universita` degli studi di firenze

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE FACOLTA’ DI ECONOMIA Corso di laurea in Economia e Gestione dei Servizi Turistici Tesi di Laurea in Marketing del turismo Titolo tesi “CENTRI COMMERCIALI PIANIFICATI E NATURALI: FACTORY OUTLET CENTER E VIE DELLA MODA” Relatore: Chiar.mo Prof. ALDO BURRESI Tesi di laurea di ILARIA FERRARI A.A 2008/2009 1 INDICE pag Introduzione……………………………………………………………………5 Capitolo 1 GLI AGGREGATI SPECIALIZZATI NELL’ABBIGLIAMENTO: CARATTERI GENERALI ED IMPLICAZIONI DI MARKETING …7 1.1 Fashion marketing e distribuzione del sistema moda ....7 1.2 Gli aggregati specializzati nell’abbigliamento: dalla logica del singolo punto vendita alla destinazione ........................10 1.2.1 Ruolo e profilo dei promotori di destinazioni ….14 1.2.2 Il marketing diventa esperienza: rilevanza dei contesti di acquisto ………………………………………………….21 1.3 Implicazioni di marketing territoriale ………………………..27 Capitolo 2 GLI AGGREGATI PIANIFICATI: I FACTORY OUTLET CENTER (FOC) ……………………………………………………………………………..34 2.1 Il concetto di outlet center ………………………………………..34 2 2.2 Dall’outlet al Factory Outlet Center ……………………………38 2.3 I consumatori dei Factory Outlet center ……………………..46 2.4 Il turismo nei Factory Outlet Center ……………………………51 2.5 I Factory Outlet e il territorio ………………………………………55 2.5.1 Promotori, investitori, finanziatori …………………….59 2.5.2 Imprese partecipanti al FOC……………………………....62 2.5.3 Associazioni sindacali e imprenditoriali ……………..63 2.5.4 Autorità locali ……………………………………………………64 2.5.5 Concorrenti ……………………………………………………….65 2.5.6 Risorse umane …………………………………………………..66 Capitolo 3 I CENTRI COMMERCIALI NATURALI: IL CASO DELLE VIE DELLA MODA …………………………………………………………………68 3.1 Il Centro Commerciale Naturale come risposta alla crisi del dettaglio cittadino …………………………………………………….68 3.1.1 Le vie della moda come Aggregato Commerciale Naturale …………………………………………………………………..72 3.1.2 Centri Commerciali Naturali e artificiali a confronto: i vantaggi competitivi dei Centri Commerciali Naturali …......................................................................77 3 3.2 Approcci manageriali per la gestione degli Aggregati Commerciali Naturali …………………………………………………83 3.2.1 Town Centre Management ……………………………….85 3.2.2 Marketing urbano …………………………………………….91 3.3 Città e fenomeno moda: casi di vie …………………………….97 3.3.1 Obiettivi e metodologie ……………………………………97 3.3.2 Il caso Via de’ Tornabuoni ………………………………102 3.3.3 Il caso Via Montenapoleone ……………………………110 Considerazioni finali …………………………………………………..116 Bibliografia …………………………………………………………………122 Sitografia ……………………………………………………………………126 4 INTRODUZIONE Negli anni Novanta l’innovazione che ha interessato il settore distributivo nello scenario della moda italiana ha portato alla modificazione degli equilibri di potere all’interno della filiera distributiva attribuendo un ruolo centrale al retailer industriale che ha mirato a creare un dialogo ed un rapporto di vendita diretta con il consumatore finale divenuto sempre più sfuggente ed esigente. In tale contesto da un lato, nascano e si diffondono i Centri Commerciali Pianificati extraurbani capaci di poter soddisfare le esigenze e i bisogni degli acquirenti sempre più attenti al rapporto qualità/prezzo; dall’altro, i Centri Commerciali Naturali da sempre presenti e spinti dalla voglia di dare una risposta effettiva alla diffusione dei nuovi format che hanno contribuito a generare flussi evasori dal centro città, ricominciano a prendere consapevolezza di esistere. Entrambi si presentano come due tipi di aggregati commerciali accomunati dalla stessa specializzazione settoriale (abbigliamento) ma diversi nella localizzazione. In questo lavoro si è cercato di capire le conseguenze che la nascita dei nuovi aggregati organizzati ed in particolare i Factory Outlet Center hanno significato per il centro città mettendo in evidenza le strategie e gli strumenti usati dai centri urbani per valorizzare, riqualificare l’offerta e riassumere quel ruolo centrale di polo attrattivo proprio del contesto urbano. Nel primo capitolo la nostra attenzione si concentra sui caratteri generali e le implicazioni di marketing degli aggregati specializzati nell’abbigliamento, siano essi di tipo urbano che extraurbano affrontando in particolar modo il concetto di destinazione commerciale, vista come “prodotto” composto da formule commerciali integrate e nuovi ambienti 5 di relazione capaci di attrarre, “costringere” il consumatore all’acquisto e fargli vivere un’esperienza unica e indimenticabile (marketing esperienziale). Ma il marketing delle destinazioni commerciali in quanto oggetto di iniziativa imprenditoriale richiede la presenza di attori che ne assumono la titolarità, ne impostino le politiche di attrazione inducendo il consumatore ad una “destination loyality” e ne definiscono il coordinamento in un ottica di marketing territoriale con l’obiettivo di ottimizzare lo scambio di relazioni tra gli attori locali. Nel capitolo secondo sono i Factory Outlet Center ad essere oggetto del nostro interesse: grandi aggregati pianificati di origine greenfield capaci di vendere l’esperienza che va oltre l’atto dell’ acquisto dove l’acquirente/consumatore si trova di fronte ad uno store mix, all’offerta di prodotti di marca a prezzi tagliati; nei FOC si assiste a formule di integrazione tra componente commerciale in senso stretto e altri servizi (leisure in particolare) spesso legati alle specificità culturali ed economico-­‐
sociali del territorio. Nel terzo capitolo l’attenzione è rivolta ai Centri Commerciali Naturali ovvero vie, piazze, centri storici che, di fronte all’introduzione e propagarsi dei Factory Outlet Center si sono indirizzati verso nuovi livelli di efficienza ed efficacia a vantaggio dei consumatori sulla base di una collaborazione tra pubblico e privato che miri, in un ottica di marketing urbano ad adottare strategie di marketing per la città, azioni, interventi con l’obiettivo di realizzare la crescita territoriale, l’ innovazione, lo sviluppo degli elementi della città e quindi di far rivivere e promuovere il contesto urbano con la sua storia, tradizioni e cultura. In particolare nei paragrafi finali del capitolo analizzeremo due casi specifici di vie della moda: Via de’ Tornabuoni a Firenze e Via Montenapoleone a Milano. 6 CAPITOLO 1 GLI AGGREGATI SPECIALIZZATI NELL’ABBIGLIAMNETO : CARATTERI GENERALI ED IMPLICAZIONI DI MARKETING 1.1
FASHION MARKETING E DISTRIBUZIONE DEL SISTEMA MODA In questo paragrafo affronteremo l’evoluzione del sistema distributivo italiano, soffermandoci sullo scenario del settore moda, un contesto in cui le leve di marketing, soprattutto quella distributiva, richiedono una gestione oculata per la loro rilevanza nella creazione di valore all’interno della filiera che va dall’azienda al consumatore finale.1 Da un canale distributivo indiretto, (mediante grossisti) si è assistito alla creazione di reti di vendita diretta cercando di instaurare un dialogo con il consumatore divenuto sempre più sfuggente e imprevedibile. In tale contesto si inserisce il fashion marketing, una componente vitale ed essenziale del sistema moda che deve focalizzare la sua attenzione sui bisogni dei consumatori. La moda consiste “in un fenomeno attuale (pure in continuo mutamento), sostenuto da ragioni frivole, piuttosto che pratiche, logiche o intellettuali.”2 Il marketing della moda o fashion marketing è un marketing che deve costantemente tenere di conto di:  varietà e variabilità delle motivazioni che determinano i comportamenti di consumo e di acquisto espressi dalla domanda;  varietà e variabilità dei compiti dei prodotti e dei servizi interessati dal fenomeno moda; 1
2
Codeluppi V., Ferraresi M., (2007), La moda e la città, Carocci, Roma, pp 81-­‐82. Tratto da http://en.wikipedia.org/wiki/Fashion il 28 Maggio 2005. 7  varietà e variabilità dei percorsi dell’innovazione delle combinazioni d’offerta orientate al soddisfacimento dei bisogni dell’ individuo.3 La domanda che si rivolge al settore moda è portatrice di bisogni legati al prodotto e alle modalità con le quali questo viene distribuito; qui il processo di specificazione dei bisogni non si sviluppa più in modo sequenziale (individuazione del bisogno relativo al prodotto e successiva individuazione della modalità di acquisto); ma per direttrici sovrapposte: determinati comportamenti di acquisto influenzano le scelte del prodotto e viceversa. L’ ambito della moda è quello in cui si possono individuare quei fenomeni di co-­‐evoluzione dei bisogni dei consumatori e delle competenze delle imprese, entrambi in grado di fornire un’innovazione tirata allo stesso tempo dalla domanda (questa cerca un’ esperienza integrata nella quale convergono elementi materiali e immateriali di percezione della comunicazione, attenzione al brand, sperimentazione del punto vendita, selezione del prodotto, soddisfazione post-­‐ acquisto) e spinta dall’offerta (utilizzare in modo integrato le diverse leve utili all’innovazione dell’offerta, siano esse innovazioni del prodotto, posizionamento del brand, attività di comunicazione e distribuzione). La variabilità del settore, la complessità sistemico-­‐tecnologica dei processi, i crescenti investimenti in innovazioni di prodotto portano le imprese nel sistema moda a dover ridefinire continuamente i propri modelli di business ed a ricercare, sviluppare e consolidare e talvolta anche trasformare i rapporti con gli attori a monte ed a valle della filiera distributiva. Va precisato che quando si parla di “distribuzione” si fa riferimento all’ ultimo anello della filiera che consiste nell’attività di vendita del prodotto finito all’utilizzatore finale: il consumatore. 3
Burresi A.,(2005), Il marketing della moda-­‐temi emergenti nel tessile-­‐abbigliamento, University Press, Firenze, pp 88-­‐95. 8 Fino alla fine degli anni Ottanta un ruolo dominante apparteneva all’industria; la rivoluzione della distribuzione della moda italiana si è realizzata a partire dagli anni Novanta, quando sono intervenute forme di integrazione da parte del retailer industriale a seguito della sua crescente centralità all’interno della filiera.4 Questa rivoluzione all’interno della filiera ha portato alla modificazione degli equilibri di potere nei rapporti verticali di canale portando l’industria e la distribuzione verso una stessa configurazione: se da una parte le industrie si integrano a valle e spesso terziarizzando parte della produzione, d’altro canto sempre più distributori si integrano a monte proponendo prodotti con la propria insegna.5 La trasformazione portata dalla modernizzazione della distribuzione vede un cambiamento di ruolo del distributore: più che venditore di prodotti comincia ad essere concepito come creatore di concetti di vendita; un detentore di informazioni e quindi un partner sempre più importante per il produttore manifatturiero: esso si trova alle prese con decisioni riguardo alla progettazione dei capi, gestione del marchio, della comunicazione e produzione prima delegate al fornitore. I segnali più forti del cambiamento del rapporto industria-­‐distribuzione sono riconducibili ai seguenti fattori: • aumento delle quote di mercato da parte di grandi formati greenfield. Lo sviluppo di questi può essere una conseguenza della saturazione del mercato nelle aree urbane, l’intervento crescente dei poteri pubblici con obiettivi e strumenti innovativi rispetto al passato, i limiti delle strategie di internazionalizzazione, anche per l’esigenza avvertita dai comparti multinazionali della distribuzione di controllare e mantenere un equilibrio tra mercati conosciuti e nuovi mercati; 4
Saviolo S., Testa S., (2004), Le imprese del sistema moda-­‐management al servizio della creatività, Etas, Milano, pp 98-­‐100. 5
Zaghi K., (2003), La distribuzione del sistema moda italiano: verso nuovi modelli di business, Economia e Management, n.5, pp 36-­‐38. 9 • sviluppo delle catene al dettaglio (sia di produttori che distributori); • Sviluppo all’interno del dettaglio specializzato multimarca delle metodologie visul merchandising e trade marketing; • Processo di internazionalizzazione della distribuzione con la conseguente nascita della “marca commerciale”.6 In questo contesto di cambiamenti, le imprese devono tener presente della localizzazione dei punti vendita i quali diventano vere e proprie forme di destinazioni capaci di attrarre flussi di visitatori. Se nel centro urbano il consumatore/acquirente si reca presso il singolo punto vendita dove trova un prodotto di marca ad un prezzo elevato; nei nuovi aggregati commerciali l’acquirente si trova di fronte ad uno store mix, all’offerta di prodotti di marca a prezzi tagliati, a formule di integrazione tra componente commerciale in senso stretto e altri servizi (leisure in particolare) spesso legati alle specificità culturali ed economico-­‐sociali del territorio (divertimento all’acquisto, “browsing”).7 Quindi, la distribuzione non offre più soltanto beni o servizi, ma vende l’esperienza che ne deriva, ricca di sensazioni e creata nel cliente, per il quale tale esperienza viene ad assumere un carattere personale; si tratta dell’experential marketing sul quale ci soffermeremo successivamente. 1.2
GLI AGGREGATI SPECIALIZZATI NELL’ABBIGLIAMENTO: DALLA LOGICA DEL SINGOLO PUNTO VENDITA ALLA DESTINAZIONE Le forme di destinazioni accennate precedentemente rientrano nel più ampio concetto di aggregati commerciali naturali e pianificati. La 6
Saviolo S., Testa S., (2004), Le imprese del sistema moda-­‐ management del servizio e della creatività, Etas, Milano, pp 53-­‐55. 7
Ricchetti M., (2006), Moda ed etica dei consumi tra industri e distribuzione, Roma, pp 22-­‐23. 10 distribuzione al dettaglio ha percepito la criticità della “destination loyality” nei processi di scelta dei consumatori, collegando i nuovi prodotti a contesti organizzati all’esterno dei centri urbani così come a quelli naturali-­‐storici collocati all’interno dei centri urbani in relazione alla valutazione delle prospettive in termini di flussi di traffico ed agli obiettivi di vendita e di immagine. Gli aggregati commerciali di origine naturale sono destinazioni di origine spontanea (centro città) mentre un caso emblematico di quelli di origine pianificata è rappresentato dai moderni centri outlet localizzati in zone extraurbane. Quest’ultimi si caratterizzano per un assortimento allargato e competono per le preferenze del cliente attraverso strutture capaci di proporre servizi non solo di natura commerciale, ma elemento capace di stimolare un ampliamento delle funzioni assolte dalla destinazione. Questa è oggetto di valutazione da parte dell’acquirente non solo per i beni e informazioni cui può dare accesso e per arrivare ad una scelta soddisfacente, ma anche perché gli aspetti che rendono l’esperienza di acquisto gratificante assumono rilievo sul piano della dimensione emotiva.8 Gli aggregati pianificati si configurano, quindi, quali attrattori di flussi di visitatori e clienti in quanto dispongono di un prodotto commerciale integrato che ricompone elementi dell’esperienza del cliente e che diviene l’oggetto della “destinazione” nelle spedizioni realizzate dai singoli attori della domanda, nella quale il movente può essere l’intrattenimento piuttosto che l’acquisto commerciale. Essi si trovano in competizione con i centri commerciali naturali che più tradizionalmente riescono ad integrare un’offerta articolata di servizi presso un’unica destinazione anche se il centro storico come destinazione può essere ancora un competitore vincente rispetto ai centri pianificati purché, però, si verifichino quei presupposti per una migliore vivibilità del centro (viabilità, parcheggi, 8
Amendola G., (2006), La città vetrina, i luoghi del commercio e le nuove forme di consumo, Liguori Editore, Napoli, pp 83-­‐84. 11 servizi al cittadino, qualità dell’ambiente sociale) e che vi sia un governo del sistema che diventi elemento forte dell’aggregato. In definitiva, le destinazioni commerciali (naturali, pianificate) sono oggetto di politiche dirette a sviluppare un traffico commerciale ed una destination loyality del cliente. Questa per lungo tempo è rimasta uno degli elementi di cui hanno beneficiato le imprese di distribuzione dei centri urbani. Oggi la localizzazione extraurbana dei prodotti della grande distribuzione e la diffusione di aggregati di punti vendita ed altri servizi (ristorazione, tempo libero) ha ampliato questa dimensione. Il concetto di “destinazione” è stato oggetto di studio di diverse discipline economiche, manageriali e sociologiche; viene definita come un’area generalizzata detentrice di qualche elemento fondamentale come informazione e attrazioni, percepibili come motivi principali della visita. In questo contesto la destinazione si presenta come la localizzazione di un aggregato oggetto di preferenza e di scelta da parte del consumatore/acquirente che lo incoraggia e costringe al consumo; essa è diventata un “prodotto”. E’ possibile individuare una vera e propria tassonomia degli aggregati specializzati nell’abbigliamento. Tra le dimensioni più significative per la distinzione tra tipi di aggregato un primo parametro è quello che li distingue in base alle origini, distinguendo quelli in contesti di tipo storico e di formazione “naturale” a quelli di origine greenfield e di formazione “pianificata”.9 Un secondo parametro è quello che distingue l’aggregato rispetto al grado di specializzazione settoriale che porta ad individuare aggregati specializzati da aggregati non specializzati. Dall’incrocio di queste due dimensioni è possibile riconoscere quattro forme di aggregato: • Aggregati greenfield-­‐despecializzati. E’ il caso dei centri commerciali: un insieme di edifici nei quali si concentrano 9
Guercini S., (2006), La relazione del retail di abbigliamento con i promotori aggregati. Elementi emergenti di una secondary research, Convegno Internazionale “Le Tendenze del Marketing”, Università Ca’ Foscari Venezia, 20-­‐21 Gennaio, pp 1. 12 numerose attività commerciali quali insegne GDO, negozi specializzati, cinema e ristoranti. Esso è solitamente formato da uno o più edifici che ospitano le diverse imprese commerciali alle quali è possibile accedere tramite piccole vie, piazze, spesso al coperto (gallerie) aperte solo al traffico pedonale. Queste sorgono allo scopo di concentrare in uno spazio un numero considerevole di attività commerciali, in modo da offrire al consumatore un ampia gamma di beni e servizi a cui accedere senza compiere lunghi spostamenti. • Aggregati storici despecializzati. E’ il caso del Town Centre. La logica del Town Centre vede la competizione di un aggregato “storico” nel quale le condizioni di economicità della gestione delle imprese presenti può essere caratterizzata da costi maggiori, non solo riconducibili ai più alti prezzi immobiliari, ma anche ad una maggiore onerosità in presenza di condizioni di funzionamento, onerose accessibilità, salubrità, sicurezza. • Aggregati storici specializzati. E’ il caso delle vie della moda. Si fa riferimento al centro storico cittadino che rappresenta un aggregato commerciale naturale in cui l’offerta di abbigliamento (posizionamento alto, sia di prodotto che di prezzo) è molto forte e strutturata in una serie numerosa di vie della moda. (Via Montenapoleone, Via Tornabuoni, Fifth Avenue).10 • Aggregati greenfield specializzati. E’ il caso degli outlet center. Sono aggregati di punti vendita localizzati e di natura greenfield, talvolta brownfield, nei quali si ha una prevalenza assoluta di punti vendita di tipo factory outlet (foc).11 10
Ricchetti M., (2006), Moda ed etica dei consumi tra industri e distribuzione, Roma, pp 5-­‐6. Burresi A., Guercini S., (2005), Nuovi attori e integrazione di funzioni nel marketing strategico della distribuzione, Congresso Internazionale “Le Tendenze del marketing”, Università Ca’ Foscari di Venezia, 28-­‐29 Novembre, pp 11-­‐12. 11
13 Figura 1.1 Caratteri degli aggregati in termini di origine e specializzazione Specializzato despecializzato storico Vie della moda Town centre Outlet center Centro commerciale greenfield Fonte: Burresi A., Guercini S., Runfola A., (2005). In definitiva, nell’ ambito delle destinazioni commerciali naturali e pianificate trovano localizzazione oltre agli aggregati di offerta di servizi anche attori corrispondenti ai promotori che assumono un ruolo di regia unitaria dell’aggregazione, non limitandosi al solo coordinamento ma arrivando alla realizzazione del processo innovativo con riferimento al prodotto corrispondente all’aggregato.12 Successivamente la nostra attenzione si concentrerà sugli aggregati commerciali specializzati: FOC e Centri Commerciali Naturali. 1.2.1 RUOLO E PROFILO DEI PROMOTORI DI DESTINAZIONI La destinazione è divenuta oggetto di iniziative imprenditoriali. La competizione tra destinazioni è oggi uno dei tratti che caratterizza in modo crescente i processi di distribuzione al dettaglio, soprattutto nelle realtà 12
Guercini S.,(2007), Il marketing delle destinazioni commerciali-­‐modernità distributiva e ruolo dei promotori, Franco Angeli, Milano, pp 22-­‐35. 14 commerciali più evolute, dove l’offerta disponibile è ampia e dove gli attori del commercio dedicandosi allo sviluppo di centri commerciali ed al recupero di parti del centro città, sono alla ricerca di elementi di differenziazione. La realizzazione dell’offerta commerciale della destinazione corrisponde ad un’iniziativa imprenditoriale che mette in moto una rete di persone e di organizzazioni all’interno dei quali saranno presenti attori preposti all’ assolvimento dei compiti di definizione delle scelte e di coordinamento. E’ avvenuto l’emergere di una pluralità di operatori con caratteristiche diverse per origine, caratteristiche e funzioni assolte. La definizione da parte di categorie di operatori delle modalità di gestione del traffico e fedeltà rispetto ad una destinazione commerciale richiede la nascita di una capacità di governo dell’aggregato. Si configurano una serie di soggetti che assumono un ruolo di “governo” del nuovo sistema di offerta che può avere un vertice ideatore, organizzatore e coordinatore che è corrispondente al vertice di un’impresa o trasversale a più vertici di impresa. Questi attori comprendono sia attori-­‐individuo, ovvero persone poste al vertice organizzativo, che attori-­‐organizzazione, come i singoli operatori privati e pubblici. Sono questi attori, che assumono materialmente il ruolo di vertice dell’aggregato; è a loro che può essere riferita la destination loyality dell’acquirente: essi puntano a creare fedeltà o preferenza alla destinazione o si pongono in raccordo con il mercato dell’aggregato in quanto tale. 13 Nell’aggregazione greenfield, la natura degli attori che gestiscono la destination loyality ed il “sell out forzato” per i punti vendita inseriti nell’aggregato conferiscono a queste formule di integrazione un vantaggio rispetto a quelli storici tanto quanto più forte è il radicamento territoriale degli attori centrali che risulta un elemento di interesse per il collegamento al contesto socioeconomico locale dal quale discende una 13
Guercini S., (2007), Il marketing delle destinazioni commerciali-­‐ modernità distributiva e ruolo dei promotori, Franco Angeli, Milano, pp 68-­‐70. 15 possibile influenza sui caratteri degli attori e sui loro comportamenti. Ma anche chi gestisce l’aggregato può beneficiare di aspetti peculiari del contesto locale per differenziare la destinazione ed accrescere il suo potenziale di attrazione di consumatori ed acquirenti dall’esterno. Dall’altro, l’aggregazione storica evidenzia criticità (costo delle locazioni, assenza di una attore gestore dell’aggregato) che mettono in evidenzia il ruolo potenziale di altri operatori (attori pubblici e privati) oltre alle singole imprese nella competizione con i greenfield. Gli attori radicati in contesti territoriali ben precisi non comprendono solo le imprese, ma anche altri operatori pubblici (enti locali) o privati (come associazioni di categoria). Entrambi possono perseguire il sostegno della ricchezza generata in aree locali, ovvero perseguire obiettivi di vitalità sociale di aree urbane storiche percepite come la rappresentazione ideale di una comunità , in rapporto ad obiettivi più generali di politica economica locale (contenimento disoccupazione, recupero urbanistico…).14 I ruoli di attori emergenti interessati al governo dell’aggregato operanti sia negli aggregati pianificati che nei naturali sono l’ivestitor, il designer, il manager e il retailer/ user.15 L’investitor è colui che assume il compito di far fronte al fabbisogno di risorse necessario per l’acquisizione dei diritti sulle proprietà immobiliari e per la realizzazione degli investimenti successivi. E’ una componente fondamentale per lo sviluppo dell’aggregato, dal momento che l’onerosità delle iniziative legate alla rivitalizzazione dei centri storici o la creazione di nuove destinazioni richiede investimenti che difficilmente potrebbero essere remunerati. Il designer, invece, assume rilievo nella fase di definizione dei caratteri generali ma anche particolari che dovranno essere propri dell’aggregato 14
Burresi A., Guercini S., (2003), Nuovi attori e integrazione di funzioni nel marketing strategico della distribuzione, Congresso Internazionale “Le Tendenze del Marketing”, Università Ca’ Foscari Venezia, 28-­‐29 Novembre, pp6-­‐8. 15
http://www.cncc.it 16 con un ruolo essenzialmente di marketing strategico della destinazione. E’ il detentore di competenze di diversa natura comprendenti quelli di carattere architettonico e di progettazione, ma anche di definizione del mix di offerta e di marketing in relazione con gli operatori destinati ad occupare spazi all’interno della struttura. Il manager, è il gestore dell’offerta aggregata localizzata che assume un ruolo di marketing operativo oltre che strategico della destinazione e gestisce l’aggregato nel suo insieme e nel tempo. Infine vi è il retailer, ovvero il distributore al dettaglio nell’ambito dell’offerta commerciale; ma accanto a questi, in un presidio simile vi sono i singoli gestori di altre attività di servizio disponibili nel contesto dell’offerta presso una destinazione: gli user (ristorazione, intrattenimento, sicurezza).16 La presenza del ruolo di manager e/o designer di un attore viene a creare contenuto al concetto di “promotore”: è un ruolo chiave per la destinazione; assume ruoli di marketing strategico ed operativo per l’aggregato , definendo i caratteri essenziali in termini di marketing mix di offerta e promuovendo iniziative dirette alla generazione di traffico ed alla attrazione degli acquirenti (promozioni, eventi..). E’ al ruolo del promotore che spetta la regia unitaria dell’aggregato, che integra servizi commerciali con altri servizi e che assume la titolarità del destination management. Il promotore di aggregati svolge un ruolo di raccordo con il mercato dei retailer e user presenti nella destinazione. L’attività di promozione di un aggregato comporta l’insorgere di un fabbisogno di integrazione tra attività di interfaccia con il mercato realizzate da parte di più attori attraverso il concetto di “marketing integrato”: il marketing è integrato in quanto assolve alla funzione di raccordo con il mercato non per una singola organizzazione 16
Burresi A., Guercini S., Runfola A., (2005), La competizione tra aggregati specializzati nella distribuzione di abbigliamento, Convegno “Le Tendenze del Marketing”, Ecole Superieure de Commerce de Paris, 21-­‐22 Gennaio, pag 4-­‐6. 17 ma per un insieme di imprese e come tale è posto in essere da un attore che ricopre un ruolo di regia unitaria dell’aggregato. Quindi, gli attori interessati al governo dell’aggregato possono essere riclassificati e ricomposti in tre tipi: investitore, promotore e retailer. L’idividuazione di tali ruoli non è solo un momento di analisi degli attori che sovraintendono alla destination loyality, ma è importante per lo studio di processi di relazione che avvengono tra questi: infatti attraverso quattro tipi di strategie è possibile vedere il passaggio da una definizione analitica dei ruoli degli attori-­‐organizzazione nei confronti degli aggregati localizzati alla individuazione degli attori “promotore” e “promotore-­‐investitore”. In una prima strategia si parla di retailer integrato nei processi di governo dell’aggregato: il retailer viene ad integrare tutte le funzioni di gestione dell’aggregato e che cerca di utilizzare lo sviluppo della fedeltà alla destinazione da parte del consumatore nei processi competitivi che lo vengono ad interessare. Questa strategia è utilizzata dalla realtà della distribuzione al dettaglio alimentare che hanno sviluppato gallerie accanto alle proprie grandi superfici distributive ( ipermercati e supermercati). Una seconda strategia vede il retailer non integrarsi alla proprietà e promozione dell’aggregato ma esso viene visto come conduttore di una location (retailer conduttore di location) all’interno di un centro commerciale posseduto, progettato e gestito da altri attori o da un unico attore che integra tali ruoli. Tali location possono fare riferimento ad un punto vendita isolato, ad un punto vendita nell’ambito di un aggregato non pianificato e ad un punto vendita in un aggregato pianificato. La terza strategia prevede il retailer integrato nel ruolo di investitore: questa comporta l’integrazione del retailer nella proprietà o di un punto vendita o dell’intero aggregato ma non nella promozione dell’aggregato. A questi spetta la scelta del tenant-­‐mix ovvero un mix di brand, di prodotti, di servizi con l’intento di avere vendite ottimali, rendite.. Infine la quarta 18 strategia vede il retailer integrato nel ruolo di promotore in modo totale o parziale dell’aggregato. Fig 1.2.1 Definizione analitica dei ruoli alla individuazione degli attori “promotori” e “promotori-­‐
investitori” retailer investitore
retailer ee designer investitore
retailer rerreore promotore manager Promoto
re -­‐
investito
re Fonte: Guercini S., (2007) Prendendo in esame la relazione tra retailer di abbigliamento e promotore di aggregati con riferimento a due situazioni specifiche, quali quella del rapporto tra retailer di abbigliamento e promotori di centri outlet e tra retailer di abbigliamento e organizzazione che assume i ruoli tipici del promotore dell’aggregato nel Town Centre Management, sul quale ci soffermeremo successivamente, i promotori risultano quindi specializzarsi nella realizzazione di tipologie specifiche di aggregati commerciali localizzati: alcuni si concentrano sulla realizzazione di nuovi contesti (“outs”); altri sulle problematiche del centro storico della città o comunque del recupero del commercio urbano.17 I promotori di aggregati greenfield come nel caso degli outlet center sviluppano aggregati di punti vendita localizzati in zone periferiche, nel 17
Guercini S., (2006), La relazione del retail di abbigliamento con i promotori aggregati. Elementi emergenti di una secondary research, Convegno Internazionale “Le Tendenze del Marketing”, Università Ca’ Foscari Venezia, 20-­‐21 Gennaio, pp 11-­‐14. 19 quale il cinquanta per cento dei conduttori sono rappresentati da punti di vendita di tipo Factory Outlet di imprese produttrici di abbigliamento. Il promotore dei Factory Outlet ha il compito di apportare una soluzione efficace, qualitativa e controllata ai problemi dei sovrastock che le marche subiscono in modo strutturale e permette loro di proteggere la propria immagine di marca grazie ad un dialogo diretto con il consumatore. Caso emblematico di promotore e investitore nel campo degli aggregati di tipo outlet center è McArthurGlen, un’ azienda con sede a Washington che nel 2001 conduceva venticinque aggregati negli USA e che poi è venuto a svilupparsi in Europa in associazione con l’operatore britannico BAA, collaborazione finita nel 2002. La formula del design outlet adottata da McArthurGlen consiste nel “vendere marche prestigiose con ampi sconti permanenti”; il suo obiettivo è dare ai retailer l’opportunità di vendere questa merce direttamente al pubblico attraverso negozi di marca. La relazione con il tenant è ricercata con attenzione e con effetti abbastanza positivi sul rapporto tra numero di punti vendita e numero di marche trattate.18 Malgrado l’importanza commerciale, economica e territoriale degli aggregati pianificati, gli attori del retail ed i promotori/investitori non possono non tener conto delle opposizioni crescenti da parte dei commercianti del centro, ma anche associazioni ecologiste, rappresentanze delle categorie produttive… L’attività dei promotori diventa importante nel centro città per il processo di recupero del commercio urbano mediante la realizzazione di veri e propri centri commerciali che entrano in competizione con quelli greenfield, dal momento che a loro spetta quel ruolo di promozione e gestione essenziale anche per attrarre gli investitori della distribuzione e dei servizi (tempo libero, ristorazione). Una promozione efficace del centro città richiede 18
http:// www.McArthurGlen.it 20 notevoli capacità politiche dal momento che “un management efficace non può realizzarsi se non in collaborazione con l’insieme degli attori”. Il promotore punta a far ritrovare al centro città elementi di attrattiva, intraprendendo azioni per far sì che i clienti potenziali che attraversino la città si fermino nel centro storico frenando l’evasione verso la periferia. Un promotore del centro urbano è rappresentato da “Altarea”: società francese che possiede quindici centri commerciali concentrati nella regione parigina il cui obiettivo è quello di far ritrovare al centro storico elementi di attrattiva in un contesto nel quale operano in periferia ipermercati. Tale promotore non è impegnato solo nella funzione di designer ma anche di gestore (manager) di centri commerciali, mettendosi in evidenzia negli ultimi anni per le operazioni di ristrutturazione del centro città , sia in creazione che in rinnovamento oltre che per la sua capacità di promozione del commercio nei luoghi di transito. 1.2.2 IL MARKETING DIVENTA ESPERIENZA: RILEVANZA DEI CONTESTI DI ACQUISTO Il comportamento del consumatore costituisce senza dubbio uno dei temi maggiormente approfonditi dagli studiosi di marketing.19 Fra i principali obiettivi di questi studi vi è soprattutto quello di comprendere le motivazioni alla base delle scelte del consumatore e di definire l’articolazione del processo decisionale e del comportamento assunto dall’individuo per soddisfare i propri bisogni nel momento dell’acquisto. Gli individui dedicano sempre più tempo allo shopping, quale momento da condividere in compagnia di altre persone (Codeluppi 2001); l’acquisto 19 19
Codeluppi V., Ferraresi M., (2007), La moda e la città, Carocci, Roma, pp 45-­‐50. 21 è considerato dal consumatore una possibile situazione di svago; esso non si reca più in un punto vendita con il solo scopo di acquistare un bene, ma lo fa per immergersi in un’esperienza positiva e plurisensoriale, focalizzata sull’essere piuttosto che sull’avere.20 La gratificazione ricercata dal consumatore nell’attività di shopping si sposta dal risultato del processo di acquisto (il bene acquistato, il paniere di attributi che lo caratterizza, la soddisfazione attraverso il suo impiego nel consumo) al processo in quanto tale. Tale gratificazione non sta nel consumo di ciò che è acquistato, ma nella realizzazione dell’attività di shopping, intesa come processo diretto ad analizzare l’assortimento e la possibilità, a esaminare, toccare, maneggiare le merci in offerta.21 Tale evoluzione della clientela porta le imprese commerciali ad assumere funzioni di intrattenimento rivolte al cliente, ampliando in questo senso i confini tradizionali delle proprie attività. Tale integrazione tra attività distributive e quelle nei settori dell’intrattenimento, ristorazione, intermediazione finanziaria portano ad un allargamento delle possibilità di acquisto e di consumo connesse alla singola shopping expedition (one stop shopping). Questa non offre più beni e servizi ma vende l’esperienza che ne deriva, ricca di sensazioni e creata nel cliente, per il quale tale esperienza viene ad assumere un carattere personale, come evento che permane nella memoria dell’individuo. Quindi per i consumatori la proposta dell’aggregato non costituisce solo un fattore di maggior efficienza dei processi di acquisto, sia per aspetti di tipo logistico che sul piano cognitivo, ma rappresenta un momento che offre una risposta alla ricerca di forme di shopping ricreativo, che trovano corrispondenza nella consistenza assunta dagli aspetti esperenziali nella percezione dei consumatori (experential shopping). 20
Vescovi T., Checchinato F. (2003) Luoghi di esperienza e strategie competitive nel dettaglio, Atti del Congresso Internazionale “Le tendenze del marketing”, Venezia, 28-­‐29 Novembre. 21
Napolitano M.S., Resciniti R., De Nisco A., (2003), “Retail, entertainment e creazione di valore. Un’indagine sui centri commerciali in Italia”, Industria e Distribuzione, n.4, pp 28-­‐30. 22 L’utilizzo del concetto di esperienza nella letteratura di marketing può essere riscontrato in riferimento a più temi. Inizialmente introdotto nelle ricerche che studiano il comportamento del consumatore e il suo processo di acquisto in relazione all’ambiente esterno e in relazione alla scelta di carattere emotivo del punto vendita, verso la metà degli anni Novanta tale concetto si è imposto come un possibile cardine della strategia di marketing. Far vivere un’esperienza al consumatore coinvolge la sua sfera emozionale e sensoriale, e richiede una gestione attenta dello spazio, della luce, suoni, odori e colori da parte del distributore; gli elementi che forniscono esperienza nel consumatore sono: • Sense: tutto ciò che stimola i cinque sensi nell’individuo; • Feel: ciò che consente di creare emozioni positive; • Think: ciò che consente di sviluppare esperienze razionali e “problem solving”, ma in grado comunque di coinvolgere; • Act: mostra come fare, presenta uno stile di vita; • Relate: collega il singolo individuo alle altre persone e alla cultura in generale.22 Obiettivo per l’impresa è far vivere al consumatore un occasione di esperienza, di vissuto emozionale attorno al consumo e non un package in cui sia tutto programmato. Il consumatore può sperimentare un processo di sviluppo della propria identità, attribuendo al prodotto, al servizio, allo spazio un senso che gli sono propri; in altre parole può esplorare l’offerta a modo suo. C’è, dunque, un’appropriazione dell’esperienza quando il consumatore percepisce se stesso come attore centrale del suo processo di consumo, quando sente la possibilità che le sue idee e comportamenti possono orientare la sua attività e non siano vincolate da programmi rigidi, quando realizza che ciò che consuma è qualcosa di unico, il risultato della capitalizzazione delle sue emozioni, legate alla sua componente. Un’ 22
Vanni-­‐ Codeluppi., (2001), “Shoptainment: verso il marketing dell’esperienza”, Micro &Macro marketing,n.3, pp 403-­‐411. 23 esperienza non si acquista ma si vive: e solo il cliente ha la possibilità di plasmare tale vissuto.23 Adottando un’ottica operativa di marketing esperienziale Pine e Gilmore definiscono quattro ambiti di un’esperienza a partire dall’incrocio di due dimensioni: • La partecipazioni dei consumatori da passiva (debole) ad attiva (forte): questa riguarda il essenzialmente la partecipazione fisica dell’individuo. Nel caso in cui sia debole, l’individuo non può influenzare lo svolgimento dell’esperienza; lo può fare in caso di partecipazione forte; • Il tipo di connessione -­‐ o rapporto ambientale – da assorbimento (debole) a immersione (forte): questa riguarda il tipo di connessione tra il cliente e l’evento. Una connessione debole deriva dall’assorbimento mentale dell’individuo che durante un’esperienza rimane fisicamente estraneo al contesto; una connessione forte implica un’immersione fisica e mentale dell’individuo nel contesto dell’esperienza. La combinazione di queste due dimensioni porta alla nascita di quattro ambiti di esperienza:  esperienza di anticipazione: consiste nel pianificare, immaginare e sognare l’esperienza;  esperienza d’acquisto: deriva dall’atto di acquisto vero e proprio;  esperienza di consumo vero e propria: include le sensazioni, la soddisfazione e l’insoddisfazione derivanti dall’utilizzo del prodotto;  esperienza di ricordo e di nostalgia: si basa sui ricordi e sui racconti per rivivere l’esperienza. 23
Caru’ A., Cova B., (2003), “Esperienza di consumo e marketing esperienziale”, Micro &Macro marketing, n.2, pp 187-­‐200. 24 Nel far riferimento all’atto di acquisto come momento volto a creare un’esperienza si è soliti riferirsi all’atmosfera che si vive all’interno del punto vendita. Tale concetto è stato introdotto da Kotler come lo “sforzo di creare un ambiente di vendita che produca specifici effetti emotivi nell’acquirente, tali da aumentare le probabilità di acquisto”. Ciò che porta il cliente a provare un’esperienza unica può essere ricondotta a: • caratteristica dell’offerta: struttura; assortimento; servizi; • tipologie di interazione: di persona; di prodotto. La struttura di punto vendita include tutti quegli elementi che ne definiscono l’ambientazione: l’architettura, i materiali utilizzati, il layout delle attrezzature, le decorazioni, le vetrine e gli stimoli prettamente sensoriali (colori, odori, musica). L’assortimento fa riferimento alle modalità di presentazione dei prodotti e alle “chiavi di lettura” utilizzate per organizzare l’offerta. Riguarda le scelte operate con riferimento al visual merchandising e ai criteri adottati per aggregare e presentare le categorie merceologiche (merchandising e category management). I servizi intendono tutte le attività aggiuntive rispetto a quelle logistiche, ovvero i servizi ricreativi, che rendono più piacevole la permanenza all’interno del punto vendita, ed informativi. Le interazioni di persona coinvolgono gli individui e possono riferirsi sia agli scambi di informazioni che avvengono tra clienti e personale, sia alle relazioni che si instaurano tra gli stessi clienti. Le interazioni di prodotto si verifica tra cliente e punto vendita o tra cliente e prodotti in assortimento.24 Esistono dei sentieri strategici che il punto vendita può utilizzare nella costruzione dell’esperienza (eventi, atmosfere, contaminazioni, massa critica, territorio e cultura). Un percorso molto usato è rappresentato dalla 24
Castaldo S., Botti S.,(1999), “Le dimensioni emozionali dello shopping”, Economia e Management, vol.1, pp 17-­‐27. 25 costruzione degli eventi, come momenti memorabili e di separazione dalla situazione quotidiana. L’evento dovrebbe costituire una condizione di vissuto diverso del punto vendita, che può essere indirizzato a segmenti diversi e non costringe ad una continuità permanente dell’esperienza. Un ulteriore percorso riguarda la costruzione di atmosfere sorprendenti che riprendono ed innalzano una via alla differenziazione marginale tradizionalmente usata dalla distribuzione al dettaglio, facendone una leva principale di vantaggio competitivo. La contaminazione riguarda, invece, l’accostamento in un unico luogo di offerte merceologiche diverse. Ma l’esperienza ha due dimensioni di collettività, quella dell’ offerta e della domanda, che si combinano attivando una massa critica di attrazione che il singolo punto vendita non riuscirebbe a creare; ecco perché è molto importante che avvenga un coinvolgimento sia di operatori commerciali sia di enti locali, associazioni di categoria con funzioni di rappresentanza e coordinamento. Ma l’esperienza può essere legata anche al territorio e cultura, ovvero dove si sviluppa la combinazione tra offerta commerciale e particolarità territoriale.25 25
Vescovi T., Checchinato F.,(2003), Luoghi di esperienza e strategie competitive nel dettaglio, Congresso Internazionale “Le tendenze del Marketing”, 28-­‐29 Novembre. 26 Fig 1.2.2 Principali percorsi strategici nella costruzione dell’esperienza nei punti vendita EVENTI ATMOSFERA ESPERIENZA CONTAMINAZIONI TERRITORIO E CULTURA MASSA CRITICA Fonte: Nuova fonte su supporto “Luoghi di esperienza e strategie competitive nel dettaglio”, 2003 Il territorio, come vedremo, comprende l'insieme di tutte le attività tese a far crescere il grado di attrazione di un contesto geografico mediante la politica di organizzazione intenzionale dell'offerta del territorio, mirata ad attrarre investimenti e a sostenere lo sviluppo locale, attraverso la valorizzazione delle risorse disponibili e la programmazione di interventi in grado di coinvolgere gli operatori economici e le professionalità locali.26 1.3
IMPLICAZIONI DI MARKETING TERRITORIALE Le attività commerciali sono da sempre realizzate nell’ambito di destinazioni nelle quali vengono a trovare la loro localizzazione, siano esse 26
A.A, (2005), Appunti di politica territoriale, Celid, pp 21-­‐21. 27 di tipo extraurbano che urbano ed il successo del punto vendita all’interno di un aggregato commerciale greenfield o nel centro città, è connesso in modo evidente a quello del contesto di insediamento. Si tratta di una connessione che opera a due vie in quanto non solo il successo della localizzazione territoriale può dipendere dalla capacità attrattiva del punto vendita insediato, ma anche il successo del punto vendita può essere agevolato dalla scelta di localizzazione. Il territorio non rappresenta più soltanto un’area geografica, con confini politici e fisici delineati; ma diventa fonte di creatività, dove le diverse espressioni dei tempi possono prendere forma: economia, tecnologia, storia, arte, tradizione, natura. Il marketing territoriale è una disciplina che si basa sull’identificazione dell’insieme dei valori e di vocazioni che caratterizzano un territorio che è tale perché, oltre alla componente morfologica e naturale, è identificativo di una comunità che nel corso del tempo ha conferito ad una determinata area personalità, stili di vita, cultura e contributi economici che rendono unico il territorio. Può essere definito come un processo di comunicazione in cui il territorio viene assunto come risorsa; non è una semplice trasposizione delle tecniche maturate nell’ambito aziendale e richiede la comprensione delle effettive esigenze dei potenziali investitori ed un’attenta valutazione degli assets locali, nonché un esame delle compatibilità tra strategia d’impresa e sviluppo locale.27 Riguardo al marketing territoriale, molte sono state le definizioni date nel corso del tempo. Paoli (1999), definisce il marketing territoriale “marketing d’area” inteso come “tutte quelle attività che, esercitate su uno specifico spazio geografico, possono rendere un’area attrattiva per un prescelto gruppo di investitori logistico-­‐industriali, sui bisogni percepiti del quale (o dei quali) si è attuato il disegno delle caratteristiche stesse”. Egli 27
www.marketing/territoriale.hmt, (2008), il marketing territoriale. 28 sottolinea due aspetti importanti; in primo luogo le azioni di marketing devono essere riferite ad uno spazio geografico ben definito e circostanziato; in secondo luogo, l’azione di marketing è riferita a un prescelto gruppo di soggetti; essa è quindi conseguenza di un’attenta analisi delle diverse tipologie di domanda e della scelta di quelle cui indirizzare in modo prioritario l’offerta territoriale. Una visione analoga è proposta da Textier e Valle (1992) i quali considerano il marketing territoriale “come un insieme di azioni collettive finalizzate ad attrarre nuove attività economiche in una determinata area, a rafforzare le aziende locali e a migliorare l’immagine complessiva del luogo”. Successivamente, Kotler, Haider, Rein hanno fornito un’elaborazione più raffinata del marketing territoriale. I tre autori individuano quattro attività che caratterizzerebbero questa disciplina: a. Definire il corretto mix di caratteristiche strutturali e di servizi offerti dall’area; b. Stabilire il valido sistema di incentivi per gli attuali e potenziali utilizzatori dei servizi e delle strutture offerte dal territorio; c. Individuare modalità efficaci di distribuzione dei servizi e dei prodotti realizzati nel territorio; d. Promuovere l’immagine dell’area in maniera che i potenziali utilizzatori percepiscano correttamente il valore. Il marketing territoriale è finalizzato primariamente allo sviluppo dell’economia locale e persegue questo obiettivo attraverso due azioni fondamentali: la creazione e promozione degli elementi di attrattività del territorio; l’incoraggiamento della collaborazione tra soggetti pubblici e privati nella realizzazione dei progetti di sviluppo locale. Infatti il marketing del territorio è basato su un sistema di relazioni tra il soggetto che ha il compito di gestire l’offerta (componenti del territorio) e i potenziali acquirenti rappresentati dagli investitori e utenti attuali o potenziali. 29 28
L’offerta che il marketing territoriale deve realizzare e promuovere sul mercato è costituita da quattro elementi: risorse tangibili, risorse intangibili, servizi, relazioni tra gli attori locali.29 Il marketing territoriale svolge alcune importante funzioni elaborate da Varaldo (1999) e che risultano essenziali per governare nel modo migliore lo sviluppo locale. Queste funzioni sono: 1. mantenere e consolidare il tessuto produttivo già esistente nell’area; 2. favorire lo sviluppo nel territorio di nuove iniziative imprenditoriali; 3. creare sul territorio le condizioni che lo rendono attrattivo per determinanti utenti potenziali (investitori e consumatori esterni); 4. favorire il rafforzamento e la diffusione del patrimonio di competenze insito nell’area, nonché lo sviluppo di nuove imprese fortemente innovative. Gli obiettivi primari del marketing territoriale si possono sintetizzare nel seguente modo: • L’acquisizione di competenze manageriali per il coordinamento e lo sviluppo di programmi di marketing applicati ad un territorio che si configuri come un sistema economico locale; • lo sviluppo di capacità di costruire reti tra istituzioni ed imprese operanti sul territorio per realizzare strategie di azioni comuni; • Acquisire metodi e strumenti di marketing applicato ai differenti potenziali di un sistema economico locale integrandone le componenti e valorizzandone le opportunità. 28
Bertozzi P., Vigano M., (1996), “L’impatto economico e territoriale dei centri commerciali: una proposta metodologica”, Commercio, n.58, pp 70-­‐75. 29
Caroli G.M.,(1999), Il marketing terrtoriale, Franco Angeli, Roma, pp 30-­‐35. 30 L’obiettivo finale di qualunque azione di Marketing Territoriale è la valorizzazione del territorio stesso creando le condizioni per la migliore connessione tra l’offerta territoriale e le diverse tipologie di domanda.30 Su questo piano il marketing assume due valenze: da un lato costituisce una manifestazione dell’approccio strategico nella gestione di un territorio e dall’altro è una funzione operativa che ha il compito di orientare l’offerta territoriale, (a questo scopo si preoccupa di attuare intervanti che aumentano il valore che il territorio è in grado di offrire con l’intento di attrarre nell’area soggetti ed attività che favoriscono lo sviluppo delle risorse e la crescita), favorire le migliori condizioni di fruizione del territorio, svolgere azioni in modo da coinvolgere tutti i soggetti presenti sul territorio, far rispettare la coerenza tra gli obiettivi prefissati e gli obiettivi di compatibilità ambientale, competitività economica e coesione sociale (sono le tre finalità in cui si coniuga lo sviluppo sostenibile dell’area), ma anche selezionare ed attrarre il tipo di domanda migliore per la dinamica evolutiva del territorio e stimolare gli interventi che permettono all’offerta di essere il più possibile coerente con le attese cui si rivolge.31 Alla luce di queste considerazioni, l’interpretazione che il marketing dà alle caratteristiche del territorio avviene a livello strategico di sistema territoriale e a livello operativo dei singoli elementi che compongono l’area in questione. Sul piano strategico il marketing territoriale è un’ intelligenza di integrazione e fertilizzazione. Il termine intelligenza mette in luce il fatto che il marketing del territorio è in primo luogo un insieme di competenze attraverso cui raggiungere dei risultati tra cui: a) comprendere le opportunità competitive del contesto geografico, b) ideare un orientamento strategico efficace rispetto a tali opportunità e agli interessi 30
Caroli G.M.,(1999), Il marketing terrtoriale, Franco Angeli, Roma, pp 80-­‐83. 31
Cercola R., (1999), “Economia neoindustriale e marketing territoriale”, Sviluppo e Organizzazione, n. 172. pp 65-­‐78. 31 coinvolti ; c) stimolare l’attuazione e realizzare direttamente gli interventi operativi per implementare l’indirizzo strategico scelto. L’azione di intelligenza si manifesta su due piani: • il piano dell’integrazione; • il piano della fertilizzazione. Il marketing del territorio sviluppa una visione integrata degli elementi da cui dipende il livello di attrattività dell’offerta territoriale; esso rappresenta una forza propulsiva che consente la trasformazione delle caratteristiche tangibili e intangibili del territorio in un insieme di servizi integrati che creano valore per il cliente. Il significato dell’integrazione fa riferimento anche al fatto che l’azione di marketing facilita e promuove la capacità dei diversi attori coinvolti di massimizzare le connessioni e le sinergie tra le loro azioni. Sul piano della fertilizzazione, il marketing fornisce tutti quegli strumenti che consentono la valorizzazione degli interventi di marketing nell’ambito di ciascuna area o attività rilevante di un’ offerta territoriale. Sul piano operativo, invece, il marketing del territorio svolge principalmente due attività: a) Crea le condizioni migliori di fruizione del territorio da parte dei suoi utenti: questa attività comporta l’ideazione e l’attuazione degli interventi sulle componenti tangibili e intangibili del territorio al fine di realizzare un prodotto che soddisfi la domanda e l’attività di assistenza agli utenti del territorio durante la fase di acquisto e nelle fasi successive. Quest’ultima è rivolta principalmente alle imprese ed è finalizzata principalmente a favorire la realizzazione di investimenti produttivi sul territorio. b) Comunica a tali soggetti i fattori di attrattività dell’area in questione in relazione al posizionamento definito a livello strategico: questa attività, come la precedente, si articola in due compiti distinti. Da un 32 lato il marketing predispone e rende operativo un certo pacchetto di comunicazione finalizzato a far conoscere agli utenti del territorio le sue caratteristiche e i suoi punti di forza; qui la comunicazione viene usata come strumento per rafforzare e diffondere presso gli utenti del territorio il suo posizionamento strategico. Il secondo compito svolto dalla comunicazione è finalizzato a favorire la scelta operativa da parte del potenziale utente e consiste nel realizzare una serie di interventi che mettono in evidenza le opportunità e gli effettivi motivi di convenienza della localizzazione di un determinato investimento nell’area che si intende promuovere. 32 Nel caso di un territorio è molto complesso attribuire la responsabilità delle strategie di marketing e delle relative azioni operative ad un determinato attore. Le azioni di marketing dell’ offerta territoriale possono registrare la partecipazione di soggetti privati, pubblici, misti e molto spesso tali azioni vengono realizzate attraverso la collaborazione tra pubblica amministrazione e soggetti privati.33 Paoli distingue quattro livelli di organismi di marketing territoriale: • livello comunale: all’interno di questo si crea un organismo per il coordinamento e realizzazione delle varie iniziative che migliorano l’attrattività dell’area; • livello metropolitano: qui vi è un’agenzia di marketing che si occupa di promuovere tutto il territorio; • livello regionale: l’organo di marketing territoriale ha un maggior potere di pianificazione coinvolgimento di numerosi soggetti istituzionali che governano le componenti del territorio; • livello nazionale: lo Stato può dotarsi di un organo di governo centrale al quale è affidato il compito di definire gli indirizzi generali 32
Caroli M.C., (1999), il marketing territoriale, Franco Angeli, Milano, pp 106-­‐109. Ciciotti E., Florio R., Perulli P., (1997), La dinamica dei sistemi produttivi territoriale: teorie tecniche, Poliche, Franco Angeli, Milano, pp 185-­‐189. 33
33 di sviluppo competitivo del paese, attuare interventi mirati in aree per i quali è necessario applicare misure legislative nazionali… Alla luce di quanto appena detto la prospettiva di marketing territoriale risulta legata ai Centri Commerciali Pianificati e Naturali. Nel secondo capitolo è rilevante usare tale concetto per cogliere ed analizzare i Factory Outlet Center in quanto quest ultimi hanno un impatto considerevole sul territorio; mentre nel terzo capitolo ci concentreremo sulla frazione di management territoriale legato al contesto urbano: il marketing urbano. CAPITOLO 2 GLI AGGREGATI PIANIFICATI: I FACTORY OUTLET CENTER 2.1 IL CONCETTO DI OUTLET CENTER Da tempo la grande distribuzione organizzata ha visto crescere il suo potere nei confronti dell’industria di marca insieme all’ascendente sul cliente finale. Il dato relativo alla numerosità dei punti vendita al dettaglio sembra risultare meno efficace che in passato come indicatore inverso della modernità distributiva (Varaldo 1961). Il problema competitivo e dimensionale si è spostato almeno in parte dal singolo prodotto-­‐servizio commerciale a quello degli aggregati, il cui ruolo nei processi competitivi ha assunto un’ampiezza sempre più forte. Tale cambiamento trova corrispondenza nell’integrazione tra una pluralità di sistemi di erogazione di servizi piuttosto che nelle dimensioni del singolo punto di vendita e della singola impresa. I distributori non mirano più a vendere prodotti ma 34 tendono a proporre soluzioni che comprendono la realizzazione di formule commerciali integrate e di nuovi ambienti di relazioni. Alla domanda finale deve essere garantita una pluralità e varietà di servizi commerciali innovativi con, in particolar modo, un’integrazione fra questi ed altri servizi (leisure) anche legati a specificità estetiche, sociali e culturali del luogo di acquisto. 34
In tale contesto si sviluppano gli aggregati commerciali pianificati di origine greenfield (lontano da localizzazioni di punti vendita che offrono le stesse marche a prezzo pieno) e specializzati nel settore moda. Gli elementi che caratterizzano tale aggregato sono in primo luogo a) la programmazione e gestione unitaria e coordinata, (questa è affidata a soggetti che promuovono e gestiscono il mix giudicato ottimale di servizi (attività di leisure, ristorazione..), che investe anche attività amministrative e promozionali oltre alle decisioni in materia di definizione e gestione dell’assortimento; b) un calibrato mix di operatori del commercio al dettaglio e dei servizi distribuito all’interno di un’unica struttura in base ad un equilibrato merchandising plan al fine di migliorare la leggibilità e fruibilità dell’assortimento posto in essere. Tale aggregato si presenta come un impresa a tutti gli effetti dotata di autonomia strategica ed operativa e di una specifica formula aziendale che ingloba micro realtà aziendali di cui è composta in modo da disporre di una maggiore capacità di risposta alla crescente varietà e variabilità della domanda.35 A questi nuovi aggregati commerciali pianificati di origine greenfield appartengono gli outlet center, ovvero aggregati di punti vendita localizzati in zone periferiche. Essi, rappresentano nuovi “strumenti di consumo”(Ritzel) in quanto permettono di consumare un ampio ventaglio di beni e servizi. Secondo Ritzel, questi nuovi strumenti possono essere concepiti come “cattedrali del consumo”, dal momento che essi hanno un 34
Guercini S., (2006), il marketing delle destinazioni commerciali-­‐modernità distributiva e ruolo dei promotori, Franco Angeli, Milano, pp 7-­‐9. 35
Vona R., (1996), “commercio pianificato e rivitalizzazione dei centri storici. L’integrazione tra shopping e leisure”, Commercio, n.58, pp74-­‐75. 35 carattere religioso, a volte sacro per tante persone. Al fine di allettare masse di consumatori esse offrono scenari magici, fantastici e incantati (talvolta provocando questa magia intenzionalmente). ll termine “outlet” è di origine anglosassone e sta ad identificare una particolare tipologia commerciale che solo recentemente si è affermata in Italia. La traduzione letterale di questo termine è “uscita, sbocco, punto di vendita”. Il concetto di outlet nasce negli USA quando, già nella seconda metà dell’ottocento , alcune fabbriche di abbigliamento e di scarpe cominciarono a svendere, attraverso un locale esterno o interno all’azienda, giacenze di magazzino e articoli difettati, dapprima soltanto ai propri dipendenti e successivamente, in conseguenza dei buoni risultati ottenuti, anche ai privati. All’inizio del novecento molte imprese sperimentarono questa iniziativa con successo e dopo la seconda guerra mondiale vi fu una esplosione degli outlet.36 I vantaggi della formula erano reciproci: l’azienda riusciva a commercializzare eccedenze di magazzino, pezzi con qualche imperfezione o danneggiati, mentre i clienti (dipendenti o esterni) riuscivano a risparmiare acquistando direttamente dalla fonte prodotti di buona qualità, sebbene di una stagione passata o con piccole imperfezioni. In definitiva possiamo affermare che il concetto di outlet è nato negli Stati Uniti come fenomeno socioeconomico per poi diventare una particolare tipologia commerciale basata sulla vendita di prodotti di marca ribassati dal 30% al 70%, in quanto relativi a stagioni precedenti con lievi difetti o esuberi di produzione. Tale concetto è stato poi trasferito in molti altri paesi, penetrando nel tessuto storico e culturale e contribuendo a modificare usi e costumi locali. Recentemente l’outlet è diventato a pieno titolo un canale distributivo alternativo agli altri (e non solo complementare); ciò è giustificato dal fatto che le imprese che lo utilizzano 36
A.A., (2007), “il fenomeno degli outlet e l’impatto sul tessuto economico locale derivante dal loro insediamento”, Quaderno di lavoro di Confcommercio, Aprile, pp 1-­‐5. 36 hanno cominciato a produrre prodotti destinati ad essere venduti esclusivamente in questo tipo di formato commerciale. Riguardo al concetto di outlet emergono quattro diverse accezioni sulla base delle caratteristiche assunte dall’aggregato e dell’evoluzione registrata nel tempo: • Canale diretto per il produttore: si caratterizza per un numero di punti vendita e dimensioni complessive piuttosto limitate con poche decine di negozi riconducibili a varie marche (15-­‐30 marche). Questa forma caratterizza le aperture di outlet center degli anni settanta negli USA i quali emergevano per il recupero di superfici preesistenti secondo una logica di contenimento dei costi nelle zone greenfield o brownfield. • Discount “out of season/standard”: fa riferimento allo sviluppo di destinazioni commerciali a partire dall’iniziativa di produttori di marca che aprono strutture di dimensione analoga al tipo precedente in localizzazioni non lontane dalla loro origine produttiva (The Mall) • Centro commerciale di negozi-­‐outlet: questo terzo tipo di outlet center corrisponde alla nuova generazione di destinazioni costruite intenzionalmente come grandi centri commerciali e che offrono ai consumatori una componente di servizi per il tempo libero e per il divertimento replicando elementi di attrattiva del centro città. Si presentano con un numero elevato di punti vendita riconducibili a molte marche diverse (oltre cento) . Rientrano in questa tipologia gran parte degli outlet aperti nell’ultimo decennio in Europa, come ad esempio quelli realizzati da parte del gruppo McArthurGlen. • Centro outlet gestito dalle insegne della distribuzione: questo quarto tipo di aggregato si sviluppa dai connotati strutturali e dalla vocazione di escursionismo e turismo propri del tipo precedente. 37 Questa forma prevede l’insediamento di punti vendita gestiti non da operatori dell’industria ma da insegne della distribuzione. In questi centri outlet i punti vendita possono però essere anche gestiti dallo stesso promotore che li organizza mantenendo per essi le caratteristiche di negozio nel quale viene proposta un’offerta a sconto di articoli di marca risultati difettosi o rimasti in stock al termine della precedente stagione.37 2.2 DALL’OUTLET AL FACTORY OUTLET CENTER (FOC) All’ interno degli outlet center vi è una prevalenza assoluta dei punti di vendita di tipo Factory Outlet, intesi come formula di distribuzione diretta da parte di imprese manifatturiere produttrici di abbigliamento e di altri prodotti del sistema moda; esso si caratterizza per l’offerta di servizi commerciali in un ambiente moderno, accessibile, attraente, che vede iniziative di distribuzione al dettaglio attivate da parte dei produttori industriali (manifacturers) che propongono i loro prodotti direttamente al consumo finale a prezzo scontato. La maggior parte di questi offrono prodotti per l’abbigliamento, accessori e calzature oltre che talvolta prodotti per la casa. Più precisamente i Factory Outlet Center, in quanto destinazioni commerciali, sono: “strutture commerciali complesse extraurbane, ad architettura esperienziale che concentrano spazialmente dei punti vendita monomarca e autogestiti, caratterizzati da un assortimento speciale, fisso nella marca (brand e griffe di elevato appeal) ma variabile nelle 37
Guercini S., (2007), il marketing delle destinazioni commerciali-­‐modernità distributiva e ruolo dei promotori, Franco Angeli,Milano, pp 155-­‐163. 38 referenze ad un prezzo ribassato rispetto a quello del dettaglio tradizionale urbano”.38 I FOC sono strutture commerciali realizzate su una superficie di oltre 10000 mq localizzate al di fuori di grandi centri abitati, che possono assicurare un considerevole numero di visitatori del punto vendita (garantita dall’elevata superficie commerciale che genera per i consumatori economie di tempo tali da giustificare il viaggio più lungo per la shopping expedition). La scelta della location, avendo una valenza strategica deve essere ponderata tenendo conto di diversi fattori: • la presenza di un’ampia area di attrazione, che sia in grado di garantire la sopravvivenza del centro mediante un costante ricambio di visitatori; • la garanzia di elevata accessibilità e la presenza di adeguate strutture e collegamenti stradali, autostradali e ferroviari; • la vicinanza di mete turistiche, che consentono di attrarre un numero consistente di visitatori; • un’alta proporzione di consumatori con un elevato potere di acquisto all’interno dell’area di attrazione; • una distanza dai centri abitati e commerciali tale da limitare la concorrenza con i negozi del dettaglio tradizionale, i quali propongono le stessa marche offerte dagli outlet. Secondo uno studio americano la distanza tra l’area urbana e un Factory Outlet deve aggirarsi intorno alle 50 miglia in modo da evitare l’eventuale conflittualità con il commercio già insediato. Tuttavia questo si scontra con il legittimo desiderio di godere di una posizione tale da essere raggiungibili da un bacino di utenza il più ampio possibile data la scarsa frequenza di ritorno dei consumatori nell’arco dell’anno. 38
Mattiacci A., Ceccotti F., ( 2005), Nuove occasioni di acquisto per consumatori maturi:un’indagine esplorativa tra i factory outlet centre in Italia, Convegno Internazionale “Le Tendenze del Marketing, Ecole Superieure de Commerce, Parigi, Gennaio, pp 6-­‐7. 39 Questi elementi hanno portato ad individuare tre tipi di localizzazione: tra due aree urbane, tra due centri commerciali o in aree turistiche dove il centro, al di là della valenza puramente economica e commerciale, assume il carattere di un’attrattiva in più per la popolazione locale e i visitatori. La sua struttura commerciale è complessa infatti all’interno dei Factory Outlet assume sempre più importanza l’individuazione di un equilibrato mix di formule distributive e di servizi leisure adatto a soddisfare in modo complementare, nell’ambito della medesima shopping (leisure) expedition i bisogni di servizi commerciali e di svago di uno o più segmenti di domanda. Accanto alla notevole concentrazione di negozi, viene fornito un elevato livello di servizi come la ristorazione, aree bimbi, parcheggi, navetta, sportello bancomat, ufficio informazioni turistiche…39 La dimensione dell’entertainment assume una valenza distintiva che caratterizza questa formule: l’organizzazione dello spazio in vie e strade aperte che si incrociano richiamano il centro cittadino, nel quale si trovano le migliori griffe aggiungendo alla percezione di esclusività tanti altri vantaggi; infatti i punti vendita sono curati nel layout e nel merchandising, il personale di vendita è adeguatamente formato e viene prestata particolare attenzione all’estetica complessiva del centro. Con riferimento alle diverse aree di retailing mix, esistono potenzialità d’innovazione che interessano alcune aree di riferimento come: l’assortimento, le politiche di comunicazione in store e di merchandising e i servizi accessori. L’assortimento rappresenta il mezzo per raggiungere un fine all’interno dei punti vendita. Relativamente a questo le aree in cui si possono manifestare delle novità sono riconducibili a tre momenti manageriali tra cui la definizione del sistema di offerta complessivo, i criteri di aggregazione delle categorie merceologiche ( si è diffuso l’adozione di criteri sempre più customer based coerenti con i bisogni degli individui) e 39
Fumagalli G.M., (1999), “I factory outlet si mettono in grande”, Largo Consumo, n 10, pp 142-­‐
143. 40 la gestione delle singole categorie, che ad esempio mediante “display ad elevato contenuto informativo” sono in grado di coadiuvare il processo di scelta individuale accrescendo il livello di soddisfazione della domanda. Il visual merchandising, proponendosi come forma di comunicazione di rilievo per il retailer ed innescando quel fondamentale processo di “costruzione di senso dell’assortimento” svolge un ruolo fondamentale nel comunicare la dimensione del feeling dell’assortimento, richiamando nel sistema cognitivo individuale emozioni ed esperienze collegate al “consumo futuro del prodotto”, valorizzando il contenuto semantico dell’offerta commerciale. Infine i servizi accessori permettono all’impresa di distribuzione di fronteggiare la crescente pressione competitiva proponendo servizi complementari a quelli commerciali; questa complementarità è motivata da ragioni di convenienza economica e logistica: concentrare l’offerta di prodotti grocery, servizi postali, bancari nell’ambito della stessa shopping expedition puo’ consentire al cliente di ottimizzare l’impiego del tempo (one stop shopping)40 e di vivere un esperienza indimenticabile data dall’architettura esperienziale che li caratterizzano. Essi utilizzano una forma esterna particolare realizzando un “village style” che prevede la predisposizione di centri particolarmente semplici, ma accoglienti che riprendono aspetti tipici, storici o culturali del contesto nel quale si inseriscono, attraverso la ricostruzione di stradine, piazze, panchine (ad esempio Castel Romano outlet riprende richiama nell’architettura la grandiosità della Roma imperiale con archi trionfali e colonnate monumentali) ed è proprio in questo contesto che la spettacolarizzazione dello spazio entro cui avviene il processo di acquisto è giocata come variabile competitiva fondamentale non solo perché rende più gradevole in termini di esperienza l’attività di shopping ma anche perché contrasta la tendenza all’uniformità dell’offerta. Quindi, 40
Castaldo S., (2001),”l’innovazione di marketing dell’impresa commerciale: una ricerca esplorativa”, Micro &Macro marketing”, n.3, pp 478-­‐481. 41 architettura, ambientazione, insegna, ingresso, vetrina, layout, colori, materiali, illuminazioni, momenti di aggregazione sociale influenzano l’esperienza del cliente predisponendolo meglio all’acquisto e alla permanenza all’interno del centro.41 Uno dei grandi espedienti progettuali dei FOC è l’utilizzo dello “specchio”, che non serve solo ad illuminare e a moltiplicare lo spazio; questo ha una funzione onirica: serve a proiettarsi nel sogno reso plausibile e concreto dall’oggetto da acquistare (“Posso vedermi come diventerò quando utilizzerò…”). Molti outlet, per suscitare un’esperienza di acquisto coinvolgente sotto il profilo emotivo tendono a facilitare l’interazione del cliente con l’ambiente del punto di vendita attraverso modalità quali le prove dei prodotti, l’organizzazione di eventi e di attività ricreative al fine di generare un’esperienza di visita come un’avventura, progettando allo stesso tempo ambienti in grado da un lato, di rispondere alle esigenze di intrattenimento e di stimolazione sensoriale dei clienti, e dall’altro, di favorire le interazioni sociali. Lo sviluppo dei Factory Outlet diventa una decisione strategica importante per il produttore che gestisce direttamente i punti vendita. Quest ultimi diventano dei centri di profitto attraverso i quali il produttore può trasformare le eccedenze di prodotto in vantaggi economici; l’impresa protegge il brand in quanto controllare direttamente il canale è garanzia di qualità e trasparenza nei confronti del consumatore; ha grande chiarezza e visibilità nei confronti del consumatore, il quale è fortemente consapevole della qualità del prodotto di marca; assume un maggior controllo delle informazioni riguardanti il comportamento della clientela e adotta una strategia che consente di creare un nuovo canale distributivo che 41
Pellegrini L., ( 2001), “i luoghi di acquisto:strumenti chiave delle strategie di marketing”, Micro & Macro marketing, n.3, pp398-­‐399. 42 permetta alle imprese coinvolte di fronteggiare la crisi economica internazionale e saturazione degli altri formati distributivi.42 Gli ultimi due elementi caratterizzanti il Factory Outlet riguardano la presenza di marche note (elevato appeal) ad assortimento variabile e il prezzo. I FOC infatti non sono specializzati nell’offerta di una particolare categoria di prodotto, anche se l’abbigliamento rappresenta la maggior parte dell’assortimento. Quest ultimo è composto da articoli delle collezioni precedenti o fuori produzione, eccedenze di magazzino…destinati ad un pubblico evoluto ma attento alla convenienza, interessato ad acquistare capi e accessori griffati a prezzi accessibili.43 Qui la marca rappresenta stile, distinzione, gode spesso di grande notorietà e reputazione quindi implica sicurezza ed innovazione; tutti elementi che favoriscono fedeltà alla marca e forte capacità di attrazione di questi prodotti per il consumatore. Il prezzo invece rappresenta la leva primaria dei Factory Outlet. Gli sconti possono oscillare tra il 30 e 70%. Questo è una variabile prioritaria per un’ampia fascia di clientela interessata a possedere oggetti di prestigio, difficilmente acquistabili nei circuiti classici (retail) anche se i FOC, con il passare del tempo, sono stati costretti, a causa dell’evoluzione dei consumi e dei comportamenti di acquisto, ad adeguarsi ad una domanda che si è fatta sempre più sofisticata e attenta a ricercare gli aspetti qualitativi dei prodotti, dell’ambiente, la cura dell’esposizione e assistenza fornita dal personale di vendita, più che un generico risparmio.44 Quindi, prezzi, assortimento, caratteristiche della struttura (intesa come comodità per la presenza di ampi parcheggi e come concentrazione di negozi/varietà di prodotti , qualità della marca ma anche gli aspetti ludici e 42
Pozzi M., (2002), “L’europa apre ai factory outlet”, Largo Consumo, n.4, pp 84-­‐87. Pozzi M., (2002), “L’escalation dei factory outlet, Largo Consumo, n.2, pp 84-­‐87. 44
Fumagalli G.M, (1999), “I factory outlet si mettono in grande”, Largo Consumo, n.10, pp 143-­‐
145. 43
43 il desiderio di evasione dalla vita quotidiana rappresentano le motivazioni che inducono il consumatore a visitare un Factory Outlet Center. Figura 2.2.1 Elementi di un FOC Ubicazione Greenfield ma facilmente raggiungibile Assortimento: Tendenzialmente specializzato -­‐Prodotti Moda-­‐abbigliamento -­‐Marche Note al grande pubblico e di elevato appeal Prezzi Ribassati rispetto allo standard (evidenziati dai cartellini a doppio prezzo) Servizi Simili al centro commerciale: parcheggi, ristoro, sportello bancomat) Fonte: Mattiacci A., Ceccotti F., (2005) Il Factory Outlet Center ha una storia recente nel nostro Paese, mentre ha raggiunto tutta la sua maturità nella realtà che per prime lo hanno sperimentato. Il primo outlet è sorto negli USA ad opera della Flemington Cut Glass nel 1915, ma si trattava di un semplice spaccio aziendale. Per parlare di Factory Outlet Center dobbiamo aspettare la fine degli anni settanta quando avviene la separazione spaziale dell’outlet dal centro di produzione e la successiva aggregazione in strutture complesse. Da questo momento in poi i FOC cominciano ad affermarsi in USA come il prodotto di una nuova filosofia distributiva. Le prime nazioni in cui sorsero i primi FOC furono Francia e Gran Bretagna, dove oggi questi rappresentano una realtà consolidata e in espansione quantitativa. In Italia l’introduzione di questi centri è piuttosto recente. Le motivazioni che sono alla base del ritardo nel recepimento di questo format sono: motivi di carattere burocratico (difficoltà di ottenere licenze e permessi), motivi socio-­‐culturale derivante dall’inattuabilità di 44 metabolizzare questo format importato dall’estero e motivazioni storico-­‐
culturali derivanti dalla presenza in Italia di negozi tradizionali di piccole dimensioni: botteghe artigiane e punti vendita al dettaglio.45 Il primo FOC è stato inaugurato nel Settembre 2003 in Piemonte a Serravalle Scrivia(AL), aperto dal gruppo inglese McArthurGlen, leader europero nella progettazione e promozione di outlet center, già associato all’operatore britannico British Airport Authority e recentemente passato alla partnership con l’operatore britannico Richardson Developement, in joint venture con la holding immobiliare fiorentina Fingen Real Estate. Il gruppo McArthunGlen ha avviato 7 centri outlet nel Regno Unito, 3 in Italia, 2 in Francia e 1 in Australia e nei Paesi Bassi; esso controlla oltre un terzo del mercato europeo degli outlet center. Dopo il successo del primo Factory Outlet center in Italia molti altri ne sono sorti ad opera di diversi operatori specializzati: dopo l’outlet di Serravalle Scrivia ne sono stati aperti altri 6; nel 2005 sono sorti outlet a Barberino DI Mugello, Molfetta, Arezzo…. La maggior parte dei FOC presenti in Italia è situata nell’area centro-­‐
settentrionale per ragioni legate sia alla presenza di maggiori infrastrutture sia di un bacino di utenza con un più alto reddito disponibile.46 45
Mattiacci A., Ceccotti F., (2005), nuove occasioni di acquisto per consumatori maturi:un’ indagine esplorativa tra i factory outlet center in Italia, Congresso Internazionale “Le Tendenze del Marketing”,Ecole Superieure de Commerce, Parigi, Gennaio, pp 10-­‐12.. 46
Zaghi K., (2005), “Il factory outlet è o si spaccia per una formula distributiva vincente?”, GDOWEEK, Gennaio, pp 36-­‐38. 45 Figura 2.2.2 Offerta foc in italia FOC PROMOTORE APERTURA SUPERFICIE N.NEGOZI Serravalle Scrivia McArthurGlen 2000 45000mq 137 (AL) e Fingen Seriate AWG Plc 2003 15000mq 23 Village Valur Retail 2003 22000mq 45 Franciacorta Gruppo 2003 35000mq 65 Village Percassi 2003 20000mq 80 (RM) e Fingen Bagnolo San Vito Fashion District 2003 31000mq 54 Valmontone(RM) Fashion District 2003 23400mq 84 Caste Guelfo (BO) ING Real Estate 2004 13500mq 50 Galleria (BG) Fidenza (PR) Castel Romano McArthurGlen (MN) e Pantheon Retail Fonte: Mattiacci A., (2005) Ultimamente (2006-­‐2008) sono sorti nuovi factory outlet: Sardinia factory outlet (CA), Mondovicino factory utlet (CN), Luxury outlet Noventa di Piave…47 2.3 CONSUMATORI DEI FACTORY OUTLET CENTER Il consumatore rappresenta la domanda ed oggi esso assume determinati comportamenti che lo portano ad essere definito come un 47
http://www.sole24ore.it, (2008). 46 “consumatore/acquirente maturo”. Le caratteristiche comportamentali che lo definiscono tale possono essere di natura edonistico-­‐simbolica, cioè quella che la letteratura statunitense è solita definire “experential shopping”: atmosfere rilassanti, ambienti raffinati, architetture studiate nei minimi dettagli in armonia con il paesaggio circostante trasformano una giornata di shopping in un’esperienza unica; ma all’atto dello shopping egli può avere anche un atteggiamento di natura socio-­‐relazionale ed in questo caso l’acquisto si sviluppa come una modalità d’uso del tempo arricchito da funzioni relazionali. Inoltre l’ acquirente può mirare ad una ricerca del “value for consumer” complesso, integrante una funzione simbolica a quella funzionale in un quadro di esperienza complessiva acquisto/consumo/post-­‐vendita. Talvolta il consumatore assume un atteggiamento nomade dei comportamenti di scelta del punto vendita improntando il sistema delle decisioni di acquisto in base al prezzo pur in contesti di marcata fedeltà alla marca industriale oppure cerca di soffermarsi ai termini della razionalità “costi/benefici”48 piuttosto che ad una limitata attenzione al rapporto qualità/prezzo: questo è il comportamento che mira al recupero del “good value for money”. In definitiva quando si parla di consumatore/acquirente maturo si fa riferimento al fatto che egli nel momento dell’acquisto non guarda solo al prezzo ma anche ad altri elementi o fattori che qualificano l’identità percepita dal visitatore all’interno dei Factory Outlet Center. Prezzo strutturalmente ribassato dal 30% al 70%; caratteristica della struttura ovvero vie, antichi borghi, strade e monumenti; marche note ad elevato appeal e la possibilità di avere a disposizione servizi tra cui parcheggi gratuiti, sportelli bancomat, aree gioco per bimbi, centri di informazioni 48
Mattiacci A., Ceccotti F., ( 2005), Nuove occasioni di d’acquisto per consumatori maturi:un indagine esplorativa tra i factory outlet in Italia, Convegno Internazionale “Le Tendenze del Marketing”, Ecole Superieure de Commerce, Parigi, Gennaio, pp 14-­‐16. 47 turistiche che aiutano a ridurre la percezione del tempo; incidono notevolmente sul comportamento di acquisto del consumatore, rendendogli più piacevole la shopping expedition e lasciando lui un ricordo positivo in modo tale da agevolare così una maggiore propensione e frequenza delle visite. Alla luce di quanto detto fino ad ora sui comportamenti e sui fattori che rendono il consumatore maturo, assume una dimensione fondamentale il punto vendita e il prodotto, che dovrebbero avvolgere il cliente nell’esperienza di acquisto, arricchendosi di contenuti capaci di costruire e trasmettere una serie di valori addizionali in un contesto di lettura complessa del prezzo proposto.49 L’analisi del prodotto dal punto di vista del consumatore/acquirente può essere effettuata avvalendosi di una classificazione che distingue i prodotti in base alla complessità del processo di acquisto adottato dal consumatore.50 Recuperando una classificazione tradizionale degli approcci all’acquisto si possono individuare: • un atteggiamento “preference o specialty oriented”, tipico dei consumatori ad elevato reddito , che ricercano prodotti di marca ad elevato contenuto innovativo e di moda e che non sono influenzati nel processo di valutazione delle alternative dalla variabile prezzo. Nei FOC i consumatori ricercano prodotti di marca ma sanno che non si trovano le ultime collezioni; • un atteggiamento “economy oriented”, tipico dei consumatori con ridotte possibilità economiche, sempre alla ricerca del risparmio e quindi ai prezzi più bassi; • un atteggiamento “bargain oriented”, tipico dei consumatori che hanno un reddito medio e medio/elevato alla ricerca dell’affare, per 49
Pozzi M., (2002),” L’escalation dei factory outlet”, Largo Consumo, n.2, pp 84-­‐87. Burresi A., Aiello G., GuercinIi S.,(2006), Marketing per il governo di impresa, Giappichelli Editore,pp 145-­‐147. 50
48 le quali è importante reperire tutte le informazioni necessarie per una valutazione attenta del prodotto che presenta il miglio rapporto qualità/prezzo. Un nuovo modello di acquisto specifico per la situazione dei FOC è quello del “brand-­‐gain oriented” che accorpora le caratteristiche degli altri modelli (specialty, economy, bargain) anche se si discosta da essi nel modo di intendere alcune variabili costitutive. In particolare gli acquirenti degli outlet ricercano prodotti di marca (preference) ma a differenza di questi, sanno che nei FOC non si trovano le ultime collezioni; pongono molta attenzione alla variabile prezzo (economy) nella valutazione delle alternative, un’ attenzione che non si traduce nella ricerca del prezzo più basso, ma del prezzo ritenuto più conveniente sulla marca rispetto a quello offerto nei punti vendita urbani. La ricerca dell’occasione (bargain) si limita ai soli produttori di marca che interpretano il FOC come unico punto vendita ed esprime una filosofia di acquisto che persegue l’intento primario di accedere a marche d’appeal (componente brand-­‐) a condizioni economiche strutturalmente più favorevoli (componenti –gain) accettando di rinunciare al requisito di novità degli assortimenti. 51 51
Mattiacci A., Ceccotti F.,( 2005), Nuove occasioni di acquisto per consumatori maturi:un’indagine esplorativa tra i factory outlet centre in Italia, Convegno Internazionale “Le tendenze del Marketing”, Ecole Superieure de Commerce, Parigi, Gennaio, pp 5-­‐10 . 49 Figura 2.3.1 I modelli di acquisto tradizionali e l’approccio brand-­‐gain oriented Preference oriented Brand-­‐gain oriented bargain oriented Economy oriented Fonte: Mattiacci A., Ceccotti F., (2005) Per quanto riguarda i consumatori/acquirenti è importante definire con precisione la tipologia del protagonista (attraverso indagini accurate di mercato)pur sapendo che ci sono i consumatori task-­‐oriented, cioè coloro che si recano presso i negozi più interessanti con uno scopo di acquisto specifico e i non-­‐task oriented che girano per l’outlet alla ricerca di qualcosa da comprare ma senza un obiettivo predeterminato. L’analisi del profilo dell’acquirente ideale di questo tipo di formato distributivo vede: _ principalmente donna(55%) di età compresa tra i 26 e 45 anni(70%). La percentuale degli uomini è molto bassa; _professione media, cui si accompagna una condizione economica medio/bassa. L’outlet non è visitato da coloro che si trovano in condizioni economiche estreme sia a livello inferiore che superiore; _titolo di studio: il 2% del frequentatore ideale possiede la laurea, il 67% il diploma, mentre il 31% dei frequentatori non ritiene questa variabile discriminante; _frequenza di acceso:il consumatore tipo è disposto a compiere tra i 20 e i 50 chilometri per raggiungere il FOC utilizzando di norma l’automobile. I milioni di frequentatori non sono visitatori accidentali, nel 60% dei casi si tratta di avventori affezionati dal 50 momento che dichiarano di esserci andati nell’ultimo anno 3-­‐4 volte l’anno, il resto dice di trovarsi là per la prima volta. La maggior parte di essi compie gli acquisti con la famiglia, partner, amici, da solo/i; _attenzione alla marca: il 94% dei visitatori da molta importanza alla marca, al prezzo(88%) e alla qualità(72%).52 Figura 2.3.2 Condivisione della shopping expedition con il partner con la famiglia con amici da solo Fonte: A.A., 2008 2.4 IL TURISMO NEI FACTORY OUTLET CENTER Chi si mette in viaggio verso questi format non è mai mosso da motivi squisitamente turistici; è la voglia dello shopping il vero motore del viaggio verso gli outlet: sei persone su dieci afferma che il motivo della visita sta nel desiderio o necessità di fare acquisti, mentre la restante parte combinano lo shopping al bisogno di svago con escursione. Soltanto il 5% dei visitatori si reca agli outlet per mera curiosità; mentre lo sfizio di una gita fuori porta fa avviare solo il 4% dei visitatori.53 Quindi, uno degli effetti 52
A.A, (2008),” I luna Park delle firme”, Altroconsumo, Giugno, pp 12-­‐16. A.A, (2008), “I luna park delle firme”, Altroconsumo, Giugno, pp 12-­‐16. 53
51 che l’insediamento di un FOC produce su un certo territorio è quello legato all’incremento dei flussi turistici verso l’area localizzativa; infatti i visitatori possono recarsi nella zona sia perché attratti dal FOC sia perché attirati da un’ interessante offerta territoriale complessiva. Nella prima ipotesi, i potenziali consumatori possono decidere di fare visita alla struttura commerciale con l’intento di comprare qualcosa in particolare oppure spinti dalla possibilità di trascorrere una giornata (che spesso si conclude con acquisti non programmati), attratti dalla presenza nel centro di marchi prestigiosi a basso prezzo, di iniziative culturali, sportive o di un ambiente affascinante dal punto di vista architettonico e facilmente accessibile, ed infine di una innumerevole serie di servizi. Nel secondo caso, invece, i maggiori flussi di persone, sono dovuti alla superiorità che il sistema territoriale ha saputo creare rispetto alle altre aree; naturalmente questa cresciuta attrattività dell’area è dovuta alla presenza del FOC.54 Tuttavia, la capacità di intercettare i flussi di presenze attratte dall’outlet trasformandole in presenze turistiche per tutta l’area dipende dalla capacità del territorio di adeguare il proprio sistema produttivo e la propria offerta turistica sviluppando una proposta integrata di qualità. Solo attraverso l’adozione di un sistema di azioni collegate e coerenti la capacità attrattiva dell’outlet e quella del territorio ospite potranno alimentarsi e sostenersi a vicenda. In sostanza, la massimizzazione dei ritorni sotto il profilo turistico dipende dalla capacità del territorio: • di adottare un preciso indirizzo di marketing a livello strategico , il quale consiste nel definire una precisa scelta del posizionamento dell’offerta territoriale e operativo, ovvero rafforzare il prodotto-­‐
territorio e i diversi fattori tangibili e intangibili che lo caratterizzano: dalle infrastrutture da cui dipende la fruibilità da 54
A.A., (2008), “I luna park delle firme”, Altroconsumo, Giugno. 52 parte della domanda ai servizi finalizzati al soddisfacimento di varie tipologie di bisogni (trasporti, accoglienza, informazioni…). Sul piano operativo, infatti i FOC programmano accordi con operatori turistici, compagnie aeree, alberghi e istituzioni locali, arrivando a fare da traino all’intera offerta turistica dell’area, attirando il turista shopper e indirizzandolo ai giacimenti culturali e naturalistici più prossimi. • di stimolare la mobilitazione e l’iniziativa degli attori locali; • di sviluppare adeguate forme di collaborazione con l’investitore. In ogni caso la maggiore presenza di visitatori nell’area si tradurrà in occasioni di crescita di tutte le imprese della zona operanti in molteplici settori (trasporto pubblico e privato, attività edilizie, attività artigianali e di servizio…), arrecando così beneficio a tutto il sistema economico del luogo. E’ molto importante che si realizzino forma di integrazione tra settore commerciale e settore turistico; ad esempio possono essere realizzati tour turistici che prevedono la visita al FOC sia quella al patrimonio artistico, culturale o paesaggistico del territorio, oppure possono essere previsti, all’interno di un FOC, degli spazi informativi in cui si pubblicizzano eventi, mostre o iniziative locali di vario tipo. In questo modo è possibile incrementare il valore dell’offerta complessiva di un territorio , sfruttando la sinergia che si viene a creare tra turismo e commercio: un’offerta commerciale sviluppata e la presenza di formati in grado di fungere da polo di attrazione per la popolazione e di far percorrere grandi distanze agli acquirenti può avere un impatto positivo sull’area, in particolare se viene sviluppata coerentemente a fattori di offerta turistica che siano in grado di trasformare acquirenti/visitatori in turisti. Come mostra la figura, combinare in modo sinergico lo shopping al 53 turismo generando un’offerta di turismo commerciale, consente di creare proposte che soddisfino le variegate esigenze dei visitatori.55 Figura 2.3.1 Shopping come motivazione di acquisto e viaggio MOTIVAZIONI DEL VIAGGIO _ SVAGO _ IMPIEGO TEMPO LIBERO _RICERCA ESPERIENZA MEMORIABI
LE TURISMO COMMERCIALE MOTIVAZIONE DELL’ ACQUISTO Fonte: Pederzoli D., (2001) Si dovrebbe implementare un’azione in grado di valorizzare entrambe queste attività, in modo da richiamare nuovi target di visitatori e generare maggior valore agli operatori turistici e commerciali e per il cliente stesso; infatti il commercio consente di ottenere un ritorno positivo all’offerta turistica e viceversa. 55
Gazzola P.,Cecchinato F., (2005), il marketing per la valorizzazione del territorio: una prospettiva di analisi, Covegno le tendenze di marketing, Gennaio, pp 10-­‐15. 54 L’obiettivo ultimo del commercio è quello di attrarre sia i visitatori sia i residenti, riuscendo ad incrementare l’economia locale nonché il flusso di persone e a valorizzare di conseguenza il territorio. In definitiva, se il FOC lega la sua offerta agli elementi di attrazione turistica, si potrà parlare di offerta del territorio, e non soltanto di offerta commerciale e turistica. 2.4 I FACTORY OUTLET E IL TERRITORIO La localizzazione di un FOC su un territorio può contribuire allo sviluppo di tale contesto, a patto però che questa realizzazione si inserisca un più ampio progetto di marketing territoriale finalizzato a valorizzarne le risorse (effettive o latenti) e a differenziarlo dagli altri territori, e a condizione che si venga a creare un clima di collaborazione e partecipazione , attraverso l’attivazione di un network di interrelazioni che favorisca l’immagine positiva del contesto e soddisfi gli interessi dei principali stakeholders (compreso i FOC). La localizzazione di format di grandi superfici rappresenta un’ importante opportunità per favorire la crescita del territorio, innestando nei tessuti economici locali nuovi stimoli competitivi.56Il FOC può essere per il sistema locale un’ opportunità per:  Sostenere programmi di riqualificazione di aree degradate o sottoutilizzate;  Integrare il sistema di offerta presente, favorendo una maggiore articolazione di formati (attrattività commerciale di un’area);  Attirare risorse economiche utili per il miglioramento del sistema insediativo locale; 56
www.marketing/territoriale.hmt 55  Contribuire alla manifestazione di effetti economici (occupazione, reddito) e ambientali, (inquinamento, morfologia del territorio).57 Occupazione e reddito costituiscono quelli che sono gli impatti positivi sul territorio inerenti alla localizzazione di un FOC. La forza lavoro presente nell’area localizzativa può essere impiegata sia direttamente nella nuova realizzazione commerciale sia nelle molteplici attività che si sviluppano conseguentemente alla costruzione del nuovo formato distributivo; si fa riferimento al personale addetto all’organizzazione e gestione del complesso in generale e a quello impiegato in ciascun punto vendita (occupazione diretta) ma anche a quella indiretta (vetrinisti, allestitori stand). L’insediamento di un FOC può anche produrre effetti sul reddito della popolazione da valutare tenendo di conto di due aspetti: l’uno relativo al reddito generato direttamente dalla struttura in fase di esercizio; l’altro relativo al reddito che i visitatori del centro e che il centro stesso inducono sull’economia del territorio. Fra gli effetti negativi derivanti dal nascere di tale formato possiamo riscontrare il traffico e le sue eventuali ripercussioni ambientali quali la congestione della rete stradale (nelle prime settimane di apertura soprattutto nei giorni festivi agli orari di uscita), frequenza di incidenti stradali , inquinamento atmosferico, visivo e sonoro. Ma il Factory Outlet Center contribuisce a modificare, da un punto di vista fisico, l’ambiente circostante e a trasformare o potenziare il patrimonio infrastrutturale (queste possono concorrere a rivalutare la zona, a migliorare la viabilità e l’ambiente fisico circostante). Assumono un ruolo importante in questo contesto gli interlocutori locali che devono adeguare lo strumento urbanistico vigente all’inserimento del centro commerciale, localizzando le aree e infrastrutture necessarie e assicurando la compatibilità commerciale tra il 57
A.A., (2007), “il fenomeno degli outlet e l’impatto sul tessuto economico locale derivante dal loro insediamento”, Quaderno di lavoro di Confcommercio, Aprile, pp 6-­‐8. 56 nuovo insediamento e il quadro urbanistico complessivo (approvvigionamento idrico, depurazione, difesa del suolo, smaltimento rifiuti solidi, mobilità, disponibilità di energia). E’ molto importante che gli attori locali adottino una strategia di promozione delle opportunità localizzative presenti sul territorio, secondo le logiche di marketing territoriale cercando di massimizzare i benefici e minimizzare i rischi di esternalità negative per l’area ospite puntando a fare sistema (“governance”) realizzando una sinergia tra attori privati e pubblici e promuovendo la crescita del territorio e processi di innovazione. Le entità territoriali si trovano ad dover interagire con un insieme di pubblici di riferimento: i pubblici interni, che sono portatori nei confronti del territorio di interessi rilevanti (residenti, lavoratori, imprenditori) legati al territorio da una componente che è la soddisfazione e i pubblici esterni, rappresentati dai turisti, investitori, potenziali nuovi residenti o imprese. Quest ultimi sono legati al territorio dall’attrazione che mira a richiamare nell’area i possibili segmenti di clienti/mercati. Questa relazione tra territorio e pubblici interni ed esterni mette in moto un circolo virtuoso: quanto più il territorio è attrattivo, tanto più interessa i pubblici esterni aumentando la soddisfazione degli stakholders che continuano ad investire per aumentare ulteriormente l’attrattività; incrementando in questo modo il circolo virtuoso soddisfazione – attrattività -­‐ valore. 57 Figura 2.4.1 Il circolo “virtuoso” VALORE TERRITORIO ATTRATTIVITA’ TERRITORIO SODDISFAZIONE CITTADINI/ IMPRESE Fonte: Valdani E., Ancarani F., (2000) Tutte le nuove organizzazioni entrano a far parte di un ambiente operativo nel quale sono presenti interlocutori che, in modo diretto o indiretto, influenzano o possono influenzare la loro mission e la loro attività. Appare, quindi, imprescindibile un’ attenta analisi del task enviroment, volta ad individuare i principali attori con cui l’organizzazione entra in contatto e a selezionare le strategie più adatte per relazionarsi con esso e che permetta all’organizzazione di ottenere un vantaggio competitivo difendibile dai concorrenti, assicurandosi performances positive e ampie possibilità di successo. Così anche un Factory Outlet Center, come tutte le organizzazioni viene ad insediarsi su un determinato territorio deve riuscire ad identificare e a valutare tutti i soggetti facenti parte del proprio ambiente specifico, cercando di instaurare e sviluppare con essi solidi e stabili relazioni. Nel caso particolare del FOC, i principali attori con cui esso si dovrà rapportare sono: promotori-­‐investitori e finanziatori, autorità locali, concorrenti, 58 associazioni sindacali e imprenditoriali, imprese partecipanti ai FOC, risorse umane e consumatori finali di cui ho già parlato. Figura 2.4.2 Attori locali legati al territorio POTERI PUBBLICI PRODUTTORI COMMERCIANTI TERRITORIO CONSUMATORI PROMOTORI INVESTITORI FINANZIATORI APPARATO COMMERCIAL
E Fonte: Merenne-­‐ Schoumaker., (1996) 2.4.1 PROMOTORI, INVESTITORI, FINANZIATORI Affinchè la realizzazione di un FOC in un determinato territorio possa produrre effetti positivi e affinché tale iniziativa possa perdurare nel tempo, è necessario che i promotori pianifichino e programmino in modo accurato la progettazione e sviluppo del centro, predisponendo di strumenti di governance che permettono loro di realizzare sinergie con il territorio circostante. Per quanto riguarda i finanziatori dei FOC, ho già parlato della figura dell’investitor, il cui ruolo è quello di far fronte all’ingente fabbisogno finanziario necessario per l’acquisizione dei diritti sulle proprietà immobiliari. Coloro che decidono di investire in un FOC sono rappresentati da una società specializzata nella promozione e sviluppo di questo formato e da una società operante nel comparto 59 immobiliare e insediata nel territorio in cui il FOC andrà a localizzarsi. Queste due organizzazioni possono così decidere di mettere insieme le loro risorse e competenze specifiche e mediante accordi collaborativi e cooperativi (joint ventures) di creare una nuova società che abbia per scopo l’acquisizione dei diritti proprietari sulla struttura immobiliare, l’affitto degli spazi ai vari tenants ed eventualmente la gestione dello spazio commerciale. Ma è molto importante che la società promotrice instauri anche una collaborazione con un partner locale che le potrà consentire di avere una maggiore conoscenza delle normative, attori territoriali, del quadro competitivo e di accedere ad un elevato numero di risorse (tecnologiche, finanziarie e umane).58 Accanto a questi soggetti possono intervenire come investitori o finanziatori gli istituti di credito, fondi pensioni italiani ed esteri, compagnie assicurative, amministrazioni locali, imprese di distribuzione. La figura dell’ investitor, come abbiamo visto, può coincidere totalmente o parzialmente con quella del promotore.59 L’attività della società di promozione ed in particolare il promotore, durante il periodo di realizzazione del centro dovrà occuparsi di alcune attività tra cui: • selezione dei siti e piano fattibilità: il promotore, una volta individuato il potenziale sito in cui andrà ad insediarsi il FOC, deve fare le prime valutazioni riguardo alla qualità della localizzazione e alla sua coerenza con la formula; successivamente dovrà svolgere un’accurata analisi di fattibilità che prevede: la determinazione del bacino di influenza, condizioni di accessibilità dell’area, studio degli 58
A.A., (2007), “Il fenomeno degli outlet e l’impatto sul tessuto economico locale derivante dal loro insediamento”, Quaderno di lavoro di Confcommercio, Aprile, pp 10-­‐12. 59
Guercini S., (2007), il marketing delle destinazioni commerciali-­‐modernità distributiva e ruolo dei promotori, Franco Angeli,Milano, pp 99-­‐109. 60 aspetti normativi, quantificazione della superficie da sviluppare, valutazione dell’investimento finanziario e del rendiconto ottenibile; • elaborazione del merchandising plan: un ulteriore aspetto che deve essere pianificato consiste nella scelta del merchandising plan mediante il quale viene scelto il tenant mix, (ovvero l’insieme delle tipologie di offerta commerciale ed extracommerciale del centro e il numero e qualità degli esercizi chiamati a rappresentarle) il quale contribuisce a un chiaro posizionamento del centro sul mercato e sarà percepito in modo favorevole sia dal consumatore che da quei retailers potenzialmente interessati a farne parte; • Progettazione architettonica: l’architettura degli spazi e la predisposizione degli esercizi è studiata attentamente in modo tale da prolungare la permanenza nel centro stimolando la circolazione dei consumatori; • Procedure commerciali ed amministrative: questo aspetto riguarda l’ottenimento delle licenze commerciali e concessioni edilizie e in generale il superamento dei vincoli amministrativi; • Ricerca dei finanziamenti: è un punto fondamentale che riguarda le varie forme di finanziamento; esistono varie fasi dove l’investitore può essere un proprietario, un finanziatore o entrambe le cose. In un primo momento l’investitore è il promotore del centro, il quale, individuata l’area e compiuto uno studio di fattibilità del progetto acquista il terreno con capitale proprio e presenta agli organi pubblici competenti la richiesta delle autorizzazioni allacciando contatti con i potenziali finanziatori. Dopo aver ottenuto le autorizzazioni necessarie, il promotore si rivolge ai finanziatori (essi possono decidere di rimanere finanziatori o assumere la veste di investitori). Qui è molto importante riuscire a predisporre di un adeguato tenant mix e ottenere adesione da parte dei prestigiosi 61 brand, che costituiscono per i finanziatori una garanzia della futura capacità di attrazione del centro. Una volta che il centro è stato costruito si possono verificare tre situazioni: acquisto dell’immobile da parte dell’investitore che diventa locatore delle imprese tenants, acquisto della struttura da parte degli operatori del centro o mantenimento della proprietà del promotore e locazione degli spazi commerciali. 2.4.2 IMPRESE PARTECIPANTI AL FOC Le imprese partecipanti ai foc rappresentano quei punti vendita di tipo factory che vengono venduti o affittati a case produttrici conosciute operanti nel settore moda-­‐abbigliamento per lo smaltimento delle eccedenze di stock a prezzi più bassi di quelli praticati sul canale tradizionale. L’utilizzazione della formula dell’outlet consente al mercato secondario (branch market) di realizzare un’introduzione forzata dei propri marchi e proprie peculiarità produttive senza disturbare il mercato principale (main market) ottenendo vantaggi competitivi e attuando una sana politica di diversificazione commerciale. Le imprese di produzione, in ogni caso, dovrebbero riuscire a gestire l’immagine aziendale in modo da non dare l’impressione che i prodotti siano alla portata di tutti; è necessario infatti comunicare il valore del brand spiegando che nei Factory Outlet Center viene venduto un assortimento diverso da quello presente altrove e che i vari tipi di punti vendita sono nettamente distinti da quelli presenti nel main market, il quale risulterebbe svilito.60 60
Zaghi K., (2005), “Il factory outlet è o si spaccia per una formula distributiva vincente?”, GDOWEEK, Gennaio, pp 37-­‐38. 62 2.4.3 ASSOCIAZIONI SINDACALI E IMPRENDITORIALI I promotori/gestori dei FOC presentano rapporti con associazioni sindacali e diverse associazioni imprenditoriali (Confesercenti, Confcommercio, Associazioni industriali) già in fase di progettazione del centro commerciale. Tali associazioni rappresentano dei vincoli per i promotori soprattutto per quanto riguarda le modalità e le condizioni di assunzione del personale nonché la tutela della concorrenza locale. Basti pensare che hanno iniziato a manifestarsi preoccupazioni per il rapido espandersi di questa tipologia distributiva. Le prime a lamentarsi della “concorrenza sleale” recata dai Factory Outlet Centres sono state le associazioni di categoria degli esercenti commerciali del settore dell’abbigliamento. Di tali preoccupazioni si sono fatti interpreti una serie di parlamentari che il 13 maggio 2004 hanno presentato alla Camera dei Deputati (XIV legislatura) una proposta di legge avente per oggetto: “Disposizioni a tutela della concorrenza nel settore degli outlet”. Nella relazione alla proposta di legge si afferma che “Sotto accusa è l’industria nazionale della moda che, in questo periodo di crisi, sta invadendo il mercato con un’offerta molto superiore alla domanda, generando un perverso sistema di produzione destinato già all’origine al sistema degli “outlet”. La proposta di legge si pone l'obiettivo di raggiungere un accordo che salvaguardi non solo gli operatori del commercio, ma anche lo stesso consumatore, in modo da evitare che la denominazione «outlet» venga usata impropriamente e possa in questo modo generare confusione nel consumatore e determinare all'interno del mercato fenomeni di distorsione della concorrenza e si intende sottolineare che la gamma di prodotti utilizzabili per la vendita in queste tipologie di esercizi è circoscritta ai beni di fabbricazione di unico marchio, per evitare, in tale 63 modo, un effetto distorsivo della concorrenza costituito dalla pratica scorretta di vendita di prodotti acquistati da terzi. Tuttavia, per superare tali vincoli, a partire dalla fase di pianificazione della struttura commerciale è necessario relazionarsi con tali associazioni in modo chiaro e trasparente attraverso protocolli di intesa nei quali si indichino esattamente gli obiettivi che si vogliono raggiungere e le modalità con cui realizzarli in modo tale da trasformare potenziali vincoli in opportunità in modo da potersi assicurare l’aiuto di queste associazioni presenti nella zona nella fase di vita del FOC.61 2.4.4 AUTORITA’ LOCALI Le autorità locali (comune, provincia, regione) del territorio su cui si insedia un FOC, sono in grado di influenzare con le loro decisioni sia le fasi di progettazione che l’attività operativa del formato commerciale. Infatti per la costruzione del FOC sono necessarie licenze e autorizzazioni sia commerciali che edilizie che devono essere rilasciate dalle autorità locali. L’attività di questi soggetti pubblici è importante per cercare di mitigare gli impatti negativi derivanti dalla localizzazione di un FOC, nonché per trasformare tali progetti in occasioni di sviluppo locali incrementando il grado di fiducia e consenso degli altri attori territoriali nei confronti della nuova realizzazione commerciale. Le autorità locali possono poi incidere sulla scelta di costruire un FOC e insediarlo in un certo territorio anche attraverso l’intenzione di realizzare nuove infrastrutture o migliorare quelle già presenti. In definitiva il ruolo delle autorità locali è quello di tenere conto dei caratteri territoriali, delle potenzialità e fragilità dei 61
www.eddyburg.it 64 differenti contesti, essere consapevoli delle possibili ricadute dei processi localizzativi delle strutture commerciali ed aprire così la strada ad interventi di riqualificazione di piccole aree e a piani di marketing territoriale che favoriscono lo sviluppo locale e attirino nuovi investimenti esterni.62 2.4.5 I CONCORRENTI Un altro attore che influenza ed è influenzato dall’entrata di un’organizzazione è rappresentato dalla concorrenza; l’ambiente competitivo è costituito dall’insieme delle organizzazioni con le quali l’impresa intrattiene rapporti di tipo concorrenziale o di tipo cooperativo e per potere definire l’ambito competitivo bisogna tener presente della concorrenza effettiva (operatori che agiscono negli stessi segmenti obiettivo di mercati); potenziale (nuovi entranti nel mercato); sostitutiva (concorrenti che offrono prodotti sostitutivi). E’ indispensabile conoscere, studiare e capire le strategie dei propri antagonisti in modo tale da poter elaborare la propria offerta e stabilire la propria posizione nel mercato di riferimento. Nel caso dei Factory Outlet Center, data la loro specificità al contesto in cui si collocano, è sufficiente prendere in considerazione soltanto i concorrenti presenti nell’area di attrazione del FOC; quella esterna a tale area (centri commerciali naturali) ha un influenza solo marginale sull’attività di tale formato e può essere usata come punto di riferimento per un confronto. Il commercio tradizionale locale, ovvero i negozi e i pubblici esercizi come ristoranti e bar, potrebbero entrare in concorrenza con quelli del FOC portando alla chiusura degli operatori più 62
www.eddyburg.it 65 deboli e favorendo l’aumento del prezzo dei beni negli esercizi rimasti. In definitiva è molto importante che i promotori e gestori di FOC analizzino il fenomeno competitivo in sede di scelta localizzativa e di posizionamento strategico, continuando successivamente ad osservare variazioni intervenute tra i concorrenti e a valutare costantemente i punti di forza e debolezza per poter poi intervenire nel modo più opportuno. 2.4.6 LE RISORSE UMANE Una grande struttura commerciale come il Factory Outlet Center richiede l’utilizzo di notevoli risorse umane che vengono impiegate sia in ruoli dirigenziali (per la definizione di strategie operative) sia in ruoli esecutivi (per l’attuazione di tali strategie). E’ di fondamentale importanza che tale aggregato disponga di una struttura organizzativa adeguata, in modo da assegnare i diversi compiti, attribuire la responsabilità, definire ruoli e diverse modalità di comunicazione interna e diventa indispensabile prevedere gli strumenti di selezione, addestramento, formazione, motivazione e valutazione dei propri dipendenti oltre a procedere ad un loro coordinamento. Compito dei promotori e gestori dei singoli negozi è quello di implementare continuamente piani selezione e formazione del personale in quanto tali ruoli hanno una importanza strategica poiché spetta a loro stimolare il coinvolgimento del consumatore, comunicare e consolidare l’immagine di marca, recepire informazioni utili circa i gusti e le esigenze della clientela. Le figure professionali che interessano un FOC sono il direttore del centro, il responsabile delle vendite e del marketing, il responsabile delle relazioni esterne, i responsabili dei singoli punti vendita, il personale delle aree di ristoro, gli addetti alle vendite. Da ciò si può ricavare che il FOC contribuisce alla crescita dell’occupazione locale in 66 quanto per esempio il personale impiegato nei vari punti vendita viene assunto tra la forza lavoro presente sul territorio localizzativo. Infine, per favorire un clima organizzativo interno favorevole, per motivare il personale e per manifestare all’esterno una cultura di organizzazione attenta alle istanze delle proprie risorse umane, può essere utile riconoscere ai propri dipendenti alcune agevolazioni, quali appositi parcheggi garantiti, convenzioni per i pasti, giorni festivi o di riposo.63 In conclusione il successo e la sopravvivenza di un FOC sono strettamente legati al contesto territoriale in cui la struttura si insedia e alla qualità delle interrelazioni che il promotore riesce ad interessare con i più importanti attori locali. La buona riuscita di rapporti stabili e duraturi tra gli apparati del commercio e il territorio può portare benefici all’intero territorio circostante e al contempo la valorizzazione dell’area e lo sviluppo di adeguate politiche territoriali possono essere importanti per la sopravvivenza e crescita di un FOC. Tali legami devono essere visti dal promotore come opportunità per accrescere la fiducia e il consenso nei confronti dell’aggregato e come possibilità di apprendimento organizzativo. Operando in questa direzione si potrà cercare di ridurre l’incertezza insita nella realizzazione di un nuovo progetto in un nuovo ambiente e condividere risorse, competenze e capacità, fattori fondamentali per potersi sviluppare con successo.64 63
www.repubblica.it 64
Gazzola P.,Cecchinato F., (2005), il marketing per la valorizzazione del territorio: una prospettiva di analisi, Covegno le tendenze di marketing, Gennaio, pp 30-­‐32. 67 CAPITOLO 3 I CENTRI COMMERCIALI NATURALI: IL CASO DELLE VIE DELLA MODA 3.1 CENTRO COMMERCIALE NATURALE COME RISPOSTA ALLA CRISI DEL DETTAGLIO CITTADINO Con riferimento ai caratteri dei nuovi aggregati organizzati, la diffusione dei centri commerciali pianificati si presenta come uno degli aspetti di maggiore rilievo nella recente evoluzione del sistema distributivo. L’introduzione e il propagarsi di questo nuovo format ha portato a profondi cambiamenti nell’offerta commerciale del centro storico favorendo il venir meno di molte tradizionali manifestazioni di vita collettiva e di attività della parte più antica delle nostre città.65 Ed è proprio su questo aspetto che ci concentreremo nel seguente paragrafo. Esistono alcuni fattori che hanno accentuato la fase recessiva del commercio nei centri storici (Varaldo): • Il forte rallentamento che la domanda interna e i consumi hanno accusato a partire dagli anni Novanta in particolare con gli accessori di abbigliamento, prodotti per la persona, beni semidurevoli e durevoli che ormai costituiscono la parte predominante del mix merceologico trattato dagli esercizi commerciali operanti nei centri storici; • Il peggioramento progressivo delle condizioni di accessibilità dei centri storici di molte città italiane dove il commercio è sottoposto 65
Miglietta A., (1998), “I centri commerciali naturali: una via per il rilancio delle città e del piccolo commercio”, Sinergie, n.47, pp 245-­‐246. 68 ad una catena di vincoli e condizionamenti: congestione del traffico, mancanza di parcheggi, degrado edifici, perdita di identità dei luoghi e degli di spazi aperti. • Il rafforzamento relativo registrato dai format distributivi che hanno saputo cogliere dalla riduzione del potere di acquisto reale e dalla crisi dei consumi. Le cause alla base della grave crisi del settore commerciale, soprattutto riguardo ai negozi di vicinato, sono molteplici e vanno ricercate in più direzioni; ma alcune delle cause della crisi interne al settore sono riconducibili alla perdita di centralità ed importanza strategica delle aree urbane in cui sono ubicate le imprese commerciali e a fattori più strettamente legati alle economie di mercato, quali la concorrenza di forme alternative di offerta come ad esempio i Factory Outlet Center.66 La perdita di importanza commerciale dei centri urbani, che rappresentano “l’habitat naturale” degli esercizi di vicinato, è stata negli ultimi anni soprattutto sociale, perdendo queste aree il ruolo ad esse connaturato di poli di attrazione ed aggregazione della vicinanza. Con il passare del tempo la popolazione della città è stata “distratta” per vari motivi dai centri urbani a favore di nuove realtà territoriali periferiche o strutture complesse alternative in grado di offrire in modo accentrato e sistemico tutti quei servizi una volta prerogativa esclusiva dei centri cittadini.67 Si è assistito a flussi di evasione dal cuore commerciale delle città con un progressivo depauperamento economico e sociale dei centri storici i quali sono divenuti dei contenitori vuoti: infatti non esiste un centro storico che abbia mantenuto un’offerta merceologica completa poiché tutti sono diventati contenitori soltanto di beni shopping e articoli per la persona: 66
Pederzoli D., (2004), “Centri storici alla deriva”, Largo consumo, n.5, pp 110-­‐111. Granillo P., (2009), “Il Commercio riqualifica la città”, www.denaro.it, pp 1. 67
69 abbigliamento, calzature, profumeria, gioielleria.68 Più in generale lo sviluppo di queste grandi “piattaforme” integrate situate fuori dai centri urbani sono state indicate come principali responsabili dell’agonia del dettaglio tradizionale69: queste hanno riunito le grandi esperienze di consumo in un unico contesto attraente, economico, facendo risparmiare al cliente/acquirente denaro e tempo; offrendo lui un servizio arricchito ma anche un ambiente confortevole e comodo grazie alla presenza di area parcheggio, area condizionata, sportelli bancomat… In definitiva, se la nascita e l’espansione di nuovi centri commerciali in aree periferiche o sub urbane costituisce una risposta ad una domanda reale dei cittadini, appare necessario individuare una o più strategie capaci di attirare domanda, e quindi persone nei centri storici rendendo competitiva l’offerta tradizionale e artigianale radicata. Paradossalmente, il successo della grande distribuzione organizzata serve da stimolo alla nascita ed al successo del progetto di “Centro Commerciale Naturale”. Senza l’innovazione dei centri commerciali integrati difficilmente il piccolo commercio si sarebbe diretto spontaneamente nella ricerca di nuovi livelli di efficienza ed efficacia a vantaggio dei consumatori. Il Centro Commerciale Naturale si presenta come un aggregato di attività commerciali su base di quartiere e di aree cittadine che si facciano promotori di varie azioni, spinti dall’interesse comune di ottenere performance migliori: in questo modo i consumatori possono essere messi in condizione di confrontare le grandi strutture dei centri commerciali pianificati con la realtà cittadina dei centri commerciali naturali e di indirizzare le proprie scelte di consumo verso il luogo più adatto per il soddisfacimento dei propri bisogni. Tale modello si occupa dei modi di riorganizzazione e di innovazione dei servizi commerciali erogati 68
Pederzoli D., (2001), “Al recupero dei centri storici”, Largo Consumo, n.12, pp 104. Della Cioppa F., (2004), “Centri Commerciali alla resa dei conti”, Largo Consumo, n.11, pp 78-­‐ 80. 69
70 dalle piccole imprese del centro o delle vie commerciali vocate a questa attività in quanto è sempre più generalizzata la consapevolezza che occorre sviluppare un percorso per il futuro delle realtà commerciali storiche, dal momento che una rete di negozi efficiente anima ed alimenta la vitalità e l’attrattività dell’area urbana. Alla base dello sviluppo del Centro Commerciale Naturale possono trovare luogo forme sofisticate di integrazione tra attività commerciali e attività culturali, dove l’unicità del patrimonio culturale può contribuire a rendere difficilmente imitabile il mix di offerta risultante, offrendo opportunità anche a realtà commerciali non di grande dimensione e presentandosi come terreno ideale di mantenimento della varietà dell’offerta.70 Si tenta di creare una sorta di cultura di impresa nei piccoli negozianti, in modo che ciascuno rinunci a parte della propria autonomia decisionale a favore di organismi che devono prendere decisioni che pur investendo il singolo ne trascendono la prospettiva e gli specifici interessi. Quindi le aziende insistenti in un centro urbano hanno la possibilità di organizzarsi attraverso un soggetto di impresa (associazione o consorzio) che abbia come mission quella di rappresentare gli interessi economici in comune tra le diverse aziende costituenti e di promuovere ed animare l’area compresa nel Centro Commerciale Naturale, oltre che partecipare allo sviluppo economico locale. Tale forma di cooperazione deve essere diretta da un management attento e professionale che sappia mediare tra gli interessi dei singoli imprenditori, consumatori, residenti e istituzioni pubbliche. 71 Dopo aver approfondito il tema del “Centro Commerciale Naturale”, ci soffermeremo su quelli che sono gli aspetti differenziali tra negozio di vicinato e Factory Outlet Center (in modo tale che il piccolo commercio 70
Guercini S., (2007), Il marketing delle destinazioni commerciali-­‐modernità distributiva e ruolo dei promotori, Franco Angeli,Milano, pp 97-­‐98. 71
Ragazzoni N., (1997), “Il retail europeo punta sul centro città”, Mark Up, n.7, pp 51-­‐52. 71 possa riuscire a competere con i grandi formati distributivi) e sui vantaggi competitivi propri dei “Centri Commerciali Naturali”. 3.1.1 LE VIE DELLA MODA COME AGGREGATI COMMERCIALI NATURALI Recentemente i Centri Commerciali Naturali si stanno diffondendo nel nostro paese molto rapidamente; essi sono l’evoluzione delle esperienze di associazionismo tra commercianti che hanno iniziato a diffondersi nella seconda metà degli anni Ottanta in molte città italiane, il cui successo è stato però minato alla base da un’eccessiva frammentazione degli interessi coinvolti. (Miglietta 1998). I CCN sono spesso nati sulla spinta di iniziative di formazione e informazione messe in atto da associazioni di categoria, che hanno reso i potenziali aderenti maggiormente consapevoli dei possibili vantaggi derivanti dalla loro partecipazione; rafforzando la propensione all’adesione, nonostante questa fosse subordinata all’accettazione di impegni e vincoli più gravosi di quanto veniva previsto negli statuti delle associazioni di via.72 I “Centri Commerciali Naturali” sono le vie, le piazze, le gallerie urbane, i centri storici e i quartieri in cui spontaneamente e storicamente si sono addensati i negozi, le botteghe artigiane, i bar, i ristoranti e i servizi, accanto alle altre funzioni vitali della città. Il centro storico è sempre stato il luogo in cui si concentrano le attività di relazioni della collettività; quelle di natura sociale e politica ma anche e soprattutto quelle commerciali. Il commercio urbano condiziona le stesse funzioni della città, i comportamenti singoli e collettivi e riveste un’indubbia forza equilibratrice di tutta la vita sociale della città e dei centri minori. La viabilità, i trasporti, le relazioni sociali, gli 72
Amendola G., (2006), La città vetrina, i luoghi del commercio e le nuove forme del consumo, Liguori Editore, Napoli, pp 110-­‐112. 72 orari e i servizi sono tutti condizionati ed interdipendenti delle realtà commerciali locali.73 Il commercio crea interesse, vivacità, favorisce l’aggregazione, qualifica i contesti urbani, è il fulcro per l’incontro e lo svago pur rispondendo ad un’esigenza specifica primaria: l’acquisto. Il centro storico non è un nucleo diroccato e abbandonato che si deve reinventare o ricreare all’esterno; ma è ancora oggi il motore di tutte le attività commerciali e culturali, la vetrina eccellente che al momento opportuno è in grado di attirare verso di sé gli abitanti della città, escursionisti e turisti attratti dal fatto di poter trovare ciò che egli desiderano. Sono proprio questi spazi urbani caratterizzati da strutture architettoniche particolari che si prestano alla localizzazione di punti vendita e che favoriscono la nascita di scambi culturali, relazionali e permettono all’individuo di vivere un’esperienza all’interno di un “unicum” affascinate e ricco di atmosfera.74 I centri città hanno sempre avuto una vocazione esperienziale e coloro che vivono in tali ambienti non devono far altro che evidenziare tali sensazioni, accentuando alcune leve e strumenti a loro disposizione, tramite politiche di esaltazione/differenziazione e specializzazione turistico-­‐commerciale attraverso le quali i visitatori dei centri storici possono ritrovarsi immersi in quell’atmosfera particolare dotata di profumi, immagini e sensazioni. Nell’ambio del centro città, per far vivere l’esperienza, occorre puntare su due tipi di categorie strategiche che possiamo denominare: • sfera emozionale-­‐romantica; • sfera sociale-­‐partecipativa. Un’ atmosfera “romantica” è uno degli ingredienti più appetibili per una fascia specializzata ma sempre più ampia di consumatori, in particolare per quelli che, a prescindere dalle scelte di consumo che adotteranno durante 73
Valente M., (2004), “Politiche e strumenti di intervento per i centri storici ed urbani”, Disciplina del commercio e dei servizi, n.4, pp 4-­‐6. 74
http://www.exquire.it 73 la “passeggiata”, tendono a scegliere, prima della merce, la qualità dell’ambiente e la ricchezza delle proposte che si affiancano all’offerta commerciale. Per questo tipo di consumatori, inoltre, vanno assumendo sempre più significato le componenti intangibili e simboliche dei prodotti che ne pongono in primo piano la dimensione spettacolare; ecco che sarà sempre più importante sottolineare il valore evocativo e far vivere i prodotti in un contesto narrativo che, in modo semplice, proponga un’atmosfera affascinante e dove i colori e desideri diventino co-­‐
protagonisti di un evento emotivo ludico e di condivisione. Un CCN deve soddisfare vari tipi di bisogni tra cui la sensazione di partecipazione, la riscoperta di un ambiente tradizionale e di un insieme di stimoli sempre diversi che trasformano in “speciali” i luoghi di frequentazione , rendendoli sempre diversi e da scoprire. Più precisamente, un Centro Commerciale Naturale rappresenta un sistema di offerta coordinato e integrato fra loro da una politica comune di sviluppo e di promozione del territorio, una rete commerciale fatta da attività collocate su una stessa area che interessa l’arredo urbano, la realizzazione di infrastrutture e di servizi adeguati alle funzioni distributive e alle esigenze dei consumatori, l’integrazione dell’attività commerciale anche con eventi di interesse culturale e di spettacolo, la valorizzazione delle attività economiche, la promozione della distribuzione commerciale alle produzioni tipiche locali, la crescita delle funzioni informative svolte dal sistema distributivo per la promozione turistica e culturale del territorio, la crescita e l’associazionismo delle piccole e medie imprese commerciali. Insomma, realizzare un CCN vuol dire aprire nuove opportunità ai commercianti, piccoli produttori e cittadini oltre ad essere uno stimolo per migliorare, rivitalizzare, riscoprire la storia e le tradizioni culturali, incentivando i turisti a vivere veramente la città.75 Uno degli 75
http://www.litoralesud.it 74 aspetti più delicati e strategici in merito alla loro realizzazione è la definizione di una formula organizzativa e gestionale che sia in grado di sintetizzare la necessaria collaborazione a medio lungo termine tra pubblico e privato che consista nell’ unire la forza promozionale e pubblicitaria degli imprenditori commerciali con la pubblica amministrazione dando origine ad una collaborazione che, se bene organizzata, è in grado di rilanciare socialmente ed economicamente aree urbane ormai avviate al declino e al degrado.76 Affinché tale collaborazione sia efficiente è necessario che si basi su unità di intenti e politiche condivise, ossia su obiettivi economicamente sostenibili e secondo un’ottica trasversale a tutti i soggetti coinvolti. Per realizzare e gestire un CCN occorre basarsi sul principio che il centro urbano è un “sistema complesso” dove convivono entità politiche, sociali, culturali ed economiche, le quali devono porsi il comune obiettivo di far si che il centro sia sempre un luogo competitivo e dal forte appeal, al fine di conservarne/rilanciarne il ruolo di baricentro dello sviluppo socio-­‐
economico dell’intera città. Un Centro Commerciale Naturale organizzato diventa il luogo (la grande casa comune) in cui i consumatori, i turisti e tutti coloro che frequentano la zona urbana designata, possono percepire un’idea di unitarietà dell’offerta commerciale ed una sensazione di assistenza globale. L’area urbana centrale della città indosserà un vestito nuovo che a colpo d’occhio farà sentire il consumatore all’interno di un contesto condiviso, in cui gli operatori commerciali (e non solo) si riconoscono e collaborano per un fine comune che è l’offerta di un servizio globale caratterizzato da: • azione comune • unità di intenti 76
Granillo P., ( 2009), “Partnership vincente per riqualificare la città”, www.denaro.it, pp 1-­‐2. 75 • cortesia • dinamicità nell'interpretazione dei bisogni • piena consapevolezza di tutti gli operatori della risorse pubbliche e private disponibili nell’area (commercio, cultura, servizi, intrattenimento, aree urbane di pregio, informazione, ecc). Tra gli obiettivi posti in essere dal Centro Commerciale Naturale, il principale è quello della rivitalizzazione del centro mediante l’aumento di frequentazione delle strade e la moltiplicazione delle occasioni di acquisto. Il tutto si riassume nel cercare il migliore dei modi per portare il maggior numero di consumatori nelle aree urbane designate o di pregio delle città; ovvero di rendere il CCN come una destinazione attrattiva. L’attrattività è intesa come la capacità dei punti vendita e delle strutture di intrattenimento di coinvolgere persone per creare passaggio, occasioni di socializzazione e aggregazioni in orari consoni all’integrazione shopping-­‐
leisure. Tutto ciò porta il cittadino, consumatore, visitatore ad avere una maggiore percezione della qualità della vita, una percezione di sicurezza creando in loro una soddisfazione che genererà a sua volta un’esperienza indimenticabile, il ricordo e desiderio di ripeterla e favorirà l’individuo a reiterare la visita in occasioni diverse.77 Recentemente per fronteggiare la crisi derivante dalla nascita degli aggregati specializzati extraurbani e per far rivivere il centro urbano, molte città hanno aderito al progetto di “Centro Commerciale Naturale”: sono sorte associazioni di via comprendenti i vari punti vendita che hanno visto protagoniste molte strade il cui obiettivo è dare origine ad una gestione unitaria del centro città: alcune di queste si presentano come “vie della moda”, grandi strade all’interno di metropoli da Parigi, Londra, New York, Tokyo ed Italia che si trasformano in veri e propri quartieri della moda 77
Sansone M., (2007), Confronti metodologici, riflessioni critiche e proposte operative sul marketing urbano in ambito internazionale: focus sull’organizzazione e gestione dei Centri Commerciali Naturali in Italia, “Marketing Trends”, Parigi, 26-­‐27 Gennaio, pp 17-­‐18. 76 ricchi di luci, vetrine, colori e dove i negozi si presentano come un “unicum” capace di incrementare la propria immagine di specializzazione e di richiamare flussi di visitatori grazie a strategie di marketing territoriale e promozionale; ne è un esempio l’associazione “Via Montenapoleone” che interessa le sue lussuose boutique; anche se sono soprattutto le vie concepite come “commerciali” (Via Gioberti di Firenze con “Le Cento Botteghe) ad aderire al progetto di centro commerciale naturale. Ma un tentativo di Town Centre Management proviene anche dalla città di New York in particolar modo dal quartiere di Manahattan dove è localizzata la via dello shopping per eccellenza: la Fifth Avenue. 3.1.2 CENTRI COMMERCIALI ARTIFICIALI E NATURALI A CONFRONTO: VANTAGGI COMPETITIVI DEI CENTRI COMMERCIALI NATURALI Gli Aggregati Commerciali Naturali e programmati si fronteggiano in un gioco reciproco di imitazione e riproduzione delle modalità tipiche di organizzazione del proprio raccordo con il mercato. Per molto tempo sono stati i centri programmati che hanno tentato di riprodurre idealmente ed in alcuni casi esplicitamente e visivamente gli elementi tipici del centro città con la loro offerta di servizi non commerciali e la conseguente capacità di attrazione. Più recentemente sono stati i centri naturali a cercare di imitare l’organizzazione, l’iniziativa e la capacità di promozione resa possibile dall’esistenza di una regia unitaria propria del centro programmato.78 78
Guercini S., (2006), Il marketing delle destinazioni commerciali-­‐modernità distributiva e ruolo dei promotori, Franco Angeli, Milano, pp 63. 77 E’ molto importante che il negozio tradizionale riesca ad evolversi guardando alle soluzioni adottate dal centro commerciale pianificato per comprendere e sviluppare tutto il proprio potenziale senza venir meno alla sua unicità: esso deve abbandonare la visione unitaria della propria attività e deve iniziare a considerarla come parte di un contesto coordinato e finalizzato a fornire al consumatore un’offerta accattivante e completa grazie al miglioramento delle infrastrutture urbane come parcheggi, viabilità…79 Confronteremo in questo paragrafo Centri Commerciali Pianificati e Centri Commerciali Naturali cercando di capire cosa è il surplus portato dalla grande distribuzione alla società, cercando di studiare i modi attraverso i quali anche il piccolo commercio possa accrescere i propri servizi commerciali secondo le linee sviluppate dagli aggregati specializzati greenfield e quindi competere con questi nuovi format. Pertanto l’analisi della posizione competitiva di un centro commerciale pianificato rispetto alla situazione del piccolo commercio localizzato nei centri urbani è un passaggio obbligato per comprendere quali siano gli elementi mancanti di quest ultimo per continuare ad attrarre la propria clientela. Il successo del progetto di costituire un Centro Commerciale Naturale si fonda infatti sia sulla capacità di offrire ai clienti un livello di servizi comparabile con quelli che si possono trovare nei centri commerciali moderni, ovvero capire come le piccole imprese commerciali possono emulare i servizi resi dalla grande distribuzione ai clienti (cercando di porsi su un livello comparabile di efficacia del servizio commerciale) sia sulla customer satisfaction attraverso modi che sono preclusi ai centri commerciali pianificati, come ad esempio la godibilità delle risorse artistiche e culturali di cui sono ricchi i centri urbani. 79
Meo., (2004), “Soluzioni desolanti per i centri storici”, Mark Up, n.6, pp 31. 78 Esistono alcuni fattori che definiscono il vantaggio competitivo proprio dei nuovi aggregati rispetto al commercio tradizionale. In primo luogo, il successo dei Centri Commerciali Pianificati va ricercato nella integrazione tra assortimenti con gradi differenti di specializzazione e tra altrettanti livelli di servizio; quindi l’approfondimento dell’assortimento (varietà e completezza dell’offerta merceologica) e l’arricchimento del servizio (eventi e attività di animazione) sono il primo passo per equiparare l’offerta di servizi delle attività commerciali del centro cittadino a quella del centro commerciale artificiale. Dalle considerazioni appena fatte emergono delle decisioni che devono essere prese a livello di Centro Commerciale Naturale: occorre cercare di centralizzare la definizione degli assortimenti, perlomeno orientando la politica delle aperture e pensare alla valorizzazione dell’ elemento leisure (ristorazione) secondo le esigenze di viabilità e urbanistiche, nonché in coordinamento con il segmento di clientela su cui si intende incidere.80 Un secondo livello di elementi che attribuiscono un vantaggio competitivo degli Aggregati Pianificati riguarda le economie di scopo ma soprattutto le economie di scala le quali possono essere così individuate: • l’accessibilità del consumatore: risolvere il problema del semplice e poco costoso raggiungimento dell’offerta commerciale significa in primo luogo fornire un servizio assai apprezzato dal consumatore; • la razionalizzazione della logistica degli approvvigionamenti; • la promozione dell’intero centro commerciale in una logica integrata in base alla quale esso è considerato come un unico prodotto, con caratteristiche specifiche di posizionamento sul mercato; 80
Vona R., (1996), “Commercio pianificato e rivitalizzazione dei centri storici. L’integrazione tra shopping e leisure”, Commercio, n.58, pp 89-­‐91. 79 • la comunicazione verso l’esterno delle iniziative offerte dal centro. Oltre ai fattori tesi al recupero dell’efficienza, si rilevano anche elementi di tipo innovativo e sperimentale tesi alla soddisfazione del cliente su piani accessori (quella che è stata definita la componente ludica dell’acquisto), favorendo la gradevolezza dell’accesso al centro commerciale con occasioni di relax, di intrattenimento e ristoro. In definitiva il decollo di un progetto di Centro Commerciale Naturale richiede: • la costruzione e la ricerca del sistema di economie di scala conseguibili attraverso forme di accordi tra i commercianti e i loro fornitori, soprattutto di servizi accessori dell’attività principale; • l’erogazione di servizi accessori ai clienti, sia attraverso il consorzio o la società che incorpora la struttura organizzativa in cui si articola il centro commerciale naturale, sia in rapporto con le amministrazioni locali per quei servizi (trasporti, viabilità, posteggi, arredo urbano, iniziative culturali) da esse erogate o da autorizzare; • il coordinamento degli aspetti commerciali e promozionali dell’intero centro; in particolare attraverso la congestione con l’amministrazione pubblica locale degli orari di apertura in relazione ad iniziative speciali; • l’avvio di una politica di orientamento alla formazione degli assortimenti e alla definizione dell’arredo, sia delle attività commerciali, sia urbano in senso lato.81 81
Miglietta A., (1998), “I centri commerciali naturali: una via per il rilancio delle città e del piccolo commercio”, Sinergie, n.47, pp 254-­‐256. 80 L’individuazione dei principi della strategia competitiva su cui si può fondare la condotta del piccolo commercio di fronte ai nuovi aggregati porta ad indicare tre categorie di possibili comportamenti: 1. interventi di tipo socio-­‐politico che investono le decisioni relative all’arredo urbano, all’urbanistica della viabilità e alla valorizzazione delle caratteristiche artistiche e architettoniche dei centri urbani; 2. interventi orientati ad imitare i servizi alla clientela già erogati dagli aggregati greenfield rendendoli però compatibili con la clientela dei CCN; 3. interventi che possono essere intrapresi specificamente dal centro commerciale naturale e che sono preclusi ai grandi format; si tratta in particolare di quelli collegati con le caratteristiche architettoniche e culturali dei luoghi dove ha sede il commercio del centro. Più in particolare è possibile proporre gli interventi e servizi che un Centro Commerciale Naturale potrebbe erogare e fornire, importanti per superare il gap competitivo verso le forme di distribuzione moderne. Questi sono: a) i servizi per la valorizzazione dell’immagine del luogo dove si colloca il Centro Commerciale Naturale; in particolare con riferimento all’urbanistica, arredo urbano, viabilità e valorizzazione degli elementi architettonici della città; b) servizi di pubblicità e promozione del CCN ovvero l’importanza di pubblicità e comunicazione nell’attività di marketing. Poiché il progetto di Centro Commerciale Naturale è una innovazione, non esiste presso il pubblico una conoscenza dell’esistenza di questo, dei possibili servizi che potrebbe fornire e delle condizioni più favorevoli per lo svolgimento dello shopping. Sarebbe quindi necessario pensare ad una campagna di informazione, prima che pubblicitaria, per poter trasmettere la conoscenza del servizio offerto; 81 c) servizi reali ai clienti, ovvero “facilitazioni” allo svolgimento delle attività di acquisto, tese sia ad eliminare l’onere fisico collegato all’acquisto (come ad esempio il fatto di fornire servizi di tipo logistico ai clienti come il trasporto della merce ai posteggi); sia a favorire finanziariamente ed economicamente il processo di acquisto (fidelity card). Sono rilevanti in questo quadro i servizi alle persone e alle famiglie, in particolare con aiuti come l’assistenza ai bambini e l’offerta di servizi per i membri della famiglia non interessati al processo di acquisto; d) servizi tesi a rendere godibili le offerte culturali e turistiche dei centri cittadini a coloro che sono interessati all’attività di shopping. Questo tipo di interventi, che si lega con il turismo d’arte, mostre, iniziative speciali legate a ricorrenze di feste con tradizione popolare, è una sorta di sottocategoria dei servizi reali ai cliente; essi meritano un’attenzione particolare perché possono costituire un punto di forza per definire un vantaggio competitivo duraturo al piccolo commercio organizzato in centro città; e) servizi a favore dei commercianti che consistono nel fornire un sistema di aiuti tradizionali (finanziamenti agevolati) ai singoli imprenditori.82 In conclusione senza una capacità di organizzazione e di coordinamento unitario non è possibile per il Centro Commerciale Naturale accrescere il livello dei servizi a favore dei clienti e raggiungere quei vantaggi competitivi propri degli aggregati specializzati extraurbani; è importante costituire un organismo dinamico rappresentativo di tutti quei soggetti portatori di interessi meritevoli di tutela nella realizzazione di un Centro Commerciale Naturale che si pongano come obiettivo quello di riacquistare la vitalità perduta del centro città e che, oltre a definire 82
Granillo P., (2009), “E’ l’ora dei centri commerciali naturali”, www.denaro.it, pp 2. 82 strategie di intervento condivise, abbia il compito di monitorare le performance realizzate ed analizzare i fattori di sfida e le potenzialità che vanno affermandosi con il passare del tempo nella realtà urbana83. A questo proposito nel prossimo paragrafo sono presentati gli approcci di Town Centre Management e di marketing urbano, una frazione di marketing territoriale di cui il TCM deve tener di conto. 3.2
APPROCCI MANAGERIALI PER LA GESTIONE DEGLI AGGREGATI COMMERCIALI NATURALI Il tema della vitalità commerciale nelle aree urbane risulta oggetto di notevole attenzione presso operatori e studiosi nel corso degli ultimi anni; infatti recentemente sta crescendo l’interesse verso il centro storico, o più in generale verso la città come oggetto di studio nel campo del management (Varaldo e Lazzeroni 2006). L’approccio manageriale del centro città pone problematiche per le quali gli attori direttamente impegnati nell’attività di rivitalizzazione del centro urbano cercano di fare rete, non solo tra le singole realtà urbane per la realizzazione della gestione dei processi relativi alla destinazione, ma tra le singole realtà e gli attori impegnati nello sviluppo del centro delle diverse città. La vitalità del territorio urbano trova spazio nelle discipline manageriali attraverso il tema del marketing territoriale e nella prospettiva di integrazione della funzione commerciale con altre funzioni e servizi. Rivitalizzare il centro urbano vuol dire restituire al centro città la funzione di centro commerciale “primario”, luogo in cui è utile fare shopping per la molteplicità delle offerte di servizi distributivi, ma dove è anche piacevole il solo passeggiare e passare il tempo libero senza sentirsi 83
Granillo P., (2009), “Partnership vincente per riqualificare le città”, www.denaro.it, pp 2. 83 all’interno di atmosfere create artificialmente (Zanderighi, 2001). Le
nostre città, grandi e piccole, devono, in questo periodo, rispondere soprattutto a due esigenze imprescindibili per la loro sopravvivenza: mantenere e attrarre residenti e diventare centri di sviluppo economico. In quest'ottica è importante individuare tutti gli attori che hanno interesse in questo processo di qualificazione dei centri città aiutandoli a trovare un interesse comune, a costruire una visione strategica su cui impostare qualsiasi programma di intervento ed investimento.84 Nel rispetto dell’unicità dei nostri centri, la “gestione del centro città” incoraggia la formazione e lo sviluppo di partenariati coinvolgendo i soggetti più adatti a seconda delle problematiche da risolvere e del contesto. L’approccio, la struttura generale di funzionamento e il metodo di lavoro rimangono identici mentre si devono considerare singolarmente le variabili locali. Il partenariato non coinvolge solo gli enti locali e le associazioni dei commercianti ma si deve aprire anche alle società di trasporti, ai proprietari immobiliari, alle grandi insegne e catene commerciali, alle società di gestione dei parcheggi, al settore culturale e turistico, alle scuole, ai servizi medici, alle associazioni locali, ai comitati di quartiere. Tutti gli attori devono trovare una ragione comune per lavorare a un progetto per il centro città: i privati devono trovare nuovi stimoli all'investimento mentre il settore pubblico deve offrire un ambiente urbano attrattivo e vivibile per il maggior numero di fruitori, residenti e non.85 La collaborazione tra istituzioni e privati per l’organizzazione del territorio è determinante affinché il centro commerciale naturale non sia caratterizzato unicamente da programmi di pura e semplice animazione e promozione territoriale, ma funga da vera e propria rete commerciale 84
Zanderighi L., (2007), Town centre management: uno strumento innovativo per la valorizzazione del centro storico e commercio urbano, Università degli studi di Milano, pp 3. 85
http://www.associazionegestionecentrocittà.it 84 integrata per le imprese aderenti e aiuti le aree cittadine a riacquistare il loro ruolo di centro di aggregazione economico, culturale e sociale.86 Gli attori che assumono un ruolo chiave tendono a definire modalità organizzative e a formulare un piano di azione, comprendente in genere misure circa la promozione dell’attività commerciale, la sistemazione dello spazio urbano, lo sviluppo del servizio della clientela, l’integrazione della vita culturale con la vita commerciale per favorire l’animazione dl centro città. In definitiva è necessario che si crei tra i vari soggetti uno “spirito di gruppo” ed un sentimento di appartenenza, mantenendo in vita un processo di comunicazione interna durante tutto l’anno. Ad esempio, potrebbero essere molto utili delle newsletter cui ognuno può contribuire o altre attività di aggregazione e socializzazione come cene annuali, eventi per i soci… E’ proprio dalla collaborazione di questi attori che all’interno dei CCN è possibile realizzare un intervento coordinatore il cui fine è quello di stabilire un processo diretto ad inserire una regia unitaria che permetta al CCN di poter competere con i nuovi aggregati pianificati. 3.2.1 TOWN CENTRE MANAGEMENT Il Town Centre Management non è solo un’idea ma un’azione concreta, un’opportunità reale, uno strumento efficace da cogliere ed usare.87 I processi che interessano lo sviluppo, la promozione e la gestione integrata delle attività commerciali riconducibili alla destinazione del centro città trovano sviluppo inizialmente negli Stati Uniti a partire dagli anni Settanta; qui si sono sviluppate le prime forme di valorizzazione di agglomerazioni commerciali spontanee presenti nei centri urbani 86
Tosca I., (2005), “Centri commerciali al naturale”, Largo Consumo, n.9, pp 75. A.A., (2008) “Town centre management, il futuro”, Il Padova, Settembre, pp1. 87
85 attraverso lo strumento del “Business Improvement District”: un approccio innovativo all’implementazione dei servizi comunali a livello di area, diventando progressivamente una delle più utilizzate modalità per accrescere la capacità di attrazione del commercio urbano negli USA fornendo servizi quali pulizia delle strade, maggior livello di sicurezza, frequente raccolta dei rifiuti...predisposizione di un calendario di iniziative di animazione e promozione.88 In Europa è a partire dalla metà degli anni Ottanta che si inizia a parlare di TCM; dove la prima iniziativa in Gran Bretagna viene fatta risalire al 1986 (Jones, 1990) e si concretizza in un modello organizzativo fondato sulla cooperazione e attuato da una società mista per la gestione e promozione del cuore urbano, ma le sue reali implicazioni innalzano la proposta innovativa su un livello più affine ad un approccio culturale che ad una specifica tecnica gestionale per la vitalità cittadina. Il TCM corrisponde ad una fase del processo di modernizzazione della distribuzione nella quale si presenta una relativa ricomposizione del confronto tra grande e piccola dimensione della distribuzione al dettaglio e dove l’attenzione si sposta sulle forme di aggregazione e, nel caso specifico, sul centro città come punto tradizionale focale per il commercio, cultura e funzioni sociali. L’ attività di Town Centre Management è definito come “la ricerca del vantaggio competitivo attraverso il mantenimento e lo sviluppo strategico delle aree e degli interessi sia pubblici che privati all’interno dei centri città, avviate ed intraprese da attori dalla combinazione appunto del settore pubblico, privato e del volontariato” (Warnaby, 1998) ed è lo strumento che coordina ed organizza tutto ciò che riguarda l’attività delle imprese in un centro urbano; si occupa infatti di gestire le aperture, la pulizia delle vie, l’arredo 88
Sansone M., (2007), Confronti metodologici, riflessioni critiche e proposte operative sul marketing urbano in ambito internazionale:focus sull’organizzazione e gestione dei centri commerciali naturali, “Marketing Trends”, Parigi, pp4-­‐6. 86 urbano, coordina il piano delle riparazioni stradali, promuove ed organizza in modo unitario, gestisce le aree parcheggio… Esso si presenta come un superamento delle esperienze delle associazioni di via, che a lungo andare hanno dimostrato l’impossibilità per questo strumento associazionistico, spesso sporadico e frammentario, di rappresentare un saldo e un permanente momento di coordinamento delle iniziative di valorizzazione commerciale di una determinata area. A differenza delle tradizionali forme associative, il TCM non si limita ad interventi discontinui ma si propone come strumento di valorizzazione di tali associazioni di via superandone i limiti organizzativi e di gestione; è una strategia per realizzare “un salto di qualità” che consente l’aggregazione di una pluralità di risorse economiche e di competenze diverse presenti in un’area territoriale, ponendosi in un contesto di concorrenza tra quadri di offerta; ma anche come un processo di coordinamento che prevede la costituzione di organi e l’assunzione di una visione strategica unitaria utilizzando le tecniche di commercializzazione e di animazione commerciale proprie della gestione del centro commerciale extraurbano.89 Gli obiettivi di fondo che guidano l’azione della maggior parte delle iniziative di TCM si possono così sintetizzare: • promuovere un approccio cooperativo alla soluzione di dei problemi del centro città; • favorire tutte quelle attività di marketing che, migliorandone l’immagine complessiva, possono rafforzare l’attrattività del centro storico come luogo piacevole da visitare e da frequentare; • valorizzare l’area del centro storico come asset per i residenti, per gli operatori privati e per i turisti; 89
http://www.exquire.it 87 • migliorare l’offerta complessiva dei servizi del centro urbano.90 Un punto fondamentale per garantire il successo di progetti per il centro città ruota attorno al delicato e complesso problema della scelta della struttura organizzativa più adatta per attuare una regia unitaria. La formulazione di una struttura organizzativa implica l’individuazione e attribuzione di ruoli ai vari attori coinvolti, oltre che di piani di azioni tramite i quali si delineano gli obiettivi e strategie di azioni. Per l’attuazione di una regia unitaria per l’aggregato presente nel centro città ed in particolare nella forma del TCM possiamo evidenziare una serie di soggetti coinvolti: soggetti pubblici (Amministrazione comunale, polizia, università…), la cui partecipazione trova spiegazione nel loro importante ruolo non solo di promotori dell’iniziativa e di elemento di raccordo tra l’amministrazione e l’economia locale, ma anche di sostegno economico e finanziario soprattutto nella fase di avvio dell’iniziativa; soggetti privati (imprese della distribuzione, imprese della ristorazione, imprese legate al settore turistico, imprese dell’entertainment, società immobiliari, imprese finanziarie, associazioni di categoria di commercianti, operatori turistici), che grazie a questo strumento comune operativo sono in grado di svolgere in modo più efficace ed efficiente tutte quelle iniziative (promozionali, di marketing) necessarie per rafforzare la capacità di attrazione dell’area in cui svolgono la loro attività.91 Ma esiste una terza tipologia di soggetti che è rappresentata dai diversi esponenti della comunità locale, siano esse le diverse associazioni presenti sul territorio (culturali, di consumatori, di residenti, di categoria), la Chiesa ed eventuali rappresentanti di organizzazioni di volontariato. Il peso degli attori nell’ente è proporzionale 90
Sansone M., (2007), Confronti metodologici, riflessioni critiche e proposte operative sul marketing urbano in ambito internazionale:focus sull’organizzazione e gestione dei centri commerciali naturali, “Marketing Trends”, Parigi, pp 12-­‐13. 91
Zanderighi L., (2001), Town Centre Management:uno strumento per la valorizzazione del centro storico e del commercio urbano, Università degli studi di Milano, pp 6-­‐7. 88 alle quote sociali detenute e tutti concorrono alla formazione di un’immagine collettiva ed unitaria del centro città che ha un logotipo, un suo motto, un suo programma da raggiungere per raggiungere per soddisfare gli obiettivi di valorizzazione.92 Un efficace iniziativa di TCM necessita o può essere favorita dal prodursi di alcune condizioni organizzative che possono essere così sintetizzate:93 a) sviluppo di una genuina ed efficiente partnership tra le istituzioni pubbliche e privare in modo da condividere aspirazioni, esperienze e risorse; b) disponibilità di un supporto coinvolto dell’autorità governativa locale: c) supporto di una parte ampia della comunità economica locale; d) atteggiamento positivo diffuso nella comunità non economica, in particolare da parte dei residenti, della classe politica più in generale, di altri attori rilevanti (visitatori, turisti per ragioni leisure e business); e) capacità progettuale e disponibilità alla definizione di linee generali per un piano strategico, che stabilisca gli obiettivi da raggiungere e le modalità di realizzazione in programmi specifici; f) capacità di organizzazione di una struttura promotrice, di governo e gestione per impostare il piano strategico e monitorare il suo percorso evolutivo rispetto agli obiettivi programmati. L’implementazione di un’iniziativa di Town Centre Management presenta numerose difficoltà anche per il cambiamento di approccio che 92
Rossi I., (1998), Il commercio e l’artigianato dentro le città, esperienze di riqualificazione urbana, Etas Libri, Milano, pp 158-­‐159. 93
Guercini S., (2007), Il marketing delle destinazioni commerciali, modernità distributiva e ruolo dei promotori, Franco Angeli, Milano, pp 209-­‐210. 89 comporta nelle modalità di gestione della valorizzazione del centro storico. Le difficoltà maggiormente riscontrare sono94: • difficoltà legate alla novità dell’iniziativa: definire obiettivi condivisi ai diversi soggetti partecipanti e far comprendere loro la validità dell’iniziativa risulta un compito lungo e complesso. Le maggiori difficoltà riguardano il riuscire a far comprendere ai diversi soggetti che il centro storico non è più solo un luogo adibito al commercio, ma una realtà più articolata che attraverso la valorizzazione di altre componenti (trasporto, cultura, struttura urbana) contribuisce al dinamismo e alla competitività di tutta la città; • difficoltà legate alla composizione mista della partnership: settore pubblico e privato possono avere una diversa visione in merito sia agli obiettivi da raggiungere, sia alla tempistica necessaria per il perseguimento di tali obiettivi; • difficoltà dovute all’ampliamento degli obiettivi: queste possono essere una conseguenza del sorgere di nuove problematiche e dell’aumento delle possibilità di intervento sul centro storico, imponendo un ripensamento circa le funzioni e il ruolo svolto dall’iniziativa di TCM. Nonostante tali difficoltà, lo sviluppo di TCM rappresenta per le imprese di medie e grandi dimensioni un’opportunità per partecipare e per influenzare le scelte dell’ambiente in cui svolgono la loro attività anche se sono indispensabili azioni di marketing urbano volte alla valorizzazione e riqualificazione del territorio per rilanciare la città come destinazione. Il territorio ed in questo caso la città diventa un concetto applicabile ad ogni realtà che mira ad ottimizzare la relazione di scambio esistente tra gruppi 94 94
Zanderighi L., (2001), Town Centre Management:uno strumento per la valorizzazione del centro storico e del commercio urbano, Università degli studi di Milano, pp 15-­‐16. 90 di soggetti che contribuiscono a formare il prodotto territorio e quelli che intendono utilizzare tale prodotto. 3.3.2 IL MARKETING URBANO La crisi del centro città dovuto alla nascita dei nuovi formati distributivi e il successivo tentativo di riqualificazione del contesto urbano mediante lo strumento di Town Centre Management porta i vari stakeholders ad adottare strategie di marketing per la città, mirante ad attrarre risorse e visitatori, oltre che residenti, a trattenere le imprese e le persone che vivono ed operano nella città ed a migliorare i livelli di occupazione e di investimenti nella zona urbana; ovvero a realizzare azioni ed interventi per la conservazione e trasformazione territoriale, la crescita e l’innovazione dei servizi, lo sviluppo degli elementi di attrazione della città.95 Se il marketing territoriale nei nuovi aggregati commerciali ha come obiettivo strategico l’ottimizzazione della relazione di scambio tra i soggetti operanti in un certo territorio e gli investitori; il marketing urbano all’interno dei centri commerciali naturali si preoccupa, attraverso la creazione di valore economico per i cittadini, di ottimizzare il rapporto di scambio fra tutti i fruitori della città e la città stessa, intesa come sistema unico di offerta in grado di assicurare un adeguato livello di qualità della vita. Il concetto di marketing urbano, di origini anglossassoni, nasce dal riconoscimento che anche il territorio produce uno scambio volontario di valori con chi ci vive, ci opera e lo frequenta. Città e territorio hanno l’esigenza di rispondere alle domande che gli vengono poste nell’ambito delle trasformazioni sociali di benessere e miglioramento della qualità 95
Ferretti D., (2002), “Marketing e riqualificazione urbana”, www.infocommercio.it, pp 1-­‐2. 91 della vita poste da parte della popolazione residente e fluttuante, delle attività economiche e produttive che hanno a che fare con esso, dei criteri di salvaguardia e ripristino delle risorse naturali che garantiscono un equilibrio ambientale sostenibile tra i diversi fattori che interagiscono al suo interno. Il marketing urbano deve farsi carico di tutti quegli aspetti organizzativi e funzionali di un’area, dalla comprensione dei bisogni dei clienti che la frequentano e dei non clienti alla pianificazione dell’offerta, dalla creazione di uno spazio favorevole allo shopping alla messa in scena di un marchio e un’immagine comuni a tutti gli operatori, dalla progettazione dei servizi alla clientela alla gestione di servizi comuni per gli operatori presenti nel centro. Si tratta quindi di un obiettivo connesso alla creazione di valore per tutti gli utilizzatori della città che si focalizza sull’offerta di migliori condizioni di vita quotidiana, sul funzionamento dei servizi pubblici, sull’accessibilità ed il godimento dei beni ambientali e culturali.96 Un buon city marketing aumenta il livello di attrattività complessivo di un territorio che, grazie al livello di qualità della vita offerto ai suoi city user, influenza indirettamente la scelta insediativa degli imprenditori. Sviluppare un’azione di marketing urbano significa sviluppare e rendere concreto un processo decisionale inerente operazioni di riqualificazione e trasformazione territoriale, sociale ed economica impostato su azioni di analisi, pianificazione, progettazione, realizzazione e controllo dei risultati, finalizzato a produrre , cambiare o eliminare scambi volontari di valori con mercati-­‐obiettivo. E’ un’azione finalizzata in particolare ad adeguare l’offerta della città ai bisogni ed ai desideri del mercato-­‐obiettivo considerato. 96
Martone R,F., (1998), “La città in ascolto, una nuova visione del city marketing”, Economia & Management, pp 13. 92 In definitiva l’azione di marketing urbano si pone non come una semplice attività promozionale volta ad attrarre investitori e turisti, ma un insieme articolato di azioni orientate a migliorare la posizione relativa della città ponendo in essere una serie di politiche introdotte dal city management atte a modificare la quantità e qualità dei servizi pubblici prodotti nella città in modo che l’offerta sia conforme alle esigenze dei suoi utilizzatori i quali sono: • i fruitori dei servizi residenziali: i cittadini che vi vivono stabilmente; • i fruitori di servizi pubblici: cittadini, residenti e non residenti, che svolgono in città attività di vario tipo; • i fruitori di servizi localizzativi: imprese od enti che hanno in città la sede della loro attività97 Ma la realizzazione di un progetto di marketing urbano si fonda principalmente sulla collaborazione pubblico-­‐privato che si genera dall’integrazione tra imprenditorialità del commercio e dei servizi , con l’amore del cittadino per la città, l’attenzione delle amministrazioni comunali e la consulenza strategico formativa di consulenti di marketing urbano che focalizzano la progettazione strategica, adattandola alle realtà locali e alle diverse tipologie imprenditoriali; in sintesi si può affermare che il Centro Commerciale Naturale analizzato in un’ottica di marketing urbano vede una collaborazione strategica tra Amministrazione Comunale, imprenditori commerciali e consulenti dello sviluppo commerciale, verso lo sviluppo continuativo comunicazionale, commerciale, mercatistica ed artigianale dell’area urbana designata.98 Difatti Comuni, Imprese, il mondo dell’associazionismo culturale e turistico devono porsi il problema di come farsi conoscere, attrarre 97
Pederzoli D., (2001), “Al recupero dei centri storici”, Largo Consumo, pp 105. Sansone M., (2007), Confronti metodologici, riflessioni critiche e proposte operative sul marketing urbano in ambito internazionale: focus sull’organizzazione e gestione dei Centri Commerciali Naturali, Marketing Trends, Parigi, 26-­‐27 Gennaio, pp 16. 98
93 capitali, quale identità attribuire al territorio o comune, come qualificare l’offerta commerciale e dei servizi, come rendere più attraente ed attrattivo il centro storico e Centri Commerciali Naturali, come sviluppare l’offerta turistica, di quali nuovi servizi dotarsi per soddisfare le nuove esigenze dei residenti, visitatori e consumatori. E’ fondamentale che tra questi operatori commerciali si instauri una cultura di marketing, che consista nella capacità di: a) identificare le sfide e gli obiettivi che si pongono alle imprese commerciali del centro storico; ovvero riposizionare e rivalorizzare l’insieme delle attività presenti nel centro storico soffermandosi sull’attrattività dell’ambiente urbano, migliorabile non solo attraverso interventi sul patrimonio edilizio, ma anche mediante una proposta integrata di contenuti di servizio aderenti alla domanda sociale propria degli utenti del luogo, supportata da modalità di comunicazione che stimolino la curiosità alla frequentazione e producano sensazioni di interesse, divertimento, benessere durante la permanenza del luogo; l’accessibilità di un’area urbana intesa come la facilità con cui può essere raggiunta dall’esterno; l’animazione dell’area urbana attraverso una coordinata politica di eventi che legano il consumatore al luogo, sviluppando questa politica in una dimensione attrattiva di continuità/discontinuità con le abituali modalità d’uso e frequentazioni del posto, che coincida con le sue aspettative di benessere e alto livello di qualità della vita nel luogo cui si vuole tendere ed infine la qualità ambientale che consiste nell’ intervenire sull’accessibilità al centro storico per migliorarne le condizioni di fruibilità, organizzare cioè una serie di servizi ed interventi che facciano migliorare la possibilità di un 94 rapido raggiungimento di un luogo senza intaccare, ma migliorando le condizioni fruitive esistenti (navette, taxi gratuiti). b) Disporre di una conoscenza approfondita dell’ambiente/mercato in cui le aziende operano; c) Sviluppare adeguate strategie di posizionamento, cioè i modi che consentono di far corrispondere l’offerta alla domanda 99: il posizionamento riguarda il modo in cui il prodotto trova collocazione nella mente del potenziale consumatore. All’interno di un centro urbano questo si riferisce all’offerta non di un’unica impresa dettagliante ma di un insieme di negozi caratterizzati da merceologie, target, formule commerciali diverse; in secondo luogo la percezione dell’offerta commerciale è connessa ad una più ampia percezione del centro storico nei suoi diversi elementi; infine si opera su una realtà che è già naturalmente “posizionata” in un certo modo nella mente dei consumatori. Le principali strategie di posizionamento che possono essere attuate dai commercianti di un’area urbana possono riguardare il prezzo (questa strategia punta su un’offerta esclusiva della via o piazza commerciale che si rivolge ad una clientela disposta a destinare consistenti valori di spesa su prodotti ad alto livello simbolico); la specializzazione (si attua una specifica identità commerciale della via come ad esempio l’abbigliamento) e la differenziazione (quando le imprese presentano un’offerta differenziata dal punto di vista dell’assortimento della formula di vendita). Per definire con maggiore precisione il posizionamento commerciale della zona urbana è importante effettuare un piano di merchandising complessivo dell’area che consiste nel capire come è opportuno collocare le diverse attività nelle strade (layout) e quale 99
Rossi I., (1999), “Il marketing urbano”, Celid, pp 55-­‐70. 95 “presentazione “ dare a queste ultime (display) in base a considerazioni fatte per rivitalizzare le zone meno frequentate e creazione di una migliore fruibilità del servizio commerciale in tutta l’area anche se oggi è molto difficile a far collimare le diverse esigenze dello spazio , di approvvigionamento, di spese di gestione, di appeal commerciale dei vari imprenditori che ad oggi risultano fortemente legati al territorio, alla zona, ai vincoli di parentela e amicizia nei luoghi in cui si trovano. d) Mettere in atto le forme comunicative più adatte a raggiungere il pubblico e a dialogare con esso: la comunicazione è alla base delle strategie di marketing e sono proprio le vetrine a comunicare l’intenzione di vendere singolarmente o in una situazione di globale appartenenza ad un progetto integrato di Centro Commerciale Naturale. Tra gli scopi comunicativi principali ci sono quelli di informare, convincere, creare simpatia o prestigio intorno all’immagine di una zona, di una strada, verso l’attenzione di un pubblico eterogeneo e vario caratterizzato da frequentatori/clienti abituali, frequentatori/clienti occasionali e frequentatori potenziali.100 100
Sansone M., (2007), Confronti metodologici, riflessioni critiche e proposte operative sul marketing urbano in ambito internazionale: focus sull’organizzazione e gestione dei Centri Commerciali Naturali, Marketing Trends, Parigi, 26-­‐27 Gennaio, pp 20. 96 3.3 CITTA’ E FENOMENO MODA: CASI DI VIE DELLA MODA 3.3.1 OBIETTIVI E METODOLOGIA Questo paragrafo contiene i risultati di una ricerca esplorativa effettuata su specifici casi di vie della moda. La ricerca si è prefissata due tipi di obiettivi principali: il primo consiste nel definire la correlazione tra la moda e la città; due realtà strettamente connesse; il secondo si basa invece, sull’individuazione delle più famose vie della moda soffermandosi in particolar modo su Via de’ Tornabuoni e Via Montenapoleone. Tratteremo in primo luogo il contesto in cui esse sono inserite: Firenze e Milano per poi cercare di individuare se esistono associazioni di via sorte con l’obiettivo di una gestione unitaria che concepiscano la strada come un insieme integrato di offerte capaci di attrarre turisti, consumatore e residenti mediante eventi, manifestazioni, ristrutturazioni urbane, sicurezza, pulizia… La città è il contesto di generazione dell’innovazione e luogo nel quale si concentrano le capacità e le conoscenze più qualificate per le esigenze delle persone e delle imprese (Varaldo e Lazzeroni, 2006). La moda è collocabile tra i fenomeni che si pongono in connessione con i processi sociali e che assumono particolare rilievo nell’ambito delle città (Codeluppi, 2006). La città con la sua architettura ha operato per la moda come un palcoscenico, cioè come uno spazio teatrale in cui poter esibire linguaggi ed invenzioni; ma anche la moda prima con i passages,101 poi con i grandi magazzini e successivamente con le cosiddette “gallerie monumentali” della seconda metà dell’Ottocento è riuscita ad inserirsi 101
Amendola G., (2006), La città vetrina, i luoghi del commercio e le nuove forme del consumo, Liguori Editore, pp 100-­‐101. 97 architettonicamente dentro lo spazio compatto della città, ha contribuito a produrre la città, a determinarne lo sviluppo. La moda quindi invade la città, spesso cambiandone il senso: è un “impero dell’effimero”.102 Oggi si parla della città non più come organizzazione dello spazio ma come una città di offerte: non disegna più un ordine sociale o locale che si materializza attraverso un organizzazione dello spazio con i suoi viali, piazze, monumenti; ma si presenta come un insieme di servizi, prodotti, relazioni, comportamenti, ambienti, racconti, eventi… ed è il gioco di queste offerte, la loro capacità di strutturare delle domande e l’interazione tra queste domande che organizzano l’esperienza metropolitana e la stessa città. Un elemento comunicativo fondamentale all’interno delle città è la vetrina che a partire dal Settecento è stato uno strumento con il quale la società ha imparato il linguaggio della visione, della moda, della comunicazione e della pubblicità. Possiamo dire che la città si è “vetrinizzata”, spettacolarizzata e oggi si può affermare che lo spettacolo si è diffuso allo spazio sociale e non è più sufficiente assistere ad uno spettacolo, o al limite parteciparvi, ma occorre farne l’ esperienza, cioè coincidere in toto con lo spettacolo stesso, divenendo registi del proprio divertimento (Bégout, 2002). La vetrina rappresenta una sorta di soglia del desiderio correlata alla soggettività del consumatore, ai suoi gusti, interessi e mutazione del suo stato d’animo: essa distrae, diverte, incuriosisce…è dalle vetrine delle grandi città che si può udire l’eco dei grandi sogni collettivi filtrati dall’immaginario consumistico: è la ripetizione di fantasie e desideri che rimbalzano dalle strade affollate e riemergono nella tv, in internet, nelle riviste, giornali e cartelloni.103 102
Guercini S., (2007), Il marketing delle destinazioni commerciali, modernità distributiva e ruolo dei promotori, Franco Angeli, Milano, pp 187-­‐188. 103
Codeluppi V., Ferraresi M., (2007), La moda e la città, Codeluppi, Roma, pp 10-­‐13. 98 Esistono nel mondo alcune città dove la moda rappresenta una risorsa economica fondamentale ma anche un aspetto della vita cittadina, della cultura, dei suoi abitanti e della cultura che la città offre a chi la visita; ma più nello specifico ci sono vie, quartieri che funzionano come vetrine della moda, come magneti di attrazione per consumatori e turisti, come palcoscenici per la moda dove è possibile trovare brand di abbigliamento di fascia elevata. 99 Figura 3.3 Shopping Location Paese Città Location USA New York Fifth Avenue Francia Parigi Hong Kong Hong Kong Avenues des Champes Elysees Causeway Bay UK Londra Oxford Street Australia Sidney Pitt Sreet Mall Corea Seoul Grecia Atene Russia Mosca Germania Monaco Irlanda Dublino Italia Milano Svizzera Zurigo Austria Vienna Singapore Singapore Giappone Tokyo Kaunguam Station Ermou Manezhnaya Kaufngerstrasse Grafton Street Via Montenapoleone Bahonofstrasse Kartnerstrasse Orehard Road The Ginza Fonte: Guercini S., (2007) Tra le vie più importanti ricordiamo la Fifth Avenue di New York, regina incontrastata degli acquisti dove tra grattacieli e traffico cittadino è sorgono negozi e boutique di ogni genere: Fendi, Gucci, Prada, Luis Vitton…; Avenues des Champs Elysees a Parigi, via ipercommercializzata 100 dove nulla è tipicamente francese e dove ci sono chilometri di vetrine di lusso, centri commerciali e boutique di alta moda; The Ginza a Tokyo, via caratterizzata da larghissimi marciapiedi che fanno strada alle grandi vetrate di negozi, dove bar e caffè spuntano lungo l’asfalto rendendo l’area carica di un’atmosfera europea e dove è possibile ammirare i più famosi brand nelle boutique e nelle gallerie…; il Quadrilatero Milanese, quartiere compreso fra Via Montenapoleone, Via della Spiga, Via Sant’Andrea e Via Manzoni dove è possibile trovare gli showroom prestigiosi di griffe storiche del pret-­‐a-­‐porter o di quelle più recenti, note a sviluppo internazionale: è il caso di Armani, Trussardi, Hermes, Dolce & Gabbana…; il Quadrilatero Fiorentino, porzione di città caratterizzata da un elevata specializzazione nell’abbigliamento compreso fra Via de’ Tornabuoni, Via della Vigna Nuova, Via della Spada e Via degli Strozzi ed altre ancora come Oxford streets a Londra; Kaufngerstrasse a Monaco; Causeway a Honk Kong; Manezhanaya Square a Mosca.104 Un’ attenzione particolare è stata rivolta a Via de’ Tornabuoni, i cui risultati della ricerca si sono basati su dati secondari (siti internet, relazioni pubblicate dalla Confesercenti, articoli di giornali) e primari (l’intervista effettuata al Responsabile Operativo CAT Confesercenti Firenze Andrea Anichini finalizzata alla raccolta di informazioni in merito all’applicabilità del concetto di Centro Commerciale Naturale e molto utile per comprendere la vocazione turistica, il profilo all’interno di questa via della moda e ad individuare se per questa è possibile parlare di Town Centre Management. All’inizio del nostro lavoro avremmo voluto approfondire qualche conoscenza sulla Fifth Avenue in particolar modo sapere se anche tale via, regina dello shopping presenta una sua organizzazione di via. Le uniche 104
Guercini S., (2007), Il marketing delle destinazioni commerciali, modernità distributiva e ruolo dei promotori, Franco Angeli, Milano, pp 151. 101 informazioni che siamo riusciti ad avere fanno emergere che anche a New York esistono almeno dodici istituzioni impegnate in attività di center management che mirano al mantenimento di vitalità delle destinazioni del centro città tra cui The Alliance downtown New York. Tale associazione ha come obiettivo quello di rendere la zona più centrale di Manhattan un luogo piacevole in cui lavorare e vivere attraverso la creazione di un ambiente in cui fondere aree commerciali e residenziali. In particolare nel quartiere di Manhattan ultimamente la Fifth Avenue conta quarantaquattro dipendenti che forniscono servizi di sicurezza, servizi sanitari, pulizia ed assistenza ai turisti, commercianti e residenti.105 3.3.1 IL CASO VIA DE’ TORNABUONI L’area fiorentina è senza dubbio uno dei principali poli italiani del così detto “artigianato artistico” basato sulla plurisecolare tradizione delle “botteghe” delle arti e dei mestieri. Esse sono in primis sedi di incontro, di scambio e di luce ed in quanto tali sono “naturalmente” i presidi che caratterizzano un luogo, lo rendono vivibile, fruibile e sicuro; presidi che fanno uscire l’agglomerato urbano dall’anonimato, dal buio, dall’indifferenza dandogli vita ed è per questo che assolvono una funzione sociale oltre che commerciale. La porzione del centro città fiorentino si caratterizza per una forte specializzazione nell’abbigliamento, sia attraverso un presidio della grande distribuzione che una forte presenza delle marche di lusso; infatti nel corso degli ultimi anni nell’area metropolitana si sono prodotte le condizioni per una più intensa competizione nella distribuzione di prodotti moda 105
A.A., (2008), “Town centre management, il futuro”, Speciale Confesercenti, pp 1. 102 connessa all’apertura di nuovi aggregati programmati di tipologia “Outlet Center” a sud ed a nord della città. La suddivisione del centro città in aree turistico-­‐commerciali specializzate è evidente nel caso dei luoghi dello shopping dove la sequenza di negozi dell’alta moda , specie del made in Italy rappresenta una meta fondamentale del turista. La sfavillante città vetrina si estende ai suoi monumenti sponsorizzandone la manutenzione e trasformandoli in palcoscenici che celebrano, in un contesto adeguato, l’immagine della griffe. Oggi tutto il centro storico sta diventando un palcoscenico e passeggiare tra le vetrine del Luxury District di Firenze assomiglia sempre più all’esperienza che si vive all’interno dei Factory Outlet Center.106 E’ proprio da qui che occorrerebbe ripartire con un progetto che valorizzi tutto ciò, dove l’aggregazione e l’offerta commerciale insieme alla “naturalità” dei luoghi e alla loro storia sono fattori importanti di eccellenza e competitività rispetto ad un mercato che tende a riprodurre tutto ciò artificialmente. Di qui l’esperienza ormai consolidata di forme associative tra i negozianti con profili giuridici molto semplici come i comitati o più articolati e complessi come i consorzi, il cui fine è sempre quello della promozione e marketing, rivitalizzazione del tessuto economico che insiste in una piazza, strada, o centro storico. E’ una vera operazione di marketing territoriale urbano tesa a valorizzare il territorio attraverso promozioni, attività di restyling urbano e piani di formazione per gli operatori del settore.107 La nuova arma in possesso del piccolo commercio si chiama “Centro Commerciale Naturale”; all’apparenza non si tratta di niente di nuovo; i negozi rimangono sempre gli stessi, il territorio in cui i punti vendita sono ubicati non subisce grandi trasformazioni. La bellezza del Centro 106
Amendola G., (2006), La città vetrina, i luoghi del commercio e le nuove forme del consumo, Liguori Editore, Napoli, pp 178-­‐180. 107
Bettini A., (2007), “La bottega tra commercio, tradizione e cultura”, pp 3-­‐4. 103 Commerciale Naturale è che è lì da sempre e la differenza sta nel come si muove e si organizza per creare una nuova atmosfera intorno ai suoi negozi e alle attività che si svolgono in quella particolare zona della città. Il CCN si presenta come un sentimento, un valore aggiunto di vitalità ed idee che va ad arricchire una situazione preesistente dandone nuovo slancio ed anche un’immagine nuova agli occhi dei clienti. L’obiettivo è riuscire a creare consorzi fra negozianti che abbiano come scopo quello di valorizzare il territorio in cui operano attraverso promozioni, abbellimento dell’arredo urbano, iniziative di animazione e piani di formazione per gli operatori del settore; in altre parole trasformare il territorio in cui operano i negozi associati in un luogo interessante da visitare. L’idea forte dei Centri Commerciali Naturali sta nel portare il modello dei centri commerciali pianificati in un territorio aperto, in cui i negozi riescano a relazionare tra loro sulla base di obiettivi comuni; il tutto senza perdere la propria unicità e tradizione.108 Tutto ciò ha portato ad un profondo cambiamento nel sistema delle relazioni e nella mentalità dei commercianti, che da imprenditori “soli” a una sfida contro tutti, elaborano progetti ed iniziative con i colleghi nella consapevolezza che l’unione, la condivisione di obiettivi siano il volano di sviluppo per garantire segmenti e quote di mercato, richiamando flussi di clientela sempre più propensa all’acquisto “mordi e fuggi”, preferibilmente se conveniente nel rapporto qualità-­‐prezzo, oppure alla ricerca di prodotti tipici, nei consumi di nicchia. Alla luce di quanto trattato nell’intervista è stato molto interessante e inaspettato ciò che è emerso riguardo a quella che è l’organizzazione, ovvero la gestione della via oggetto di nostro interesse: Via de’ Tornabuoni. 108
http://www.firenzelecolline.it 104 Figura 3.3.2 a Mappa di via de Tornabuoni Fonte: www.google.it Figura 3.3.2 b Via de’ Tornabuoni Fonte: www.Wikipedia.it Via de’ Tornabuoni109 è una lussuosa via del centro storico di Firenze che va da piazza Antinori al ponte Santa Trinità, attraversando piazza Santa Trinità. Essa è stata una delle prime strade commerciali fiorentine dove vi 109
http://www.wikipedia.it 105 erano concentrati un numero consistente di attività tradizionali come la libreria Seeber, la farmacia inglese, ovvero negozi di élite di diversa natura da quelli di oggi che attiravano la borghesia fiorentina e che contribuivano ad attribuire alla strada una fama di “via del buon gusto” dove erano situati i negozi più prestigiosi della città. A lungo andare, qui, si sono concentrate le grandi firme frutto di un processo di stratificazione avvenuta nel tempo dovuto ad un meccanismo di ricambio di quei negozi che anticamente erano simbolo di lusso con le grandi insegne di oggi. Gucci, è stato il capostipite delle firme fiorentine; le altre si sono addensate successivamente ed è proprio qui che i grandi stilisti della moda hanno deciso di affermarsi in quanto Via de’ Tornabuoni è una strada centrale, che si presta, di una raffinatezza unica dove si affacciano palazzi storici importanti ( Palazzo degli Strozzi, Palazzo di Ferragamo). Oggi la strada ha un sapore diverso anche se ha mantenuto la medesima reputazione di un tempo. Insieme a Via della Vigna, Via degli Strozzi e Via della Spada forma un distretto commerciale di lusso nel centro di Firenze. E’ la strada più elegante sin dal Rinascimento che si caratterizza per la presenza delle migliori boutique di stilisti di alta moda e di gioiellieri caratterizzata da un’elevata specializzazione nel settore dell’abbigliamento. Oggi mantiene un’atmosfera raffinata, ma il proliferare delle boutique tra cui Gucci, Ferragamo, Blumarine, Pucci, Save the Queen, Prada, Dior, Versace, Pietro Tucci, Sergio Rossi, Trussardi, Cavalli, Tods’, Ugo Boss…. ha reso la strada una “fashion victim”, cioè una vittima della moda dal momento che molti negozi hanno dovuto cedere il passo al business più redditizio dell’alta moda. Fare shopping in Via de’ Tornabuoni significa respirare un’atmosfera sottile in cui lo stile elegante e armonioso delle più rinomate griffe si fonde con quello degli edifici storici che fanno da cornice alle maison più prestigiose. 106 Figura 3.3.2 c Via de’ Tornabuoni Fonte: www.Wikipedia.it Il turismo presente all’interno di questa strada è di tipo commerciale, non di massa: il consumatore/acquirente conosce tale via, sa ciò che vuole ed associa il prezzo elevato alla qualità del prodotto-­‐servizio offerto all’interno dei punti vendita; è un consumatore selezionato, ricercato che individua in tali prodotti della moda un elemento di attrazione. Ciò che attrae la sua attenzione è il fatto di trovarsi stupefatto di fronte ad immense vetrine curate nei minimi dettagli, luci soffuse, un personale altamente qualificato ed un’ accoglienza particolare che non incentiva tutti ad entrare ma solo i più abbienti facendoli sentire appagati, soddisfatti e rilassati. Difatti Via de’ Tornabuoni non si colloca all’interno del circuito tradizionale turistico ma ai margini di questo; mai vedremo lungo questa via flotte di giapponesi e scolaresche ad eccezione di qualche curioso attratto dall’ambiente raffinato ed intenzionato a “sognare” per un attimo. Ma ciò che è stato interessante approfondire con Andrea Anichini riguarda il concetto di Town Centre Management di Via de’ Tornabuoni. 107 I punti vendita insediati lungo questa via sono consapevoli di essere un Centro Commerciale Naturale, un agglomerato di punti vendita altamente specializzati anche se peccano nella mancanza di politiche organizzative condominiali di valorizzazione del territorio comune. Prima che fallisse la vecchia Confcommercio era stato fatto un progetto su questa via della moda ma questo non si è mai realizzato, non ha mai raggiunto una struttura stabile ovvero non ha mai avuto un gruppo di management che potesse gestire tale centro commerciale naturale e che attivasse politiche di marketing territoriale. Viene da domandarsi come mai tale via pur essendo un CCN non presenta associazioni di via o consorzi che adottino politiche promozionali, di fidelizzazione, di marketing urbano. Il motivo principale riguarda la presenza delle grandi firme che si è dimostrato essere dunque un aggravante in quanto queste non necessitano di essere conosciute mediante politiche promozionali, pubblicitarie come associazioni e consorzi; a loro basta il solo fatto di essere presenti nel circuito della moda per eccellenza anche solo per ricevere immagine e conoscibilità nel mondo. I negozi di Via de’ Tornabuoni si presentano come grandi catene e perciò sono legate alle politiche delle case madri; sono punti vendita gestiti da direttori con i quali è molto difficile interloquire e che non hanno nessun legame con il territorio; ovvero sono legati solo ai punti vendita e non alla strada dove questa attività insiste. Quindi emerge che ora che Via de’ Tornabuoni è prevalentemente, anzi totalmente legata alle grandi firme diventa tutto più complicato in quanto i CCN emergono in un determinato territorio comprendente un’area urbana (via, piazza, centro storico) commercialmente omogenea; si presenta come un’area con una vocazione commerciale già effettiva e da valorizzare, oppure latente o da creare, all’interno della quale più esercizi, commerciali ma non solo concorrono a determinare un’offerta integrata basata su un mix 108 merceologico in grado di avere potere di attrazione per i consumatori, cittadini o turisti che siano, i quali usufruiscono di infrastrutture e servizi comuni a quell’area stessa. Il CCN è quindi una straordinaria intuizione culturale che anche Via de’ Tornabuoni, pur non avendone la necessità, dovrebbe considerare; una strategia che consente alla base di tutto di rendere più stringente e forte il legame tra territorio e imprese, dando a quest ultime maggiore capacità di reazione alle sollecitazioni del mercato e maggiore visibilità al tessuto commerciale e di servizio nel suo complesso e sorgono laddove esiste un tessuto imprenditoriale locale quindi una concentrazione di attività e dove vi è un’organizzazione attiva che pratichi il marketing territoriale tra impresa e territorio. 109 3.3.2 IL CASO VIA MONTENAPOLEONE Figura 3.3.2 a Via Montenapoleone Fonte: www.google.com Il legame tra Milano e moda è molto stretto; in quanto quest’ultima detta alcuni riti cittadini, i tempi e ridisegna anche l’urbanistica della città. Molte sono le vie della moda, le vie commerciali ma anche quartieri semiperiferici che la moda a Milano ha recuperato e valorizzato con creatività110; una creatività che è tratto distintivo della nostra città, nella quale le tradizioni di design, buon gusto ed attenzione alla qualità sono confluite, valorizzando un settore strategico e al tempo stesso complesso che fa interagire piccole e grandi imprese, manifattura e distribuzione, artigianato e commercio.111 La moda per Milano, oltre ad essere uno dei settori di punta della nostra economia, è anche l’attività che meglio la caratterizza e la promuove nel 110
http://www.comune.milano.it 111
Sangalli C., (2009), “Lo stretto legame tra moda e territorio”, Camera di commercio di Milano, pp1-­‐2. 110 mondo in quanto questa città ha fatto del suo stile, della sua moda uno dei suoi marchi riconoscibili ovunque ma è anche una risorsa economica fondamentale; un aspetto della vita urbana in sinergia con turismo, cibo, design, comunicazione con l’intento di costruire l’offerta esperienziale cittadina. Dunque, Milano, la capitale per eccellenza italiana della moda è il paradiso dello shopping di lusso. Figura 3.3.2 b Via Montenapoleone Fonte: www.Wikipedia.it Nel centro della città si trova il famoso “Quadrilatero della moda”, un quadrato immaginario racchiuso tra Via Montenapoleone, Via della Spiga, Via Manzoni e Corso Venezia. E’ Via Montenapoleone la via considerata una delle zone più lussuose ed uno dei maggiori centri dello shopping dell’alta moda a livello mondiale, simbolo di lusso, moda e made in Italy. Costellata da negozi specializzati e showroom dei più importanti nomi della moda come Gucci, Versace, Luis Vitton, Loro Piana, Prada, Cartier, Ferragamo, Armani, Ferré e fiancheggiata da nobili palazzi come piazza San 111 Babila e Corso Vittorio Emanuele, le grandi firme della moda qui tentano i passanti ed i colori delle vetrine illuminano le facce incuriosite di turisti e residenti. Figura 3.3.2 c Via Montenapoleone Fonte: www.wikipedia.it Oggi il consumatore si connota per l’accresciuto interesse per l’apparenza e per un maggior spazio dato alla sensorialità ed alle emozioni; il consumo è visto come modo di comunicare la propria identità ma anche un modo per ricorrere all’immaginazione e creatività. Risulta premiata la produzione di ambienti e di situazioni di consumo affascinanti: vetrine scintillanti che inscenano un tema o il mondo valoriale della marca, accostamento di colori particolari, uso sapiente dell’illuminazione. Il consumo diventa momento di esplorazione, che si colloca nell’ambito di attività di “browsing” svolte da un consumatore flaneur (“bighellone”) che ricerca gioco e piacere e che vede nel consumo un modo di impiego delle attività di tempo libero, in quanto consumo di un’esperienza. 112 112
Burresi A., Aiello G., Guercini S., (2006), Marketing per il governo d impresa, Giappichelli Editore, Torino, pp 291. 112 Difatti chi si reca presso questa meta di lusso è mosso principalmente da due motivi: ci sono coloro che amano “sognare” di fronte alle vetrine delle boutique più prestigiose e che vedono nel passeggiare un modo per trascorrere del tempo ed altri che percepiscono le marche come fonte di valore aggiunto e che sono disposti a spendere per concedersi il meglio ovvero che percepiscono il prezzo alto come fonte di qualità della merce.113 In questa via vi è la predominanza di prodotti esclusivi (shopping goods) ovvero prodotti per i quali il consumatore associa caratteristiche di unicità e per i quali egli è disposto a dedicare anche del tempo oltre al denaro pur di procurarseli: sa ciò che vuole, cosa intende acquistare, non effettua comparazioni sul mercato, procede solo ad individuare il punto vendita dove è disponibile la marca ricercata e chiunque sa che tutto ciò che desidera lo trova in Via Montenapoleone, quel circuito dove tutti gli stilisti del mondo vogliono insediarsi. Ma ciò che distingue Via de’ Tornabuoni da Via Montenapoleone è la capacità organizzativa che tale via del lusso è riuscita a mettere in pratica con l’obiettivo di rendere la strada attrattiva mediante politiche di marketing urbano e promozionale, riportando così commercianti, residenti e turisti a concepirla quale polo attrattivo. In Via Montenapoleone è sorta così “l’associazione di via Montenapoleone” che riunisce non solo aziende presenti nella via con punti vendita ma anche professionisti, residenti, proprietari di immobili. E’ gestita da un Consiglio che affianca il Presidente e che si pone come interlocutore con la pubblica amministrazione ed è nata per combattere la desolazione e tristezza che ultimamente colpisce tale via. Questa promuove iniziative che spesso vanno al di là dei confini territoriali della via, ma soprattutto cerca di mantenere alta l’immagine di 113
Codeluppi V., Ferraresi M., (2007), La moda e la città, Carocci, Roma, pp 214. 113 questo straordinario “shopping center del lusso” puntando sulla sicurezza nella strada grazie ad una costante collaborazione con le Forze dell’ordine, sulla pulizia, sulla promozione e riqualificazione cercando di dare sempre il massimo a residenti, consumatori e turisti.114 L’obiettivo di tale associazione è: • quello di promuovere quelle iniziative necessarie o utili all’incremento e qualificazione del commercio e dei servizi in Via Montenapoleone, sia nell’interesse degli associati e sia in quello della clientela degli stessi; • studiare e realizzare iniziative promozionali di utilità comune agli operatori della via e dell’immagine della stessa; • sviluppare iniziative per l’assetto urbano; • incoraggiare la formazione di un autentico e leale spirito di solidarietà e collaborazione tra tutti gli operatori commerciali e turistici di via. Così tra le iniziative promosse ultimamente dall’Associazione emergono la ricerca di soluzioni condivise con particolare riguardo a regole di coerenza per insegne, dehors, scelta dei materiali, rastrelliere per le biciclette; il prolungamento dell’orario serale nelle splendide boutique; una “rivoluzione verde” vista come una vera e propria occasione di rilancio ambientale dove collezioni di alberi e piante ornamentali animano la primavera di Via Montenapoleone ed infine un’integrazione tra moda e cultura durante la “fashion week”. E’ proprio in questa occasione che l’Associazione ha dato origine al “progetto Montenapoleone”: un ricco calendario di eventi e spettacoli promosso dall’Assessorato alla cultura del comune in collaborazione con la Camera Nazionale della Moda, l’Associazione commercianti di via Montenapoleone e l’associazione Amici di via della Spiga: concerti e performances serali organizzati che animano 114
http://associazionemontenapoleone.it 114 le vie indiscusse della moda attraverso un programma condiviso che permetta ai consumatori di riscoprire Milano di notte. Tali eventi prevedono sfilate di auto e moto d’epoca, serata dedicata al futurismo, spettacoli di danza. Il tutto per accendere le luci sulla via dello shopping oltre che far riconoscere e rappresentare i beni culturali, edifici artistici, musei e chiese posseduti. Dal punto di vista pubblicitario è nato anche il “the luxury Media”, tra cui la radio ed il portale ma anche “the luxury pocket guide” la guida di lusso per chi vuole conoscere e vivere meglio Milano ovvero una guida trimestrale in inglese, russo ed italiano dedicata ai turisti di elite e a tutti coloro che soggiornano a Milano per piacere o business.115 Ma sono anche notevoli le iniziative che “l’Associazione di via Montenapoleone” avrebbe intenzione di portare a termine in un futuro come ad esempio una collaborazione con gli stilisti che preveda l’organizzazione di eventi all’interno delle boutique oppure la creazione di uno sportello unico del Comune collegato con i principali alberghi in modo tale da far conoscere al turista gli eventi programmati che animano la via della moda durante la sua permanenza. 115
http://www.sole24ore.it 115 CONSIDERAZIONI FINALI Alla luce degli argomenti trattati vorremmo concentrarci su due punti che meriterebbero un ulteriore approfondimento: il primo riguarda l’elemento “esperienziale” che un consumatore vive sia all’interno del Factory Outlet Center che nel Centro Commerciale Naturale ed il secondo si concentra sui modelli organizzativi propri dei due aggregati commerciali specializzati. In riferimento al primo punto il Factory Outlet Center oggi, oltre ad essere una formula distributiva vincente in quanto capace di riunire le grandi esperienze di consumo in un unico contesto attraente ed economico, fornisce al consumatore/acquirente la possibilità di risparmiare tempo e denaro e soprattutto offre lui un servizio arricchito in un ambiente confortevole e comodo: il motivo principale che spinge le persone a visitare ed a rimanere nelle strutture di questo tipo è la nuova e straordinaria esperienza che il consumatore vive acquisendo capi ed articoli firmati dagli stilisti più celebri e dei marchi più prestigiosi usufruendo nel contempo dei servizi di buon livello. Oggi, per i consumatori, la proposta dell’integrazione non costituisce solo un fattore di maggiore efficienza dei processi di consumo ed acquisto sia per gli aspetti di tipo logistico che sul piano cognitivo, ma rappresenta un elemento che fornisce una moderna risposta alla ricerca di forme di “shopping ricreativo”, dove l’acquisto può essere percepito come una modalità di impiego del tempo libero cui si associano creatività e gratificazione. In definitiva il futuro di questo modello è proiettato verso un’altra direzione che non è strettamente legata al mondo del retail ma ne è complementare: esso si trasformerà in una realtà multi-­‐servizio: bar, 116 ristoranti, possibilità di intrattenimento, spazi per la cultura e socializzazione, aree dedicate al benessere, allo sport, alla cura della persona ovvero attrattive create specificamente per appagare i bisogni ed i vizi di tutti i componenti della famiglia; tutto ciò però si presenterà in un ambiente dispersivo sia in termini spaziali che merceologici, spesso affollati, faticosi da raggiungere e da visitare interamente e dunque controproducenti per se stessi.116 Ma è all’interno dei Centri Commerciali Naturali che il consumatore arricchisce la propria esperienza, si gratifica moralmente, vive delle sensazioni magiche e coglie elementi di originalità che non riesce a percepire all’interno dei moderni format. Per il consumatore il Centro Commerciale Naturale non è solo un susseguirsi di punti vendita; esso si presenta come un “prodotto” che racconta una storia che egli può assaporare; una tradizione; un territorio e offre a chi la visita varie sensazioni. E’ il legame che la strada ha con il territorio che rende le sue caratteristiche uniche ed irripetibili e sono proprio le caratteristiche di un centro storico, via , piazza che rendono riconoscibile la specifica personalità di una zona. Quindi è priorità assoluta far vivere al consumatore un’ esperienza memorabile ed è questa che le farà ricordare la “passeggiata” lungo le vie della moda. Il sogno e l’esperienza memorabile di ogni consumatore è cogliere l’occasione unica di vivere atmosfere, respirare aromi, interpretare colori ed immergersi nell’arte di vivere del territorio e delle persone che lo circondano. Tutto intorno a lui sembra essere creato appositamente per soddisfare i suoi sensi: il dolce profumo della nuova fragranza di Gucci, l’odore forte del tartufo presso la gastronomia “Procacci”, l’ordine, la pulizia rassicurano il consumatore e le grandi pietre che compongono i palazzi lo immergono nel passato facendolo sentire protetto. 116
A.A, (2009), “Retail, quale futuro?”, Università degli studi di Milano, pp 7-­‐8. 117 Colui che si trova a passeggiare lungo queste strade rimane incantato dai raggi del sole che di tanto in tanto cercano di “far capolino” tra gli imponenti palazzi storici e che riflettendosi nelle grandi vetrine delle più prestigiose boutique risaltano le figure sinuose di manichini che indossano abiti di ultima moda. Proseguendo il consumatore rimane appagato e soddisfatto da quella molteplicità di colori forti che animano quotidianamente le vie della moda, ma ciò che lo attrae maggiormente è l’immersione in un ambiente quasi surreale: usceri con il frac che lo accolgono all’ interno delle boutique come se aprissero le porte di una grande sala da ballo e lo accompagnassero in questa esperienza di acquisto favolosa; eleganti e cortesi commessi soddisfano ogni sua esigenza e luci anticate dai grandi lampadari di cristallo illuminano l’atmosfera ricca di profumi ed aspettative. Ma per il consumatore passeggiare vuol dire assaporare storia, cultura, tradizione in un luogo in cui il tempo si ferma e dove il fruitore non è solo un consumista ma colui il quale si vuole arricchire, appagare e rilassare. L’altro punto da prendere in considerazione riguarda il modello organizzativo che il Centro Commerciale Naturale dovrebbe introdurre anche se il consumatore non vede l’organizzazione, la regia unitaria ma si concentra su quello che sente, che percepisce come pulizia, parcheggi, sicurezza… Factory Outlet Center e Centri Commerciali Naturali per molto tempo si sono fronteggiati cercando di imitare e riprodurre le modalità tipiche di raccordo con il mercato; inizialmente sono stati i FOC che hanno tentato di riprodurre idealmente, esplicitamente e visivamente gli elementi del centro città realizzando un village style che riprenda gli aspetti tipici della città, culturali e storici (strade, panchine, fontane) mentre più recentemente sono stati i centri urbani a capire che per competere con questi grandi formati e per realizzare un vantaggio competitivo è 118 essenziale cercare di imitare l’organizzazione, le iniziative e la capacità di promozione resa possibile dall’esistenza di una regia unitaria propria di tali aggregati programmati. E’ importante quindi che il negozio di vicinato abbandoni la visione unitaria della propria attività cominciando a vedere il centro città come un aggregato di punti vendita facenti parte di un contesto organizzato che realizzi una varietà e completezza dell’offerta merceologica; che organizzi attività di promozioni, eventi e manifestazioni capaci di attrarre consumatori, residenti e turisti. Tale obiettivo è stato raggiunto mediante una gestione manageriale prevista per il centro città; il cosiddetto Town Centre Management, che grazie all’intervento di attori pubblici e privati interessati e capaci di coordinare, organizzare tutto ciò che riguarda l’attività delle imprese di un centro urbano come pulizia, sicurezza, parcheggi.. ha reso possibile far “rivivere” il centro città ovvero renderlo un habitat naturale dove profumi, colori, vetrine e servizi funzionino da polo attrattivo per la città. Nello specifico di Via de’ Tornabuoni sarebbe molto interessante provare a formulare delle considerazioni su quelle che potrebbero essere le iniziative di tipo urbano, promozionale che essa potrebbe considerare nonché i vantaggi che tale strumento potrebbe apportare al contesto urbano laddove nascessero associazioni o consorzi di via. Come tutte le associazioni sorte all’interno dei quartieri fiorentini anche una gestione unitaria tra le boutique del lusso di Via de’ Tornabuoni si baserebbe su quello che è lo scopo principale del Town Centre Management; ovvero la promozione del sistema economico all’interno della via nonché la messa in atto di azioni che porterebbero i consumatori a frequentarla: feste, pubblicità comune, iniziative che incentivano il consumatore a ritornare nel punto vendita e che lo premiano…ma il tutto sarebbe fatto all’insegna del buon gusto e della raffinatezza. Se il piccolo commerciante all’interno di un quartiere fiorentino riesce a strutturare un 119 rapporto di riconoscibilità con il vicinato magari organizzando eventi, proponendo gadget o meglio ancora fidelity card portando il residente a manifestare la sua preferenza verso di esso, le grandi firme, invece, potrebbero attirare consumatori e residenti nel periodo natalizio facendo addobbi particolari, recapitando presso i propri clienti inviti per permettere loro di venire a conoscenza del periodo dei saldi; organizzare feste esclusive all’interno del punto vendita, offrire biglietti per visitare quei luoghi storici che fanno da ornamento alla città di Firenze e che potrebbe essere un modo di coadiuvare moda e cultura; regalare biglietti di opere teatrali, musica classica…o meglio ancora un invito a partecipare alla sfilata del marchio. In definitiva occorrerebbe che la strada ribadisse all’opinione pubblica più volte nell’arco di un anno eventi, promozioni, manifestazioni in modo da innescare quel meccanismo di identificazione del prodotto-­‐servizio con la strada in modo che il consumatore si identifichi con l’offerta e quindi con tutte quelle azioni di marketing territoriale promosse. Al termine di questo lavoro è lecito porsi alcune domande: i Factory Outlet Center, intesi come uno spazio privilegiato per la socializzazione e tempo libero sovrapponendosi alle “vecchie piazze” riusciranno a perdurare nel tempo? Ovvero se le piazze, prima della nascita dei FOC avevano mantenuto la loro identità di luogo prediletto di commercio e socializzazione per molto tempo, allo stesso modo le moderne strutture riusciranno a conservare nel tempo i molteplici ruoli che ad esse oggi attribuiamo? Ovviamente urbanisti, architetti, imprenditori si augurano di sì anche oggi esistono alcune criticità che possono mettere in discussione il funzionamento delle nuove pratiche di consumo. Tutto ciò può essere letto come un primo indicatore di crisi che porterà i consumatori a ritornare nuovamente nei luoghi tradizionali del consumo 120 soprattutto laddove i centri città si impegnino a creare e a promuovere il concetto di Centro Commerciale Naturale attraverso una maggiore propaganda ed informazione sui cittadini, ancora oggi mal informati, mettendo in atto il fatto di concepire il centro urbano come un “unicum” che miri alla conseguente riscoperta del piacere e della comodità di poter far acquisti in città. 121 BIBLIOGRAFIA A.A, (2004), “Soluzioni desolanti per i centri storici”, Mark up, n.6, pp 25-­‐34. A.A, (2005), Appunti di politica territoriale,Celid, Milano. A.A, (2008),”I luna park delle firme”, Altroconsumo, Giugno, pp 12-­‐16. 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