.
A
58 Z
p.
Parte seconda - La produzione - Prezzi e mercati
2.Il progresso tecnico
S.
La curva prima disegnata è di tipo statico: descrive le possibilità tecnologiche aperte
all’impresa in un certo momento. Ma col passare del tempo la gamma delle alternative
tecnologiche si amplia, grazie all’applicazione di nuove scoperte scientifiche. In questo
caso la funzione di produzione sarà spostata verso l’alto: infatti, sarà possibile ottenere
una quantità maggiore di prodotto con un minore impiego di fattori produttivi.
br
i
Si noti che da un punto di vista economico occorre distinguere l’innovazione dall’invenzione: solo nel
momento in cui quest’ultima viene effettivamente applicata al processo produttivo si ha innovazione
e dunque un progresso tecnico.
3.La divisione del lavoro
Es
se
li
Si è discusso a lungo sulla riduzione dell’occupazione causata dal progresso tecnico (automazione della produzione, maggiore produttività dei macchinari).
A questo proposito occorre distinguere fra effetti transitori ed effetti di lungo periodo. Nel
breve periodo, senza dubbio, l’introduzione di nuove tecniche produttive provoca una
diminuzione della domanda di lavoro. Nel lungo periodo, però, occorre tener conto del
nuovo lavoro richiesto per la costruzione delle macchine che hanno sostituito il lavoro
dell’uomo e della diminuzione dei costi di produzione derivanti dal risparmio ottenuto
dall’utilizzo di una quantità maggiore di macchine (con relativa diminuzione dei prezzi
delle merci a vantaggio dei consumatori).
©
Una delle prime forme con cui si è presentato il progresso tecnico nel corso dei secoli è
stata la divisione tecnica del lavoro. In una celebre pagina della Ricchezza delle nazioni,
Adam SMITH esalta la specializzazione del lavoro portando ad esempio la fabbricazione
degli spilli.
Egli dimostrò come la divisione tecnica del lavoro permettesse un aumento di abilità dell’operaio, un
utilizzo più razionale delle risorse, un risparmio di tempo ed una riduzione dei costi.
ig
ht
La specializzazione sempre più spinta dei processi produttivi, però, rende il lavoro dell’operaio più monotono e produce fenomeni di alienazione poiché il lavoratore è costretto a
compiere sempre la medesima azione elementare. Solo negli ultimi anni, grazie all’avvento
di robots, cui sono affidati i lavori più monotoni e stressanti, il taylorismo è stato superato.
yr
4.La produttività
C
op
La produttività è il rapporto fra prodotto ottenuto e fattori impiegati. Ogni fattore della produzione ha una propria produttività, che può essere misurata lasciando invariata le quantità
degli altri fattori produttivi. È possibile distinguere fra produttività totale, media e marginale.
La produttività totale è il contributo complessivo di un certo fattore al processo produttivo.
La produttività media è il rapporto fra prodotto totale e quantità del fattore produttivo
considerato.
.
br
i
S.
p.
Il prodotto marginale, invece, o produttività marginale è la quantità di prodotto addizionale che si ottiene impiegando un’unità di fattore in più rispetto a quelle già impiegate.
La produttività marginale ponderata, infine, è data dal rapporto fra la produttività marginale di un fattore ed il suo prezzo.
In particolare, la produttività marginale è caratterizzata da:
1. iniziale aumento. In un primo tempo, successivi aumenti di un fattore consentono di
utilizzare meglio tutti gli altri fattori produttivi rimasti immutati dando luogo ad incrementi del prodotto totale per valori sempre maggiori;
2. successiva decrescenza e arresto. Oltre un certo limite, l’accrescimento del prodotto
sarà minore, in proporzione, dell’accrescimento del fattore produttivo, finché giungerà il momento in cui un ulteriore aumento del fattore non produrrà alcun incremento
di prodotto, non potendosi combinare con la necessaria dose degli altri fattori.
A
Z 59
Capitolo 3 - La funzione della produzione e la produttività
li
Approfondimento 1
La relazione tra produttività totale, media e marginale
se
OUTPUT
C
Es
B
PT
INPUT (lavoro)
ht
O
©
A
ig
OUTPUT
C
op
yr
D
E
PM
O
F
Pma
INPUT (lavoro)
.
A
60 Z
p.
Parte seconda - La produzione - Prezzi e mercati
se
li
br
i
S.
Nel grafico è descritto l’andamento della produttività totale, media e marginale ipotizzando che muti l’impiego di un solo fattore produttivo (il lavoro) fermo restando gli altri (materie prime, macchinari, impianti).
La produttività totale è il contributo complessivo che il lavoro dà all’output finale.
La produttività media è il rapporto tra l’output finale e la quantità di lavoro impiegata.
La produttività marginale è la quantità di prodotto addizionale ottenuta impiegando un’unità in più
del lavoro.
La curva della produttività totale è convessa fino al punto A; ciò significa che nel tratto OA all’aumentare dell’impiego del lavoro il prodotto totale cresce velocemente. A partire dal punto A la
curva PT diviene concava; ciò indica che all’aumentare della quantità di lavoro utilizzata il prodotto totale cresce ma in misura minore. Nel punto C il prodotto totale raggiunge il suo massimo dopodiché inizia a decrescere. La curva PT mostra un’importante legge economica: la legge dei
rendimenti decrescenti.
La curva della produttività media ha lo stesso andamento campanulare della curva Pma e raggiunge il suo massimo nel punto E.
La curva della produttività marginale cresce nel tratto in cui la curva PT è convessa. Ciò indica che
le prime unità addizionali del lavoro hanno l’effetto di incrementare il prodotto totale in modo più
che proporzionale.
Nel punto D la curva Pma raggiunge il suo massimo, dopodiché inizia a decrescere e diviene
nulla quando la curva PT raggiunge il suo massimo.
5.L’isoquanto della produzione
Es
Se su un diagramma riportiamo due fattori produttivi (ad es. capitale e lavoro) è possibile
ottenere una curva, data dalle diverse combinazioni A, B, C, dei due fattori, lungo la quale è possibile scegliere tra combinazioni diverse dei fattori considerati che danno però la
stessa quantità di prodotto (vedi figura 2).
©
K
A
3
ht
Capitale
ig
yr
op
I3
C
1
0
I4
B
2
0,9
1,2
2,6
I2
I1
N
Lavoro
Fig. 2 - L’isoquanto
C
Questa curva è detta isoquanto e, così come le curve di indifferenza, è convessa verso
l’origine degli assi: infatti, se si vuole diminuire la quantità di uno dei fattori produttivi,
.
S.
p.
lasciando tuttavia inalterata la produzione globale, occorrerà aumentare la quantità impiegata dell’altro fattore produttivo.
Ovviamente, a diversi livelli di produzione corrispondono diversi isoquanti: più bassa è
la produzione, più vicino all’origine è l’isoquanto.
A
Z 61
Capitolo 3 - La funzione della produzione e la produttività
5.1 Il saggio marginale di sostituzione tecnica
br
i
Il saggio marginale di sostituzione tecnica è dato dal rapporto tra le variazioni nella quantità impiegata di un fattore produttivo e le variazioni nella quantità dell’altro fattore produttivo, volendo mantenere costante il prodotto totale. Esso, dunque, misura la pendenza
della curva di isoquanto.
L − ΔL +K + ΔK = X
li
Supposto che la medesima quantità X di un determinato bene è ottenibile mediante diverse combinazioni dei fattori produttivi L (fattore lavoro) e K (fattore capitale) è possibile variare la combinazione
L +K in modo da ottenere comunque la stessa quantità X. Ad esempio riducendo il fattore L e aumentando il fattore K, avremo:
−
se
Il rapporto tra l’incremento del fattore capitale e la diminuzione del fattore lavoro
ΔK
ΔL
rappresenta il saggio marginale di sostituzione di questi due fattori della produzione.
Es
Se indichiamo con PmaK la produttività marginale del fattore K e con PmaL la produttività marginale del
fattore L
PmaK ΔK
rappresenta l’aumento di produzione dovuto ad un maggiore utilizzo del fattore capitale e
©
−PmaK ΔL
il minor contributo alla produzione del fattore lavoro.
ht
Poiché in ogni punto dell’isoquanto le due grandezze dovranno bilanciarsi per poter ottenere la medesima quantità di prodotto, avremo che:
PmaK ΔK = −PmaL ΔL
ig
Dalla formula precedente si ottiene che:
−
ΔK PmaL
=
ΔL PmaK
C
op
yr
Dunque, il saggio marginale di sostituzione è uguale al rapporto inverso tra la produttività marginale
del capitale e quella del lavoro:
−
PmaL
PmaK
.
A
62 Z
p.
Parte seconda - La produzione - Prezzi e mercati
6.L’isocosto
S.
Mentre la curva dell’isoquanto della produzione mostra le combinazioni tecnicamente
possibili tra due fattori produttivi, tenendo costante la quantità di prodotto finale che si
vuole ottenere, l’isocosto della produzione consente di conoscere (dati i prezzi dei fattori
produttivi e la somma da investire nel loro acquisto) le diverse combinazioni acquistabili dei due fattori produttivi.
Combinazione
Unità di lavoro
A
B
C
D
E
F
5
4
3
2
1
0
br
i
Esempio: supponiamo che i due fattori di produzione siano il lavoro e il capitale, che il costo di un’unità di lavoro sia  10, il costo di un’unità di capitale sia  20 e la somma disponibile per l’imprenditore
sia  50. Quest’ultimo potrà scegliere una delle seguenti combinazioni:
Unità di capitale
Costo
50
50
50
50
50
50
se
li
0
0,5
1
1,5
2
2,5
Rappresentiamo graficamente la situazione (figura 3):
K
Quantità di 2,5
capitale
Es
R
2
©
1,5
1
ig
ht
0,5
0
R'
1
2
3
4
Quantità di lavoro
5
L
Fig. 3 - L’isocosto
C
op
yr
La retta RRʹ è detta funzione dell’isocosto e rappresenta le diverse combinazioni dei fattori produttivi che per l’impresa comportano lo stesso costo.
La pendenza di tale retta è data dal rapporto inverso dei prezzi dei fattori (nel nostro caso
P
da L ).
PK
.
p.
A
Z 63
Capitolo 3 - La funzione della produzione e la produttività
7. L’equilibrio del produttore e l’ottima combinazione dei fattori produttivi
S.
Nella scelta della migliore combinazione produttiva, l’imprenditore è vincolato dalla
funzione dell’isocosto ovvero dalla sua capacità di spesa. In tali circostanze, la combinazione che rende massima la quantità del prodotto a parità di spesa è quella che realizza
l’eguaglianza fra le produttività marginali ponderate dei singoli fattori.
Rappresentiamo graficamente la situazione:
i
K
br
Quantità
di
capitale
li
A1
A
I3
I2
I1
se
K1
L
L1
Quantità di lavoro
Es
O
Fig. 4 - L’equilibrio del produttore
ht
©
L’imprenditore otterrà la massima produzione possibile nel punto A, il quale è il punto di tangenza tra il suo
vincolo di bilancio (o funzione dell’isocosto) e l’isoquanto I2. Infatti, egli potrebbe anche scegliere la combinazione di K e L rappresentata dal punto A1, anch’esso compatibile con la funzione dell’isocosto; ma in questo
caso la quantità prodotta sarebbe inferiore in quanto tale punto è situato sull’isoquanto I1, inferiore ad I2.
Essendo A il punto di tangenza tra l’isoquanto I2 e l’isocosto, in esso la pendenza delle due curve è
P
uguale: ricordando che la pendenza dell’isoquanto è uguale al saggio marginale di sostituzione maL
PmaK
⎛P ⎞
e che la pendenza dell’isocosto è uguale al rapporto inverso tra i prezzi dei due fattori ⎜ L ⎟ avremo:
⎝ PK ⎠
=
ig
PmaL
PmaK
K
↑
yr
saggio marginale di sostituzione,
ovvero pendenza dell’isoquanto
⎛ PL ⎞
⎜⎝ P ⎟⎠
↑
=
rapporto tra i prezzi, ovvero
pendenza dell’isocosto
op
che, con alcuni passaggi matematici, può essere scritta come:
PmaL PmaK
=
PL
PK
C
che rappresenta, appunto, la condizione di uguaglianza delle produttività marginali ponderate.
.
A
64 Z
p.
Parte seconda - La produzione - Prezzi e mercati
S.
Esempio: se l’imprenditore calcola che la produttività marginale del lavoro è 20, quella delle materie
prime 15 e quella del macchinario 25, cercherà di variare l’impiego di questi fattori produttivi fino ad
ottenere la stessa produttività marginale ponderata. Se il lavoro costa 4, le materie prime 3 ed il mac20 15 25
chinario 5 egli raggiungerà l’ottimo quando
(eguaglianza delle produttività ponderate).
=
=
4
3
3
SCHEMA RIASSUNTIVO
relazione fra il flusso di bene prodotto (output) e il flusso di fattori produttivi
immessi nel processo di produzione (input) nell’unità di tempo
Progresso tecnico
qualsiasi innovazione che permette di ottenere una quantità maggiore di
prodotto con un minore impiego di fattori produttivi
Divisione del lavoro
assegnazione ad ogni lavoratore di un compito preciso nel processo di
produzione
li
br
i
Funzione
della produzione
contributo complessivo di un certo fattore al
processo produttivo
se
totale
rapporto fra prodotto totale e quantità del fattore produttivo utilizzato
media
Produttività
Es
marginale
marginale ponderata
quantità di prodotto addizionale che si ottiene
impiegando un’ulteriore unità di fattore
rapporto fra la produttività marginale di un
fattore ed il suo costo
curva dei punti che rappresentano le diverse combinazioni di due fattori,
combinazioni che assicurano lo stesso prodotto totale
Saggio marginale
di sostituzione
è il rapporto fra le produttività marginali di due fattori
ht
©
Isoquanto
curva delle combinazioni possibili di due fattori, dato il loro costo
Isocosto
quella che realizza l’eguaglianza fra le produttività marginali ponderate dei
singoli fattori
ig
Ottima combinazione
dei fattori
Questionario
yr
1.Che tipo di relazione indica la funzione di produzione?
(par. 1)
op
2.In che modo il progresso tecnico influenza la funzione di produzione?
C
(par. 2)
.
p.
3.Chi è il primo economista che ha messo in evidenza l’importanza della divisione
tecnica del lavoro?
S.
(par. 3)
4.Perché la produttività marginale è decrescente?
(par. 4)
5.Che cos’è la produttività totale?
(par. 5)
br
6.Perché l’isoquanto è, generalmente, decrescente?
i
(par. 4)
7.Cosa misura il saggio marginale di sostituzione tecnica?
li
(par. 5.1)
8.Che cos’è un isocosto?
se
(par. 6)
9.Da quale rapporto è misurata la pendenza dell’isocosto?
(par. 6)
Es
10. Quali sono le condizioni che determinano l’equilibrio del produttore?
op
yr
ig
ht
©
(par. 7)
C
A
Z 65
Capitolo 3 - La funzione della produzione e la produttività
C
op
yr
ig
ht
©
Es
se
li
br
i
S.
p.
A
.
.
A
Z costi di produzione
S.
Capitolo 4 I
p.
Parte secondaLa produzione - Prezzi e mercati
Sommario Z 1. Introduzione. - 2. I costi fissi e i costi variabili. - 3. Il costo medio e il costo
li
br
i
marginale. - 3.1 L’andamento del costo medio. - 3.2 L’andamento del costo
marginale. - 3.3 Rapporto fra l’andamento del costo marginale e del costo medio.
- 4. Diversità del costo medio fra le imprese. - 5. Le economie interne ed esterne. - 6. Le economie di scala e le dimensioni aziendali. - Schema riassuntivo.
1.Introduzione
Es
se
Il termine costo, nel suo significato più ampio, indica il sacrificio che il soggetto deve
affrontare per procurarsi i beni necessari al soddisfacimento dei propri bisogni.
Più in particolare, si definisce costo di produzione l’insieme di tutte le spese che l’impresa deve sopportare per ottenere una certa quantità di prodotto.
2.I costi fissi e i costi variabili
Il costo totale di produzione è composto da costi fissi (o costanti) e costi variabili:
Ct = Cf + Cv
yr
ig
ht
©
I costi fissi sono quelli il cui ammontare non varia al variare della quantità di prodotti
ottenuta. Essi cioè devono essere sostenuti anche se la quantità prodotta è pari a zero. Così
se un’impresa acquista un macchinario per svolgere la sua attività economica, dovrà comunque sostenere i costi della sua manutenzione anche se per un imprevisto ha dovuto
ritardare l’avvio della produzione. L’ammontare dei costi fissi quindi non varia; ciò che
invece cambia è la loro incidenza sul costo totale delle unità prodotte.
Sono costi fissi le quote di ammortamento delle macchine, le spese di affitto etc.
I costi variabili sono quelli il cui ammontare varia al variare della quantità prodotta. Ciò significa che se l’impresa produce zero unità di un bene, i costi variabili sono anch’essi pari a zero.
Sono costi variabili quelli sostenuti per l’acquisto di materie prime, semilavorati, spese
amministrative.
C
op
Il rapporto tra costi fissi e costi variabili è diverso nei vari settori industriali. L’incidenza dei costi fissi
è altissima in tutte le industrie tecnologicamente più avanzate (siderurgiche, idroelettriche, chimiche
etc.); è invece minore nelle industrie manifatturiere.
La differenza fra costi fissi e costi variabili può essere più agevolmente compresa servendosi della
rappresentazione grafica. In figura 1 sull’asse delle ascisse è riportata la quantità prodotta e sull’asse
delle ordinate i costi. La curva del costo fisso (Cf) è una retta parallela all’asse delle ascisse poiché
.
A
68 Z
p.
Parte seconda - La produzione - Prezzi e mercati
C
S.
non varia al variare della produzione. La curva del costo variabile (Cv) parte dall’origine — perché se
la produzione è pari a zero anche i Cv sono pari a zero — e cresce all’aumentare della produzione ad
un ritmo prima crescente e poi decrescente a causa delle economie interne (vedi par. 6).
Ct
i
Costi
br
Cv
li
Cf
O
Q
se
Quantità prodotta
Fig. 1 - Le funzioni dei costi di produzione
Es
La somma verticale delle curve dei costi fissi e dei costi variabili dà luogo alla curva del costo totale (Ct).
3.Il costo medio e il costo marginale
©
Se il costo totale viene diviso per il numero di unità prodotte, si ottiene il costo medio (o
unitario). Ovviamente, il costo medio comprende sia i costi fissi che i costi variabili.
Ct
Costo medio =
X
ht
Esempio: se la produzione di 100 cappelli costa  1.000, il costo medio di ciascun cappello è 1.000:100 = 10.
ig
Il costo marginale, invece, è il costo dell’ultima unità prodotta, ovvero l’incremento che
subisce il costo totale quando la produzione aumenta di un’unità. In simboli il costo marginale può essere espresso come:
ΔCt
Costo marginale =
ΔX
yr
dove ΔCt indica l’incremento del costo totale e ΔX l’incremento della quantità prodotta.
C
op
Per variazioni infinitesime della quantità prodotta il costo marginale è pari alla derivata
prima del costo totale:
dCt
Cma =
dX
Poiché i costi fissi non variano al variare della quantità prodotta, tale incremento è imputabile unicamente all’aumento dei costi variabili.
.
p.
3.1 L’andamento del costo medio
S.
La curva del costo medio presenta un caratteristico andamento a «U», poiché il costo medio
è dapprima decrescente, quindi quasi costante e poi crescente rispetto alla quantità prodotta.
C
li
br
CM
i
Costo
O
Q
se
Quantità prodotta
Fig. 2 - La funzione del costo medio
Es
L’iniziale decrescenza del costo medio è dovuta al fatto che il costo totale comprende anche le
spese fisse rimaste immutate (impianto); queste spese fisse si ripartiscono su un sempre maggiore numero di unità del prodotto ottenuto, determinando una diminuzione del costo medio.
La successiva crescita del costo medio consegue all’aumento ulteriore del volume di
produzione. Infatti, se si continua ad accrescere l’impiego di mano d’opera e di materie
prime lasciando invariata la capacità dell’impianto produttivo aumenterà l’incidenza dei
costi variabili sui costi fissi provocando un aumento dei costi medi.
©
3.2 L’andamento del costo marginale
ht
Anche il costo marginale ha un caratteristico andamento ad «U» in quanto esso è strettamente legato all’andamento della produttività marginale dei fattori produttivi.
C
Costo
ig
Cma
yr
op
C
O
A
Z 69
Capitolo 4 - I costi di produzione
Quantità prodotta
Q
Fig. 3 - La funzione del costo marginale
.
A
70 Z
Parte seconda - La produzione - Prezzi e mercati
i
S.
p.
Inizialmente il costo marginale ha un andamento decrescente poiché utilizzando per lo
stesso impianto unità addizionali di fattori produttivi (che in questa fase iniziale hanno
una produttività marginale crescente), l’impianto stesso viene meglio utilizzato: basta,
quindi, una spesa sempre più esigua per l’acquisto di fattori produttivi per ottenere unità
addizionali di prodotto a costo sempre più basso.
Successivamente, il decrescere della produttività marginale dei fattori immessi nel processo produttivo comporta un incremento delle spese (mano d’opera, materie prime etc.)
che occorre sostenere per ottenere ulteriori unità di prodotto e ciò provoca una crescita del
costo marginale.
br
3.3 Rapporto fra l’andamento del costo marginale e del costo medio
li
La curva del costo marginale (Cma) e quella del costo medio (CM) possono essere rappresentate insieme su un grafico.
C
Costi
CM
Es
se
Cma
P
A
©
O
Q'
Quantità prodotta
Q
ht
Fig. 4 - Costo medio e costo marginale
C
op
yr
ig
Fino ad un certo quantitativo di prodotto, sia il costo medio che il costo marginale «decrescono» con l’aumentare del volume di produzione.
Il CM decresce, però, più lentamente del Cma: questo perché il CM comprende anche i
costi fissi i quali rallentano la discesa. Infatti, per le prime quantità di prodotto ottenute
ogni unità sopporta sia il costo della parte di impianto sfruttata sia il costo della parte non
ancora utilizzata.
Al contrario, il Cma, del quale fanno parte solamente i costi variabili, non subisce l’influenza frenante dei costi fissi non sfruttati e decresce «più velocemente».
Mentre il costo medio continua a diminuire, aumentando la quantità prodotta, il Cma
inizia ad aumentare per la decrescenza della produttività marginale ed è inevitabile che ad
un certo punto i costi unitari si trovino allo stesso livello.
La «coincidenza» del CM con il Cma si avrà nel punto di minimo del CM (punto di fuga,
il punto P nella figura 4).
.
S.
p.
Anche il ritmo di crescita dei costi è diverso:
— il Cma subisce, per elevati volumi di produzione, l’effetto della decrescenza della
produttività marginale e si eleva rapidamente;
— il CM si eleva meno rapidamente. Infatti, nella sua ascesa subisce l’effetto mitigante
del minor costo delle unità di prodotto anteriori all’ultima.
A
Z 71
Capitolo 4 - I costi di produzione
i
Il punto in cui il costo medio è minimo ed incontra il costo marginale è detto punto di fuga,
perché se il prezzo di un prodotto dovesse scendere al di sotto di esso, l’impresa sarebbe
costretta ad abbandonare il mercato.
4.Diversità del costo medio fra le imprese
li
br
La quantità OQ', inoltre, viene prodotta al costo medio minimo, e cioè in condizioni di ottimo tecnico
poiché l’impresa utilizzerà l’impianto nel modo migliore. Non è però detto che questo livello di produzione sia quello ottimale. Scopo dell’impresa, infatti, è massimizzare il profitto ed essa, pertanto (come
si vedrà in seguito) potrà scegliere anche un livello di produzione diverso: non sempre l’ottimo tecnico
coincide con l’ottimo economico.
se
Come è intuibile l’entità e l’andamento del costo medio non è uguale per tutte le imprese,
anzi in taluni casi esso differisce anche tra imprese che operano nello stesso settore. Ciò
può dipendere dalla diversa abilità con cui vengono combinati i fattori produttivi.
Es
Infatti, non tutti gli imprenditori che agiscono in un dato ramo produttivo hanno la capacità organizzativa, ossia la capacità di realizzare la combinazione produttiva più conveniente, che consente di
produrre a costi medi più bassi.
Altri fattori da cui può dipendere la diversità dei costi medi sono:
ht
©
— la diversa qualità dei fattori produttivi disponibili per ogni impresa (qualità delle materie prime,
addestramento degli operai, terre più o meno fertili etc.);
— le diverse dimensioni delle imprese, che permettono di realizzare economie di scala di diversa
entità;
— le caratteristiche del sistema produttivo di cui l’impresa fa parte: se l’impresa fa parte di un ramo
molto sviluppato, potrà ottenere a buone condizioni i fattori produttivi occorrenti, reperire numerosi lavoratori specializzati in quel ramo etc.
— la posizione geografica delle imprese, che influisce soprattutto sulle spese di trasporto.
ig
La diversità dei costi medi fra le imprese permette, inoltre, di distinguere imprese marginali ed imprese inframarginali. L’impresa marginale è quella che, rispetto ad una data
merce e in un certo periodo di tempo, ha il costo medio più alto di tutte le imprese del
settore.
yr
Questa impresa, che consegue il profitto più basso, è teoricamente la prima destinata a scomparire
in caso di riduzione della domanda complessiva e, quindi, dei prezzi di mercato.
C
op
Le imprese inframarginali, invece, sono quelle che producono ad un costo unitario medio più basso di quello dell’impresa marginale; rispetto a quest’ultima esse godono di un
più alto grado di «resistenza» sul mercato.
.
A
72 Z
p.
Parte seconda - La produzione - Prezzi e mercati
5.Le economie interne ed esterne
br
i
S.
Le imprese possono migliorare la produttività attraverso una più razionale utilizzazione
dei mezzi a loro disposizione (economie). Si distinguono:
— le economie interne: dovute alla migliore o più proficua organizzazione del processo
produttivo conseguente ad una più razionale divisione del lavoro, con l’impiego di
macchine più specializzate e perfezionate e con tecnici dotati di maggiore esperienza;
— le economie esterne: dovute al progresso generale delle tecnologie, al perfezionamento
dei mezzi di trasporto, dei servizi bancari e commerciali, all’efficienza e prossimità delle
infrastrutture, alla maggiore sicurezza nelle relazioni internazionali e all’agglomerazione
di attività complementari in una stessa località (zone industriali e «poli di sviluppo»).
se
li
Sia le economie interne che quelle esterne hanno come risultato la riduzione dei costi medi a beneficio delle imprese.
Va notato che non sempre le attività produttive apportano solo benefici effetti esterni. Spesso, al
contrario, le imprese danno luogo alle cosiddette «diseconomie esterne» poiché, nello svolgimento
della propria attività, arrecano danni e fastidi alla collettività. Un esempio tipico di esternalità negativa
è dato dal fumo o dal rumore di una fabbrica che danneggia coloro che abitano nelle vicinanze di essa.
6.Le economie di scala e le dimensioni aziendali
©
Es
Le economie di scala sono vantaggi economici realizzati grazie alle grandi dimensioni
delle imprese.
Più precisamente si hanno economie di scala quando il costo medio unitario di produzione
decresce all’aumentare della capacità produttiva dell’impresa considerata (impianto, stabilimento, e così via). Se ci si riferisce all’aumento della produzione in senso stretto, ovvero
all’aumento delle dimensioni dell’impianto, si parla di economie di scala tecnologiche; se
invece si fa riferimento alla riduzione dei costi aziendali si parla di economie di gestione.
Nel grafico abbiamo rappresentato quanto sin qui detto.
C
op
yr
ig
ht
CM
Economie
di scala
O
Diseconomie
di scala
dimensione
ottima
Fig. 5 - Le economie di scala
Impianto
.
p.
La tendenza alla crescita delle dimensioni delle imprese è un fenomeno alquanto complesso perché influenzato da molteplici cause, fra loro collegate.
A
Z 73
Capitolo 4 - I costi di produzione
S.
L’economista britannica Joan Violet ROBINSON (1903-1983) ne individua cinque: le forze tecniche
(macchinari, impianti etc.); le forze direzionali (managerial forces); le forze finanziarie (capitali); le
forze promozionali (marketing); le forze della sopravvivenza (cioè le riserve economiche che tendono
a preservare l’impresa dai rischi e dalle fluttuazioni della congiuntura).
br
i
In generale, mentre il progresso tecnico opera in senso favorevole all’aumento della dimensione degli impianti, altre forze concorrono a moderare questa tendenza limitando la
piena utilizzazione delle economie di scala.
La società occidentale ha conosciuto uno sviluppo accentuato delle grandi imprese industriali, anche multinazionali.
Nella «piccola» impresa ciò non è possibile perché, essendo esiguo il volume totale di produzione
gli operai terminerebbero le singole operazioni loro assegnate in breve tempo e rimarrebbe del
tempo inutilizzato prima di passare ad altre operazioni:
Es
se
li
Esaminiamo in questo paragrafo alcuni fattori che influenzano la scelta di tale dimensione
produttiva:
— accentramento di risorse produttive e organizzative. La concentrazione di tutto il
processo produttivo in una sola azienda permette di utilizzare al meglio tutti i fattori
produttivi disponibili (terra, lavoro, capitale); in tal modo si permette una più razionale organizzazione del ciclo produttivo e lo sfruttamento di sinergie;
— divisione tecnica del lavoro. Il processo di produzione è suddiviso in operazioni elementari, affidate a distinti operai.
yr
ig
ht
©
— sconto nell’acquisto di materie prime. Le aziende di grandi dimensioni acquistando
ingenti quantitativi di materie prime ottengono dai fornitori sconti nel pagamento ed
alcune facilitazioni collaterali (spese di trasporto gratuite etc.);
— condizioni privilegiate per il finanziamento. Le grandi imprese, che assumono di regola la forma giuridica di società per azioni, possono ottenere più facilmente crediti
bancari rispetto alle piccole imprese, sia perché possono sopportare le spese necessarie,
sia perché le banche conoscono le loro dimensioni e il loro giro d’affari;
— possibilità di usufruire del progresso tecnico. La grande impresa spesso dispone di un
proprio staff di ricercatori e può destinare alla ricerca scientifica notevoli mezzi finanziari; in tal modo è in grado di procedere ad innovazioni e miglioramenti nella qualità
del prodotto.
Costo totale
di produzione
insieme di tutte le spese che l’impresa deve sopportare per ottenere una
certa quantità di prodotto
Composizione
del costo totale
di produzione
costi fissi
quelli il cui ammontare assoluto non varia col mutare
della quantità prodotta
costi variabili
quelli che variano col mutare della quantità prodotta
op
C
SCHEMA RIASSUNTIVO
.
A
74 Z
p.
Parte seconda - La produzione - Prezzi e mercati
è il rapporto fra costo totale di produzione e numero di unità prodotte
Costo marginale
è il costo dell’ultima unità prodotta
Diversità
del costo medio
tra le imprese
diversa capacità imprenditoriale
diversa qualità dei fattori produttivi
diverse dimensioni delle imprese
caratteristiche del sistema produttivo
diversa posizione geografica
Economie
interne
esterne
Economie di scala
vantaggi economici che scaturiscono dalla crescita delle dimensioni aziendali
li
br
i
S.
Costo medio
Questionario
se
1.Come può definirsi il costo di produzione?
(par. 1)
2.Perché la curva dei costi fissi non parte dall’origine degli assi?
Es
(par. 2)
3.Perché la curva dei costi variabili parte dall’origine degli assi?
(par. 2)
4.Perché la curva del costo medio è inizialmente decrescente?
©
(par. 3.1)
5.Perché la curva del costo marginale ad un certo punto incomincia a crescere?
ht
(par. 3.2)
6.Cosa significa l’espressione «punto di fuga»?
(par. 3.3)
ig
7.Cosa sono le economie interne?
(par. 5)
8.Cosa sono le economie di scala?
C
op
yr
(par. 6)
.
A
Z
S.
Capitolo 5 L’offerta
p.
Parte secondaLa produzione - Prezzi e mercati
Sommario Z 1. Introduzione. - 2. Legge dell’offerta e curva statica dell’offerta. - 3. Traspo-
br
i
sizioni della curva dell’offerta. - 4. L’elasticità dell’offerta e sua misurazione. - 4.1
L’elasticità dell’offerta nel breve e nel lungo periodo. - 5. L’offerta di mercato.
- Schema riassuntivo.
li
1.Introduzione
se
L’offerta è la quantità di un bene o servizio che i produttori sono disposti a cedere ad un
determinato prezzo e in una determinata unità di tempo.
Con la teoria dell’offerta si costruisce uno schema del comportamento dei venditori all’atto dello scambio, mettendo in evidenza il legame esistente fra le variazioni dell’offerta e
le oscillazioni del prezzo di un bene.
Es
Come nella teoria della domanda, anche per quella dell’offerta si segue il metodo della ricerca dell’equilibrio parziale: cioè si assume il prezzo del bene come variabile indipendente e la quantità offerta come
funzione del prezzo, a parità di ogni altra variabile.
©
La quantità di moneta che un venditore richiede per cedere la merce è detta prezzo di
offerta.
A chi vende conviene offrire tante unità di una merce finché il suo prezzo d’offerta si
adegua al prezzo vigente nel mercato.
ht
Esempio: se il prezzo a cui un produttore è disposto a cedere un determinato bene (prezzo d’offerta)
è di  50 ed il prezzo di mercato è di  49 il produttore non avrà convenienza a vendere; viceversa,
se il prezzo di mercato è superiore al prezzo d’offerta (ad esempio  52) il produttore troverà convenienza a vendere una o più unità della merce.
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2.Legge dell’offerta e curva statica dell’offerta
C
op
yr
L’osservazione empirica consente di rilevare con regolarità quasi costante che l’offerta di
una merce aumenta tutte le volte che il suo prezzo tende a crescere, mentre diminuisce se
il suo prezzo tende a ridursi.
Dall’osservazione della realtà si trae dunque una «legge» secondo la quale «la quantità
offerta varia in relazione diretta al cambiamento del prezzo: aumentando il prezzo, aumenta l’offerta e viceversa».
Questa legge può essere espressa mediante un grafico, in cui la curva dell’offerta SS1
rappresenta la quantità di merce che si offre sul mercato ai vari prezzi.