Nel caso di dichiarazione di fallimento
dell’imprenditore entro l’anno dalla morte, ai sensi dell’art. 10 legge fallimentare, non è obbligatoria l’audizione dell’erede nella fase istruttoria anteriore alla dichiarazione di fallimento,
atteso che nessuno degli accertamenti rimessi al
tribunale incide in modo immediato e diretto sulla
posizione dell’erede ovvero gli reca un pregiudizio
eliminabile soltanto attraverso la partecipazione
del medesimo all’istruttoria prefallimentare. L’audizione dell’erede è, invece, obbligatoria qualora anch’egli sia imprenditore commerciale, o
comunque lo diventi in seguito alla prosecuzione
dell’impresa ereditaria. * Cass. civ., sez. I, 25 maggio 1993, n. 5869, Infantino c. Banca d’America e
d’Italia ed altri. Conformi, sulla prima parte della
massima: Cass. I, 9 marzo 2000, n. 2674; Cass. I, 7
febbraio 2006, n. 2594.
f) Termine di comparizione.
l Nell’ambito del procedimento prefallimentare, deve ritenersi consentita, in applicazione
dell’art. 164, terzo comma, c.p.c. e in assenza di
una previsione contraria o incompatibile dettata dalla disciplina speciale, la fissazione di una
nuova udienza dopo la comparizione del debitore, il quale lamenti il mancato rispetto del
termine di comparizione di cui all’art. 15, terzo
comma, legge fall., con l’ulteriore possibilità, da
parte del tribunale, di ridurre i termini a comparire in presenza di particolari ragioni di urgenza, così come previsto dal successivo quinto
comma del citato articolo. * Cass. civ., sez. I, 5
febbraio 2014, n. 2561, Gizzi c. Fall. Gizzi ed altro. [RV629781]
l In tema di dichiarazione di fallimento, il
termine da assegnare al debitore perché compaia
in camera di consiglio in sede di istruttoria non
è rigidamente predeterminato e la sua congruità
è affidata all’equo apprezzamento del giudice,
dovendosi valutare la effettiva consapevolezza del
debitore circa la questione oggetto del giudizio e
la necessità di assicurargli una difesa adeguata.
(Principio affermato dalla S.C. con riguardo a fallimento di agente di cambio, dichiarato dopo che
al medesimo era stato comunicato l’avviso per
l’udienza prefallimentare fissata per il giorno
seguente, con comparizione effettiva del debitore assistito da legale, senza il rilievo di eccezioni
o riserve sulla predetta brevità, né sollecitazioni
specifiche ad un differimento dell’udienza a tutela
del proprio diritto di difesa). * Cass. civ., sez. I, 12
marzo 2008, n. 6721, Girardi c. Fall. Girardi ed
altri. [RV602320]
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Art. 15
g) Termine di sanatoria.
l La dichiarazione di fallimento non trova
ostacolo nel mancato decorso del termine, per
l’eventuale sanatoria della situazione di insolvenza, che sia stato concesso al debitore dall’ufficio
fallimentare nella fase istruttoria sul ricorso per il
fallimento medesimo, atteso che la concessione
di tale termine, ricollegabile ad una prassi che
non trova riscontro in norme di legge, non fa
sorgere alcun diritto od aspettativa giuridicamente protetta. * Cass. civ., sez. I, 1 aprile 1980,
n. 2100, Fall. De Luca c. Garofalo.
h) Sentenze straniere.
l Alle sentenze straniere dichiarative di
fallimento, quando manchi una convenzione internazionale che ne disciplina il riconoscimento
con criteri di semplicità e di speditezza, è applicabile, in considerazione delle conseguenze
giuridiche, di natura costitutiva ed esecutiva che
ne derivano, l’ordinario procedimento di delibazione, previsto per il conferimento dell’efficacia in Italia alle sentenze di giudici stranieri. La
disciplina risultante dalla dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale dell’art. 15 della
legge fallimentare impone bensì la convocazione
del debitore (salva l’ipotesi di particolari ragioni
di cautela o urgenza), ma non presuppone necessariamente l’effettiva audizione dello stesso,
che l’ufficio giudiziario non sarebbe in grado di
assicurare nell’ipotesi di rifiuto a comparire ovvero nel caso di impossibilità di comunicazione
dell’invito a comparire, per irreperibilità del destinatario. (Nell’enunciare il principio di cui in
massima, la S.C. ha disatteso l’assunto di una
dedotta contrarietà all’ordine pubblico italiano
di una sentenza straniera di fallimento emessa,
nell’irreperibilità del debitore, senza previa convocazione di quest’ultimo). * Cass. civ., sez. I, 9
gennaio 1975, n. 42.
i) Rilevabilità della nullità.
l La regola, dettata dall’art. 157 c.p.c., secondo cui l’obbligo del giudice di esaminare l’eccezione di nullità relativa di un atto processuale
presuppone che la medesima sia stata dedotta
dalla parte, oltre che tempestivamente, con la
specificazione delle ragioni d’invalidità, costituisce un principio generale, applicabile a tutti
i processi speciali di cognizione, ivi compreso il
procedimento per la dichiarazione di fallimento.
Ne consegue che la nullità della "vocatio in ius"
derivante dall’inosservanza del termine dilatorio di comparazione previsto dall’art. 15, terzo
comma, della legge fall., resta sanata nel caso
30/03/17 17:10
Art. 16
PARTE I: LA LEGGE FALLIMENTARE
in cui il debitore non l’abbia specificamente
dedotta nella memoria di costituzione, difendendosi nel merito. * Cass. civ., sez. I, 22 gennaio
2010, n. 1098, FalL. Eureka Spa c. Eureka Spa ed
altri. [RV611326]
l In materia di dichiarazione di fallimento, la
nullità derivante dalla mancata audizione del
debitore può essere rilevata d’ufficio dal tribunale in sede di opposizione alla sentenza di fallimento ed essere dedotta per la prima volta come
motivo d’appello, ma non può essere sollevata per
la prima volta nel corso del giudizio d’appello ed
in cassazione. * Cass. civ., sez. I, 24 novembre
2000, n. 15187.
16.  (1) Sentenza dichiarativa di fallimento. – Il tri-
bunale dichiara il fallimento con sentenza, con la quale:
1) nomina il giudice delegato per la procedura;
2) nomina il curatore;
3) ordina al fallito il deposito dei bilanci e delle
scritture contabili e fiscali obbligatorie, nonché dell’elenco dei creditori, entro tre giorni, se non è stato ancora eseguito a norma dell’articolo 14;
4) stabilisce il luogo, il giorno e l’ora dell’adunanza
in cui si procederà all’esame dello stato passivo, entro
il termine perentorio di non oltre centoventi giorni dal
deposito della sentenza, ovvero centottanta giorni in
caso di particolare complessità della procedura;
5) assegna ai creditori e ai terzi, che vantano diritti
reali o personali su cose in possesso del fallito, il termine perentorio di trenta giorni prima dell’adunanza
di cui al numero 4 per la presentazione in cancelleria
delle domande di insinuazione.
La sentenza produce i suoi effetti dalla data della
pubblicazione ai sensi dell’articolo 133, primo comma,
del codice di procedura civile. Gli effetti nei riguardi dei
terzi si producono dalla data di iscrizione della sentenza nel registro delle imprese ai sensi dell’articolo 17,
secondo comma.
(1) Questo articolo è stato così sostituito dall’art. 2, comma
5, del D.L.vo 12 settembre 2007, n. 169, a decorrere dal 1° gennaio
2008.
SOMMARIO:
a) Immutabilità del collegio giudicante;
b) Nullità per vizio di motivazione;
c) Provvisoria esecutività;
d) Regolamento di competenza.
a) Immutabilità del collegio giudicante.
l Nella procedura camerale per la dichiarazione di fallimento, la quale è ontologicamente
distinta in due fasi – una prima, destinata alla
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54
raccolta di informazioni, nonché all’ascolto dei
creditori e del debitore, ed una seconda, destinata
alla decisione – il principio dell’immutabilità
del giudice (art. 276 c.p.c.) opera con esclusivo riferimento alla seconda fase processuale.
* Cass. civ., sez. I, 2 agosto 1990, n. 7757, Giostra
A. c. Soc. Fal. Giostr. Nello stesso senso, Cass. I,
12 ottobre 2004, n. 20166. Conforme, Cass. I, 30
settembre 2005, n. 19216. Pure conforme, Cass.
I, 5 marzo 2007, n. 5060, la quale precisa che il
principio di immutabilità «è applicabile solo
dal momento in cui inizia la discussione – la
quale non può essere identificata con l’audizione
del debitore – e non si riferisce a precedenti fasi
interlocutorie, come quelle destinate, nel procedimento prefallimentare, alla raccolta di informazioni e all’ascolto dei creditori e del debitore».
b) Nullità per vizio di motivazione.
l La sentenza dichiarativa di fallimento, in
quanto provvedimento giurisdizionale, deve essere motivata, in ossequio al principio di cui all’art.
111 Cost. Tuttavia, avuto riguardo alle caratteristiche del procedimento camerale, ed alle ragioni di
urgenza che determinano la deliberazione, non si
richiede che detta sentenza sia sorretta da una
motivazione articolata come quella che definisce un ordinario processo di cognizione. Ne
consegue che solo la totale assenza di motivazione
comporta la nullità del provvedimento. Questo,
del resto, è soggetto ad opposizione, a seguito della
quale si instaura un giudizio a cognizione piena,
definito con sentenza la quale potrà integrare le
ragioni poste a base della declaratoria di fallimento. * Cass. civ., sez. I, 2 aprile 1999, n. 3163, Trotta
ed altri c. S.d.f. Trotta A. fall. [RV524850]
c) Provvisoria esecutività.
l La sentenza dichiarativa del fallimento,
in quanto provvisoriamente esecutiva ai sensi
dell’art. 16, terzo comma, della legge fall., determina – anche in pendenza del relativo giudizio
di opposizione in cui si contesti la sussistenza
dei requisiti soggettivi ed oggettivi del fallimento stesso – l’inefficacia relativa di diritto degli
atti a titolo gratuito, quando sussistano i requisiti previsti dall’art. 64 legge fall. In tal caso la
esecutività della dichiarazione di fallimento e l’automatica inefficacia degli atti a titolo
gratuito sono soltanto rese provvisorie dalla
mancata definizione dell’eventuale giudizio
di opposizione alla dichiarazione di fallimento.
Ne consegue che, in pendenza di detto giudizio,
non è esclusa la possibilità, rimessa al prudente
apprezzamento degli organi della procedura, di
30/03/17 17:10
55
R.D. 16 marzo 1942, n. 267
procedere alla liquidazione dei beni, non solo se
appartenenti al fallito, ma anche se appartenenti
ai terzi, quando da questi acquistati con atti inopponibili alla massa dei creditori. * Cass. civ., sez.
I, 26 marzo 2003, n. 4466. [RV561446]
l La sentenza dichiarativa del fallimento,
la quale è provvisoriamente esecutiva ed implica
che il fallito venga iscritto nell’apposito registro
di cui all’art. 50 del R.D. 16 marzo 1942 n. 267,
comporta immediatamente la cosiddetta incapacità civile del fallito stesso (nella specie, ai
fini della cancellazione dall’albo dei geometri),
mentre non rileva al riguardo la pendenza del
giudizio di opposizione avverso detta declaratoria, né la revoca della stessa fino a quando non
sia rimossa l’indicata iscrizione a seguito di sentenza a norma del secondo comma dell’art. 50 cit.
* Cass. civ., Sezioni Unite, 6 agosto 1990, n. 7937,
Guidi c. Cs. Geometri PT.
d) Regolamento di competenza.
l Contro la sentenza dichiarativa di fallimento è proponibile il ricorso per regolamento di
competenza, esperibile dai soggetti legittimati
all’opposizione ex art. 18, L. fall., e cioè da chi abbia un qualunque interesse (economico o soltanto morale) contrario all’apertura del fallimento.
* Cass. civ., sez. II, 23 marzo 1994, n. 2783, Palmieri c. Consorzio Romagnoli - Lombardi - Irces.
17.  (1) Comunicazione e pubblicazione della sen-
tenza dichiarativa di fallimento. – Entro il giorno
successivo al deposito in cancelleria, la sentenza che
dichiara il fallimento è notificata, su richiesta del cancelliere, ai sensi dell’articolo 137 del codice di procedura civile, al pubblico ministero, (2) al debitore, eventualmente presso il domicilio eletto nel corso del
procedimento previsto dall’articolo 15, ed è comunicata per estratto, ai sensi dell’articolo 136 del codice
di procedura civile, al curatore ed al richiedente il fallimento. L’estratto deve contenere il nome del debitore,
il nome del curatore, il dispositivo e la data del deposito della sentenza.
La sentenza è altresì annotata presso l’ufficio del
registro delle imprese ove l’imprenditore ha la sede
legale e, se questa differisce dalla sede effettiva, anche
presso quello corrispondente al luogo ove la procedura è stata aperta.
A tal fine, il cancelliere, entro il termine di cui al
primo comma, trasmette, anche per via telematica,
l’estratto della sentenza all’ufficio del registro delle imprese indicato nel comma precedente.
(1) Questo articolo è stato così sostituito dall’art. 15 del D.L.vo
9 gennaio 2006, n. 5, a decorrere dal 16 luglio 2006.
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Art. 17
(2) Le parole: «al pubblico ministero,» sono state aggiunte
dall’art. 2, comma 6, del D.L.vo 12 settembre 2007, n. 169, a decorrere dal 1° gennaio 2008.
l La sentenza che dichiara il fallimento, in
virtù dell’art. 17, legge fall., deve essere comunicata al debitore, per estratto, a norma dell’art.
136, c.p.c., e, qualora il cancelliere proceda alla
comunicazione mediante notifica a mezzo dell’ufficiale giudiziario, se questi la effettui ai sensi dell’art. 140, c.p.c., la notificazione si perfeziona con
il compimento di tutte le formalità ivi previste, e
cioè, con il deposito dell’atto nella casa comunale,
con l’affissione dell’avviso di deposito alla porta
d’abitazione, del destinatario dell’atto, nonché
con la spedizione allo stesso della raccomandata
con avviso di ricevimento, non occorrendo invece la prova della consegna della raccomandata al
destinatario, né l’allegazione all’originale dell’atto
dell’avviso di ricevimento. * Cass. civ., sez. I, 20
febbraio 2004, n. 3389. [RV570337]
18.  (1) Reclamo. – Contro la sentenza che dichiara il
fallimento può essere proposto reclamo dal debitore
e da qualunque interessato con ricorso da depositarsi
nella cancelleria della corte d’appello nel termine perentorio di trenta giorni.
Il ricorso deve contenere:
1) l’indicazione della corte d’appello competente;
2) le generalità dell’impugnante e l’elezione del
domicilio nel comune in cui ha sede la corte d’appello;
3) l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto su
cui si basa l’impugnazione, con le relative conclusioni;
4) l’indicazione dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e dei documenti prodotti.
Il reclamo non sospende gli effetti della sentenza
impugnata, salvo quanto previsto dall’articolo 19, primo comma.
Il termine per il reclamo decorre per il debitore
dalla data della notificazione della sentenza a norma
dell’articolo 17 e per tutti gli altri interessati dalla data
della iscrizione nel registro delle imprese ai sensi del
medesimo articolo. In ogni caso, si applica la disposizione di cui all’articolo 327, primo comma, del codice
di procedura civile.
Il presidente, nei cinque giorni successivi al deposito del ricorso, designa il relatore, e fissa con decreto
l’udienza di comparizione entro sessanta giorni dal
deposito del ricorso.
Il ricorso, unitamente al decreto di fissazione
dell’udienza, deve essere notificato, a cura del recla-
30/03/17 17:10
Art. 18
PARTE I: LA LEGGE FALLIMENTARE
mante, al curatore e alle altre parti entro dieci giorni
dalla comunicazione del decreto.
Tra la data della notificazione e quella dell’udienza deve intercorrere un termine non minore di trenta
giorni. Le parti resistenti devono costituirsi almeno
dieci giorni prima della udienza, eleggendo il domicilio
nel comune in cui ha sede la corte d’appello.
La costituzione si effettua mediante il deposito in
cancelleria di una memoria contenente l’esposizione
delle difese in fatto e in diritto, nonché l’indicazione
dei mezzi di prova e dei documenti prodotti.
L’intervento di qualunque interessato non può
avere luogo oltre il termine stabilito per la costituzione
delle parti resistenti con le modalità per queste previste.
All’udienza, il collegio, sentite le parti, assume,
anche d’ufficio, nel rispetto del contraddittorio, tutti
i mezzi di prova che ritiene necessari, eventualmente
delegando un suo componente.
La corte provvede sul ricorso con sentenza.
La sentenza che revoca il fallimento è notificata, a
cura della cancelleria, al curatore, al creditore che ha
chiesto il fallimento e al debitore, se non reclamante, e
deve essere pubblicata a norma dell’articolo 17.
La sentenza che rigetta il reclamo è notificata al
reclamante a cura della cancelleria.
Il termine per proporre il ricorso per cassazione è di
trenta giorni dalla notificazione.
Se il fallimento è revocato, restano salvi gli effetti
degli atti legalmente compiuti dagli organi della procedura.
Le spese della procedura ed il compenso al curatore (2) sono liquidati dal tribunale, su relazione del
giudice delegato, con decreto reclamabile ai sensi
dell’articolo 26.
(1) Questo articolo, già sostituito dall’art. 16 del D.L.vo 9 gennaio 2006, n. 5, è stato ora così sostituito dall’art. 2, comma 7, del
D.L.vo 12 settembre 2007, n. 169, a decorrere dal 1° gennaio 2008.
(2) Si veda il D.M. 28 luglio 1992, n. 570.
SOMMARIO:
a) Legittimazione (attiva e passiva) e interesse
all’opposizione;
b) Rapporti con altri mezzi di gravame;
c) Termine di proposizione; c-1) In genere; c-2)
Estensione al regolamento di competenza; c-3) Sospensione feriale;
d) Procura speciale;
e) Instaurazione e integrazione del contraddittorio;
f) Intervento in causa;
g) Partecipazione del pubblico ministero;
h) Composizione del collegio;
COM_358_CodiceFallimento_2017_1.indb 56
56
i) Regime probatorio e regole di giudizio;
l) Regolamento preventivo di giurisdizione;
m) Valore della causa (per la liquidazione di
diritti e onorari);
n) Effetti della proposizione dell’opposizione;
o) Questione infondata di costituzionalità;
p) Diritto transitorio.
a) Legittimazione (attiva e passiva) e interesse
all’opposizione.
l L’art. 18 legge fall., nel testo novellato dai
d.l.vo 9 gennaio 2006, n. 5, e 12 settembre 2007,
n. 169, laddove impone la notifica del reclamo
avverso la sentenza dichiarativa di fallimento "al curatore e alle altre parti", si giustifica
con la diversa configurazione oggi assunta da
tale mezzo di impugnazione, costituente non più
l’atto introduttivo di un giudizio di primo grado
(come l’opposizione regolata dalla citata norma
nella sua formulazione "ante" riforma), bensì un
gravame introduttivo di un procedimento di secondo grado in cui "le parti" non possono essere
altre che quelle che hanno partecipato al giudizio
conclusosi con la menzionata sentenza, derivandone, quindi, che costituisce parte necessaria di
tale gravame innanzitutto il creditore su impulso
del quale detto giudizio si è svolto. * Cass. civ.,
sez. I, 15 marzo 2013, n. 6649, Fall. 56/08 Atr Tools Spa c. Atr Tools Spa ed altri. [RV625959]
l Secondo l’ampia dizione dell’art. 18 legge
fall., è legittimato ad impugnare la dichiarazione
di fallimento "qualunque interessato" e, perciò,
ogni soggetto che ne abbia ricevuto o possa riceverne un pregiudizio specifico, di qualsiasi natura, anche solo morale. Pertanto, seppure il fallimento sia stato chiuso per mancanza di domande
di ammissione al passivo o per avvenuto pagamento dei creditori e delle spese di procedura,
l’imprenditore fallito resta legittimato ad impugnare la dichiarazione di fallimento, essendo "in
re ipsa" il pregiudizio che questa infligge alla sua
reputazione commerciale. * Cass. civ., sez. I, 4 dicembre 2012, n. 21681, Micop Immobiliare Srl c.
Fall. Micop Immobiliare Srl ed altro. [RV624342]
l La decisione resa dal tribunale, ai sensi
dell’art. 18 legge fall. (nel testo "ratione temporis" vigente), in sede di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento, emessa a sua volta
in data anteriore all’entrata in vigore del d.l.vo 9
gennaio 2006, n. 5 (cioè prima del 16 luglio 2006),
non è immediatamente ricorribile in cassazione, dovendo sottostare al regime impugnatorio in
vigore alla data della sentenza di fallimento, con
la conseguenza che l’impugnazione deve essere
proposta necessariamente innanzi al giudice di
30/03/17 17:10
57
R.D. 16 marzo 1942, n. 267
appello. * Cass. civ., sez. I, 3 novembre 2011, n.
22799, Parcheggi Meccanizzati Roma Srl In Liquidazione c. Fall. N. 621/06 Parcheggi Meccanizzati Roma Srl In Liquidazione. [RV619983]
l Qualora l’imprenditore abbia conferito ad
un terzo una procura speciale con poteri di rappresentanza sostanziale e processuale, il sopravvenuto fallimento del mandante non priva il
mandatario, ai sensi dell’art. 78 legge fall. - anche
nella formulazione assunta dalla norma a seguito
del d.l.vo n. 5 del 2006, applicabile "ratione temporis" -, del potere di compiere le attività che il
fallito stesso, come tale, avrebbe potuto ancora
esercitare in proprio posto che lo scioglimento
del contratto di mandato, per effetto del fallimento, si riferisce solo ai rapporti giuridici che
sono gestiti dall’organo fallimentare nell’interesse
della massa, mentre tale contratto sopravvive tra
le parti originarie, per ogni altra attività giuridica
attinente alla sfera personale del fallito e dunque
non esclude, in capo al predetto procuratore speciale, la legittimazione alla impugnazione avverso
la dichiarazione di fallimento. * Cass. civ., sez. I, 7
ottobre 2010, n. 20836, Papofin Srl c. Fall. Pa. Po.
Fin. Srl ed altri. [RV614313]
l Nel giudizio di opposizione alla dichiarazione di fallimento che sia stata pronunciata in esito alla risoluzione del concordato
preventivo con cessione dei beni, non sussiste
litisconsorzio necessario in capo al commissario giudiziale, il quale non rappresenta il debitore nè i creditori, nè svolge funzioni di gestione,
difettando dunque tale organo di uno specifico
interesse da far valere in sede giurisdizionale,
in nome proprio o come sostituto processuale
(Principio affermato dalla S.C. che, cassando la
sentenza impugnata per aver ritenuto doverosa
la partecipazione del commissario giudiziale al
giudizio di opposizione alla dichiarazione di fallimento, ne aveva erroneamente statuito l’equiparazione al «creditore istante» sul presupposto che
la risoluzione del concordato e il fallimento erano
stati richiesti dal predetto commissario). * Cass.
civ., sez. I, 30 ottobre 2008, n. 26108, Curatela
Fall. Massimo Viola Er Snc c. Viola. [RV605340]
l In tema di fallimento dichiarato in esito
alla risoluzione del concordato preventivo con
cessione dei beni a carico di società di persone,
con estensione ex art. 147 legge fall. ai soci illimitatamente responsabili, nel giudizio di opposizione instaurato da questi ultimi non sussiste
litisconsorzio necessario in capo alla società,
considerato che il diritto di difesa dell’originario
soggetto fallito trova adeguata tutela nella possibilità di partecipare al giudizio di opposizione
COM_358_CodiceFallimento_2017_1.indb 57
Art. 18
spiegando in esso intervento volontario ex art.
105, secondo comma, c.p.c. * Cass. civ., sez. I, 30
ottobre 2008, n. 26108, Curatela Fall. Massimo
Viola Er Snc c. Viola. [RV605341]
l L’amministratore di società di capitali è legittimato iure proprio a proporre opposizione alla dichiarazione di fallimento della società, per rimuoverne gli effetti che possono discenderne sul piano
morale (in relazione ad eventuali contestazioni
di reati) e patrimoniale (in relazione ad eventuali
azioni di responsabilità); correlativamente, in considerazione della intrinseca natura giurisdizionale
del procedimento prefallimentare egli è legittimato, nella pendenza del procedimento stesso, anche
a proporre regolamento di giurisdizione, per
eliminare ogni dubbio sulla questione di giurisdizione. * Cass. civ., Sezioni Unite, 16 febbraio
2006, n. 3368, Mattiello c. Isolatto. [RV587345]
l La chiusura del fallimento (nella specie di
una s.r.l.) non rende improcedibile l’opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento ed
il relativo giudizio continua in contraddittorio anche del curatore, la cui legittimazione non viene
meno, in quanto in detto giudizio si discute se il
debitore doveva essere dichiarato fallito o meno e
perciò se lo stesso curatore doveva essere nominato al suo ufficio. * Cass. civ., sez. I, 14 ottobre
2005, n. 20000, Metalimpex Srl c. Min. Finanze ed
altro. [RV583660]
l Nel procedimento di opposizione alla dichiarazione di fallimento della società e dei soci
illimitatamente responsabili, legittimati passivi
sono solo il curatore e i creditori istanti, ai sensi dell’art. 18 legge fall.; non è litisconsorte il socio
illimitatamente responsabile, sia perché egli non
è legittimato a contestare il fondamento della dichiarazione di fallimento della società, sia perché
egli può opporsi alla estensione del fallimento nei
propri confronti, facendo valere la eventuale estraneità alla compagine sociale, sia, infine, perché è
in grado di fruire della eventuale revoca della dichiarazione di fallimento, che priverebbe di effetti
tale pronuncia esclusiva, siccome dipendente ed
accessoria, in applicazione del principio generale di cui all’art. 336 c.p.c. Peraltro, la esclusione
della qualità di litisconsorte necessario non
impedisce che il socio intervenga o sia chiamato nel giudizio concernente la dichiarazione
di fallimento della società, nè la proposizione da
parte sua di un’autonoma azione diretta all’accertamento della caducazione dell’effetto estensivo,
in considerazione della revoca di tale dichiarazione. * Cass. civ., sez. I, 12 ottobre 2004, n. 20166.
Idem, Cass. I, 9 giugno 2005, n. 12170. Conforme,
Cass. I, 7 giugno 2007, n. 13357. [RV577665]
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Art. 18
PARTE I: LA LEGGE FALLIMENTARE
b) Rapporti con altri mezzi di gravame.
l Al reclamo avverso la sentenza dichiarativa
di fallimento non si applicano, per la sua specialità, i limiti previsti in tema di appello dagli artt.
342 e 345 c.p.c. ed il relativo procedimento è quindi caratterizzato da un effetto devolutivo pieno,
pur attenendo ad un provvedimento decisorio,
emesso all’esito di un procedimento contenzioso svoltosi in contraddittorio e suscettibile
di acquistare autorità di cosa giudicata; tuttavia, tale effetto devolutivo non può estendersi
all’ipotesi in cui si sia già verificata una decadenza da una eccezione nel corso del primo
grado di giudizio ed, in particolare, da quella
d’incompetenza ex art. 9 legge fall., poiché ciò
sarebbe contrario al principio costituzionale di
celerità dei giudizi, che, qualora si ammettesse la
possibilità di sollevare l’eccezione d’incompetenza anche in fase di gravame, sarebbero suscettibili, se l’eccezione fosse fondata, di ricominciare "ex
novo" innanzi al giudice competente, con dispendio di tempo e attività giudiziaria. * Cass. civ., sez.
I, 2 aprile 2012, n. 5257, Mart S.r.l. c. Curatela
Fall. Mart S.r.l. [RV622192]
l Proposta opposizione avverso la sentenza
dichiarativa di fallimento, al debitore non è consentito impugnare la medesima sentenza con
il rimedio del regolamento di competenza, essendo quest’ultimo consentito, successivamente
all’impugnazione ordinaria, soltanto «alle altre
parti» a quelle, cioè, che non si siano già avvalse
dell’impugnazione ordinaria. * Cass. civ., sez. I,
25 giugno 2004, n. 11911. [RV573927]
l La contestuale proposizione, da parte del
fallito, da un canto, dell’opposizione alla dichiarazione di fallimento ex art. 18 della legge
fallimentare, dall’altro, del ricorso per regolamento di competenza deve ritenersi del tutto
legittima, atteso che il legislatore ha conferito
prevalenza a quest’ultimo mezzo – qualora esso
sia esperito – rispetto a tutti gli altri possibili mezzi ordinari di impugnazione della stessa sentenza,
così risolvendo in favore del regolamento di competenza la situazione di incompatibilità logica e
di alternatività necessaria esistente tra i due procedimenti. * Cass. civ., sez. I, 16 giugno 2004, n.
11303. [RV573656]
l Presupposto del regolamento d’ufficio di
competenza, ai sensi dell’art. 45 c.p.c., è l’esistenza di un conflitto negativo tra due giudici appartenenti allo stesso grado di giurisdizione. Pertanto, nell’ipotesi in cui il primo giudice adito abbia
dichiarato la propria incompetenza territoriale a
pronunciare sentenza dichiarativa di fallimento
ed il secondo giudice, indicato come competen-
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58
te dal primo, abbia con questi concordato, pronunciando nel merito, nel conseguente giudizio
di opposizione ai sensi dell’art. 18 della legge
fallimentare, che dell’appello condivide la natura di impugnazione in senso tecnico, non può il
giudice adito sollevare il conflitto, ma deve decidere anche sulla competenza, eventualmente
revocando la sentenza ed indicando altro giudice
competente. * Cass. civ., sez. I, 22 novembre 2002,
n. 16538. [RV558674]
c) Termine di proposizione.
c-1) In genere.
l La sentenza reiettiva del reclamo avverso
la pronuncia dichiarativa di fallimento è ricorribile per cassazione, giusta l’art. 18, commi 13
e 14, l. fall., nel termine di trenta giorni dalla sua
notificazione al reclamante a cura della cancelleria, essendosi così inteso evitare il rischio un’impugnazione protratta nel tempo, come avverrebbe ove quella sentenza non fosse notificata, ed a
tale notificazione deve considerarsi equipollente
quella operata dal curatore fallimentare, anch’essa idonea a permettere alla parte di conoscere
compiutamente le ragioni e l’esito del reclamo, al
fine di valutarne la ricorribilità. * Cass. civ., sez. I,
14 aprile 2016, n. 7384, Gruppo Essetti Di Terracciano Carmela & C. c. Curatela Fall. Gruppo Essetti Di Carmela Terracciano ed altri. [RV639294]
l  Alla luce della dichiarazione di illegittimità costituzionale (cfr. Corte costituzionale, sent.
n. 151 del 1980) dell’art. 18, primo comma, della
legge fall. (nel testo, applicabile "ratione temporis", anteriore alle modifiche introdotte dal d.lgs.
9 gennaio 2006, n. 5), il principio secondo cui il
termine di quindici giorni per l’opposizione
alla sentenza di fallimento non decorre "per il
debitore" dalla data di affissione della stessa,
ma dalla sua comunicazione ai sensi dell’art.
17 della legge fall., si applica anche all’erede
del debitore medesimo, non essendo la sua posizione equiparabile, agli effetti di tale disposizione,
a quella di qualsiasi altro terzo avente interesse
all’opposizione, in quanto egli subentra al defunto
in tutti i pregressi rapporti giuridici, sostanziali
e processuali; né tale conclusione muta, allorché
l’accettazione dell’eredità sia avvenuta con beneficio di inventario. * Cass. civ., sez. I, 2 marzo 2009,
n. 5018, Lisena c. Luongo ed altri. [RV607770]
l La comunicazione dell’estratto della sentenza dichiarativa di fallimento, ai sensi dell’art.
17 legge fall., la quale ha assunto, per evoluzione
giurisprudenziale, anche la funzione processuale
di «dies a quo» del termine breve di opposizione
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R.D. 16 marzo 1942, n. 267
per il fallito, è nulla se fatta al debitore personalmente, e non al suo procuratore costituito
nel pregresso giudizio camerale (come invece necessario in base all’art. 170, comma primo, c.p.c.,
che, per quanto dettato per il processo ordinario,
è espressione di un principio più generale, secondo cui destinatario delle comunicazioni e notificazioni nel corso del procedimento è il soggetto
– e dunque il procuratore, se è stato nominato –
cui spetta la conduzione dello stesso) e, dunque, è
inidonea a far decorrere, per il fallito, il predetto
termine breve. * Cass. civ., sez. I, 6 ottobre 2005,
n. 19429, Po c. Fall. Apm Srl ed altri. [RV585703]
l A seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 151 del 1980 – che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 1, L.
fall., nella parte in cui prevedeva che il termine di
quindici giorni per fare opposizione alla sentenza di fallimento decorreva anche per il debitore
dall’affissione della sentenza medesima – al fine
della decorrenza del termine «breve» per la
proposizione dell’indicata opposizione, da parte
del debitore medesimo, non è necessaria la notificazione del testo integrale della sentenza,
in quanto, per consentire al predetto di avere conoscenza dell’avvenuta dichiarazione del proprio
fallimento è sufficiente la comunicazione per
estratto ai sensi dell’art. 17, L. fall., con la quale il cancelliere come gli dà notizia di fatti e di
atti processualmente rilevanti che lo riguardano,
lo mette a conoscenza dell’accertata insolvenza e
dell’apertura del fallimento, ponendolo in grado
di acquisire presso la cancelleria ogni altro elemento per l’esercizio del diritto di difesa. * Cass.
civ., Sezioni Unite, 3 giugno 1996, n. 5104. Conforme, Cass. I, 11 gennaio 2007, n. 322, la quale
ritiene «manifestamente infondata la questione
di legittimità costituzionale dell’art. 18 legge
fallim., in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost.,
nella parte in cui non prevede, a seguito della dichiarazione della sua parziale incostituzionalità
(Corte cost. sent. n. 151 del 1980) da quale atto
debba decorrere il termine per l’impugnazione della sentenza dichiarativa del fallimento da
parte del fallito»; ciò in quanto la lacuna sarebbe
colmata dalla giurisprudenza «nel senso della decorrenza del termine della comunicazione per
estratto della sentenza».
c-2) Estensione al regolamento di competenza.
l Il termine per proporre regolamento facoltativo di competenza contro una sentenza dichiarativa di fallimento (quindici giorni secondo
l’indicazione contenuta nell’art. 18 L. fall.) decorre dalla data di comunicazione dell’estratto
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Art. 18
della sentenza di fallimento ovvero, in difetto di
comunicazione, dalla notificazione della sentenza. In mancanza di comunicazione e notificazione della sentenza, ed in caso di opposizione alla
dichiarazione di fallimento, il suddetto termine
decorre dalla notifica dell’atto di opposizione. *
Cass. civ., sez. I, 12 novembre 1993, n. 11181, Società Co.Cem. snc ed altri c. Fallimento Co.Cem.
snc ed altri.
c-3) Sospensione feriale.
l È manifestamente infondata la questione
di legittimità costituzionale dell’art. 3 della L.
n. 742 del 1969, in relazione all’art. 92 dell’ordinamento giudiziario (R.D. n. 12 del 1941), nella
parte in cui, escludendo l’applicabilità della sospensione dei termini in periodo feriale per
le cause di dichiarazione e revoca del fallimento,
rende inapplicabile detta sospensione anche al
termine annuale per l’impugnazione della sentenza: la diversità di tale disciplina rispetto a quella
dettata per gli altri giudizi connessi al fallimento non comporta un’ingiustificata disparità di
trattamento nè una lesione del diritto di difesa,
avuto riguardo alla peculiarità dei giudizi vertenti
sull’accertamento dello "status" di fallito, palesemente urgenti, ed alla più che congrua durata del
termine di cui art. 327 c.p.c. * Cass. civ., sez. I,
16 settembre 2009, n. 19978, F.lli Mattuzzi Di Tagliaferri Maria ed altro c. Banca Milano Scarl ed
altri. [RV610042]
l È manifestamente infondata la questione
di legittimità costituzionale dell’art. 3 della
legge 7 ottobre 1969, n. 742, in relazione all’art.
92 dell’ordinamento giudiziario (R.D. 30 gennaio 1941, n. 12), nella parte in cui esclude dalla
sospensione feriale dei termini le cause inerenti alla dichiarazione e revoca del fallimento,
sotto il profilo della disparità di trattamento tra
le stesse e gli altri giudizi connessi alle procedure concorsuali, attesa la peculiarità dei giudizi
vertenti sull’accertamento dello status di fallito,
palesemente urgenti. * Cass. civ., sez. I, 16 marzo
2007, n. 6298, Samoter Snc c. Imi Lease Spa ed
altri. [RV597149]
d) Procura speciale.
Il momento processuale prefallimentare e
quello di opposizione alla sentenza dichiarativa
di fallimento costituiscono due fasi, sia pure svolgentesi con riti e regimi impugnatori diversi, di
un unico procedimento, diretto alla verifica dei
presupposti per l’assoggettamento dell’imprenditore alla disciplina formale e sostanziale concorsuale. Consegue che la procura speciale ai sensi
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Art. 18
PARTE I: LA LEGGE FALLIMENTARE
dell’art. 83 c.p.c. rilasciata dal fallendo al difensore nel corso della fase prefallimentare può
essere validamente conferita, oltre che limitatamente a quel procedimento, anche per tutte
le fasi successive, stati e gradi e, quindi, anche
per il giudizio d’opposizione. * Cass. civ., sez. I, 23
settembre 1997, n. 9367.
e) Instaurazione e integrazione del contraddittorio.
l La notifica dell’impugnazione relativa a
cause inscindibili - sia nell’ipotesi di litisconsorzio necessario sostanziale che processuale - eseguita nei confronti di uno solo dei litisconsorti nei
termini di legge, introduce validamente il giudizio di gravame nei confronti di tutte le altre
parti, ancorché l’atto di impugnazione sia stato,
a queste, tardivamente notificato; in tal caso, infatti, l’atto tardivo riveste la funzione di notificazione per integrazione del contraddittorio ex art.
331 c.p.c., e l’iniziativa della parte, sopravvenuta
prima ancora dell’ordine del giudice, assolve alla
medesima funzione. (Principio affermato dalla
S.C. in materia di reclamo avverso la sentenza
dichiarativa di fallimento, erroneamente dichiarato improcedibile dalla sentenza impugnata, nonostante lo stesso, notificato tempestivamente al
creditore istante, fosse stato successivamente notificato, d’iniziativa della parte reclamante, anche
alla curatela fallimentare). * Cass. civ., sez. VI, 8
febbraio 2011, n. 3071, Aufiero c. Equitalia Polis
S.p.a. ed altro. [RV617273]
l Il reclamo avverso la sentenza dichiarativa di
fallimento, disciplinato dall’art. 18 legge fall. - nel
testo, "ratione temporis" vigente, riformato dalla
legge n. 169 del 2007 - deve essere coordinato con
la precedente fase, di natura contenziosa ed a trattazione camerale, volta ad assicurare l’attuazione
di esigenze di snellezza e celerità; esso si articola
in una fase di costituzione delle parti che si conclude in un’unica udienza a trattazione orale,
ove ciascuna, pur in una sequenza semplificata, è
ammessa ad illustrare le proprie difese ed anche
a replicare a quelle avverse, senza che però tale
dialettica contempli la facoltà delle parti di depositare ulteriori memorie consenta l’applicazione
delle disposizioni di cui agli artt. 189 e 190 c.p.c.,
essendo semmai consentito al giudice, d’ufficio,
acquisire eventuali informazioni per completare il
quadro istruttorio ed anche graduare la tempistica del procedimento, secondo un temperato principio inquisitorio sopravvissuto alla citata riforma
e la intrinseca flessibilità del modello camerale. *
Cass. civ., sez. I, 7 ottobre 2010, n. 20836, Papofin
Srl c. Fall. Pa. Po. Fin. Srl ed altri. [RV614314]
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l Nel giudizio di opposizione alla dichiarazione del fallimento pronunciata in sede di
risoluzione del concordato preventivo non
sono litisconsorti necessari né il commissario
giudiziale, né il liquidatore, non sussistendo
alcuno specifico interesse, del quale i medesimi
siano portatori in considerazione delle rispettive funzioni, che lo imponga o lo giustifichi; né
è obbligatorio l’intervento del P.M., previsto dal
solo art. 132 legge fall. con riguardo al giudizio
di omologazione del concordato, ma non dall’art.
137 sulla risoluzione del concordato fallimentare,
cui rinvia l’art. 186 relativo al concordato preventivo. * Cass. civ., sez. I, 7 giugno 2007, n. 13357,
Lamas Di La Fazia Vincenzo Mastracchio c. Fall.
Lamas Di La Fazia Vincenzo Mastra. [RV597418]
l Ai sensi dell’art. 2495, secondo comma, c.c.,
nel testo introdotto dall’art. 4 del D.L.vo 17 gennaio 2003, n. 6 ed entrato in vigore il 1° gennaio
2004, la cancellazione dal registro delle imprese
produce l’effetto costitutivo dell’estinzione irreversibile della società anche in presenza di crediti
insoddisfatti e di rapporti di altro tipo non definiti.
Tale disposizione, non disciplinando le condizioni
per la cancellazione, ma gli effetti della stessa, ovverosia la situazione giuridica della società cancellata, trova applicazione anche in riferimento alle
cancellazioni intervenute in epoca anteriore alla
sua entrata in vigore. Pertanto, nel caso in cui la
dichiarazione di fallimento sia stata chiesta da una
società successivamente cancellata dal registro
delle imprese, non occorre procedere all’integrazione del contraddittorio nei confronti della
stessa, non avendo il giudizio ad oggetto l’accertamento del diritto di quest’ultima, e non vertendosi
dunque in un’ipotesi di litisconsorzio sostanziale,
giustificato dalla qualità di parte del rapporto sostanziale controverso, ma in un’ipotesi di litisconsorzio processuale, in relazione alla quale la cancellazione della società istante escluse la possibilità di
una integrazione del contraddittorio nei confronti
della stessa, in quanto estinta, ben potendo il giudizio processuale tra le altre parti. * Cass. civ., sez.
I, 28 agosto 2006, n. 18618, Fall. Rizza Antonino
Crisafulli Grazia e c. Rizza ed altri. [RV591790]
l Ai sensi dell’art. 18 legge fall., il creditore
istante assume la qualità di litisconsorte necessario nel giudizio di opposizione alla dichiarazione di fallimento e non ha rilievo la successiva
rinuncia al credito da parte dello stesso creditore, in quanto il suo interesse al giudizio
persiste anche dopo la rinuncia, potendo l’eventuale revoca del fallimento essere per lui fonte
di responsabilità. * Cass. civ., sez. I, 22 settembre
2000, n. 12548, Polillo c. Chiappetta. [RV540377]
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61
R.D. 16 marzo 1942, n. 267
f) Intervento in causa.
l L’intervento spiegato da un terzo nel
giudizio promosso dal fallito per opporsi alla
dichiarazione del proprio fallimento ha carattere adesivo dipendente, non solo nel caso
in cui il terzo intenda contrastare l’opposizione
ed abbia interesse a che il fallimento sia tenuto
fermo, ma anche quando egli si schieri invece a
sostegno delle ragioni dell’opponente. * Cass. civ.,
sez. I, 27 maggio 1997, n. 4698.
g) Partecipazione del pubblico ministero.
L’appello avverso la sentenza dichiarativa di
fallimento va notificato al procuratore della
Repubblica presso il tribunale, al quale spetta
la legittimazione all’impugnazione, in qualità
di ufficio del P.M. funzionante presso il giudice
che ha pronunciato la sentenza impugnata, mentre l’esercizio delle funzioni di P.M. nel giudizio di appello spetta al P.G., ai sensi dell’art. 70
del R.D. n. 12 del 1941. Peraltro, la costituzione
in appello del procuratore della Repubblica, in
luogo del P.G., non determina la nullità della
sentenza di secondo grado, ma soltanto la nullità della costituzione del P.M., della quale può
dolersi esclusivamente il soggetto che avrebbe
dovuto presenziare al giudizio, con la conseguente carenza di interesse dell’appellante a far valere
il predetto vizio. * Cass. civ., sez. I, 4 settembre
2009, n. 19214, Adl Srl In Liq c. Intesa San Paolo
ed altri. [RV609765]
h) Composizione del collegio.
l La sentenza emessa in primo grado nel
giudizio di opposizione alla dichiarazione di fallimento, ai sensi degli art. 18 e 19 della legge fall.
(nel testo previgente, applicabile "ratione temporis"), dallo stesso collegio che ha provveduto alla
dichiarazione di fallimento, non è affetta da nullità per vizio di costituzione del giudice ma, avendo
il giudizio di opposizione il carattere e la funzione sostanziale di un giudizio d’impugnazione di
secondo grado, integra l’ipotesi di astensione
obbligatoria prevista dall’art. 51, n. 4, c.p.c.,
da far valere esclusivamente mediante tempestiva
e rituale istanza di ricusazione formulata ai sensi
dell’art. 52 c.p.c. nel corso del procedimento ove
si sia verificata l’incompatibilità. * Cass. civ., sez.
I, 5 maggio 2010, n. 10900, Pinto c. Fall. Pinto ed
altri. [RV613282]
l Non è affetta da nullità la decisione sulla
opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento cui abbia partecipato un giudice già
componente il collegio decidente sulla dichiarazione del medesimo fallimento, giacché l’at-
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Art. 18
tuazione dell’imparzialità del giudice nel processo civile viene affidata agli istituti dell’astensione
e della ricusazione, nel cui ambito va verificata in
concreto la sussistenza di atti il cui compimento
da parte del giudice comporti valutazioni di merito tali da pregiudicare le successive decisioni,
dovendosi peraltro rilavare che, nella fattispecie,
essendo la sentenza dichiarativa di fallimento
emessa al termine di un giudizio a cognizione
sommaria, ed intervenendo invece quella di opposizione all’esito di un giudizio a cognizione
piena, non può ritenersi che il secondo giudizio
sia pregiudicato dal precedente, onde neppure
astrattamente sarebbe configurabile la situazione
di incompatibilità che avrebbe legittimato la ricusazione. * Cass. civ., sez. I, 19 settembre 2000, n.
12410, Allevamenti Cinque Stelle di Ramoino &
C. c. Fall. Allevamenti Cinque Stelle di Ramoino
& C. sas. [RV540276]
i) Regime probatorio e regole di giudizio.
l Nel giudizio di impugnazione avverso la
sentenza dichiarativa di fallimento, quanto ai
procedimenti in cui trova applicazione la riforma di cui al d.l.vo n. 169 del 2007, che ha modificato l’art. 18 legge fall., ridenominando tale
mezzo come "reclamo" in luogo del precedente
"appello", l’istituto, adeguato alla natura camerale
dell’intero procedimento, è caratterizzato, per la
sua specialità, da un effetto devolutivo pieno, cui
non si applicano i limiti previsti, in tema di appello, dagli artt. 342 e 345 c.p.c., pur attenendo il
reclamo ad un provvedimento decisorio, emesso
all’esito di un procedimento contenzioso svoltosi in contraddittorio e suscettibile di acquistare
autorità di cosa giudicata; ne consegue che il debitore, benchè non costituito avanti al tribunale,
può indicare anche per la prima volta, in sede di
reclamo, i mezzi di prova di cui intende avvalersi, ai fine di dimostrare la sussistenza dei limiti
dimensionali di cui all’art.1, comma 2, legge fall.,
tenuto conto che, sul punto e come ribadito da
Corte cost. 1 luglio 2009, n. 198 - in tema di dichiarazione di fallimento ed onere della prova nel
procedimento dichiarativo -, permane un ampio
potere di indagine officioso in capo allo stesso organo giudicante. (Affermando detto principio, la
S.C. ha cassato la sentenza con la quale il giudice
d’appello, confermando la sentenza di fallimento,
aveva negato di poter valutare la prova documentale, sui requisiti di fallibilità, introdotta per la
prima volta dal debitore con il reclamo). * Cass.
civ., sez. I, 5 novembre 2010, n. 22546, Carioti c.
Mediocapital S.p.a. [RV614635]
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Art. 18
PARTE I: LA LEGGE FALLIMENTARE
l Nel giudizio di impugnazione avverso la
sentenza dichiarativa di fallimento, quanto ai
procedimenti in cui trova applicazione la riforma di cui al d.l.vo n. 169 del 2007, che ha modificato l’art. 18 legge fall., ridenominando tale
mezzo come "reclamo" in luogo del precedente
"appello", tale istituto, per quanto adeguato alla
natura camerale dell’intero procedimento, non
è del tutto incompatibile con i limiti dell’effetto
devolutivo normalmente inerenti al meccanismo
dell’impugnazione, attenendo comunque ad un
provvedimento decisorio emesso all’esito di un
procedimento contenzioso svoltosi in contraddittorio tanto è vero che il comma 2, n. 3, della cit.
norma prescrive che il reclamo deve contenere
l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto su
cui si basa l’impugnazione, con le relative conclusioni, e dunque solo entro tali limiti la corte d’appello può riesaminare la decisione del tribunale,
non potendo essere messi in discussione i punti
di detta sentenza (ed i fatti già accertati in primo
grado) sui quali il reclamante non abbia sollevato
censure di sorta. (Affermando detto principio, la
S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che aveva revocato il fallimento dando rilievo,
ai fini dei requisiti dimensionali di cui all’art. 1,
comma 2, legge fall., ma al di fuori della prospettazione del reclamante, al mancato svolgimento
di attività del debitore nei tre anni anteriori alla
istanza di fallimento, quale periodo da considerare per il riscontro delle soglie dell’attivo e dei ricavi, e non agli ultimi tre anni di attività effettiva,
invece valutati dal tribunale). * Cass. civ., sez. I,
28 ottobre 2010, n. 22110, Fall. Marlen di Marcaccio Sas c. Marcaccio ed altri. [RV614609]
l Nel giudizio di opposizione alla dichiarazione di fallimento, la verifica, ex art. 5 legge
fall., dello stato d’insolvenza dell’imprenditore
commerciale esige la prova di una situazione
d’impotenza, strutturale e non soltanto transitoria, a soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni, valutate nel loro
complesso, in quanto già scadute all’epoca della
predetta dichiarazione e ragionevolmente certe;
ne consegue, quanto ai debiti, che il computo
non si limita alle risultanze dello stato passivo
nel frattempo formato, ma si estende a quelli
emergenti dai bilanci e dalle scritture contabili o in altro modo riscontrati, anche se oggetto di contestazione, quando (e nella misura
in cui) il giudice dell’opposizione ne riconosca
incidentalmente la ragionevole certezza ed
entità; quanto all’attivo, i cespiti vanno considerati non solo per il loro valore contabile o di
mercato, ma anche in rapporto all’attitudine
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ad essere adoperati per estinguere tempestivamente i debiti, senza compromissione – di
regola – dell’operatività dell’impresa, salvo che
l’eventuale fase della liquidazione in cui la stessa
si trovi renda compatibile anche il pronto realizzo dei beni strumentali e dell’avviamento. * Cass.
civ., sez. I, 27 febbraio 2008, n. 5215, Villa Del
Pino Spa c. Messina ed altro. [RV602233]
l In tema di giudizio di opposizione alla sentenza di fallimento, l’eccezione di non assoggettabilità a fallimento dell’impresa in ragione
della sua natura artigiana non è suscettibile di
essere rilevata d’ufficio. Infatti, un tale giudizio,
se presenta un certo grado di officiosità e attribuisce al giudice il potere-dovere di riscontrare,
anche d’ufficio, la sussistenza dello stato d’insolvenza e di ogni altro presupposto del fallimento,
avvalendosi di tutti gli elementi comunque acquisiti, in atti e nel fascicolo fallimentare, ivi inclusi
quelli relativi alla fase processuale conclusasi con
la dichiarazione di fallimento, riveste un carattere officioso relativo perché opera pur sempre
nell’ambito del principio generale dell’onere delle
parti di fornire la prova delle rispettive allegazioni e rimane circoscritto alle domande ed alle eccezioni sollevate dalle parti. * Cass. civ., sez. I, 20
agosto 2004, n. 16356. [RV576542]
l) Regolamento preventivo di giurisdizione.
l Nel corso del giudizio d’opposizione avverso la sentenza del tribunale dichiarativa del
fallimento, si deve negare la esperibilità del
ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, atteso che detta sentenza, contenendo
un’affermazione circa la esistenza di una volontà
di legge conforme alla pretesa dedotta, ed essendo quindi idonea a dar luogo a giudicato, integra
pronuncia nel merito, ai sensi ed agli effetti dell’art. 41, primo comma, c.p.c. * Cass. civ., Sezioni
Unite, 5 febbraio 1990, ord. n. 66, Audisio c. Soc.
Fal. Amacch.
m) Valore della causa (per la liquidazione di
diritti e onorari).
l Ai fini della liquidazione dei diritti e degli onorari spettanti al difensore in sede di
opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento, il valore della causa, da determinarsi
sulla base della domanda ex art. 10 c.p.c., non va
desunto dall’entità del passivo, non essendo
applicabile in via analogica l’art. 17 c.p.c. riguardante esclusivamente i giudizi di opposizione ad
esecuzione forzata, ma deve considerarsi indeterminabile, atteso che la pronuncia richiesta è
di revoca del fallimento e l’oggetto del giudizio,
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63
R.D. 16 marzo 1942, n. 267
relativo all’accertamento dell’insolvenza, si fonda
sulla comparazione tra i debiti dell’imprenditore
e i mezzi finanziari a sua disposizione senza investire la delimitazione quantitativa del dissesto,
riservata al subprocedimento di verificazione. *
Cass. civ., Sezioni Unite, 24 luglio 2007, n. 16300,
Troiano c. Curatela Fall. Piemontese Michele.
[RV598451]
n) Effetti della proposizione dell’opposizione.
l In tema di impugnazione della sentenza
dichiarativa di fallimento, va disattesa l’istanza
con cui l’appellante, che non abbia notificato
il ricorso ed il decreto presidenziale di fissazione dell’udienza nel termine ordinatorio ex
art. 18, comma 4, del r.d. n. 267 del 1942 (nel
testo, applicabile "ratione temporis", modificato
dal d.l.vo n. 5 del 2006), ne chieda, successivamente al suo decorso e senza allegare alcuna causa di giustificazione, uno nuovo per provvedervi,
ostando a tale concessione l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 154 c.p.c. che, in
ipotesi di impugnazione e sulla scorta dei principi
sottesi all’art. 111, comma 2, Cost., deve tenere
conto della legittima aspettativa della controparte al consolidamento, entro un confine temporale
rigorosamente definito e ragionevolmente breve,
del provvedimento giudiziario già emesso. * Cass.
civ., sez. I, 20 luglio 2015, n. 15146, Edilia soc.
coop. a r.l. in liquidazione c. Pellicanò E Partners
s.r.l. ed altro. [RV636106]
l In considerazione dell’essenza e della finalità della procedura concorsuale, gli effetti della
sentenza dichiarativa di fallimento (la cui immediata esecutività – disposta dall’art. 16, comma
terzo, L. fall. – corrisponde alla funzione che promuove la esecuzione collettiva) non sono suscettibili di essere sospesi, neppure a norma dell’art.
351 c.p.c., a seguito dell’opposizione alla dichiarazione di fallimento, disponendo espressamente
l’art. 18, comma quarto, della L. fall., che “l’opposizione non sospende l’esecuzione della sentenza”. Conseguentemente, l’opposizione, così come
non costituisce ostacolo al normale svolgimento
della procedura, neppure può paralizzare le doverose iniziative recuperatorie del curatore dirette
alla ricostituzione del “patrimonio fallimentare”
di cui egli “ha l’amministrazione” (art. 31 della L.
fall.). * Cass. civ., sez. I, 22 ottobre 1997, n. 10383.
o) Questione infondata di costituzionalità.
l È manifestamente infondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 18 della legge
fallimentare in riferimento all’art. 24, comma secondo, Cost., nella parte in cui detta norma non
COM_358_CodiceFallimento_2017_1.indb 63
Art. 18
prevede la incompatibilità a partecipare al giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa di
fallimento per il giudice che abbia concorso alla
dichiarazione di quel fallimento, questione sollevata sotto il profilo della violazione del diritto di
difesa conseguente al possibile condizionamento di tale giudice, che ne metterebbe in dubbio
la serenità di giudizio, e, quindi, l’imparzialità.
Premesso che le profonde differenze strutturali
e funzionali tra il modello di processo penale e
quello civile (sulle quali si veda anche la sentenza
n. 326 e la ordinanza n. 356 del 1997 della Corte
costituzionale) non consentono la diretta trasposizione delle tematiche sviluppate dalla giurisprudenza costituzionale con riguardo alla incompatibilità del giudice nel quadro dell’art. 34 c.p.p.
(vedi, tra le ultime pronunzie, le sentenze nn. 306,
307 e 308 del 1997), va posto in rilievo che anche
nel processo civile devono, ovviamente, trovare
attuazione i principi del giusto processo e della
imparzialità del giudice, la cui tutela è, peraltro,
affidata, in tale sede, agli istituti della astensione
e della ricusazione (vedi anche la sentenza n. 326
e la ordinanza n. 356 del 1997 della Corte costituzionale, già citate), nel cui ambito va verificata in
concreto la sussistenza di atti il cui compimento
da parte del giudice contenga valutazioni di merito tali da poter pregiudicare le successive funzioni
giurisdizionali. La sentenza dichiarativa di fallimento, ancorché costituente provvedimento
di merito con natura di accertamento costitutivo, viene, però, emessa al termine di una fase
a cognizione sommaria, laddove la opposizione
alla stessa dà luogo ad un giudizio a cognizione
piena, diretta a verificare la sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi del fallimento. Tale
differenza, di carattere sostanziale, consente di
escludere che il giudizio a cognizione piena
possa rimanere pregiudicato dalla precedente
fase sommaria. Peraltro, il debitore opponente,
che ritenga che dalla partecipazione alla declaratoria del fallimento il giudice dell’opposizione
possa subire un condizionamento, può attivare il
meccanismo della ricusazione, ovvero sollecitare
allo stesso giudice l’esercizio della facoltà di astenersi. * Cass. civ., sez. I, 23 ottobre 1998, n. 10527.
p) Diritto transitorio.
l Il ricorso per cassazione avverso la decisione della corte d’appello emessa in epoca
successiva alla vigenza del d.lgs. n. 169 del
2007, ma resa in un giudizio di opposizione
nei confronti di una sentenza dichiarativa
di fallimento depositata in data antecedente
all’entrata in vigore del menzionato decreto
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Art. 19
PARTE I: LA LEGGE FALLIMENTARE
legislativo (oltre che del n. 5 del 2006), va dichiarato inammissibile laddove proposto oltre il
termine di trenta giorni dalla notificazione della
sentenza impugnata di cui al novellato art. 18,
comma 14, l. fall. Invero, l’art. 22 del d.lgs. n. 169
del 2007 dà piena attuazione al principio processuale del "tempus regit actum", secondo il quale
la normativa sopravvenuta trova applicazione
anche ai processi in corso, a nulla rilevando che
il fallimento sia stato pronunciato prima della riforma del 2006, né che la sentenza di appello sia
stata emanata - ovvero trattata parzialmente nei
giudizi impugnatori che l’hanno seguita o preceduta - secondo il regime previsto dalla normativa
antecedente alla riforma del 2006-2007. * Cass.
civ., sez. I, 24 marzo 2016, n. 5925, Martella Gino
c. Curatela del Fallimento Martella Gino ed altri.
Nello stesso senso: Cass. I, 30 ottobre 2009, n.
23043; Cass. I, 19 marzo 2010, n. 6705; Cass. I, 5
novembre 2010, n. 22545; Cass. I, 30 luglio 2014,
n. 17273. [RV639059]
l Nei procedimenti per la dichiarazione di
fallimento pendenti alla data di entrata in vigore
della riforma di cui al d.l.vo n. 169 del 2007, al
ricorso per cassazione avverso la sentenza della
corte d’appello, depositata successivamente al 1
gennaio 2008, data di entrata in vigore del predetto decreto, e resa sull’appello proposto avverso
la sentenza dichiarativa di fallimento, si applica
l’art. 18, comma 14, del testo riformato, per
cui il termine di trenta giorni per l’impugnazione decorre dalla notificazione ovvero dalla
comunicazione della sentenza impugnata.
* Cass. civ., sez. I, 19 novembre 2010, n. 23506,
Curatela Fall. Paradiso c. Paradiso ed altri.
[RV614752]
l Nei procedimenti per la dichiarazione di
fallimento pendenti alla data di entrata in vigore
della riforma di cui al d.l.vo n. 169 del 2007, le disposizioni della normativa riformata trovano
applicazione immediata, ai sensi dell’art. 22
del predetto decreto, sia per la fase prefallimentare che si conclude con la sentenza di fallimento, sia per quest’ultima e per tutte le successive
fasi di impugnazione, ivi compreso il ricorso per
cassazione; ne consegue che, ai sensi del novellato art. 18 legge fall., è inammissibile il ricorso
per cassazione proposto oltre il termine di trenta
giorni dalla notificazione della sentenza della corte d’appello, che abbia deciso il reclamo contro la
sentenza dichiarativa di fallimento relativa a procedimento pendente alla data del 1 gennaio 2008.
* Cass. civ., sez. I, 5 novembre 2010, n. 22545, Ridolfi c. Curatela Fall. Ridolfi ed altri. [RV615608]
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64
l In tema di impugnativa avverso la sentenza
dichiarativa di fallimento depositata in data
successiva all’entrata in vigore del D.L.vo n. 5 del
2006 (cioè dopo il 16 luglio 2006), ma su ricorso depositato anteriormente, trova applicazione
la nuova disciplina dell’art. 18 legge fall., con
conseguente necessità di proposizione dell’appello alla corte d’appello (ovvero, se introdotto dal
1 gennaio 2008, del reclamo secondo l’art. 22
del D.L.vo n. 169 del 2007 che, ancora riformando la norma, ne ha esteso la portata alle procedure concorsuali pendenti) e non più dell’opposizione allo stesso tribunale, in quanto la disposizione
sulla disciplina transitoria di cui all’art. 150 del
predetto D.L.vo – norma eccezionale rispetto al
principio generale della irretroattività della nuova disciplina ex art. 11 preleggi c.c. e dunque
da interpretarsi restrittivamente – circoscrive la
residua portata delle norme precedenti alla sola
definizione dei ricorsi (anche se proposti prima
del 16 luglio 2006) con cui era instaurata la fase
prefallimentare; ne consegue che, aprendosi con
la sentenza dichiarativa di fallimento una nuova
fase del processo concorsuale, il provvedimento
deve rispettare nella forma e nel contenuto il novellato disposto dell’art. 16 legge fall. e parimenti
la sua impugnazione, introducendo un giudizio
nuovo rispetto alla fase prefallimentare ormai
definita, va proposta nella forma e secondo la disciplina riformata, costituendo la sentenza di fallimento il discrimen tra due regimi normativi. (In
base a tale principio la S.C., cassando con rinvio
la sentenza impugnata, ne ha ritenuto l’erroneità nella parte in cui i giudici d’appello avevano
dichiarato inammissibile l’appello interposto ai
sensi del riformato art. 18 legge fall.). * Cass. civ.,
sez. I, 20 marzo 2008, n. 7471, Agrofin Srl c. Fall.
Agrofin Srl ed altro. [RV602076]
19.  (1) Sospensione della liquidazione dell’attivo.
– Proposto il reclamo (2), la corte d’appello (3), su richiesta di parte, ovvero del curatore, può, quando ricorrono gravi motivi, sospendere, in tutto o in parte, ovvero
temporaneamente, la liquidazione dell’attivo (4).
[Se è proposto ricorso per cassazione i provvedimenti di cui al primo comma o la loro revoca sono
chiesti alla corte di appello] (5).
L’istanza si propone con ricorso. Il presidente, con
decreto in calce al ricorso, ordina la comparizione delle
parti dinanzi al collegio in camera di consiglio. Copia
del ricorso e del decreto sono notificate alle altre parti
ed al curatore.
(1) Questo articolo è stato così sostituito dall’art. 17 del D.L.vo
9 gennaio 2006, n. 5, a decorrere dal 16 luglio 2006.
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R.D. 16 marzo 1942, n. 267
(2) Le parole: «l’appello» sono state così sostituite dalle attuali: «il reclamo» dall’art. 2, comma 8, lett. a), del D.L.vo 12 settembre
2007, n. 169, a decorrere dal 1° gennaio 2008.
(3) Le parole: «il collegio» sono state così sostituite dalle attuali: «la corte d’appello» dall’art. 2, comma 8, lett. a), del D.L.vo 12
settembre 2007, n. 169, a decorrere dal 1° gennaio 2008.
(4) Si vedano gli artt. 104 ter ss. della legge fallimentare.
(5) Questo comma è stato abrogato dall’art. 2, comma 8, lett. b),
del D.L.vo 12 settembre 2007, n. 169, a decorrere dal 1° gennaio 2008.
SOMMARIO:
a) Termine per la proposizione dell’appello avverso la decisione sull’opposizione; a-1) Operatività; a-2) Perentorietà; a-3) Decorrenza; a-4)
Sospensione feriale; a-5) Questioni infondate di
costituzionalità;
b) Legittimazione del curatore a impugnare;
c) Intervento in appello;
d) Regole del giudizio d’appello;
e) Declaratoria di nullità da parte del giudice
d’appello;
f) Ricorso per cassazione;
g) Regolamento di competenza.
a) Termine per la proposizione dell’appello avverso la decisione sull’opposizione.
a-1) Operatività.
l I termini previsti dall’art. 19 L. fall. per
l’impugnazione della sentenza resa nel giudizio
di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento si applicano in tutti i casi in cui sia consentita l’opposizione disciplinata dall’art. 18 L.
fall.; pertanto, una volta consentita l’opposizione
alla sentenza dichiarativa di fallimento anche ai
soci ai quali sia stato esteso il fallimento della
società, atteso il richiamo che l’art. 147 L. fall. fa
all’art. 18 L. fall., i termini per la proposizione dell’appello avverso la sentenza di rigetto
dell’opposizione sono necessariamente anche
in questo caso quelli ridotti previsti in via generale dall’art. 19 L. fall. * Cass. civ., sez. I, 14
maggio 1997, n. 4245.
a-2) Perentorietà.
l Il termine di quindici giorni previsto dall’art. 19 della legge fallimentare (R.D. 16 marzo
1942 n. 267) per l’appello contro le sentenze che
rigettano l’opposizione alla sentenza dichiarativa
del fallimento o che revocano il fallimento deve
considerarsi perentorio perché questo carattere è proprio di tutti i termini di impugnazione,
che sono previsti, per una esigenza di certezza,
dall’ordinamento giuridico, al fine di assicurare il
passaggio in giudicato delle pronunce giudiziarie
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Art. 19
non impugnate tempestivamente. * Cass. civ., sez.
I, 12 ottobre 1994, n. 8336, Alcea srl c. Banco di
Roma spa. Nello stesso senso, Cass. civ., sez. I, 2
novembre 1998, n. 10915.
a-3) Decorrenza.
l  La sospensione dei termini di decadenza
prevista dall’art. 20 della legge n. 44 del 1999,
concernente il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura, trova
applicazione anche con riguardo alle cause
inerenti alla dichiarazione e revoca del fallimento, per le quali, ad altri fini, l’art. 3 della legge
n. 742 del 1969 (in relazione all’art. 92 del r.d. n.
12 del 1941) fissa in generale il principio dell’inapplicabilità della sospensione feriale, trattandosi di disposizioni aventi presupposti diversi e
tra le quali non è ipotizzabile un conflitto; poiché,
peraltro, detta sospensione opera (sussistendo gli
altri presupposti della legge n. 44 del 1999) solo
qualora il termine sia scaduto o scada entro un
anno dalla data dell’evento lesivo, è inammissibile
l’appello proposto, avverso la sentenza di rigetto
della opposizione a dichiarazione di fallimento,
oltre l’anno dalla pubblicazione della sentenza di
primo grado, ancorchè la stessa parte opponente abbia fatto valere una condizione di illiquidità
riferita a reati commessi in suo danno in epoca
anteriore alla originaria sentenza di fallimento. *
Cass. civ., sez. I, 22 gennaio 2009, n. 1613, Nobilia c. Curatela Fall. Nicogest Di Nobilia ed altro.
[RV606270]
a-4) Sospensione feriale.
l La sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale prevista dall’art. 1
della legge 7 ottobre 1969, n. 742 non si applica
(ai sensi del successivo art. 3 della cit. legge, in
relazione all’art. 92 dell’ordinamento giudiziario, approvato con r.d. n. 12 del 1941) alle "cause
inerenti alla dichiarazione e revoca fallimento",
senza alcuna limitazione o distinzione fra le varie fasi ed i vari gradi del giudizio; ne consegue
che detta sospensione non opera neppure con riguardo all’appello contro la sentenza pronunciata in sede d’impugnazione per revocazione della
sentenza dichiarativa di fallimento. * Cass. civ.,
sez. I, 24 maggio 2010, n. 12625, Arco Srl c. Curatela Fall. Petricone ed altri. [RV613030]
l In tema di opposizione alla dichiarazione
di fallimento, la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale non trova applicazione, ai sensi dell’art. 3 della L. 7 ottobre 1969,
n. 742, che richiama l’art. 92 dell’ord. giud. 30
gennaio 1941, n. 12, all’appello contro la sentenza
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Art. 19
PARTE I: LA LEGGE FALLIMENTARE
di rigetto dell’opposizione anche quando, in mancanza di notifica della sentenza, l’impugnazione
è soggetta al termine annuale di cui all’art. 327
c.p.c. Ne è necessaria una valutazione giudiziale
dell’urgenza in relazione al caso concreto, essendo tale valutazione stata effettuata direttamente
dal legislatore per le cause specificamente indicate dall’art. 92 cit., tra cui rientrano quelle relative
alla dichiarazione ed alla revoca dei fallimenti. *
Cass. civ., sez. I, 1 giugno 1994, n. 5329, De Nunzio c. Fallimento Mirror.
a-5) Questioni infondate di costituzionalità.
l È manifestamente infondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 19 R.D. 16 marzo 1942, n. 267 nella parte in cui prevede (comma
tre) il termine di 15 giorni per l’appello avverso la
sentenza che pronuncia sull’opposizione alla declaratoria di fallimento, sollevata con riferimento
all’art. 24 Cost., poiché detto termine, riguardato
in concreto ed in funzione della procedura concorsuale, è giustificato dalle relative esigenze
di celerità e si correla agli altri termini previsti
in tale procedura, né comporta per la sua entità
ostacolo all’esercizio del diritto di difesa. * Cass.
civ., sez. I, 30 maggio 1995, n. 6068. Nello stesso senso: Cass. civ., sez. I, 15 dicembre 1994, n.
10733; Cass. civ., sez. I, 23 gennaio 1991, n. 622;
Cass. civ., sez. I, 6 luglio 1988, n. 4426 (quest’ultima anche con riferimento all’art. 3 Cost.).
b) Legittimazione del curatore a impugnare.
l In tema di revoca della dichiarazione di
fallimento, la legittimazione alla relativa impugnazione compete anche al curatore fallimentare, nonostante l’intervenuta chiusura del fallimento e la cessazione del ricorrente dalla carica,
atteso che il fallimento viene meno, con decadenza dei suoi organi, solo con il passaggio in giudicato della sentenza di revoca e tuttavia, come
per ogni altra azione, occorre altresì verificare
in concreto l’esistenza dell’interesse ad agire e a
contraddire ex art. 100 c.p.c.. Ne consegue che,
in caso di chiusura del fallimento disposta, come
nella specie, per integrale pagamento dei crediti e
restituzione al fallito ritornato "in bonis" del residuo attivo, non sussiste il predetto interesse ed, è,
pertanto, inammissibile il ricorso in cassazione,
proposto dal curatore, avverso la predetta sentenza di revoca, essendo priva di giustificazione un’eventuale conferma della sentenza di fallimento in
assenza di creditori insoddisfatti. * Cass. civ., sez.
I, 25 febbraio 2011, n. 4707, Fall. Centro Merci
Intermo c. Garbuglia ed altri. [RV617166]
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66
l È inammissibile, per difetto d’interesse,
il ricorso per cassazione proposto dal curatore fallimentare avverso la sentenza della corte
d’appello che, nel pronunciare in ordine all’appello proposto dal fallito avverso una sentenza dichiarativa di fallimento emessa in data successiva
all’entrata in vigore del d.l.vo 9 gennaio 2006, n.
5, abbia ritenuto applicabile il rito previgente,
dichiarando inammissibile l’impugnazione:
rispetto a tale decisione, che lascia ferma la dichiarazione di fallimento, non è infatti configurabile una soccombenza del curatore, non avendo
quest’ultimo interesse neppure a sentir affermare
che la procedura fallimentare conseguente alla
sentenza impugnata deve essere retta dalla disciplina riformata, tenuto conto della struttura bifasica del procedimento fallimentare e della disciplina transitoria dettata dall’art. 150 del d.l.vo n. 5
cit., il quale prevede l’ultrattività della previgente
normativa solo con riferimento ai ricorsi presentati e alle procedure aperte in data anteriore alla
sua entrata in vigore. * Cass. civ., sez. I, 11 febbraio 2010, n. 3185, Curatela Fall. Micromaster Srl c.
Sidin Spa ed altro. [RV611585]
l  È ammissibile il ricorso per cassazione
proposto dal curatore fallimentare avverso la
sentenza di revoca della dichiarazione di fallimento, non essendo configurabile una carenza
di legittimazione del curatore, nonostante l’intervenuta chiusura del fallimento e la cessazione del
ricorrente dalla carica, atteso che il fallimento
viene meno, con decadenza dei suoi organi, solo
con il passaggio in giudicato della sentenza di revoca. * Cass. civ., sez. I, 26 febbraio 2009, n. 4632,
Mentasti c. Vismetal Srl ed altri. [RV606988]
c) Intervento in appello.
l Per la legittimità di un intervento in appello,
se non occorre l’esistenza di un pregiudizio effettivo derivante dalla sentenza impugnata, essendo
sufficiente l’esistenza del timore di un pregiudizio
eventuale che possa derivare dalla futura sentenza
del giudice di appello, sia essa di conferma o di
riforma, è tuttavia essenziale che il terzo sia titolare di un diritto autonomo la cui tutela non sia
compatibile con la situazione giuridica accertata o costituita dalla sentenza di primo grado.
(Nella specie, alla stregua di tale principio la S.C.
ha confermato la sentenza con la quale i giudici del
merito avevano negato l’ammissibilità dell’intervento in appello, avverso la sentenza di recezione
dell’opposizione alla dichiarazione di fallimento,
spiegato dal creditore di una società collegata con
quella fallita). * Cass. civ., sez. I, 16 luglio 1992, n.
8656, Spa Felice e Iccri c. Srl e Di. M.M. ed altro.
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R.D. 16 marzo 1942, n. 267
d) Regole del giudizio d’appello.
l I poteri d’ufficio di cui è dotato il tribunale
quanto alla dichiarazione di fallimento persistono anche nel giudizio di opposizione, e l’officiosità del processo non è limitata allo svolgimento
del giudizio di primo grado, ma prosegue nel successivo grado di appello; l’officiosità, tuttavia, non
implica una deroga ai principi fissati per l’appello
dall’art. 342 c.p.c. Pertanto, mentre in primo grado il giudizio, per la sua natura pienamente devolutiva, non resta vincolato dagli eventuali motivi,
in sede di gravame avverso la pronuncia del tribunale, invece, non subisce deroghe il principio
secondo cui l’ambito del giudizio, con la conseguente cristallizzazione del thema decidendum
su cui il giudice di secondo grado è chiamato a
pronunziarsi, è determinato dalle questioni effettivamente devolute con gli specifici motivi di
impugnazione, oltre quelle rilevabili d’ufficio che
delle stesse costituiscano l’antecedente logico ed
in ordine alle quali non sia intervenuta pronuncia
in prime cure. (Nella fattispecie la S.C. ha statuito
che la corte di appello, investita della questione
se il soggetto dichiarato fallito in estensione del
fallimento di società in nome collettivo, ai sensi
dell’art. 147 legge. fall., fosse o meno socio occulto
della società, non poteva conoscere della diversa
questione relativa all’esistenza di una società di
fatto tra la stessa società in nome collettivo e tale
soggetto). * Cass. civ., sez. I, 11 giugno 2004, n.
11079. Nello stesso senso: Cass. I, 21 ottobre 1980,
n. 5633; Cass. I, 24 maggio 2000, n. 6796; Cass. I, 3
ottobre 2003, n. 14736. Sempre nello stesso senso,
anche Cass. civ., sez. I, 5 agosto 2005, n. 16524,
che, con riferimento al codice di procedura civile anteriore alla riforma della legge 26 novembre
1990, n. 353, fissa il termine per la proposizione di
nuovi motivi al momento della precisazione delle
conclusioni. Pure conforme, Cass. I, 18 gennaio
2008, n. 970, con riguardo all’eccezione, formulata per la prima volta con il ricorso per cassazione, di «mancata integrazione del contraddittorio
da parte del socio illimitatamente responsabile e
altresì legale rappresentante della società fallita»,
mentre in sede di appello si era soltanto lamentato «l’omesso rilievo d’ufficio da parte del tribunale dell’allegato vizio, senza indicare quale fosse il
soggetto controinteressato alle istanze di fallimento eventualmente pretermesso rispetto alla precedente convocazione». [RV573545]
e) Declaratoria di nullità da parte del giudice
d’appello.
l In tema di impugnazione della sentenza
emessa sulla opposizione alla dichiarazione di
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Art. 20
fallimento, trova applicazione il principio generale vigente in materia di impugnazioni di merito,
in base al quale la denuncia della nullità della
sentenza non può essere considerata alla stregua di una autonoma ed autosufficiente querela
nullitatis, essendo, al contrario, ammissibile
solo se ed in quanto correlata alla prospettazione della ingiustizia della sentenza mediante
la deduzione di specifiche censure relative al
contenuto decisionale della medesima. * Cass.
civ., sez. I, 28 marzo 2001, n. 4455.
f) Ricorso per cassazione.
l La sospensione dei termini nel periodo feriale non opera con riguardo al termine per proporre ricorso per cassazione contro la sentenza
resa in grado di appello nel giudizio di opposizione al fallimento, poiché tale sospensione,
prevista dall’art. 1 della L. 7 ottobre 1969, n. 742,
non si applica, ai sensi del successivo art. 3, in
relazione all’art. 92 dell’ordinamento giudiziario
(R.D. 30 gennaio 1941, n. 12), alle «cause inerenti alla dichiarazione e revoca del fallimento», senza alcuna limitazione o distinzione fra le
varie fasi ed i vari gradi del giudizio. * Cass. civ.,
sez. I, 18 aprile 1994, n. 3701, Missud c. Sogeit ed
altro. Conformi: Cass. civ., sez. I, 21 marzo 1995,
n. 3252; Cass. I, 4 settembre 2004, n. 17886.
g) Regolamento di competenza.
l Con riguardo alla sentenza del tribunale
che rigetti l’opposizione alla dichiarazione di fallimento, previa affermazione della competenza, il
ricorso per regolamento (facoltativo) di competenza deve essere proposto prima del decorso
del termine per l’impugnazione previsto dall’art. 19 terzo comma della legge fallimentare
(quindici giorni dalla notificazione), non rilevando che sia ancora pendente il termine di trenta
giorni fissato dall’art. 47 c.p.c., considerato che la
scadenza del primo degli indicati termini determina la formazione del giudicato. * Cass. civ., sez.
I, 23 ottobre 1991, n. 11278, Mazza c. Snc R.B.B.
20. (1) [Morte del fallito durante il giudizio di op-
posizione. – Se il fallito muore durante il giudizio di
opposizione, il giudizio prosegue in confronto delle
persone indicate nell’art. 12, osservate le disposizioni
degli artt. 299 e seguenti del codice di procedura civile].
(1) Questo articolo è stato abrogato dall’art. 2, comma 9, del
D.L.vo 12 settembre 2007, n. 169, a decorrere dal 1° gennaio 2008.
21. (1) [Revoca della dichiarazione di fallimento.
– Se la sentenza dichiarativa di fallimento è revocata
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Art. 21
PARTE I: LA LEGGE FALLIMENTARE
restano salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti
dagli organi del fallimento.
Le spese della procedura ed il compenso al curatore sono liquidati dal tribunale con decreto non soggetto a reclamo, su relazione del giudice delegato.
Le spese di procedura e il compenso al curatore
sono a carico del creditore istante, che è stato condannato ai danni per avere chiesto la dichiarazione di
fallimento con colpa. In caso contrario il curatore può
ottenere il pagamento, in tutto o in parte, secondo le
modalità stabilite dalle speciali norme vigenti per l’attribuzione di compensi ai curatori che non poterono
conseguire adeguate retribuzioni].
(1) Questo articolo è stato abrogato dall’art. 18 del D.L.vo 9
gennaio 2006, n. 5, a decorrere dal 16 luglio 2006.
SOMMARIO:
a) La revoca e i suoi effetti in genere;
b) Responsabilità del creditore istante; b-1) In
genere; b-2) Natura del debito; b-3) Prescrizione;
c) Posizione del curatore; c-1) In genere; c-2)
Compenso;
d) Questioni infondate di costituzionalità.
a) La revoca e i suoi effetti in genere.
l La revoca del fallimento, ancorché disposta per vizi processuali o per incompetenza del
giudice, lascia salvi gli effetti prodotti dalle domande di ammissione al passivo sul decorso
del termine di prescrizione dei relativi crediti,
non rilevando in proposito il disposto dell’art. 21
legge fall., che si riferisce agli atti degli organi
della procedura, non a quelli compiuti nei confronti di essa; né la revoca comporta l’estinzione
della procedura fallimentare, con la conseguenza
che trova applicazione la regola di cui al secondo
comma dell’art. 2945 c.c., con la sospensione del
corso della prescrizione, e non quella di cui al terzo comma della medesima norma, che fa salvo, nel
caso di estinzione del processo, il solo effetto interruttivo prodotto dalla domanda giudiziale. * Cass.
civ., sez. I, 6 settembre 2006, n. 19125, Sartransauto Spa in liq. c. Acentro Srl ed altri. [RV593631]
l La disposizione contenuta nell’art. 21 L.
fall. (a norma del quale se la sentenza dichiarativa
di fallimento è revocata restano salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi del fallimento), riducendo l’efficacia del fallimento ai soli
atti legalmente compiuti, toglie qualunque efficacia a quelli in corso, al momento della revoca del fallimento, siano essi di natura negoziale o di natura processuale, potendo proseguire
nei confronti dell’ex fallito o dall’ex fallito solo le
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68
azioni che potevano essere promosse e che siano
state avviate prima dell’apertura del fallimento,
restando improcedibili tutti i giudizi che presuppongono in atto la procedura, che esprimono posizioni di interessi riferibili alla massa dei creditori e non al soggetto fallito e che possono essere
riassunti (ove siano stati dichiarati interrotti) da
chi vi abbia interesse, solo ai fini dell’emanazione
di una pronuncia circa la loro improcedibilità e, in
ogni caso, per provvedere alle spese processuali. *
Cass. civ., sez. I, 22 agosto 2001, n. 11181.
l In caso di revoca della sentenza dichiarativa
di fallimento, poiché anche nel relativo procedimento opera il principio che le spese seguono la
soccombenza, così come il creditore istante, che
abbia provocato la dichiarazione di fallimento
successivamente revocata, è chiamato a rispondere dei danni derivatine solo se è incorso in colpa, così il debitore dichiarato illegittimamente
fallito può essere ritenuto responsabile degli
oneri che da tale dichiarazione siano derivati solo se sia incorso in comportamenti che
abbiano indotto il giudice all’errato convincimento dell’esistenza degli estremi necessari
per la dichiarazione successivamente revocata.
(Nella specie, sulla base dell’esposto principio,
la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza del tribunale che, nel revocare il fallimento in ragione
della natura di piccolo imprenditore del fallito,
aveva posto a carico dello stesso le spese della
procedura motivando sul fatto che si era reso inadempiente per obbligazioni non esigue, e quindi
in base a circostanze estranee al nesso causale
di natura processuale tra condotta e sentenza di
fallimento). * Cass. civ., sez. I, 24 luglio 2000, n.
9677, Marino c. Biscardi ed altri. Conformi: Cass.
I, 19 settembre 2000, n. 12401; Cass. I, 10 settembre 2002, n. 13147. [RV538712]
b) Responsabilità del creditore istante.
b-1) In genere.
l In tema di revoca della sentenza dichiarativa di fallimento, a seguito di opposizione accolta
per difetto dei presupposti di diritto sostanziale
ovvero, come nella specie, per violazione di norme
processuali, il fallito può chiedere, in entrambe
le ipotesi, anche nello stesso procedimento ed ai
sensi dell’art. 96 c.p.c., che sia pronunciata la
responsabilità del creditore istante per i danni
cagionati con dolo o colpa grave; l’esistenza di
tale pregiudizio si configura in re ipsa come effetto della privazione della disponibilità dell’azienda, in analogia a quanto affermato con riguardo al bene occupato sine titulo da parte della
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69
R.D. 16 marzo 1942, n. 267
P.A. (Principio affermato dalla S.C. che, cassando
con rinvio la sentenza d’appello, ne ha rilevato
l’erroneità per non aver accolto l’istanza dell’opponente fallito volta ad acquisire il fascicolo fallimentare da cui sarebbero potute emergere le
valutazioni dei beni aziendali, con ciò assolvendo
la parte all’onere di allegare gli elementi di fatto,
desumibili dagli atti di causa, necessari ad identificare in concreto il danno, così permettendone
al giudice la liquidazione, anche se equitativa). *
Cass. civ., sez. I, 29 ottobre 2008, n. 25978, Fall.
Les Idees Srl c. Rsp International Srl. [RV605522]
l La responsabilità del creditore istante
per il fallimento del proprio debitore per i danni derivati dalla dichiarazione di fallimento di
quest’ultimo configura una particolare applicazione, al processo fallimentare, dell’istituto della
responsabilità aggravata di cui all’art. 96 c.p.c.; la
relativa liquidazione del danno postula che la
parte istante abbia assolto l’onere di allegare gli
elementi di fatto, desumibili dagli atti di causa,
necessari ad identificarne concretamente l’esistenza ed idonei a consentire al giudice la relativa liquidazione, anche se equitativa. * Cass.
civ., sez. I, 21 febbraio 2007, n. 4096, Parco Napoli
Srl c. Banca Milano Scarl ed altro. Idem, Cass.
I, 26 novembre 2008, n. 28226 " purchè sia stata
fornita la prova certa e concreta del pregiudizio,
identificandone il tipo e gli elementi costitutivi;
ne consegue che, pur essendo generalmente insito
nella dichiarazione di fallimento - poi revocata di una società un pregiudizio all’immagine, la sua
portata dipende dalla situazione in cui la società
si trova, dal campo in cui opera, dalla durata del
fallimento e da altre possibili varianti legate alla
sua specificità". [RV595281]
l Nel caso di revoca della dichiarazione di
fallimento, ai sensi dell’art. 21, terzo comma, legge fall., nel testo vigente a seguito della sentenza
della Corte cost. n. 46 del 1975 e poi dell’art. 147
del T.U. n. 115 del 2002, le spese della procedura e il compenso del curatore possono gravare
sul creditore che abbia chiesto la dichiarazione di fallimento con colpa. A tal fine non è
necessario che il creditore sia condannato al risarcimento dei danni derivati dalla sua condotta
abusiva ma è sufficiente l’accertamento del relativo titolo di responsabilità. * Cass. civ., sez. I, 21
febbraio 2007, n. 4096, Parco Napoli Srl c. Banca
Milano Scarl ed altro. [RV595282]
b-2) Natura del debito.
l Le spese di procedura ed il compenso del
curatore, che, ai sensi dell’art. 21, terzo comma,
R.D. 16 marzo 1942, n. 267, sono poste dal credito-
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Art. 21
re istante che è stato condannato ai danni per aver
chiesto la dichiarazione di fallimento con colpa,
costituiscono debito di valuta, come tale insuscettibile di rivalutazione automatica. * Cass. civ.,
sez. I, 13 novembre 1992, n. 12211, Società Isar arl
ed altro c. Fallimento Società Maga arl ed altro.
b-3) Prescrizione.
l L’atto illecito istantaneo si distingue dall’atto
illecito permanente – con le relative conseguenze
in ordine alla decorrenza della prescrizione – perché nel primo la condotta dell’agente si esaurisce
prima o nel momento stesso della produzione del
danno, mentre in quello permanente essa perdura
oltre tale momento e continua a cagionare danno
per tutto il corso della sua durata. Ne deriva che la
presentazione d’un’istanza di fallimento non
fondata integra un illecito istantaneo per il cui
diritto al risarcimento dei danni cagionati dalla
revoca di credito bancario conseguente alla diffusione della notizia della presentazione dell’istanza,
la prescrizione decorre non dal momento del
manifestarsi dell’ultimo di tali eventi di danno,
ma del primo di essi, che completa la fattispecie
ex art. 2043 c.c. e di cui i successivi costituiscono
solo uno sviluppo. * Cass. civ., sez. III, 8 febbraio
1990, n. 875, Bernardini c. Soc. Rossi Romo.
c) Posizione del curatore.
c-1) In genere.
l Ove, in caso di revoca del fallimento, si
intenda far valere la responsabilità del curatore collegata all’impulso processuale dallo stesso
dato alla procedura, la fattispecie non si rende
riconducibile né all’ambito della disciplina di
cui all’art. 21 della legge fallimentare, posto che
la norma in questione contiene un insuperabile
riferimento esclusivo alla figura del «creditore istante», né – quand’anche in via residuale –
all’ambito di quella di cui all’art. 96 c.p.c., posto
che, in quest’ultimo caso si rende impeditivo
il riferimento della responsabilità processuale
esclusivamente alla «parte» in senso proprio del
processo. Da ciò consegue che l’unica forma di
responsabilità invocabile si renda quella di cui
all’art. 2043 c.c., sotto il profilo della violazione del precetto del neminem laedere; responsabilità che, pur innestandosi nel processo, resta
di carattere aquiliano e va quindi apprezzata alla
stregua dei criteri previsti per un tal tipo di responsabilità. * Cass. civ., sez. I, 15 giugno 1999, n.
5934, n. , Giustacchini ed altri c. Brescianini snc
F.lli Giustacchini, Curatore Fall. snc F.lli Giustacchini. [RV527516]
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Art. 22
PARTE I: LA LEGGE FALLIMENTARE
c-2) Compenso.
l In caso d’intervenuta sentenza di revoca del
fallimento, in assenza di colpa del creditore istante e con conseguente imposizione a carico dell’erario delle spese della procedura, nella vigenza
dell’art. 21, secondo comma, legge fall., attualmente abrogato dall’art. 18 del D.L.vo 9 gennaio
2006, n. 5, l’avvocato che abbia svolto prestazioni professionali in favore della procedura
stessa non può richiedere la liquidazione degli
onorari agli organi preposti al fallimento, ma
deve proporre un’azione ordinaria o avvalersi
di rimedi procedimentali speciali previsti dall’ordinamento, per richiedere il pagamento delle
proprie spettanze all’Amministrazione dello
Stato, tenuta al rimborso. * Cass. civ., sez. I, 17
aprile 2008, n. 10099, Colavolpe c. Curatela Fall.
Cantafio. [RV603254]
l In caso di revoca della dichiarazione di
fallimento, mentre la liquidazione del compenso
dovuto al curatore spetta al tribunale già preposto alla procedura, il quale, ai sensi dell’art. 21
della legge fall., vi provvede con decreto non soggetto a reclamo, l’istanza con cui il curatore chiede porsi il predetto compenso a carico dell’Erario non può essere proposta al medesimo giudice
mediante l’instaurazione di un procedimento
camerale non contenzioso, ma, essendo stato indicato un soggetto controinteressato perché individuato come soggetto tenuto definitivamente al
pagamento di tale compenso, dev’essere proposta instaurando un giudizio contenzioso, nel
rispetto del principio del contraddittorio, trattandosi di procedura fallimentare non più in corso e
non essendovi alcuna possibilità di recuperare le
spese anticipate dall’Erario, ai sensi dell’art. 146,
comma quarto, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115,
sulle somme ricavate dalla liquidazione dell’attivo. * Cass. civ., sez. I, 25 maggio 2006, n. 12411,
Toledo c. Min. Economia e Finanze. [RV589679]
l Nella ipotesi di revoca della sentenza dichiarativa di fallimento, in assenza di estremi
di responsabilità a carico del creditore istante, a seguito della soppressione del ruolo degli
amministratori giudiziari e del fondo speciale
per il compenso ai curatori fallimentari, nonché
della dichiarazione di illegittimità costituzionale
dell’art. 21, terzo comma, legge fall. nella parte in
cui, nel caso di revoca del fallimento, poneva a carico di chi l’aveva subita senza che ne ricorressero
i presupposti e senza avervi dato causa, le spese
di procedura e il compenso del curatore (Corte
cost. n. 46 del 1975, norma quest’ultima abrogata
dall’art. 229 del D.P.R. n. 115 del 2002, a far data
dall’1 luglio 2002), il curatore che, in siffatta ipo-
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tesi, chieda la liquidazione del compenso ha
l’onere di individuare, sin dall’atto introduttivo
del procedimento, il soggetto che ritiene onerato del pagamento delle spese e del compenso
della procedura. (Nella specie il curatore fallimentare aveva proposto ricorso, ex art. 111 Cost.,
avverso il decreto del tribunale fallimentare, che
aveva rigettato la domanda di liquidazione del
compenso; la S.C., in applicazione del succitato
principio, ha dichiarato inammissibile il ricorso,
in quanto il ricorrente aveva indicato nell’Amministrazione dello Stato l’obbligato al pagamento,
senza individuare il soggetto tenuto al pagamento
del compenso, con conseguente radicale carenza
dell’instaurazione del rapporto processuale, preclusiva dell’integrazione del contraddittorio). *
Cass. civ., sez. I, 15 settembre 2005, n. 18241, Aiello c. Fall. 546 di Strangis Gennaro. [RV583072]
d) Questioni infondate di costituzionalità.
l Non sono fondate, in riferimento agli artt.
3, 23 e 36, comma 1, della Costituzione, sia la questione di legittimità costituzionale dell’art. 91,
comma 2, R.D. 16 marzo 1942, n. 267, nella parte in cui non prevede che il compenso del curatore,
in caso di mancanza o insufficienza di attivo, sia
posto a carico dell’erario, sia la questione di legittimità costituzionale degli artt. 21 e 91 R.D.
16 marzo 1942, n. 267, nella parte in cui non prevedono che il compenso del curatore, in caso di revoca della sentenza dichiarativa di fallimento e in
caso di assenza di una pronuncia di responsabilità
per colpa del creditore, sia posto a carico dell’erario. * Corte cost. 22 novembre 1985, Corte cost.
22 novembre 1985, n. 302, Curatore fallimento di
Gargiulo Luisa. in Arch. civ. 1986, 125.
22.  (1) Gravami contro il provvedimento che re-
spinge l’istanza di fallimento. – Il tribunale, che
respinge il ricorso per la dichiarazione di fallimento,
provvede con decreto motivato, comunicato a cura del
cancelliere alle parti.
Entro trenta giorni (2) dalla comunicazione, il creditore ricorrente o il pubblico ministero richiedente
possono proporre reclamo contro il decreto alla corte
d’appello (3) che, sentite le parti, provvede in camera
di consiglio con decreto motivato. Il debitore non può
chiedere in separato giudizio la condanna del creditore
istante alla rifusione delle spese ovvero al risarcimento
del danno per responsabilità aggravata ai sensi dell’articolo 96 del codice di procedura civile.
Il decreto della corte d’appello (3) è comunicato a
cura del cancelliere alle parti del procedimento di cui
all’articolo 15.
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71
R.D. 16 marzo 1942, n. 267
Se la corte d’appello (3) accoglie il reclamo del creditore ricorrente o del pubblico ministero richiedente,
rimette d’ufficio gli atti al tribunale, per la dichiarazione di fallimento, salvo che, anche su segnalazione di
parte, accerti che sia venuto meno alcuno dei presupposti necessari.
I termini di cui agli articoli 10 e 11 si computano
con riferimento al decreto della corte d’appello (3).
(1) Questo articolo è stato così sostituito dall’art. 19 del D.L.vo
9 gennaio 2006, n. 5, a decorrere dal 16 luglio 2006.
(2) Le parole: «quindici giorni» sono state così sostituite dalle
attuali: «trenta giorni» dall’art. 2, comma 10, lett. b), del D.L.vo 12
settembre 2007, n. 169, a decorrere dal 1° gennaio 2008.
(3) Le parole: «Corte d’appello» sono state così sostituite dalle
attuali: «corte d’appello» dall’art. 2, comma 10, lett. a), del D.L.vo
12 settembre 2007, n. 169, a decorrere dal 1° gennaio 2008.
SOMMARIO:
a) Decreto del tribunale; a-1) In genere; a-2) Regolamento di competenza;
b) Instaurazione del giudizio d’impugnazione;
b-1) In genere; b-2) Notificazione a mezzo posta;
b-3) Legittimazione del P.M;
c) Provvedimenti della Corte d’appello; c-1) Ricorribilità per cassazione; c-2) Esperibilità del regolamento di competenza; c-3) Giudizio di rinvio; c4) Deducibilità dei vizi in procedendo; c-5) Spese.
a) Decreto del tribunale.
a-1) In genere.
l Il provvedimento di rigetto dell’istanza
di fallimento è privo di attitudine al giudicato e non è configurabile una preclusione da cosa
giudicata, bensì una mera preclusione di fatto, in
ordine al credito fatto valere, alla qualità di soggetto fallibile in capo al debitore ed allo stato di
insolvenza dello stesso, di modo che è possibile,
dopo il rigetto, dichiarare il fallimento sulla base
della medesima situazione, su istanza di un diverso creditore ovvero sulla base di elementi sopravvenuti, preesistenti ma non dedotti e anche
di prospettazione identica a quella respinta, su
istanza dello stesso creditore. * Cass. civ., sez. I,
14 ottobre 2009, n. 21834, Real Srl In Liq. c. Fall.
Real Srl In Liq. ed altri. [RV610689]
l In tema di fallimento, l’atto di desistenza
proveniente dal creditore che abbia proposto
la relativa istanza determina l’adozione, da
parte del tribunale fallimentare, di un decreto
di archiviazione, in quanto la necessità del
decreto di rigetto sussiste solo nei confronti
di un’istanza che continui ad essere effettivamente coltivata e che sia ritenuta priva di fon-
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Art. 22
damento. * Cass. civ., sez. I, 14 ottobre 2009, n.
21834, Real Srl In Liq. c. Fall. Real Srl In Liq. ed
altri. [RV610690]
a-2) Regolamento di competenza.
l Il decreto del tribunale di rigetto dell’istanza di dichiarazione di fallimento dell’imprenditore commerciale non è da questo impugnabile con regolamento di competenza. * Cass.
civ., sez. I, 28 maggio 1988, n. 3676, Soc. Reatina
Pr. c. Bonassi.
b) Instaurazione del giudizio d’impugnazione.
b-1) In genere.
l Nel procedimento di reclamo ai sensi dell’art. 22 legge fall., la regolare instaurazione del
contraddittorio è adeguatamente realizzata con
la costituzione del debitore, senza che rilevino
nè l’inesistenza della notificazione del decreto
di fissazione dell’udienza di comparizione delle
parti avanti il collegio nè il mancato rispetto del
termine di notificazione stabilito dal presidente
nè il fatto che il debitore si fosse costituito al solo
fine di far valere i vizi della convocazione; nei procedimenti camerali, infatti, deve essere assicurato
il rispetto del contraddittorio ma non sono predeterminate le forme in cui deve essere instaurato.
* Cass. civ., sez. I, 7 marzo 2007, n. 5220, Byrne c.
Marta ed altro. [RV595777]
b-2) Notificazione a mezzo posta.
l Nella procedura prefallimentare, quando
il creditore istante fa ricorso alla notificazione a
mezzo posta al debitore del ricorso e del decreto
di fissazione dell’udienza di convocazione, l’obbligo corrispondente alla possibilità d’esercizio del diritto di difesa è da considerare assolto se il procedimento notificatorio risulti aver
rispettato le forme prescritte, ferma restando
l’alternativa, nella materia in esame, che il destinatario sia stato «effettivamente» raggiunto dalla
corrispondente comunicazione; ma, una volta
escluso che le forme prescritte siano state rispettate, viene a mancare ogni riscontro della «effettività» della comunicazione, che non può derivare
dalle risultanze di quel procedimento notificatorio, inteso proprio ad assicurare l’effetto giuridico
(cosiddetto virtuale) della conoscenza «legale».
Ne consegue che, nel caso in cui la notificazione
alle controparti della convocazione per l’udienza
camerale in sede di reclamo ex art. 22 legge fall.
avverso il rigetto dell’istanza di fallimento sia stata effettuata per posta e le parti destinatarie non
siano state presenti all’udienza, non può assegnarsi rilevanza alla presenza in atti delle relate
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Art. 22
PARTE I: LA LEGGE FALLIMENTARE
di notificazione dell’ufficiale giudiziario e delle ricevute di spedizione delle raccomandate, in mancanza della «prova dell’eseguita notificazione» costituita dall’avviso di ricevimento ai sensi dell’art.
4, terzo comma, legge n. 890 del 1982. * Cass. civ.,
sez. I, 20 agosto 2004, n. 16361. [RV576001]
b-3) Legittimazione del P.M.
l Sulla base di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 22 legge fall., deve
riconoscersi al P.M., nelle ipotesi disciplinate
dall’art. 7 legge fall., che gli attribuisce il potere
di azione, la legittimazione a proporre reclamo in caso di rigetto dell’istanza di fallimento
da parte del tribunale; infatti, negare al P.M. il
diritto di impugnare, in un situazione in cui gli
è riconosciuto il potere d’azione, si tradurrebbe
in un’evidente compressione di tale potere, con
una disparità di trattamento rispetto all’analogo
diritto riconosciuto al creditore istante per la dichiarazione di fallimento, in violazione degli artt.
3 e 24. * Cass. civ., sez. I, 7 marzo 2007, n. 5220,
Byrne c. Marta ed altro. [RV595776]
c) Provvedimenti della Corte d’appello.
c-1) Ricorribilità per cassazione.
l In sede di reclamo avverso il decreto di rigetto del ricorso di fallimento, il debitore può
chiedere la condanna del creditore istante al
pagamento delle spese processuali, essendogli
solo precluso, ai sensi dell’art. 22 legge fall., introdurre tale domanda in separato giudizio; ne consegue a pronuncia della corte d’appello, in detta
sede, incide, nella parte in cui regola le spese, su
un diritto soggettivo e, pertanto, è impugnabile
con ricorso per cassazione ex art. 111 Cost.. *
Cass. civ., sez. I, 21 dicembre 2010, n. 25818, Crocoli c. Tecnospazio S.r.l. [RV615860]
l Avverso il decreto di rigetto dell’istanza di
fallimento, che non ha attitudine al giudicato ed è
quindi privo dei caratteri della decisorietà e della
definitività, non è ammissibile il ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 111, settimo comma,
Cost. Ne consegue che anche il provvedimento
della Corte d’appello che, in sede di reclamo, lo
confermi o lo revochi, avendo valore ed effetti
non diversi dal decreto che surroga, non è impugnabile in sede di legittimità. * Cass. civ., Sezioni
Unite, 7 dicembre 2006, n. 26181, Eurinvest Finanza Stabile Spa c. Airone Srl ed altro. [RV593412]
l Ai fini dell’ammissibilità del ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. avverso il provvedimento della corte di appello di rigetto del reclamo proposto dal socio dichiarato fallito
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72
in relazione al decreto del tribunale di rigetto della
sua domanda di estensione del fallimento sociale,
ex art. 147, comma secondo, L. fall., agli altri soci
solidalmente ed illimitatamente responsabili, che
non siano stati già dichiarati falliti contestualmente al fallimento della società, rileva il contenuto
di accertamento del decreto impugnato e che
ha formato oggetto della decisione della corte
di appello. Quando nel provvedimento negativo
(di rigetto) la questione risolta non attenga ai
presupposti di fatto, dei quali sarà sempre possibile un diverso apprezzamento nella mutevolezza
degli stessi, ma riguardi invece profili di diritto,
al provvedimento suddetto deve riconoscersi anche il carattere della definitività e la conseguente
idoneità a conseguire l’efficacia di giudicato. *
Cass. civ., sez. I, 26 giugno 2000, n. 8660, Torrisi c.
Coco ed altri. [RV538030]
c-2) Esperibilità del regolamento di competenza.
l Il decreto con il quale la corte d’appello,
in accoglimento del ricorso del creditore istante contro il provvedimento negativo dei primi
giudici, rimette d’ufficio gli atti al tribunale per
la dichiarazione di fallimento a norma del terzo
comma dell’art. 22 della legge fallimentare, non
ha contenuto di sentenza sulla competenza e
non può essere perciò impugnato con regolamento di competenza. * Cass. civ., sez. I, 22 ottobre 1987, n. 7795, Soc. Ares c. Soc. Euroleasing.
c-3) Giudizio di rinvio.
l Nel giudizio di rinvio conseguente alla cassazione di un decreto emesso dalla Corte d’appello in sede di reclamo avverso un decreto del
tribunale fallimentare, che deve svolgersi col rito
camerale a termini del combinato disposto degli
artt. 394 c.p.c. e 22 legge fallimentare, l’ordinanza, con la quale il giudice di rinvio dichiari
l’estinzione del processo, per inosservanza del
termine di cui all’art. 392 c.p.c., integra un provvedimento decisorio non altrimenti impugnabile, avverso il quale, pertanto, può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 111
della Costituzione. * Cass. civ., sez. lav., 12 marzo
1982, n. 1603, Inps c. Soc. Cecchetti.
c-4) Deducibilità dei vizi in procedendo.
l Qualora la corte di appello accolga il reclamo avverso il decreto del tribunale di rigetto dell’istanza di fallimento, rimettendo gli atti al
primo giudice per la dichiarazione del fallimento
medesimo, i vizi in procedendo attinenti al procedimento di detto reclamo – non denunciabili
con ricorso per cassazione contro il provvedimen-
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R.D. 16 marzo 1942, n. 267
to della corte di appello, trattandosi di provvedimento ordinatorio inidoneo ad assumere portata
decisoria su diritti delle parti ed efficacia di giudicato – possono essere fatti valere nel giudizio
di opposizione avverso la sentenza dichiarativa di fallimento. * Cass. civ., sez. I, 8 agosto 1990,
n. 8008, Di Luise c. II.DD. Luscian. Conforme,
Cass. civ., sez. I, 26 marzo 1984. n. 1985.
c-5) Spese.
l In sede di reclamo avverso il decreto di rigetto del ricorso di fallimento, la Corte d’Appello, a seguito della dichiarazione di illegittimità
costituzionale dell’art. 22, legge fall., (corte cost.,
n. 328 del 1999), è tenuta a provvedere sulla
domanda del debitore, di condanna del creditore
istante al pagamento delle spese processuali,
e, in caso di omissione di pronuncia su detta
domanda, il decreto è impugnabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111, Cost., in
quanto il provvedimento, nella parte in cui regola
le spese, ha natura di pronuncia definitiva e decisoria su un diritto soggettivo. * Cass. civ., sez. I,
29 novembre 2004, n. 22476. [RV578252]
Capo II
Degli organi preposti
al fallimento
Sezione I
Del tribunale fallimentare
23.  (1) Poteri del tribunale fallimentare. – Il tribu-
nale che ha dichiarato il fallimento è investito dell’intera procedura fallimentare; provvede alla nomina ed
alla revoca o sostituzione, per giustificati motivi, degli
organi della procedura, quando non è prevista la competenza del giudice delegato; può in ogni tempo sentire in camera di consiglio il curatore, il fallito e il comitato dei creditori; decide le controversie relative alla
procedura stessa che non sono di competenza del giudice delegato, nonché i reclami contro i provvedimenti
del giudice delegato.
I provvedimenti del tribunale nelle materie previste da questo articolo sono pronunciate con decreto,
salvo che non sia diversamente disposto.
(1) Questo articolo è stato così sostituito dall’art. 20 del D.L.vo
9 gennaio 2006, n. 5, a decorrere dal 16 luglio 2006.
SOMMARIO:
a) In genere;
b) Garanzie processuali nel giudizio su reclamo; b-1) Contraddittorio; b-2) Imparzialità e terzietà del giudice;
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Art. 23
c) Ricorribilità delle decisioni del tribunale, in
genere;
d) Decisioni ricorribili; d-1) In materia di accertamento del passivo; d-2) In materia di liquidazione dell’attivo; d-3) In materia di ripartizione
dell’attivo; d-4) In materia di compensi; d-5) Casistica varia;
e) Decisioni non ricorribili; e-1) In materia di
custodia e gestione del patrimonio; e-2) In materia di accertamento del passivo; e-3) In materia di
liquidazione dell’attivo; e-4) In materia di ripartizione dell’attivo e chiusura del fallimento; e-5) In
materia di compensi; e-6) In materia di nomina e
revoca del curatore; e-7) Casistica varia;
f) Termini per il ricorso;
g) Giudizio di rinvio.
a) In genere.
l Nei procedimenti camerali attivati su istanza di parte, il giudice adito è tenuto a fissare con
decreto l’udienza di comparizione con termine
per la notifica del ricorso e del decreto alle controparti, ed è altresì tenuto al deposito di tale
provvedimento, ma non anche alla sua comunicazione a chicchessia, non essendovi un obbligo del giudice normativamente disciplinato in tal
senso, ed essendo viceversa il ricorrente tenuto ad
attivarsi per prendere cognizione, in cancelleria,
dell’esito del proprio ricorso. (Nella specie, il ricorrente aveva proposto reclamo avverso il decreto con cui il giudice delegato aveva rigettato la sua
istanza di liquidazione del compenso per l’attività
prestata in favore di un fallimento; tale reclamo
era stato archiviato per mancata comparizione
dell’interessato nell’udienza immediatamente successiva a quella inizialmente fissata, e rinviata di
ufficio; avendo il ricorrente chiesto la fissazione di
una nuova udienza per la trattazione del reclamo,
il presidente del tribunale aveva dichiarato non
luogo a provvedere in ordine all’istanza; la S.C.,
ritenuto che il ricorso per cassazione proposto, ai
sensi dell’art. 111 Cost., avverso il provvedimento
emesso dal presidente del tribunale coinvolgesse
anche il precedente provvedimento di archiviazione, lo ha rigettato, enunciando il riferito principio,
ed osservando che la mancata comparizione all’udienza successiva era stata determinata dal mancato assolvimento dell’onere posto a carico del
ricorrente, il cui adempimento avrebbe consentito
a quest’ultimo di prendere atto del rinvio di ufficio
dell’udienza). * Cass. civ., sez. I, 6 ottobre 2005,
n. 19514, Parisi c. Curatela Fall. Marie Catherine
Snc. Parzialmente difforme appare la massima
che segue. [RV584008]
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Art. 23
PARTE I: LA LEGGE FALLIMENTARE
l Nel procedimento di reclamo disciplinato
dall’art. 26 legge fall., quando si controverta su
situazioni incidenti su diritti soggettivi, trovano applicazione le norme generali dei procedimenti camerali (artt. 737-742 bis c.p.c.) ed il
tribunale è tenuto a decidere il reclamo anche nel
caso in cui il ricorrente non compaia in camera
di consiglio, sicché, qualora dichiari erroneamente «non luogo a provvedere» sul medesimo,
questo provvedimento è impugnabile con ricorso per cassazione, ex art. 111 Cost. * Cass. civ.,
sez. I, 11 maggio 2005, n. 9930, Coppola c. Fusco.
[RV581317]
b) Garanzie processuali nel giudizio su reclamo.
b-1) Contraddittorio.
l Il reclamo ex art. 26 legge fall., nella formulazione anteriore al d.l.vo 9 gennaio 2006, n. 5
(applicabile "ratione temporis") apre un procedimento di tipo inquisitorio, nel quale il tribunale, investito di tutta la procedura e nell’esercizio delle proprie funzioni di controllo sull’operato
del giudice delegato, con possibilità di sostituirsi
a questi nell’esercizio delle sue attribuzioni, non
è vincolato alle richieste delle parti; ne consegue che la conoscenza di ogni atto o documento della procedura ben può essere posta
a fondamento della decisione, ancorché l’atto
o il documento non abbiano formato oggetto del contraddittorio. (In applicazione di tale
principio, la S.C. ha accolto il ricorso avverso il
decreto del tribunale che aveva liquidato le spese
e le competenze, relative all’attività professionale
svolta a favore del fallito prima e della curatela
poi, senza tener conto di quanto contenuto nel
fascicolo fallimentare e della documentazione allegata alla richiesta di liquidazione della parcella,
non essendovi alcun onere probatorio ulteriore a
carico del professionista istante, oltre le produzioni già assolte innanzi al giudice delegato). *
Cass. civ., sez. I, 5 aprile 2012, n. 5501, Pirillo L.
c. Curatela Fall. Il Triangolo di Toscano V. G. & C.
Sas e del socio amm. [RV622189]
l Il procedimento camerale introdotto, ai
sensi dell’art. 26 della legge fallimentare, dal reclamo avverso il provvedimento del giudice delegato dal soggetto al quale sia negato un diritto
di prelazione (nella specie, a norma della legge
23 luglio 1991, n. 223) sugli immobili oggetto
della liquidazione concorsuale, deve necessariamente svolgersi con la partecipazione
dell’aggiudicatario del compendio. Tale procedimento è pertanto nullo per violazione del prin-
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cipio del contraddittorio – e la nullità è rilevabile
d’ufficio anche in sede di legittimità –, con conseguente nullità del decreto pronunciato all’esito
dal tribunale, quando all’aggiudicatario non risultino notificati il reclamo stesso ed il decreto emesso dal tribunale per la comparizione in camera di
consiglio. * Cass. civ., sez. I, 27 febbraio 2004, n.
3981. [RV570622]
l In tema di reclamo ai sensi dell’art. 25 legge
fall. avverso i provvedimenti del giudice delegato, la fissazione dell’udienza collegiale da
parte di quest’ultimo non determina alcuna
nullità, poiché manca un’espressa previsione,
sia nella legge fallimentare, sia nelle disposizioni processuali relative ai procedimenti in camera di consiglio, in ordine alle modalità di costituzione del contraddittorio, e posto che rileva è
che il procedimento si sia svolto nel contraddittorio delle parti. * Cass. civ., sez. I, 10 settembre
2003, n. 13212, Finagestim Spa c. Fall. AFI Srl.
[RV566713]
l In sede di reclamo al tribunale fallimentare
avverso i provvedimenti del giudice delegato su
questioni involgenti diritti soggettivi, l’osservanza del principio del contraddittorio richiede, a
norma dell’art. 26 legge fall. (nel testo risultante
dalla sentenza della Corte costituzionale n. 42
del 1981), che il tribunale disponga la comparizione in camera di consiglio dei soggetti che, con
riferimento alla specifica materia che costituisce
oggetto del giudizio, siano destinatari degli effetti della decisione. Pertanto, nella ipotesi di
concordato preventivo con cessione dei beni,
è affetto da nullità il provvedimento con il
quale il tribunale decide in ordine al ricorso
avverso l’ordinanza di aggiudicazione dei beni
senza la preventiva audizione del liquidatore,
cui compete la legittimazione passiva nei giudizi
relativi ai beni da liquidare. * Cass. civ., sez. I, 13
marzo 2003, n. 3716. [RV561118]
l La fissazione dell’udienza di comparizione delle parti nel periodo feriale, deve ritenersi affetta da nullità anche nei procedimenti
in camera di consiglio di carattere contenzioso,
per violazione del principio del contraddittorio e
del diritto di difesa della parte nel processo; tale
nullità non si verifica solo qualora le parti si siano
costituite senza formulare contestazioni, ovvero
quando nell’iter procedimentale i diritti delle parti
stesse non risultino comunque pregiudicati in concreto (fattispecie relativa al procedimento conseguente a reclamo ex art. 26 legge fall.). * Cass. civ.,
sez. I, 16 settembre 2002, n. 13487. [RV557405]
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R.D. 16 marzo 1942, n. 267
b-2) Imparzialità e terzietà del giudice.
l Il nuovo testo dell’art. 111 Cost., novellato dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n.
2, non impone alcuna interpretazione correttiva della disciplina del reclamo fallimentare
tale da richiedere, in nome del principio di imparzialità del giudice posto a garanzia del giusto
processo, l’esclusione della partecipazione del
giudice delegato al collegio chiamato a decidere
del reclamo stesso. * Cass. civ., sez. I, 13 luglio
2004, n. 12969. [RV575620]
l In tema di principi costituzionali d’imparzialità e d’indipendenza del giudice (artt. 25 e 101
Cost.), a meno che il giudice abbia un interesse
proprio e diretto nella causa, che lo ponga nella condizione sostanziale di parte e determini la
nullità della sentenza per violazione del principio
nemo iudex in causa propria, l’inosservanza del
dovere di astensione, concepito al fine di assicurare l’imparzialità nei casi previsti dall’art. 51
c.p.c., non produce altro effetto che la possibilità della ricusazione, senza incidere sulla
validità del provvedimento. (Fattispecie relativa
a semplice eccezione e mancata ricusazione del
giudice delegato che aveva partecipato, quale
relatore, al collegio del tribunale fallimentare su
reclami contro i provvedimenti del medesimo
giudice). * Cass. civ., sez. I, 27 febbraio 2004, n.
3974. [RV570615]
c) Ricorribilità delle decisioni del tribunale, in
genere.
l Il principio generale posto dall’art. 23, ultimo comma, della L. fall., secondo cui i provvedimenti del tribunale nell’ambito della giurisdizione fallimentare non sono reclamabili
davanti alla Corte d’appello (se non nei casi
previsti dalla stessa legge), si applica anche nel
caso in cui il tribunale (legittimamente operando il suo potere di surroga) provveda direttamente su una questione la cui decisione è
demandata al giudice delegato (nella specie,
disponendo la vendita di tutti i beni mobili del
fallito). Sicché, avverso un tale provvedimento
non è ammesso reclamo alla Corte d’appello, bensì esclusivamente ricorso per cassazione, inteso a
far valere i vizi del provvedimento stesso, compresa l’incompetenza. * Cass. civ., sez. I, 2 novembre
1998, n. 10936.
d) Decisioni ricorribili.
d-1) In materia di accertamento del passivo.
l Il decreto del tribunale fallimentare che - investito del reclamo avverso il provvedimento con
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Art. 23
il quale il giudice delegato, dopo la sentenza di
omologazione del concordato fallimentare, abbia
indicato le modalità di pagamento dei crediti da
parte dell’assuntore - abbia escluso i crediti ammessi a seguito d’istanze tardive, è un provvedimento abnorme, viziato da carenza assoluta
di potestà decisionale che, decidendo su diritti
soggettivi è impugnabile con ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., essendo preclusa
al giudice delegato e al tribunale, in sede di esecuzione, di interpretare una decisione definitiva
di carattere giurisdizionale, qual è la sentenza
di omologazione del concordato fallimentare.
* Cass. civ., sez. I, 20 settembre 2010, n. 19858,
Italfondiario Spa c. Concordato fall. Stefano Sternativo ed altri. [RV614225]
l Il decreto con il quale il tribunale fallimentare, in sede di reclamo ai sensi dell’art. 26
legge fallimentare, neghi, ad un creditore insinuato – ma non ammesso – al passivo, il diritto
di proporre contestazioni a rendiconto predisposto dal curatore rappresenta un provvedimento astrattamente idoneo a produrre effetti sui diritti di detto creditore e, pertanto, è impugnabile
per cassazione, a norma dell’art. 111 Cost. senza
che, l’esperibilità del rimedio, rilevi la questione
della legittimazione del creditore «non ammesso»
a formulare siffatte contestazioni. * Cass. civ., sez.
I, 24 marzo 1993, n. 3490, Tovaglieri c. Warvit spa
in liquid.
d-2) In materia di liquidazione dell’attivo.
l Avverso il decreto del tribunale che decide sul reclamo nei confronti del provvedimento
del giudice delegato, adottato in sede di liquidazione dell’attivo fallimentare, di rigetto dell’istanza dell’acquirente del bene diretta ad ottenere
la dichiarazione di nullità, ovvero l’annullamento
o la revoca della vendita dell’immobile, in quanto
gravato da un vincolo non indicato negli atti della
procedura e tale da far prefigurare la vendita di
aliud pro alio, è proponibile da parte di quest’ultimo il ricorso straordinario per cassazione per
violazione di legge ex art. 111 Cost., trattandosi di
provvedimento di natura decisoria incidente sul
diritto di garanzia dell’acquirente. * Cass. civ., sez.
I, 25 febbraio 2005, n. 04085. [RV579897]
l È impugnabile per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., il provvedimento con il
quale, nella procedura di concordato preventivo
con cessione dei beni, il Tribunale, revocando
la sospensione della vendita disposta dal G.D.,
aggiudichi i beni posti in vendita ed ordini
all’aggiudicatario il versamento del prezzo.
La legittimazione all’impugnazione spetta all’im-
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Art. 23
PARTE I: LA LEGGE FALLIMENTARE
prenditore concordatario, in considerazione del
diritto degli interessati alla realizzazione del
migliore risultato possibile nella liquidazione
dell’attivo. * Cass. civ., sez. I, 7 giugno 2002, n.
8278. [RV554973]
l Avverso il decreto del tribunale che decide sul reclamo avverso il decreto di trasferimento emesso dal giudice delegato in sede di liquidazione dell’attivo fallimentare, è ammesso
il ricorso straordinario per cassazione per violazione di legge ex art. 111 Cost. da parte dell’acquirente, trattandosi di provvedimento di natura
decisoria incidente sul diritto soggettivo di costui
alla acquisizione del bene. * Cass. civ., sez. I, 21
febbraio 2002, n. 2488.
d-3) In materia di ripartizione dell’attivo.
l L’ordinanza emessa dal tribunale sul reclamo ex art. 26 legge fall. avverso il decreto del
giudice delegato che, in sede di formazione del
piano di riparto, disattende le osservazioni formulate da un creditore, non è censurabile in
cassazione per vizi della motivazione, essendo
il ricorso ammesso soltanto per violazione di legge ai sensi dell’art. 111 Cost.; ne consegue che non
è censurabile in sede di legittimità la motivazione
(purché sussistente) dell’apprezzamento di merito circa la sussistenza (o non) di cause del ritardo
della insinuazione ai sensi dell’art. 101 legge fall.
non imputabili al creditore tardivo, rilevanti, ai
sensi dell’art. 112 legge fall., agli effetti della partecipazione al riparto. * Cass. civ., sez. I, 3 giugno
2004, n. 10578. [RV573366]
l È ammissibile il ricorso per Cassazione a
norma dell’art. 111 Cost. contro il provvedimento pronunciato dal tribunale in sede di reclamo avverso il decreto del giudice delegato che
approva e rende esecutivo il piano di riparto,
trattandosi di provvedimento idoneo ad incidere
in via definitiva e con forza di giudicato sostanziale sui diritti del creditore. * Cass. civ., sez. I, 21
febbraio 2001, n. 2493.
l Il decreto con cui il tribunale, in sede di
reclamo ex art. 26 L. fall., decide sulla ritualità
dello svolgimento del procedimento prefigurato
dall’art. 116 L. fall., incidente su diritti delle parti
e, in particolare, sul diritto del fallito a partecipare
al giudizio medesimo, è impugnabile da quest’ultimo con ricorso straordinario per cassazione,
dal momento che il provvedimento stesso ha, per
un verso, natura «decisoria» sul predetto diritto
(art. 24 Cost.) attribuitogli dalla legge e, per altro
verso, carattere «definitivo», perché non altrimenti impugnabile. * Cass. civ., sez. I, 28 marzo 2000,
n. 3696, Feudo srl c. Fall. Feudo srl. [RV535096]
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76
d-4) In materia di compensi.
l In tema di concordato preventivo e di amministrazione controllata, il decreto con il quale il tribunale liquida il compenso al commissario giudiziale ha natura decisoria e carattere
definitivo, non essendo soggetto a reclamo; ne
conseguono, da un lato l’impugnabilità ai sensi
dell’art. 111 Cost. e, dall’altro, la non revocabilità da parte dell’autorità giudiziaria che lo
ha emesso, la quale ha consumato, con l’adozione del medesimo, il proprio potere decisionale al
riguardo. * Cass. civ., sez. I, 19 ottobre 2007, n.
22010, Curatela Fall. Al Ciclope di Laureato Al c.
Cangemi. [RV599330]
l Il decreto del tribunale fallimentare che
decide il reclamo avverso il provvedimento
con il quale il giudice delegato, dopo la omologazione del concordato fallimentare, con assunzione degli obblighi da parte di un terzo, senza
liberazione immediata del debitore (art. 137,
quarto comma, legge fall.), liquida il compenso
dovuto ad un avvocato per l’attività svolta a
favore del fallimento, in conformità della proposta di concordato che prevedeva detta facoltà, è
impugnabile con ricorso per cassazione, ex art.
111 Cost., trattandosi di provvedimento che incide su di un diritto soggettivo, avente i caratteri
della definitività e decisorietà. In siffatta ipotesi
il fallito è legittimato a proporre il ricorso, in
quanto egli è tenuto ad adempiere in luogo del
terzo ed è esposto alla risoluzione del concordato
ed alla riapertura del fallimento; tuttavia, qualora
l’assuntore abbia provveduto a pagare il compenso, non sussiste l’interesse del fallito all’impugnazione, in quanto in questo caso il creditore non
può chiedergli il pagamento della somma liquidata dal g.d., non essendo neppure configurabile il
diritto di regresso dell’assuntore nei suoi confronti, dato che egli ha già adempiuto i suoi obblighi
verso quest’ultimo mediante la cessione del proprio patrimonio. * Cass. civ., sez. I, 15 luglio 2005,
n. 15061, Giacobazzi c. Lotti ed altri. [RV582678]
l Il provvedimento camerale ex art. 26 legge
fall., con cui il tribunale rigetta il reclamo proposto contro il decreto del giudice delegato relativo
alla liquidazione del compenso al difensore, per
l’assistenza prestata alla curatela fallimentare in
una causa ancora pendente, è ricorribile in cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., siccome definitivo ed incidente su diritto soggettivo. Più in
particolare, il potere del giudice fallimentare
di liquidare il compenso al difensore nominato a difesa degli interessi del fallimento, ai
sensi dell’art. 25 n. 7 legge fall., che pure soggiace
alle regole previste in materia professionale, non
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trova ostacolo nella previsione di diverso giudice
competente, in via generale, alla liquidazione del
compenso spettante al difensore per le prestazioni giudiziali, mediante procedimento di ingiunzione ex art. 633 c.p.c. o procedimento di liquidazione ex art. 27 e ss. legge n. 794 del 1942. * Cass.
civ., sez. II, 24 marzo 2004, n. 5905. Conforme,
Cass. I, 29 marzo 2007, n. 7782. [RV571499]
l Il ricorso straordinario per cassazione avverso il provvedimento con il tribunale fallimentare abbia deciso, ai sensi dell’art. 26 l. fall., il
reclamo relativo al decreto di liquidazione delle
competenze dovute al legale della curatela fallimentare, possono essere dedotti – quali motivi
– oltre agli errores in procedendo soltanto la violazione e falsa applicazione di legge, non essendo
invece censurabile la decisione sotto il profilo del
vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. tranne i casi di
motivazione inesistente od apparente che comportano la nullità della sentenza. * Cass. civ., sez.
II, 25 novembre 2003, n. 17898, Morero c. Fall.
Bellizzi Vincenzi. [RV568423]
l In tema di fallimento, il decreto di liquidazione del compenso al curatore deve essere
specificamente motivato in ordine alle specifiche opzioni discrezionali adottate dal giudice di
merito così come demandategli dall’art. 39 legge
fall. e dalle norme regolamentari ivi richiamate
(D.M. n. 570 del 1992), con conseguente nullità
del decreto predetto qualora lo stesso risulti del
tutto privo di motivazione (ovvero corredato di
parte motiva soltanto apparente); nullità che, derivando dalla violazione dell’art. 132, n. 4 c.p.c.,
può essere denunciata con ricorso straordinario
per Cassazione ex art. 111 Cost. * Cass. civ., sez. I,
6 giugno 2002, n. 9198. [RV554916]
d-5) Casistica varia.
l Il decreto con cui la corte d’appello dichiari inammissibile il reclamo proposto dal curatore fallimentare avverso il provvedimento con
il quale il tribunale ne abbia disposto la revoca è legittimamente impugnabile con ricorso per
cassazione ex art. 111 Cost., poiché, indipendentemente dalla verifica della ammissibilità o meno
del detto reclamo (conseguente alla sussistenza o
meno, nel decreto reclamato, del carattere della
decisorietà, in difetto del quale esso risulta non
impugnabile non solo mediante il detto reclamo,
ma nemmeno mediante ricorso straordinario),
ed in via autonoma e pregiudiziale rispetto a tale
questione, va riconosciuta l’esperibilità del rimedio di cui all’art. 111 Cost. avverso un provvedimento che, dichiarando pregiudizialmente l’inammissibilità del reclamo, contiene pur sempre,
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Art. 23
a prescindere dalla natura delle posizioni sostanziali coinvolte, una decisione, non diversamente
impugnabile, sul diritto processuale di azione. *
Cass. civ., sez. I, 5 ottobre 2000, n. 13271.
l Il provvedimento, con cui il Tribunale, in
sede di reclamo, conferma il decreto del giudice
delegato ai fallimenti di rigetto dell’istanza di
riconoscimento e soddisfacimento di garanzia
ipotecaria vantata su immobili acquisiti alla
massa attiva del fallimento, ha natura decisoria
e definitiva ed è pertanto impugnabile con ricorso
per Cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. * Cass.
civ., sez. I, 22 settembre 2000, n. 12549, Tre C srl
c. CF Alfa Brokers srl. [RV540379]
l Il provvedimento con il quale il tribunale, ai sensi dell’art. 121 del R.D. 16 marzo 1942,
n. 267, dispone la riapertura del fallimento, ha
forma e natura sostanziale di sentenza, e, come
tale, non essendo né soggetto a gravame, né revocabile, è impugnabile con ricorso per cassazione, a
norma dell’art. 111 della Costituzione.* Cass. civ.,
Sezioni Unite, 11 ottobre 1978, n. 4509. Nello stesso senso, Cass. civ., sez. I, 29 agosto 1997, n. 8172.
Conforme, Cass. I, 13 dicembre 2006, n. 26688.
e) Decisioni non ricorribili.
e-1) In materia di custodia e gestione del patrimonio.
l Il provvedimento del tribunale fallimentare
confermativo, in sede di ricorso ai sensi dell’art. 36
legge fall., del decreto con il quale il giudice delegato abbia rigettato l’istanza di accertamento
della personale responsabilità del curatore per
un comportamento di carattere processuale dedotto come pregiudizievole per la massa dei creditori,
non è impugnabile con il ricorso straordinario per
cassazione di cui all’art. 111 Cost., essendo privo
del carattere della definitività, stante la riproponibilità della questione in sede di approvazione del
rendiconto del curatore ex art. 116, legge fall., atteso che il giudizio che si instaura ai sensi di quest’ultima disposizione in caso di mancata approvazione
del conto del curatore può avere per oggetto anche
l’accertamento delle personali responsabilità del
curatore stesso per il compimento di atti che abbiano arrecato pregiudizio alla massa o ai diritti
dei singoli creditori. * Cass. civ., sez. I, 20 dicembre
2002, n. 18144. [RV559330]
l Il provvedimento del tribunale fallimentare confermativo del decreto del giudice delegato emesso in funzione del potere amministrativo di direzione e di vigilanza sull’attività del
curatore, ancorché incidente di riflesso su diritti
soggettivi delle parti che hanno rapporto con il
fallimento, ha natura ordinatoria e non è su-
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Art. 23
PARTE I: LA LEGGE FALLIMENTARE
scettibile di ricorso per cassazione ex art. 111
Cost., mentre le pretese vantate dalle parti stesse
nei confronti del fallimento ed in ordine a tali rapporti possono trovare tutela con gli strumenti ed i
mezzi che l’ordinamento appresta in sede contenziosa contro l’attività negoziale, ove illegittima e
lesiva dei diritti dei terzi, compiuta dal curatore
quale organo dell’amministrazione fallimentare.
* Cass. civ., sez. I, 15 marzo 2001, n. 3759.
e-2) In materia di accertamento del passivo.
l In ipotesi di fallimento di un agente di
cambio e di richiesta al giudice delegato, da
parte dei clienti investitori, della formazione
di due masse separate ad opera del commissario liquidatore ai sensi dell’art. 201 T.U. sull’intermediazione finanziaria, non è impugnabile col
ricorso straordinario per cassazione il decreto
del Tribunale fallimentare confermativo del
decreto col quale il giudice delegato abbia dichiarato non luogo a provvedere sulla predetta
istanza, rimettendo ogni decisione in merito alla
sede di formazione dello stato passivo, atteso che
trattasi di provvedimento privo di efficacia decisoria e, come tale, insuscettibile di incidere su posizioni di diritto soggettivo. * Cass. civ., sez. I, 10
luglio 2002, n. 10018. [RV555037]
e-3) In materia di liquidazione dell’attivo.
l In tema di fallimento, il provvedimento
con il quale il giudice delegato, esaminando
una proposta di concordato e la conseguente
istanza di sospensione della vendita degli immobili, rigetti quest’ultima – giudicando contestualmente non conveniente la proposta di concordato –, può essere impugnato con reclamo al
tribunale, ma l’eventuale decreto confermativo
del suddetto provvedimento non può, sotto alcun
profilo, risultare impugnabile con ricorso per
cassazione ex art. 111 della Costituzione, attesane la mancanza di autonomia e la non scindibilità dal provvedimento di rigetto della proposta di
concordato. * Cass. civ., sez. I, 9 settembre 2004,
n. 18175. [RV576919]
l Il decreto pronunciato dal tribunale fallimentare in sede di reclamo avverso il provvedimento del G.D. di autorizzazione alla vendita,
che non contenga statuizioni di natura sostanziale
né dirima controversie attinenti a diritti soggettivi
– e del quale siano denunciate, come nella specie,
presunte irregolarità procedurali consumate nella
fase finale di liquidazione –, difetta del requisito
della decisorietà (attesane l’efficacia contenuta entro i limiti interni alla procedura), e non è,
pertanto, suscettibile di impugnazione con ricorso
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78
per cassazione ex art. 111 Cost. Stante l’autonomia
di ciascuna fase del processo esecutivo rispetto a
quelle che le precedono, difatti, eventuali situazioni invalidanti della fase che si conclude con la
vendita sono suscettibili di rilievo solo in quanto
impediscano il trasferimento del bene espropriato, atteso che, quali che siano le modalità prescelte dagli organi della procedura – e, quindi, anche
nell’ipotesi di vendita con o senza incanto –, chi
presenta un’offerta diviene titolare di una semplice
aspettativa di fatto, analoga a quella di qualsiasi
altro interessato, che, pertanto, non trova, sul piano sostanziale, alcuna giuridica protezione. * Cass.
civ., sez. I, 26 marzo 2003, n. 4475. [RV501454]
l Il provvedimento del tribunale con il quale venga respinto il reclamo del fallito contro
il decreto del giudice delegato al fallimento che
abbia negato la sospensione della vendita di
un immobile caduto nell’attivo fallimentare,
non è ricorribile in cassazione, neppure in via
straordinaria, ai sensi dell’art. 111 della Costituzione, atteso che in tal caso, nel provvedimento
impugnato davanti alla Corte di Cassazione difettano i necessari requisiti della decisorietà (ossia
della risoluzione di una controversia intorno a
diritti soggettivi o status) e della definitività (ossia
della stabile incidenza di quei provvedimenti sui
predetti diritti soggettivi e della insuscettività dei
medesimi di essere revocati, modificati o assoggettabili ad altri rimedi giurisdizionali). * Cass.
civ., sez. I, 21 giugno 2002, n. 9064. [RV555229]
e-4) In materia di ripartizione dell’attivo e chiusura del fallimento.
l Il provvedimento con cui il tribunale fallimentare, a seguito del reclamo, confermi il decreto con cui il giudice delegato abbia respinto
l’istanza del fallito di sospensione del riparto
delle attività liquide, non è ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., trattandosi di
provvedimento non riguardante il contenuto del
piano di riparto, bensì la sua concreta attuazione,
la quale costituisce operazione consequenziale e
dovuta ma suscettibile – in base all’art. 110, primo
comma, legge fall. – di essere dilazionata per ragioni discrezionali, connesse alle esigenze del processo: un provvedimento, quindi, di carattere ordinatorio circa i tempi, le cadenze e i modi del riparto,
rimesso all’apprezzamento del giudice, nell’ambito
della sua funzione di vigilanza e di direzione della
procedura fallimentare, e inidoneo, come tale, a
produrre effetti di giudicato sostanziale. * Cass.
civ., sez. I, 23 aprile 2004, n. 7744. [RV572270]
l È inammissibile il ricorso straordinario
per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., avver-
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R.D. 16 marzo 1942, n. 267
so il decreto ex art. 26 legge fall., con il quale
il tribunale respinge il reclamo del creditore
ammesso al passivo avverso il decreto con cui
il giudice delegato rende esecutivo il piano
di riparto parziale, nella parte in cui prevede
accantonamenti ai sensi dell’art. 113, n. 4, legge
fall., in quanto trattasi di provvedimento privo, in
tale parte, dei caratteri della decisorietà e definitività, perché le somme accantonate non vengono
attribuite ad alcun creditore, ma soltanto trattenute in attesa della definitiva decisione sulla loro
effettiva destinazione; è ammissibile, invece, il
ricorso ex art. 111 Cost. del creditore ammesso,
avverso lo stesso decreto, nella parte relativa alle
spese da pagare in prededuzione a norma dell’art.
111, n. 1, legge fall., trattandosi, per tal verso, di
provvedimento a carattere decisorio, in quanto,
riconoscendo la prededucibilità delle spese, incide sulla pretesa dei creditori ammessi riducendo
l’entità delle somme ad essi attribuibili. * Cass.
civ., sez. I, 28 giugno 2002, n. 9490. [RV555540]
e-5) In materia di compensi.
l Il provvedimento con il quale il tribunale fallimentare – sul presupposto che, in caso di
avvicendamento di più curatori in corso di procedura, il compenso finale di quello che sia stato sostituito va liquidato soltanto a chiusura del
fallimento, onde adeguare i compensi ai dati certi
dell’attivo realizzato – revochi il decreto di liquidazione del compenso precedentemente emanato in favore del curatore poi sostituito non è
impugnabile con ricorso per cassazione ex art.
111 Cost., mancandone i (necessari) presupposti
della decisorietà e della definitività. * Cass. civ.,
sez. I, 19 luglio 2002, n. 10528. [RV555940]
e-6) In materia di nomina e revoca del curatore.
l Il provvedimento del tribunale con il
quale venga respinto il reclamo del fallito
contro il decreto del giudice delegato al fallimento che abbia respinto il ricorso per la
revoca del curatore, non è ricorribile in cassazione, neppure in via straordinaria, ai sensi
dell’art. 111 della Costituzione, atteso che in tal
caso, nel provvedimento impugnato davanti alla
Corte di Cassazione difettano i necessari requisiti
della decisorietà (ossia della risoluzione di una
controversia intorno a diritti soggettivi o status)
e della definitività (ossia della stabile incidenza di
quei provvedimenti sui predetti diritti soggettivi
e della insuscettività dei medesimi di essere revocati, modificati o assoggettabili ad altri rimedi
giurisdizionali. * Cass. civ., sez. I, 21 giugno 2002,
n. 9064. [RV555230]
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Art. 23
e-7) Casistica varia.
l In tema di fallimento, il provvedimento
con il quale il giudice delegato – sul presupposto della inoperatività della «presunzione muciana» di cui all’art. 70 legge fall. sia alle fattispecie
governate dal regime di comunione legale fra i coniugi sia con riguardo a quelle caratterizzate dal
regime di separazione dei beni – ordini al curatore di astenersi, in relazione ai beni immobili di
esclusiva proprietà del coniuge del fallito, da
qualsiasi attività di ricognizione finalizzata al
loro trasferimento all’assuntore del concordato fallimentare, è privo di carattere decisorio,
contenendo istruzioni riguardanti l’attività amministrativa del curatore fallimentare, come tali
inidonee a determinare effetti giuridici pregiudizievoli per l’assuntore. Ne deriva che avverso il
provvedimento del tribunale fallimentare recante reiezione del reclamo avverso il menzionato provvedimento del giudice delegato, non
è proponibile il ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. * Cass. civ.,
sez. I, 15 dicembre 2006, n. 26934, Boccone Del
Cardinale Spa c. Nicoletta ed altro. [RV593434]
l È inammissibile il ricorso per cassazione
proposto, ex art. 111 Cost., nei confronti del decreto con il quale il tribunale respinga la richiesta del fallito di ottenere il sussidio alimentare
di cui all’art. 47 L. fall., trattandosi di provvedimento inidoneo a pregiudicare definitivamente ed irreversibilmente la posizione del ricorrente (essendo
la relativa istanza legittimamente reiterabile), e
soggetto al prudente apprezzamento del giudice
del merito, il quale non è chiamato a risolvere una
controversia su diritti soggettivi (non attribuendo
il citato art. 47 al fallito alcun diritto soggettivo agli
alimenti) cui sia ricollegabile un effetto di diritto
sostanziale insuscettibile di riesame. * Cass. civ.,
sez. I, 14 marzo 2001, n. 3664. Nello stesso senso,
Cass. I, 25 febbraio 2002, n. 2755.
f) Termini per il ricorso.
l Il termine per proporre ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., avverso i decreti
emessi dal tribunale fallimentare in sede di reclamo contro i provvedimenti del giudice delegato
in materia di liquidazione dell’attivo, non è soggetto alla sospensione feriale, a norma dell’art.
3 della legge n. 742 del 1969, in relazione all’art.
92 dell’Ordinamento giudiziario, equivalendo ad
un’opposizione agli atti esecutivi; ne consegue
l’inammissibilità di tale ricorso ove sia stato notificato oltre il termine annuale di cui all’art. 327
c.p.c. *Cass. civ., sez. I, 7 aprile 2011, n. 7982 ,
Tedesco ed altri c. Fall. Sapem S.r.l. ed altro.
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Art. 24
PARTE I: LA LEGGE FALLIMENTARE
l Il termine di sessanta giorni per la proposizione del ricorso straordinario per Cassazione
(art. 111 Cost.) avverso il decreto pronunziato in
sede di reclamo dal tribunale fallimentare ex art.
26 legge fall. decorre dalla sua comunicazione
da parte della cancelleria ai sensi degli artt.
136 c.p.c. e 45 att. c.p.c. (consegna del biglietto
effettuata dal cancelliere al destinatario ovvero
notificazione a mezzo di ufficiale giudiziario),
potendo tuttavia detta comunicazione essere
validamente eseguita anche in forme equipollenti. (Nella specie la S.C. ha ritenuto valido equipollente della comunicazione la dichiarazione
resa nella cancelleria dal procuratore della parte,
con la quale questi aveva rinunciato alla relativa
notificazione). * Cass. civ., sez. I, 20 ottobre 2005,
n. 20279, Di Pinto Bartolomeo Spa c. Fall. costr.
Veicoli Ind Spa ed altro. [RV583855]
l Il termine per proporre ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. avverso i decreti
emessi dal tribunale fallimentare in sede di reclamo contro i provvedimenti del giudice delegato
in materia di liquidazione dell’attivo non è soggetto alla sospensione feriale a norma dell’art.
3 legge n. 742 del 1969, in relazione all’art. 92
dell’Ordinamento giudiziario, né, a fortiori, è soggetto a tale sospensione il successivo termine di
venti giorni per il deposito del ricorso dopo la sua
notifica previsto dall’art. 369 c.p.c. * Cass. civ.,
sez. I, 21 luglio 2000, n. 9570, Alfano G. ed altro c.
Fall. Fidaplastic Sud spa. [RV538607]
l Il termine di sessanta giorni per la proposizione del ricorso straordinario per Cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. avverso il decreto
pronunziato in sede di reclamo dal tribunale fallimentare ai sensi dell’art. 26 L. fall. non decorre
dalla data di deposito in cancelleria del suddetto decreto, bensì dalla comunicazione di
esso secondo le vigenti disposizioni in materia di
procedimenti in camera di consiglio. * Cass. civ.,
Sezioni Unite, 17 dicembre 1998, n. 12615. Conforme, Cass. I, 20 dicembre 2002, n. 18144.
l Il termine per la proposizione del ricorso
straordinario per Cassazione avverso i provvedimenti di contenuto decisorio adottati dal Tribunale fallimentare non decorre dalla data del deposito in cancelleria dei suddetti provvedimenti,
bensì dalla data di comunicazione o notificazione d’ufficio di essi agli interessati. * Cass. civ.,
Sezioni Unite, 27 novembre 1998, n. 12062.
l Il principio generale secondo il quale il termine di sessanta giorni per il ricorso per cassazione
avverso le ordinanze a contenuto decisorio e definitivo decorre solo dalla notificazione del provvedimento stesso non si applica alla proposizione del
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ricorso ex art. 111 Cost. contro i decreti pronunziati in camera di consiglio dal tribunale fallimentare
a norma dell’art. 26 L. fall., per l’impegnativa dei
quali il termine decorre dalla comunicazione dei
provvedimenti a cura della cancelleria. * Cass. civ.,
Sezioni Unite, 10 giugno 1998, n. 5761, Vitalbi c.
Cic Sas di Vitalbi Livio e C. fall. [RV516310]
g) Giudizio di rinvio.
l In materia fallimentare, nell’ipotesi di cassazione della pronunzia d’inammissibilità del reclamo (assunta dal giudice di merito per ritenuta
decorrenza del termine utile ai fini della relativa
proposizione) avverso il provvedimento emesso dal giudice delegato in sede di ripartizione
dell’attivo fallimentare, il giudice del rinvio
deve procedere all’esame del merito del reclamo medesimo, non incontrando al riguardo,
anche sotto il profilo dei nova insorti in conseguenza di detta cassazione, preclusioni derivanti da precedenti statuizioni, non ponendosi nel
caso, in relazione ai limiti propri del giudizio di
rinvio, un problema di intangibilità degli effetti
della sentenza di cassazione. * Cass. civ., sez. I, 21
febbraio 2002, n. 2483.
24.  (1) Competenza del tribunale fallimentare. – Il
tribunale che ha dichiarato il fallimento è competente
a conoscere di tutte le azioni che ne derivano, qualunque ne sia il valore.
[Salvo che non sia diversamente previsto, alle controversie di cui al primo comma si applicano le norme
previste dagli articoli da 737 a 742 del codice di procedura civile. Non si applica l’articolo 40, terzo comma,
del codice di procedura civile] (2).
(1) Questo articolo è stato così sostituito dall’art. 21 del D.L.vo
9 gennaio 2006, n. 5, a decorrere dal 16 luglio 2006.
(2) Questo comma è stato abrogato dall’art. 3, comma 1, del
D.L.vo 12 settembre 2007, n. 169, a decorrere dal 1° gennaio 2008.
SOMMARIO:
a) Operatività della vis attractiva, in genere;
b) Casistica; b-1) Domande ed eccezioni riconvenzionali; b-2) Azioni di accertamento; b-3) Azioni
risarcitorie; b-3-I) In genere; b-3-II) Nei confronti del creditore istante; b-3-III) Nei confronti
del curatore; b-4) Azioni derivanti da contratti di
compravendita; b-5) Azioni derivanti da rapporti
di locazione o di affitto; b-6) Azioni possessorie e
provvedimenti cautelari; b-7) Procedimenti d’ingiunzione; b-8) Opposizione all’esecuzione; b-9)
Controversie di lavoro e previdenziali; b-9-I) In genere; b-9-II) Questioni attinenti al licenziamento;
b-9-III) Cause in materia di contributi previden-
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ziali; b-9-IV) Rapporti di agenzia; b-9-V) Giudizio
di appello; b-9-VI) Sospensione feriale dei termini;
b-10) Condebitori solidali; b-11) Revocatoria fallimentare e altre azioni a tutela del fallimento; b-12)
Controversie tributarie; b-13) Ipotesi varie;
c) Procedure di liquidazione coatta amministrativa e assimilate; c-1) In genere; c-2) Rapporti di lavoro; c-3) Assicurazione sulla responsabilità
civile.
a) Operatività della vis attractiva, in genere.
l  In tema di fallimento, il disposto dell’art.
3 della legge 11 febbraio 1992 n. 125, istitutiva
del Tribunale di Nola, secondo cui tutti gli affari
civili pendenti davanti al Tribunale di Napoli al
momento dell’inizio del funzionamento del nuovo ufficio giudiziario, ad eccezione delle cause già
passate in decisione, sono devoluti alla cognizione del nuovo Tribunale se appartenenti alla sua
competenza per territorio, trova applicazione
anche per le azioni promosse dal curatore in
epoca successiva alla trasmissione degli atti
al Tribunale di Nola ed appartenenti alla competenza inderogabile ex art. 24 legge fall. del
tribunale fallimentare, sostituitosi "ex lege" a
quello che originariamente aprì il fallimento,
operando per esse la "vis attractiva", in quanto
incidenti sulla procedura, cioè volte a realizzare
l’esecuzione nel rispetto della concorsualità e a
tutelare la "par condicio creditorum". * Cass. civ.,
sez. I, 5 dicembre 2008, n. 28867, Fall. Sposito c.
Com. Acerra. [RV605719]
l La disposizione dell’art. 24 della legge fallimentare (in forza della quale il tribunale che ha
dichiarato il fallimento è competente a conoscere tutte le azioni che ne derivano qualunque ne
sia il valore, eccezion fatta per le azioni reali immobiliari, per le quali restano ferme le ordinarie
norme di competenza) si applica a prescindere
dalla circostanza che i rapporti oggetto della
competenza funzionale del tribunale stesso
(nella specie, diritti di credito) siano preesistenti
o successivi alla dichiarazione di fallimento. *
Cass. civ., sez. III, 22 giugno 2004, n. 11647 Idem,
Cass. I, 13 settembre 2007, n. 19165, con riferimento a pagamenti effettuati dopo il fallimento
per lavori pubblici effettuati dalla fallita in
epoca anteriore. [RV573853]
l La vis actractiva prevista dall’art. 24 della
legge fall. quale causa efficiente della devoluzione
alla competenza del tribunale che ha dichiarato
il fallimento di tutte le azioni che conseguenzialmente ne derivino incontra un limite insuperabile in relazione a quelle, già presenti, in nuce, nel
patrimonio del fallito anteriormente all’apertura
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Art. 24
della procedura concorsuale, quali, (come nella specie) l’azione rivolta a conseguire il riscatto anticipato (ai sensi dell’art. 1925 c.c.) di una
polizza assicurativa alla stregua dei criteri fissati
nella medesima, stipulata, prima del fallimento,
dall’imprenditore individuale, con una società di
assicurazione, potendo le controversie relative
a preesistenti rapporti ritenersi rientrare nella
competenza funzionale del tribunale fallimentare solo nel caso in cui esse vengano a subire una
deviazione dal proprio schema legale tipico, per
effetto della disciplina del fallimento sui rapporti
giuridici preesistenti. * Cass. civ., sez. I, 21 marzo
2003, n. 4210. [RV561315]
l Per “azioni derivanti dal fallimento”, ai
sensi dell’art. 24 legge fall., devono intendersi
quelle che comunque incidono sul patrimonio
del fallito, compresi gli accertamenti che costituiscono premessa di una pretesa nei confronti
della massa, anche quando siano diretti a porre
in essere il presupposto di una successiva sentenza di condanna. Ne consegue che rientrano nella
competenza inderogabile del foro fallimentare la richiesta di compensazione volta all’accertamento di un maggior credito nei confronti
del fallito da insinuare al passivo, le azioni revocatorie fallimentari ordinarie, le azioni intese a far valere diritti verso il fallito, le azioni di
annullamento seguite da domande di restituzione e quelle volte ad accertare la simulazione
(la S.C. ha così dichiarato la competenza del foro
fallimentare nell’ipotesi nella quale una società
aveva chiesto la condanna di altra società fallita
al pagamento dell’importo maturato per lavori
eseguiti in subappalto ed, inoltre, aveva proposto,
anche nei confronti della fallita, oltre che dei cessionari, richiesta di dichiarazione di inesistenza,
invalidità e simulazione sia dei crediti della fallita
nei suoi confronti, sia delle loro cessioni, nonché azione revocatoria, anche in via surrogatoria
della curatela rimasta inerte, delle cessioni e dei
pagamenti da sé effettuati). * Cass. civ., sez. III, 22
maggio 2002, n. 7510. [RV554640]
b) Casistica.
b-1) Domande ed eccezioni riconvenzionali.
l Nel giudizio di opposizione allo stato
passivo, così come disciplinato dall’art. 98 l.
fall., nel testo, utilizzabile "ratione temporis",
anteriore alle modifiche apportate dal d.lgs.
n. 5 del 2006, la relazione di dipendenza della
domanda riconvenzionale "dal titolo dedotto
in giudizio dall’attore", che giustifica la trattazione simultanea delle cause, si configura non già
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Art. 24
PARTE I: LA LEGGE FALLIMENTARE
come identità della "causa petendi" (richiedendo,
appunto, l’art. 36 c.p.c. un rapporto di mera dipendenza), ma come comunanza della situazione o del rapporto giuridico dal quale traggono
fondamento le contrapposte pretese delle parti,
ovvero come comunanza della situazione o del
rapporto giuridico sul quale si fonda la riconvenzionale con quello posto a base di una eccezione, così da delinearsi una connessione oggettiva
qualificata della domanda riconvenzionale con
l’azione o l’eccezione proposta. * Cass. civ., sez. I,
11 aprile 2016, n. 7070, Sicilcassa Spa in liquidazione coatta amministrativa c. Calogero Rinaldo.
[RV639262]
l Sono azioni derivanti dal fallimento, ai
sensi dell’art. 24 legge fall., quelle che comunque incidono sul patrimonio del fallito, compresi gli accertamenti che costituiscono premessa
di una pretesa nei confronti della massa, anche
quando siano diretti a porre in essere il presupposto di una successiva sentenza di condanna; ne
consegue che non rientra invece nella competenza funzionale del foro fallimentare, prevista dalla
predetta norma, la domanda del terzo che, volta
alla declaratoria di nullità di un contratto (nella
specie, di edizione) stipulato dalla società fallita,
abbia come scopo solo tale accertamento, sia pur
ai fini di ottenere - mediante l’inibizione ad effettuare lo sfruttamento delle opere - la libera disponibilità dei relativi diritti, non assumendo, al
riguardo, alcun rilievo che essi siano stati nel frattempo inventariati nell’attivo del fallimento, sia
perchè, comunque, in caso di nullità del contratto
la società fallita non aveva acquisito alcun diritto,
sia perchè l’art. 103 legge fall. prevede l’obbligo
di insinuare al passivo la domanda di rivendica
dei beni in possesso del fallimento, ma non che
tale forma sia da utilizzarsi per le domande di
inibitoria che non comportino anche una riconsegna dei beni. * Cass. civ., sez. I, 23 luglio 2010,
n. 17279, Caputo c. Casa Ed. Principato s.p.a. ed
altri. [RV614806]
l Qualora, nel giudizio promosso dal curatore per il recupero di un credito contrattuale
del fallito, il convenuto proponga domanda riconvenzionale diretta all’accertamento di un
proprio credito nei confronti del fallimento, derivante dal medesimo rapporto – ovvero quando,
in un processo promosso da soggetto in bonis
per ottenere il pagamento di un proprio credito,
il convenuto si costituisca e proponga domanda
riconvenzionale per il pagamento di un credito
nascente dal medesimo rapporto contrattuale e, a
seguito di suo fallimento, il curatore si costituisca
per coltivare la riconvenzionale stessa –, la sud-
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detta domanda del creditore in bonis per la quale
opera il rito speciale ed esclusivo dell’accertamento del passivo ai sensi degli artt. 93 e ss. della legge
fallimentare, deve essere dichiarata inammissibile o improcedibile nel giudizio di cognizione
ordinaria, e va eventualmente proposta con
domanda di ammissione al passivo su iniziativa del presunto creditore, mentre la domanda
proposta dalla curatela resta davanti al giudice per essa competente, che pronuncerà al
riguardo nelle forme della cognizione ordinaria.
Se dopo l’esaurimento della fase sommaria della
verifica, sia proposto dal creditore giudizio di opposizione allo stato passivo o per dichiarazione
tardiva di credito ed anche la causa promossa dal
curatore penda davanti allo stesso ufficio giudiziario, è possibile una trattazione unitaria delle
due cause nel quadro dell’art. 274 c.p.c., ove ne
ricorrano gli estremi; possibilità che sussiste anche quando le due cause siano pendenti davanti
ad uffici giudiziari diversi, potendo trovare applicazione i criteri generali in tema di connessione
se non si siano verificate preclusioni e sempre che
il giudice davanti al quale il curatore ha proposto la sua domanda non sia investito della competenza per ragioni di competenza inderogabile,
dovendo la translatio comunque aver luogo nella
sede fallimentare. Qualora non si possa giungere
a questo risultato, va verificata la sussistenza dei
requisiti per l’applicazione dell’art. 295 c.p.c., fermo restando che la sospensione deve riguardare
la causa promossa in sede ordinaria. * Cass. civ.,
Sezioni Unite, 10 dicembre 2004, n. 23077. Conforme, Cass. Sezioni Unite, 12 novembre 2004, n.
21499. Pure conformi: Cass. I, 22 maggio 2007, n.
11850; Cass. I, 27 marzo 2008, n. 7967; Cass. I, 7
febbraio 2006, n. 2602, la quale peraltro precisa
che «ove il curatore fallimentare non si limiti
a far valere la pretesa revocatoria ex art. 67 legge
fall., al solo scopo di paralizzare la contrapposta
pretesa del creditore che voglia far ammettere al
passivo un proprio credito o far riconoscere una
causa legittima di prelazione, ma proponga, nel
giudizio di opposizione allo stato passivo, una
vera e propria domanda riconvenzionale, questa è inammissibile, pur quando eventualmente
si ricolleghi al medesimo rapporto al quale ha
fatto riferimento il creditore ricorrente, atteso
che essa si fonda su di un fatto (il complemento
dell’atto revocando) – e, dunque, su di un titolo –
diverso e non dipendente da quello». Nello stesso
senso, in precedenza, le due massime che seguono. Difforme le due successive. [RV578274]
l Nel caso in cui, nel giudizio promosso dal
curatore del fallimento per il recupero di un cre-
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dito del fallito, il convenuto, invocando opposte
ragioni di credito, proponga domanda riconvenzionale, diretta ad ottenere una pronuncia
di accertamento di una pretesa obbligatoria da
far valere nel concorso collettivo, la seconda
pretesa non è, inscindibilmente con la prima,
devoluta alla cognizione di un unico giudice
(art. 36 c.p.c.) sia pure identificabile nel Tribunale
fallimentare, atteso che le pretese creditorie nei
confronti del debitore assoggettato al fallimento
non possono farsi valere nelle forme di un giudizio ordinario, ossia al di fuori del procedimento
della verificazione dei crediti in sede fallimentare
e dell’osservanza del principio di concorsualità (il
quale consente l’impugnativa del credito ammesso ai sensi dell’art. 100 L. fall.), quand’anche proposte attraverso un’azione riconvenzionale. Ne
consegue che il giudice adito deve dichiarare tale
domanda inammissibile o improponibile, senza
poter emanare una decisione di merito. * Cass.
civ., sez. I, 23 aprile 2003, n. 6475, Calzaturificio
DISA Snc c. Fall. Limont Italia Srl. [RV562428]
l Qualora, nel giudizio promosso dal curatore per il recupero di un credito del fallito, il
convenuto proponga domanda riconvenzionale diretta all’accertamento di un proprio credito
nei confronti del fallimento e per la quale non
si ponga l’esigenza di derogare, ai sensi dell’art.
36 c.p.c., alle ordinarie regole sulla competenza
(perché la domanda riconvenzionale rientri, già
in base alle regole ordinarie, nella competenza
territoriale del tribunale adito dal curatore con
la domanda principale), la trattazione unitaria
delle due cause non è imposta dall’art. 36 cit.;
ne consegue che l’improponibilità – nel giudizio
introdotto dal curatore davanti al giudice competente secondo le regole ordinarie – della riconvenzionale soggetta al rito speciale dell’accertamento del passivo fallimentare comporta,
ancorché le due cause traggano fondamento dal
medesimo titolo contrattuale, la separazione
delle cause stesse, restando quella principale
incardinata dinanzi al giudice per essa competente, ritualmente adito dal curatore, atteso che
l’esigenza del simultaneus processus né può derogare al rito speciale fallimentare, né può (al di
fuori dell’ipotesi di cui all’art. 36 cit.) sottrarre la
domanda principale al giudice che per essa sia
naturalmente competente, per devolverla, con
travisamento della struttura logica del sistema
concorsuale, al giudice fallimentare, e deve rimediarsi con l’istituto della sospensione ex art. 295
c.p.c. all’esigenza del simultaneus processus posta
dall’identità del titolo. * Cass. civ., sez. I, 10 gennaio 2003, n. 148. [RV559539]
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Art. 24
b-2) Azioni di accertamento.
l La competenza del foro fallimentare e l’applicazione del procedimento per la verificazione
del passivo devono escludersi, ai sensi di quanto
previsto dall’art. 24 legge fall. in tema di azioni reali, quando l’attore agisce al fine di ottenere
l’accertamento di un’ipoteca, la cui esistenza sia
oggetto di contestazione, e devono invece affermarsi quando l’attore agisce per far dichiarare
che il proprio credito è dotato di una peculiare
qualità giuridica, e cioè del diritto accessorio di
soddisfarsi con prelazione sugli altri creditori
concorrenti. Ne consegue che la domanda di
accertamento, nei confronti di un fallimento,
della valida costituzione di un’ipoteca su un
diritto reale limitato (nella specie, diritto di superficie) spettante al fallito, ma la cui esistenza
sia contestata, può essere introdotta tanto nelle
forme ordinarie (ove si discuta soltanto del diritto all’ipoteca e non si faccia valere, nel concorso, la prelazione che essa assicura al creditore),
tanto, alternativamente, con la richiesta di un
accertamento incidentale, anche nei confronti
del terzo proprietario, nell’eventuale giudizio
di opposizione allo stato passivo. Ove pendano
entrambi i giudizi, il primo dei quali è pregiudiziale al secondo, il risultato di un simultaneus
processus può essere raggiunto su eccezione di
parte o rilievo di ufficio, proposti nei termini previsti dall’art. 40, secondo comma, c.p.c.; in difetto
delle condizioni per un simultaneus processus, il
contrasto di giudicati può essere evitato con la sospensione del giudizio pregiudicato. * Cass. civ.,
sez. I, 3 maggio 2005, n. 9170, Marina Azzurra
Spa c. Amodio ed altri. [RV582171]
b-3) Azioni risarcitorie.
b-3-I) In genere.
l La competenza della causa di risarcimento del danno da occupazione appropriativa, nella quale l’ente pubblico convenuto abbia ottenuto
la chiamata in causa della società appaltatrice dei
lavori al solo fine di garanzia, appartiene al tribunale originariamente adito, anche in seguito
alla dichiarazione di fallimento del terzo chiamato
pronunciata da altro tribunale, atteso il carattere
autonomo e accessorio del rapporto processuale di
garanzia, riguardo al quale soltanto va dichiarata
l’improcedibilità. * Cass. civ., sez. I, 14 aprile 1999,
n. 3685, Mighela c. Regione Sardegna. [RV525357]
b-3-II) Nei confronti del creditore istante.
l L’opposizione alla dichiarazione di fallimento e l’azione di responsabilità aggravata,
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Art. 24
PARTE I: LA LEGGE FALLIMENTARE
introdotta ai sensi dell’art. 96 c.p.c., con riguardo
all’iniziativa assunta con l’istanza di fallimento,
sono legate da un nesso d’interdipendenza da cui
consegue la competenza funzionale, esclusiva
ed inderogabile del giudice della predetta opposizione su entrambe e l’improponibilità in separato
giudizio dell’azione risarcitoria. (Nella specie, la
S.C. ha confermato la pronuncia di secondo grado che aveva dichiarato inammissibile, in ordine
ad entrambe le domande, l’impugnazione proposta oltre i termini, più ristretti, previsti per l’opposizione alla dichiarazione di fallimento). * Cass.
civ., sez. I, 28 aprile 2010, n. 10230, Mega Matic
Srl c. Giani ed altro. [RV612783]
l Il Tribunale il quale rigetti, ai sensi dell’art. 22 della legge fallimentare, un’istanza di
fallimento, è competente (ed è perciò tenuto) a
provvedere in ordine alla richiesta – formulata
dal debitore – di condanna del creditore ricorrente al rimborso delle spese processuali ed al
risarcimento dei danni da responsabilità aggravata a norma dell’art. 96 c.p.c. * Cass. civ., sez.
I, 20 febbraio 2000, n. 2216. Conforme, Cass. I,
28 febbraio 2007, n. 4774, per la quale «la condanna alle spese può seguire anche in assenza di
esplicite domande, essendo una conseguenza legale della decisione della lite; non rileva a tal fine
che le ragioni dei creditori fossero sussistenti
e gli stessi abbiano di fatto conseguito il risultato
di riscuotere i crediti vantati, non essendo il procedimento di fallimento diretto ad accertare inadempienze bensì lo stato di insolvenza. (La S.C.,
nella specie, ha confermato la decisione della
Corte d’appello che aveva condannato gli istanti
al pagamento delle spese processuali, pur in assenza di domanda, rilevando l’uso “strumentale e
distorto” dell’istanza di fallimento)».
b-3-III) Nei confronti del curatore.
l In tema di responsabilità processuale aggravata (art. 96 c.p.c.) fatta valere con riferimento ad
una procedura fallimentare, la regola del simultaneus processus dinanzi al medesimo giudice
deve necessariamente applicarsi anche all’ipotesi
in cui il fallito eserciti (come nella specie) un’azione risarcitoria nei confronti del curatore,
del quale egli deduca una responsabilità per aver
prospettato al tribunale circostanze non veritiere
(nella specie, l’esistenza di una società di fatto,
così provocandone la dichiarazione di fallimento), atteso che anche in tal caso l’azione risarcitoria postula che l’affermata inesistenza delle predette circostanze (nella specie, l’inesistenza della
società di fatto) debba farsi valere contestualmente all’atto di opposizione avverso la sentenza
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dichiarativa di fallimento al fine di ottenerne la
revoca (a prescindere dalla circostanza che l’eventuale responsabilità del curatore sia, come nella
specie, più correttamente riconducibile alla violazione del principio del neminem laedere di cui
all’art. 2043 che non alla norma ex art. 96 c.p.c.),
risultando legittima la proposizione dell’azione ex
art. 96 citato in un autonomo giudizio nella sola
ipotesi (non ricorrente, all’evidenza, nella specie)
che il simultaneus processus sia precluso da ragioni attinenti alla struttura stessa del processo
e non dipendenti dall’inerzia della parte. * Cass.
civ., sez. I, 26 agosto 2002, n. 12541. [RV557103]
b-4) Azioni derivanti da contratti di compravendita.
l Rientrano nella competenza del tribunale fallimentare – normalmente incompetente in
ordine ai procedimenti in atto al momento della
dichiarazione di fallimento – le azioni nelle quali
si riscontra la necessità di seguire il rito speciale.
Pertanto, sussiste la competenza del tribunale
fallimentare, in quanto soggetta al rito speciale,
in ordine alla controversia sull’ammissione al
passivo, e la relativa graduazione, del credito
concernente la restituzione del prezzo pagato
in esecuzione di un contratto preliminare, risolto dal curatore ai sensi dell’art. 72 comma
terzo della legge fallimentare. * Cass. civ., sez. II,
21 novembre 2006, n. 24686, Curatela Fall. Gamma Srl in liq. c. Romita. [RV593823]
l L’esercizio, da parte del curatore fallimentare, della facoltà, conferitagli dall’art.
72 legge fall., di sciogliersi dal contratto preliminare di cui sia parte il fallito, ha natura
di eccezione in senso proprio nel giudizio di
esecuzione in forma specifica del contratto stesso promosso, ai sensi dell’art. 2932 c.c., dalla controparte, ed è idonea a sottrarre il rapporto oggetto della controversia al suo schema legale tipico;
sicché essa, trovando la sua genesi nel fallimento,
riconduce l’azione, nel cui ambito è espressa, nel
novero di quelle attribuite alla cognizione inderogabile del tribunale fallimentare, ai sensi
dell’art. 24 legge cit. (Nella fattispecie la S.C. ha
però escluso che la controversia fosse attratta nella competenza del foro fallimentare, riguardando
non una domanda di esecuzione del contratto
preliminare, bensì un’azione reale immobiliare –
di accertamento della proprietà in base a contratto prospettato dall’attore come contratto definitivo di compravendita – sottratta, come tale, alla
vis actractiva per espressa previsione dello stesso
art. 24 cit.). * Cass. civ., sez. I, 16 gennaio 2003, n.
582. [RV559786]
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b-5) Azioni derivanti da rapporti di locazione o di
affitto.
l La domanda revocatoria di un contratto
agrario, ai sensi dell’art. 67, legge fall., nella quale
il curatore agisce contro il preteso affittuario non
già in luogo dell’originario concedente fallito, ossia quale parte subentrata al fallito, per far accertare obblighi o diritti nascenti dal contratto o per
ottenere altre pronunce da valere tra le sole parti
contraenti, ma quale terzo, portatore degli interessi del ceto creditorio, con finalità tipicamente recuperatorie del bene al patrimonio del fallito, così
come la domanda di simulazione dello stesso contratto agrario - nella specie proposta in via principale dal curatore - in quanto anch’essa rientrante
nel novero delle azioni tendenti alla ricostruzione
del patrimonio del fallito, non configurano una
"controversia agraria", tale da attrarre la causa
nella competenza del giudice specializzato, sicché
resta ferma, sebbene ne sia oggetto un contratto di
affitto agrario stipulato dal fallito, la competenza
del tribunale fallimentare. * Cass. civ., sez. VI, 13
ottobre 2011, n. 21196, Fall. Alberti Di Catenaya
Srl c. Italsol Srl. [RV620134]
l La domanda diretta a far valere la simulazione assoluta di un contratto di affitto
agrario (o, in subordine la simulazione relativa
del canone di affitto, o, in ulteriore subordine, la
domanda di revoca del contratto medesimo ex
art. 67 legge fall.) proposta dal curatore del fallimento del concedente appartiene alla competenza funzionale del tribunale fallimentare e
non a quella della sezione specializzata agraria,
non avendo, quale suo oggetto, una controversia
agraria tale da attrarre la causa nella competenza
(altrettanto funzionale) della detta sezione specializzata. * Cass. civ., sez. III, 2 agosto 2002, n.
11637. Nello stesso senso, in un caso di ordinaria
locazione di immobili, Cass. I, 20 luglio 2004, n.
13496. [RV556600]
b-6) Azioni possessorie e provvedimenti cautelari.
l L’azione di reintegrazione nel possesso,
promossa per denunciare atti di spoglio compiuti
dal fallito prima della apertura della procedura
concorsuale, non rientra fra quelle devolute al
tribunale fallimentare (art. 24 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267), e resta affidata alla cognizione
del pretore (art. 8 c.p.c.), ove attenga a beni non
acquisiti al fallimento, né rivendicati dal curatore, atteso che, in tale ipotesi, diversamente dal
caso in cui si controverta sul possesso di beni inclusi nell’attivo fallimentare (possesso nel quale
subentra il curatore), la causa non coinvolge le
esigenze della procedura e gli interessi dei credi-
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tori. * Cass. civ., sez. I, 4 marzo 1992, n. 2590,
Zabetta c. S.p.a. Sati. Conforme, Cass. civ., sez. I,
28 luglio 1995, n. 8253.
b-7) Procedimenti d’ingiunzione.
l Con riguardo all’opposizione a decreto
ingiuntivo, il fallimento del creditore opposto,
nei cui confronti sia stata proposta dall’opponente domanda riconvenzionale, non comporta
l’improcedibilità del giudizio di opposizione e la rimessione dell’intera controversia al
giudice in sede fallimentare, dovendo il giudice
dell’opposizione trattenere e decidere su questa
e disporre la rimessione della sola domanda riconvenzionale dinanzi al giudice delegato al fallimento, previa separazione dei due procedimenti,
salva la possibilità di sospensione del giudizio di
opposizione qualora la definizione della riconvenzionale si presenti come pregiudiziale rispetto
alla decisione dell’opposizione. * Cass. civ., sez. I,
16 dicembre 1993, n. 12436, Proietti c. Fallimento
Tessitura Nobili e De Ponti sas di Luigi Nobili.
b-8) Opposizione all’esecuzione.
l La competenza a conoscere della opposizione alla esecuzione forzata promossa dall’imprenditore in bonis che in corso di giudizio sia
stato ammesso alla procedura dell’amministrazione straordinaria non spetta funzionalmente
al Tribunale che abbia dichiarato lo stato di
insolvenza, posto che non ricorre l’applicabilità
né dell’art. 51 della legge fallimentare, né dell’art.
24 della stessa legge, trattandosi di una azione
preesistente alla dichiarazione di insolvenza e
sulla cui prosecuzione non influiscono le regole
della concorsualità. * Cass. civ., sez. I, 21 febbraio
2001, n. 2487.
b-9) Controversie di lavoro e previdenziali.
b-9-I) In genere.
l Esula dalla competenza funzionale del
tribunale fallimentare, ai sensi dell’art. 24 R.D.
16 marzo 1942, n. 267, ed è, invece, devoluta alla
cognizione del giudice del lavoro, la controversia
instaurata dal lavoratore che, senza avanzare
pretese creditorie, chieda solo l’accertamento
del proprio rapporto di lavoro, non risolto dal
fallimento, alle dipendenze della società dichiarata fallita, dovendo, per contro, essere fatta valere in sede fallimentare una siffatta domanda,
quando essa costituisca solo la premessa per ottenere, nello stesso giudizio, vantaggi patrimoniali
di natura retributiva o risarcitoria. (Nella specie,
la S.C. ha dichiarato la competenza del tribunale fallimentare). * Cass. civ., sez. lav., 18 giugno
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Art. 24
PARTE I: LA LEGGE FALLIMENTARE
2004, n. 11439. Nello stesso senso: Cass. lav., 17
febbraio 1988, n. 1716; Cass. lav., 18 agosto 1999,
n. 8708. [RV573741]
b-9-II) Questioni attinenti al licenziamento.
l Ove il lavoratore abbia agito in giudizio
chiedendo, con la dichiarazione di illegittimità
o inefficacia del licenziamento, la reintegrazione nel posto di lavoro nei confronti del datore di
lavoro dichiarato fallito, permane la competenza
funzionale del giudice del lavoro, in quanto la domanda proposta non è configurabile come mero
strumento di tutela di diritti patrimoniali da far
valere sul patrimonio del fallito, ma si fonda anche sull’interesse del lavoratore a tutelare la sua
posizione all’interno della impresa fallita, sia per
l’eventualità della ripresa dell’attività lavorativa
(conseguente all’esercizio provvisorio ovvero alla
cessione dell’azienda, o a un concordato fallimentare), sia per tutelare i connessi diritti non patrimoniali, ed i diritti previdenziali, estranei all’esigenza della "par condicio creditorum". * Cass. civ.,
sez. lav., 29 marzo 2011, n. 7129, Curatela Fall
149/02 Nip Nuova Iniziati c. Ridolfi. [RV616561]
l Le domande proposte dal lavoratore, una
volta intervenuto il fallimento del datore di lavoro, per veder riconoscere il proprio credito e il
relativo grado di prelazione, devono essere proposte, come insinuazione nello stato passivo,
non dinanzi al giudice del lavoro, ma dinanzi
al Tribunale fallimentare il cui accertamento è
l’unico titolo idoneo per l’ammissione allo stato
passivo e per il riconoscimento di eventuali diritti
di prelazione, sopravvivendo la giurisdizione del
lavoro nella sola ipotesi dell’impugnativa del licenziamento (principio affermato in controversia
in cui il lavoratore aveva proposto domanda incentrata sull’obbligo di ripristino delle mansioni
precedenti in funzione del risarcimento del danno da dequalificazione, con condanna della controparte alle differenze relative e al risarcimento
del danno alla salute). * Cass. civ., sez. lav., 14
settembre 2007, n. 19248, Migotto c. Fall. Imm.
Beretich di Thomas Mc Phail. [RV599284]
l Nel caso in cui il lavoratore abbia agito in
giudizio per ottenere la declaratoria di illegittimità o inefficacia del licenziamento e l’ordine di
reintegrazione nel posto di lavoro, il sopravvenuto fallimento del datore di lavoro non fa venir
meno la competenza del giudice del lavoro in
ordine a dette domande ed il loro accoglimento non è precluso dalla eventuale ammissione
del lavoratore allo stato passivo del fallimento
per il credito per il trattamento di fine rapporto, sia in quanto tra dette domande e la domanda
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di ammissione al passivo sussiste una diversità di
causa petendi e di petitum, sia in quanto quest’ultima non implica rinunzia all’impugnazione del
licenziamento, il quale, sino a quando non sia stato annullato, ovvero dichiarato nullo o inefficace,
estingue il rapporto, facendo sorgere il diritto del
lavoratore al trattamento di fine rapporto. * Cass.
civ., sez. lav., 3 marzo 2003, n. 3129. [RV560803]
b-9-III) Cause in materia di contributi previdenziali.
l La domanda di «regolarizzazione» della
posizione contributiva proposta nei confronti di
un datore di lavoro dichiarato fallito appartiene,
come le altre domande aventi contenuto patrimoniale, alla competenza del tribunale fallimentare,
e va fatta valere nei modi e nelle forme previsti
dagli artt. 93 e seguenti della legge fallimentare.
(Nella specie, la S.C., nel regolare la competenza,
non ha ritenuto rilevante che fosse stato convenuto in giudizio anche l’Inps, poiché la domanda
non era stata proposta contro tale istituto, ma
solo nel contraddittorio con il medesimo). * Cass.
civ., sez. lav., 17 aprile 1998, n. 3924, Paparella c.
Inps. [RV514582]
b-9-IV) Rapporti di agenzia.
l La competenza del pretore in funzione
di giudice del lavoro, ai sensi dell’art. 409 n. 3
c.p.c., in ordine alla controversia fra società
assicuratrice ed agente, relativa al pagamento,
da parte di quest’ultimo, delle differenze fra le
somme lorde incassate e quelle spettantigli a titolo di provvigione, non trova deroga (in favore
del tribunale fallimentare) per il fatto che tale
società sia in liquidazione coatta amministrativa, atteso che l’art. 24 della legge fallimentare
non è applicabile a tale procedura; per contro,
con riguardo a pretesa creditoria verso l’impresa
sottoposta a liquidazione coatta amministrativa,
si verifica una situazione d’improponibilità o – se
proposta – d’improseguibilità della domanda fino
a quando il credito stesso non sia fatto valere nella fase amministrativa di verificazione dello stato
passivo davanti ai competenti organi della procedura. * Cass. civ., sez. lav., 14 agosto 1998, n.
8007. Conforme, sulla prima parte della massima,
Cass. civ., sez. lav., 9 giugno 1990, n. 5616.
b-9-V) Giudizio di appello.
l Nella controversia inerente a credito di lavoro, la competenza, quale giudice d’appello,
del tribunale nel cui circondario ha sede il pretore che ha reso la sentenza impugnata, non
trova deroga, a seguito della sopravvenienza
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del fallimento del datore di lavoro, in favore del
diverso tribunale che ha dichiarato tale fallimento. * Cass. civ., sez. lav., 2 febbraio 1988, n. 1005,
Chiocca c. Soc. Sitel.
b-9-VI) Sospensione feriale dei termini.
l La circostanza che una controversia relativa all’accertamento di un credito di lavoro sia
stata, nel caso concreto, attratta nella speciale competenza prevista dall’art. 24 della legge
fallimentare non è di ostacolo all’applicazione
dell’art. 3 della L. 7 ottobre 1969, n. 742 al
termine per la proposizione del ricorso per cassazione avverso la sentenza della corte di appello
avente ad oggetto l’accertamento suddetto, con la
conseguenza che tale termine non è soggetto alla
sospensione feriale. * Cass. civ., sez. lav., 2 ottobre
1991, n. 10267, Caravaggio c. Curatela del fallimento della spa Hettermarks Italiana.
b-10) Condebitori solidali.
l Il fallimento del debitore principale non
comporta l’attrazione nella competenza del
tribunale fallimentare anche della causa promossa dal creditore nei confronti del fideiussore
del fallito, stante il carattere solidale della responsabilità di quest’ultimo e l’autonomia dell’azione
di pagamento proposta nei suoi confronti rispetto
a quella proponibile nei confronti del predetto
debitore. * Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 2011, n.
4464, Castro Novo S.r.l. ed altri c. Banca Napoli
S.p.a. ed altri. [RV616757]
l L’improcedibilità del giudizio fra il creditore ed uno dei condebitori in solido, determinata dal fallimento del secondo, non impedisce che il giudizio prosegua nei confronti degli
altri condebitori "in bonis" nella sede ordinaria,
ivi compresa quella derivante dalla competenza
per materia del giudice del lavoro, che pure non
deroga alla "vis attractiva" del tribunale fallimentare, ferma la permanenza della giurisdizione del
lavoro anche rispetto al fallito, ove nei suoi confronti sia proposta domanda di dichiarazione di
illegittimità del licenziamento. (Nella specie una
domanda di condanna al pagamento di spettanze
retributive era stata proposta in via solidale contro due società, deducendosi che era intervenuto
tra di esse un trasferimento d’azienda, e nel corso
del giudizio la supposta cedente era stata dichiarata fallita). * Cass. civ., sez. lav., 2 febbraio 2010,
n. 2411, Klik Spa c. Pontillo ed altro. [RV611627]
l In tema di obbligazioni solidali, la regola dell’improcedibilità nella sede ordinaria della
domanda di adempimento e della conseguente attrazione a quella fallimentare, ai sensi dell’art. 24
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Art. 24
legge fall., non trova applicazione in caso di sopravvenuto fallimento di uno dei condebitori,
allorché contro tale soggetto non sia svolta alcuna
domanda volta ad ottenere un titolo per partecipare al concorso e, dunque, il creditore possa proseguire il giudizio verso il condebitore "in bonis".
(Principio affermato dalla S.C. con riguardo alla
responsabilità in capo al cessionario, ex art. 2560
c.c., per i debiti dell’azienda cedutagli dal cedente
poi fallito, situazione peraltro qualificabile come
fonte di solidarietà impropria, cioè relativa a rapporti eziologicamente ricollegati a fonti diverse).
* Cass. civ., sez. III, 3 dicembre 2009, n. 25403,
Tessitrama Spa c. Tintea Spa ed altri. [RV611073]
l In tema di competenza in ordine alle controversie aventi ad oggetto l’accertamento dei crediti
nei confronti di un soggetto poi dichiarato fallito, ove l’attore, a tutela della propria situazione
soggettiva, faccia valere in giudizio l’esistenza
di una obbligazione solidale per l’adempimento
di una medesima prestazione (sì da poter richiedere l’adempimento per l’intero a ciascuno degli
obbligati solidali), ed uno dei condebitori venga
dichiarato fallito, l’esistenza di un unico interesse, cui non può che corrispondere un unico
diritto, rende operativa la vis attractiva ex art.
24 legge fall., con conseguente spostamento
della competenza presso il tribunale fallimentare
anche della controversia relativa al rapporto corrente tra il creditore ed il condebitore non fallito,
diversamente da quanto accade in presenza delle
obbligazioni solidali di garanzia. * Cass. civ., sez.
lav., 23 luglio 2004, n. 13875. [RV574928]
l Non essendo configurabile un litisconsorzio
tra condebitori solidali, deve escludersi che dal
vincolo di solidarietà passiva possa derivare
la sottrazione alla competenza del giudice fallimentare dell’accertamento del debito nei confronti del condebitore fallito. * Cass. civ., Sezioni
Unite, 10 aprile 1965, n. 629.
b-11) Revocatoria fallimentare e altre azioni a tutela del fallimento.
l Qualora il convenuto in revocatoria fallimentare sia dichiarato fallito nelle more del
giudizio, tale giudizio prosegue davanti al foro
del pregresso fallimento, in cui il curatore ha
proposto la domanda revocatoria, atteso che il
conflitto ravvisabile tra l’art. 24 L. fall. (secondo
cui il tribunale che ha dichiarato il fallimento è
competente a conoscere delle azioni che ne derivano) e l’art. 52 L. fall. (per il quale, aperto il
fallimento, ogni credito deve essere accertato
secondo le norme previste per la insinuazione
e la verificazione dello stato passivo) deve esse-
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PARTE I: LA LEGGE FALLIMENTARE
re risolto nel senso che, mentre il tribunale che
ha dichiarato il fallimento del debitore che ha
compiuto l’atto pregiudizievole ai creditori resta competente a decidere l’inefficacia (o meno)
dell’atto, le pronunzie di pagamento o di restituzione, conseguenziali alla dichiarazione d’inefficacia, competono al tribunale che ha dichiarato
il fallimento del terzo, secondo le modalità stabilite per l’accertamento del passivo e dei diritti
dei terzi. Questo principio è del pari applicabile
anche nel caso che il convenuto in revocatoria sia
assoggettato a liquidazione coatta amministrativa per il rinvio contenuto nell’art. 201, comma 1,
all’art. 52, comma 2, L. fall. * Cass. civ., sez. I, 30
agosto 1994, n. 7583, Banca Credito Campano c.
Fallimento Spa Ing. Ugo Bergamini e C. Impianti.
b-12) Controversie tributarie.
l Nelle controversie aventi ad oggetto la contestazione di un credito per imposte dirette
sul reddito, il tribunale fallimentare non può
accertare la intervenuta sanatoria prevista dall’art. 21 D.L. 2 marzo 1989 n. 69, conv. in L. 27
aprile 1989 n. 154, e conseguentemente escludere
tale credito dal passivo, atteso che la controversia
sul punto, concernendo l’esistenza attuale, o l’inesistenza, del credito stesso in relazione all’essersi, o non, verificato l’effetto estintivo disciplinato
dall’art. 21 anzi citato, appartiene in via esclusiva,
ai sensi dell’art. 1 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n.
636, alle Commissioni Tributarie. Pertanto, qualora venga dedotta l’estinzione del credito per la
ragione su indicata, il tribunale fallimentare, una
volta accertata la sussistenza del titolo (iscrizione
a ruolo) per l’insinuazione del credito, deve limitarsi ad ammettere lo stesso al passivo, ai sensi
del secondo comma dell’art. 45 D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, con riserva dell’esito della contestazione davanti alle Commissioni Tributarie. *
Cass. civ., Sezioni Unite, 13 novembre 1997, n.
11214. Conforme, Cass. V, 3 aprile 2006, n. 7791.
l La questione circa l’assoggettabilità o
meno del curatore del fallimento all’obbligo
di operare ritenute in acconto sull’Irpef, con
riguardo a liquidazioni effettuate in favore di dipendenti o professionisti per prestazioni svolte
nel corso della procedura concorsuale, non può
essere definita dal tribunale fallimentare,
nell’ambito delle contestazioni insorte avverso
l’insinuazione al passivo del relativo credito tributario richiesta dall’esattore delle imposte dirette,
perché implica l’insorgere di una causa pregiudiziale, la quale attiene al rapporto d’imposta, e,
quindi, spetta alla cognizione delle commissioni
tributarie. * Cass. civ., Sezioni Unite, 24 agosto
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88
1989, n. 3754, II. DD. Casalgra. c. Soc. Rimas.
Conforme, Cass. civ., Sezioni Unite, 3 ottobre
1989, n. 3963.
b-13) Ipotesi varie.
l Sono devolute alla competenza del tribunale fallimentare, ai sensi dell’art. 24 legge fall., le
controversie che traggano origine o fondamento nel fallimento, rientrando tra queste anche le
azioni del curatore volte a far dichiarare l’inopponibilità alla massa del contratto di locazione
immobiliare stipulato dal fallito a norma dell’art.
2923 c.c. ovvero la risoluzione del medesimo contratto ai sensi dell’art. 80 legge fall., in deroga alla
previsione di cui agli artt. 21 e 447 bis c.p.c.. * Cass.
civ., sez. VI, 15 luglio 2015, n. 14844, Cofim Srl c.
Fallimento Costruzioni Stradali Sas. [RV635941]
l Le questioni concernenti l’autorità giudiziaria dinanzi alla quale va introdotta una pretesa
creditoria nei confronti di un debitore dichiarato
fallito, anche se impropriamente formulate in termini di competenza, sono in realtà questioni di
rito; pertanto, qualora una domanda sia diretta
a far valere, nelle forme ordinarie, una pretesa
creditoria soggetta al regime del concorso fallimentare, il giudice erroneamente adito è tenuto
a dichiarare non la propria incompetenza, ma
l’inammissibilità, l’improcedibilità o l’improponibilità della domanda, siccome proposta secondo
un rito diverso da quello previsto come necessario dalla legge, quindi inidonea a conseguire una
pronuncia di merito, configurando detta questione una vicenda "litis ingressus impediens",
concettualmente distinta dalla incompetenza,
che deve essere esaminata e rilevata dal giudice
di merito prima ed indipendentemente dall’esame della questione di competenza che, eventualmente, concorra con essa. (Fattispecie relativa a
domanda di condanna al pagamento di crediti pecuniari derivante dal rapporto di lavoro nei confronti di un imprenditore fallito). * Cass. civ., sez.
lav., 2 agosto 2011, n. 16867, Russo c. Fallimento
Adaltis Italia s.p.a. ed altro. [RV618952]
l Quando nel corso di un giudizio arbitrale una delle parti costituite venga dichiarata
fallita prima della deliberazione e della sottoscrizione del lodo e il curatore faccia valere con
l’impugnazione del dictum arbitrale tale circostanza, chiedendo l’improcedibilità del giudizio,
il giudice di merito deve dichiarare tale improcedibilità per la vis attractiva della legge fall. che determina la improcedibilità delle pretese fatte valere nei procedimenti pendenti al momento della
dichiarazione di fallimento. * Cass. civ., sez. I, 4
settembre 2004, n. 17891. [RV576708]
30/03/17 17:10
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R.D. 16 marzo 1942, n. 267
l Il cedente è litisconsorte necessario nella
controversia tra debitore ceduto e cessionario
allorché il debitore chieda una pronuncia diretta
a stabilire quale sia, tra il cessionario e il cedente,
l’effettivo e unico titolare del credito; ne consegue che, ove il cedente sia dichiarato fallito
e la curatela contesti l’opponibilità al fallimento
della intervenuta cessione o, in subordine, deduca
la revocabilità della stessa, la controversia de qua
rientra nella vis attractiva del tribunale fallimentare, funzionalmente competente ai sensi dell’art.
24 legge fallimentare. * Cass. civ., sez. I, 13 luglio
2004, n. 12972. [RV578210]
c) Procedure di liquidazione coatta amministrativa e assimilate.
c-1) In genere.
l In sede arbitrale non possono essere fatte
valere ragioni di credito vantate verso una parte
sottoposta ad amministrazione straordinaria,
giacché l’effetto attributivo della cognizione agli
arbitri, proprio del compromesso o della clausola
compromissoria, è in ogni caso (si tratti, cioè, di
arbitrato rituale o di arbitrato irrituale) paralizzato dal prevalente effetto, prodotto dal fallimento
o dalla apertura della procedura di amministrazione straordinaria, dell’avocazione dei giudizi,
aventi ad oggetto l’accertamento di un credito verso l’impresa sottoposta alla procedura concorsuale, allo speciale, ed inderogabile, procedimento di
verificazione dello stato passivo. * Cass. civ., sez.
I, 17 febbraio 2011, n. 3918, Ecomed S.r.l. c. F.lli
Lombardi S.p.a. in amm. straord. [RV617088]
l Nell’ipotesi di società collegate ovvero
ammesse alla procedura dell’amministrazione
straordinaria per estensione, ai sensi dell’art. 3,
L. 3 aprile 1979, n. 95, la competenza a conoscere delle liti promosse, da (o) nei confronti dell’impresa controllata in amministrazione straordinaria, appartiene al tribunale che per primo ha
dichiarato lo stato di insolvenza di una delle
società del gruppo stesso, affidata al medesimo
organo giudiziario che abbia accertato l’insolvenza della prima di esse. * Cass. civ., sez. I, 11
novembre 1992, n. 12114, Spa Adda Officine Elettrotecniche e Meccaniche c. Sa Alsthom ed altro.
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Art. 24
c-2) Rapporti di lavoro.
l Una volta aperta la procedura di liquidazione coatta amministrativa, sulla domanda proposta dall’agente nei confronti della impresa
di assicurazioni sottoposta alla procedura
per la condanna al pagamento di somme relative al rapporto di agenzia, il giudice del lavoro
è temporaneamente carente di giurisdizione,
spettando al commissario liquidatore di provvedere, in via amministrativa, all’accertamento
dei crediti vantati verso la società in liquidazione
coatta amministrativa. (Nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C., aveva esaminato un’eccezione riconvenzionale proposta
dall’agente, non avendo formato oggetto di motivo di gravame la sentenza di primo grado per la
parte in cui, pur essendo la domanda nei confronti della società temporaneamente improcedibile,
aveva deciso anche in ordine al credito vantato
dall’agente nei confronti della società stessa, già
sottoposta a liquidazione coatta amministrativa). * Cass. civ., sez. lav., 8 aprile 2004, n. 6917.
[RV571965]
c-3) Assicurazione sulla responsabilità civile.
l Il difetto temporaneo di giurisdizione
del giudice ordinario, circa le pretese creditorie
nei confronti di impresa sottoposta a liquidazione
coatta amministrativa, per improponibilità della
relativa domanda fino a quando il credito non sia
passato al vaglio degli organi preposti alla fase
amministrativa di verificazione del passivo (salva l’eccezione stabilita dall’art. 95, terzo comma
della legge fallimentare per l’ipotesi in cui sia stata pronunciata sentenza), deve essere affermato
anche nel caso di controversie promosse contro compagnie assicuratrici, ove, non vertendosi in tema di assicurazione obbligatoria della
responsabilità civile derivante dalla circolazione
dei veicoli a motore e dei natanti, non siano invocabili le deroghe previste, con esclusivo riguardo
a tale assicurazione obbligatoria, dagli artt. 19 e
25 della L. 24 dicembre 1969, n. 990 e dagli artt. 9
e 13 del D.L. 23 dicembre 1976, n. 857 (convertito
in L. 26 febbraio 1977, n. 39). * Cass. civ., Sezioni
Unite, 10 febbraio 1987, n. 1399, Soc. San Giorgio c. Scotti.
30/03/17 17:10
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