C - DALLO STATO ASSOLUTO ALLO STATO PARLAMENTARE 0 – I processi salienti 1 - L’affermazione dello stato assoluto 2 - La formazione dello stato parlamentare 3 - I rapporti internazionali nel XVI e XVIII secolo 4 - L’Olanda e l’inizio del controllo europeo sulle risorse del mondo 5 – Le origini del sottosviluppo in Asia 0 – I PROCESSI SALIENTI 0.1 Stato assoluto e stato parlamentare tra XVI e XVIII secolo Nel periodo che va dalla fine del XVI secolo alla fine del XVIII, dal punto di vista dell’evoluzione politica, i due processi più significativi sono rappresentati dall’affermazione dello stato assoluto e dalla formazione dello stato parlamentare. Lo stato assoluto rappresenta la forma tipica che lo stato ha assunto in Europa tra il Seicento e il Settecento, proseguendo, anche se non lo porterà a compimento, il processo di concentrazione dei poteri pubblici, già iniziato nell’ultimo Medio Evo con la formazione degli stati nazionali (Francia, Inghilterra e Spagna) e regionali (Germania, Italia), sottraendo i poteri pubblici alle autorità locali: la nobiltà feudale civile ed ecclesiastica, i comuni, gli stati regionali. In questo modo lo stato andava assumendo i poteri e le funzioni pubbliche essenziali, ovvero il potere legislativo, giudiziario, fiscale per acquisire le risorse necessarie, il monopolio della violenza, con il controllo dell’esercito, la costituzione di un apparato centrale burocratico-amministrativo, attraverso cui esercitate il potere e svolgere le sue funzioni. Il secondo processo è costituito, invece, dalla formazione dello stato parlamentare che ha avvio con le due rivoluzioni inglesi del Seicento, proseguendo nel Settecento con le rivoluzioni americana e francese. Lo stato parlamentare si distingue dallo stato assoluto perché ammette il principio della rappresentatività e della divisione dei poteri. Lo stato parlamentare è rappresentativo, in quanto riconosce la necessità che almeno una parte dei cittadini sia rappresentata nelle istituzioni statali, avendo quindi la possibilità di intervenire, attraverso i propri rappresentanti al parlamento, nella gestione dei problemi politici. Inoltre, in uno stato parlamentare nella misura in cui il parlamento acquisisce la funzione di fare le leggi, sottraendola al re, a chi governa e all’apparato burocratico, afferma il principio per cui i diversi poteri, legislativo, di governo e giudiziario, devono essere affidati a soggetti diversi. L’evoluzione politica dell’Ottocento e del Novecento andrà nella direzione di allargare la rappresentatività dello stato includendovi dapprima i possidenti (stato liberale) e, in seguito, un sempre maggior numero di gruppi sociali fino al riconoscimento del suffragio elettorale universale (per gli uomini all’inizio del Novecento e per le donne dopo la seconda guerra mondiale) realizzando, in questo modo, lo stato democratico fondato su un modello di democrazia indiretta, in cui i cittadini eleggono i loro rappresentanti, ma non interferiscono con il loro mandato. Lo stato assoluto fu sicuramente l’espressione del processo, già avviato dalle monarchie medioevali e dagli stati regionali fin dal XIII-XIV secolo, di concentrazione del potere che in epoca feudale si era disperso nelle mani dei nuclei armati, sorti attorno all’aristocrazia romana e barbarica, che imposero il loro controllo sul territorio (feudi) finendo per esercitare le funzioni pubbliche I PROCESSI SALIENTI da fine sec _______ a fine sec _________ 1 - ________________________________ _________________________________ Poteri / Funzioni pubbliche: ___________________________________ ___________________________________ ___________________________________ ___________________________________ ___________________________________ 2 - ________________________________ Gli _______________________________ A _______________________________ B ________________________________ ‘800-‘900: __________________________ ___________________________________ Lo stato assoluto ________________________________ / _________________________del potere ______________ e ___________________ tendenze ____________________ tendenze ___________________ 18 tipiche delle strutture statali (amministrare la giustizia, riscuotere tasse e dazi, ecc..). Se il modello teorico di stato assoluto prevedeva un allargamento delle sfere di competenza dello Stato e la concentrazione di tutto il potere in un unico soggetto, il re o forse meglio ancora nell’apparato burocratico-amministrativo di cui il re era a capo, gli stati reali che vollero ispirarsi a tale modello dovettero innanzitutto controllare le tendenze disgregatrici, con la conseguente dispersione del potere. Tendenze che erano dovute alla presenza di una forte nobiltà civile ed ecclesiastica di origine medioevale restia a cedere i poteri pubblici che la società medievale gli aveva riconosciuto; nobiltà che, per altro, costituiva anche l’unica base sociale dello stato che quindi non poteva disconoscergli più di tanto quei privilegi su cui la nobiltà stessa fondava il suo dominio sciale. La costruzione dello stato assoluto, che ha avuto nello stato francese il caso più emblematico, si è accompagnata a un’opera di teorizzazione che ha avuto nel filosofo inglese T. Hobbes (1588-1679) uno dei principali protagonisti. 1 - L’AFFERMAZIONE DELLO STATO ASSOLUTO 1.1IL CASO FRANCESE 1.1.1 La Francia della seconda metà del Cinquecento 1.1.2 Il rafforzamento del potere centrale e la limitazione del potere della nobiltà 1.1.3 La politica religiosa e culturale 1.1.4 La politica amministrativa, fiscale e giudiziaria 1.1.5 La politica economica 1.2 L’Italia e il Ducato di Savoia Lo stato francese è considerato il modello di stato assoluto dell’epoca moderna, esso si venne costituendosi soprattutto per opera di Enrico IV, che governò tra la fine del Cinquecento e i primi anni del Seicento, dei cardinali Richelieu e Mazarino, che in qualità di primi ministri governarono nei decenni centrali del Seicento e di Luigi XIV (il re Sole) che regnò tra la fine del secolo l’inizio del Settecento. Il processo di formazione dello stato francese aveva preso avvio già nel XIII secolo quando l’autorità del re si era espansa dalla Francia centrale verso ovest, sottraendo parte del territorio controllato dal re inglese, teoricamente vassallo, per questi suoi possedimenti, del re francese, e verso sud acquisendo il controllo dei territori sottratti al conte di Tolosa, in seguito alla partecipazione alla crociata contro gli albigesi, forse la maggiore delle correnti eretiche del medioevo. Nei due secoli successivi l’espansione del controllo della monarchia era proseguito attraverso la guerra dei Cento anni (1337-1453), che aveva permesso la definitiva cacciata dei re inglesi, e la sconfitta del duca di Borgogna che, approfittando della debolezza della monarchia francese durante la guerra dei Cento anni, aveva avviato la costruzione di un’entità statale concorrente. Nella prima metà del Cinquecento lo stato francese era stato il principale oppositore dell’ultimo tentativo di dar vita a una struttura politica sovranazionale, l’impero, portato avanti da Carlo V. la nobiltà come _____________________ ___________________________________ _________________: il teorico dello ______ _________________________________ L’AFFERMAZIONE DELLO STATO ASSOLUTO IL CASO FRANCESE Il ________________________ francese e i suoi protagonisti: ____________________ ___________________________________ La _____________________________ dello ____ __________________________ ___________ sec.: l’espansione ________________________ ___________ sec.: la guerra ___________________________ e la sconfitta della ____________________ prima metà _____________ sec.: l’opposizione a __________________ LA FRANCIA DELLA SECONDA METÀ DEL CINQUECENTO La seconda metà del Cinquecento costituì per la Francia un periodo di profonda crisi della monarchia a causa delle difficoltà economiche, dovute alle ingenti I motivi della crisi : 1,2,3 risorse investite nelle guerre contro Carlo V, nonché della diffusione del calvinismo che aveva spezzato l’unità religiosa, politica e culturale dello stato e, infine, alle crisi dinastiche legate al susseguirsi di diversi periodi di reggenza a 19 causa della giovane età dei re. L’indebolimento del potere del re favorì il sorgere di profondi contrasti tra le famiglie feudali, dovuti al loro tentativo di controllare il potere vacante e quindi indebolito. I contrasti finirono per assumere la forma dello scontro tra religioni, in quanto si polarizzò intorno a gruppo di famiglie nobili cattoliche, capeggiate dai Guisa, particolarmente potenti sia per la loro influenza a corte, sia per l’appoggio da parte delle gerarchie ecclesiastiche, e un gruppo di famiglie della nobiltà, guidate dai Borboni, che avevano accettato la Riforma nella versione calvinista, gli Ugonotti. La politica dei reggenti era volta ad indebolire quella delle due parti che, di volta in volta, si faceva più minacciosa verso la monarchia, favorendo l’altra parte. Lo scontro prese spesso la forma tipica dei massacri, (uno dei più cruenti fu quello della notte di San Bartolomeo, nel luglio del 1572, quando i cattolici massacrarono i protestanti convenuti a Parigi per festeggiare il matrimonio di uno dei membri della nobiltà ugonotta), degli incendi, degli intrighi e delle congiure di corte che portavano a disposizioni meno favorevoli, di volta in volta, nei confronti degli uni o degli altri. In questa situazione i protestanti, la fazione minoritaria, erano riusciti ad ottenere l’autonomia politica, ratificata col riconoscimento del loro controllo su alcune città francesi che vennero denominate “place de sécurité” e in cui non solo era riconosciuto il culto protestante, ma essi potevano anche amministrare e difendere la città costruendo mura e armando i cittadini. Queste città erano quindi città-stato all’interno dello stato francese, cosa che finiva per indebolire l’idea stessa di uno stato nazionale. Negli anni settanta e ottanta del XVI secolo il contrasto fra cattolici e protestanti si trasformò in guerra civile. Vennero a formarsi due fazioni l’Unione protestante e la Lega cattolica, ciascuna delle quali aveva, oltre che un esercito proprio, un appoggio internazionale, rappresentato dall’Inghilterra per quanto riguarda i primi, dalla Spagna per i secondi. Il conflitto ebbe termine negli anni novanta, quando Enrico di Borbone, dopo l’assassinio del re Enrico III (1574-89), che a sua volta aveva fatto assassinare il capo dei cattolici per liberarsi dal controllo della Spagna loro alleata, divenne il pretendente ufficiale al trono, essendo stato designato da Enrico III a condizione che si fosse convertito al cattolicesimo. L’invasione da parte dell’esercito della Spagna, preoccupata per l’ascesa al trono di un protestante, ebbe l’effetto di incrinare la compattezza dello schieramento cattolico riavvicinando le due fazioni rivali, le quali raggiunsero un accordo quando Enrico di Borbone, diventato re con il nome di Enrico IV (1589-1610), abiurò il calvinismo e si proclamò cattolico. Nel 1598, dopo la firma della pace con la Spagna, fu finalmente raggiunta anche la pacificazione interna ratificata dall’Editto di Nantes: gli ugonotti si videro riconosciuti gli stessi diritti politici dei cattolici e piena libertà di praticare il loro culto dove era stato praticato fino a quel momento; essi ottennero anche l'accesso alle cariche pubbliche e la partecipazione agli organi preposti all'applicazione dell'editto e, come ulteriore garanzia, la concessione di 100 piazzeforti nel paese. Il culto protestante fu invece vietato a Parigi e nel territorio circostante. Era una soluzione di compromesso, che accontentava moderatamente le due fazioni e consentiva di superare la drammatica fase delle guerre di religione. La monarchia, che aveva attraversato uno dei periodi più bui della sua storia, uscì rafforzata, trovando un rinnovato consenso. La vita politica francese, ma come d’altra parte di tutta l’Europa del periodo, era caratterizzata, dunque, dall’essere ristretta alla sola corte e a poche grandi famiglie nobiliari. In queste condizioni di assoluta omogeneità sociale, essa tendeva ad assumere la modalità dello scontro tra fazioni rivali con l’obiettivo di imporre il proprio controllo sull’autorità regia per rivalersi contro la fazione opposta. Tale scontro finiva spesso per assumere la forma della congiura, del complotto o comunque dello scontro fisico, sia per la scarsità delle possibili Lo scontro _____________________ come scontro tra __________________________ I ________________ e i _______________ La politica dei _______________________ Le _____________________ dello scontro: ___________________________________ ___________________________________ L’autonomia degli ____________________ Il conflitto degli anni ________________ La salita al potere di __________________ e la _______________________________ La pacificazione e ____________________ ________________________ 1 2 3 Il rafforzamento _____________________ LE _______________________ DELLA VITA ______________ NELL’ANCIEN RÉGIME 20 forme istituzionali della lotta politica, sia perché, non essendoci diversi gruppi sociali portatori di progetti di società diversi, lo scontro politico era sostanzialmente una lotta per sottrarre o mantenere l’influenza sull’autorità regia. Solo quando la borghesia industriale dell’Ottocento si porrà l’obiettivo di costruire una società diversa, secondo il proprio modello economico e sociale, la lotta politica perderà le caratteristiche della congiura, poiché i gruppi sociali diversi si faranno portatori di modelli di società diverse. Nel Cinquecento e nel Seicento lo scontro politico interno, come anche gli stessi Scontro _______________ e scontro rapporti internazionali, si intrecciarono con gli scontri religiosi che per questo finirono per assumere sempre un connotato anche politico, fungendo da sfondo ________________ alle rivalità nobiliari e a volte, ma molto più raramente, anche sociale, coinvolgendo le masse popolari come nel caso della guerra dei contadini seguita alla rivolta di Lutero. LE CARATTERISTICHE DELLA VITA POLITICA NELL’ANCIEN RÉGIME _________________________: corte + _______________________________ = ______________________________________ _________________________: ____________________________________________ Modello di società: __________________________________________________________________________ _________________________: scontro _________________________________ + _________________________: ________________________________________ _________________________: ____________________________ (congiura, __________________________) Esamineremo le modalità d’azione dello stato assoluto in Francia seguendo LE MODALITÀ D’AZIONE DELLO STATO quattro linee direttive, vale a dire: lo scontro con la nobiltà che, come abbiamo ASSOLUTO FRANCESE visto, costituiva l’oggetto della vita politica e dal quale dipendeva il rafforzamento delle strutture statali; la politica religiosa e culturale volta ad imporre l’uniformità alla nazione, che porterà all’eliminazione dei privilegi concessi ai protestanti; la politica amministrativa fiscale e giudiziaria volta ad imporre la presenza dello stato nazionale sull’intero territorio; e, infine, la politica economica. Le ___________________________________dello stato assoluto francese: 1- ________________________________________________ _____________________________________________________ 2 - ________________________________________________ _____________________________________________________ 3- ________________________________________________ _____________________________________________________ 4 _________________________________________________ ______________________________________________________ IL RAFFORZAMENTO DEL POTERE CENTRALE E LA LIMITAZIONE DEL POTERE DELLA NOBILTÀ L'ascesa dello Stato all'interno della vita sociale dei secoli XV e XVI aveva già completamente distrutto le pretese della grande nobiltà di mantenere funzioni rafforzamento ___________________ politiche all'interno delle proprie signorie: monetazione, legislazione, diritto penale e civile, imposizione fiscale erano tutti, da tempo, affari di Stato, e sotto e scontro _______________________ questo aspetto il feudalesimo non esisteva più in Francia. E tuttavia la monarchia francese non aveva potuto abolire di colpo i numerosi corpi sociali e centri di i _____________________della nobiltà potere che derivavano dalla tradizione medievale: i nobili continuavano a 21 esercitare la “giustizia signorile”, riscuotendo multe e comminando pene; i parlamenti, egemonizzati dalla nobiltà, pretendevano di controllare la legalità degli atti sovrani e gli stati generali 1 erano ancora l'organo supremo del regno con cui il re doveva patteggiare le proprie scelte politiche. Durante le guerre di religione, poi, le reti clientelari intorno ai grandi nobili si erano rinsaldate e allargate. La politica di riaffermazione del potere centrale, contro le tendenze della nobiltà a mantenere la propria autonomia nel gestire le funzioni pubbliche, fu avviata, dopo la pacificazione interna, da Enrico IV, il quale poté contare, oltre che sull’appoggio della parte più preparata dei funzionari dell’apparato statale e degli intellettuali che credevano nella tolleranza o comunque vedevano in lui colui che aveva saputo imporre l’autorità dello stato, soprattutto sull’appoggio della borghesia mercantile che trovava modo attraverso l’acquisto degli uffici pubblici di consacrare la propria ascesa sociale. Arricchitasi nel Cinquecento con gli affari, la borghesia mercantile si era volta in maniera massiccia all'acquisto delle cariche pubbliche che comportavano ai livelli più alti un titolo di nobiltà di toga. La più ambita era quella di membro del parlamento di Parigi, il più alto tribunale d'appello del sistema giudiziario francese, oltre che garante della legittimità degli atti legislativi e amministrativi del governo. Un titolo analogo vigeva nei parlamenti provinciali e nella serie discendente delle minori funzioni giudiziarie e amministrative. Infine seguivano le numerose cariche di esattori e amministratori delle imposte (la taglia, la gabella del sale, i dazi doganali). Il processo sociale che consentiva alla borghesia mercantile di acquisire la stessa dignità sociale e politica della nobiltà venne, sotto il regno di Enrico IV, perfezionato con l’introduzione di un’imposta che dava diritto all’ereditarietà della carica. Pagando tale imposta il funzionario acquisiva, oltre agli emolumenti che gli competevano, anche la possibilità di trasmetterla agli eredi. Si venne così formando una nuova nobiltà ereditaria, detta di toga per distinguerla da quella feudale detta, invece, di spada. La pratica della vendita degli uffici pubblici consentiva allo stato francese sia di reperire risorse finanziarie, sia di creare un nuovo ceto di privilegiati che allargava la base sociale dello stato e poteva essere utilizzato in chiave antinobiliare. L’acquisto di una carica, di un ruolo pubblico, consentiva alla borghesia mercantile di investire i propri capitali in un’attività economica, poiché essi erano redditizi (così, ad esempio, chi acquistava un ufficio giudiziario richiedeva, a coloro che si rivolgevano a lui per svolgere le sue funzioni di giudice, il pagamento delle sue prestazioni) e, inoltre, come abbiamo già detto, le conferiva un prestigio sociale del tutto simile a quello della nobiltà feudale, a cui aveva sottratto le funzioni. All'inizio del XVII secolo il parlamento di Parigi e gli altri sette parlamenti provinciali contavano un migliaio di alti funzionari; tutto l'insieme dei funzionari di giustizia assommava ad almeno 7.000 persone; contando i titolari degli uffici di qualsiasi genere si raggiungevano le 50.000 persone (escludendo i puri e semplici impiegati), cifra significativa se paragonata ai probabili 5.000 funzionari di cento anni prima. Nel 1665 il numero totale crescerà ancora fino a un Enrico IV e il rafforzamento del ______ ____________________ _________________________________ Borghesia _________________________ acquisto __________________________ nobiltà ____________________________ L’ereditarietà ________________________ Vendita _____________________________ Vantaggi per ___________________: 1 - _________________________________ ___________________________________ 2 -________________________________ Vantaggi per _____________________: 1- _________________________________ 2 - _________________________________ 1 Gli stati generali erano le più importanti assemblee rappresentative, si svolgevano sia a livello locale che nazionale, vi erano rappresentati i gruppi sociali presenti nell’ancien régime: nobiltà, clero, terzo stato, ovvero tutto il resto della popolazione rappresentata in prevalenza dall’alta borghesia. Mentre i parlamenti avevano una prevalente funzione giudiziaria, gli stati generali, in quanto rappresentativi, possono essere paragonati agli attuali parlamenti, tenendo presente almeno le seguenti differenze: gli stati generali non rappresentavano un istituzione autonoma e stabile come i moderni parlamenti, in quanto venivano convocati per volontà del re in modo del tutto saltuario. Inoltre, non esercitavano il potere legislativo: potevano solamente esprimere un loro parere che non vincolava il re o l’apparato burocratico statale. Come vedremo tra breve, la convocazione degli stati generali del 1614 fu l’ultima prima di quella che diede inizio alla Rivoluzione francese, nel 1789. 22 totale di 80.000. Nel corso del Cinquecento il prezzo di questi uffici era salito continuamente, con un ritmo ben superiore a quello dell'inflazione, toccando un livello massimo intorno al 1640; nel solo periodo 1590-1640 era cresciuto di 1012 volte. La nobiltà tradizionale non riusciva ad accettare l'idea che le cariche statali fossero continuamente moltiplicate per finire poi in mano alla borghesia benestante, ma meno ancora poteva accettare che la titolarità degli uffici maggiori desse diritto a fregiarsi di un titolo nobiliare; puntigliosamente essa si sforzava di dimostrare che la nobiltà di toga (noblesse de robe) non era una vera nobiltà, a paragone delle grandi dinastie dell'antica nobiltà di spada. Alla crescita della nobiltà di toga si opponeva anche la parte più cosciente della burocrazia statale, per la quale la vendita degli uffici pubblici non garantiva l’efficienza dell’apparato burocratico, in quanto ad acquistare gli uffici non erano i più capaci, ma i più facoltosi. Lo scontro tra le due nobiltà si accentuò dopo la morte di Enrico IV (ucciso da un cattolico fanatico), quando le istituzioni politiche ebbero un nuovo periodo di forte crisi, legato alla giovane età (nove anni) dell’erede al trono. Era per la nobiltà l'occasione buona di riaffermare il proprio potere contro lo Stato assolutista che non aveva esitato ad aprire la porta a volgari mercanti per imporre la propria tirannide. Seguirono quattro anni di gravi tensioni: la grande nobiltà aveva dato fondo ai propri mezzi economici e alle proprie clientele feudali per radunare eserciti privati ed era pronta a scatenare la guerra civile se non fosse stata esaudita la sua richiesta di convocare gli stati generali, la grande assemblea rappresentativa dei tre ordini sociali, il clero, la nobiltà stessa e il terzo stato. Il 27 ottobre 1614 si riunirono gli stati generali costituiti da 464 delegati; la maggior parte dei borghesi ascesi alla nobiltà di toga furono costretti a sedere nel terzo stato. La nobiltà chiese subito l'abolizione della venalità degli uffici e della loro ereditarietà; il terzo stato accettò, chiedendo però una riduzione delle imposte e l'abolizione delle pensioni create dallo Stato a favore di molti nobili. Lo scontro tra questi gruppi sociali fu molto aspro e sfiorò lo scontro armato. In queste condizioni non si riuscì ad arrivare ad un accordo e gli stati generali vennero sciolti. Il fallimento del confronto politico fra le due nobiltà portò nuovamente al prevalere, nella vita politica, delle forme tipiche dei regimi oligarchici (congiure e complotti). Fu in questa situazione che alla metà degli anni venti emerse la figura del cardinale Richelieu (1624-42) che in qualità di primo ministro del re detenne effettivamente il potere fino agli inizi degli anni quaranta. Il cardinale Richelieu può, per molti versi, essere considerato il vero ideatore dello stato assoluto francese, in quanto la sua concretizzazione avvenne tra gli anni trenta e gli anni quaranta quando il cardinale riuscì a sconfiggere l’opposizione delle due nobiltà. La nobiltà di toga infatti, creata dallo stato per allargare la base sociale della monarchia e rafforzarla nel suo scontro con la nobiltà di spada, nel corso degli anni aveva finito, con l’acquisto e l’ereditarietà degli uffici pubblici, per sottrarre allo stato stesso parte delle sue funzioni. Lo scontro con la nobiltà assunse toni aspri soprattutto durante gli anni ’30, quando lo stato, impegnato nella Guerra dei Trent’anni (scontro armato svoltosi in Germania e in Italia che coinvolse Francia, Inghilterra e Spagna), fu costretto a gravare con pesanti tasse sui cittadini per procurarsi le risorse necessarie. Benché il sistema feudale dell’epoca escludesse i nobili dalla tassazione, essi vennero coinvolti nel momento in cui la pressione fiscale fu così pesante da incidere sulla rendita delle loro proprietà terriere. La nobiltà finì quindi per vedere la pressione fiscale come un attacco alle sue risorse. Mentre i funzionari degli uffici pubblici venduti e i parlamenti si rifiutavano di far rispettare le richieste dello stato, scoppiarono numerose rivolte contadine spesso sobillate dalla nobiltà stessa. L’opposizione alla nobiltà di ___________ a - ________________________________ b - _________________________________ La morte di Enrico IV Lo scontro __________________________ Gli _______________________________ del ______________________ L’ascesa al potere di __________________ Nobiltà di toga e ______________________ ___________________________________ Gli scontri degli anni _______________ 23 È in questo clima che Richelieu attuò i suoi progetti di assolutismo aprendo una nuova fase del rafforzamento dello stato. Egli agì, oltre che sul piano repressivo con l’impiego dell’esercito contro i rivoltosi, anche su quello istituzionale. Richelieu impedì, aggirandole, il funzionamento delle istituzioni rappresentative tradizionali tra cui vi erano, oltre agli stati generali che non verranno più convocati, i parlamenti locali, i quali non potevano respingere i provvedimenti dello stato, ma approvandoli li rendevano più autorevoli e si impegnavano al loro rispetto. L’atteggiamento autoritario si estese anche agli oppositori che venivano accusati, incarcerati, condannati senza ricorrere ad alcun tribunale (la stessa madre del re venne esiliata). In questo modo l’autorità dello stato veniva imposta ai cittadini senza dover scendere ai patti con nessuna delle parti della società. Richelieu, oltre a questo modo di governare autoritario, cercò di porre rimedio alla debolezza della burocrazia creando una struttura burocratica parallela a quella degli uffici della nobiltà di toga. Essa era incentrata sulla figura degli intendenti, nominati direttamente dallo stato e mandati nelle varie province a svolgere le funzioni di impedire l’alleggerimento delle imposte voluto dalla nobiltà e dai parlamenti e di controllare le attività burocratico-amministrative delle province. Gli intendenti rappresentavano, dunque, lo strumento attraverso cui lo stato intendeva riprendere il controllo dell’apparato burocraticoamministrativo che gli era stato sottratto dalla nobiltà di toga con l’ereditarietà degli uffici. L’opposizione delle due nobiltà alla creazione di questo stato centrale ed autoritario si manifestò solo sporadicamente, risultando significativa solo al termine degli anni quaranta sotto il governo del cardinale Mazarino (1642-1661), succeduto al cardinale Richelieu e anche lui destinato a governare la Francia per un lungo periodo, fino all’inizio degli anni sessanta. Due furono le fasi della rivolta iniziata alla fine degli anni quaranta: la rivolta parlamentare (1648-49), animata dalla borghesia e dalla nobiltà di toga, che mirava alla costituzione di una monarchia limitata e controllata, fallita davanti alla paura del caos sociale suscitate da nuove rivolte contadine provocate dal prolungarsi della carestia; la fronda nobiliare (1650-53), animata dalla grande ___________________________________ ___________________________________ 1 - _______________________________ a - ______________________________ b - ________________________________ 2 - ________________________________ Gli _______________________________ Mazarino e __________________________ ______________________________ La rivolta __________________________ RAFFORZAMENTO POTERE CENTRALE E LIMITAZIONE POTERE NOBILTÀ A - __________________________________________________________________________________________________________ modalità: _____________________________________________________________________________________________ limite: ________________________________________________________________________________________________ B – creazione di uno stato: ______________________________________________ 1 - __________________________________ ______________________________________________ 2 - __________________________________ _____________________________________________ C - __________________________________________________________ nobiltà e fallita per l’impossibilità di far convivere gli interessi di nobiltà di spada, borghesia nobilitata degli uffici e i contadini ancora una volta in rivolta La rivolta __________________________ per fame. Soprattutto a partire dalla seconda metà del Seicento lo stato, sotto il regno di 24 Luigi XIV (1661-1715), per contrastare la nobiltà si servì di una terza modalità costituita dalla vita di corte . Il processo di rafforzare dello stato aveva fatto perdere alla nobiltà il suo ruolo politico, la sua influenza sui meccanismi decisionali dal momento che le decisione erano sempre più prese dall’apparato burocratico statale e dal re. Nonostante la perdita del ruolo politico, la nobiltà conservava un ruolo sociale di grande prestigio che la differenziava dal resto del popolo e che le era garantito dalla ricchezza derivate dal possesso delle terre e dalle pensioni statali e, per le famiglie più potenti, dalla vita di corte. La vita di corte, se da un lato era fonte di grande prestigio sociale per la nobiltà, dall’altro consentiva alla monarchia di controllarla, poiché risiedendo a corte le grandi famiglie nobiliari non potevano più esercitare il controllo diretto sui loro fondi, né far funzionare i parlamenti locali. La reggia di Versailles fu l’emblema della vita di corte, venne costruita con un enorme dispendio di risorse, proprio allo scopo di accentuare la distinzione sociale tra la nobiltà e le altre classi. Per motivi politici fu eretta fuori Parigi in modo da consentire a re e cortigiani di sottrarsi alle lotte popolari che erano periodiche a Parigi. La vita di corte finì per modificare profondamente la vita politica dell’ancien régime. Precedentemente la vita politica era caratterizzata da complotti e conflitti accompagnati spesso da violenza fisica; con la vita di corte si imposero nuovi modelli, quali quelli tipici imposti dalla stretta convivenza a corte. N. Elias, un sociologo tedesco, così descrive la vita di corte “All’ora che egli stesso aveva stabilito, di solito verso le 8 del mattino, il re viene svegliato dal primo cameriere particolare (il «valet de chambre»), che dorme ai piedi del letto regale. Le porte vengono spalancate dai paggi. Uno di essi… si pone sulla porta e lascia entrare soltanto i signori che hanno diritto d'ingresso. Tale diritto era regolato con molto rigore: esistevano sei diversi gruppi di persone che potevano entrare successivamente. Si parlava dunque di varie «entrées»; per prima vi era 1'«entrée familière», cui prendevano parte soprattutto i figli legittimi e i nipoti del sovrano… Vi era poi la seconda entrata riservata ai «grands officiers de la chambre et de la garderobe» ed ai signori della nobiltà ai quali il sovrano aveva concesso tale onore…Ogni atto era rigorosamente regolato. I primi due gruppi potevano accedere quando il re era ancora a letto. Il re recava in capo una piccola parrucca senza la quale non si mostrava mai, neppure quando era a letto. Quando poi si era alzato e il gran ciambellano insieme con il primo cameriere gli aveva porto il vestiario, veniva annunziato il gruppo successivo (Tutti questi incarichi di corte erano venali e inoltre all'epoca di Luigi XIV erano riservati esclusivamente alla nobiltà). ... Il re utilizzava i suoi momenti più privati per stabilire differenze di rango ed elargire distinzioni e manifestazioni di favore o di sfavore… Era senza dubbio necessario che il re si sfilasse la camicia da notte e indossasse quella da giorno; ma, come si è visto, nel contesto sociale questo gesto assumeva subito un diverso significato. Il re, infatti, lo trasformava per i nobili che vi prendevano parte in privilegio che li distingueva dagli altri”. L’etichetta, che regolava con rigide prescrizioni i complessi cerimoniali della vita a corte, fondati su una minuta scala di precedenze, non era peraltro che uno degli effetti del più generale processo di disciplinamento sociale promosso dall’assolutismo, era precisamente quella parte dell’opera di disciplinamento rivolta all’alta nobiltà. In questo modo, infatti, a corte i complotti, le congiure, le spesso sanguinose lotte interne alla nobiltà, che avevano caratterizzato la vita politica precedentemente, vennero sostituiti dai tentativi di acquistare la benevolenza degli altri per essere protetti ed essere segnalati al re, dai pettegolezzi per mettere in cattiva luce gli altri, dall’attenta osservazione del loro comportamento per capirne i reali moventi, dalla dissimulazione dei propri intenti e sentimenti. Al modello di scontro violento si sostituiva così quello dello scontro psicologico. __________________________________ Nobiltà : ruolo politico ________________________ ruolo _______________________________ vita di corte e _______________________ la reggia di __________________________ vita di corte e ______________________ La cerimonia del ____________________ 25 Nell’ambito cortigiano, proprio per l’imporsi di questo tipo di rapporto, si affermò anche un nuovo modo di osservare i comportamenti propri e quelli degli altri, modalità che per alcuni aspetti è all’origine sia della sensibilità contemporanea che della psicologia moderna. Scrive ancora Elias: “Quest'arte cortigiana di osservare i propri simili non ha mai di mira l'osservazione dei singoli individui per sé, come un essere che accoglie in primo luogo dal suo intimo le leggi e le norme essenziali. All'interno del mondo di corte, l'individuo viene osservato sempre nell'intreccio dei suoi rapporti sociali, come un uomo in rapporto con altri uomini. Ma quest'arte dell'osservazione non è applicata soltanto agli altri, bensì si estende all'osservatore stesso. Si sviluppa, insomma, una forma specifica di osservazione di sé. [...] All'osservazione di sé fa dunque riscontro l'osservazione degli altri, l'una sarebbe inutile senza l'altra. Non si tratta, come avviene nell'introspezione di tipo religioso, di un'osservazione del proprio «io interiore», che si compie calandosi nel proprio io per esaminare e disciplinare i propri impulsi più segreti per amore di Dio: quest'altro tipo di osservazione mira all'autodisciplina nel rapporto sociale e mondano: «Chi conosce la corte è padrone dei propri gesti, dei propri occhi e del proprio viso; è profondo e impenetrabile; dissimula i cattivi servigi, sorride ai suoi nemici, reprime i propri timori, cela le passioni, smentisce il proprio cuore, parla e agisce contro i suoi stessi sentimenti». Ma non è affatto necessario ingannarsi sui propri 1 ___________________________________ MODIFICHE INDOTTE DALLA VITA DI CORTE da scontro ______________________ a scontro _______________________________________ da _________________________________________ a _________________________________________ disciplinamento della ________________________ 2 ___________________________________ da cui _________________________________ _________________________________ non ___________________________ del singolo per sé in relazione a un ________________________ ad es. ______________________________________: esame di se stessi _________________________________________ ma ___________________________ del singolo __________________________________________________ competizione necessità di: ________________________________________ conoscere i veri obiettivi degli altri impulsi, come l'uomo potrebbe tentare di fare: al contrario, proprio perché è costretto a cercare dietro il comportamento altrui, mascherato e controllato, i veri motivi ed impulsi, proprio perché è perduto se non riesce a scoprire sempre dietro l'atteggiamento impassibile dei suoi rivali gli impulsi e gli interessi che li muovono, l'uomo di corte deve conoscere molto bene le proprie passioni per poterle dissimulare. L'opinione che l'egoismo sia la molla dell'agire umano non è nata nella società capitalistico-borghese, basata sulla competizione, ma in quella di corte, basata anch'essa sulla competizione; e da questa società son nate le prime inesorabili descrizioni moderne degli affetti umani.” disinganno circa i moventi dell’agire umano accettazione ___________ LA POLITICA RELIGIOSA ___________________________________ La rilevanza della politica religiosa durante il Cinquecento e il Seicento è legata al fatto che i conflitti politici, sia interni (legati al conflitto tra nobiltà e re) che a - ________________________________ internazionali, tendevano ad assumere la forma di scontro religioso. Inoltre, oltre a questa valenza politica degli scontri religiosi, lo stato moderno tendeva ad ___________________________________ 26 utilizzare la religione e le strutture ecclesiastiche per imporre l’omogeneità culturale sia alle classi colte sia ai ceti inferiore, sradicando, attraverso un processo di disciplinamento della società, la cultura popolare e i comportamenti (ad esempio la mendicità), ritenuti antisociali, non morali. Rimandando alla lettura di alcuni testi storiografici l’esame dei processi di acculturazione e disciplinamento fermeremo la nostra attenzione sugli aspetti più politici-istituzionali. La valenza politica della questione religiosa è sottolineata anche dal fatto che la prima occasione perché si manifestasse il programma assolutistico di Richelieu fu offerta dalle controversie religiose. Nel 1626 si sollevarono alcune province ugonotte e perciò Richelieu si pose l'immediato obiettivo di abolire i privilegi della minoranza religiosa, a cominciare dalle loro fortezze tutelate dall'editto di Nantes che erano diventate elementi di una vera e propria organizzazione politico-militare; l’autonomia delle città protestanti limitava il potere dello stato ed era quindi un ostacolo al processo di affermazione del potere dello stato sull’intero territorio nazionale. Nell'autunno del 1627 iniziò il lungo assedio di La Rochelle, importante porto atlantico e principale città ugonotta: dopo un anno di resistenza La Rochelle cadde nel 1629; Richelieu fece distruggere tutte le fortificazioni ugonotte, mentre la loro organizzazione politica e militare veniva sciolta. Allo stesso tempo veniva però riconfermato l'editto di Nantes per la parte che riguardava la libertà di culto. La politica religiosa fu sicuramente uno di campi in cui la politica assolutista di Luigi XIV ottenne risultati più vistosi, ma spesso con implicazioni assai negative. Dei grandi conflitti sollevati dalla politica religiosa di Luigi XIV il più tragico è certamente quello aperto contro gli ugonotti. Verso il 1660 il calvinismo francese costituiva ancora una minoranza molto consistente, con un milione di fedeli; Luigi XIV aveva inizialmente riconfermato l'editto di Nantes del 1598, ma presto aveva cominciato a consentire piccole e grandi vessazioni contro la libertà di culto degli ugonotti, il cui scopo era quello di ottenere il loro ritorno al cattolicesimo. Più tardi, dal 1675, iniziarono delle vere e proprie persecuzioni, con l'esclusione dei riformati dagli uffici pubblici, con gli alloggiamenti forzati di soldati nelle loro case, con la chiusura dei loro centri culturali. Il calvinismo francese era certamente in declino da quando la nobiltà aveva ripreso a tornare al cattolicesimo; i suoi aderenti si reclutavano per lo più tra i ceti medi e popolari urbani, in tal modo il calvinismo aveva perso il carattere aristocratico di cento anni prima. Le persecuzioni ottennero in parte l'effetto voluto di spingere al ritorno alla confessione cattolica e nel 1685 Luigi XIV poté revocare l'editto di Nantes, sostenendo che in Francia non c'erano più calvinisti. Affermazione ancora molto lontana dal vero: 200.000 ugonotti emigrarono in Svizzera, in Olanda, in Inghilterra e in Germania portandosi dietro le loro competenze di artigiani tessili e dando un duro colpo all'economia francese. L’origine del secondo conflitto religioso risale al 1640, l'anno di pubblicazione del grosso volume del teologo olandese Cornelius Giansenio intitolato Augustinus. Giansenio era già morto nel 1638 e nel 1643 il suo libro fu condannato dalla Chiesa cattolica per alcune tesi di intonazione calvinista. Nei due decenni seguenti la spiritualità giansenista ebbe una grande diffusione fra gli uomini di cultura francesi, allargandosi poi anche al di fuori di questa élite intellettuale, facendo proseliti soprattutto fra la nobiltà di toga. I giansenisti, in verità, affermavano di non volere affatto uscire dalla Chiesa cattolica e che le pretese tesi eretiche non si trovavano affatto nel libro di Giansenio; il loro cristianesimo, sofferto e drammatico, voleva ridare un ruolo centrale alla fede e all'interiorità e si opponeva soprattutto ai gesuiti, sicuramente l’ordine cattolico più potente, ai quali si rimproverava di aver ridotto la vita religiosa a pratiche meccaniche e a rituali vuoti. Si opponeva, inoltre, allo stretto legame tra potere religioso e potere politico tendente a fare della religione uno strumento di controllo della b - ________________________________ ___________________________________ Richelieu e _________________________ ___________________________________ degli ugonotti La politica religiosa di Luigi XIV _______________________________ I cambiamenti del calvinismo XVI sec. ___________________________ XVII sec. ___________________________ La revoca dell’_______________________ L’emigrazione e _____________________ ___________________________________ ___________________________________ diffusione tra: _______________________ ___________________________________ Le idee dei __________________________ 1 -_________________________________ 2 - ________________________________ 3 - ________________________________ 4 - ________________________________ 27 società. Nella polemica contro i gesuiti si distinse lo scienziato e filosofo Blaise Pascal (16261662), membro della più importante comunità di giansenisti, quella che si riuniva intorno ai due monasteri di Port-Royal. Divenuto un attivissimo centro culturale e di opposizione politica, Port-Royal fu soppresso nel 1709, anche in seguito alle pressioni dei gesuiti particolarmente forti a corte. Perfino più zelante della stessa chiesa Luigi XIV perseguitò per tutta la durata del suo regno i giansenisti, senza riuscire mai completamente a eliminare la loro influenza. Questo non vuol dire però che il re di Francia intendesse mettersi al servizio di ciò che era chiamato "ultramontanismo", la tesi cioè che vedeva la Chiesa francese subordinata in tutto alle direttive romane. E proprio contro il papa che Luigi XIV combatté, a partire dal 1682, la sua terza battaglia religiosa, appoggiando le tendenze autonomiste (chiesa gallicana) della Chiesa francese. Luigi XIV non intendeva diventare un Enrico VIII di Francia e alla fine riuscì a trova un compromesso con il papa, ma la battaglia per le libertà gallicane gli fece trovare un appoggio quasi totale da parte del clero francese: le dichiarazioni di principio più radicali furono ritirate, ma in pratica il re mantenne il diritto di designazione dei vescovi e la Chiesa nazionale continuò a sostenere che gli editti del papa non avevano automatica applicazione nel paese. B. Pascal La soppressione _____________________ ___________________________________ ___________________________________ L’appoggio ________________________ Il ruolo del re _______________________ LE DIRETTIVE DELLA POLITICA RELIGIOSA DI LUIGI XIV Oltre alla politica religiosa, Luigi XIV utilizzò la politica culturale come strumento per imporre una maggiore uniformità all’élite intellettuale del paese, mettendo a tacere le possibili fonti di critica nei confronti dello stato. All’interno di quest’ottica il ruolo dell’intellettuale doveva essere quello di glorificare le istituzioni statali e il re. La forma che prese questa politica culturale fu, da un lato, quella classica del mecenatismo, dall’altro, quello della repressione. In questa prospettiva va inserito il patrocinio delle arti e delle scienze promosso dal re. Scrittori, letterati e uomini di teatro (come Molière e Racine) furono protetti e stipendiati. Il re e i suoi ministri favorirono la formazione di una cultura ufficiale, fortemente celebrativa che, in quanto tale, non poteva tollerare voci dissenzienti: così venne esercitata attentamente la censura, furono perseguitati gli autori di opposizione e distrutti i loro scritti. Tra quest’ultimi, espressione delle tendenze nuove che si diffondevano in alcuni settori della società sul piano del costume, vi furono i libertini. Il libertinismo fu un movimento culturale che si diffuse soprattutto in Francia e al quale appartenevano esponenti di orientamento diverso, accomunati da un atteggiamento di opposizione allo spirito di intolleranza del controriformismo cattolico e di difesa delle esigenze della ragione. "Libertinismo" fu, infatti, affermazione di libertà, affrancamento dall'ortodossia, esercizio del libero pensiero. Da orientamento diffusosi originariamente in campo teologico, esso si trasformò in atteggiamento eticopolitico, quasi in una concezione del mondo. Il movimento libertino attraversò il Seicento, manifestandosi in forme clamorose di rottura e di scontro con l'ortodossia, oppure muovendosi lungo percorsi "sotterranei", costrettovi dalla censura, attraverso una letteratura LA POLITICA CULTURALE La ricerca __________________________ dell’_____________________________ ruolo voluto dell’intellettuale: ___________________________________ Le linee ella politica culturale: 1 _________________________________ 2 _________________________________ I _________________________________ reazione a __________________________ __________________________________ in nome della ________________________ Censura e __________________________ 28 semi-clandestina e con atteggiamenti e orientamenti non conformisti di gruppi intellettuali. Comunque, fu un movimento che determinò violente reazioni da parte dell'ortodossia religiosa e del potere politico, preoccupato, quest'ultimo, La condanna in nome _________________ soprattutto di realizzare la coesione sociale necessaria all'assolutismo. Uno dei maggiori esponenti del Libertinismo fu l'italiano Giulio Cesare ___________________________________ Vanini, che giudicava "impostori" i fondatori di religioni e verrà arso sul rogo a Tolosa nel 1619. Ma troviamo orientamenti libertini in una vasta letteratura clandestina, ad esempio nelle anonime “Quartine del deista”, nelle quali si rifiuta ogni religione positiva e si afferma l'idea della tolleranza religiosa e nella letteratura occultistica del secolo, che riprende i temi umanistico-rinascimentali della cabala e dell'interpretazione allegorizzante delle Sacre Scritture. II più raffinato ed interessante esponente del Libertinismo francese è, comunque, Cyrano de Bergerac (1619-1655). Pur schierato a favore del regime C. de Bergerac assolutista e del cardine Mazarino, egli scrive due romanzi filosofici “Stati e imperi della Luna” e “Stati e imperi del Sole”, nei quali fa la parodia della Chiesa ufficiale (descrivendo, ad esempio, il processo a Galilei come una vera e propria macchinazione contro la scienza e la verità) e riprende le tesi di Giordano Bruno dell'infinità dell'universo. Erano atteggiamenti e spunti polemici che attraversarono il secolo e verranno ripresi e rilanciati, nel Settecento con notevole efficaci dall'illuminismo. LA POLITICA AMMINISTRATIVA, GIUDIZIARIA E FISCALE La formazione di uno stato moderno richiede la realizzazione di una struttura burocratico-amministrativa distribuita uniformemente su tutto il territorio nazionale. Solo in questo modo è possibile allo stato stabilire un effettivo controllo del territorio che si realizza attraverso l’azione giudiziaria che garantisce, punendo i trasgressori, l’applicazione della legge e fiscale che consenta allo stato di reperire le risorse necessarie al suo funzionamento. Per poter garantire un’azione efficace alla struttura burocratica occorreva però che essa fosse effettivamente sotto il controllo dell’autorità centrale e che potesse agire in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. Ad ostacolare l’efficacia dell’azione dello stato francese vi era quindi sia la pratica della vendita degli uffici e della loro trasmissione ereditaria, che sottraeva al controllo centrale la burocrazia statale, sia l’esistenza di norme consuetudinarie diverse che impedivano un’azione uniforme. Per quanto riguarda il primo aspetto questo era già stato affrontato da Richelieu con l’introduzione degli intendenti, nominati dall’autorità centrale e inviati nelle province per controllare l’apparato burocratico-amministrativo, mentre i maggiori tentativi di unificazione del sistema giuridico e fiscale furono portati avanti, seppure con scarsi successi, durante il regno di Luigi XIV. La Francia, lentamente cresciuta nei secoli con annessioni, conquiste, La disomogeneità del: successioni ereditarie, presentava tutti i caratteri di un organismo formatosi senza un piano, mentre la forza della tradizione teneva in piedi le più diverse e disor- a - ________________________________ dinate sovrapposizioni. Molte delle regioni che si erano aggiunte più tardi al nucleo originario del regno, e che venivano chiamate "paesi di stato", avevano conservato il privilegio di proporre da sé al sovrano l'entità dei tributi che dovevano pagare; nelle altre province, i "paesi d'elezione", vi erano solo degli "eletti" con il compito di distribuire fra le diverse circoscrizioni un ammontare di tributi stabilito dal governo centrale. Il sistema fiscale delle regioni meridionali, inoltre, era fondato su un criterio completamente diverso (e anche migliore) rispetto a quelle settentrionali: al sud l'imposta diretta (la taglia) aveva come fondamento la proprietà, e quindi presupponeva qualcosa di abbastanza simile a un catasto; al nord era invece distribuita per gruppi familiari, con maggiori possibilità di abuso. Quanto 29 alle imposte indirette, la gabella sul sale era riscossa secondo aliquote che variavano da zona a zona; lo stesso si può dire per le imposte di consumo e le numerose dogane interne (che giocavano, queste ultime, a sfavore dell'unità del mercato nazionale). Le circoscrizioni amministrative, quelle fiscali e gli ambiti territoriali di competenza dei tribunali raramente coincidevano fra loro. Accanto a paesi nei b - _______________________________ quali vigeva il diritto scritto c'erano quelli a diritto consuetudinario. Inoltre, vi erano circa 400 sistemi di consuetudini, sensibilmente diversi in fatto di proprietà, successioni ereditarie o diritto di famiglia. Lo stesso Luigi XIV e i suoi ministri, davanti a questa situazione, finirono per ritenere impossibile una rapida e completa uniformità; di fatto la burocrazia degli intendenti si venne solo a sovrapporre alle istituzioni che già esistevano, esautorandole ma senza abolirle. L'attività di codificazione uniforme fece qualche passo in avanti solo nei settori del diritto civile e penale (una completa codificazione a livello nazionale fu raggiunta solo con il Codice Napoleonico all’inizio dell’Ottocento). Quanto al sistema fiscale, la sua disparità caotica non venne toccata e nessuna modifica sostanziale venne apportata alle forme di esazione delle imposte: una Il sistema _______________________ grande quantità di soggetti con privilegi fiscali continuarono a esistere, mentre restava in vita il sistema di dare in appalto le imposte indirette a dei privati. I delle imposte ____________________ finanzieri privati anticipavano allo Stato l'ammontare dell'imposta e quindi provvedevano di persona a riscuoterla, cosa che dava luogo a corruzioni, ruberie e soprusi, ma permetteva allo Stato di incassare subito. Negli ultimi anni del governo di Mazarino la corruzione e l'inefficienza del sistema degli appalti aveva raggiunto limiti inaccettabili e sin dal 1661 Luigi XIV istituì una commissione LA POLITICA AMMINISTRATIVA, GIUDIZIARIA E FISCALE Formazione ____________ ____________________________________________ funzioni:___________________________________________________________________________________________________ attraverso: 1- ______________________________________________________ 2 - ______________________________________________________ Condizioni di funzionamento: A - ________________________________________________________________________________________________ NO perché: _________________________________________________________________________________________ B - ________________________________________________________________________________________________ NO perché: _________________________________________________________________________________________ Limiti dei tentativi di soluzione: ____________________________________________________________________________( ______________) sistema _______________: _____________________________________________________________ (Luigi XIV) sistema ______________: a - ____________________________________________________________________________ b - ____________________________________________________________________________ con l'incarico di recuperare le imposte ancora non versate allo Stato. Di fronte al debole gettito fiscale, lo Stato aveva dovuto ricorrere ai prestiti dei finanzieri privati e nel 1661 il 62 per cento delle entrate era divorato dal pagamento degli 30 interessi passivi. Nonostante tutto lo Stato era costretto a chiedere agli appaltatori il pagamento anticipato di annualità future d'imposta; inoltre, l'assolutismo statale non era in grado di provvedere da sé ai costi e all'organizzazione di un apparato fiscale centralizzato. Da ultimo, erano gli stessi appaltatori a fornire allo Stato i prestiti di cui aveva bisogno e perciò esso doveva tenere buoni i propri finanzieri lasciando nelle loro mani i profitti dell'appalto d'imposta. Finché la Francia fu in pace o non fu impegnata in guerre troppo costose riuscì a tenere sotto controllo il debito pubblico e perfino a ridurre la taglia, che gravava pesantemente solo sui contadini, aumentando invece le imposte indirette. Nel 1666, anno di pace, il totale delle entrate statali fu di 67,5 milioni di lire tornesi (la lira tornese, moneta di conto francese, equivaleva negli anni 166080 a circa 8,5 g d'argento) e il bilancio statale chiuse con un leggero attivo; ma a partire dal 1667, e ancora più dal 1672, la Francia fu quasi continuamente in guerra e le spese salirono fino ai 126 milioni del 1679 (ma i veri record si toccheranno dopo il 1701). Dal 1690 si dovette ricorrere alla vecchia pratica di svalutare la moneta di conto (nel 1700 la lira tornese equivaleva a 7 g d'argento) e nel 1695 venne anche istituita una nuova imposta diretta, che doveva essere senza esenzioni e privilegi, ma che dopo varie vicende diede un gettito sempre minore. Il ricorso al debito pubblico divenne perciò sempre più massiccio e già nel 1683 quasi il 19 per cento delle entrate veniva assorbito dal pagamento degli interessi, mentre il bilancio restava continuamente in deficit. In sostanza il carico fiscale continuò a gravare quasi totalmente sui contadini e l'assolutismo si fece sentire relativamente poco sulle classi privilegiate, la nobiltà e il clero. i motivi del ricorso agli ________________ 1 - ________________________________ 2 - ________________________________ 3 - ________________________________ Il ______________________ pubblico LA POLITICA ECONOMICA Nel Seicento, accanto ai compiti legislativi, giudiziari, fiscali e amministrativoburocratici, lo Stato tese ad assumere un nuovo ruolo anche in campo economico. Questa estensione dei suoi ruoli era dovuta sostanzialmente alla necessità di avere a disposizione grandi risorse finanziarie, sia per realizzare l’apparato burocratico-statale, sia per le continue guerre fra gli stati europei. In precedenza l’intervento economico dello stato si riduceva alla pura e semplice tassazione, spesso fino al Sei-settecento occasionale, in quanto veniva imposta man mano che le esigenze della corte lo richiedevano. Ben presto ci si accorse che solo un paese ricco poteva garantire allo stato le risorse necessarie, che non bastava tassare i cittadini, occorreva che questi, o almeno una parte di essi, fossero sufficientemente ricchi per poter produrre un surplus da destinare alle spese dello stato. LA POLITICA ECONOMICA necessità finanziarie dello stato legate a: 1 - _____________________________________________ 2 - ______________________________________________ Il nuovo ruolo ____________________ dello stato: da _________________________ occasionale a ____________ ECONOMICA provvedimenti coerenti volti a: _________ dei cittadini + ____________ + ______________________ + ________________ = + risorse per lo stato Il complesso di teorie e di pratiche che, tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Settecento, si richiamavano alla necessità di un intervento dello stato in campo economico sono state identificate con il termine mercantilismo che costituisce, 31 quindi, la prima teoria economica moderna, ma anche la prima forma di politica economica, in quanto prevedeva una serie di provvedimento coerenti. Benché spesso anche molto differenziate, le teorie del mercantilismo sono caratterizzate da alcuni elementi comuni, a partire dall’identificazione delle fonti della ricchezza nel commercio internazionale e nella disponibilità di moneta. Tale identificazione della fonte della ricchezza nel commercio e non nella produzione (attualmente l’indice che fornisce il dato della ricchezza di un paese è indicato dal PIL, prodotto interno lordo di un anno) era dovuta al fatto che l’attività in cui la borghesia investiva i suoi capitali e, di conseguenza traeva i suoi profitti, era l’attività commerciale e non ancora l’attività produttiva che rimaneva a livello artigianale. Inoltre, i teorici del mercantilismo ritenevano che la produzione mondiale dei beni del grande commercio fosse più o meno limitata e che il solo modo per accrescere la quota di ciascun paese in fatto di prodotti quali pepe, spezie, zucchero, oro, argento, oltre che di mercati per la vendita di prodotti manifatturieri, consistesse nel limitare la quota altrui, con qualunque mezzo. Tale considerazione risulta sicuramente legata al fatto che nel complesso il Seicento fu un secolo di crisi, caratterizzato da una lunga stagnazione economica; fatto che sicuramente contribuì a dare l’impressione che lo sviluppo economico avesse dei limiti invalicabili. Infine, il mercantilismo stabilisce uno stretto legame tra la politica di potenza dello stato e gli interessi dei grandi mercanti in opposizione agli interessi dei consumatori. Infatti, la potenza dello Stato dipendeva dalle disponibilità di denaro per finanziare le guerre e il denaro poteva entrare solo attraverso l'attività dei mercanti: fra Stato e mercanti c'era perciò una certa convergenza di interessi e toccava all'autorità pubblica proteggere gli uomini d'affari dalla concorrenza straniera. Nella sua forma più semplice il problema si riduceva a quello di una bilancia commerciale e dei pagamenti con l'estero favorevole: i metalli preziosi che entravano nel paese dovevano essere più abbondanti di quelli che ne uscivano2. Occorreva allora che le importazioni dall'estero fossero il più possibile frenate; obiettivo questo che venne perseguito sia attraverso l’introduzione di imposte che colpivano in maniera forte i prodotti finiti provenienti dall’estero e non l’ingresso di materie prime, sia con misure che vietavano l’ingresso di merci straniere se non trasportate da navi nazionali. Parallelamente si doveva evitare l’uscita delle materie prime dal paese (colpendole con i dazi doganali) e si dovevano sviluppare le manifatture nazionali in quei settore (prodotti di lusso, sete, tessuti preziosi, vetrerie, arazzi, mobili pregiati) i cui prodotti erano, insieme alle spezie, le merci che venivano scambiate sul mercato internazionale3. Il caso della Spagna, che esportava la sua lana per poi reimportarla come tessuto a prezzi moltiplicati, era un esempio negativo per tutti. Mercantilismo significa in conclusione una politica doganale molto rigida, un controllo minuzioso sulle industrie di lusso, un proliferare di regolamenti industriali e commerciali, il blocco del movimento dei beni economici. Ma il settore più controllato era quello del commercio a lunga distanza dei prodotti asiatici o americani, che in seguito sarebbero stati chiamati coloniali. 2 Occorre sottolineare il fatto che, non essendo ancora in uso la moneta cartacea che verrà introdotta solo nel corso dell’Ottocento, l’utilizzo delle monete metalliche, contenente una certa quantità di metallo prezioso, implicava il fatto che i pagamenti con l’estero comportassero la perdita del metallo prezioso contenuto nelle monete. 3 Il fatto che il mercato fosse limitato ai prodotti di lusso era dovuto alla struttura elitaria delle società dell’ancien régime, per cui il mercato risultava riservato ai ceti privilegiati, nobiltà civile ed ecclesiastica e alta borghesia, che da un punto di vista economico erano ceti parassiti in quanto le loro entrate, derivate dal controllo del lavoro dei contadini, non erano reinvestite in attività produttive o commerciali bensì in beni di lusso o al massimo, come nel caso della borghesia e come vedremo meglio più avanti, in attività rese lucrose dall’intervento statale. 32 Era verso l'India e l'Estremo Oriente che si rischiava la maggiore emorragia IL MERCANTILISMO prima forma di ________________ e _________________ economica moderna Principi teorici: 1 ___________________________________________________________________________________________________ perché _____________________________________________________________________________________________ 2 __________________________________________________________________________________________________ perché _____________________________________________________________________________________________ 3 vedi 1 cittadini che dispongono di ________________ = mercanti ____________________ tra _____________ e stato __________________________________________________ a danno degli interessi dei ____________________________ Provvedimenti: obiettivo: ottenere bilancia commerciale __________________ per cui: 1 - ____________________________________________________________ a - __________________________________________________________________________________________ b - __________________________________________________________________________________________ 2 - _________________________________________________________________________________________________ a - __________________________________________________________________________________________ b - __________________________________________________________________________________________ 3 – _________________________________________________________________________________________________ perché ______________________________________________________________________________________________ interessi economici: 1 - _____________________________________ 2 - _____________________________________ 3 - _____________________________________ Convergenza d’affari tra 4 - _____________________________________ borghesia e stato assoluto 5 - ______________________________________ + entrate per ________ + investimenti redditizi per ________________ interessi politico-sociali: stato _______________________________________________________ borghesia ____________________________________________________ Limiti politica economica stato francese: 1- __________________________________________________________________________________________________ 2 _____________________________________________________________________ perché: a - __________________________________________________________________________________________ b - __________________________________________________________________________________________ monetaria, specialmente quando si dipendeva da navi e mercanti stranieri. Ed ecco allora l'ultimo elemento del mercantilismo: i monopoli costituiti dall'autorità 33 pubblica a favore di compagnie commerciali nazionali, cioè il loro diritto esclusivo a comprare e vendere in un determinato paese o in un certo settore. Simili compagnie (la più famosa delle quali è sicuramente l’inglese Compagnia delle Indie orientali) non giocarono però soltanto contro i mercanti stranieri, perché alla lunga vennero a determinare situazioni di privilegio che bloccavano l'innovazione economica. La logica del monopolio è pericolosa: i profitti sicuri, con l'eliminazione del rischio della concorrenza, finiscono per indurre al parassitismo a spese della società intera. Inoltre, questa logica ha la tendenza a espandersi: i sovrani vendevano i monopoli come le cariche pubbliche, con lo scopo di aumentare le loro risorse finanziarie (cosa garantita anche dagli aumenti dei dazi doganali), e chiunque era disposto a pagare pur di vedere interdetta legalmente la concorrenza. Ed ecco che i monopoli cominciarono a proliferare (con l'eccezione dell'Olanda e in parte dell'Inghilterra) nei più diversi settori produttivi. Questo fatto, insieme ai prestiti ai sovrani e all’appalto delle tasse, di cui abbiamo detto nel paragrafo precedente, dimostra che vi era una chiara convergenza “d’affari” tra borghesia e monarchia assoluta; convergenza che si dimostra sostanziale e non occasionale se pensiamo a quanto detto prima dell’intera politica economica ispirata al mercantilismo (vedi sopra), nonché al fatto che la monarchia tendeva ad utilizzare la borghesia mercantile e finanziaria per rafforzare se stessanei confronti della nobiltà, mentre quest’ultima vedeva crescere il suo prestigio e il suo peso politico-sociale. L’insieme della politica economica francese non riuscì comunque a stimolare lo sviluppo dell’economia nazionale, cosa che risulta evidente soprattutto se confrontiamo la situazione francese con ciò che avvenne in Inghilterra. Infatti, la politica coloniale francese non riuscì a dar vita ad un impero coloniale come quello inglese e il sistema monopolistico finì per essere di ostacolo al sistema produttivo, poiché i regolamenti a cui era sottoposto, nel tentativo di garantire la qualità del prodotto, ponevano dei limiti all’introduzione di innovazioni nel processo produttivo. Inoltre, i monopoli produttivi finirono per concentrarsi nella sola produzione di beni di lusso, in gran parte richiesti per la costruzione della reggia di Versailles. In tal modo mentre l’Inghilterra si stava avviando verso forme di economia capitalista, dapprima in agricoltura e poi anche per le attività manifatturiere, la borghesia francese continuava a investire i suoi capitali in attività meno innovative, rese redditizie dal carattere monopolistico garantito dallo stato. 34 1.2 - L’ITALIA E IL DUCATO DI SAVOIA 1.2.1 Il dominio spagnolo e la riorganizzazione assolutistica dello stato sabaudo 1.2.2 Atlantizzazione e rifeudalizzazione 1.2.3 La politica riformatrice di Vittorio Amedeo II Se nei Paesi Bassi il tentativo spagnolo di impedire l'avanzata del calvinismo e di limitare le tradizionali autonomie produsse una rivolta e la violenta repressione che ne seguì dette luogo a una vera e propria guerra indipendentista, durante il regno di Filippo II la dominazione spagnola sui territori italiani (Milano, Napoli, la Sicilia e la Sardegna) poté consolidarsi senza grandi difficoltà. In Italia le grandi famiglie urbane si erano avvicinate nel modo di vivere e di sentire e allo stile della nobiltà, avevano investito nel sicuro possesso terriero i loro profitti; cominciavano ad apprezzare le delizie della vita nelle ville campestri più dei rischi dei lunghi viaggi e del commercio internazionale. La generazione della grande borghesia degli anni 1550-80 stava indubbiamente scivolando verso lo spirito del consumo vistoso e della rendita parassitaria, ma ciò non vuol dire che in quel periodo ci fossero sintomi consistenti di un regresso economico del paese; la tendenza ad assimilarsi alla nobiltà era del resto molto più antica del 1530-50. Le basi della prosperità italiana apparivano ancora invidiabili; alla metà del Cinquecento la produzione di beni di lusso e il commercio mediterraneo si erano pienamente ripresi dalla crisi in precedenza provocata dall'azione dei portoghesi negli oceani e dalle guerre di cui il paese era stato teatro. Non tutti i profitti, poi, si trasformavano in opere d'arte, palazzi urbani, ville e proprietà terriere; restava sempre una grande quantità di denaro che, unita all'esperienza finanziaria dei genovesi e dei fiorentini, poteva fruttare nuova ricchezza inserendosi nei grandi circuiti finanziari europei o concessa in prestito allo stesso Filippo II. Dal punto di vista economico, e ancor più da quello finanziario, l'affermazione del potere spagnolo non aveva dunque significato trasformare l'Italia in un satellite dell'impero di Filippo II. Nello stesso Mezzogiorno italiano la presenza spagnola non provocò grandi mutamenti nel predominio economico che ormai da secoli vi esercitavano i mercanti delle maggiori città centrosettentrionali e, soprattutto, quelli genovesi. Dal punto di vista politico la subordinazione alla Spagna fu invece più rapida e totale; l'Italia non fu mai causa di grandi preoccupazioni per il sovrano. Oltre alla Sardegna, questi possedeva direttamente, nella forma dell'unione dinastica, il ducato di Milano (dove era rappresentato da un governatore) e i regni di Napoli e di Sicilia (nei quali il governo era esercitato dai viceré). Se la pressione fiscale ebbe indubbiamente la tendenza ad aumentare in tutti i possessi italiani di Filippo II e l'alto personale politico in essi attivo fu di esclusiva origine castigliana, nondimeno la loro costituzione interna non subì modifiche radicali. Gli organismi collegiali che in diverso modo rappresentavano a vario titolo gli interessi dominanti (il patriziato urbano a Milano e il ceto baronale a Napoli e Palermo) mantennero i loro poteri amministrativi, giurisdizionali e fiscali. Degli altri stati italiani solo Venezia e in qualche misura il papato mantennero una politica autonoma da quella spagnola, mentre la repubblica aristocratica di Genova e il ducato di Firenze, gravitavano attorno alla Spagna. La pace di Cateau-Cambrésis aveva poi segnato la rinascita del ducato di Savoia, dopo la lunga occupazione francese; il duca Emanuele Filiberto contribuì alla principale vittoria spagnola nell'ultima fase della guerra. L'antica dinastia dei Savoia era stata negli ultimi secoli del Medioevo sovrana di regioni montane ricche di sopravvivenze feudali, ma dopo il 1560 tese sempre più a espandersi verso la pianura italiana, spostando la capitale da Chambéry a 35 Torino e ottenendo nel 1588 l'annessione del marchesato di Saluzzo. Anche in Piemonte si avviò un processo di concentrazione del potere a opera del duca Emanuele Filiberto (1553-1580). Egli attuò una generale riorganizzazione amministrativa dello Stato mentre gli Stati generali, cioè gli organi di rappresentanza dei ceti, vennero progressivamente privati delle loro prerogative; fu istituito un esercito permanente, destinato, dalla fine del Cinquecento, a sostenere la politica di potenza e di ampliamento territoriale del Ducato sabaudo, con sviluppi ed esiti alterni. Sebbene costosi e dagli incerti risultati, i tentativi di espansione contribuirono però a rafforzare lo Stato, a definirne con sempre maggiore chiarezza l'identità italiana, a mettere a punto un apparato militare che consenti poi al Ducato sabaudo, fra Seicento e Settecento, di essere attivamente presente sulla scena internazionale. Terra di missione per i gesuiti, data la vicinanza con la calvinista Ginevra e la presenza degli eretici valdesi nel proprio territorio, lo Stato sabaudo, anche per la mancanza di tradizioni culturali autonome, accettò il loro modello culturale che fu componente essenziale del barocco piemontese. Per oltre un secolo e mezzo la corte sabauda sarà egemonizzata dalla cultura gesuitica. Conformismo e accettazione dei modelli controriformistici poterono tuttavia convivere con una ferma difesa dell'autonomia dello Stato, che regolò saldamente e senza cedimenti i rapporti con la Chiesa. Gli effetti della atlantizzazione si fecero sentire sulla penisola italiana a partire dalla fine del '500 e soprattutto agli inizi del '600. La fase più drammatica della crisi è stata ormai identificata negli anni fra il 1620 e il 1630. Erano i decenni della Guerra dei trent'anni (vedi prossimo paragrafo), che sfiorò solo marginalmente l'Italia come fronte militare, ma ebbe ugualmente conseguenze pesanti soprattutto nelle regioni controllate dagli Spagnoli (Milano, Napoli, e Sicilia), coinvolte nelle spese militari, nelle selvagge esazioni fiscali, nella decadenza dello Stato dominante. Il ducato di Milano fu toccato solo in parte nello scontro con i Grigioni per il possesso della Valtellina (1624-1626). Nel 1627 iniziò la guerra di Casale, dopo l'occupazione francese di Saluzzo e Pinerolo. Il Piemonte, direttamente minacciato nei suoi territori fu a fianco della Spagna. Le truppe mercenarie tedesche (i lanzichenecchi) portarono in Italia e soprattutto nel Milanese, con la carestia, la peste bubbonica, particolarmente spietata nell'Italia del Nord e a Milano. La guerra si concluse con l'armistizio di Cherasco (1631), che assegnò il Monferrato ai Gonzaga Nevers, successori dei Gonzaga di Mantova. Questo risvolto italiano della Guerra dei trent'anni mostra tutta là debolezza della società del '600. Carestia e peste colpiscono uno Stato di Milano oppresso dalla penuria, dalla fiscalità, dal malgoverno spagnolo. Drammatica è la caduta della produzione della seta, un tempo fiorente, che colpisce sia Venezia, sia la Toscana, sia il Mezzogiorno. In questo quadro, tuttavia, non mancano differenze profonde. Per Venezia e la Toscana, dove il governo pratica una politica mercantilistica, si può parlare di decadenza e di una certa caduta della produzione, mentre per il ducato di Milano e soprattutto per il Mezzogiorno si assiste a una vera e propria scomparsa della manifattura stessa. Tale realtà è tanto più impressionante in quanto il Mezzogiorno rimane una delle regioni produttrici della seta greggia. Questo significa la trasformazione dell'economia meridionale in un'economia subalterna, di tipo coloniale: i produttori locali si riducono a vendere le materie prime ai mercanti francesi e inglesi, in grado invece di pagare con pezze lavorate, realizzando profitti notevoli. 36 Ritratto di Carlo Emanuele I (1580-1630) Frontespizio del fascicolo con le clausole del Trattato di Cherasco del 1631 Biblioteca Adriani, Cherasco Ritratto di Vittorio Amedeo I (163037) La decadenza della manifattura e dell'artigianato italiano - e quindi della partecipazione italiana al commercio internazionale - corrisponde ad una incapacità delle strutture politiche ad avere un ruolo significativo nel contesto degli Stati europei. Da questo punto di vista anche gli Stati regionali, come la Toscana e il Piemonte, che avevano affrontato nella seconda metà del '500 una riorganizzazione di tipo assolutistico, finiranno per mostrare i loro limiti e conoscere lunghi periodi di inerzia e decadenza. Tipico era il caso dello Stato sabaudo, passato a Carlo Emanuele I (1580-1630). La macchina amministrativa e militare organizzata da Emanuele Filiberto poté far pensare per qualche tempo ad un ruolo egemonico del Piemonte in Italia. Nel 1610 aveva infatti stretto alleanza con Enrico IV, re di Francia, pensando di sottrarre la Lombardia agli Spagnoli. La morte del sovrano francese lasciò il duca sabaudo ad affrontare da solo la Spagna nei territori italiani. Un altro episodio che mise in luce l'ambizione dell'animoso Carlo Emanuele I fu legato alla guerra di successione per il Monferrato. Morto Francesco Gonzaga che era duca di Mantova e Monferrato (1612) i Piemontesi occuparono quest'ultimo territorio. Ma lo Stato sabaudo fu costretto a restituire a Ferdinando Gonzaga, fratello del defunto, il territorio agognato. Non fu l'ultimo tentativo. Carlo Emanuele I nel 1627, come abbiamo accennato prima si schierò, con gli Spagnoli e con gli imperiali contro il candidato francese Gonzaga-Nevers. L'obiettivo era sempre Casale e il Monferrato, ma il duca fu sconfitto e dopo la sua morte (1630) il successore Vittorio Amedeo I (1630-37) sarà costretto a firmare con i Francesi la pace di Cherasco. Si apriva per il Piemonte un periodo di incertezze e di crisi, che sfocerà nella guerra civile alla morte di Vittorio Amedeo I. I segni della crisi economica che aveva avuto la sua punta massima dal secondo al quarto decennio del secolo rimasero evidenti per tutto il secolo. Con le diverse sfumature legate alle differenti organizzazioni politi che, l'elemento comune era la caduta dei commerci internazionali e della produttività manifatturiera, che aveva colpito centri come Firenze, Venezia, Milano. Le conseguenze dello spostamento dei traffici verso il mondo atlantico si facevano ora sentire in modo pesante. Inglesi, Francesi e soprattutto Olandesi, si stavano impadronendo dell'attività mercantile che interessava ancora l'area mediterranea, sostituendo completamente i Genovesi e soprattutto i Veneziani. La caduta produttiva riguardava in particolare la lana e "la seta. Le cifre sono eloquenti: Venezia, che agli inizi del '600 produceva fra le 20 e le 30 mila pezze di lana, verso la fine del secolo si muoveva fra le 2 e le 3 mila pezze. Analoga crisi, legata almeno in parte alla dominazione spagnola, aveva colpito i laboratori milanesi, che nel corso del 37 secolo si erano ridotti da 500 a poco meno di una trentina. La crisi manifatturiera, che aveva colpito tutte le aree, cambiando il volto dell'econo mia italiana, era accompagnata da un ritorno alla terra e a forme di rendita 4 sempre più vistose. Il fenomeno è presente quasi da per tutto: nel Meridione la feudalità più antica o manteneva le sue posizioni o si rafforzava a danno di quella più recente, di origine mercantile. Il patriziato veneziano spostava sempre più i suoi capitali dal commercio alla terra, dilagando con proprietà e ville nella campagna della terra ferma. Gli studi più recenti hanno mostrato che la nobiltà veneziana, pur essendo in calo demografico (dal 4,5% del 1581 passava al 3,7% del 1642 ed era destinata a diminuire ancora) nel 1661 deteneva quasi il 70% dei beni fondiari dell'intera repubblica, impadronendosi di un numero sempre maggiore di terreni comunali. Il patriziato genovese, ugualmente in calo demografico, non disponendo di un retroterra consistente, spostava ugualmente le sue ricchezze in rendite parassitarie, dall'acquisto dei feudi meridionali ai prestiti di denaro, agli appalti delle gabelle. Il ritorno alla terra non sempre significava un aumento della produttività delle aziende agricole. In senso generale queste erano colpite dalla crisi generale, dal mancato collegamento con le attività manifatturiere, dalle trasformazioni di culture. I profitti per i grandi proprietari potevano essere ugualmente alti, ma i disagi erano scaricati sui contadini, sulla loro disponibilità di denaro (che diventava minore) e degli stessi mezzi di sussistenza. C'erano tutti i sintomi della degradazione economica: la diminuzione dei terreni coltivati, l'estendersi dei latifondi, l'indebitamento dei contadini, il conseguente vagabondaggio. A peggiorare le cose si aggiungeva il fatto che nel XVI secolo i vagabondi potevano trovare una qualche occupazione nelle città in espansione, mentre nel XVII secolo anche le città italiane si stavano riempiendo di artigiani senza lavoro. Caduta della produzione manifatturiera, ritorno alla terra e conseguente rifeudalizzazione5 si accompagnavano con un fenomeno cui si è già accennato per Genova, ma che è generale: lo spostamento progressivo dei capitali che non erano immobilizzati, in prestiti all'erario o appalti di imposte. Di questa economia «malata» è specchio la popolazione la cui crescita, dopo le punte del XVI secolo, conobbe un certo rallentamento. Anche se complessivamente non ci fu un vero e proprio calo nel corso del XVII secolo, si modificò il rapporto fra città e campagna nel senso che la popolazione urbana diminuì a favore della seconda. Quale fu la reazione degli Stati alla crisi generale del XVII secolo e in particolare ai problemi che si posero nella seconda mete dei '600? Nel Piemonte sabaudo, sotto Carlo Emanuele II (1663-1675), la risposta fu di tipo mercantilistico. Lo Stato cercò di sollecitare - su modello francese - l'economia, utilizzando i propri capitali accanto a quelli dell'aristocrazia. Era un processo destinato a conoscere una battuta d'arresto dopo la morte di Carlo Emanuele II e la reggenza di Maria Giovanna Battista (1675-1684). La reggente, infatti, era legata alla Francia da profondi vincoli di sangue e per qualche anno, anche dopo che questi, nel 1680, aveva raggiunto la maggiore età, cercò di tener lontano dal governo il figlio, Vittorio Amedeo II. Solo nel 1684 questi - con un vero e proprio colpo di Stato 4 Con rendita si intendono i redditi (beni monetari o reali a disposizione di un individuo) ottenuti dai proprietari di fattori produttivi per il solo fatto di essere proprietari: il caso tipico è quello del proprietario terriero che riceve affitti e canoni in natura indipendentemente dal fatto che si che sia coinvolto negli investimenti necessari alla produzione. 5 Il termine "rifeudalizzazione" indica sia una forte espansione del latifondo sia una più acuta tendenza alla proprietà assenteista che si limitava a riscuotere le proprie rendite e accresceva lo sfruttamento dei contadini. Il nuovo feudalesimo si manifestava, dalla Lombardia a Napoli e alla Sicilia, anche come vendita di diritti feudali alla nobiltà vecchia e nuova da parte di uno Stato cronicamente bisognoso di denaro. 38 escluse la madre dal potere e cominciò a regnare, prendendo a modello l'assolutismo di Luigi XIV. Ma per lunghi decenni le guerre gli impedirono di organizzare una coerente politica riformatrice, quale sarà realizzata solo dopo il primo decennio del '700. Le scelte militari di Vittorio Amedeo II furono profondamente influenzate dalla necessità di liberarsi dell'incomoda presenza francese a Casale e a Pinerolo. Nel 1679 infatti, Casale - una formidabile fortezza - era stata venduta da un emissario dei Gonzaga a Luigi XIV. Nel 1681 le truppe francesi l'avevan occupata con un presidio. Per questo il Piemonte prese parte alla guerra contro la Francia (1690-1697) a fianco degli Austriaci e Spagnoli riottenendo Pinerolo. Qualche anno più tardi partecipando alla guerra di successione spagnola (1702-1713) il duca ottenne, oltre che il titolo di re, l’annessione del Monferrato e della Sicilia (i Savoia e gli Asburgo d’Austria si scambiarono la Sicilia e la Sardegna nel 1718). Nel quadro generale, segnato dal permanere di un notevole immobilismo sociale e politico lo Stato sabaudo di Vittorio Amedeo II si distinse, oltre che per l’attivismo militare, per l'attività riformatrice. Con l'Editto di perequazione (1720) i carichi fiscali furono distribuiti più equamente non solo fra le province, ma anche fra gli ordini, costringendo nobiltà e clero a contribuire alle spese dello Stato, alleggerendo in questo modo il carico dei contadini e dei borghesi. Inoltre, venne avviata una politica di rivendicazione allo Stato di delle terre possedute illegittimamente a titolo feudale, titolo che le escludeva dalla tassazione. Il provvedimento riguardò circa un quinto dei feudi dello Stato e, pur non combattendo l'istituzione in sé, ebbe tuttavia un certo significato antifeudale, dato che colpiva al 90% la vecchia aristocrazia. Con la vendita a magistrati e borghesi di una parte di tali feudi (quasi il 70%), il sovrano intendeva portare all'interno della nobiltà il gruppo dirigente di origine professionale che si stava formando e che gli aveva reso possibili le riforme. Altrettanto decisa fu la politica nei confronti dei beni ecclesiastici immuni, ovvero che non pagavano tasse, ridotti a poco più del 5%. A una volontà di rinnovare lo Stato e la sua struttura amministrativa, riducendo gli abusi di tipo feudale ed ecclesiastico, corrispose una politica economica mercantilistica, che favorì lo sviluppo di manifatture soprattutto nel settore tessile, lo sfruttamento più razionale delle risorse agricole, produttive, minerarie. Ma l'intervento di Vittorio Amedeo II e dei suoi avvocati-burocrati non si fermò al quadro amministrativo, finanziario ed economico. Coinvolse ampiamente alcuni meccanismi essenziali della società civile, come le leggi e la scuola. Nel primo settore le Costituzioni del 1723 e soprattutto del 1729 intendevano fissare per tutti (cittadini, avvocati e magistrati) le leggi dello Stato ovviando a quel fenomeno tipico di tutti gli Stati che era l'accumulazione disordinata di dispo- sizioni spesso contraddittorie. Si 39 possono anche citare tipiche mancanze d'apertura o severi- tà eccessive (che ci parlano di una società in cui la giustizia era insieme inefficace, sproporzionata e violenta), il permanere della tortura, della pena di morte. In realtà si trattava del primo esempio di codifica- zione, se non ardita almeno coerente, che dava disposizioni organiche e definite, e che ordinava una materia sino ad allora non chiara e non codificata. Questa opera di riordinamento,definizione e semplificazione doveva facilitare e rendere più efficiente il lavoro dei magistrati e dei legali. Ancora più significativa è l'azione nel settore scolastico. Punto di partenza fu la riforma universitaria. Il Piemonte aveva bisogno di funzionari efficienti, servizi sanitari più moderni, un clero meno legato a Roma. A queste esigenze rispose la riforma universitaria del 1720. All'università, guidata dal Magistrato della riforma (che comprendeva diversi funzionari), fu affidato non solo il compito di insegnare le professionalità fondamentali (legge, medicina e teologia) ma anche altre, più specifiche e minori (architettura, agrimensura, farmacia, ecc.). Nel 1729 venne riordinata anche l'istruzione secondaria, rendendo laico il modello gesuitico (scuole di latinità, umanità e retorica) e sottraendolo agli ordini religiosi e in .particolare alla Compagnia di Gesù. Questi interventi sull'istruzione universitaria e soprattutto secondaria inaugurarono una diversa politica dello Stato nei confronti dell'istruzione. Furono i primi e i più organici in Europa. Va detto che la soluzione riformatrice di Vittorio Amedeo II, se rispose pienamente alle esigenze di efficienza che l'aveva generata, non riuscì a modificare in modo profondo e in senso qualitativo la società civile. L'università, dopo un primo periodo di attività creativa e di effettiva produzione culturale, legata ai numerosi intellettuali stranieri richiamati, si limitò a produrre buoni quadri per l'amministrazione e i servizi, senza partecipare che marginalmente alle grandi trasformazioni della cultura europea. La scuola secondaria fu costretta a riassorbire almeno gran parte del personale ecclesiastico per mancanza di finanziamenti; la persecuzione contro i professori più indipendenti, la vigile censura, l'esigua e controllata produzione libraria, l'assenza di periodici, sono tutti i segni di uno Stato che aveva operato riforme importanti ma senza aprire un dibattito nella società civile. Calate dall'alto, applicate diligentemente dalla nuova classe dirigente, le riforme si tradussero nel lungo regno di Carlo Emanuele III (1730-1773) in un ammodernamento burocratico, che avrebbe lasciato il Piemonte quasi del tutto fuori dall'intenso dibattito illuministico. 40 2 - LA FORMAZIONE DELLO STATO PARLAMENTARE 2.0 Il modello di stato parlamentare-costituzionale 2.1 - Il caso inglese: dallo stato assoluto allo stato parlamentare 2.2 - Il caso americano: lo stato costituzionale LA FORMAZIONE DELLO STATO PARLAMENTARE IL MODELLO DI STATO PARLAMENTARECOSTITUZIONALE 2.0 IL MODELLO DI STATO PARLAMENTARE-COSTITUZIONALE Stato ________________________, stato Tra la metà del Seicento e la metà dell’Ottocento nell’Europa occidentale e negli Stati uniti d’America vennero superate le forme dello stato assoluto. Il nuovo modello può essere definito stato parlamentare in quanto il parlamento tende ad assumere una funzione centrale nella vita pubblica e nel funzionamento dello stato. Lo stato parlamentare è all’origine dello stato liberale o borghese, che si affermerà nel corso dell’Ottocento. Gli avvenimenti determinanti per la formazione dello stato parlamentare sono considerati, dagli storici le due rivoluzioni inglesi del Seicento e, nel Settecento, la rivoluzione americana e quella francese. Nel secolo successivo i moti degli anni ’20 e ‘30 e le rivoluzioni del 1848 porteranno all’affermazione dello stato liberale caratterizzato dall’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e dalla possibilità per una minoranza dei cittadini di partecipare, attraverso dei rappresentanti, alla formazione delle leggi, compito principale del parlamento che cominciò ad assumere tale funzione durante il Seicento in Inghilterra. L’insieme di tali avvenimenti viene caratterizzato come le rivoluzioni borghesi, in quanto l’imporsi dello stato liberale dell’Ottocento coincise con l’imporsi della borghesia come classe sociale promotrice dello sviluppo economico, con l’industrializzazione, e di quello culturale. Lo stato parlamentare si caratterizza innanzitutto in quanto adotta una carta costituzionale, costituita da un documento scritto e pubblico che regola il funzionamento e i compiti delle istituzioni statali. Questo aspetto risultava essenziale in una situazione in cui lo stato assoluto si imponeva aggirando le norme tradizionali (non scritte) che regolavano il funzionamento stesso dello stato. La costituzione decretava, inoltre, i diritti del cittadino che lo stato riconosce. Tra questi diritti, dal Seicento alla prima metà dell’Ottocento, il principale fu quello dell’uguaglianza giuridica, diritto che eliminava i privilegi della nobiltà e del clero. I diritti che si vengono affermando sono i cosiddetti diritti individuali che vengono fatti coincidere con le libertà personali e con il diritto della proprietà privata. Questi diritti venivano affermati ignorando che i soggetti che potevano esercitarli erano profondamente diversi tra loro, quindi non potevano goderne allo stesso modo. Nel nuovo stato che si venne affermando in Inghilterra inoltre il parlamento venne acquisendo nuovi poteri: legislativi e di controllo del governo. Il parlamento è un organo rappresentativo, in quanto costituito almeno in parte dai rappresentanti dei cittadini, la cui rappresentatività venne allargandosi nel corso dei secoli. Nello stato parlamentare liberale il diritto di scegliere i propri rappresentanti è riservato ad una minoranza, stabilita in base alla ricchezza, al censo (tasse pagate) o in base all’istruzione. Questi criteri vennero progressivamente adeguati, in modo da rendere la rappresentatività meno elitaria. Dalla fine dell’Ottocento si impose l’idea che la partecipazione alla politica dovesse essere allargata a tutti e si affermò quindi lo stato democratico, in esso accanto all’uguaglianza giuridica si afferma l’uguaglianza politica, che si realizza con l’introduzione del suffragio universale (mentre nello stato liberale esisteva invece il suffragio ristretto). In questo periodo il parlamento acquisisce anche una continuità nelle sue funzioni. Nello stato assoluto i parlamenti potevano essere convocati e sciolti a seconda della volontà del re, rendendo il loro funzionamento episodico. La nuova forma di Stato, lo Stato parlamentare liberale, trovò il suo principale teorico nel filosofo inglese J. Locke. _____________________________, stato ___________________________________ Le rivoluzioni _______________________ 1- ‘600: ____________________________ 2 – ‘700: ___________________________ ___________________________________ 3 – ‘800: ___________________________ ___________________________________ LE CARATTERISTICHE DELLO STATO _________________________ ___________________________ giuridica = ___________________________________ Stato __________________________ Uguaglianza ________________________ = ___________________________________ __________( suffragio________________) Stato ____________________________ Locke: ______________________________ ____________________________________ 41 LE CARATTERISTICHE DELLO STATO _________________________ 1 - _________________________________________________: A - ______________________________________________________________________________ B - ______________________________________________________________________________ a - _______________________________________________________________________ b - _______________________________________________________________________ 2 - ____________________________________________: A -__________________________________ : __________________________ + _________________________________ B - __________________________________:_______________________________________________________________ C - _________________________________________________________________________________________________ . 2.1 - IL CASO INGLESE: DALLO STATO ASSOLUTO ALLO STATO PARLAMENTARE 2.1.1 La periodizzazione della vita politica inglese del Seicento 2.1.2 La prima rivoluzione inglese e le ideologie politiche 2.1.3La seconda rivoluzione inglese e le nuove forme dello Stato É possibile sintetizzare gli avvenimenti politici inglesi in tre periodi: 1600-1640 che corrisponde ai regni di Giacomo I e Carlo I che cercarono di dar vita ad un regime assolutistico a cui si opponeva il parlamento che rivendicava un nuovo ruolo. 1640- 1660, la cosiddetta Prima rivoluzione inglese caratterizzata dalla figura di Cromwell. Dopo la rivoluzione violenta si formò un governo repubblicano. Il processo rivoluzionario non fu guidato dal parlamento, che pure lo aveva promosso, ma dall’esercito. Questo periodo rappresenta l’esperienza politica più avanzata di tutto il Seicento. Per la prima volta vennero formulate teorie politiche alternative all’assolutismo, il nocciolo delle posizioni politiche liberali e democratiche e socialiste che caratterizzeranno la politica dell’Ottocento. Nel 1688, dopo un periodo di restaurazione della vecchia monarchia, una seconda rivoluzione, rivoluzione senza scontri violenti, portò al costituirsi della monarchia parlamentare, in cui il nuovo ruolo assunto dal Parlamento rispecchiava un equilibrio politico più favorevole alla borghesia. Tale modello istituzionale rimase grosso modo inalterato fino al XIX secolo quando, per adeguarsi alla nuova realtà creata dalla Rivoluzione industriale, assunse connotati più marcatamente liberali divenendo un modello di riferimento per tutti gli altri stati europei. - Il dibattito politico che ha caratterizzo la prima fase della prima rivoluzione inglese è stato fondamentale per la storia del pensiero politico contemporaneo, infatti in essa hanno trovato una prima elaborazione le posizioni politiche, liberale, democratica e socialista, che avrebbero caratterizzato la storia europea dell’Ottocento e del Novecento. I dibattiti di Putney sul Patto del popolo proposto dai livellatori, cominciati il 28 ottobre 1647, rappresentano sicuramente uno dei momenti più avanzati di tale elaborazione. I rappresentanti dell'esercito si riunirono nel sobborgo londinese di Putney per discutere la situazione e qui il dibattito si soffermò a lungo sul programma politico dei livellatori, il Patto del popolo. Mentre sulla questione IL CASO INGLESE: DALLO STATO ASSOLUTO ALLO STATO PARLAMENTARE LA PERIODIZZAZIONE DELLA VITA POLITICA INGLESE DEL SEICENTO PRIMA RIVOLUZIONE INGLESE E IDEOLOGIE POLITICHE 42 dell'abolizione della monarchia l'accordo fu facilmente trovato, non appena si passò a discutere il testo dal Patto si vide subito che Cromwell non era disposto a far passare gli orientamenti democratici dei livellatori. Il 29 ottobre la discussione si arenò sul primo articolo del patto che dichiarava: "Il popolo inglese, attualmente ripartito in maniera ineguale in contee, città e borghi, per quel che riguarda l'elezione dei membri del parlamento, dovrà essere suddiviso in modo tale che non sussistano più ineguaglianze, ma soltanto in base al numero degli abitanti delle circoscrizioni". Il senso dell'articolo era molto chiaro. La Camera dei comuni era tradizionalmente eletta in Inghilterra sulla base di circoscrizioni, definite molti secoli prima, che attribuivano alle diverse parti del paese una rappresentanza molto sproporzionata. Piccoli borghi avevano il diritto di eleggere un parlamentare, mentre città assai più importanti erano prive di rappresentanza. Anche se i puritani non esprimevano ancora in modo espli cito le loro finalità, era al suffragio universale che essi miravano, al principio (affermato per la prima volta in Europa) che ogni uomo vale un voto e che i parlamentari vanno ripartiti proporzionalmente alla popolazione delle circoscrizioni elettorali. Durante il dibattito Cromwell si tenne abbastanza ai margini del dibattito, pur essendo decisamente contrario al suffragio universale, e lasciò che gli argomenti in contrario fossero esposti da John Ireton. Questi esordì chiedendo ai presentatori del patto se avevano ben capito il senso dell'articolo, e cioè che esso comportava l'uguaglianza dì tutti gli uomini nel diritto di voto. Dopo qualche esitazione, Thomas Rainborough, uno dei sostenitori del patto, portò la discussione sul suo punto centrale dichiarando: "L'essere più povero che vi sia in Inghilterra ha una vita da vivere quanto il più grande e perciò credo sia chiaro che ogni uomo il quale ha da vivere sotto un governo debba prima col suo consenso accettare quel governo". Non era dunque messo in discussione solo il problema di una migliore ripartizione dei seggi parlamentari, ma anche un principio di diritto naturale: nessuno deve obbedienza ad un governo che non ha contribuito a creare. Ad esso Ireton replicò presentando un principio di tutt'altra natura: "Penso che nessuna persona abbia diritto a una partecipazione nell'ordinamento degli affari del paese, a determinare o a scegliere coloro che determineranno da quali leggi dobbiamo essere governati in questo paese - nessuna persona ha diritto a ciò, la quale non abbia un interesse permanente e fisso in questo paese". Quest'ultima espressione, che verrà ripetuta molte volte da Ireton, significa semplicemente che il diritto di voto va limitato ai titolari di una proprietà terriera per gli abitanti delle contee e ai membri delle corporazioni per gli abitanti della città riconosciute come borghi elettorali. Il principio così espresso è molto più pratico e prosastico di quello dei livellatori. Nella sua versione più apertamente classista esso arriva (come dice lo stesso Ireton) a parificare i poveri e i nullatenenti a degli stranieri: "Non saprei dire perché un forestiero che venga tra noi... non potrebbe rivendicare ugualmente lo stesso diritto di qualsiasi altro". In una versione più sofisticata il medesimo principio viene a significare che solo chi ha dei beni da difendere può poggiare su qualcosa di certo le sue aspirazioni alla libertà; gli altri, i nullatenenti, sono solo una massa inerte che potrebbe essere facilmente strumentalizzata o che potrebbe utilizzare il diritto di voto per diventare una maggioranza legale e decretare la fine della proprietà privata e impadronirsi dei beni altrui. Ma Ireton si affrettava a precisare che gli uomini nati in Inghilterra possiedono ugualmente alcuni diritti innati, solo che questi non hanno niente a che fare con la condotta del governo e il voto politico, ma riguardano piuttosto "il giusto diritto di non essere allontanati dall'Inghilterra, di non vedersi negare l'aria o la residenza e il libero uso delle strade e di altre cose". "La cosa principale su cui insisto, concludeva Ireton, è che vorrei si avesse riguardo alla proprietà. Spero che non arriveremo a litigare per la vittoria, ma che ciascuno rifletta se egli non intende raggiungerla per abolire ogni proprietà". Di fronte a questa argomentazione, a suo 43 modo sintetica, Rainborough faceva marcia indietro. Era solo la tirannide dei ricchi sui poveri che voleva veder abolita e non la proprietà: "Per mio conto sono contrario a ogni idea d'anarchia e, quanto a voi, desidererei non faceste credere a tutti che noi invece siamo favorevoli ad essa". Con questa ammissione Rainborough si trovava ancor più esposto alla forza delle tesi di Ireton che poteva replicargli: "Se si ammette che, siccome per legge naturale noi siamo liberi, siamo anche uguali e per conseguenza ogni uomo deve avere il voto, allora mostratemi per quale ragione io non possa, in base allo stesso diritto, togliervi i vostri possessi". La delusione della gran massa dei soldati veniva ben espressa dal loro rappresentante di nome Sexby: "Ci siamo impegnati in questo paese e abbiamo rischiato la vita solo per recuperare i nostri diritti innati e i nostri privilegi di inglesi mentre secondo gli argomenti sostenuti ora non ne avremmo alcuno... Sembra ora che, se un uomo non ha una proprietà fissa nel paese, non ha alcun diritto in esso. Mi meraviglio che ci siamo tanto ingannati. Se non avevamo alcun diritto, non siamo stati che dei mercenari... Quando gli uomini arriveranno a capire queste cose, non si lasceranno defraudare di ciò per cui si sono battuti". Espressa con minor eleganza dialettica, la tesi di Sexby non era meno stringente: come è possibile che ad un uomo che non ha il diritto di voto si chieda di combattere per la sua patria? Solo un mercenario combatte per una libertà che non lo riguarda. Il dibattito teorico correva il rischio di diventare uno scontro aperto. La fuga dal re (1'11 novembre) e la ripresa della guerra lo rinviarono di IL DIBATTITO DI ____________________________ A - CROMWELL – IRETON B - LIVELLATORI Tipo di suffragio ________________________________ ________________________________ Motivazione ____________________________________ __________________________________ ____________________________________ __________________________________ ___________________________________ ___________________________________ ___________________________________ ___________________________________ Diritti dei cittadini Valore comune ____________________________________________________ Posizione politica prefigurata ____________________________________ ___________________________________ Tipo di uguaglianza richiesta ____________________________________ ___________________________________ C - GLI ______________________________ Obiettivo ____________________________________ Posizione politica prefigurata __________________________________ Tipo di uguaglianza richiesta ____________________________________ 44 qualche mese. Nel novembre 1647 un fatto nuovo pose fine a ogni discussione: Carlo I era fuggito e questa volta era riuscito a farsi accogliere da re in Scozia, portando dalla sua parte gli elementi presbiteriani più moderati. Iniziava una seconda fase della guer ra civile, che durò fino al settembre 1648, concludendosi di nuovo con la cattura del re. Carlo fu sottoposto a processo e condannato a morte per alto tradimento: il 30 gennaio 1649 per la prima volta nell’Europa moderna una rivoluzione ottenne la testa di un re. Nelle settimane successive furono rapidamente compiute tutte le riforme necessarie per arrivare alla repubblica (come l'abolizione della Camera dei lord) che venne proclamata il 13 maggio 1649 e in cui Cromwell e suoi programmi ebbero un ruolo centrale. L'opposizione dei livellatori e del loro leader John Lilburne, che avevano presentato ancora il loro programma democratico, venne domata facilmente da Cromwell; in effetti i livellatori non intendevano colpire la proprietà privata e quando nell'aprile 1649 comparve un gruppo con idee ancora più radicali il loro programma perse di consistenza. Questi ultimi venuti si facevano chiamare "zappatori" (diggers) ed erano comparsi sulla scena dissodando delle terre comuni incolte. Il loro capo Gerard Winstanley esprimeva idee comuniste sostenendo l’abolizione della proprietà privata della terra, ma i contadini poveri che lo seguivano volevano solo tornare al regime delle terre comuni che l’agronomia borghese, con le recinzioni e la proprietà privata, si stava apprestando ad abbattere. S e l a Rivoluzione inglese può essere letta come la prima manifestazione delle forme ancora attuali dello scontro politico fra opposte concezioni del potere e della società, tuttavia, non bisogna dimenticare che essa vide, nel contempo, anche un aspro conflitto di fedi e di posizioni religiose. Anzi, non è esagerato affermare che la Rivoluzione inglese fu anche una guerra di religione, né più né meno della lunga catena di scontri verificatisi nella Francia del Cinquecento o della guerra dei Trent'anni. Rispetto a questi due conflitti, l'unica differenza consiste nel fatto che, in Inghilterra, lo scontro più aspro non si verificò tra cattolici e riformati, bensì ebbe luogo fra contendenti che appartenevano tutti al campo protestante (anglicani, favorevoli alla presenza di una struttura religiosa gerarchica strettamente dipendente dal re, e puritani di ispirazione calvinista che rivendicavano il diritto della comunità di eleggere il proprio parroco). La fuga di _________________ e la nuova ______________________________ La vittoria dell’ _____________________ e di _____________ GLI ______________________________ rivoluzione e _____________________ LA SECONDA RIVOLUZIONE INGLESE E LE NUOVE FORME DELLO STATO Nel settembre del 1658 Cromwell morì e di fronte al fatto che i gruppi più radicali presenti nell'esercito sembravano riprendere nuovamente spazi, le classi sociali6 che avevano già ottenuto ciò che desideravano dalla rivoluzione prepararono la restaurazione monarchica accordandosi con Carlo II, figlio di Il ritorno della _______________________ Carlo I, il re condannato a morte. Si chiariva però che la restaurazione avveniva sulla base di un sostanziale e la________________________________ equilibrio di poteri fra il re e il parlamento. Infatti, il parlamento ottenne da Carlo II l'impegno, sancito con la Dichiarazione di Breda, a riconoscere le principali conquiste rivoluzionarie, a governare in accordo con il parlamento, a garantire la libertà religiosa. Il 29 maggio 1660, infine, Carlo Il fece un ingresso trionfale a Londra, senza che questo atto significasse l'inizio di una controrivoluzione, visto che il suo richiamo era stato voluto anche da chi riteneva sufficientemente solide le conquiste della rivoluzione tanto da preferire rischiare poco con un nuovo Stuart che molto con i repubblicani più accesi e i fautori del suffragio universale. 6 La gentry di campagna che aveva vinto sulle tradizioni agricole comunitarie con le recinzioni dei terreni, imponendo la proprietà privata, individualista, fondata sul lavoro salariato e orientata al mercato e al profitto, diventando il modello della conduzione rurale che avrebbe visto il definitivo affermarsi del capitalismo produttivo e i grandi mercanti, che con i loro traffici commerciali si preparavano a controllare i mercati mondiali. 45 Le aspettative andarono però presto deluse: Carlo II (1660-1685), pur senza violare apertamente l'impegno al rispetto delle prerogative del parlamento, si avviò a restaurare l'assolutismo e si avvicinò pericolosamente alla Francia, nazione cattolica e assolutista. Il pericolo di una involuzione politica e religiosa si aggravò quando, alla morte di Carlo II, salì al trono il fratello, cattolico, Giacomo II (16851688) che avrebbe potuto assicurare una successione cattolica al regno. Ora, di fronte al pericolo di una restaurazione cattolica, le forze politiche e le loro rappresentanze parlamentari misero da parte i contrasti e si allearono per porre fine al regno di Giacomo II: i deputati dei due opposti schieramenti (che si erano formati sul finire degli anni settanta e che rappresentavano le posizioni più moderate presenti durante il periodo rivoluzionario), dei whigs - espressione della gentry di campagna e degli affaristi della City, ostili all'anglicanesimo e fautori della libertà religiosa, nonchè della responsabilità del governo nei confronti del parlamento e non del re - e dei tories - grandi proprietari sostenitori della Chiesa anglicana e difensori della tradizione monarchica -, accantonarono i loro contrasti e nel 1688, tre anni dopo l'ascesa al trono di Giacomo II, offrirono la corona a un nobile olandese Guglielmo d'Orange e alla moglie Maria Stuart, figlia di religione anglicana dello stesso Giacomo. Questi sbarcarono nel novembre 1688 in Inghilterra, con un esercito di dodicimila uomini, e, senza incontrare alcuna resistenza, marciarono verso Londra dove il parlamento, constatata la fuga del re, dichiarò il trono d'Inghilterra vacante. Guglielmo e Maria accolsero l'offerta della corona e giurarono fedeltà alla Dichiarazione dei diritti (Bill of rights, febbraio 1689) nella quale sono I NUOVI SCHIERAMENTI Il tentativo di ______________________ __________________ di ______________ e di _______________________________ il pericolo della restaurazione __________ I nuovi ____________________________ _____________________ (vedi schema) L’offerta della corona a ______________ __________________________________ Il giuramento di fedeltà alla ___________ __________________________________ _______________________: 1 - ____________________: - gentry + _________________________________________ Forze _____________________________________________ - _____________________________ + parlamento = potere _____________________ e controllo _____________________ 2 _____________________: - ______________________________________________ conservatori - ______________________________ + ______________________________________________________________________ solennemente riaffermate le prerogative dei Comuni e indicati i limiti al potere del sovrano. Negli anni immediatamente successivi Guglielmo e Maria, d’intesa con il parlamento, rafforzarono le libertà dei cittadini inglesi, firmando importanti provvedimenti che riconoscevano la libertà religiosa ai dissenzienti protestanti (1689), fissavano la durata triennale dei Comuni (1694), eliminavano i vincoli alla libertà di stampa (1695), escludevano i discendenti di Giacomo Il dalla successione al trono (1701). La rivoluzione del 1688 - definita «gloriosa» perché incruenta - poneva definitivamente fine ai tentativi assolutistici della Corona e consolidava le tradizionali libertà dei cittadini inglesi, contribuendo a fare del Regno britannico l'ideale di Stato liberale e tollerante che intellettuali e politici degli altri Paesi europei celebreranno e proporranno a lungo come modello da imitare. I fondamenti teorici della gloriosa rivoluzione mantenevano comunque ben evidenti tre principi: il primo segnava la fine della sovranità assoluta del monarca e introduceva l'idea di patto o contratto fra il re e il popolo, costituito dal Bill of Rights. Gli altri due erano inseriti nella stessa dichiarazione. Da un lato vi era un complesso di procedure istituzionali che facevano del Bill un elemento chiave della costituzione inglese: l'attività legislativa spetta congiuntamente al re e al parlamento; solo quest'ultimo ha competenza a stabilire qualunque genere di imposte e a costituire un esercito in Il rafforzamento delle A - ______________________________ _________________, _________________ B - _______________________________ durata _______________ del parlamento 46 tempo di guerra. Era poi già acquisito che il governo dovesse avere la fiducia del parlamento e che il re non potesse sciogliere arbitrariamente le Camere: si capisce bene come per questa strada il sistema delle maggioranze parlamentari e dei due partiti fosse destinato a rafforzarsi e a diventare un altro elemento istituzionale. D'altro lato vi era il complesso delle garanzie alla libertà individuale, da quella religiosa a quella di parola; altri documenti costituzionali sanciranno in quegli anni la libertà di stampa e quella personale da procedure poliziesche arbitrarie (il cosiddetto habeas corpus). Meccanismi costituzionali e libertà hanno evidentemente molteplici legami fra loro, basti pensare all'inammissibilità di un esercito in tempo di pace. Ma tutto l'insieme della costituzione inglese può essere vagliato anche da un diverso punto di vista: legge elettorale, competenze finanziarie del parlamento e libertà hanno tutte la funzione di tutelare la proprietà privata I PRINCIPI FONDATIVI DEL NUOVO STATO: LA MONARCHIA ________________________________ 1 – fondato su _________________________________________________ (______________________________________________) 2 – funzionante sulla base di procedure ___________________ certe: - funzioni parlamento: _________________________________________________ (insieme al _______) __________________________________________________________________ ___________________________________________________________________ - ______________________________________________________________________________________________________ - ______________________________________________________________________________________________________ - legge elettorale: ___________________________: non elettiva Camera dei comuni: - ___________________________________________________________________________ - ___________________________________________________________________________ 3 – riconosce ______________________________ a - ________________________________________________________________________________________________________ b - ________________________________________________________________________________________________________ alla quale viene affidato un ruolo centrale in tutto il sistema. Sovranità condivisa fra re, lord e comuni, parlamentarismo, libertà e proprietà: ecco il solido reticolo programmatico della rivoluzione del 1688, più attenta ai risultati pratici che all'assoluto rigore teorico, sufficientemente idealista ma non tanto da dimenticarsi degli interessi più concreti e materiali. Bisogna aggiungere che prima della "gloriosa" rivoluzione alcuni whigs avevano espresso molte critiche fondate sulla legge elettorale, ma a cose fatte essa non venne modificata e mantenne tutti i suoi elementi di assurdità fino al 1832. Accanto alla Camera alta, con i lord e i vescovi anglicani, il parlamento aveva una Camera dei comuni eletta da un elettorato selezionato in base al reddito e che non arrivava alle 250.000 persone. Che gli elettori dovessero essere dei proprietari economicamente indipendenti era considerato dai whigs un elemento di sicurezza per il sistema politico, che giocava a favore della libertà: solo chi si trovava in questa situazione di indipendenza poteva partecipare con coscienza e libertà di scelta alla vita politica. Inoltre, come abbiamo già detto, il peso delle diverse circoscrizione appariva senza nessuna logica e proporzione dal momento che Londra e le altre città più importanti pesavano esattamente come una circoscrizione composta di poche case e sulla quale il lord locale aveva un'influenza determinante. 47 2.2 –IL CASO AMERICANO 3.1 Le forme della colonizzazione del continente nordamericano 3.2 La rivoluzione americana 3.3 La costituzione americana IL CASO AMERICANO LE FORME DELLA COLONIZZAZIONE DEL CONTINENTE NORDAMERICANO Circa un secolo dopo la conquista militare che impone il dominio spagnolo e portoghese sui territori e sulle popolazioni dell'America centrale e meridiona1e, prende avvio il lento processo di colonizzazione delle regioni dell'America settentrionale. Ad alimentare questo flusso migratorio non sono però i sovrani iberici con i loro eserciti, ma privati cittadini di nazionalità olandese e inglese - per 1o piú mercanti e membri di compagnie commerciali, dissidenti religiosi, aristocratici - che sbarcano sulle coste atlantiche in piccoli gruppi, si insediano creando villaggi e città, avviano attività produttive e commerci con le popolazioni locali. A differenza degli spagnoli che vedono nell'emigrazione in America l'occasione per arricchirsi accumulando bottini e sfruttando miniere e piantagioni, gli europei che si recano nell'America settentrionale nel corso del secolo XVII sono animati da spirito imprenditoriale e commerciale e, spesso, aspirano a stabilirsi nel Nuovo Mondo per dare vita a comunità improntate ai valori della religione puritana. Mentre dunque nell'America Latina si creano grandi vicereami che riproducono la società monarchica e aristocratica della penisola iberica, fondati sullo sfruttamento delle popolazioni locali (indios, neri, meticci) da parte dell'élite spagnola e dei loro discendenti (i creoli), nelle colonie inglesi del Nord America si forma una società per molti aspetti diversa da quella britannica: i colonizzatori appartengono spesso a gruppi sociali e religiosi non integrati nella società inglese che guardano all'America come a una terra di libertà, dove dare vita a quelle comunità civili e religiose che non hanno possibilità di creare in Inghilterra. In America essi sperimentano così forme di governo alternative e spesso opposte a quella monarchica e centralistica inglese: avvalendosi del diritto di autogoverno loro riconosciuto dalle carte di concessione regia, i coloni eleggono assemblee legislative, creano consigli rappresentativi, scelgono funzionari propri. A orientarli verso queste forme di democrazia è l'ideale puritano che ispira il sentimento di appartenenza a una comunità di eletti: ciascuno collabora alla realizzazione del autogoverno comune, contribuendo con il proprio onesto lavoro e la proprie capacità al sogno di una vita pacifica e ordinata. A temperare l'autonomia delle colonie è un governatore, nominato dal re o dal concessionario del diritto di colonizzare la regione, il quale può porre il veto sulle deliberazioni delle assemblee legislative dei coloni. L'assenza di un'aristocrazia dotata di poteri e privilegi e l'abbondanza di terre e risorse da sfruttare favoriscono il crearsi di una società che non conosce le enormi sperequazioni presenti in Inghilterra: i coloni sono spesso proprietari delle loro terre e quando non lo sono non conoscono i gravosi canoni in natura e le prestazioni d'opera che i contadini europei devono ai loro signori; sino a quando non si svilupperanno le grandi piantagioni di tabacco, cotone e canna da zucchero, nelle quali verranno impiegati braccianti e schiavi neri dell'Africa, i coloniali mostrano una omogeneità sociale sconosciuta all'Europa. I territori del Nord America che i coloni inglesi vanno occupando non sono di - La distruzione delle ____________________ sabitati: per prendere possesso delle baie e delle grandi pianure americane e fondarvi i primi insediamenti coloniali, gli inglesi devono scontrarsi con le tribú locali di indiani - presto denominati pellerossa per le pitture in ocra rossa che 48 LE FORME DELLA COLONIZZAZIONE DEL CONTINENTE AMERICANO Nord America Sud America ___________________ ______________________: Stato: _____________________ ___________________ a ___________________________________ b ___________________________________ c ____________________________________ Aspirazioni a _____________________________________ __________________________: b ____________________________________ a _____________________________________ b _____________________________________ ___________________ ___________________ Società diversa da _______________ _______________________________ 1 ____________________________________ 1- _____________________________________ 2 ____________________________________ 2 ______________________________________ perché: a _______________________________ b _______________________________ ___________________ ___________________ _______________________________________________________________________ recano sulla pelle - spingendole con le armi verso l'interno del continente. Lo scontro militare è però, almeno in un primo momento, assai meno distruttivo dell'impatto culturale: a contatto con la civiltà europea, con la sua economia di mercato e la sua tecnologia, le tribú di indiani assorbono infatti progressivamente costumi e aspirazioni che minano rapidamente le basi della loro sopravvivenza. Sino all'arrivo degli europei essi erano riusciti a mantenere il necessario equilibrio ecologico con l'ambiente: il loro rapporto con la natura escludeva ogni sfruttamento sistematico e intensivo; limitavano la caccia dei bisonti e della selvaggina per assicurarne la riproduzione e garantirsi una costante provvista di carni, ossa, pelli; pianificavano i disboscamenti per allargare il pascolo senza privarsi delle risorse delle foreste; sfruttavano i territori sino all'esaurimento e poi si spostavano verso territori non ancora coltivati. Quando vengono a contatto con i primi coloni - che in cambio di pellicce, pelli, legname e tabacco offrono armi, attrezzi, cavalli, alcool - gli indiani abbandonano l'economia di sussistenza che avevano praticato fino ad allora e si danno a uno sconsiderato massacro di mandrie, a un'indiscriminata opera di disboscamento. La penetrazione commerciale inglese mette così rapidamente in crisi l'economia indiana, basata non sull'accumulazione e sullo scambio, ma tesa all'uso diretto e comunitario delle risorse: intere tribù, coinvolte nella nuova logica del commercio e del profitto imposta dall'economia di mercato, si combattono per assumere il controllo dei nuovi traffici; gli antichi costumi e culti lasciano posto alle nuove 1 lo scontro _________________________ 2 la distruzione dell’economia ___________ _________________ e _________________ 3 la distruzione _______________________ 49 abitudini, tra cui spicca il consumo di alcolici, assunti forse per sfuggire alla crisi di identità che accompagna la distruzione della loro civiltà; le malattie importate dagli 3 la distruzione _______________________ europei, nei cui confronti gli indiani non hanno difese immunitarie, si aggiungono agli effetti dello squilibrio ecologico, dell'abuso di alcol, della penetrazione militare, falcidiando le popolazioni pellerosse. Come gli spagnoli due secoli prima, anche gli inglesi si affermano così sulle popolazioni americane, distruggendone la civiltà e imponendo la propria: l'attuale società angloamericana (non meno di quella latinoamericana) si costruisce sulle tradizioni europee, e semmai in parte su quelle importate dai neri d'Africa, ma non conserva alcuna traccia di quelle delle originarie popolazioni indiane d'America. Il lento e continuo procedere dei coloni verso l'interno costringerà le popolazioni 4 - _________________________________ indiane ad arretrare. Le prime notizie di battaglie fra indiani e coloni risalgono ai primi del Settecento, ma è nel corso del secolo successivo che gli scontri divengono sistematici. Il primo terreno di scontro sono le regioni sud-orientali Florida e Georgia - dove le tribù Cherokee e Seminole sono costrette a ritirarsi. Da allora la penetrazione dei pionieri è proseguita massicciamente e il destino degli indiani è stato quella della reclusione in riserve. LA RIVOLUZIONE AMERICANA Formatesi in tempi e modi differenti, abitate da popoli diversi per origine nazionale e fede religiosa, le colonie inglesi vanno sviluppando generi e forme di produzione differenti: in quelle settentrionali sorgono villaggi rurali ispirati all'ideale di vita puritano, aziende agricole a conduzione familiare dove si pratica la cerealicoltura e l'allevamento, città che divengono ben presto centri di produzione e importanti empori commerciali; nelle colonie del Sud, popolate per iniziativa di aristocratici e della Corona, si sviluppano piantagioni di tabacco, riso e più tardi cotone, lavorate da schiavi importati dall'Africa e controllate da un'élite di grandi proprietari. I rapporti commerciali delle colonie con la madrepatria sono assai intensi: il legname della Nuova Inghilterra, il ferro della Pennsylvania, la canapa della Georgia, il tabacco della Virginia, del Maryland, della Carolina del Nord lasciano i porti americani alla volta di quelli inglesi dove vengono lavorati e smerciati per poi essere esportati nel resto d'Europa e in America. Imponendo alle colonie la politica mercantilistica con cui difende e privilegia la propria economia, la Corona inglese subordina infatti le attività e i traffici coloniali ai propri: impone pesanti restrizioni ai commerci, proibendo ai produttori e ai mercanti americani di esportare se non in Inghilterra; concede a compagnie inglesi privilegi ed esclusive sul commercio di prodotti coloniali, come le pellicce; vieta il commercio con le colonie francesi e spagnole d'America, imponendosi come unica intermediaria nei traffici con quei Paesi; importa a basso costo dalle colonie materie prime che, lavorate in Inghilterra, sono poi rivendute ad alto prezzo agli stessi americani. Questa politica che danneggia l'economia delle colonie e compromette l'affermazione dei ceti imprenditoriali e commerciali americani provoca crescenti manifestazioni di scontento nei coloni che ora aggirano le proibizioni alimentando traffici di contrabbando, ora reclamano con veemenza una tutela dei loro interessi. L'opposizione alla politica mercantilistica inglese si accentua quando, all'indomani della guerra dei Sette anni (nella quale, tra il 1756 e il 1763, i coloni inglesi combattono contro i coloni francesi), il Parlamento britannico vara alcuni provvedimenti che riducono l'autonomia politica delle colonie, inaspriscono le restrizioni economiche e appesantiscono la pressione fiscale. Privi di una rappresentanza parlamentare che consenta di far valere i loro diritti, i coloni americani sono costretti a subire i provvedimenti che le Camere londinesi prendono a vantaggio dei sudditi inglesi e a loro danno; inefficaci restano i richiami dei coloni al principio costituzionale «nessuna tassa senza rappresentanza», L’economia _________________________ Lo scontro __________________________ Anni ________________ La riduzione _________________________ L’aumento __________________________ 50 con il quale oppongono al governo britannico il loro rifiuto di obbedire a disposizioni che provengono da un parlamento nel quale non sono rappresentati. Nel 1763 la «Legge sul confine» (Line Act) vieta l'estensione della frontiera oltre la catena dei monti Appalachi, impedendo ai coloni di espandere i loro insediamenti; nel 1764 la «Legge sullo zucchero» (Sugar Act), riprendendo precedenti Atti di navigazione, riafferma il tassativo divieto ai coloni di importare zucchero dalle Antille e, più in generale, da Paesi che non siano l'Inghilterra; nel 1765 la «Legge sul bollo» (Stamp Act) introduce a carico dei coloni tributi su un gran numero di atti giuridici e notarili, oltre che sulle pubblicazioni. Nel 1767, dopo che una violenta campagna di stampa e un ampio movimento di opinione pubblica hanno indotto il governo a revocare lo Stamp Act, una nuova legge impone una tassa su molte delle merci importate dai coloni americani. Il provvedimento, che grava direttamente sugli esportatori inglesi, ma viene da essi scaricato sui coloni con una maggiorazione dei prezzi, riaccende le reazioni di protesta degli americani che boicottano le merci d'importazione facendone crollare le vendite e si fanno sempre più consapevoli dell'insanabile contrasto di interessi con la madrepatria. Lo scontro, momentaneamente sopito, si riaccende nel 1773 quando il Parlamento inglese ritira i dazi da poco introdotti, con l'eccezione di quello sul tè: un gruppo di coloni esasperati si introduce allora su di una nave della Compagnia delle Indie orientali attraccata nel porto di Boston e riversa in mare l'intero carico di tè (7 dicembre 1773). La ripresa del boicottaggio delle merci d'importazione e la dura reazione del governo inglese avviano una spirale di violenze e ritorsioni e accendono un vivace dibattito politico sull'indipendenza dalla madrepatria. Nel corso del 1774 si tengono ovunque Convenzioni provinciali che esautorano le autorità britanniche; nel settembre il primo Congresso dei rappresentanti delle colonie, riunito a Filadelfia, ribadisce il rifiuto di ogni provvedimento del Parlamento inglese in violazione del diritto di rappresentanza dei coloni. Nel 1776, un secondo Congresso pone all'ordine del giorno il tema dell'indipendenza. La questione posta al centro del dibattito tra i rappresentanti riuniti a Filadelfia è la revisione dei rapporti con la madrepatria: inizialmente la maggior parte dei coloni non intende spingere il contrasto in direzione dell'indipendenza e preme per un ampliamento delle autonomie e delle libertà delle colonie. Di fronte all'intransigenza della corona, essi però si rendono presto conto dell'impossibilità di ogni compromesso e maturano la decisione di rendere le colonie indipendenti dal governo britannico. Le assemblee rappresentative - denominate Convenzioni - che nel frattempo vengono convocate in tutti gli Stati optano per la secessione e, una dopo l'altra, si proclamano indipendenti dall'Inghilterra. Una solenne Dichiarazione, approvata il 4 luglio 1776 da dodici Stati (il rappresentante dello Stato di New York si astiene), offre all'opinione pubblica mondiale una giustificazione della risoluzione presa dagli americani: richiamandosi al diritto di ogni uomo «alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità» che il governo inglese di Giorgio III non riconosce ai suoi sudditi d'America, i coloni, consapevoli di aver esperito ogni tentativo per vedere pacificamente tutelati i loro diritti, proclamano la loro indipendenza. Inevitabile la reazione militare, decisa dal Parlamento inglese che dà inizio alla guerra. Mentre il conflitto militare si allarga e l'intervento offerto a sostegno dei coloni dalla Francia (1778), dalla Spagna (1779) e dall'Olanda (1780) apre nuovi fronti anche nel continente europeo, l'esercito americano, comandato da George Washington (1732-1799), un ricco possidente della Virginia che si era distinto nella guerra dei Sette anni, tiene testa al più numeroso e meglio armato esercito inglese: riporta una iniziale vittoria a Saratoga (1777), subisce le dure rappresaglie degli inglesi che non esitano a compiere efferati massacri di coloni, consegue una decisiva vittoria a Yorktown (1781). Dopo un altro anno di conflitto, nell'autunno del 1782, il governo inglese avvia le trattative di pace che si concludono con il trattato di Versailles, stipulato nel Il boicottaggio _______________________ Anni ________________________ L’elezioni ___________________________ Il I Congresso ________________________ _____________________________ Il II Congresso: dall’______________________________ alla _______________________________ La _________________________________ Il __________________________________ La pace di _______________________ e il riconoscimento ______________________ 51 1783. In seguito a questo trattato l'Inghilterra riconosce l'indipendenza delle tredici colonie americane, concede un'ulteriore area di colonizzazione verso ovest, rinuncia ai domini del Senegal e delle Antille (ceduti alla Francia) e della Florida e di Minorca (consegnate alla Spagna). Una volta concluso il conflitto e ottenuta l'indipendenza, gli Stati americani si diedero una costituzione che definì l'architettura della nuova compagine statale. Durante la guerra d'indipendenza era stato sufficiente, per coordinare le attività delle colonie, un Congresso comune: alle colonie era stata lasciata ampia autonomia di governo e ciascuna si era data una propria carta costituzionale. Gli Articoli della Confederazione, una prima costituzione entrata in vigore nel 1781, dopo l'approvazione delle assemblee degli Stati, avevano assegnato al Congresso le sole materie della politica estera e della difesa, lasciando ai singoli Stati sovrani tutti gli altri poteri. La crisi economica che colpì gli Stati Uniti non appena fu ristabilita la pace pose rapidamente il problema di un profondo rimaneggiamento dell'assetto costituzionale: diversamente le tensioni sociali avrebbero distrutto la confederazione e comunque i singoli stati sarebbero caduti sotto il vassallaggio economico e politico di qualche potenza straniera. Il primo impulso alla rifondazione degli Stati Uniti venne dagli ambienti economicamente più progrediti del centro nord, che avrebbero desiderato dare alle loro industrie nascenti il supporto di un mercato nazionale unificato. Questi si dichiaravano apertamente a favore di un governo centralizzato e di una banca centrale capace di eliminare l'anarchia monetaria. Il newyorkese Alexander Hamilton (1755-1804), che guidava il partito federalista, si fece portavoce di quest’esigenza fin dall’inizio degli anni ottanta, ma la svolta decisiva avvenne solo quando anche i rappresentanti della classe politica del sud si convertirono al punto di vista riformista. La ribellione di alcuni ex combattenti della guerra di liberazione nel Massachusetts (1786-87) affrettò i tempi del dibattito e convinse anche i proprietari del sud della necessità di un governo centrale. A questo scopo nel 1787 venne convocata a Filadelfia una Convenzione che approvò la nuova costituzione federale degli Stati Uniti d'America. La portata storica della rivoluzione americana è legata proprio all’attività costituente che diede vita al nuovo stato, essa, infatti, con le rivoluzioni inglesi del secolo precedente, costituisce un momento fondamentale del processo che porta al superamento dello stato assoluto e alla formazione dello stato contemporaneo. Le due rivoluzioni inglesi, e la forma di stato affermatasi in seguito ad esse, hanno contribuito ad affermare due principi che contraddistinguono tuttora lo stato e i rapporto stato-cittadino: innanzitutto lo stato deve essere in grado di rappresentare i cittadini o almeno parte di essi. Il luogo in cui si concretizza questo principio è il Parlamento, dove si ritrovano i rappresentanti dei cittadini. Inoltre, nei rapporti fra cittadino e stato lo stato si impegna a difendere le libertà personali, tra le quali assume una particolare rilevanza quello della proprietà privata. La Rivoluzione Americana ha contribuito ad affermare altri due principi che caratterizzano lo stato contemporaneo: lo stato deve essere costituzionale, ossia avere una legge fondamentale di riferimento e, inoltre, all’interno dello stato i poteri devono essere divisi. Una costituzione è l'insieme delle norme fondamentali che stabiliscono le modalità di funzionamento delle istituzioni che detengono la sovranità statale. Con i due documenti del 1781 e del 1787 gli Stati Uniti aprirono l'era delle costituzioni scritte, ma non si può dire che uno stato che non possiede un testo scritto e unitario sia privo di costituzione. Anche in uno stato assolutista come la Francia non si poteva affermare che la sovranità si identificasse con la volontà della persona del re. Tanto meno si può dire che la costituzione non scritta della Francia avesse per oggetto solo i poteri del monarca. Infatti i giuristi e la nobiltà di toga consideravano come parte integrante dell'ordinamento statale anche i parlamenti, a cominciare da LA COSTITUZIONE AMERICANA L’attività _____________________________ La Costituzione del ____________ l’autonomia _______________________ La Costituzione del ___________________ il governo __________________________ 52 quello di Parigi, con i loro poteri di registrazione degli atti del re. Quando, nel 1787-88, il paese si avviò alla sua crisi istituzionale, ci si ricordò che anche gli Stati generali, che non venivano convocati dal 1614, erano una componente essenziale dell'assetto costituzionale, anche in mancanza di un documento scritto. In Inghilterra la costituzione era data da un insieme piuttosto complesso di testi scritti e pratiche consuetudinarie, che includeva l'antica Magna Charta (1215) o il più recente Bill of Rights del 1689, ma anche dalle regole non scritte che stabilivano le competenze del parlamento e i rapporti fra esso e il governo del re. Ciò non significa che non vi siano differenze sostanziali fra una costituzione non scritta e una scritta. In entrambi i casi è certamente implicita una distinzione più o meno netta fra le leggi ordinarie, che possono essere sempre mutate da una nuova legge, e l'ordinamento statale supremo; ma mentre nel primo caso la sacralità è data da un'antichità di lunghissima data, nel secondo si deve fare ricorso a quel diverso tipo di legittimazione che è la sovranità popolare. L'Inghilterra moderna, nata dal compromesso politico del 1688, è fondata allo stesso tempo su entrambi i principi; ma negli stati americani non c'era nessuna monarchia e aristocrazia di sangue con cui dover fare i conti. Questa situazione rispecchiava perfettamente il principio giusnaturalistico, presente tanto in Locke che in Rousseau, che presume un patto sociale all'origine di qualsiasi istituzione statale. Un'assemblea costituente, che deriva i suoi poteri esclusivamente dal popolo, viene delegata a stipulare a suo nome il patto fondamentale che sarà trasferito nel documento scritto; inoltre i costituenti, essendo liberi per definizione da qualsiasi obbligo verso precedenti tradizioni, potranno ispirare le loro scelte alla retta ragione e costruire un ordinamento statale che esprima totalmente i grandi IL CONTRIBUTO DELLE RIVOLUZIONI INGLESE E AMERICANA ALLA FORMAZIONE DELLO STATO MODERNO - Rivoluzioni _________________: 1 - _______________________________________________________________________________________________________ 2 - _______________________________________________________________________________________________________ - Rivoluzione _______________: 1 - _______________________________________________________________________________________________________ 2 - _______________________________________________________________________________________________________ - Costituzione: contenuti: 1 - _______________________________________________________________________________________________ 2 - ________________________________________________________________________________________________ Caratteristiche: - ________________________________________________ - ________________________________________________ - _________________________________________________ - Divisione ____________________________: Parlamento = ___________________________________ Presidente = _________________________________ Parlamento non può ______________________________ Presidente non può ____________________________ 53 principi, quali quelli indicati da Thomas Jefferson (1743-1826)7, l'eguaglianza e il diritto alla libertà e alla ricerca della felicità. Realizzazione dell'utopia razionale e ingegneria sociale cosciente sono perciò alla base del movimento costituzionalista moderno iniziato con l'assemblea di Filadelfia. La costituzione del 1787 accolse solo in parte l'esperienza del sistema parlamentare inglese e si ispirò piuttosto alla dottrina di Montesquieu sulla divisione dei poteri: un congresso formato da due Camere avrebbe avuto il potere legislativo, mentre quello esecutivo doveva toccare a un presidente eletto da un collegio di grandi elettori appositamente costituito e a sua volta eletto a scrutinio popolare. La divisione dei poteri veniva attuata escludendo l'ipotesi di uno scioglimento anticipato delle Camere da parte del presidente ed escludendo, ugualmente, che il presidente potesse essere rovesciato da un voto di sfiducia delle Camere. Infatti entrambi i poteri derivavano dal popolo e la loro durata era rigidamente stabilita alla costituzione. Due anni dopo l'elezione del primo presidente la costituzione fu completa con l'aggiunta di dieci emendamenti, che, andando incontro alla richiesta degli stati contrari a un eccesso di accentramento federale, garantivano il complesso dei diritti di libertà dell'individuo (in fatto di religione, libertà personale e stampa). Il numero dei membri del primo ramo del congresso, la Camera dei rappresentanti, doveva essere distribuito fra i diversi stati in rapporto all'entità della loro popolazione. Gli schiavi neri erano esclusi dal diritto di voto, ma gli stati schiavisti avrebbero voluto che essi entrassero nel computo della popolazione (più di un quarto degli abitanti della Virginia erano schiavi); infine fu raggiunto un compromesso che consisteva nel considerare cinque schiavi come pari a tre cittadini. II vero problema da risolvere era però quello di un ragionevole equilibrio fra il potere dello stato federale e dei singoli stati, visto che l'ipotesi di uno stato centralizzato era considerata come un passo pericoloso nella direzione dell'assolutismo. La costituzione assicurava allo stato federale i pieni poteri in materia di commercio estero e di circolazione monetaria e proibiva espressamente ai singoli stati di emettere titoli di credito o cartamoneta. La tutela dei diritti degli stati, e in particolare di quelli più piccoli, era assicurata con l'istituzione di un sistema bicamerale completamente diverso da quello inglese: mentre la distribuzione dei posti nella Camera dei rappresentanti sarebbe stata proporzionale al peso demografico degli stati, in senato ciascuno di essi avrebbe avuto due rappresentanti e si sarebbe ristabilita l'uguaglianza fra gli stati, resa ancora più significativa per le importanti funzioni di controllo nella politica estera che erano attribuite al secondo ramo del congresso. Le libertà ____________________________ La legge ______________________: il voto ______________________________ _ Il potere _____________________________ Equilibri tra ___________________ e le due _____________________________ 7 Thomas Jefferson, diede un contributo essenziale alla stesura della Dichiarazione d’indipendenza, approvata il 4 luglio 1776, in cui vi è il richiamano al diritto di ogni uomo «alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità». Con Alexander Hamilton e George Washington è considerato uno dei padri fondatori dello stato americano di cui è stato, come Washington presidente. 54 3 - I rapporti internazionali nel XVI e XVIII secolo In età medioevale la politica internazionale, come quella interna, era dominata dalle grandi famiglie della nobiltà feudale, anche i contrasti internazionali assumevano quindi la forma di contrasti interni alla nobiltà, come avvenne, ad esempio, nel caso della Guerra dei Cent’anni tra il re francese e il re inglese che era suo vassallo. Il rafforzamento delle strutture statali attorno alle case regnanti in età moderna trasformò i conflitti in conflitti tra nazioni. A loro volta i conflitti internazionali hanno contribuito alla formazione degli stati nazionali, in quanto non solo i conflitti hanno avuto un ruolo determinante nella definizione dei confini nazionali, ma anche perché, richiedendo le guerre ingenti risorse economiche, hanno stimolato la formazione dell’apparato burocratico statale per la gestione di tali risorse; inoltre lo stato di guerra, nella misura in cui richiede decisioni pronte e attuabili su tutto il territorio, ha finito per rafforzare gli apparati governativi che tali decisioni sono chiamati a prendere; infine perché in uno stato di guerra l’identificazione tra cittadino e stato è favorita dalla presenza di un nemico comune. Nella prima metà del Seicento i conflitti internazionali assunsero la forma di conflitti religiosi tra cattolici e protestanti, avendo spesso come epicentro l’attuale Germania, proprio perché lì erano più laceranti le divisioni religiose e inoltre perchè non vi era una struttura statale a livello nazionale. Il maggiore conflitto del Seicento fu , infatti, la Guerra dei Trent’anni (1618-48) che ebbe come teatro principalmente l’area tedesca e che assunse la forma di conflitto tra protestanti e cattolici, ma che in realtà, come sempre nelle guerre tra nazioni, aveva tra i suoi obiettivi l’assunzione dell’egemonia politica, economica e militare sul continente; in particolare vi era la volontà, da parte di Francia e Inghilterra, di controllare il commercio dei cereali provenienti dai Paesi Baltici e dell’Est, prima controllato dalle città tedesche. Nella seconda metà del ‘600 i principali conflitti ruotarono attorno alle guerre del re sole, Luigi XIV, nel cui regno (1670-1714) ci furono almeno altri trent’anni di guerra, dettate soprattutto dalla volontà dello stato francese di approfittare della debolezza della Spagna per imporre la propria egemonia sul continente. Nel delineare un quadro delle conseguenze complessive avuto dalle guerre seicentesche possiamo evidenziare innanzitutto la trasformazione della Spagna da stato egemone a stato marginale. Durante il ‘500 la Spagna era stata, grazie all’oro proveniente dall’America del sud, la maggiore potenza militare; queste risorse non furono però investite nelle manifatture o nell’agricoltura, per cui l’esaurimento delle miniere americane si tradusse in un impoverimento della Spagna e nella sua marginalizzazione politica e militare. L’indebolimento della Spagna è reso evidente dalla conquista dell’indipendenza da parte dei Paesi Bassi e dalla perdita del controllo sull’Italia. All’egemonia continentale della Spagna si sostituì così quella della Francia di Luigi XIV che in questo periodo costituisce non solo la maggior potenza militare, ma anche il modello istituzionale per la maggior parte degli stati europei. Inoltre gli Asburgo d’Austria, venendo definitivamente estromessi dal controllo degli stati tedeschi pur conservando il titolo di imperatore, finirono per rivolgere il loro espansionismo verso l’Italia e i paesi balcanici, avviando la costruzione dell’Impero Austro-Ungarico, che sarà uno dei protagonisti della politica continentale sino alla Prima Guerra Mondiale. Infine, i conflitti seicenteschi segnarono un allargamento dell’Europa, intessa come entità politica, economica, culturale. Nel primo Medioevo la civiltà europea era localizzata tra Italia, Francia e Inghilterra, la ripresa dopo il Mille coincise con la cacciata degli arabi dalla Spagna e con la conseguente estensione della civiltà europea alla penisola iberica. L’espansione europea avvenne poi verso est con la progressiva cristianizzazione dell’area tedesca. Nel Seicento, divenendo protagoniste delle guerre europee, si inserirono nell’area europea nuove entità statali, quali la RAPPORTI INTERNAZIONALI NEL XVI E XVIII SECOLO Conflitti internazionali e _______________ ___________________________________ 1 __________________________________ 2 __________________________________ ___________________________________ 3 __________________________________ ___________________________________ 4 __________________________________ 55 Danimarca e la Svezia. L’europeizzazione di queste nuove realtà statali è sottolineata anche dal fatto esse tendevano ad assumere la forma della monarchia assoluta. Nel Settecento i principali conflitti non avvennero più, come nei due secoli precedenti, tra Francia e Spagna, ma tra Francia e Inghilterra e furono sostanzialmente causati da due motivi: la volontà di assumere il controllo Gli effetti della presenza dell’esercito sabaudo a Savigliano nell’inverno 1645-46 In quel mentre Savigliano patì nuova e lagrimevole carestia (1644), dovette mantenere di continuo guarnigioni prepotenti e gravosi quartieri d'inverno del reggimento guardie di M. R., comandato dal signor di Senantes e dal colonnello Monti, i quali minacciavano più volte spese, esecuzioni ed eccessi; subì levate cospicue di grano e sostenne infinite molestie. Al 27 gennaio 1645 il presidio era solo di 284 piazze effettive, che dì per dì costavano alla Città lire 150, ma sua maestà fe' dire dal presidente Filippa al novello conte Giulio Cesare Viancino che intendeva aumentarle. II Consiglio ne la supplicò della esenzione « perchè avrebbe levata l'esistenza ai particolari che alloggiano » e che volesse anzi alleviarli delle prime perchè « in difetto di tal discarico la Città » dice desso « non è che per soccombere e dar l'ultimo crollo». Tant'è che lasso ed esasperato ognuno dalla fame, dalla miseria e dagl'insopportabili balzelli, nei primi giorni di febbraio 1645, al vedersi chiedere una tassa municipale sulle arti e mestieri, i colpiti da questa si sollevarono tumultuosamente, insultarono con vituperi il presidente D. Ottavio Ruffino come sindaco, nonchè il maggiore del colonnello Monti e l'alfiere della compagnia del capitano Marazzano perchè la riscuotevano. Ricorse il Municipio al Senato e sottomise i rivoltosi ad una soddisfazione verso le oltraggiate autorità … In quel medesimo tempo il colonnello di Senantes porse giudiziale dimanda alla Città dello sborso di lire 10 500, che diceva doversegli sino a quel dì. Il Consiglio unanime delibera che riuscendo impossibile sodisfarlo perché « attesa l'estremità dei tempi non trova denaro, ordina che se gli offrano in paga grani, gioie, cavalli o cascine, eziandio feudali, ed altri effetti, che bastino, eleggendo per trattare la cosa il conte Alessandro Ferrero e Francesco Oggero rettori, il conte D. Melchior Beggiami, il conte Giulio Cesare Viancini e Giandomenico Trucchi. Chiesero essi una dilazione per provvedersi, ma levossi invece il colonnello Monti a far esecuzioni arbitrarie e forzose a danno degli agricoltori. Per aggiustare la cosa col Monti impose il Municipio un diritto di macina ad un soldo l'emina . Savigliano – Palazzo Taffini d’Acceglio. Affreschi del salone d’onore realizzati da G. A. Molineri (1640 circa) raffiguranti le battaglie vinte da Vittorio Amedeo I tra il 1617 e il 1637. Savigliano fortificata - Incisione 1675 da C. Turletti “Storia di Savigliano”, 1879 dell’Europa e le rivalità commerciale, perché entrambe volevano sostituire la Spagna come potenza coloniale. A questa rivalità commerciale sono legate due nuove caratteristiche dei conflitti internazionali: la tendenza a minimizzare le motivazioni religiose dei conflitti che si rivelano di natura economica, nonché per la prima volta i conflitti europei coinvolsero altri continenti (America in particolare). Per quanto riguarda le conseguenze complessive dei conflitti settecenteschi possiamo ricordare che l’Inghilterra, che nel ‘600, era rimasta al di fuori dei conflitti internazionali anche perché coinvolta in conflitti interni (le due rivoluzioni inglesi), acquistò una posizione egemone a livello mondiale, fondata sulla sua flotta navale; vi fu la comparsa di nuovi protagonisti tra cui la Prussia, che iniziò a imporre la sua egemonia sull’area tedesca che la porterà, nell’Ottocento, a guidare il processo di unificazione nazionale, e la Russia, che iniziava a giocare un ruolo rilevante sulla scena europea; infine proseguiva il processo di balcanizzazione dell’Austria, costretta ad abbandonare l’Italia meridionale e quindi ad espandersi maggiormente verso est, favorendo in questo modo l’entrata nell’orbita della civiltà europea dell’intero continente geografico. Tra le guerre del Sei-settecento ebbero particolare rilevanza per l’Italia la cosiddetta guerra di successione spagnola (1702-1713), le cui conseguenze furono la sostituzione del dominio spagnolo con quello austriaco (il Meridione, il lombardo- 56 veneto e la Sardegna) e l’annessione al Ducato di Savoia del Monferrato e della Sicilia (i Savoia e gli Asburgo d’Austria si scambiarono la Sicilia e la Sardegna nel 1718), nonché la guerra di successione polacca (1733-38), in seguito alla quale l’Austria cedette il regno di Napoli e la Sicilia a Carlo di Borbone- Spagna. Se volgiamo la nostra attenzione alle forme assunte dalla guerra tra Sei-settecento possiamo innanzitutto osservare che la guerra costituì una vera e propria attività I RAPPORTI INTERNAZIONALI NEL XVI E XVIII SECOLO Età feudale: scontra tra _________________________________ Età moderna: scontro tra ___________________ XVI- XVII: forma dei conflitti: _________________________________________________________________________________ protagonisti: ______________________________________________________________________________________ conseguenze: 1- ___________________________________________________________________________________ 2- ___________________________________________________________________________________ 3- ___________________________________________________________________________________ 4- ___________________________________________________________________________________ XVIII: nuove caratteristiche conflitti: 1 - _____________________________________________________________________ 2 - _____________________________________________________________________ conseguenze: 1- ___________________________________________________________________________________ 2- __________________________________________________________________________________ 3- ___________________________________________________________________________________ Le forme della guerra in età moderna: 1 -_______________________________________________________________________________________________ 2-________________________________________________________________________________________________ 3 -_______________________________________________________________________________________________ 4 - _______________________________________________________________________________________________ economica per i privati, infatti i comandanti degli eserciti, spesso nobili, investivano i loro capitali per organizzare un esercito di mercenari che mettevano poi al servizio dei re. La guerra assumeva sempre più la forma della guerra di inseguimento, in quanto gli eserciti si spostavano da un luogo ad un altro, attraversando l’Europa da nord a sud e viceversa, accettando raramente battaglie campali. In questo tipo di guerre le conseguenze per i civili erano terribili: nel loro continuo spostarsi gli eserciti, oltre a perpetuare violenze, facevano razzie delle risorse impoverendo le popolazione e spesso la loro mobilità era occasione di diffusione di epidemie. Anche per questi motivi la maggior parte dei conflitti internazionali dell’epoca finiva più che per la rilevanza delle vittorie militari per l‘esaurirsi delle risorse dei contendenti. Nel Settecento iniziò anche per gli eserciti un processo di inquadramento, che prevedeva l’imposizione di una maggiore disciplina; apparvero così i primi eserciti basati sulla coscrizione, ovvero sull’obbligo dei cittadini di esercitare il servizio militare per un certo periodo. Queste nuove forme di esercito comparvero in Svezia e Prussia, ma il loro sviluppo fu alquanto limitato, sia dall’alto costo, sia, soprattutto, dall’impossibilità di dar vita alla complessa organizzazione necessaria. 57 4 – L’OLANDA E L’INIZIO DEL CONTROLLO EUROPEO SULLE RISORSE DEL MONDO 4.1 La nascita della repubblica olandese e la guerra con la Spagna 4.2 Il dominio commerciale e le nuove forme del colonialismo 4.3 Lo scontro con l’Inghilterra e l’inizio della decadenza L’affermazione del dominio asburgico spagnolo ad opere delle vicende ereditarie che portarono alla costituzione dell’impero di Carlo V comportarono l'unificazione dei Paesi Bassi che comprendevano le province meridionali (Anversa, Bruges, Gand, ovvero l’attuale Belgio), che nel Cinquecento rappresentavano sicuramente il motore dello sviluppo economico europeo, e le province settentrionali (l’attuale Olanda) che nel XVI secolo erano un po' meno popolate e contavano indici assai inferiori di sviluppo urbano, manifatturiero e commerciale. Sotto Filippo II si avviò nel corso del Cinquecento una dura opera di repressione contro quanti aderivano alla Chiesa riformata; la resistenza all’opera di Filippo II diede l’avvio a quella che passerà alla storia come guerra degli Ottant'anni (1568-1648), spesso interrotta da tregue e accordi, che già nel corso degli anni settanta portò alla scissione tra le province del Sud e quelle del Nord. Gli estremismi dei calvinisti e le continue rivolte impaurirono i nobili cattolici delle province vallone (Sud) tanto da convincerli, nel 1579, a costituire l'unione di Arras. La risposta delle province settentrionali fu immediata, e, nello stesso anno, Olanda, Zelanda, Utrecht, Frisia, Gheldria, Overijssel e Groninga, costituirono l'unione di Utrecht. Dalla rivendicazione del semplice diritto alle proprie tradizionali libertà, si passò alla richiesta d'indipendenza dalla corona spagnola; e la frattura si fece irreparabile. I Paesi Bassi si divisero in modo netto: le province del Nord, nel 1581, si dichiarano indipendenti e proclamano la decadenza del re di Spagna, dando poi vita, nel 1588, alla Repubblica delle Province Unite, mentre i Paesi Bassi meridionali rientrano nei ranghi rimanendo sotto il dominio degli spagnoli fino al 17128. All'inizio della rivolta antispagnola, nel 1566, il meridione di Anversa e di Bruges era certamente più borghese e più calvinista dell'Olanda e della Zelanda. A quella data Amsterdam aveva forse 20.000 abitanti ed era uno dei tanti porti minori dei Paesi Bassi, dove attraccavano le navi provenienti dal Baltico, cariche di grano polacco o di legname e ferro svedese. Ma di fronte alla violenta repressione delle truppe spagnole, decine di migliaia di calvinisti, appartenenti a tutti i gruppi sociali, erano fuggiti verso il nord, portandosi dietro le loro abilità commerciali e industriali insieme al rigorismo della loro religione e alla certezza di essere nel numero dei predestinati. Gli stessi mercanti e finanzieri stranieri avevano lasciato Anversa per Amsterdam e già verso il 1620 quest'ultima era arrivata a più di 100.000 abitanti, divenuti 180.000 a fine Seicento. Questa rapida crescita di Amsterdam avvenne nonostante le numerose epidemie di peste del periodo 1617-65. In larga misura l'Olanda si limitò a ereditare le funzioni economiche da secoli tenute dai Paesi Bassi meridionali. Prendiamo il caso della produzione di tessuti di lana: dopo la riconquista spagnola, la città tessile fiamminga di Hondschoote non riuscì più a ritrovare il livello delle 40000 pezze annue raggiunto verso il 1560 e dopo il 1630 cadde velocemente al di sotto delle 100.00. Per contro la città olandese di Leida si riprese subito dalle conseguenze della guerra e già verso il 1580 aveva ripreso i livelli del 1566, raddoppiando poi (da 50.000 a 100.000 pezze annue) il proprio volume produttivo nel periodo 1590-1630 e toccando nel 1664 il proprio 8 Nel 1712, in seguito alla guerra di successione spagnola, il Belgio passò sotto il dominio degli Asburgo d’Austria a cui vennero tolti dal Congresso di Vienna (1815) per essere uniti all’Olanda, da cui, una volta divenuta una della prime zone industriali dell’Europa continentale, ottenne l’indipendenza nel 1830. 58 record con oltre 140.000 pezze. Lo stesso si può dire per il ruolo di grande centro di ridistribuzione europea dei prodotti del grande commercio internazionale: Amsterdam sostituì in pieno Anversa come grande emporio dei prodotti del Baltico o del Mediterraneo, delle spezie del lontano Oriente o dei tessuti olandesi e inglesi. Già intorno al 1620 il peso economico di Amsterdam e dell'Olanda era assai superiore a quello che avevano sessant'anni prima Anversa e i Paesi Bassi meridionali. Più ancora che allargare la dimensione dell'economia produttiva e commerciale, gli olandesi erano riusciti a imporsi sostituendosi a diverse vecchie potenze mercantili che apparivano ora in declino, ampliando sempre più questa politica dopo il 1620. Nel Baltico la decadenza delle città tedesche era una realtà consolidata ormai da generazioni: le piccole repubbliche tedesche avevano dovuto cedere i loro privilegi economici e le loro autonomie politiche di fronte alla forza crescente degli stati svedese e polacco-lituano. Dal 1580 al 1620 le navi olandesi erano passate dal 60 all'80 per cento del totale di quelle che traversavano annualmente il mar del Nord. Ma i mercanti olandesi portavano i prodotti baltici anche in Belgio, in Inghilterra e più lontano, fino a Lisbona e Siviglia; di più, essi entrarono prima del 1600 nello stesso Mediterraneo, facendo concorrenza ai veneziani nei rapporti commerciali con l'Impero ottomano. Il caso più clamoroso di sostituzione degli olandesi fu però la loro espansione commerciale nell'oceano Indiano a danno dei portoghesi, dove in realtà gli olandesi non si limitarono a sostituire i lusitani dando vita, come diremo, a nuove forme di colonialismo destinate a caratterizzarne lo sviluppo. L'esperienza di navigazione degli olandesi era ancora limitata, verso il 1590, al Baltico e al mare del Nord, dove essi partecipavano alla pesca delle aringhe, che venivano poi salate, chiuse in barili e rivendute ovunque in Europa; più di rado gli olandesi si spingevano in Atlantico per pescare il merluzzo. Proprio in quegli anni essi cominciarono a padroneggiare la rotta per il Mediterraneo e nel 1595 tenteranno l'impresa maggiore, portando una loro flotta fino a Giava e procurandosi un gran carico di pepe e spezie senza bisogno di rivolgersi a Lisbona. Le successive flotte partite dal 1598 al 1602 dettero tutte ottimi risultati commerciali, ma soprattutto riuscirono a trovare una nuova rotta verso Giava senza far scalo nelle basi portoghesi in Africa orientale. Nel 1602 i mercanti olandesi impegnati in questi primi viaggi nell'oceano Indiano fecero riconoscere ufficialmente dagli stati generali, l'organo assembleare che coordinava il governo delle sette Province Unite, il loro monopolio dei commerci con quel mare e crearono la Compagnia riunita delle Indie orientali. Non era il primo caso europeo di compagnia commerciale monopolistica, con un capitale sociale in azioni liberamente negoziabili. La novità stava piuttosto nell'enormità del capitale sociale iniziale, quasi sei milioni e mezzo di fiorini, messo a disposizione per il 50 per cento dai mercanti di Amsterdam. Chi acquistava azioni della Compagnia partecipava ormai non soltanto ai rischi e ai profitti delle sue attività economiche, ma a una vera e propria guerra commerciale contro le posizioni portoghesi, non meno dura di quella che un secolo prima i portoghesi stessi avevano condotto contro i mercanti arabi. Il Portogallo, sotto la stessa corona di Spagna, era formalmente in guerra con l'Olanda, ma l'aggressività olandese contro i portoghesi durò oltre la pace provvisoria del 1609 e giunse infine, verso il 1665, ad annientare quasi per intero l'impero commerciale dei concorrenti lusitani. La presenza portoghese, in effetti, non aveva provocato particolari sconvolgimenti in Indonesia, e meno ancora in India, e la storia di questi paesi aveva continuato a procedere secondo leggi e tradizioni interne piuttosto che sotto l'ancora debole influenza europea. Anche dal punto di vista commerciale i portoghesi avevano dovuto rinunciare alla pretesa di monopolizzare l'intero traffico delle spezie e, al momento dell'arrivo degli olandesi, essi erano solo uno degli elementi di un sistema molto complesso nel quale agivano con peso assai maggiore mercanti cinesi, arabi al servizio degli ottomani, malesi, indiani e, infine, musulmani e indù 59 dell'Indonesia. Gli olandesi si inserirono con estrema brutalità in questo sistema commerciale che l'evoluzione dei regimi politici indonesiani rendeva abbastanza instabile. La Compagnia riunita, agendo come un vero e proprio stato, dichiarò guerre e stipulò trattati, alleandosi di volta in volta secondo le necessità con i principi di Giava o di Sumatra e combattendo con uguale violenza i propri concorrenti per strappare il monopolio del commercio del pepe e delle spezie, e per controllare anche territorialmente le Molucche; così, oltre che i portoghesi, essi combatterono i mercanti cinesi. L'oceano Indiano si era del resto aperto ad altre presenze europee, gli inglesi prima di tutti e in minor misura i danesi e i francesi. La guerra per il dominio delle Molucche durò più di vent'anni. I concorrenti europei e di ogni altra razza furono eliminati senza esitare, per raggiungere lo scopo, a ricorrere ai mezzi più drastici. I portoghesi si erano sempre comportati come mercanti, acquistando e vendendo le spezie; gli olandesi volevano anche controllare la produzione e, per costringere gli abitanti delle Molucche a coltivare esclusivamente noce moscata e chiodi di garofano, distrussero le loro colture alimentari, procedendo poi con massacri, deportazioni e riduzioni in schiavitù di fronte ai prevedibili tentativi di ribellione. La presenza commerciale degli olandesi nell'oceano Indiano si rivelò subito molto più complessa di quella portoghese. La Compagnia olandese, infatti, non si limitava a portare ad Amsterdam e in Europa i prodotti dell'Estremo Oriente, ma si accaparrò, scavalcando i concorrenti asiatici, anche una parte consistente dei traffici interni all'Asia sudorientale, scambiando, per esempio, le spezie di Giava e di Sumatra con i tessuti di cotone e di seta indiani o con le porcellane cinesi; i profitti così ottenuti riducevano di molto la necessità di importare metalli preziosi dall'Europa per saldare i pagamenti. Quanto al commercio con l'Europa, le cifre in nostro possesso ci fanno constatare facilmente che fra il 1600 e il 1640 il ruolo dei portoghesi venne annientato: gli arrivi di pepe olandese ad Amsterdam passarono dalle 1.000-1.200 t intorno al 1620 alle 2.500-3.000 nel 1640-50. Ciò che va sottolineato è che a metà Seicento non esisteva più un ramo mediterraneo del commercio delle spezie, con il suo centro a Venezia. L'apertura della rotta olandese verso l'Indonesia aveva avuto conseguenze rivoluzionarie: i traffici arabi verso il golfo Persico e il mar Rosso erano praticamente scomparsi e i veneziani, che non trovavano più pepe da acquistare ad Alessandria e nei porti di Siria, avevano dovuto cominciare a rivolgersi ad Amsterdam. Era questo un evidente segno della perdita di importanza del commercio nel bacino del Mediterraneo a favore della atlantizzazione dell’economia mondiale. Per completare il quadro della potenza commerciale olandese dobbiamo tenere conto ancora di un settore geografico, quello americano. Nel 1609 Henry Hudson, un navigatore inglese al servizio della Compagnia olandese delle Indie orientali, costeggiò l'America settentrionale dal 37˚ al 41˚ di latitudine nord, alla ricerca del passaggio a nordovest. Venivano così gettate le prime basi della colonia olandese di Nuova Amsterdam, destinata a durare fino al 1664, anno in cui venne ceduta all'Inghilterra, che la ribattezzò New York.. Ma le zone di maggiore interesse nell'oceano Atlantico si trovavano più a sud, nell'America spagnola. Nel 1621 fu creata in Olanda una seconda Compagnia, quella delle Indie occidentali. Per diversi anni essa si limitò a compiere atti di pirateria contro le flotte spagnole, arrivando nel 1628 a catturare l'intero convoglio diretto a Siviglia, che portava un carico di 80 tonnellate d'argento. Due anni più tardi gli olandesi misero piede in Brasile, togliendo Recife ai portoghesi. Questo nuovo conflitto per il Brasile era in realtà un conflitto per le sue piantagioni di zucchero, la cui espansione era limitata solo dalla difficoltà di trasportare sul luogo un numero sufficiente di schiavi negri. Il Brasile olandese durò solo fino al 1654, quando Recife tornò in mano al Portogallo; ma l'affare dello zucchero non si chiuse lì. La Compagnia delle Indie occidentali abbandonò la guerra per il commercio e cominciò 60 a rifornire i coltivatori portoghesi di schiavi negri, anche perché intanto le imprese di Amsterdam si accorgevano che si traevano più elevati profitti dalla raffinazione dello zucchero che dalla sua coltivazione. La tratta degli schiavi rimase comunque uno degli “affari” principali dei mercanti olandesi integrato in un circuito economico internazionale che consisteva nell’esportazione di manufatti dall’Europa all’Africa, dove sulla costa della Guinea avveniva l’acquisto o la cattura degli schiavi da trasportare in America per averne in cambio minerali o i prodotti delle piantagioni da portare in Europa. II ruolo degli olandesi non si esaurì quindi nella loro capacità di sostituirsi ai vecchi domini declinanti in quanto essi da un lato gestirono il traffico degli schiavi, come appena detto, consentendo le nuove forme di sfruttamento (le piantagioni che andavano sostituendo la ricerca dell’oro e dell’argento) del Nuovo mondo, mentre dall’altro non si limitarono a controllare i flussi commerciali da e per l’Europa, ma seppero inserirsi, fino a diventarne il perno essenziale, nei traffici commerciali interni all’Asia, finendo per controllarne le attività economiche anche là dove non erano riusciti, come nelle isole Molucche, a subordinarle completamente all’economia europea (vedi anche cap. seguente). Il planisfero mostra la dislocazione dei possedimenti e delle rotte commerciali olandesi. La linea continua rappresenta le rotte commerciali, mentre il tratteggio i percorsi dei più celebri viaggi di esplorazione nell’emisfero boreale, oltre il Circolo Polare Artico e nell’emisfero australe Oltre a questi importanti mutamenti che contribuirono ad aumentare il controllo europee sulle risorse mondiali, nell’azione dei mercanti olandesi sono presenti anche altri elementi di novità. A volte si tratta di un semplice allargamento di mercati già esistenti, come è il caso del pepe e delle spezie, al cui uso furono conquistate l'Europa centrorientale e la Russia. A volte il salto quantitativo ha un significato ancora più netto: è il caso dello zucchero, che esce dai centri di raffinazione olandesi e diventa un elemento abituale dell'alimentazione europea. Pensiamo ancora alla banca di Amsterdam, creata nel 1609. II ruolo della banca pubblica9 era quello di intervenire al servizio dello Stato, salvandolo dai rapporti difficili con i banchieri privati (ricordiamo la finanza spagnola, completamente asservita agli affari dei genovesi); in secondo luogo la banca pubblica doveva custodire il denaro dei suoi i depositanti privati, sottraendolo ai rischi delle troppo disinvolte speculazioni. 9 Nelle sue funzioni di banca pubblica la banca di Amsterdam era stata preceduta dall'esperienza delle città italiane: il Banco di Rialto di Venezia, creato nel 1587, e il Banco di San Giorgio di Genova, le cui più lontane origini risalivano al 1404. Alla fine del secolo, nel 1694, si costituì poi la Banca d'Inghilterra. Le banche pubbliche svolgevano in gran parte le stesse funzioni delle banche private, ma avevano soprattutto il compito di gestire il debito pubblico e fornire credito agli Stati. Fu combinando questi diversi servizi che le banche pubbliche finirono per assumersi anche le funzioni di emissione di moneta fiduciaria convertibile a vista e di regolazione dell'intero sistema bancario 61 La banca di Amsterdam compiva così tutte le operazioni di compensazione di debiti e crediti sui conti dei propri clienti, fornendo a costoro delle cedole di deposito che potevano circolare tranquillamente come cartamoneta, perché erano convertibili a vista in moneta metallica. Questa moneta di banco, inoltre, era sottratta alle fluttuazioni dovute alle mutazioni monetarie: l'unità di conto della moneta di banco aveva una parità metallica (cioè un rapporto di cambio con l'oro e con l'argento) assolutamente stabile e dava ai mercanti uno strumento finanziario internazionale stabile e certo. In altri settori l'innovazione che parte dagli olandesi è netta. Abbiamo già visto in che modo essi penetrarono nel commercio interasiatico; si può ora aggiungere che essi introdussero in Europa con le loro importazioni dall'Estremo Oriente alcuni prodotti destinati a mutare le abitudini di consumo, come i tessuti di cotone indiani stampati a più colori o l'indaco, una sostanza colorante vegetale che si aggiunse a quelle già in uso nelle industrie tessili. I successi raggiunti da un piccolo paese come l'Olanda, con meno di due milioni di abitanti a metà Seicento, hanno bisogno in qualche modo di essere spiegati. Da un lato vi è sicuramente la capacità di inserirsi, con la forza e con le irruenti certezze dello spirito calvinista, entro le strutture del commercio a lunga distanza i cui vecchi dominatori - tedeschi, portoghesi, spagnoli, italiani - erano nettamente in declino. Accanto al riequilibrio fra le nuove forze e le vecchie debolezze che si venivano rivelando c'è però da tenere conto di un insieme di fattori istituzionali e sociali interni alla repubblica calvinista. Lo storico francese Fernand Braudel ha notato una volta che l'emergere dei grandi stati nazionali fra Quattrocento e Cinquecento ha provocato rapidamente la fine delle piccole repubbliche di origine medievale; ma non appena il "lungo XVI secolo" si era avviato verso le difficoltà della successiva crisi secolare, la dimensione territoriale e umana della grande monarchia e del grande impero aveva rivelato la sua fragilità: vincere le distanze e le guerre, creare l'uniformità amministrativa di un territorio troppo grande comportava costi schiaccianti; perfino riscuotere le imposte era eccessivamente costoso. E ciò risultava tanto più vero quanto maggiore era, come nel blocco ispanoportoghese, il peso delle aristocrazie incapaci di produrre e dedite al consumo vistoso. La piccola Olanda non correva il rischio di essere schiacciata dal peso dell'organizzazione imperiale. Inoltre essa era scopertamente una repubblica di mercanti, nella quale il diritto a governare derivava dal successo negli affari e non dai titoli di nobiltà. In questo senso l'ascesa dell'Olanda è anche un fatto di uomini, oltre che di felice collocazione nella congiuntura geografica e storica. La repubblica olandese era governata con gli stessi criteri con cui si amministra una compagnia commerciale che mette al primo posto i profitti; il suo sistema di istruzione badava a produrre uomini dotati di tutte le competenze pratiche necessarie, nel commercio, nella finanza, nella contabilità, secondo una cultura merceologica e tecnica che poteva apparire rudemente arida, ma che aveva ormai rotto con le illusioni che impregnavano le menti delle nobiltà neofeudali iberiche. Mentre nell'Europa barocca e controriformista i latifondi degli aristocratici venivano degradati dallo sfruttamento estensivo, gli esperti olandesi di agronomia accumulavano conoscenze in fatto di rotazione delle colture, allevamento razionale, costruzione di canali e creazione di polder. Le prime difficoltà per l'Olanda furono rappresentate dalla politica espansionistica dell'Inghilterra, inaugurata da Cromwell con il Navigation Act del 1651. Quel trattato, che stabiliva il monopolio inglese nel commercio nordamericano, metteva in chiaro l'intenzione aggressiva dell'Isola britannica. Si contrapponeva infatti il principio della supremazia e del monopolio a quello del libero commercio e della concorrenza. La guerra che ne seguì (1652-1654) arrise agli inglesi, ma non scalfì per il momento le posizioni consolidate delle 62 Province Unite. Ciò avvenne solo più tardi, allorché, a partire dal 1667, la Francia di Luigi XIV ribaltò la tradizionale alleanza antispagnola con l'Olanda per avvicinarsi all'Inghilterra di Carlo II e portare un duro attacco alla piccola «repubblica dei mercanti». Da quel momento sarebbe cominciato anche il suo ridimensionamento. Occorre infine ricordare che oltre alle peculiarità ricordate sotto il profilo economico, a fare delle Province unite un unicum in Europa era anche la sua situazione dal punto di vista confessionale. In un'Europa caratterizzata dall’intolleranza e dalle guerre di religione, l’Olanda a causa di un atteggiamento moderato e generalmente tollerante dei gruppi dirigenti e del clero calvinista nei confronti delle diverse confessioni religiose, che si espresse nell’assenza di una Chiesa di Stato, e di una buona dose di opportunismo politico, che spingeva a evitare i contrasti per mantenere la pace sociale, si trasformò in un polo di attrazione per tutti i perseguitati d'Europa. Anche per questo motivo l’Olanda del Seicento costituì per molti versi anche il polo culturale più significativo dell’Europa. 63 5- LE ORIGINI DEL SOTTOSVILUPPO IN ASIA 5.1 I rapporti economici fra Europa e Asia fino al Settecento 5.2 I nuovi rapporti economici Fino all'arrivo degli olandesi, la presenza europea in Asia si era limitata alla creazione di basi commerciali. Il dominio territoriale olandese a Ceylon e a Giava restò un'eccezione, ma la crisi politica dell'India fece aprire una fase del tutto nuova. Dopo aver sconfitto i rivali francesi, la Compagnia inglese delle Indie orientali creò nel Bengala, a partire dal 1757-65, le premesse del futuro Impero britannico in India. Difficilmente l'India poteva essere considerata sottosviluppata nel senso attuale della parola all'inizio del XVIII secolo; il sottosviluppo, cioè il distacco dalle società più evolute, si manifestò nel corso del secolo successivo ed è andato sempre più crescendo, nonostante l'azione di modernizzazione intrapresa dal governo inglese. E così viene da domandarsi se non sia la stessa conquista ad essere in qualche modo essa stessa responsabile del futuro sottosviluppo. Per comprendere questo fenomeno occorre riesaminare i rapporti commerciali fra l'Europa e l'intera Asia sin dal XVI secolo. Constateremo allora che per lungo tempo l'Asia poté sembrare vincente nei suoi rapporti di scambio con l'Occidente europeo: i mercanti portoghesi e olandesi avevano ben poco da offrire all'India, a Giava o alla Cina in cambio dei prodotti orientali che essi andavano ad acquistare, mentre il più importante prodotto industriale europeo, i tessuti di lana, aveva scarse possibilità di competere di fronte ai tessuti degli imperi asiatici, specialmente quelli di seta cinese e di cotone indiano. L'Europa poteva in parte pagare i suoi acquisti con materie prime, come lo stagno, ma per lo più doveva pagare in metalli preziosi, l'oro e più ancora l'argento. E difficile non rimanere colpiti dal fatto che il 35-40 per cento dei metalli preziosi estratti in Messico e in Perù nel corso del XVII secolo finirono in Estremo Oriente solo per pagare il pepe e le spezie. Le strutture commerciali dell'economia mondiale erano allora già abbastanza solide da collegare il duro lavoro degli indios, soggetti ai servizi forzati nelle miniere americane, alla produzione indiana e indonesiana di pepe; dal punto di vista delle teorie economiche mercantiliste è evidente che il bilancio di chi vinceva e di chi perdeva era a sfavore degli europei. Fra il Seicento e il Settecento la gamma dei prodotti asiatici importati dall'Europa si diversificò, con l'aggiunta delle cotonate indiane, del tè e degli altri beni provenienti dalla Cina. E difficile parlare di un'India sottosviluppata al principio del Settecento, quando si pensa che la sua capacità produttiva in fatto di tessuti di cotone era nell'ordine di qualche milione di pezze l'anno e che questi tessuti erano poi esportati in Cina, in Indonesia e in Europa. Né vi era a questa data una differenza sostanziale fra l'apparato produttivo europeo e quello indiano, entrambi largamente fondati sul lavoro artigianale a domicilio dei contadini, compiuto su attrezzi preindustriali. Secondo alcune elaborazioni, considerando i migliori dati disponibili sulla produzione manifatturiera dei diversi paesi, ancora nel 1750 quelli che costituiranno in futuro il "terzo mondo" rappresentavano il 73 per cento della produzione mondiale, contro il 27 per cento dell'Europa e del complesso dei futuri paesi "sviluppati". Questa quota era scesa al 67,7 e al 60,5 per cento nel 1800 e nel 1830, ma sarà solo nel 1860 che scenderà ulteriormente al 36,6 per cento, in seguito all'azione combinata di tre diversi fattori: l'eccezionale sviluppo dell'Occidente industrializzato, che comunque produsse un arretramento relativo della Cina e dell'India (che da sole pesavano per poco meno dei quattro quinti del "terzo mondo"); l'effettiva deindustrializzazione del "terzo mondo" (non solo in valore relativo, ma in valore assoluto), indotta dalla capacità di esportare a bassi prezzi raggiunta dai paesi nei quali si era affermata la ri- 64 voluzione industriale; infine l'effettiva crisi interna dei due maggiori paesi asiatici (si tenga presente che per la Cina l'influenza disgregatrice delle economie occidentali divenne significativa solo durante i primi decenni del XIX secolo). Già al principio del Settecento si era tuttavia verificato un fatto nuovo di enorme importanza. Gli europei erano stati per lungo tempo dei mercanti puri che acquistavano un bene senza controllarne il modo di produzione. La prima eccezione di rilievo era stata quella degli olandesi che, per controllare la produzione delle spezie nelle Molucche, erano ricorsi a una pratica antica la riduzione in schiavitù della popolazione. Più tardi gli stessi olandesi avevano imposto a Giava il pagamento di un tributo in caffè o in zucchero, ma anche in questo caso l'elemento della costrizione extraeconomica aveva avuto il peso maggiore. In India le cose erano andate diversamente: gli europei avevano conquistato un largo monopolio delle esportazioni, prima del pepe e poi delle stoffe di cotone, non solo verso l'Europa ma anche nella direzione degli altri paesi asiatici. L’industria tessile indiana si era così trovata sempre più subordinata a una domanda estera incontrollabile; i mercanti europei potevano lasciare a quelli indiani il compito di sorvegliare i produttori e tenere invece per sé il dominio degli sbocchi ultimi delle esportazioni di tessuto. I capitali e i cervelli del mercato mondiale delle cotonate indiane si trovavano ad Amsterdam e, soprattutto, a Londra e non nell'oceano Indiano; il rapporto dell'apparato produttivo indiano con il mercato passava solo attraverso le compagnie europee e l'industria tessile indiana si veniva sviluppando in maniera estroversa, legata a mercati lontani, senza avere la possibilità di influire sull'evoluzione del mercato interno che, invece, aveva un'importanza così decisiva per la modernizzazione di un paese come la Gran Bretagna, ormai prossimo alla rivoluzione industriale. Le industrie tessili indiane si svilupparono soprattutto nelle sue regioni periferiche, vicino ai nodi commerciali marittimi, mentre l'India stessa diventava un'economia periferica, dipendente dal lontano centro inglese. Il tentativo del nababbo del Bengala di cacciare gli inglesi era nel 1756 già anacronistico e i legami economici fra i mercanti indiani e il centro inglese del sistema economico mondiale furono più forti della violenza extraeconomica. Il Bengala era stato conquistato, in un senso moderno della parola, dalla potenza delle forze del mercato capitalistico prima ancora che iniziasse il dominio territoriale della Compagnia delle Indie. La stessa Cina avrebbe seguito la medesima strada con una sfasatura di un po' meno di un secolo, certamente provocata dal maggiore controllo che il governo imperiale esercitava sul commercio estero. Il Giappone, questa continua eccezione del mondo asiatico, protetto dalla sua chiusura ermetica al mercato mondiale, evitò di diventare una periferia economica dell'Europa. E comunque opportuno ricordare, per concludere, che ciò che abbiamo detto fin qui dell'India costituisce solo il primo atto della storia del suo sottosviluppo: il secondo atto inizierà in sordina alla fine del Settecento, quando le fabbriche inglesi di cotone saranno in grado di esportare in India i loro tessuti che la rivoluzione industriale consentirà di produrre a prezzi sempre più bassi. L'industria tessile indiana ne uscirà alla lunga distrutta e la potenza delle leggi del mercato segnerà definitivamente la fine delle forme tradizionali della conquista 65