. A 58 Z p. Parte seconda - La produzione - Prezzi e mercati 2.Il progresso tecnico S. La curva prima disegnata è di tipo statico: descrive le possibilità tecnologiche aperte all’impresa in un certo momento. Ma col passare del tempo la gamma delle alternative tecnologiche si amplia, grazie all’applicazione di nuove scoperte scientifiche. In questo caso la funzione di produzione sarà spostata verso l’alto: infatti, sarà possibile ottenere una quantità maggiore di prodotto con un minore impiego di fattori produttivi. br i Si noti che da un punto di vista economico occorre distinguere l’innovazione dall’invenzione: solo nel momento in cui quest’ultima viene effettivamente applicata al processo produttivo si ha innovazione e dunque un progresso tecnico. 3.La divisione del lavoro Es se li Si è discusso a lungo sulla riduzione dell’occupazione causata dal progresso tecnico (automazione della produzione, maggiore produttività dei macchinari). A questo proposito occorre distinguere fra effetti transitori ed effetti di lungo periodo. Nel breve periodo, senza dubbio, l’introduzione di nuove tecniche produttive provoca una diminuzione della domanda di lavoro. Nel lungo periodo, però, occorre tener conto del nuovo lavoro richiesto per la costruzione delle macchine che hanno sostituito il lavoro dell’uomo e della diminuzione dei costi di produzione derivanti dal risparmio ottenuto dall’utilizzo di una quantità maggiore di macchine (con relativa diminuzione dei prezzi delle merci a vantaggio dei consumatori). © Una delle prime forme con cui si è presentato il progresso tecnico nel corso dei secoli è stata la divisione tecnica del lavoro. In una celebre pagina della Ricchezza delle nazioni, Adam SMITH esalta la specializzazione del lavoro portando ad esempio la fabbricazione degli spilli. Egli dimostrò come la divisione tecnica del lavoro permettesse un aumento di abilità dell’operaio, un utilizzo più razionale delle risorse, un risparmio di tempo ed una riduzione dei costi. ig ht La specializzazione sempre più spinta dei processi produttivi, però, rende il lavoro dell’operaio più monotono e produce fenomeni di alienazione poiché il lavoratore è costretto a compiere sempre la medesima azione elementare. Solo negli ultimi anni, grazie all’avvento di robots, cui sono affidati i lavori più monotoni e stressanti, il taylorismo è stato superato. yr 4.La produttività C op La produttività è il rapporto fra prodotto ottenuto e fattori impiegati. Ogni fattore della produzione ha una propria produttività, che può essere misurata lasciando invariata le quantità degli altri fattori produttivi. È possibile distinguere fra produttività totale, media e marginale. La produttività totale è il contributo complessivo di un certo fattore al processo produttivo. La produttività media è il rapporto fra prodotto totale e quantità del fattore produttivo considerato. . br i S. p. Il prodotto marginale, invece, o produttività marginale è la quantità di prodotto addizionale che si ottiene impiegando un’unità di fattore in più rispetto a quelle già impiegate. La produttività marginale ponderata, infine, è data dal rapporto fra la produttività marginale di un fattore ed il suo prezzo. In particolare, la produttività marginale è caratterizzata da: 1. iniziale aumento. In un primo tempo, successivi aumenti di un fattore consentono di utilizzare meglio tutti gli altri fattori produttivi rimasti immutati dando luogo ad incrementi del prodotto totale per valori sempre maggiori; 2. successiva decrescenza e arresto. Oltre un certo limite, l’accrescimento del prodotto sarà minore, in proporzione, dell’accrescimento del fattore produttivo, finché giungerà il momento in cui un ulteriore aumento del fattore non produrrà alcun incremento di prodotto, non potendosi combinare con la necessaria dose degli altri fattori. A Z 59 Capitolo 3 - La funzione della produzione e la produttività li Approfondimento 1 La relazione tra produttività totale, media e marginale se OUTPUT C Es B PT INPUT (lavoro) ht O © A ig OUTPUT C op yr D E PM O F Pma INPUT (lavoro) . A 60 Z p. Parte seconda - La produzione - Prezzi e mercati se li br i S. Nel grafico è descritto l’andamento della produttività totale, media e marginale ipotizzando che muti l’impiego di un solo fattore produttivo (il lavoro) fermo restando gli altri (materie prime, macchinari, impianti). La produttività totale è il contributo complessivo che il lavoro dà all’output finale. La produttività media è il rapporto tra l’output finale e la quantità di lavoro impiegata. La produttività marginale è la quantità di prodotto addizionale ottenuta impiegando un’unità in più del lavoro. La curva della produttività totale è convessa fino al punto A; ciò significa che nel tratto OA all’aumentare dell’impiego del lavoro il prodotto totale cresce velocemente. A partire dal punto A la curva PT diviene concava; ciò indica che all’aumentare della quantità di lavoro utilizzata il prodotto totale cresce ma in misura minore. Nel punto C il prodotto totale raggiunge il suo massimo dopodiché inizia a decrescere. La curva PT mostra un’importante legge economica: la legge dei rendimenti decrescenti. La curva della produttività media ha lo stesso andamento campanulare della curva Pma e raggiunge il suo massimo nel punto E. La curva della produttività marginale cresce nel tratto in cui la curva PT è convessa. Ciò indica che le prime unità addizionali del lavoro hanno l’effetto di incrementare il prodotto totale in modo più che proporzionale. Nel punto D la curva Pma raggiunge il suo massimo, dopodiché inizia a decrescere e diviene nulla quando la curva PT raggiunge il suo massimo. 5.L’isoquanto della produzione Es Se su un diagramma riportiamo due fattori produttivi (ad es. capitale e lavoro) è possibile ottenere una curva, data dalle diverse combinazioni A, B, C, dei due fattori, lungo la quale è possibile scegliere tra combinazioni diverse dei fattori considerati che danno però la stessa quantità di prodotto (vedi figura 2). © K A 3 ht Capitale ig yr op I3 C 1 0 I4 B 2 0,9 1,2 2,6 I2 I1 N Lavoro Fig. 2 - L’isoquanto C Questa curva è detta isoquanto e, così come le curve di indifferenza, è convessa verso l’origine degli assi: infatti, se si vuole diminuire la quantità di uno dei fattori produttivi, . S. p. lasciando tuttavia inalterata la produzione globale, occorrerà aumentare la quantità impiegata dell’altro fattore produttivo. Ovviamente, a diversi livelli di produzione corrispondono diversi isoquanti: più bassa è la produzione, più vicino all’origine è l’isoquanto. A Z 61 Capitolo 3 - La funzione della produzione e la produttività 5.1 Il saggio marginale di sostituzione tecnica br i Il saggio marginale di sostituzione tecnica è dato dal rapporto tra le variazioni nella quantità impiegata di un fattore produttivo e le variazioni nella quantità dell’altro fattore produttivo, volendo mantenere costante il prodotto totale. Esso, dunque, misura la pendenza della curva di isoquanto. L − ΔL +K + ΔK = X li Supposto che la medesima quantità X di un determinato bene è ottenibile mediante diverse combinazioni dei fattori produttivi L (fattore lavoro) e K (fattore capitale) è possibile variare la combinazione L +K in modo da ottenere comunque la stessa quantità X. Ad esempio riducendo il fattore L e aumentando il fattore K, avremo: − se Il rapporto tra l’incremento del fattore capitale e la diminuzione del fattore lavoro ΔK ΔL rappresenta il saggio marginale di sostituzione di questi due fattori della produzione. Es Se indichiamo con PmaK la produttività marginale del fattore K e con PmaL la produttività marginale del fattore L PmaK ΔK rappresenta l’aumento di produzione dovuto ad un maggiore utilizzo del fattore capitale e © −PmaK ΔL il minor contributo alla produzione del fattore lavoro. ht Poiché in ogni punto dell’isoquanto le due grandezze dovranno bilanciarsi per poter ottenere la medesima quantità di prodotto, avremo che: PmaK ΔK = −PmaL ΔL ig Dalla formula precedente si ottiene che: − ΔK PmaL = ΔL PmaK C op yr Dunque, il saggio marginale di sostituzione è uguale al rapporto inverso tra la produttività marginale del capitale e quella del lavoro: − PmaL PmaK . A 62 Z p. Parte seconda - La produzione - Prezzi e mercati 6.L’isocosto S. Mentre la curva dell’isoquanto della produzione mostra le combinazioni tecnicamente possibili tra due fattori produttivi, tenendo costante la quantità di prodotto finale che si vuole ottenere, l’isocosto della produzione consente di conoscere (dati i prezzi dei fattori produttivi e la somma da investire nel loro acquisto) le diverse combinazioni acquistabili dei due fattori produttivi. Combinazione Unità di lavoro A B C D E F 5 4 3 2 1 0 br i Esempio: supponiamo che i due fattori di produzione siano il lavoro e il capitale, che il costo di un’unità di lavoro sia 10, il costo di un’unità di capitale sia 20 e la somma disponibile per l’imprenditore sia 50. Quest’ultimo potrà scegliere una delle seguenti combinazioni: Unità di capitale Costo 50 50 50 50 50 50 se li 0 0,5 1 1,5 2 2,5 Rappresentiamo graficamente la situazione (figura 3): K Quantità di 2,5 capitale Es R 2 © 1,5 1 ig ht 0,5 0 R' 1 2 3 4 Quantità di lavoro 5 L Fig. 3 - L’isocosto C op yr La retta RRʹ è detta funzione dell’isocosto e rappresenta le diverse combinazioni dei fattori produttivi che per l’impresa comportano lo stesso costo. La pendenza di tale retta è data dal rapporto inverso dei prezzi dei fattori (nel nostro caso P da L ). PK . p. A Z 63 Capitolo 3 - La funzione della produzione e la produttività 7. L’equilibrio del produttore e l’ottima combinazione dei fattori produttivi S. Nella scelta della migliore combinazione produttiva, l’imprenditore è vincolato dalla funzione dell’isocosto ovvero dalla sua capacità di spesa. In tali circostanze, la combinazione che rende massima la quantità del prodotto a parità di spesa è quella che realizza l’eguaglianza fra le produttività marginali ponderate dei singoli fattori. Rappresentiamo graficamente la situazione: i K br Quantità di capitale li A1 A I3 I2 I1 se K1 L L1 Quantità di lavoro Es O Fig. 4 - L’equilibrio del produttore ht © L’imprenditore otterrà la massima produzione possibile nel punto A, il quale è il punto di tangenza tra il suo vincolo di bilancio (o funzione dell’isocosto) e l’isoquanto I2. Infatti, egli potrebbe anche scegliere la combinazione di K e L rappresentata dal punto A1, anch’esso compatibile con la funzione dell’isocosto; ma in questo caso la quantità prodotta sarebbe inferiore in quanto tale punto è situato sull’isoquanto I1, inferiore ad I2. Essendo A il punto di tangenza tra l’isoquanto I2 e l’isocosto, in esso la pendenza delle due curve è P uguale: ricordando che la pendenza dell’isoquanto è uguale al saggio marginale di sostituzione maL PmaK ⎛P ⎞ e che la pendenza dell’isocosto è uguale al rapporto inverso tra i prezzi dei due fattori ⎜ L ⎟ avremo: ⎝ PK ⎠ = ig PmaL PmaK K ↑ yr saggio marginale di sostituzione, ovvero pendenza dell’isoquanto ⎛ PL ⎞ ⎜⎝ P ⎟⎠ ↑ = rapporto tra i prezzi, ovvero pendenza dell’isocosto op che, con alcuni passaggi matematici, può essere scritta come: PmaL PmaK = PL PK C che rappresenta, appunto, la condizione di uguaglianza delle produttività marginali ponderate. . A 64 Z p. Parte seconda - La produzione - Prezzi e mercati S. Esempio: se l’imprenditore calcola che la produttività marginale del lavoro è 20, quella delle materie prime 15 e quella del macchinario 25, cercherà di variare l’impiego di questi fattori produttivi fino ad ottenere la stessa produttività marginale ponderata. Se il lavoro costa 4, le materie prime 3 ed il mac20 15 25 chinario 5 egli raggiungerà l’ottimo quando (eguaglianza delle produttività ponderate). = = 4 3 3 SCHEMA RIASSUNTIVO relazione fra il flusso di bene prodotto (output) e il flusso di fattori produttivi immessi nel processo di produzione (input) nell’unità di tempo Progresso tecnico qualsiasi innovazione che permette di ottenere una quantità maggiore di prodotto con un minore impiego di fattori produttivi Divisione del lavoro assegnazione ad ogni lavoratore di un compito preciso nel processo di produzione li br i Funzione della produzione contributo complessivo di un certo fattore al processo produttivo se totale rapporto fra prodotto totale e quantità del fattore produttivo utilizzato media Produttività Es marginale marginale ponderata quantità di prodotto addizionale che si ottiene impiegando un’ulteriore unità di fattore rapporto fra la produttività marginale di un fattore ed il suo costo curva dei punti che rappresentano le diverse combinazioni di due fattori, combinazioni che assicurano lo stesso prodotto totale Saggio marginale di sostituzione è il rapporto fra le produttività marginali di due fattori ht © Isoquanto curva delle combinazioni possibili di due fattori, dato il loro costo Isocosto quella che realizza l’eguaglianza fra le produttività marginali ponderate dei singoli fattori ig Ottima combinazione dei fattori Questionario yr 1.Che tipo di relazione indica la funzione di produzione? (par. 1) op 2.In che modo il progresso tecnico influenza la funzione di produzione? C (par. 2) . p. 3.Chi è il primo economista che ha messo in evidenza l’importanza della divisione tecnica del lavoro? S. (par. 3) 4.Perché la produttività marginale è decrescente? (par. 4) 5.Che cos’è la produttività totale? (par. 5) br 6.Perché l’isoquanto è, generalmente, decrescente? i (par. 4) 7.Cosa misura il saggio marginale di sostituzione tecnica? li (par. 5.1) 8.Che cos’è un isocosto? se (par. 6) 9.Da quale rapporto è misurata la pendenza dell’isocosto? (par. 6) Es 10. Quali sono le condizioni che determinano l’equilibrio del produttore? op yr ig ht © (par. 7) C A Z 65 Capitolo 3 - La funzione della produzione e la produttività C op yr ig ht © Es se li br i S. p. A . . A Z costi di produzione S. Capitolo 4 I p. Parte secondaLa produzione - Prezzi e mercati Sommario Z 1. Introduzione. - 2. I costi fissi e i costi variabili. - 3. Il costo medio e il costo li br i marginale. - 3.1 L’andamento del costo medio. - 3.2 L’andamento del costo marginale. - 3.3 Rapporto fra l’andamento del costo marginale e del costo medio. - 4. Diversità del costo medio fra le imprese. - 5. Le economie interne ed esterne. - 6. Le economie di scala e le dimensioni aziendali. - Schema riassuntivo. 1.Introduzione Es se Il termine costo, nel suo significato più ampio, indica il sacrificio che il soggetto deve affrontare per procurarsi i beni necessari al soddisfacimento dei propri bisogni. Più in particolare, si definisce costo di produzione l’insieme di tutte le spese che l’impresa deve sopportare per ottenere una certa quantità di prodotto. 2.I costi fissi e i costi variabili Il costo totale di produzione è composto da costi fissi (o costanti) e costi variabili: Ct = Cf + Cv yr ig ht © I costi fissi sono quelli il cui ammontare non varia al variare della quantità di prodotti ottenuta. Essi cioè devono essere sostenuti anche se la quantità prodotta è pari a zero. Così se un’impresa acquista un macchinario per svolgere la sua attività economica, dovrà comunque sostenere i costi della sua manutenzione anche se per un imprevisto ha dovuto ritardare l’avvio della produzione. L’ammontare dei costi fissi quindi non varia; ciò che invece cambia è la loro incidenza sul costo totale delle unità prodotte. Sono costi fissi le quote di ammortamento delle macchine, le spese di affitto etc. I costi variabili sono quelli il cui ammontare varia al variare della quantità prodotta. Ciò significa che se l’impresa produce zero unità di un bene, i costi variabili sono anch’essi pari a zero. Sono costi variabili quelli sostenuti per l’acquisto di materie prime, semilavorati, spese amministrative. C op Il rapporto tra costi fissi e costi variabili è diverso nei vari settori industriali. L’incidenza dei costi fissi è altissima in tutte le industrie tecnologicamente più avanzate (siderurgiche, idroelettriche, chimiche etc.); è invece minore nelle industrie manifatturiere. La differenza fra costi fissi e costi variabili può essere più agevolmente compresa servendosi della rappresentazione grafica. In figura 1 sull’asse delle ascisse è riportata la quantità prodotta e sull’asse delle ordinate i costi. La curva del costo fisso (Cf) è una retta parallela all’asse delle ascisse poiché . A 68 Z p. Parte seconda - La produzione - Prezzi e mercati C S. non varia al variare della produzione. La curva del costo variabile (Cv) parte dall’origine — perché se la produzione è pari a zero anche i Cv sono pari a zero — e cresce all’aumentare della produzione ad un ritmo prima crescente e poi decrescente a causa delle economie interne (vedi par. 6). Ct i Costi br Cv li Cf O Q se Quantità prodotta Fig. 1 - Le funzioni dei costi di produzione Es La somma verticale delle curve dei costi fissi e dei costi variabili dà luogo alla curva del costo totale (Ct). 3.Il costo medio e il costo marginale © Se il costo totale viene diviso per il numero di unità prodotte, si ottiene il costo medio (o unitario). Ovviamente, il costo medio comprende sia i costi fissi che i costi variabili. Ct Costo medio = X ht Esempio: se la produzione di 100 cappelli costa 1.000, il costo medio di ciascun cappello è 1.000:100 = 10. ig Il costo marginale, invece, è il costo dell’ultima unità prodotta, ovvero l’incremento che subisce il costo totale quando la produzione aumenta di un’unità. In simboli il costo marginale può essere espresso come: ΔCt Costo marginale = ΔX yr dove ΔCt indica l’incremento del costo totale e ΔX l’incremento della quantità prodotta. C op Per variazioni infinitesime della quantità prodotta il costo marginale è pari alla derivata prima del costo totale: dCt Cma = dX Poiché i costi fissi non variano al variare della quantità prodotta, tale incremento è imputabile unicamente all’aumento dei costi variabili. . p. 3.1 L’andamento del costo medio S. La curva del costo medio presenta un caratteristico andamento a «U», poiché il costo medio è dapprima decrescente, quindi quasi costante e poi crescente rispetto alla quantità prodotta. C li br CM i Costo O Q se Quantità prodotta Fig. 2 - La funzione del costo medio Es L’iniziale decrescenza del costo medio è dovuta al fatto che il costo totale comprende anche le spese fisse rimaste immutate (impianto); queste spese fisse si ripartiscono su un sempre maggiore numero di unità del prodotto ottenuto, determinando una diminuzione del costo medio. La successiva crescita del costo medio consegue all’aumento ulteriore del volume di produzione. Infatti, se si continua ad accrescere l’impiego di mano d’opera e di materie prime lasciando invariata la capacità dell’impianto produttivo aumenterà l’incidenza dei costi variabili sui costi fissi provocando un aumento dei costi medi. © 3.2 L’andamento del costo marginale ht Anche il costo marginale ha un caratteristico andamento ad «U» in quanto esso è strettamente legato all’andamento della produttività marginale dei fattori produttivi. C Costo ig Cma yr op C O A Z 69 Capitolo 4 - I costi di produzione Quantità prodotta Q Fig. 3 - La funzione del costo marginale . A 70 Z Parte seconda - La produzione - Prezzi e mercati i S. p. Inizialmente il costo marginale ha un andamento decrescente poiché utilizzando per lo stesso impianto unità addizionali di fattori produttivi (che in questa fase iniziale hanno una produttività marginale crescente), l’impianto stesso viene meglio utilizzato: basta, quindi, una spesa sempre più esigua per l’acquisto di fattori produttivi per ottenere unità addizionali di prodotto a costo sempre più basso. Successivamente, il decrescere della produttività marginale dei fattori immessi nel processo produttivo comporta un incremento delle spese (mano d’opera, materie prime etc.) che occorre sostenere per ottenere ulteriori unità di prodotto e ciò provoca una crescita del costo marginale. br 3.3 Rapporto fra l’andamento del costo marginale e del costo medio li La curva del costo marginale (Cma) e quella del costo medio (CM) possono essere rappresentate insieme su un grafico. C Costi CM Es se Cma P A © O Q' Quantità prodotta Q ht Fig. 4 - Costo medio e costo marginale C op yr ig Fino ad un certo quantitativo di prodotto, sia il costo medio che il costo marginale «decrescono» con l’aumentare del volume di produzione. Il CM decresce, però, più lentamente del Cma: questo perché il CM comprende anche i costi fissi i quali rallentano la discesa. Infatti, per le prime quantità di prodotto ottenute ogni unità sopporta sia il costo della parte di impianto sfruttata sia il costo della parte non ancora utilizzata. Al contrario, il Cma, del quale fanno parte solamente i costi variabili, non subisce l’influenza frenante dei costi fissi non sfruttati e decresce «più velocemente». Mentre il costo medio continua a diminuire, aumentando la quantità prodotta, il Cma inizia ad aumentare per la decrescenza della produttività marginale ed è inevitabile che ad un certo punto i costi unitari si trovino allo stesso livello. La «coincidenza» del CM con il Cma si avrà nel punto di minimo del CM (punto di fuga, il punto P nella figura 4). . S. p. Anche il ritmo di crescita dei costi è diverso: — il Cma subisce, per elevati volumi di produzione, l’effetto della decrescenza della produttività marginale e si eleva rapidamente; — il CM si eleva meno rapidamente. Infatti, nella sua ascesa subisce l’effetto mitigante del minor costo delle unità di prodotto anteriori all’ultima. A Z 71 Capitolo 4 - I costi di produzione i Il punto in cui il costo medio è minimo ed incontra il costo marginale è detto punto di fuga, perché se il prezzo di un prodotto dovesse scendere al di sotto di esso, l’impresa sarebbe costretta ad abbandonare il mercato. 4.Diversità del costo medio fra le imprese li br La quantità OQ', inoltre, viene prodotta al costo medio minimo, e cioè in condizioni di ottimo tecnico poiché l’impresa utilizzerà l’impianto nel modo migliore. Non è però detto che questo livello di produzione sia quello ottimale. Scopo dell’impresa, infatti, è massimizzare il profitto ed essa, pertanto (come si vedrà in seguito) potrà scegliere anche un livello di produzione diverso: non sempre l’ottimo tecnico coincide con l’ottimo economico. se Come è intuibile l’entità e l’andamento del costo medio non è uguale per tutte le imprese, anzi in taluni casi esso differisce anche tra imprese che operano nello stesso settore. Ciò può dipendere dalla diversa abilità con cui vengono combinati i fattori produttivi. Es Infatti, non tutti gli imprenditori che agiscono in un dato ramo produttivo hanno la capacità organizzativa, ossia la capacità di realizzare la combinazione produttiva più conveniente, che consente di produrre a costi medi più bassi. Altri fattori da cui può dipendere la diversità dei costi medi sono: ht © — la diversa qualità dei fattori produttivi disponibili per ogni impresa (qualità delle materie prime, addestramento degli operai, terre più o meno fertili etc.); — le diverse dimensioni delle imprese, che permettono di realizzare economie di scala di diversa entità; — le caratteristiche del sistema produttivo di cui l’impresa fa parte: se l’impresa fa parte di un ramo molto sviluppato, potrà ottenere a buone condizioni i fattori produttivi occorrenti, reperire numerosi lavoratori specializzati in quel ramo etc. — la posizione geografica delle imprese, che influisce soprattutto sulle spese di trasporto. ig La diversità dei costi medi fra le imprese permette, inoltre, di distinguere imprese marginali ed imprese inframarginali. L’impresa marginale è quella che, rispetto ad una data merce e in un certo periodo di tempo, ha il costo medio più alto di tutte le imprese del settore. yr Questa impresa, che consegue il profitto più basso, è teoricamente la prima destinata a scomparire in caso di riduzione della domanda complessiva e, quindi, dei prezzi di mercato. C op Le imprese inframarginali, invece, sono quelle che producono ad un costo unitario medio più basso di quello dell’impresa marginale; rispetto a quest’ultima esse godono di un più alto grado di «resistenza» sul mercato. . A 72 Z p. Parte seconda - La produzione - Prezzi e mercati 5.Le economie interne ed esterne br i S. Le imprese possono migliorare la produttività attraverso una più razionale utilizzazione dei mezzi a loro disposizione (economie). Si distinguono: — le economie interne: dovute alla migliore o più proficua organizzazione del processo produttivo conseguente ad una più razionale divisione del lavoro, con l’impiego di macchine più specializzate e perfezionate e con tecnici dotati di maggiore esperienza; — le economie esterne: dovute al progresso generale delle tecnologie, al perfezionamento dei mezzi di trasporto, dei servizi bancari e commerciali, all’efficienza e prossimità delle infrastrutture, alla maggiore sicurezza nelle relazioni internazionali e all’agglomerazione di attività complementari in una stessa località (zone industriali e «poli di sviluppo»). se li Sia le economie interne che quelle esterne hanno come risultato la riduzione dei costi medi a beneficio delle imprese. Va notato che non sempre le attività produttive apportano solo benefici effetti esterni. Spesso, al contrario, le imprese danno luogo alle cosiddette «diseconomie esterne» poiché, nello svolgimento della propria attività, arrecano danni e fastidi alla collettività. Un esempio tipico di esternalità negativa è dato dal fumo o dal rumore di una fabbrica che danneggia coloro che abitano nelle vicinanze di essa. 6.Le economie di scala e le dimensioni aziendali © Es Le economie di scala sono vantaggi economici realizzati grazie alle grandi dimensioni delle imprese. Più precisamente si hanno economie di scala quando il costo medio unitario di produzione decresce all’aumentare della capacità produttiva dell’impresa considerata (impianto, stabilimento, e così via). Se ci si riferisce all’aumento della produzione in senso stretto, ovvero all’aumento delle dimensioni dell’impianto, si parla di economie di scala tecnologiche; se invece si fa riferimento alla riduzione dei costi aziendali si parla di economie di gestione. Nel grafico abbiamo rappresentato quanto sin qui detto. C op yr ig ht CM Economie di scala O Diseconomie di scala dimensione ottima Fig. 5 - Le economie di scala Impianto . p. La tendenza alla crescita delle dimensioni delle imprese è un fenomeno alquanto complesso perché influenzato da molteplici cause, fra loro collegate. A Z 73 Capitolo 4 - I costi di produzione S. L’economista britannica Joan Violet ROBINSON (1903-1983) ne individua cinque: le forze tecniche (macchinari, impianti etc.); le forze direzionali (managerial forces); le forze finanziarie (capitali); le forze promozionali (marketing); le forze della sopravvivenza (cioè le riserve economiche che tendono a preservare l’impresa dai rischi e dalle fluttuazioni della congiuntura). br i In generale, mentre il progresso tecnico opera in senso favorevole all’aumento della dimensione degli impianti, altre forze concorrono a moderare questa tendenza limitando la piena utilizzazione delle economie di scala. La società occidentale ha conosciuto uno sviluppo accentuato delle grandi imprese industriali, anche multinazionali. Nella «piccola» impresa ciò non è possibile perché, essendo esiguo il volume totale di produzione gli operai terminerebbero le singole operazioni loro assegnate in breve tempo e rimarrebbe del tempo inutilizzato prima di passare ad altre operazioni: Es se li Esaminiamo in questo paragrafo alcuni fattori che influenzano la scelta di tale dimensione produttiva: — accentramento di risorse produttive e organizzative. La concentrazione di tutto il processo produttivo in una sola azienda permette di utilizzare al meglio tutti i fattori produttivi disponibili (terra, lavoro, capitale); in tal modo si permette una più razionale organizzazione del ciclo produttivo e lo sfruttamento di sinergie; — divisione tecnica del lavoro. Il processo di produzione è suddiviso in operazioni elementari, affidate a distinti operai. yr ig ht © — sconto nell’acquisto di materie prime. Le aziende di grandi dimensioni acquistando ingenti quantitativi di materie prime ottengono dai fornitori sconti nel pagamento ed alcune facilitazioni collaterali (spese di trasporto gratuite etc.); — condizioni privilegiate per il finanziamento. Le grandi imprese, che assumono di regola la forma giuridica di società per azioni, possono ottenere più facilmente crediti bancari rispetto alle piccole imprese, sia perché possono sopportare le spese necessarie, sia perché le banche conoscono le loro dimensioni e il loro giro d’affari; — possibilità di usufruire del progresso tecnico. La grande impresa spesso dispone di un proprio staff di ricercatori e può destinare alla ricerca scientifica notevoli mezzi finanziari; in tal modo è in grado di procedere ad innovazioni e miglioramenti nella qualità del prodotto. Costo totale di produzione insieme di tutte le spese che l’impresa deve sopportare per ottenere una certa quantità di prodotto Composizione del costo totale di produzione costi fissi quelli il cui ammontare assoluto non varia col mutare della quantità prodotta costi variabili quelli che variano col mutare della quantità prodotta op C SCHEMA RIASSUNTIVO . A 74 Z p. Parte seconda - La produzione - Prezzi e mercati è il rapporto fra costo totale di produzione e numero di unità prodotte Costo marginale è il costo dell’ultima unità prodotta Diversità del costo medio tra le imprese diversa capacità imprenditoriale diversa qualità dei fattori produttivi diverse dimensioni delle imprese caratteristiche del sistema produttivo diversa posizione geografica Economie interne esterne Economie di scala vantaggi economici che scaturiscono dalla crescita delle dimensioni aziendali li br i S. Costo medio Questionario se 1.Come può definirsi il costo di produzione? (par. 1) 2.Perché la curva dei costi fissi non parte dall’origine degli assi? Es (par. 2) 3.Perché la curva dei costi variabili parte dall’origine degli assi? (par. 2) 4.Perché la curva del costo medio è inizialmente decrescente? © (par. 3.1) 5.Perché la curva del costo marginale ad un certo punto incomincia a crescere? ht (par. 3.2) 6.Cosa significa l’espressione «punto di fuga»? (par. 3.3) ig 7.Cosa sono le economie interne? (par. 5) 8.Cosa sono le economie di scala? C op yr (par. 6) . A Z S. Capitolo 5 L’offerta p. Parte secondaLa produzione - Prezzi e mercati Sommario Z 1. Introduzione. - 2. Legge dell’offerta e curva statica dell’offerta. - 3. Traspo- br i sizioni della curva dell’offerta. - 4. L’elasticità dell’offerta e sua misurazione. - 4.1 L’elasticità dell’offerta nel breve e nel lungo periodo. - 5. L’offerta di mercato. - Schema riassuntivo. li 1.Introduzione se L’offerta è la quantità di un bene o servizio che i produttori sono disposti a cedere ad un determinato prezzo e in una determinata unità di tempo. Con la teoria dell’offerta si costruisce uno schema del comportamento dei venditori all’atto dello scambio, mettendo in evidenza il legame esistente fra le variazioni dell’offerta e le oscillazioni del prezzo di un bene. Es Come nella teoria della domanda, anche per quella dell’offerta si segue il metodo della ricerca dell’equilibrio parziale: cioè si assume il prezzo del bene come variabile indipendente e la quantità offerta come funzione del prezzo, a parità di ogni altra variabile. © La quantità di moneta che un venditore richiede per cedere la merce è detta prezzo di offerta. A chi vende conviene offrire tante unità di una merce finché il suo prezzo d’offerta si adegua al prezzo vigente nel mercato. ht Esempio: se il prezzo a cui un produttore è disposto a cedere un determinato bene (prezzo d’offerta) è di 50 ed il prezzo di mercato è di 49 il produttore non avrà convenienza a vendere; viceversa, se il prezzo di mercato è superiore al prezzo d’offerta (ad esempio 52) il produttore troverà convenienza a vendere una o più unità della merce. ig 2.Legge dell’offerta e curva statica dell’offerta C op yr L’osservazione empirica consente di rilevare con regolarità quasi costante che l’offerta di una merce aumenta tutte le volte che il suo prezzo tende a crescere, mentre diminuisce se il suo prezzo tende a ridursi. Dall’osservazione della realtà si trae dunque una «legge» secondo la quale «la quantità offerta varia in relazione diretta al cambiamento del prezzo: aumentando il prezzo, aumenta l’offerta e viceversa». Questa legge può essere espressa mediante un grafico, in cui la curva dell’offerta SS1 rappresenta la quantità di merce che si offre sul mercato ai vari prezzi.