teorie Intercultura e Formazione Interculturale nelle aziende italiane di Frédérique Sylvestre e Lucia Fanelli L’uomo completo è solo quello che ha viaggiato molto e che ha cambiato venti volte la forma del suo pensiero e della sua vita. Alphonse de Lamartine Mettendo a fattor comune esperienze e percezioni maturate lavorando sul tema dell'Intercultura si persegue duplice obiettivo: condividere una riflessione sul trend della Formazione Interculturale in Italia negli ultimi quindici anni, e quindi proporre una riflessione su ruolo e responsabilità delle Risorse Umane e della Consulenza in ambito interculturale; descrivere i possibili approcci che possono essere seguiti dalle organizzazioni per formare le proprie persone sui temi dell’Intercultura. A questo fine si propone una precisa definizione di Intercultura e di Formazione Interculturale. Come è noto infatti esistono molteplici accezioni di questi termini: è utile innanzitutto condividerne il significato per creare un linguaggio comune. Intercultura e Formazione Interculturale Frédérique Sylvestre, francese, è laureata in Psicologia Clinica e specializzata in Psicosociologia delle organizzazioni alla Sorbonne di Parigi. Da 26 anni, opera nel settore dello sviluppo delle persone e delle organizzazioni. È oggi partner di Before. Lucia, Fanelli è laureata in Economia alla Bocconi e ha lunga esperienza in Italia e all’estero presso primarie società di consulenza internazionali. Oggi è Senior Manager in Accenture. 46 Il concetto di Intercultura si diffonde in Italia negli anni Sessanta nell’ambito della riflessione pedagogica sviluppatasi per affrontare temi e problemi emersi dall’eterogeneità linguistica e culturale che si affermava nelle scuole. Il concetto si è poi esteso ad altri ambiti, quale quello delle organizzazioni, che è oggetto di questo articolo. L’Intercultura si riferisce alla relazione tra persone e gruppi aventi culture diverse. Si tratta di un concetto dinamico, che presuppone uno scambio e un’interazione, a differenza della Multicultura che, riferendosi semplicemente alla vicinanza/compresenza di persone/gruppi aventi culture diverse nello stesso spazio/tempo, non comporta alcuna interazione o relazione interpersonale ed è un termine di tipo descrittivo che rappresenta un fenomeno statico. L’Intercultura, nel mondo organizzativo, si riferisce per esempio alle dinamiche tra persone di paesi diversi che devono lavorare in team integrati con obiettivi condivisi, a manager che devono gestire collaboratori che, oltre a parlare una lingua diversa, hanno una cultura diversa, a persone che devono relazionarsi con clienti, fornitori o partner stranieri. Si riferisce anche a persone con ruoli di back office che, pur non viaggiando all’estero né lavorando in team con colleghi stranieri, devono comunque rispettare le deadline col supporto e il contributo dei colleghi delle realtà estere. Se queste persone non sono opportunamente preparate ad affrontare e gestire le dinamiche interculturali, spesso (se non sempre) si generano, nelle interazioni personali e professionali, incomprensioni, ansie, dubbi e disorientamento. Questo particolare stato di smarrimento emotivo e cognitivo che si ha nell’incontro tra culture diverse, (il cosiddetto shock culturale), è dovuto al fatto che comportamenti per noi nuovi, strani, PERSONE&CONOSCENZE N.65 mai sperimentati, mettono in discussione la nostra comprensione delle situazioni a causa della mancanza di riferimenti interpretativi della realtà relazionale. Lo shock culturale conduce a un atteggiamento di protezione e a un possibile rinforzo dell’etnocentrismo: credere che il proprio paese, cultura, lingua e modo di comportarsi siano superiori a quelli degli altri è una risposta al nostro bisogno di protezione. Questo, impatta, oltre che sul clima aziendale, sulle performance proprie, del gruppo di lavoro e dell’organizzazione. Creare relazioni di fiducia tra le persone Eppure, questi fenomeni non sono sempre visibili ed espliciti: non come i ritorni anticipati per mancanza di adattamento degli espatriati, i ritardi -qualche volta massicci- nel trasferimento di know how alle risorse locali, il fallimento nelle fusioni internazionali, le difficoltà nella realizzazione di strategie del tipo ‘think globally, act locally’ o nel costruire un sistema di valori aziendali transnazionali. Nel quotidiano dei micro comportamenti individuali, le dinamiche interculturali si traducono con l’instaurarsi di un status quo che porta ad un appiattimento delle soluzioni e dei risultati. In questo contesto, l’obiettivo della Formazione Interculturale è sviluppare una comprensione reciproca tra due o più persone/gruppi di culture differenti e in relazione tra loro, come premessa a una relazione efficace e a risultati professionali soddisfacenti. Si tratta di riconoscere, accettare e valorizzare l’altro nelle sue differenze e di essere riconosciuti, accettati e valorizzati dall’altro nelle nostre differenze: questo implica che la Formazione Interculturale è tesa a facilitare la creazione di relazioni di fiducia tra le persone. Come è noto, la fiducia che consente uno scambio produttivo ed efficace, non si sviluppa in modo naturale: si stabilisce attraverso un sentimento di sicurezza e di prevedibilità, proprio quei sentimenti che, nell’incontro interculturale, -quando l’altro si comporta con modalità sconosciute, ‘strane’, per noi incomprensibili- vengono rimessi in discussione. Per creare fiducia si devono innanzitutto conoscere e riconoscere i propri codici culturali, ossia i riferimenti impliciti che guidano i nostri comportamenti, per poter prima comprendere noi e poi comprendere l’altro. Si costruisce, insieme all’altro, un codice/linguaggio interculturale che permetta l’instaurarsi di una relazione di qualità e di un sentimento di sicurezza. Questo avviene attraverso un processo continuo di confronto tra la propria cultura e quella dell’altro: in sintesi, lo shock culturale si supera accedendo al proprio codice e a quello dell’altro, cioè ad un modello interpretativo nuovo. L’attualità della Formazione Interculturale Perciò i professionisti che operano nella Formazione Interculturale -come l’uomo di Lamartine- non possono che essere essi stessi interculturali. Debbono aver vissuto esperienze professionali in diversi Paesi, oltre che in Italia. Solo così, attraverso la diretta esperienza, possono maturare la conoscenza dei meccanismi di difesa e protezione che caratterizzano i primi incontri con una cultura diversa dalla propria, sviluppando nel tempo la consapevolezza della diversità come opportunità e ricchezza. Solo se si è veramente vissuto lo scambio, la contaminazione, l’arricchimento che provengono dall’incontro con le altre culture se ne può dare testimonianza presso le aziende. Vedremo, parlando più avanti degli approcci alla Formazione Interculturale, che solo alcuni di questi prevedono la lettura e comprensione dei codici di comportamento propri ed altrui: tali approcci sono i più efficaci perché diretti a sviluppare un sentimento di fiducia nei confronti dell’altro e, dunque, a generare comportamenti positivi prima sulla relazione interpersonale, poi sulle prestazioni e infine sui risultati professionali. Da quanto riportato sopra, si evince non solo che la Formazione Interculturale rappresenta un tema all’ordine del giorno (basti pensare ai forti processi di internazionalizzazione e globalizzazione delle aziende e ai continui flussi migratori che interessano regioni sempre più ampie), ma anche che lavora su competenze che vanno ben oltre la semplice conoscenza di un’altra lingua, la partecipazione a incontri internazionali o la convinzione che la cultura dell’altro é positiva, ricca o interessante. Formazione Interculturale in Italia, ruolo delle Risorse Umane e della Consulenza Se si confronta la domanda di Formazione Interculturale delle aziende italiane rispetto a quelle europee e americane, si osserva che essa è decisamente meno PERSONE&CONOSCENZE N.65 47 importante e sviluppata. Nelle nostra esperienza alcune affermazioni sono ricorrenti: “Ce la caveremo comunque…”, “Le differenze con la Cina, si ma in Europa…”, “Ci si intende tra stesse professionalità…”, “Abbiamo gli stessi obiettivi…”, “Siamo della stessa azienda…”. In alcuni casi, possiamo affermare che le aziende si comportano come se le difficoltà incontrate dalle persone nella relazione interculturale non fossero riconosciute. Tuttavia, cogliamo spesso nelle discussioni con i partecipanti a aule di formazione non interculturale la fatica e le difficoltà che la relazione con colleghi stranieri comporta. Il disagio di fronte a comportamenti indecifrabili, le frustrazioni nei confronti dell’atteggiamento di potere dei colleghi di casa madre, le insoddisfazioni per mancanza di autonomia, delega e crescita del personale locale, le irritazioni per i ritardi e il lavoro fatto senza rispettare le modalità previste dall’azienda… Si tratta di malumori spesso non colti, che emergono di frequente in modo casuale e colloquiale (le Risorse Umane li vivono raramente in prima persona) e che tuttavia possono essere indicatori significativi all’origine di cali di produttività. Si tratta anche di relazioni difficoltose che si muovono sullo sfondo di pregiudizi ‘casa madre-realtà locali’, dove il modello implicito è quello dell’etnocentrismo, fondato sulla sfiducia e sul controllo, anziché sulla fiducia e sulla delega. In queste situazioni, si conferisce alle persone il carico della gestione delle relazioni interculturali. Ancora oggi in alcuni casi, le grandi aziende multinazionali creano team di lavoro multiculturali ma poi non li supportano con una formazione adeguata che li aiuti a lavorare insieme in modo efficace valorizzandone le diversità. Il rischio è, come si è detto, che si creino all’interno di questi gruppi, dinamiche che conducono al disorientamento, alla demotivazione e all’improduttività. Le novità che si stanno affermando A fianco di quanto descritto, si osservano, in relazione alla Formazione Interculturale in Italia, alcuni fenomeni che riteniamo debbano essere citati come esempi di novità rispetto al passato e che abbiamo riscontrato in modo sempre più frequente presso le nostre aziende clienti, con i nostri referenti/partner delle Risorse Umane. Si può affermare che siamo passati da una generica domanda di sensibilizzazione ai temi dell’Intercultura (basic skills) a una domanda più articolata e diversificata, molto specifica a seconda delle organizzazioni di appartenenza: negoziazione internazionale, le- 48 PERSONE&CONOSCENZE N.65 adership interculturale, team building interculturale... Sono inoltre aumentate le richieste di realizzare interventi formativi in lingua inglese, che attesta un cambiamento e un’evoluzione nella definizione specifica degli obiettivi da raggiungere e dei destinatari. La popolazione target in questi casi, è costituita dai componenti di team interculturali e la formazione ha un più ampio obiettivo di sviluppo organizzativo e agisce come facilitazione nel ‘qui ed ora’ dei processi in gioco. Sta infine emergendo un bisogno decisamente interessante: erogare in lingua locale contenuti e tematiche formative ‘tradizionali’ con una chiave di lettura interculturale per poterne gestire l’impatto rispetto alla cultura locale. In questo caso, l’intercultura è sviluppata non in quanto argomento e contenuto ma in quanto competenza dei formatori per garantire l’apprendimento dei partecipanti. Assistiamo quindi a due fenomeni contrastanti. Da una parte, una reale evoluzione della domanda di Formazione Interculturale, più sofisticata, articolata e precisa nella formulazione dei suoi obiettivi e dall’altra una sottovalutazione di tale domanda generata dalla convinzione che la cultura organizzativa sia di per sé sufficiente a gestire i malumori emergenti dall’incontro interculturale. Ruolo di Consulenza e Risorse Umane In questo scenario riteniamo che Consulenza e Risorse Umane abbiano ruoli e responsabilità complementari. La Consulenza dovrebbe aiutare le Risorse Umane a meglio definire i bisogni dell’azienda, a strutturare moduli e percorsi formativi che effettivamente soddisfino le esigenze delle persone coinvolte (più o meno direttamente) in progetti/attività/gruppi di lavoro interculturali. Nello specifico dell’Intercultura, crediamo che la Consulenza dovrebbe diffondere cultura, know-how e esperienza: la Formazione Interculturale e gli studi sull’Intercultura infatti sono relativamente recenti (se comparati per esempio alle ricerche sulla leadership o sulla comunicazione) e non ci sono modelli e presidi consolidati per la loro gestione. Inoltre, è importante che Consulenza e Risorse Umane collaborino alla progettazione di una Formazione Interculturale sganciata dalla logica ‘a catalogo’, profondamente contestualizzata non solo al business e al settore di attività dei partecipanti, ma anche alle loro specifiche culture e nazionalità. Allo stesso tempo le Risorse Umane dovrebbero farsi promotrici di comportamenti organizzativi e comunicazione interna più coerenti tra loro: non è proficuo per esempio organizzare team di lavoro interculturali e poi inviare messaggi di controllo ed etnocentrismo nei confronti dei colleghi di sedi estere. L’esperienza maturata dalla Consulenza su più aziende multinazionali può essere d’aiuto prima nell’identificare tali fenomeni, poi per affrontarli e gestirli nelle modalità più opportune, sviluppando modelli diversi dall’etnocentrismo e basati su fiducia, crescita e delega al personale locale. Infine Risorse Umane e Consulenza dovrebbero lavorare contestualmente su due fronti: da un lato affrontare lo sviluppo della competenza interculturale con iniziative integrate di Formazione e Consulenza, che possono incidere sulle dinamiche organizzative, dall’altro inserire la Formazione Interculturale in una visione più ampia di Sviluppo Organizzativo. L’evoluzione delle iniziative di Formazione Interculturale è da ricercare infatti in una forte integrazione con i modelli di cultura organizzativa. Le direttrici dell’evoluzione in atto In altre parole, ascoltare e recepire la cultura, gli stimoli, le situazioni dell’azienda e agire in un’ottica di inserimento e integrazione con la realtà aziendale in cui si opera, rappresenta un passo importante per coniugare, in una visione di più lungo termine, intercultura e cultura aziendale. Per il futuro pensiamo ci si possa aspettare un’evoluzione positiva sui seguenti macro-assi: • aumenteranno sia il numero di aziende interessate a interventi sull’Intercultura, sia il tipo di popolazioni coinvolte nella Formazione (non solo le persone direttamente coinvolte in attività con stranieri/in paesi stranieri). D’altro canto il trend positivo si è già avviato in questi anni con un altro tipo di diversità (leadership al femminile, formazione rosa,..): come la diversità di genere, anche la diversità di cultura avrà uno spazio sempre più ampio e importante nei progetti formativi, dato il crescente numero di progetti internazionali, mobilità, trasferte, etc…; • aumenteranno gli interventi di formazione su temi classici (come la gestione delle persone o il time management) adattati con sensibilità verso l’intercultura. Inizieranno a essere richiesti interventi di Sviluppo Organizzativo. Aumenteranno anche metodologie blended di Formazione grazie alla disponibilità dei continui progressi nelle performance e nei prodotti di tecnologia e comunicazioni; • si accrescerà ulteriormente il know-how delle Risorse Umane che sempre più cercheranno sul mercato gli esperti di Intercultura con cui avviare vere e proprie partnership e collaborazioni di lungo termine (importanti per la necessaria contestualizzazione al business richiesta da una efficace Formazione Interculturale). Approcci alla Formazione Interculturale Abbiamo classificato gli approcci alla Formazione Interculturale che abbiamo sviluppato e adottato negli ultimi tredici anni in una matrice disegnata su due variabili: focus su Cultura Specifica Paese Vs Cultura Aspecifica; Orientamento Oggettivo Vs Orientamento Soggettivo. Ecco qualche breve nota esplicativa sui quattro approcci alla Formazione Interculturale. 1. Conoscenza Base: Orientamento Oggettivo - Cultura Specifica. La formazione si concentra sulla specifica cultura di un Paese, con un orientamento oggettivo: trasmissione di dati, informazioni, notizie, etc legate alla Cultura del Paese 2. Conoscenza Comparata: Orientamento Oggettivo Cultura Aspecifica. La formazione trasmette dati, informazioni, notizie, etc utili a evidenziare le differenze/comparare due o più culture o Paesi diversi. 3. Auto-Consapevolezza dei Propri Filtri vs una Cultura Specifica: Orientamento Soggettivo - Cultura Specifica. La formazione lavora sulla comprensione da parte dei partecipanti dei propri filtri soggettivi che influenzano le modalità di relazionarsi ad una specifica cultura. 4. Consapevolezza dei Propri Orientamenti Culturali: Orientamento Soggettivo - Cultura Aspecifica. La Formazione lavora sullo sviluppo da parte dei partecipanti della consapevolezza dei propri orientamenti culturali. Come si è anticipato sopra, solo gli approcci con Orientamento Soggettivo prevedono la lettura e comprensione dei codici di comportamento propri ed altrui per la costruzione di nuovi modelli interpretativi della realtà relazionale. PERSONE&CONOSCENZE N.65 49 te a quelle delle persone coinvolte, è un fattore importante di sostegno all’apprendimento. A distanza di tempo tuttavia, abbiamo constatato che spesso gli interventi realizzati sono stati un’integrazione successiva dei vari approcci: questo ha consentito una maggiore efficacia complessiva, come testimoniato dai partecipanti e dalle Aziende. Il circolo virtuoso che abbiamo potuto sperimentare è partito da un aumento della fiducia delle persone coinvolte che ne ha migliorato le relazioni e le prestazioni che a loro volta hanno impattato positivamente sulle performance complessive dell’organizzazione. La flessibilità del nostro approccio a contesti, target ed esigenze aziendali, la propensione all’innovazione e alla ricerca di nuove soluzioni rappresentano gli elementi caratterizzanti del nostro team. Conclusioni Attraverso questi si accede alle rappresentazioni soggettive della cultura altrui, si comprendono le proprie risorse/vincoli per accedere alla nuova cultura, si analizzano i propri comportamenti in situazioni di shock culturale, si analizzano le reazioni di fronte a valori e credenze che non ci sono propri che ogni cultura trasmette inconsapevolmente e che sono alla base delle decisioni, ci si appropria delle norme culturali che regolano le reazioni e i comportamenti altrui, etc. Al termine si elaborano veri e propri piani di azione con la descrizione dei comportamento più efficaci per gestire al meglio (per se stessi e per l’azienda) l’incontro interculturale. In generale, il tipo di approccio alla Formazione Interculturale è selezionato in base alle esigenze dell’azienda e quindi agli obiettivi da raggiungere. Nello specifico, però, è essenziale tenere in considerazione l’esperienza internazionale della popolazione coinvolta, le eventuali differenze di provenienza culturale dei partecipanti e soprattutto il rapporto di maggioranza/minoranza, le culture in relazione, i processi organizzativi in corso (fusioni, acquisizioni, partnership,..) etc… La scelta della provenienza culturale dei formatori, relativamen- 50 PERSONE&CONOSCENZE N.65 La Formazione Interculturale, sviluppando consapevolezza e fiducia tra persone di culture diverse che devono collaborare in ambito organizzativo, è un primo passo verso la reale integrazione culturale, obiettivo più ambizioso e complesso, che non può essere realizzato con la sola Formazione. Tuttavia si tratta del primo passo da compiere. Come abbiamo scritto precedentemente, ci sono segnali di un interesse in crescita verso il tema dell’Intercultura nelle organizzazioni: il ruolo e la consapevolezza delle Risorse Umane in quest’ambito è in continua evoluzione, la domanda diventa più articolata e complessa, si lavora sui temi della managerialità classica in chiave interculturale. Senza tralasciare il continuo processo di internazionalizzazione e globalizzazione delle aziende e i fenomeni socio-culturali che aumentano in modo esponenziale le possibilità di contatto interculturale (Internet, viaggi low-cost, immigrazione,..). Solo lavorando sulla capacità di superare pregiudizi, stereotipi e punti di vista etnocentrici e sommari, acquisendo nuovi codici/linguaggi interpretativi, riconoscendo la relatività della propria cultura e la positività della differenza e acquisendo atteggiamenti di apertura nei confronti di persone di altre culture, si ottiene e si sviluppa una relazione di fiducia con l’altro e si crea quel valore aggiunto tanto auspicato. Questo è quanto la Formazione Interculturale ha il dovere di realizzare, perché grazie a una relazione efficace tra persone che lavorano allo stesso progetto si generano prestazioni di successo e risultati soddisfacenti per le persone e per l’organizzazione.