la politiche fiscali in un`unione monetaria

LA POLITICHE FISCALI IN UN’UNIONE
MONETARIA
In un’unione monetaria la politica fiscale è il principale
strumento a disposizione per affrontare shock asimmetrici
con bilancio pubblico centralizzato: stabilizzatori automatici
(trasferimenti tra paesi)
con bilanci pubblici nazionali (decentralizzati): deficit contro le
recessioni e imposte future (trasferimenti tra generazioni dello stesso paese)
Quindi, la teoria raccomanda:
a. Centralizzazione dei bilanci, oppure
b. politiche fiscali nazionali con ricorso al deficit di bilancio in caso di
recessione
tuttavia questa opzione è praticabile solo se il debito pubblico è
sostenibile!
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Il problema della sostenibilità del debito pubblico /1
Il ricorso al deficit (nel caso di bilanci decentralizzati) può causare
l’insostenibilità del debito pubblico: in realtà la politica fiscale è soggetta a
limiti stringenti.
Vincolo di bilancio del governo:
G −T + rB = ∆B / ∆t + ∆M / ∆t
G
T
r
B
M
spesa pubblica primaria
entrate fiscali
tasso di interesse nominale
debito pubblico
∆B/∆t variazione di B nel tempo
base monetaria
∆M/∆t variazione di M nel tempo
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Il problema della sostenibilità del debito pubblico /2
Il debito pubblico diviene insostenibile quando l’andamento previsto delle
variabili in gioco lascia temere che il paese non sarà in grado di rimborsare
il debito.
Questa valutazione non si basa sul valore assoluto del debito (B) ma sul
suo valore relativo in rapporto al Pil dell’economia (b=B/Y).
Dal vincolo di bilancio (assumendo ∆M/ ∆ t=0) si ricava l’equazione
dinamica del debito
b& = (g − t ) + (r − x)b
g
t
x
spesa pubblica primaria in rapporto al Pil
entrate fiscali in rapporto al Pil
tasso di crescita nominale del Pil =
tasso di crescita reale del PIL + tasso di inflazione
Il rapporto debito/Pil è aumentato dal deficit primario (g-t) e dalla
spesa per interessi (rb) mentre è diminuito dalla crescita del Pil
moltiplicata per il rapporto stesso (xb)
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Un approfondimento. Ricaviamo l’equazione che descrive la
dinamica del rapporto debito pubblico / PIL
Rapporto debito/PIL : b = B / Y → B = bY
faccio la derivata rispetto al tempo t
B& = b&Y + b Y&
dove B& = ∆ B / ∆ t , b& = ∆ b / ∆ t , Y& = ∆ Y / ∆ t
sostituisc o a B& il vincolo del bilancio pubblico (con ∆ M / ∆ t = 0 )
B& = ∆ B / ∆ t = G − T + rB
e ottengo
G − T + rB = b&Y + b Y&
divido per Y e ho l' equazione della dinamica del rapporto debito/PIL
b& = (g − t ) + (r − x )b
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Il problema della sostenibilità del debito pubblico /3
Per stabilizzare il rapporto debito/Pil (cioè per mantenerlo costante nel tempo) è
necessario che l’avanzo primario (t-g) sia esattamente sufficiente a pagare gli
interessi sul debito al netto della crescita del Pil (r-x)b
t-g = (r − x)b ⇒
b& = 0
Se invece l’avanzo primario è insufficiente a pagare gli interessi sul debito al
netto della crescita, il rapporto debito/PIL aumenta
t − g < (r − x)b ⇒ b& > 0
Se il rapporto b continua a crescere per più periodi il debito può diventare
insostenibile
NOTA: l’avanzo primario t-g corrisponde a -(g-t)
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Il problema della sostenibilità del debito pubblico /4
Dati i valori dell’avanzo primario (t-g) e della differenza tra tasso di interesse e
tasso di crescita dell’economia (r-x), in base alla condizione
t-g = (r − x)b ⇒
b& = 0
possiamo ricavare il valore del rapporto b di lungo periodo nel modo seguente:
t-g
b=
r−x
se si raggiunge questo valore, il rapporto debito/Pil smette di crescere e rimane
costante nel tempo.
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Esempio 1
Domanda.
All’inizio dell’anno si ha b=120%, r=5%, x=2,5%.
a) Se si verifica un disavanzo primario del 4%, quale sarà il valore di b a fine anno?
b) Se invece il governo vuole ridurre il valore di b a 110% entro l’anno, quale dovrà
essere il valore del saldo primario (in rapporto al Pil)?
Soluzione.
a) Utilizzando l’equazione della dinamica del debito
b& = 4% + (5% − 2,5% )1,20 = 4% + 3% = 7%
Il rapporto debito/Pil aumenta del 7% e arriva a 127%.
b) L’obiettivo del governo implica una riduzione di b pari a -10%, quindi
-10=(g-t)+(5-2,5)x1,20 (g-t)=-10-2,5x1,20=-13
Il governo dovrà realizzare un avanzo primario pari al 13% del Pil.
NB: (g-t) misura il disavanzo, quindi se ha valore negativo indica un avanzo di bilancio.
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Esempio 2
Domanda
In un paese si realizzano i seguenti valori g-t=2%, r=3,5%, x=6%.
Dati questi valori (e assumendo che rimangano costanti nel tempo), quale sarà il valore di lungo
periodo di b?
Soluzione
b=
t−g
−2%
=
= 0,80
r − x (3,5% − 6% )
Il rapporto debito/Pil compatibile con un disavanzo primario del 2%, dati gli altri valori, è pari all’80%.
Esempio 3
Domanda
In un paese si realizzano i seguenti valori r=5,8%, x=2,4%, b=120%.
Se il governo si prefigge di mantenere stabile nel tempo il rapporto debito/Pil al valore corrente, quale
saldo primario dovrà realizzare?
Soluzione
b=
t−g
= 1,20 → t − g = (5,8% − 2,4% )× 1,20 = 4,08%
(5,8% − 2,4% )
Per mantenere stabile il rapporto debito/Pil è necessario un avanzo primario del 4,08%, che serve a
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pagare la spesa per interessi sul debito.
Esempio 4. I parametri del Trattato di Maastricht
Il Trattato di Maastricht stabilisce che il disavanzo non possa superare il 3% e il
debito non possa superare il 60% del Pil.
Se un paese volesse mantenersi stabilmente esattamente a questi valori, quale
tasso di crescita dell’economia dovrebbe realizzare?
Il valore del 3% si riferisce al disavanzo complessivo, comprensivo della spesa
per interessi, pertanto in condizioni di stabilità di b vale
(g − t ) + rb = xb
dove il termine a sinistra rappresenta il disavanzo complessivo. Sostituendo si
ottiene
3% = x × 0,60
da cui risulta che il tasso di crescita deve rimanere costantemente al 5%.
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Esempio 5. Italia, Germania e Finlandia
Consideriamo i valori di disavanzo, debito e crescita del 2010, i tassi di interesse sui
titoli del debito pubblico di luglio 2011 (e un tasso di inflazione pari al 2% per
ricavare la crescita nominale del Pil): come variano i rapporti debito/Pil in questi tre
paesi?
g-t
r
x
b
Variazione
di b
Italia
4,5
5,5
3=1+2
1,20
7,5
Germania
3,5
2,75
5,5=3,5+2
0,85
1,16
Finlandia
2,5
3,20
5,5=3,5+2
0,50
1,35
b& = 4 , 5 + ( 5 , 5 − 3 )1 , 20 = 7 , 5
Germania
b& = 3 , 5 + ( 2 , 75 − 5 , 5 ) 0 , 85 = 1 ,16
Finlandia
b& = 2 , 5 + ( 3 , 2 − 5 , 5 ) 0 , 50 = 1 , 35
Italia
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Deficit o surplus pubblico (% del Pil)
Fonte:
http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/statistics/themes
ITALIA, GERMANIA, FINLANDIA
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Tassi di interesse a lungo termine sui titoli pubblici
Fonte:
http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/statistics/themes
ITALIA, GERMANIA, FINLANDIA
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Tasso di crescita (reale) del Pil
ITALIA, GERMANIA, FINLANDIA
Fonte:
http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/statistics/themes
(dati 2011 e 2012 sono previsioni)
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Debito pubblico
Fonte:
http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/statistics/themes
ITALIA, GERMANIA, FINLANDIA
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La disciplina di bilancio
Nell’unione monetaria europea i bilanci pubblici sono rimasti
decentralizzati, ma per evitare i problemi di sostenibilità del debito sono
state poste delle regole attraverso il Trattato di Maastricht e il Patto di
stabilità e crescita
Patto di stabilità e crescita:
-Il bilancio pubblico deve essere in pareggio nel medio periodo (nell’arco di
un intero ciclo economico)
-Se si verifica un deficit >3% del Pil il paese va incontro a sanzioni (multe)
-Deficit superiori al limite sono ammessi in circostanze eccezionali (eventi
imprevedibili, fasi economiche avverse)
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Spillovers negativi delle politiche fiscali nazionali
Se le politiche fiscali di un paese avessero effetti solo sul paese stesso non
vi sarebbe motivo di regole fiscali a livello di unione.
Tuttavia, il deficit di un paese può causare spillovers (effetti negativi) sugli
altri paesi dell’unione.
In particolare, un aumento persistente del rapporto debito/pil (b) in un paese
può causare:
• un aumento del tasso di interesse a livello di unione, e di conseguenza:
• pressioni sulla banca centrale per adottare politiche monetarie espansive
• un possibile apprezzamento della valuta comune, con conseguenze
negative per le esportazioni di tutti i paesi dell’unione
Se poi il paese con alto b presentasse un elevato rischio di insolvenza si
potrebbe avere una fuga di capitali dal paese con un forte deprezzamento
del cambio della valuta comune
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Imperfetto funzionamento dei mercati finanziari
Se i mercati finanziari funzionassero in modo efficiente non vi sarebbe bisogno di
regole fiscali a livello di unione poiché i tassi di interesse sui debiti di ciascun
governo sarebbero proporzionali al rispettivo rischio di insolvenza: i paesi con più
alto rapporto debito/pil (b) dovrebbero pagare interessi più alti.
Tuttavia, non sempre i mercati finanziari valutano correttamente il rischio: prima
del 2010 per molti anni i tassi di interesse dei paesi dell’area euro con alto e
basso debito sono rimasti molto vicini!
Inoltre, in realtà il rischio di insolvenza di un paese non rimane isolato ma si
riflette sugli altri paesi:
- l’insolvenza del governo di un paese può compromettere la stabilità del sistema
finanziario degli altri paesi (contagio) (ad es. tramite banche)
- il timore del contagio spinge gli altri paesi a intervenire a sostenere il debito
pubblico del paese a rischio di insolvenza: così i costi e i rischi del debito di un
paese si trasmettono agli altri e i tassi di interesse non incorporano i rischi in
misura adeguata
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- La presunzione di interventi di salvataggio (garanzia implicita) a favore del
paese insolvente crea un problema di azzardo morale. Per evitare ciò gli accordi a
livello di unione possono formalmente vietare tali interventi (clausola di nonsalvataggio). Tuttavia, questo divieto potrebbe non essere del tutto credibile: in
caso di crisi grave i paesi possono avere un interesse molto forte a evitare la
bancarotta di un paese
Problemi di applicazione delle regole fiscali
L’esistenza di spillovers negativi e il rischio di contagio giustificano l’imposizione di
regole fiscali a livello di unione (Patto di stabilità e crescita).
Alcuni paesi hanno in proposito di inserire un vincolo di pareggio del bilancio
pubblico nella loro Costituzione.
L’esperienza (Stati Uniti, Unione monetaria europea) però mostra che queste
regole sono difficili da applicare, vengono spesso aggirate e non risultano molto
efficaci nel controllo dei disavanzi.
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La partecipazione a un’unione monetaria diminuisce o aumenta la
disciplina fiscale ?
Indipendentemente dalle regole fiscali, entrando in un’unione monetaria un paese
tende ad avere deficit di bilancio più larghi o più contenuti?
La risposta non è univoca a priori poiché esistono argomenti a sostegno di
entrambe le possibilità.
a. Diminuisce la disciplina
il singolo paese membro dell’unione non può svalutare quindi il tasso di
interesse sul suo debito pubblico incorpora il rischio-insolvenza ma non più il
rischio-svalutazione: quindi il tasso è inferiore a quello che pagherebbe al di
fuori dell’unione e questo può allentare la disciplina fiscale
b. Aumenta la disciplina
se l’unione pone un divieto assoluto di finanziamento monetario del deficit, il
singolo paese è indotto a maggiore disciplina fiscale
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La crisi del debito pubblico nei paesi europei.
Come ne usciremo?
Come noto, nel 2010-11 in alcuni paesi dell’unione monetaria, si è manifestata una
crisi di sostenibilità del debito pubblico causata dal forte aumento dei deficit
pubblici a seguito della crisi finanziaria del 2008-09:
nel 2007 il deficit pubblico nell’area dell’euro nel suo insieme era dell’1% del Pil,
mentre nel 2010 è diventato del 6% (in Irlanda del 32% e in Grecia del 15% già nel
2009).
Ora, le possibili soluzioni sono riconducibili a quattro ipotesi (o a una loro
combinazione):
a. Si creano strumenti (es. fondi salva-Stati, eurobond) con cui tutti i paesi dell’area
euro aiutano i paesi in difficoltà: significa creare un embrione di bilancio
pubblico europeo, per realizzare quell’assicurazione pubblica che finora non
esisteva.
Ma questa ‘unione fiscale’ implica il trasferimento di una parte dei poteri di
politica fiscale dagli stati nazionali ad un’autorità europea: poteri di controllo per
evitare l’azzardo morale, che tanto preoccupa la Germania, ma eventualmente
anche di indirizzo, di prelievo, di spesa, di emissione del debito. E, di
conseguenza, impone anche una maggiore unione politica. Questo significa
sottomettere questa autorità al controllo democratico da parte dei cittadini
europei, mediante elezioni.
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b. Si allargano i compiti della BCE consentendole di agire come prestatore di
ultima istanza anche nei confronti degli stati per frenare un eventuale rialzo
eccessivo dei tassi di interesse sul loro debito nei mercati finanziari ed evitare il
loro fallimento.
Anche in questo caso di pone il problema di prevenire l’azzardo morale, e
quello di mantenere l’indipendenza della BCE. A questo scopo dovrebbe
affiancarsi un’autorità europea con poteri di controllo sulle politiche fiscali. E
questo, di nuovo, richiede una maggiore unione politica
c. Si coordinano le varie politiche dell’area dell’euro: i paesi in crisi devono
risanare i loro bilanci pubblici combinando politiche fiscali restrittive e politiche
per il rilancio della competitività (bassa crescita salariale e dei prezzi e/o
aumento della produttività) cioè deprezzamento del cambio reale.
Ma allo stesso tempo, il riequilibrio deve essere realizzato anche dai paesi,
come le Germania, con un eccesso di competitività, che dovrebbero far
crescere i loro salari e ridurre il loro surplus di partite correnti, anche adottando
politiche fiscali più espansive.
La BCE dovrebbe facilitare questo riaggiustamento con politiche meno
restrittive.
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d. Se non si accetta nessuna delle ipotesi sopra, il paese in crisi dovrà fare
affidamento soltanto su politiche nazionali: riduzione di spesa pubblica,
aumento delle imposte, politiche per favorire la crescita. Ovviamente queste
politiche sono necessarie anche sub a. e b., ma in questo caso non vi
sarebbero né aiuti né il coordinamento delle politiche europee. (Rimane
possibile l’aiuto del Fondo monetario internazione (FMI).
Drastiche politiche di rigore fiscale, però, possono avere effetti recessivi e
aggravare la crisi del debito. Tanto più se sono adottate contemporaneamente
da più, o al limite da tutti i paesi.
Scegliere questa ipotesi significa ammettere la possibilità di un fallimento di
uno stato aderente all’unione monetaria e, soprattutto, la sua temporanea o
definitiva fuoriuscita dall’euro
Non si può escludere che questo comporti la rottura della stessa unione
monetaria e la fine dell’esperienza dell’euro così come finora l’abbiamo
conosciuta.
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