L`affermazione dello stato assoluto 2

C - DALLO STATO ASSOLUTO ALLO STATO PARLAMENTARE
0 – I processi salienti
1 - L’affermazione dello stato assoluto
2 - La formazione dello stato parlamentare
3 - I rapporti internazionali nel XVI e XVIII secolo
4 - L’Olanda e l’inizio del controllo europeo sulle risorse del mondo
5 – Le origini del sottosviluppo in Asia
0 – I PROCESSI SALIENTI
0.1 Stato assoluto e stato parlamentare tra XVI e XVIII secolo
Nel periodo che va dalla fine del XVI secolo alla fine del XVIII, dal punto di
vista dell’evoluzione politica, i due processi più significativi sono rappresentati
dall’affermazione dello stato assoluto e dalla formazione dello stato
parlamentare.
Lo stato assoluto rappresenta la forma tipica che lo stato ha assunto in Europa tra
il Seicento e il Settecento, proseguendo, anche se non lo porterà a compimento, il
processo di concentrazione dei poteri pubblici, già iniziato nell’ultimo Medio
Evo con la formazione degli stati nazionali (Francia, Inghilterra e Spagna) e
regionali (Germania, Italia), sottraendo i poteri pubblici alle autorità locali: la
nobiltà feudale civile ed ecclesiastica, i comuni, gli stati regionali. In questo
modo lo stato andava assumendo i poteri e le funzioni pubbliche essenziali,
ovvero il potere legislativo, giudiziario, fiscale per acquisire le risorse necessarie,
il monopolio della violenza, con il controllo dell’esercito, la costituzione di un
apparato centrale burocratico-amministrativo, attraverso cui esercitate il potere e
svolgere le sue funzioni.
Il secondo processo è costituito, invece, dalla formazione dello stato
parlamentare che ha avvio con le due rivoluzioni inglesi del Seicento,
proseguendo nel Settecento con le rivoluzioni americana e francese.
Lo stato parlamentare si distingue dallo stato assoluto perché ammette il
principio della rappresentatività e della divisione dei poteri. Lo stato
parlamentare è rappresentativo, in quanto riconosce la necessità che almeno una
parte dei cittadini sia rappresentata nelle istituzioni statali, avendo quindi la
possibilità di intervenire, attraverso i propri rappresentanti al parlamento, nella
gestione dei problemi politici. Inoltre, in uno stato parlamentare nella misura in
cui il parlamento acquisisce la funzione di fare le leggi, sottraendola al re, a chi
governa e all’apparato burocratico, afferma il principio per cui i diversi poteri,
legislativo, di governo e giudiziario, devono essere affidati a soggetti diversi.
L’evoluzione politica dell’Ottocento e del Novecento andrà nella direzione di
allargare la rappresentatività dello stato includendovi dapprima i possidenti (stato
liberale) e, in seguito, un sempre maggior numero di gruppi sociali fino al
riconoscimento del suffragio elettorale universale (per gli uomini all’inizio del
Novecento e per le donne dopo la seconda guerra mondiale) realizzando, in
questo modo, lo stato democratico fondato su un modello di democrazia indiretta,
in cui i cittadini eleggono i loro rappresentanti, ma non interferiscono con il loro
mandato.
Lo stato assoluto fu sicuramente l’espressione del processo, già avviato dalle
monarchie medioevali e dagli stati regionali fin dal XIII-XIV secolo, di
concentrazione del potere che in epoca feudale si era disperso nelle mani dei
nuclei armati, sorti attorno all’aristocrazia romana e barbarica, che imposero il
loro controllo sul territorio (feudi) finendo per esercitare le funzioni pubbliche
I PROCESSI SALIENTI
da fine sec _______ a fine sec _________
1 - ________________________________
_________________________________
Poteri / Funzioni pubbliche:
___________________________________
___________________________________
___________________________________
___________________________________
___________________________________
2 - ________________________________
Gli _______________________________
A _______________________________
B ________________________________
‘800-‘900: __________________________
___________________________________
Lo stato assoluto
________________________________ /
_________________________del potere
______________ e ___________________
tendenze
____________________
tendenze
___________________
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tipiche delle strutture statali (amministrare la giustizia, riscuotere tasse e dazi,
ecc..).
Se il modello teorico di stato assoluto prevedeva un allargamento delle sfere di
competenza dello Stato e la concentrazione di tutto il potere in un unico soggetto,
il re o forse meglio ancora nell’apparato burocratico-amministrativo di cui il re
era a capo, gli stati reali che vollero ispirarsi a tale modello dovettero innanzitutto
controllare le tendenze disgregatrici, con la conseguente dispersione del potere.
Tendenze che erano dovute alla presenza di una forte nobiltà civile ed
ecclesiastica di origine medioevale restia a cedere i poteri pubblici che la società
medievale gli aveva riconosciuto; nobiltà che, per altro, costituiva anche l’unica
base sociale dello stato che quindi non poteva disconoscergli più di tanto quei
privilegi su cui la nobiltà stessa fondava il suo dominio sciale.
La costruzione dello stato assoluto, che ha avuto nello stato francese il caso più
emblematico, si è accompagnata a un’opera di teorizzazione che ha avuto nel
filosofo inglese T. Hobbes (1588-1679) uno dei principali protagonisti.
1 - L’AFFERMAZIONE DELLO STATO ASSOLUTO
1.1IL CASO FRANCESE
1.1.1 La Francia della seconda metà del Cinquecento
1.1.2 Il rafforzamento del potere centrale e la limitazione del potere
della nobiltà
1.1.3 La politica religiosa e culturale
1.1.4 La politica amministrativa, fiscale e giudiziaria
1.1.5 La politica economica
1.2 L’Italia e il Ducato di Savoia
Lo stato francese è considerato il modello di stato assoluto dell’epoca moderna,
esso si venne costituendosi soprattutto per opera di Enrico IV, che governò tra la
fine del Cinquecento e i primi anni del Seicento, dei cardinali Richelieu e
Mazarino, che in qualità di primi ministri governarono nei decenni centrali del
Seicento e di Luigi XIV (il re Sole) che regnò tra la fine del secolo l’inizio del
Settecento.
Il processo di formazione dello stato francese aveva preso avvio già nel XIII
secolo quando l’autorità del re si era espansa dalla Francia centrale verso ovest,
sottraendo parte del territorio controllato dal re inglese, teoricamente vassallo,
per questi suoi possedimenti, del re francese, e verso sud acquisendo il controllo
dei territori sottratti al conte di Tolosa, in seguito alla partecipazione alla crociata
contro gli albigesi, forse la maggiore delle correnti eretiche del medioevo. Nei
due secoli successivi l’espansione del controllo della monarchia era proseguito
attraverso la guerra dei Cento anni (1337-1453), che aveva permesso la definitiva
cacciata dei re inglesi, e la sconfitta del duca di Borgogna che, approfittando
della debolezza della monarchia francese durante la guerra dei Cento anni, aveva
avviato la costruzione di un’entità statale concorrente. Nella prima metà del
Cinquecento lo stato francese era stato il principale oppositore dell’ultimo
tentativo di dar vita a una struttura politica sovranazionale, l’impero, portato
avanti da Carlo V.
la nobiltà come _____________________
___________________________________
_________________: il teorico dello ______
_________________________________
L’AFFERMAZIONE DELLO STATO
ASSOLUTO
IL CASO FRANCESE
Il ________________________ francese e i
suoi protagonisti: ____________________
___________________________________
La _____________________________
dello ____ __________________________
___________ sec.:
l’espansione ________________________
___________ sec.:
la guerra ___________________________
e la sconfitta della ____________________
prima metà _____________ sec.:
l’opposizione a __________________
LA FRANCIA DELLA SECONDA METÀ DEL
CINQUECENTO
La seconda metà del Cinquecento costituì per la Francia un periodo di profonda
crisi della monarchia a causa delle difficoltà economiche, dovute alle ingenti I motivi della crisi : 1,2,3
risorse investite nelle guerre contro Carlo V, nonché della diffusione del
calvinismo che aveva spezzato l’unità religiosa, politica e culturale dello stato e,
infine, alle crisi dinastiche legate al susseguirsi di diversi periodi di reggenza a
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causa della giovane età dei re.
L’indebolimento del potere del re favorì il sorgere di profondi contrasti tra le
famiglie feudali, dovuti al loro tentativo di controllare il potere vacante e quindi
indebolito. I contrasti finirono per assumere la forma dello scontro tra religioni,
in quanto si polarizzò intorno a gruppo di famiglie nobili cattoliche, capeggiate
dai Guisa, particolarmente potenti sia per la loro influenza a corte, sia per
l’appoggio da parte delle gerarchie ecclesiastiche, e un gruppo di famiglie della
nobiltà, guidate dai Borboni, che avevano accettato la Riforma nella versione
calvinista, gli Ugonotti.
La politica dei reggenti era volta ad indebolire quella delle due parti che, di volta
in volta, si faceva più minacciosa verso la monarchia, favorendo l’altra parte.
Lo scontro prese spesso la forma tipica dei massacri, (uno dei più cruenti fu
quello della notte di San Bartolomeo, nel luglio del 1572, quando i cattolici
massacrarono i protestanti convenuti a Parigi per festeggiare il matrimonio di uno
dei membri della nobiltà ugonotta), degli incendi, degli intrighi e delle congiure
di corte che portavano a disposizioni meno favorevoli, di volta in volta, nei
confronti degli uni o degli altri.
In questa situazione i protestanti, la fazione minoritaria, erano riusciti ad ottenere
l’autonomia politica, ratificata col riconoscimento del loro controllo su alcune
città francesi che vennero denominate “place de sécurité” e in cui non solo era
riconosciuto il culto protestante, ma essi potevano anche amministrare e
difendere la città costruendo mura e armando i cittadini. Queste città erano quindi
città-stato all’interno dello stato francese, cosa che finiva per indebolire l’idea
stessa di uno stato nazionale. Negli anni settanta e ottanta del XVI secolo il
contrasto fra cattolici e protestanti si trasformò in guerra civile. Vennero a
formarsi due fazioni l’Unione protestante e la Lega cattolica, ciascuna delle quali
aveva, oltre che un esercito proprio, un appoggio internazionale, rappresentato
dall’Inghilterra per quanto riguarda i primi, dalla Spagna per i secondi.
Il conflitto ebbe termine negli anni novanta, quando Enrico di Borbone, dopo
l’assassinio del re Enrico III (1574-89), che a sua volta aveva fatto assassinare il
capo dei cattolici per liberarsi dal controllo della Spagna loro alleata, divenne il
pretendente ufficiale al trono, essendo stato designato da Enrico III a condizione
che si fosse convertito al cattolicesimo. L’invasione da parte dell’esercito della
Spagna, preoccupata per l’ascesa al trono di un protestante, ebbe l’effetto di
incrinare la compattezza dello schieramento cattolico riavvicinando le due
fazioni rivali, le quali raggiunsero un accordo quando Enrico di Borbone,
diventato re con il nome di Enrico IV (1589-1610), abiurò il calvinismo e si
proclamò cattolico. Nel 1598, dopo la firma della pace con la Spagna, fu
finalmente raggiunta anche la pacificazione interna ratificata dall’Editto di
Nantes: gli ugonotti si videro riconosciuti gli stessi diritti politici dei cattolici e
piena libertà di praticare il loro culto dove era stato praticato fino a quel
momento; essi
ottennero anche l'accesso alle cariche pubbliche e la
partecipazione agli organi preposti all'applicazione dell'editto e, come ulteriore
garanzia, la concessione di 100 piazzeforti nel paese. Il culto protestante fu
invece vietato a Parigi e nel territorio circostante. Era una soluzione di
compromesso, che accontentava moderatamente le due fazioni e consentiva di
superare la drammatica fase delle guerre di religione. La monarchia, che aveva
attraversato uno dei periodi più bui della sua storia, uscì rafforzata, trovando
un rinnovato consenso.
La vita politica francese, ma come d’altra parte di tutta l’Europa del periodo, era
caratterizzata, dunque, dall’essere ristretta alla sola corte e a poche grandi
famiglie nobiliari. In queste condizioni di assoluta omogeneità sociale, essa
tendeva ad assumere la modalità dello scontro tra fazioni rivali con l’obiettivo di
imporre il proprio controllo sull’autorità regia per rivalersi contro la fazione
opposta. Tale scontro finiva spesso per assumere la forma della congiura, del
complotto o comunque dello scontro fisico, sia per la scarsità delle possibili
Lo scontro _____________________ come
scontro tra __________________________
I ________________ e i _______________
La politica dei _______________________
Le _____________________ dello scontro:
___________________________________
___________________________________
L’autonomia degli ____________________
Il conflitto degli anni ________________
La salita al potere di __________________
e la _______________________________
La pacificazione e ____________________
________________________
1
2
3
Il rafforzamento _____________________
LE _______________________ DELLA VITA
______________ NELL’ANCIEN RÉGIME
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forme istituzionali della lotta politica, sia perché, non essendoci diversi gruppi
sociali portatori di progetti di società diversi, lo scontro politico era
sostanzialmente una lotta per sottrarre o mantenere l’influenza sull’autorità regia.
Solo quando la borghesia industriale dell’Ottocento si porrà l’obiettivo di
costruire una società diversa, secondo il proprio modello economico e sociale, la
lotta politica perderà le caratteristiche della congiura, poiché i gruppi sociali
diversi si faranno portatori di modelli di società diverse.
Nel Cinquecento e nel Seicento lo scontro politico interno, come anche gli stessi Scontro _______________ e scontro
rapporti internazionali, si intrecciarono con gli scontri religiosi che per questo
finirono per assumere sempre un connotato anche politico, fungendo da sfondo ________________
alle rivalità nobiliari e a volte, ma molto più raramente, anche sociale,
coinvolgendo le masse popolari come nel caso della guerra dei contadini seguita
alla rivolta di Lutero.
LE CARATTERISTICHE DELLA VITA POLITICA NELL’ANCIEN RÉGIME
_________________________: corte + _______________________________ = ______________________________________
_________________________: ____________________________________________
Modello di società: __________________________________________________________________________
_________________________: scontro _________________________________
+
_________________________: ________________________________________
_________________________: ____________________________ (congiura, __________________________)
Esamineremo le modalità d’azione dello stato assoluto in Francia seguendo LE MODALITÀ D’AZIONE DELLO STATO
quattro linee direttive, vale a dire: lo scontro con la nobiltà che, come abbiamo
ASSOLUTO FRANCESE
visto, costituiva l’oggetto della vita politica e dal quale dipendeva il
rafforzamento delle strutture statali; la politica religiosa e culturale volta ad
imporre l’uniformità alla nazione, che porterà all’eliminazione dei privilegi
concessi ai protestanti; la politica amministrativa fiscale e giudiziaria volta ad
imporre la presenza dello stato nazionale sull’intero territorio; e, infine, la
politica economica.
Le ___________________________________dello stato assoluto francese:
1- ________________________________________________ 
_____________________________________________________
2 - ________________________________________________ 
_____________________________________________________
3- ________________________________________________  _____________________________________________________
4 _________________________________________________  ______________________________________________________
IL RAFFORZAMENTO DEL POTERE CENTRALE E
LA LIMITAZIONE DEL POTERE DELLA
NOBILTÀ
L'ascesa dello Stato all'interno della vita sociale dei secoli XV e XVI aveva già
completamente distrutto le pretese della grande nobiltà di mantenere funzioni rafforzamento ___________________
politiche all'interno delle proprie signorie: monetazione, legislazione, diritto
penale e civile, imposizione fiscale erano tutti, da tempo, affari di Stato, e sotto e scontro _______________________
questo aspetto il feudalesimo non esisteva più in Francia. E tuttavia la monarchia
francese non aveva potuto abolire di colpo i numerosi corpi sociali e centri di i _____________________della nobiltà
potere che derivavano dalla tradizione medievale: i nobili continuavano a
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esercitare la “giustizia signorile”, riscuotendo multe e comminando pene; i
parlamenti, egemonizzati dalla nobiltà, pretendevano di controllare la legalità
degli atti sovrani e gli stati generali 1 erano ancora l'organo supremo del
regno con cui il re doveva patteggiare le proprie scelte politiche. Durante le guerre
di religione, poi, le reti clientelari intorno ai grandi nobili si erano rinsaldate e
allargate.
La politica di riaffermazione del potere centrale, contro le tendenze della nobiltà
a mantenere la propria autonomia nel gestire le funzioni pubbliche, fu avviata,
dopo la pacificazione interna, da Enrico IV, il quale poté contare, oltre che
sull’appoggio della parte più preparata dei funzionari dell’apparato statale e degli
intellettuali che credevano nella tolleranza o comunque vedevano in lui colui che
aveva saputo imporre l’autorità dello stato, soprattutto sull’appoggio della
borghesia mercantile che trovava modo attraverso l’acquisto degli uffici pubblici
di consacrare la propria ascesa sociale.
Arricchitasi nel Cinquecento con gli affari, la borghesia mercantile si era volta in
maniera massiccia all'acquisto delle cariche pubbliche che comportavano ai livelli
più alti un titolo di nobiltà di toga. La più ambita era quella di membro del
parlamento di Parigi, il più alto tribunale d'appello del sistema giudiziario
francese, oltre che garante della legittimità degli atti legislativi e amministrativi del
governo. Un titolo analogo vigeva nei parlamenti provinciali e nella serie
discendente delle minori funzioni giudiziarie e amministrative. Infine seguivano
le numerose cariche di esattori e amministratori delle imposte (la taglia, la gabella
del sale, i dazi doganali).
Il processo sociale che consentiva alla borghesia mercantile di acquisire la stessa
dignità sociale e politica della nobiltà venne, sotto il regno di Enrico IV,
perfezionato con l’introduzione di un’imposta che dava diritto all’ereditarietà
della carica. Pagando tale imposta il funzionario acquisiva, oltre agli emolumenti
che gli competevano, anche la possibilità di trasmetterla agli eredi. Si venne così
formando una nuova nobiltà ereditaria, detta di toga per distinguerla da quella
feudale detta, invece, di spada.
La pratica della vendita degli uffici pubblici consentiva allo stato francese sia di
reperire risorse finanziarie, sia di creare un nuovo ceto di privilegiati che
allargava la base sociale dello stato e poteva essere utilizzato in chiave
antinobiliare. L’acquisto di una carica, di un ruolo pubblico, consentiva alla
borghesia mercantile di investire i propri capitali in un’attività economica, poiché
essi erano redditizi (così, ad esempio, chi acquistava un ufficio giudiziario
richiedeva, a coloro che si rivolgevano a lui per svolgere le sue funzioni di
giudice, il pagamento delle sue prestazioni) e, inoltre, come abbiamo già detto, le
conferiva un prestigio sociale del tutto simile a quello della nobiltà feudale, a cui
aveva sottratto le funzioni.
All'inizio del XVII secolo il parlamento di Parigi e gli altri sette parlamenti
provinciali contavano un migliaio di alti funzionari; tutto l'insieme dei
funzionari di giustizia assommava ad almeno 7.000 persone; contando i titolari
degli uffici di qualsiasi genere si raggiungevano le 50.000 persone (escludendo i
puri e semplici impiegati), cifra significativa se paragonata ai probabili 5.000
funzionari di cento anni prima. Nel 1665 il numero totale crescerà ancora fino a un
Enrico IV e il rafforzamento del ______
____________________
_________________________________
Borghesia _________________________
acquisto __________________________
nobiltà ____________________________
L’ereditarietà ________________________
Vendita _____________________________
Vantaggi per ___________________:
1 - _________________________________
___________________________________
2 -________________________________
Vantaggi per _____________________:
1- _________________________________
2 - _________________________________
1
Gli stati generali erano le più importanti assemblee rappresentative, si svolgevano sia a livello locale che
nazionale, vi erano rappresentati i gruppi sociali presenti nell’ancien régime: nobiltà, clero, terzo stato,
ovvero tutto il resto della popolazione rappresentata in prevalenza dall’alta borghesia. Mentre i parlamenti
avevano una prevalente funzione giudiziaria, gli stati generali, in quanto rappresentativi, possono essere
paragonati agli attuali parlamenti, tenendo presente almeno le seguenti differenze: gli stati generali non
rappresentavano un istituzione autonoma e stabile come i moderni parlamenti, in quanto venivano
convocati per volontà del re in modo del tutto saltuario. Inoltre, non esercitavano il potere legislativo:
potevano solamente esprimere un loro parere che non vincolava il re o l’apparato burocratico statale.
Come vedremo tra breve, la convocazione degli stati generali del 1614 fu l’ultima prima di quella che
diede inizio alla Rivoluzione francese, nel 1789.
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totale di 80.000. Nel corso del Cinquecento il prezzo di questi uffici era salito
continuamente, con un ritmo ben superiore a quello dell'inflazione, toccando un
livello massimo intorno al 1640; nel solo periodo 1590-1640 era cresciuto di 1012 volte.
La nobiltà tradizionale non riusciva ad accettare l'idea che le cariche statali fossero
continuamente moltiplicate per finire poi in mano alla borghesia benestante, ma
meno ancora poteva accettare che la titolarità degli uffici maggiori desse diritto a
fregiarsi di un titolo nobiliare; puntigliosamente essa si sforzava di dimostrare che
la nobiltà di toga (noblesse de robe) non era una vera nobiltà, a paragone delle
grandi dinastie dell'antica nobiltà di spada.
Alla crescita della nobiltà di toga si opponeva anche la parte più cosciente della
burocrazia statale, per la quale la vendita degli uffici pubblici non garantiva
l’efficienza dell’apparato burocratico, in quanto ad acquistare gli uffici non erano
i più capaci, ma i più facoltosi.
Lo scontro tra le due nobiltà si accentuò dopo la morte di Enrico IV (ucciso da un
cattolico fanatico), quando le istituzioni politiche ebbero un nuovo periodo di
forte crisi, legato alla giovane età (nove anni) dell’erede al trono. Era per la nobiltà l'occasione buona di riaffermare il proprio potere contro lo Stato assolutista
che non aveva esitato ad aprire la porta a volgari mercanti per imporre la
propria tirannide. Seguirono quattro anni di gravi tensioni: la grande nobiltà
aveva dato fondo ai propri mezzi economici e alle proprie clientele feudali
per radunare eserciti privati ed era pronta a scatenare la guerra civile se non
fosse stata esaudita la sua richiesta di convocare gli stati generali, la grande
assemblea rappresentativa dei tre ordini sociali, il clero, la nobiltà stessa e il
terzo stato.
Il 27 ottobre 1614 si riunirono gli stati generali costituiti da 464 delegati; la
maggior parte dei borghesi ascesi alla nobiltà di toga furono costretti a
sedere nel terzo stato. La nobiltà chiese subito l'abolizione della venalità degli
uffici e della loro ereditarietà; il terzo stato accettò, chiedendo però una riduzione delle imposte e l'abolizione delle pensioni create dallo Stato a
favore di molti nobili. Lo scontro tra questi gruppi sociali fu molto aspro e sfiorò
lo scontro armato. In queste condizioni non si riuscì ad arrivare ad un accordo e
gli stati generali vennero sciolti.
Il fallimento del confronto politico fra le due nobiltà portò nuovamente al
prevalere, nella vita politica, delle forme tipiche dei regimi oligarchici (congiure
e complotti). Fu in questa situazione che alla metà degli anni venti emerse la
figura del cardinale Richelieu (1624-42) che in qualità di primo ministro del re
detenne effettivamente il potere fino agli inizi degli anni quaranta.
Il cardinale Richelieu può, per molti versi, essere considerato il vero ideatore
dello stato assoluto francese, in quanto la sua concretizzazione avvenne tra gli
anni trenta e gli anni quaranta quando il cardinale riuscì a sconfiggere
l’opposizione delle due nobiltà.
La nobiltà di toga infatti, creata dallo stato per allargare la base sociale della
monarchia e rafforzarla nel suo scontro con la nobiltà di spada, nel corso degli
anni aveva finito, con l’acquisto e l’ereditarietà degli uffici pubblici, per sottrarre
allo stato stesso parte delle sue funzioni.
Lo scontro con la nobiltà assunse toni aspri soprattutto durante gli anni ’30,
quando lo stato, impegnato nella Guerra dei Trent’anni (scontro armato svoltosi
in Germania e in Italia che coinvolse Francia, Inghilterra e Spagna), fu costretto a
gravare con pesanti tasse sui cittadini per procurarsi le risorse necessarie. Benché
il sistema feudale dell’epoca escludesse i nobili dalla tassazione, essi vennero
coinvolti nel momento in cui la pressione fiscale fu così pesante da incidere sulla
rendita delle loro proprietà terriere. La nobiltà finì quindi per vedere la pressione
fiscale come un attacco alle sue risorse. Mentre i funzionari degli uffici pubblici
venduti e i parlamenti si rifiutavano di far rispettare le richieste dello stato,
scoppiarono numerose rivolte contadine spesso sobillate dalla nobiltà stessa.
L’opposizione alla nobiltà di ___________
a - ________________________________
b - _________________________________
La morte di Enrico IV
Lo scontro __________________________
Gli _______________________________
del ______________________
L’ascesa al potere di __________________
Nobiltà di toga e ______________________
___________________________________
Gli scontri degli anni _______________
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È in questo clima che Richelieu attuò i suoi progetti di assolutismo aprendo una
nuova fase del rafforzamento dello stato. Egli agì, oltre che sul piano repressivo
con l’impiego dell’esercito contro i rivoltosi, anche su quello istituzionale.
Richelieu impedì, aggirandole, il funzionamento delle istituzioni rappresentative
tradizionali tra cui vi erano, oltre agli stati generali che non verranno più
convocati, i parlamenti locali, i quali non potevano respingere i provvedimenti
dello stato, ma approvandoli li rendevano più autorevoli e si impegnavano al loro
rispetto.
L’atteggiamento autoritario si estese anche agli oppositori che venivano accusati,
incarcerati, condannati senza ricorrere ad alcun tribunale (la stessa madre del re
venne esiliata). In questo modo l’autorità dello stato veniva imposta ai cittadini
senza dover scendere ai patti con nessuna delle parti della società.
Richelieu, oltre a questo modo di governare autoritario, cercò di porre rimedio
alla debolezza della burocrazia creando una struttura burocratica parallela a
quella degli uffici della nobiltà di toga. Essa era incentrata sulla figura degli
intendenti, nominati direttamente dallo stato e mandati nelle varie province a
svolgere le funzioni di impedire l’alleggerimento delle imposte voluto dalla
nobiltà e dai parlamenti e di controllare le attività burocratico-amministrative
delle province. Gli intendenti rappresentavano, dunque, lo strumento attraverso
cui lo stato intendeva riprendere il controllo dell’apparato burocraticoamministrativo che gli era stato sottratto dalla nobiltà di toga con l’ereditarietà
degli uffici.
L’opposizione delle due nobiltà alla creazione di questo stato centrale ed
autoritario si manifestò solo sporadicamente, risultando significativa solo al
termine degli anni quaranta sotto il governo del cardinale Mazarino (1642-1661),
succeduto al cardinale Richelieu e anche lui destinato a governare la Francia per
un lungo periodo, fino all’inizio degli anni sessanta.
Due furono le fasi della rivolta iniziata alla fine degli anni quaranta: la rivolta
parlamentare (1648-49), animata dalla borghesia e dalla nobiltà di toga, che
mirava alla costituzione di una monarchia limitata e controllata, fallita davanti
alla paura del caos sociale suscitate da nuove rivolte contadine provocate dal
prolungarsi della carestia; la fronda nobiliare (1650-53), animata dalla grande
___________________________________
___________________________________
1 - _______________________________
a - ______________________________
b - ________________________________
2 - ________________________________
Gli _______________________________
Mazarino e __________________________
______________________________
La rivolta __________________________
RAFFORZAMENTO POTERE CENTRALE E LIMITAZIONE POTERE NOBILTÀ
A - __________________________________________________________________________________________________________
modalità: _____________________________________________________________________________________________
limite: ________________________________________________________________________________________________
B – creazione di uno stato:
______________________________________________
1 - __________________________________
______________________________________________
2 - __________________________________
_____________________________________________
C - __________________________________________________________
nobiltà e fallita per l’impossibilità di far convivere gli interessi di nobiltà di
spada, borghesia nobilitata degli uffici e i contadini ancora una volta in rivolta La rivolta __________________________
per fame.
Soprattutto a partire dalla seconda metà del Seicento lo stato, sotto il regno di
24
Luigi XIV (1661-1715), per contrastare la nobiltà si servì di una terza modalità
costituita dalla vita di corte .
Il processo di rafforzare dello stato aveva fatto perdere alla nobiltà il suo ruolo
politico, la sua influenza sui meccanismi decisionali dal momento che le
decisione erano sempre più prese dall’apparato burocratico statale e dal re.
Nonostante la perdita del ruolo politico, la nobiltà conservava un ruolo sociale di
grande prestigio che la differenziava dal resto del popolo e che le era garantito
dalla ricchezza derivate dal possesso delle terre e dalle pensioni statali e, per le
famiglie più potenti, dalla vita di corte.
La vita di corte, se da un lato era fonte di grande prestigio sociale per la nobiltà,
dall’altro consentiva alla monarchia di controllarla, poiché risiedendo a corte le
grandi famiglie nobiliari non potevano più esercitare il controllo diretto sui loro
fondi, né far funzionare i parlamenti locali.
La reggia di Versailles fu l’emblema della vita di corte, venne costruita con un
enorme dispendio di risorse, proprio allo scopo di accentuare la distinzione
sociale tra la nobiltà e le altre classi. Per motivi politici fu eretta fuori Parigi in
modo da consentire a re e cortigiani di sottrarsi alle lotte popolari che erano
periodiche a Parigi.
La vita di corte finì per modificare profondamente la vita politica dell’ancien
régime. Precedentemente la vita politica era caratterizzata da complotti e conflitti
accompagnati spesso da violenza fisica; con la vita di corte si imposero nuovi
modelli, quali quelli tipici imposti dalla stretta convivenza a corte.
N. Elias, un sociologo tedesco, così descrive la vita di corte “All’ora che egli
stesso aveva stabilito, di solito verso le 8 del mattino, il re viene svegliato dal
primo cameriere particolare (il «valet de chambre»), che dorme ai piedi del letto
regale. Le porte vengono spalancate dai paggi. Uno di essi… si pone sulla porta e
lascia entrare soltanto i signori che hanno diritto d'ingresso. Tale diritto era
regolato con molto rigore: esistevano sei diversi gruppi di persone che potevano
entrare successivamente. Si parlava dunque di varie «entrées»; per prima vi era
1'«entrée familière», cui prendevano parte soprattutto i figli legittimi e i nipoti del
sovrano… Vi era poi la seconda entrata riservata ai «grands officiers de la chambre
et de la garderobe» ed ai signori della nobiltà ai quali il sovrano aveva concesso
tale onore…Ogni atto era rigorosamente regolato. I primi due gruppi potevano
accedere quando il re era ancora a letto. Il re recava in capo una piccola parrucca
senza la quale non si mostrava mai, neppure quando era a letto. Quando poi si era
alzato e il gran ciambellano insieme con il primo cameriere gli aveva porto il
vestiario, veniva annunziato il gruppo successivo (Tutti questi incarichi di corte erano
venali e inoltre all'epoca di Luigi XIV erano riservati esclusivamente alla nobiltà). ... Il re
utilizzava i suoi momenti più privati per stabilire differenze di rango ed elargire
distinzioni e manifestazioni di favore o di sfavore… Era senza dubbio necessario che il re si sfilasse la camicia da notte e indossasse quella da giorno; ma,
come si è visto, nel contesto sociale questo gesto assumeva subito un diverso
significato. Il re, infatti, lo trasformava per i nobili che vi prendevano parte in
privilegio che li distingueva dagli altri”.
L’etichetta, che regolava con rigide prescrizioni i complessi cerimoniali della vita
a corte, fondati su una minuta scala di precedenze, non era peraltro che uno degli
effetti del più generale processo di disciplinamento sociale promosso
dall’assolutismo, era precisamente quella parte dell’opera di disciplinamento
rivolta all’alta nobiltà. In questo modo, infatti, a corte i complotti, le congiure, le
spesso sanguinose lotte interne alla nobiltà, che avevano caratterizzato la vita
politica precedentemente, vennero sostituiti dai tentativi di acquistare la
benevolenza degli altri per essere protetti ed essere segnalati al re, dai
pettegolezzi per mettere in cattiva luce gli altri, dall’attenta osservazione del loro
comportamento per capirne i reali moventi, dalla dissimulazione dei propri
intenti e sentimenti. Al modello di scontro violento si sostituiva così quello dello
scontro psicologico.
__________________________________
Nobiltà :
ruolo politico ________________________
ruolo _______________________________
vita di corte e _______________________
la reggia di __________________________
vita di corte e ______________________
La cerimonia del ____________________
25
Nell’ambito cortigiano, proprio per l’imporsi di questo tipo di rapporto, si
affermò anche un nuovo modo di osservare i comportamenti propri e quelli degli
altri, modalità che per alcuni aspetti è all’origine sia della sensibilità
contemporanea che della psicologia moderna. Scrive ancora Elias: “Quest'arte
cortigiana di osservare i propri simili non ha mai di mira l'osservazione dei
singoli individui per sé, come un essere che accoglie in primo luogo dal suo
intimo le leggi e le norme essenziali. All'interno del mondo di corte, l'individuo
viene osservato sempre nell'intreccio dei suoi rapporti sociali, come un uomo in
rapporto con altri uomini. Ma quest'arte dell'osservazione non è applicata
soltanto agli altri, bensì si estende all'osservatore stesso. Si sviluppa, insomma,
una forma specifica di osservazione di sé. [...] All'osservazione di sé fa dunque
riscontro l'osservazione degli altri, l'una sarebbe inutile senza l'altra. Non si tratta,
come avviene nell'introspezione di tipo religioso, di un'osservazione del
proprio «io interiore», che si compie calandosi nel proprio io per esaminare e
disciplinare i propri impulsi più segreti per amore di Dio: quest'altro tipo di
osservazione mira all'autodisciplina nel rapporto sociale e mondano: «Chi
conosce la corte è padrone dei propri gesti, dei propri occhi e del proprio viso; è
profondo e impenetrabile; dissimula i cattivi servigi, sorride ai suoi nemici, reprime
i propri timori, cela le passioni, smentisce il proprio cuore, parla e agisce contro i
suoi stessi sentimenti». Ma non è affatto necessario ingannarsi sui propri
1 ___________________________________
MODIFICHE
INDOTTE DALLA VITA DI CORTE
da scontro ______________________ a scontro _______________________________________
da _________________________________________ a _________________________________________
disciplinamento della ________________________
2 ___________________________________
da cui
_________________________________
_________________________________
non ___________________________ del singolo per sé in relazione a un ________________________
ad es. ______________________________________: esame di se stessi _________________________________________
ma ___________________________ del singolo __________________________________________________
competizione  necessità di: ________________________________________
conoscere i veri obiettivi degli altri
impulsi, come l'uomo potrebbe tentare di fare: al contrario, proprio perché è
costretto a cercare dietro il comportamento altrui, mascherato e controllato, i veri
motivi ed impulsi, proprio perché è perduto se non riesce a scoprire sempre dietro
l'atteggiamento impassibile dei suoi rivali gli impulsi e gli interessi che li
muovono, l'uomo di corte deve conoscere molto bene le proprie passioni per
poterle dissimulare. L'opinione che l'egoismo sia la molla dell'agire umano non
è nata nella società capitalistico-borghese, basata sulla competizione, ma in quella
di corte, basata anch'essa sulla competizione; e da questa società son nate le prime
inesorabili descrizioni moderne degli affetti umani.”
disinganno circa i moventi
dell’agire umano
accettazione ___________
LA POLITICA RELIGIOSA
___________________________________
La rilevanza della politica religiosa durante il Cinquecento e il Seicento è legata
al fatto che i conflitti politici, sia interni (legati al conflitto tra nobiltà e re) che a - ________________________________
internazionali, tendevano ad assumere la forma di scontro religioso. Inoltre, oltre
a questa valenza politica degli scontri religiosi, lo stato moderno tendeva ad ___________________________________
26
utilizzare la religione e le strutture ecclesiastiche per imporre l’omogeneità
culturale sia alle classi colte sia ai ceti inferiore, sradicando, attraverso un
processo di disciplinamento della società, la cultura popolare e i comportamenti
(ad esempio la mendicità), ritenuti antisociali, non morali.
Rimandando alla lettura di alcuni testi storiografici l’esame dei processi di
acculturazione e disciplinamento fermeremo la nostra attenzione sugli aspetti più
politici-istituzionali.
La valenza politica della questione religiosa è sottolineata anche dal fatto che la
prima occasione perché si manifestasse il programma assolutistico di Richelieu fu
offerta dalle controversie religiose. Nel 1626 si sollevarono alcune province
ugonotte e perciò Richelieu si pose l'immediato obiettivo di abolire i privilegi
della minoranza religiosa, a cominciare dalle loro fortezze tutelate dall'editto
di Nantes che erano diventate elementi di una vera e propria organizzazione
politico-militare; l’autonomia delle città protestanti limitava il potere dello stato
ed era quindi un ostacolo al processo di affermazione del potere dello stato
sull’intero territorio nazionale.
Nell'autunno del 1627 iniziò il lungo assedio di La Rochelle, importante porto
atlantico e principale città ugonotta: dopo un anno di resistenza La Rochelle
cadde nel 1629; Richelieu fece distruggere tutte le fortificazioni ugonotte, mentre
la loro organizzazione politica e militare veniva sciolta. Allo stesso tempo
veniva però riconfermato l'editto di Nantes per la parte che riguardava la libertà
di culto.
La politica religiosa fu sicuramente uno di campi in cui la politica assolutista
di Luigi XIV ottenne risultati più vistosi, ma spesso con implicazioni assai
negative. Dei grandi conflitti sollevati dalla politica religiosa di Luigi XIV il
più tragico è certamente quello aperto contro gli ugonotti. Verso il 1660 il
calvinismo francese costituiva ancora una minoranza molto consistente, con un
milione di fedeli; Luigi XIV aveva inizialmente riconfermato l'editto di Nantes del
1598, ma presto aveva cominciato a consentire piccole e grandi vessazioni contro
la libertà di culto degli ugonotti, il cui scopo era quello di ottenere il loro ritorno al
cattolicesimo. Più tardi, dal 1675, iniziarono delle vere e proprie persecuzioni, con
l'esclusione dei riformati dagli uffici pubblici, con gli alloggiamenti forzati di soldati nelle loro case, con la chiusura dei loro centri culturali. Il calvinismo francese
era certamente in declino da quando la nobiltà aveva ripreso a tornare al
cattolicesimo; i suoi aderenti si reclutavano per lo più tra i ceti medi e popolari
urbani, in tal modo il calvinismo aveva perso il carattere aristocratico di
cento anni prima. Le persecuzioni ottennero in parte l'effetto voluto di spingere al
ritorno alla confessione cattolica e nel 1685 Luigi XIV poté revocare l'editto di
Nantes, sostenendo che in Francia non c'erano più calvinisti. Affermazione
ancora molto lontana dal vero: 200.000 ugonotti emigrarono in Svizzera, in
Olanda, in Inghilterra e in Germania portandosi dietro le loro competenze di
artigiani tessili e dando un duro colpo all'economia francese.
L’origine del secondo conflitto religioso risale al 1640, l'anno di pubblicazione del
grosso volume del teologo olandese Cornelius Giansenio intitolato Augustinus.
Giansenio era già morto nel 1638 e nel 1643 il suo libro fu condannato dalla
Chiesa cattolica per alcune tesi di intonazione calvinista. Nei due decenni
seguenti la spiritualità giansenista ebbe una grande diffusione fra gli uomini di
cultura francesi, allargandosi poi anche al di fuori di questa élite intellettuale,
facendo proseliti soprattutto fra la nobiltà di toga. I giansenisti, in verità,
affermavano di non volere affatto uscire dalla Chiesa cattolica e che le pretese tesi
eretiche non si trovavano affatto nel libro di Giansenio; il loro cristianesimo,
sofferto e drammatico, voleva ridare un ruolo centrale alla fede e all'interiorità e si
opponeva soprattutto ai gesuiti, sicuramente l’ordine cattolico più potente, ai quali
si rimproverava di aver ridotto la vita religiosa a pratiche meccaniche e a rituali
vuoti. Si opponeva, inoltre, allo stretto legame tra potere religioso e potere
politico tendente a fare della religione uno strumento di controllo della
b - ________________________________
___________________________________
Richelieu e _________________________
___________________________________
degli ugonotti
La politica religiosa di Luigi XIV
_______________________________
I cambiamenti del calvinismo
XVI sec. ___________________________
XVII sec. ___________________________
La revoca dell’_______________________
L’emigrazione e _____________________
___________________________________
___________________________________
diffusione tra: _______________________
___________________________________
Le idee dei __________________________
1 -_________________________________
2 - ________________________________
3 - ________________________________
4 - ________________________________
27
società.
Nella polemica contro i gesuiti si distinse lo scienziato e filosofo Blaise Pascal (16261662), membro della più importante comunità di giansenisti, quella che si riuniva
intorno ai due monasteri di Port-Royal. Divenuto un attivissimo centro culturale e
di opposizione politica, Port-Royal fu soppresso nel 1709, anche in seguito alle
pressioni dei gesuiti particolarmente forti a corte.
Perfino più zelante della stessa chiesa Luigi XIV perseguitò per tutta la durata del
suo regno i giansenisti, senza riuscire mai completamente a eliminare la loro influenza.
Questo non vuol dire però che il re di Francia intendesse mettersi al servizio di ciò
che era chiamato "ultramontanismo", la tesi cioè che vedeva la Chiesa francese
subordinata in tutto alle direttive romane. E proprio contro il papa che Luigi XIV
combatté, a partire dal 1682, la sua terza battaglia religiosa, appoggiando le
tendenze autonomiste (chiesa gallicana) della Chiesa francese. Luigi XIV non
intendeva diventare un Enrico VIII di Francia e alla fine riuscì a trova un
compromesso con il papa, ma la battaglia per le libertà gallicane gli fece
trovare un appoggio quasi totale da parte del clero francese: le dichiarazioni
di principio più radicali furono ritirate, ma in pratica il re mantenne il
diritto di designazione dei vescovi e la Chiesa nazionale continuò a sostenere
che gli editti del papa non avevano automatica applicazione nel paese.
B. Pascal
La soppressione _____________________
___________________________________
___________________________________
L’appoggio ________________________
Il ruolo del re _______________________
LE DIRETTIVE DELLA POLITICA RELIGIOSA DI LUIGI XIV
Oltre alla politica religiosa, Luigi XIV utilizzò la politica culturale come
strumento per imporre una maggiore uniformità all’élite intellettuale del paese,
mettendo a tacere le possibili fonti di critica nei confronti dello stato. All’interno
di quest’ottica il ruolo dell’intellettuale doveva essere quello di glorificare le
istituzioni statali e il re. La forma che prese questa politica culturale fu, da un
lato, quella classica del mecenatismo, dall’altro, quello della repressione. In
questa prospettiva va inserito il patrocinio delle arti e delle scienze promosso
dal re. Scrittori, letterati e uomini di teatro (come Molière e Racine) furono
protetti e stipendiati. Il re e i suoi ministri favorirono la formazione di
una cultura ufficiale, fortemente celebrativa che, in quanto tale, non poteva
tollerare voci dissenzienti: così venne esercitata attentamente la censura,
furono perseguitati gli autori di opposizione e distrutti i loro scritti.
Tra quest’ultimi, espressione delle tendenze nuove che si diffondevano in alcuni
settori della società sul piano del costume, vi furono i libertini. Il
libertinismo fu un movimento culturale che si diffuse soprattutto in Francia
e al quale appartenevano esponenti di orientamento diverso, accomunati da
un atteggiamento di opposizione allo spirito di intolleranza del
controriformismo cattolico e di difesa delle esigenze della ragione.
"Libertinismo" fu, infatti, affermazione di libertà, affrancamento
dall'ortodossia, esercizio del libero pensiero. Da orientamento diffusosi
originariamente in campo teologico, esso si trasformò in atteggiamento eticopolitico, quasi in una concezione del mondo.
Il movimento libertino attraversò il Seicento, manifestandosi in forme
clamorose di rottura e di scontro con l'ortodossia, oppure muovendosi lungo
percorsi "sotterranei", costrettovi dalla censura, attraverso una letteratura
LA POLITICA CULTURALE
La ricerca __________________________
dell’_____________________________
ruolo voluto dell’intellettuale:
___________________________________
Le linee ella politica culturale:
1 _________________________________
2 _________________________________
I _________________________________
reazione a __________________________
__________________________________
in nome della ________________________
Censura e __________________________
28
semi-clandestina e con atteggiamenti e orientamenti non conformisti di
gruppi intellettuali.
Comunque, fu un movimento che determinò violente reazioni da parte
dell'ortodossia religiosa e del potere politico, preoccupato, quest'ultimo, La condanna in nome _________________
soprattutto di realizzare la coesione sociale necessaria all'assolutismo.
Uno dei maggiori esponenti del Libertinismo fu l'italiano Giulio Cesare ___________________________________
Vanini, che giudicava "impostori" i fondatori di religioni e verrà arso sul
rogo a Tolosa nel 1619. Ma troviamo orientamenti libertini in una vasta letteratura clandestina, ad esempio nelle anonime “Quartine del deista”, nelle
quali si rifiuta ogni religione positiva e si afferma l'idea della tolleranza
religiosa e nella letteratura occultistica del secolo, che riprende i temi
umanistico-rinascimentali della cabala e dell'interpretazione allegorizzante
delle Sacre Scritture.
II più raffinato ed interessante esponente del Libertinismo francese è,
comunque, Cyrano de Bergerac (1619-1655). Pur schierato a favore del regime C. de Bergerac
assolutista e del cardine Mazarino, egli scrive due romanzi filosofici “Stati
e imperi della Luna” e “Stati e imperi del Sole”, nei quali fa la parodia della
Chiesa ufficiale (descrivendo, ad esempio, il processo a Galilei come una
vera e propria macchinazione contro la scienza e la verità) e riprende le tesi
di Giordano Bruno dell'infinità dell'universo. Erano atteggiamenti e spunti
polemici che attraversarono il secolo e verranno ripresi e rilanciati, nel
Settecento con notevole efficaci dall'illuminismo.
LA POLITICA AMMINISTRATIVA,
GIUDIZIARIA
E FISCALE
La formazione di uno stato moderno richiede la realizzazione di una struttura
burocratico-amministrativa distribuita uniformemente su tutto il territorio
nazionale. Solo in questo modo è possibile allo stato stabilire un effettivo
controllo del territorio che si realizza attraverso l’azione giudiziaria che
garantisce, punendo i trasgressori, l’applicazione della legge e fiscale che
consenta allo stato di reperire le risorse necessarie al suo funzionamento. Per
poter garantire un’azione efficace alla struttura burocratica occorreva però che
essa fosse effettivamente sotto il controllo dell’autorità centrale e che potesse
agire in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. Ad ostacolare l’efficacia
dell’azione dello stato francese vi era quindi sia la pratica della vendita degli
uffici e della loro trasmissione ereditaria, che sottraeva al controllo centrale la
burocrazia statale, sia l’esistenza di norme consuetudinarie diverse che
impedivano un’azione uniforme.
Per quanto riguarda il primo aspetto questo era già stato affrontato da Richelieu
con l’introduzione degli intendenti, nominati dall’autorità centrale e inviati nelle
province per controllare l’apparato burocratico-amministrativo, mentre i
maggiori tentativi di unificazione del sistema giuridico e fiscale furono portati
avanti, seppure con scarsi successi, durante il regno di Luigi XIV.
La Francia, lentamente cresciuta nei secoli con annessioni, conquiste, La disomogeneità del:
successioni ereditarie, presentava tutti i caratteri di un organismo formatosi senza
un piano, mentre la forza della tradizione teneva in piedi le più diverse e disor- a - ________________________________
dinate sovrapposizioni. Molte delle regioni che si erano aggiunte più tardi al nucleo
originario del regno, e che venivano chiamate "paesi di stato", avevano conservato
il privilegio di proporre da sé al sovrano l'entità dei tributi che dovevano
pagare; nelle altre province, i "paesi d'elezione", vi erano solo degli "eletti" con
il compito di distribuire fra le diverse circoscrizioni un ammontare di tributi
stabilito dal governo centrale.
Il sistema fiscale delle regioni meridionali, inoltre, era fondato su un criterio
completamente diverso (e anche migliore) rispetto a quelle settentrionali: al sud
l'imposta diretta (la taglia) aveva come fondamento la proprietà, e quindi
presupponeva qualcosa di abbastanza simile a un catasto; al nord era invece
distribuita per gruppi familiari, con maggiori possibilità di abuso. Quanto
29
alle imposte indirette, la gabella sul sale era riscossa secondo aliquote che
variavano da zona a zona; lo stesso si può dire per le imposte di consumo e le
numerose dogane interne (che giocavano, queste ultime, a sfavore dell'unità del
mercato nazionale).
Le circoscrizioni amministrative, quelle fiscali e gli ambiti territoriali di
competenza dei tribunali raramente coincidevano fra loro. Accanto a paesi nei b - _______________________________
quali vigeva il diritto scritto c'erano quelli a diritto consuetudinario. Inoltre, vi
erano circa 400 sistemi di consuetudini, sensibilmente diversi in fatto di proprietà,
successioni ereditarie o diritto di famiglia.
Lo stesso Luigi XIV e i suoi ministri, davanti a questa situazione, finirono per
ritenere impossibile una rapida e completa uniformità; di fatto la burocrazia degli
intendenti si venne solo a sovrapporre alle istituzioni che già esistevano,
esautorandole ma senza abolirle. L'attività di codificazione uniforme fece qualche
passo in avanti solo nei settori del diritto civile e penale (una completa
codificazione a livello nazionale fu raggiunta solo con il Codice Napoleonico
all’inizio dell’Ottocento).
Quanto al sistema fiscale, la sua disparità caotica non venne toccata e nessuna
modifica sostanziale venne apportata alle forme di esazione delle imposte: una Il sistema _______________________
grande quantità di soggetti con privilegi fiscali continuarono a esistere, mentre
restava in vita il sistema di dare in appalto le imposte indirette a dei privati. I delle imposte ____________________
finanzieri privati anticipavano allo Stato l'ammontare dell'imposta e quindi
provvedevano di persona a riscuoterla, cosa che dava luogo a corruzioni, ruberie e
soprusi, ma permetteva allo Stato di incassare subito. Negli ultimi anni del
governo di Mazarino la corruzione e l'inefficienza del sistema degli appalti aveva
raggiunto limiti inaccettabili e sin dal 1661 Luigi XIV istituì una commissione
LA POLITICA AMMINISTRATIVA,
GIUDIZIARIA E FISCALE
Formazione ____________  ____________________________________________
funzioni:___________________________________________________________________________________________________
attraverso: 1- ______________________________________________________
2 - ______________________________________________________
Condizioni di funzionamento:
A - ________________________________________________________________________________________________
NO perché: _________________________________________________________________________________________
B - ________________________________________________________________________________________________
NO perché: _________________________________________________________________________________________
Limiti dei tentativi di soluzione:
____________________________________________________________________________( ______________)
sistema _______________: _____________________________________________________________ (Luigi XIV)
sistema ______________:
a - ____________________________________________________________________________
b - ____________________________________________________________________________
con l'incarico di recuperare le imposte ancora non versate allo Stato. Di fronte al
debole gettito fiscale, lo Stato aveva dovuto ricorrere ai prestiti dei finanzieri
privati e nel 1661 il 62 per cento delle entrate era divorato dal pagamento degli
30
interessi passivi.
Nonostante tutto lo Stato era costretto a chiedere agli appaltatori il pagamento
anticipato di annualità future d'imposta; inoltre, l'assolutismo statale non era in
grado di provvedere da sé ai costi e all'organizzazione di un apparato fiscale
centralizzato. Da ultimo, erano gli stessi appaltatori a fornire allo Stato i prestiti di
cui aveva bisogno e perciò esso doveva tenere buoni i propri finanzieri lasciando
nelle loro mani i profitti dell'appalto d'imposta.
Finché la Francia fu in pace o non fu impegnata in guerre troppo costose riuscì a
tenere sotto controllo il debito pubblico e perfino a ridurre la taglia, che gravava
pesantemente solo sui contadini, aumentando invece le imposte indirette.
Nel 1666, anno di pace, il totale delle entrate statali fu di 67,5 milioni di lire
tornesi (la lira tornese, moneta di conto francese, equivaleva negli anni 166080 a circa 8,5 g d'argento) e il bilancio statale chiuse con un leggero attivo;
ma a partire dal 1667, e ancora più dal 1672, la Francia fu quasi
continuamente in guerra e le spese salirono fino ai 126 milioni del 1679 (ma i
veri record si toccheranno dopo il 1701).
Dal 1690 si dovette ricorrere alla vecchia pratica di svalutare la moneta di conto
(nel 1700 la lira tornese equivaleva a 7 g d'argento) e nel 1695 venne anche
istituita una nuova imposta diretta, che doveva essere senza esenzioni e
privilegi, ma che dopo varie vicende diede un gettito sempre minore.
Il ricorso al debito pubblico divenne perciò sempre più massiccio e già nel
1683 quasi il 19 per cento delle entrate veniva assorbito dal pagamento
degli interessi, mentre il bilancio restava continuamente in deficit. In
sostanza il carico fiscale continuò a gravare quasi totalmente sui contadini e
l'assolutismo si fece sentire relativamente poco sulle classi privilegiate, la nobiltà
e il clero.
i motivi del ricorso agli ________________
1 - ________________________________
2 - ________________________________
3 - ________________________________
Il ______________________ pubblico
LA POLITICA ECONOMICA
Nel Seicento, accanto ai compiti legislativi, giudiziari, fiscali e amministrativoburocratici, lo Stato tese ad assumere un nuovo ruolo anche in campo economico.
Questa estensione dei suoi ruoli era dovuta sostanzialmente alla necessità di
avere a disposizione grandi risorse finanziarie, sia per realizzare l’apparato
burocratico-statale, sia per le continue guerre fra gli stati europei. In precedenza
l’intervento economico dello stato si riduceva alla pura e semplice tassazione,
spesso fino al Sei-settecento occasionale, in quanto veniva imposta man mano
che le esigenze della corte lo richiedevano. Ben presto ci si accorse che solo un
paese ricco poteva garantire allo stato le risorse necessarie, che non bastava
tassare i cittadini, occorreva che questi, o almeno una parte di essi, fossero
sufficientemente ricchi per poter produrre un surplus da destinare alle spese dello
stato.
LA POLITICA ECONOMICA
necessità finanziarie dello stato legate a: 1 - _____________________________________________
2 - ______________________________________________
Il nuovo ruolo ____________________ dello stato: da _________________________ occasionale a ____________ ECONOMICA
provvedimenti coerenti volti a:
_________ dei cittadini
+
____________ 
+
______________________  + ________________ = + risorse per lo stato
Il complesso di teorie e di pratiche che, tra la fine del Cinquecento e l’inizio del
Settecento, si richiamavano alla necessità di un intervento dello stato in campo
economico sono state identificate con il termine mercantilismo che costituisce,
31
quindi, la prima teoria economica moderna, ma anche la prima forma di politica
economica, in quanto prevedeva una serie di provvedimento coerenti.
Benché spesso anche molto differenziate, le teorie del mercantilismo sono
caratterizzate da alcuni elementi comuni, a partire dall’identificazione delle fonti
della ricchezza nel commercio internazionale e nella disponibilità di moneta.
Tale identificazione della fonte della ricchezza nel commercio e non nella
produzione (attualmente l’indice che fornisce il dato della ricchezza di un paese è
indicato dal PIL, prodotto interno lordo di un anno) era dovuta al fatto che
l’attività in cui la borghesia investiva i suoi capitali e, di conseguenza traeva i
suoi profitti, era l’attività commerciale e non ancora l’attività produttiva che
rimaneva a livello artigianale.
Inoltre, i teorici del mercantilismo ritenevano che la produzione mondiale dei
beni del grande commercio fosse più o meno limitata e che il solo modo per
accrescere la quota di ciascun paese in fatto di prodotti quali pepe, spezie,
zucchero, oro, argento, oltre che di mercati per la vendita di prodotti manifatturieri,
consistesse nel limitare la quota altrui, con qualunque mezzo. Tale considerazione
risulta sicuramente legata al fatto che nel complesso il Seicento fu un secolo di
crisi, caratterizzato da una lunga stagnazione economica; fatto che sicuramente
contribuì a dare l’impressione che lo sviluppo economico avesse dei limiti
invalicabili.
Infine, il mercantilismo stabilisce uno stretto legame tra la politica di potenza
dello stato e gli interessi dei grandi mercanti in opposizione agli interessi dei
consumatori. Infatti, la potenza dello Stato dipendeva dalle disponibilità di denaro
per finanziare le guerre e il denaro poteva entrare solo attraverso l'attività dei
mercanti: fra Stato e mercanti c'era perciò una certa convergenza di interessi e
toccava all'autorità pubblica proteggere gli uomini d'affari dalla concorrenza
straniera.
Nella sua forma più semplice il problema si riduceva a quello di una bilancia
commerciale e dei pagamenti con l'estero favorevole: i metalli preziosi che
entravano nel paese dovevano essere più abbondanti di quelli che ne uscivano2.
Occorreva allora che le importazioni dall'estero fossero il più possibile frenate;
obiettivo questo che venne perseguito sia attraverso l’introduzione di imposte
che colpivano in maniera forte i prodotti finiti provenienti dall’estero e non
l’ingresso di materie prime, sia con misure che vietavano l’ingresso di merci
straniere se non trasportate da navi nazionali. Parallelamente si doveva evitare
l’uscita delle materie prime dal paese (colpendole con i dazi doganali) e si
dovevano sviluppare le manifatture nazionali in quei settore (prodotti di lusso,
sete, tessuti preziosi, vetrerie, arazzi, mobili pregiati) i cui prodotti erano, insieme
alle spezie, le merci che venivano scambiate sul mercato internazionale3. Il caso della Spagna, che esportava la sua lana per poi reimportarla come tessuto a
prezzi moltiplicati, era un esempio negativo per tutti.
Mercantilismo significa in conclusione una politica doganale molto rigida, un
controllo minuzioso sulle industrie di lusso, un proliferare di regolamenti
industriali e commerciali, il blocco del movimento dei beni economici. Ma il settore
più controllato era quello del commercio a lunga distanza dei prodotti asiatici o
americani, che in seguito sarebbero stati chiamati coloniali.
2
Occorre sottolineare il fatto che, non essendo ancora in uso la moneta cartacea che verrà introdotta solo
nel corso dell’Ottocento, l’utilizzo delle monete metalliche, contenente una certa quantità di metallo
prezioso, implicava il fatto che i pagamenti con l’estero comportassero la perdita del metallo prezioso
contenuto nelle monete.
3
Il fatto che il mercato fosse limitato ai prodotti di lusso era dovuto alla struttura elitaria delle società
dell’ancien régime, per cui il mercato risultava riservato ai ceti privilegiati, nobiltà civile ed ecclesiastica
e alta borghesia, che da un punto di vista economico erano ceti parassiti in quanto le loro entrate, derivate
dal controllo del lavoro dei contadini, non erano reinvestite in attività produttive o commerciali bensì in
beni di lusso o al massimo, come nel caso della borghesia e come vedremo meglio più avanti, in attività
rese lucrose dall’intervento statale.
32
Era verso l'India e l'Estremo Oriente che si rischiava la maggiore emorragia
IL MERCANTILISMO
prima forma di ________________ e _________________ economica moderna
Principi teorici:
1 ___________________________________________________________________________________________________
perché _____________________________________________________________________________________________
2 __________________________________________________________________________________________________
perché _____________________________________________________________________________________________
3
vedi 1  cittadini che dispongono di ________________ = mercanti
____________________ tra _____________ e stato  __________________________________________________
a danno degli interessi dei ____________________________
Provvedimenti:
obiettivo: ottenere bilancia commerciale __________________ per cui:
1 - ____________________________________________________________
a - __________________________________________________________________________________________
b - __________________________________________________________________________________________
2 - _________________________________________________________________________________________________
a - __________________________________________________________________________________________
b - __________________________________________________________________________________________
3 – _________________________________________________________________________________________________
perché ______________________________________________________________________________________________
interessi economici: 1 - _____________________________________
2 - _____________________________________
3 - _____________________________________
Convergenza d’affari tra
4 - _____________________________________
borghesia e stato assoluto
5 - ______________________________________
+
entrate per ________
+
investimenti redditizi
per ________________
interessi politico-sociali: stato  _______________________________________________________
borghesia  ____________________________________________________
Limiti politica economica stato francese:
1- __________________________________________________________________________________________________
2 _____________________________________________________________________ perché:
a - __________________________________________________________________________________________
b - __________________________________________________________________________________________
monetaria, specialmente quando si dipendeva da navi e mercanti stranieri. Ed
ecco allora l'ultimo elemento del mercantilismo: i monopoli costituiti dall'autorità
33
pubblica a favore di compagnie commerciali nazionali, cioè il loro diritto esclusivo
a comprare e vendere in un determinato paese o in un certo settore.
Simili compagnie (la più famosa delle quali è sicuramente l’inglese Compagnia delle
Indie orientali) non giocarono però soltanto contro i mercanti stranieri, perché alla
lunga vennero a determinare situazioni di privilegio che bloccavano l'innovazione
economica. La logica del monopolio è pericolosa: i profitti sicuri, con
l'eliminazione del rischio della concorrenza, finiscono per indurre al
parassitismo a spese della società intera.
Inoltre, questa logica ha la tendenza a espandersi: i sovrani vendevano i monopoli
come le cariche pubbliche, con lo scopo di aumentare le loro risorse finanziarie
(cosa garantita anche dagli aumenti dei dazi doganali), e chiunque era disposto a
pagare pur di vedere interdetta legalmente la concorrenza. Ed ecco che i monopoli
cominciarono a proliferare (con l'eccezione dell'Olanda e in parte dell'Inghilterra)
nei più diversi settori produttivi.
Questo fatto, insieme ai prestiti ai sovrani e all’appalto delle tasse, di cui abbiamo
detto nel paragrafo precedente, dimostra che vi era una chiara convergenza
“d’affari” tra borghesia e monarchia assoluta; convergenza che si dimostra
sostanziale e non occasionale se pensiamo a quanto detto prima dell’intera politica
economica ispirata al mercantilismo (vedi sopra), nonché al fatto che la monarchia
tendeva ad utilizzare la borghesia mercantile e finanziaria per rafforzare se
stessanei confronti della nobiltà, mentre quest’ultima vedeva crescere il suo
prestigio e il suo peso politico-sociale.
L’insieme della politica economica francese non riuscì comunque a stimolare lo
sviluppo dell’economia nazionale, cosa che risulta evidente soprattutto se
confrontiamo la situazione francese con ciò che avvenne in Inghilterra. Infatti, la
politica coloniale francese non riuscì a dar vita ad un impero coloniale come
quello inglese e il sistema monopolistico finì per essere di ostacolo al sistema
produttivo, poiché i regolamenti a cui era sottoposto, nel tentativo di garantire la
qualità del prodotto, ponevano dei limiti all’introduzione di innovazioni nel
processo produttivo. Inoltre, i monopoli produttivi finirono per concentrarsi nella
sola produzione di beni di lusso, in gran parte richiesti per la costruzione della
reggia di Versailles. In tal modo mentre l’Inghilterra si stava avviando verso
forme di economia capitalista, dapprima in agricoltura e poi anche per le attività
manifatturiere, la borghesia francese continuava a investire i suoi capitali in
attività meno innovative, rese redditizie dal carattere monopolistico garantito
dallo stato.
34
1.2 - L’ITALIA E IL DUCATO DI SAVOIA
1.2.1 Il dominio spagnolo e la riorganizzazione assolutistica dello stato
sabaudo
1.2.2 Atlantizzazione e rifeudalizzazione
1.2.3 La politica riformatrice di Vittorio Amedeo II
Se nei Paesi Bassi il tentativo spagnolo di impedire l'avanzata del
calvinismo e di limitare le tradizionali autonomie produsse una rivolta e
la violenta repressione che ne seguì dette luogo a una vera e propria
guerra indipendentista, durante il regno di Filippo II la dominazione
spagnola sui territori italiani (Milano, Napoli, la Sicilia e la Sardegna) poté
consolidarsi senza grandi difficoltà.
In Italia le grandi famiglie urbane si erano avvicinate nel modo di vivere e di
sentire e allo stile della nobiltà, avevano investito nel sicuro possesso terriero i loro
profitti; cominciavano ad apprezzare le delizie della vita nelle ville campestri più
dei rischi dei lunghi viaggi e del commercio internazionale. La generazione
della grande borghesia degli anni 1550-80 stava indubbiamente scivolando
verso lo spirito del consumo vistoso e della rendita parassitaria, ma ciò non vuol
dire che in quel periodo ci fossero sintomi consistenti di un regresso economico
del paese; la tendenza ad assimilarsi alla nobiltà era del resto molto più antica
del 1530-50. Le basi della prosperità italiana apparivano ancora invidiabili; alla
metà del Cinquecento la produzione di beni di lusso e il commercio mediterraneo
si erano pienamente ripresi dalla crisi in precedenza provocata dall'azione dei
portoghesi negli oceani e dalle guerre di cui il paese era stato teatro. Non tutti i
profitti, poi, si trasformavano in opere d'arte, palazzi urbani, ville e proprietà
terriere; restava sempre una grande quantità di denaro che, unita all'esperienza
finanziaria dei genovesi e dei fiorentini, poteva fruttare nuova ricchezza
inserendosi nei grandi circuiti finanziari europei o concessa in prestito allo stesso
Filippo II.
Dal punto di vista economico, e ancor più da quello finanziario, l'affermazione del
potere spagnolo non aveva dunque significato trasformare l'Italia in un satellite
dell'impero di Filippo II. Nello stesso Mezzogiorno italiano la presenza spagnola
non provocò grandi mutamenti nel predominio economico che ormai da secoli vi
esercitavano i mercanti delle maggiori città centrosettentrionali e, soprattutto,
quelli genovesi. Dal punto di vista politico la subordinazione alla Spagna fu invece
più rapida e totale; l'Italia non fu mai causa di grandi preoccupazioni per il
sovrano. Oltre alla Sardegna, questi possedeva direttamente, nella forma
dell'unione dinastica, il ducato di Milano (dove era rappresentato da un governatore) e i regni di Napoli e di Sicilia (nei quali il governo era esercitato dai
viceré).
Se la pressione fiscale ebbe indubbiamente la tendenza ad aumentare in tutti i
possessi italiani di Filippo II e l'alto personale politico in essi attivo fu di
esclusiva origine castigliana, nondimeno la loro costituzione interna non subì
modifiche radicali. Gli organismi collegiali che in diverso modo rappresentavano a
vario titolo gli interessi dominanti (il patriziato urbano a Milano e il ceto baronale a
Napoli e Palermo) mantennero i loro poteri amministrativi, giurisdizionali e fiscali.
Degli altri stati italiani solo Venezia e in qualche misura il papato mantennero una
politica autonoma da quella spagnola, mentre la repubblica aristocratica di
Genova e il ducato di Firenze, gravitavano attorno alla Spagna.
La pace di Cateau-Cambrésis aveva poi segnato la rinascita del ducato di
Savoia, dopo la lunga occupazione francese; il duca Emanuele Filiberto
contribuì alla principale vittoria spagnola nell'ultima fase della guerra.
L'antica dinastia dei Savoia era stata negli ultimi secoli del Medioevo sovrana di
regioni montane ricche di sopravvivenze feudali, ma dopo il 1560 tese sempre più
a espandersi verso la pianura italiana, spostando la capitale da Chambéry a
35
Torino e ottenendo nel 1588 l'annessione del marchesato di Saluzzo.
Anche in Piemonte si avviò un processo di concentrazione del potere a opera del duca
Emanuele Filiberto (1553-1580). Egli attuò una generale riorganizzazione
amministrativa dello Stato mentre gli Stati generali, cioè gli organi di rappresentanza
dei ceti, vennero progressivamente privati delle loro prerogative; fu istituito un
esercito permanente, destinato, dalla fine del Cinquecento, a sostenere la politica di
potenza e di ampliamento territoriale del Ducato sabaudo, con sviluppi ed esiti
alterni. Sebbene costosi e dagli incerti risultati, i tentativi di espansione
contribuirono però a rafforzare lo Stato, a definirne con sempre maggiore
chiarezza l'identità italiana, a mettere a punto un apparato militare che consenti poi
al Ducato sabaudo, fra Seicento e Settecento, di essere attivamente presente sulla
scena internazionale.
Terra di missione per i gesuiti, data la vicinanza con la calvinista Ginevra e la
presenza degli eretici valdesi nel proprio territorio, lo Stato sabaudo, anche per la
mancanza di tradizioni culturali autonome, accettò il loro modello culturale che fu
componente essenziale del barocco piemontese. Per oltre un secolo e mezzo la
corte sabauda sarà egemonizzata dalla cultura gesuitica. Conformismo e
accettazione dei modelli controriformistici poterono tuttavia convivere con una
ferma difesa dell'autonomia dello Stato, che regolò saldamente e senza cedimenti i
rapporti con la Chiesa.
Gli effetti della atlantizzazione si fecero sentire sulla penisola italiana a
partire dalla fine del '500 e soprattutto agli inizi del '600. La fase più drammatica
della crisi è stata ormai identificata negli anni fra il 1620 e il 1630. Erano i decenni
della Guerra dei trent'anni (vedi prossimo paragrafo), che sfiorò solo marginalmente l'Italia come fronte militare, ma ebbe ugualmente conseguenze pesanti soprattutto nelle regioni controllate dagli Spagnoli (Milano, Napoli, e Sicilia),
coinvolte nelle spese militari, nelle selvagge esazioni fiscali, nella decadenza dello
Stato dominante. Il ducato di Milano fu toccato solo in parte nello scontro con i
Grigioni per il possesso della Valtellina (1624-1626). Nel 1627 iniziò la guerra di
Casale, dopo l'occupazione francese di Saluzzo e Pinerolo. Il Piemonte,
direttamente minacciato nei suoi territori fu a fianco della Spagna. Le truppe
mercenarie tedesche (i lanzichenecchi) portarono in Italia e soprattutto nel
Milanese, con la carestia, la peste bubbonica, particolarmente spietata nell'Italia
del Nord e a Milano. La guerra si concluse con l'armistizio di Cherasco (1631),
che assegnò il Monferrato ai Gonzaga Nevers, successori dei Gonzaga di
Mantova. Questo risvolto italiano della Guerra dei trent'anni mostra tutta là
debolezza della società del '600. Carestia e peste colpiscono uno Stato di Milano
oppresso dalla penuria, dalla fiscalità, dal malgoverno spagnolo. Drammatica è la
caduta della produzione della seta, un tempo fiorente, che colpisce sia Venezia, sia
la Toscana, sia il Mezzogiorno. In questo quadro, tuttavia, non mancano differenze
profonde. Per Venezia e la Toscana, dove il governo pratica una politica
mercantilistica, si può parlare di decadenza e di una certa caduta della
produzione, mentre per il ducato di Milano e soprattutto per il Mezzogiorno si
assiste a una vera e propria scomparsa della manifattura stessa. Tale realtà è
tanto più impressionante in quanto il Mezzogiorno rimane una delle regioni
produttrici della seta greggia. Questo significa la trasformazione
dell'economia meridionale in un'economia subalterna, di tipo coloniale: i
produttori locali si riducono a vendere le materie prime ai mercanti francesi e
inglesi, in grado invece di pagare con pezze lavorate, realizzando profitti notevoli.
36
Ritratto di Carlo Emanuele I (1580-1630)
Frontespizio del fascicolo con le clausole del Trattato di Cherasco del 1631
Biblioteca Adriani, Cherasco
Ritratto di Vittorio Amedeo I (163037)
La decadenza della manifattura e dell'artigianato italiano - e quindi della
partecipazione italiana al commercio internazionale - corrisponde ad una
incapacità delle strutture politiche ad avere un ruolo significativo nel contesto
degli Stati europei. Da questo punto di vista anche gli Stati regionali, come la
Toscana e il Piemonte, che avevano affrontato nella seconda metà del '500 una
riorganizzazione di tipo assolutistico, finiranno per mostrare i loro limiti e
conoscere lunghi periodi di inerzia e decadenza. Tipico era il caso dello
Stato sabaudo, passato a Carlo Emanuele I (1580-1630). La macchina amministrativa e militare organizzata da Emanuele Filiberto poté far pensare per
qualche tempo ad un ruolo egemonico del Piemonte in Italia. Nel 1610 aveva
infatti stretto alleanza con Enrico IV, re di Francia, pensando di sottrarre la
Lombardia agli Spagnoli. La morte del sovrano francese lasciò il duca
sabaudo ad affrontare da solo la Spagna nei territori italiani. Un altro episodio
che mise in luce l'ambizione dell'animoso Carlo Emanuele I fu legato alla guerra
di successione per il Monferrato. Morto Francesco Gonzaga che era duca di
Mantova e Monferrato (1612) i Piemontesi occuparono quest'ultimo territorio.
Ma lo Stato sabaudo fu costretto a restituire a Ferdinando Gonzaga, fratello del
defunto, il territorio agognato. Non fu l'ultimo tentativo. Carlo Emanuele I nel
1627, come abbiamo accennato prima si schierò, con gli Spagnoli e con gli imperiali
contro il candidato francese Gonzaga-Nevers. L'obiettivo era sempre Casale e il
Monferrato, ma il duca fu sconfitto e dopo la sua morte (1630) il successore
Vittorio Amedeo I (1630-37) sarà costretto a firmare con i Francesi la pace di
Cherasco. Si apriva per il Piemonte un periodo di incertezze e di crisi, che
sfocerà nella guerra civile alla morte di Vittorio Amedeo I.
I segni della crisi economica che aveva avuto la sua punta massima dal
secondo al quarto decennio del secolo rimasero evidenti per tutto il secolo.
Con le diverse sfumature legate alle differenti organizzazioni politi che,
l'elemento comune era la caduta dei commerci internazionali e della
produttività manifatturiera, che aveva colpito centri come Firenze,
Venezia, Milano. Le conseguenze dello spostamento dei traffici verso il
mondo atlantico si facevano ora sentire in modo pesante. Inglesi, Francesi
e soprattutto Olandesi, si stavano impadronendo dell'attività mercantile che
interessava ancora l'area mediterranea, sostituendo completamente i Genovesi
e soprattutto i Veneziani. La caduta produttiva riguardava in particolare la
lana e "la seta. Le cifre sono eloquenti: Venezia, che agli inizi del '600
produceva fra le 20 e le 30 mila pezze di lana, verso la fine del secolo si
muoveva fra le 2 e le 3 mila pezze. Analoga crisi, legata almeno in parte alla
dominazione spagnola, aveva colpito i laboratori milanesi, che nel corso del
37
secolo si erano ridotti da 500 a poco meno di una trentina. La crisi
manifatturiera, che aveva colpito tutte le aree, cambiando il volto dell'econo mia italiana, era accompagnata da un ritorno alla terra e a forme di
rendita 4 sempre più vistose. Il fenomeno è presente quasi da per tutto: nel
Meridione la feudalità più antica o manteneva le sue posizioni o si
rafforzava a danno di quella più recente, di origine mercantile. Il patriziato
veneziano spostava sempre più i suoi capitali dal commercio alla terra,
dilagando con proprietà e ville nella campagna della terra ferma. Gli studi
più recenti hanno mostrato che la nobiltà veneziana, pur essendo in calo
demografico (dal 4,5% del 1581 passava al 3,7% del 1642 ed era destinata
a diminuire ancora) nel 1661 deteneva quasi il 70% dei beni fondiari
dell'intera repubblica, impadronendosi di un numero sempre maggiore di
terreni comunali. Il patriziato genovese, ugualmente in calo demografico,
non disponendo di un retroterra consistente, spostava ugualmente le sue
ricchezze in rendite parassitarie, dall'acquisto dei feudi meridionali ai
prestiti di denaro, agli appalti delle gabelle. Il ritorno alla terra non
sempre significava un aumento della produttività delle aziende agricole. In
senso generale queste erano colpite dalla crisi generale, dal mancato collegamento
con le attività manifatturiere, dalle trasformazioni di culture. I profitti per i grandi
proprietari potevano essere ugualmente alti, ma i disagi erano scaricati sui
contadini, sulla loro disponibilità di denaro (che diventava minore) e degli stessi
mezzi di sussistenza. C'erano tutti i sintomi della degradazione economica: la
diminuzione dei terreni coltivati, l'estendersi dei latifondi, l'indebitamento dei
contadini, il conseguente vagabondaggio. A peggiorare le cose si aggiungeva il
fatto che nel XVI secolo i vagabondi potevano trovare una qualche occupazione
nelle città in espansione, mentre nel XVII secolo anche le città italiane si stavano
riempiendo di artigiani senza lavoro. Caduta della produzione manifatturiera,
ritorno alla terra e conseguente rifeudalizzazione5 si accompagnavano con un
fenomeno cui si è già accennato per Genova, ma che è generale: lo spostamento
progressivo dei capitali che non erano immobilizzati, in prestiti all'erario o
appalti di imposte. Di questa economia «malata» è specchio la popolazione la cui
crescita, dopo le punte del XVI secolo, conobbe un certo rallentamento. Anche
se complessivamente non ci fu un vero e proprio calo nel corso del XVII secolo, si
modificò il rapporto fra città e campagna nel senso che la popolazione urbana
diminuì a favore della seconda.
Quale fu la reazione degli Stati alla crisi generale del XVII secolo e in particolare ai
problemi che si posero nella seconda mete dei '600? Nel Piemonte sabaudo, sotto
Carlo Emanuele II (1663-1675), la risposta fu di tipo mercantilistico. Lo Stato
cercò di sollecitare - su modello francese - l'economia, utilizzando i propri
capitali accanto a quelli dell'aristocrazia. Era un processo destinato a conoscere
una battuta d'arresto dopo la morte di Carlo Emanuele II e la reggenza di Maria
Giovanna Battista (1675-1684). La reggente, infatti, era legata alla Francia da
profondi vincoli di sangue e per qualche anno, anche dopo che questi, nel 1680,
aveva raggiunto la maggiore età, cercò di tener lontano dal governo il figlio,
Vittorio Amedeo II. Solo nel 1684 questi - con un vero e proprio colpo di Stato 4
Con rendita si intendono i redditi (beni monetari o reali a disposizione di un individuo) ottenuti dai
proprietari di fattori produttivi per il solo fatto di essere proprietari: il caso tipico è quello del proprietario
terriero che riceve affitti e canoni in natura indipendentemente dal fatto che si che sia coinvolto negli
investimenti necessari alla produzione.
5
Il termine "rifeudalizzazione" indica sia una forte espansione del latifondo sia una più acuta
tendenza alla proprietà assenteista che si limitava a riscuotere le proprie rendite e accresceva lo
sfruttamento dei contadini. Il nuovo feudalesimo si manifestava, dalla Lombardia a Napoli e alla Sicilia, anche come vendita di diritti feudali alla nobiltà vecchia e nuova da parte di uno Stato
cronicamente bisognoso di denaro.
38
escluse la madre dal potere e cominciò a regnare, prendendo a modello
l'assolutismo di Luigi XIV. Ma per lunghi decenni le guerre gli impedirono di
organizzare una coerente politica riformatrice, quale sarà realizzata solo dopo il
primo decennio del '700. Le scelte militari di Vittorio Amedeo II furono
profondamente influenzate dalla necessità di liberarsi dell'incomoda presenza
francese a Casale e a Pinerolo. Nel 1679 infatti, Casale - una formidabile fortezza
- era stata venduta da un emissario dei Gonzaga a Luigi XIV. Nel 1681 le truppe
francesi l'avevan occupata con un presidio. Per questo il Piemonte prese parte
alla guerra contro la Francia (1690-1697) a fianco degli Austriaci e Spagnoli
riottenendo Pinerolo. Qualche anno più tardi partecipando alla guerra di
successione spagnola (1702-1713) il duca ottenne, oltre che il titolo di re,
l’annessione del Monferrato e della Sicilia (i Savoia e gli Asburgo d’Austria si
scambiarono la Sicilia e la Sardegna nel 1718).
Nel quadro generale, segnato dal permanere di un notevole immobilismo sociale e
politico lo Stato sabaudo di Vittorio Amedeo II si distinse, oltre che per
l’attivismo militare, per l'attività riformatrice. Con l'Editto di perequazione
(1720) i carichi fiscali furono distribuiti più equamente non solo fra le province,
ma anche fra gli ordini, costringendo nobiltà e clero a contribuire alle spese
dello Stato, alleggerendo in questo modo il carico dei contadini e dei
borghesi. Inoltre, venne avviata una politica di rivendicazione allo Stato di
delle terre possedute illegittimamente a titolo feudale, titolo che le escludeva dalla
tassazione. Il provvedimento riguardò circa un quinto dei feudi dello Stato e, pur
non combattendo l'istituzione in sé, ebbe tuttavia un certo significato antifeudale, dato che colpiva al 90% la vecchia aristocrazia. Con la vendita a
magistrati e borghesi di una parte di tali feudi (quasi il 70%), il sovrano
intendeva portare all'interno della nobiltà il gruppo dirigente di origine
professionale che si stava formando e che gli aveva reso possibili le riforme.
Altrettanto decisa fu la politica nei confronti dei beni ecclesiastici immuni, ovvero
che non pagavano tasse, ridotti a poco più del 5%.
A
una
volontà
di
rinnovare lo Stato e la sua
struttura amministrativa,
riducendo gli abusi di tipo
feudale ed ecclesiastico,
corrispose una politica
economica mercantilistica,
che favorì lo sviluppo di
manifatture soprattutto nel
settore
tessile,
lo
sfruttamento più razionale
delle
risorse
agricole,
produttive, minerarie.
Ma l'intervento di Vittorio
Amedeo II e dei suoi
avvocati-burocrati non si
fermò
al
quadro
amministrativo, finanziario
ed economico. Coinvolse
ampiamente
alcuni
meccanismi
essenziali
della società civile, come le
leggi e la scuola. Nel primo
settore le Costituzioni del
1723 e soprattutto del 1729 intendevano fissare per tutti (cittadini, avvocati e
magistrati) le leggi dello Stato ovviando a quel fenomeno tipico di tutti gli Stati
che era l'accumulazione disordinata di dispo- sizioni spesso contraddittorie. Si
39
possono anche citare tipiche mancanze d'apertura o severi- tà eccessive (che ci
parlano di una società in cui la giustizia era insieme inefficace, sproporzionata e
violenta), il permanere della tortura, della pena di morte. In realtà si trattava
del primo esempio di codifica- zione, se non ardita almeno coerente, che dava
disposizioni organiche e definite, e che ordinava una materia sino ad allora
non chiara e non codificata. Questa opera di riordinamento,definizione e
semplificazione doveva facilitare e rendere più efficiente il lavoro dei magistrati e
dei legali. Ancora più significativa è l'azione nel settore scolastico. Punto di
partenza fu la riforma universitaria. Il Piemonte aveva bisogno di funzionari
efficienti, servizi sanitari più moderni, un clero meno legato a Roma. A queste
esigenze rispose la riforma universitaria del 1720. All'università, guidata
dal Magistrato della riforma (che comprendeva diversi funzionari), fu affidato
non solo il compito di insegnare le professionalità fondamentali (legge, medicina e
teologia) ma anche altre, più specifiche e minori (architettura, agrimensura,
farmacia, ecc.). Nel 1729 venne riordinata anche l'istruzione secondaria, rendendo
laico il modello gesuitico (scuole di latinità, umanità e retorica) e
sottraendolo agli ordini religiosi e in .particolare alla Compagnia di Gesù. Questi
interventi sull'istruzione universitaria e soprattutto secondaria inaugurarono
una diversa politica dello Stato nei confronti dell'istruzione. Furono i primi e
i più organici in Europa. Va detto che la soluzione riformatrice di Vittorio
Amedeo II, se rispose pienamente alle esigenze di efficienza che l'aveva generata,
non riuscì a modificare in modo profondo e in senso qualitativo la società
civile. L'università, dopo un primo periodo di attività creativa e di effettiva
produzione culturale, legata ai numerosi intellettuali stranieri richiamati, si
limitò a produrre buoni quadri per l'amministrazione e i servizi, senza
partecipare che marginalmente alle grandi trasformazioni della cultura europea.
La scuola secondaria fu costretta a riassorbire almeno gran parte del personale
ecclesiastico per mancanza di finanziamenti; la persecuzione contro i professori
più indipendenti, la vigile censura, l'esigua e controllata produzione libraria,
l'assenza di periodici, sono tutti i segni di uno Stato che aveva operato riforme
importanti ma senza aprire un dibattito nella società civile. Calate dall'alto,
applicate diligentemente dalla nuova classe dirigente, le riforme si tradussero nel
lungo regno di Carlo Emanuele III (1730-1773) in un ammodernamento
burocratico, che avrebbe lasciato il Piemonte quasi del tutto fuori dall'intenso
dibattito illuministico.
40
2 - LA FORMAZIONE DELLO STATO PARLAMENTARE
2.0 Il modello di stato parlamentare-costituzionale
2.1 - Il caso inglese: dallo stato assoluto allo stato parlamentare
2.2 - Il caso americano: lo stato costituzionale
LA FORMAZIONE DELLO STATO
PARLAMENTARE
IL MODELLO DI STATO PARLAMENTARECOSTITUZIONALE
2.0 IL MODELLO DI STATO PARLAMENTARE-COSTITUZIONALE
Stato ________________________, stato
Tra la metà del Seicento e la metà dell’Ottocento nell’Europa occidentale e negli
Stati uniti d’America vennero superate le forme dello stato assoluto. Il nuovo
modello può essere definito stato parlamentare in quanto il parlamento tende ad
assumere una funzione centrale nella vita pubblica e nel funzionamento dello
stato. Lo stato parlamentare è all’origine dello stato liberale o borghese, che si
affermerà nel corso dell’Ottocento. Gli avvenimenti determinanti per la formazione
dello stato parlamentare sono considerati, dagli storici le due rivoluzioni inglesi del
Seicento e, nel Settecento, la rivoluzione americana e quella francese.
Nel secolo successivo i moti degli anni ’20 e ‘30 e le rivoluzioni del 1848
porteranno all’affermazione dello stato liberale caratterizzato dall’uguaglianza dei
cittadini di fronte alla legge e dalla possibilità per una minoranza dei cittadini di
partecipare, attraverso dei rappresentanti, alla formazione delle leggi, compito
principale del parlamento che cominciò ad assumere tale funzione durante il
Seicento in Inghilterra. L’insieme di tali avvenimenti viene caratterizzato come le
rivoluzioni borghesi, in quanto l’imporsi dello stato liberale dell’Ottocento coincise
con l’imporsi della borghesia come classe sociale promotrice dello sviluppo
economico, con l’industrializzazione, e di quello culturale.
Lo stato parlamentare si caratterizza innanzitutto in quanto adotta una carta
costituzionale, costituita da un documento scritto e pubblico che regola il
funzionamento e i compiti delle istituzioni statali.
Questo aspetto risultava essenziale in una situazione in cui lo stato assoluto si
imponeva aggirando le norme tradizionali (non scritte) che regolavano il
funzionamento stesso dello stato. La costituzione decretava, inoltre, i diritti del
cittadino che lo stato riconosce. Tra questi diritti, dal Seicento alla prima metà
dell’Ottocento, il principale fu quello dell’uguaglianza giuridica, diritto che
eliminava i privilegi della nobiltà e del clero. I diritti che si vengono affermando
sono i cosiddetti diritti individuali che vengono fatti coincidere con le libertà
personali e con il diritto della proprietà privata. Questi diritti venivano affermati
ignorando che i soggetti che potevano esercitarli erano profondamente diversi tra
loro, quindi non potevano goderne allo stesso modo.
Nel nuovo stato che si venne affermando in Inghilterra inoltre il parlamento venne
acquisendo nuovi poteri: legislativi e di controllo del governo. Il parlamento è un
organo rappresentativo, in quanto costituito almeno in parte dai rappresentanti dei
cittadini, la cui rappresentatività venne allargandosi nel corso dei secoli. Nello stato
parlamentare liberale il diritto di scegliere i propri rappresentanti è riservato ad una
minoranza, stabilita in base alla ricchezza, al censo (tasse pagate) o in base
all’istruzione. Questi criteri vennero progressivamente adeguati, in modo da
rendere la rappresentatività meno elitaria. Dalla fine dell’Ottocento si impose l’idea
che la partecipazione alla politica dovesse essere allargata a tutti e si affermò
quindi lo stato democratico, in esso accanto all’uguaglianza giuridica si afferma
l’uguaglianza politica, che si realizza con l’introduzione del suffragio universale
(mentre nello stato liberale esisteva invece il suffragio ristretto).
In questo periodo il parlamento acquisisce anche una continuità nelle sue funzioni.
Nello stato assoluto i parlamenti potevano essere convocati e sciolti a seconda della
volontà del re, rendendo il loro funzionamento episodico.
La nuova forma di Stato, lo Stato parlamentare liberale, trovò il suo principale
teorico nel filosofo inglese J. Locke.
_____________________________, stato
___________________________________
Le rivoluzioni _______________________
1- ‘600: ____________________________
2 – ‘700: ___________________________
___________________________________
3 – ‘800: ___________________________
___________________________________
LE CARATTERISTICHE DELLO STATO
_________________________
___________________________ giuridica
=
___________________________________
Stato __________________________
Uguaglianza ________________________
=
___________________________________
__________( suffragio________________)
Stato ____________________________
Locke: ______________________________
____________________________________
41
LE CARATTERISTICHE DELLO STATO _________________________
1 - _________________________________________________:
A - ______________________________________________________________________________
B - ______________________________________________________________________________
a - _______________________________________________________________________
b - _______________________________________________________________________
2 - ____________________________________________:
A -__________________________________ : __________________________ + _________________________________
B - __________________________________:_______________________________________________________________
C - _________________________________________________________________________________________________
.
2.1 - IL CASO INGLESE: DALLO STATO ASSOLUTO ALLO STATO
PARLAMENTARE
2.1.1 La periodizzazione della vita politica inglese del Seicento
2.1.2 La prima rivoluzione inglese e le ideologie politiche
2.1.3La seconda rivoluzione inglese e le nuove forme dello Stato
É possibile sintetizzare gli avvenimenti politici inglesi in tre periodi:
1600-1640 che corrisponde ai regni di Giacomo I e Carlo I che cercarono di
dar vita ad un regime assolutistico a cui si opponeva il parlamento che rivendicava
un nuovo ruolo.
1640- 1660, la cosiddetta Prima rivoluzione inglese caratterizzata dalla figura
di Cromwell. Dopo la rivoluzione violenta si formò un governo repubblicano. Il
processo rivoluzionario non fu guidato dal parlamento, che pure lo aveva
promosso, ma dall’esercito. Questo periodo rappresenta l’esperienza politica più
avanzata di tutto il Seicento. Per la prima volta vennero formulate teorie politiche
alternative all’assolutismo, il nocciolo delle posizioni politiche liberali e
democratiche e socialiste che caratterizzeranno la politica dell’Ottocento.
Nel 1688, dopo un periodo di restaurazione della vecchia monarchia, una
seconda rivoluzione, rivoluzione senza scontri violenti, portò al costituirsi della
monarchia parlamentare, in cui il nuovo ruolo assunto dal Parlamento rispecchiava
un equilibrio politico più favorevole alla borghesia. Tale modello istituzionale
rimase grosso modo inalterato fino al XIX secolo quando, per adeguarsi alla nuova
realtà creata dalla Rivoluzione industriale, assunse connotati più marcatamente
liberali divenendo un modello di riferimento per tutti gli altri stati europei.
-
Il dibattito politico che ha caratterizzo la prima fase della prima rivoluzione inglese
è stato fondamentale per la storia del pensiero politico contemporaneo, infatti in
essa hanno trovato una prima elaborazione le posizioni politiche, liberale,
democratica e socialista, che avrebbero caratterizzato la storia europea
dell’Ottocento e del Novecento.
I dibattiti di Putney sul Patto del popolo proposto dai livellatori, cominciati il 28
ottobre 1647, rappresentano sicuramente uno dei momenti più avanzati di tale
elaborazione. I rappresentanti dell'esercito si riunirono nel sobborgo londinese di
Putney per discutere la situazione e qui il dibattito si soffermò a lungo sul
programma politico dei livellatori, il Patto del popolo. Mentre sulla questione
IL CASO INGLESE: DALLO STATO
ASSOLUTO ALLO STATO
PARLAMENTARE
LA PERIODIZZAZIONE DELLA VITA POLITICA
INGLESE DEL SEICENTO
PRIMA RIVOLUZIONE INGLESE E IDEOLOGIE
POLITICHE
42
dell'abolizione della monarchia l'accordo fu facilmente trovato, non appena si passò
a discutere il testo dal Patto si vide subito che Cromwell non era disposto a far
passare gli orientamenti democratici dei livellatori.
Il 29 ottobre la discussione si arenò sul primo articolo del patto che dichiarava: "Il
popolo inglese, attualmente ripartito in maniera ineguale in contee, città e
borghi, per quel che riguarda l'elezione dei membri del parlamento, dovrà essere
suddiviso in modo tale che non sussistano più ineguaglianze, ma soltanto in base al
numero degli abitanti delle circoscrizioni". Il senso dell'articolo era molto chiaro.
La Camera dei comuni era tradizionalmente eletta in Inghilterra sulla base di
circoscrizioni, definite molti secoli prima, che attribuivano alle diverse parti del
paese una rappresentanza molto sproporzionata. Piccoli borghi avevano il diritto di
eleggere un parlamentare, mentre città assai più importanti erano prive di
rappresentanza. Anche se i puritani non esprimevano ancora in modo espli cito le loro finalità, era al suffragio universale che essi miravano, al principio
(affermato per la prima volta in Europa) che ogni uomo vale un voto e che i
parlamentari vanno ripartiti proporzionalmente alla popolazione delle circoscrizioni
elettorali. Durante il dibattito Cromwell si tenne abbastanza ai margini del
dibattito, pur essendo decisamente contrario al suffragio universale, e lasciò che
gli argomenti in contrario fossero esposti da John Ireton. Questi esordì chiedendo ai presentatori del patto se avevano ben capito il senso dell'articolo, e cioè
che esso comportava l'uguaglianza dì tutti gli uomini nel diritto di voto. Dopo
qualche esitazione, Thomas Rainborough, uno dei sostenitori del patto, portò la
discussione sul suo punto centrale dichiarando: "L'essere più povero che vi sia in
Inghilterra ha una vita da vivere quanto il più grande e perciò credo sia chiaro
che ogni uomo il quale ha da vivere sotto un governo debba prima col suo consenso accettare quel governo". Non era dunque messo in discussione solo il
problema di una migliore ripartizione dei seggi parlamentari, ma anche un
principio di diritto naturale: nessuno deve obbedienza ad un governo che non ha
contribuito a creare.
Ad esso Ireton replicò presentando un principio di tutt'altra natura: "Penso che
nessuna persona abbia diritto a una partecipazione nell'ordinamento degli affari
del paese, a determinare o a scegliere coloro che determineranno da quali leggi
dobbiamo essere governati in questo paese - nessuna persona ha diritto a ciò, la
quale non abbia un interesse permanente e fisso in questo paese".
Quest'ultima espressione, che verrà ripetuta molte volte da Ireton, significa
semplicemente che il diritto di voto va limitato ai titolari di una proprietà
terriera per gli abitanti delle contee e ai membri delle corporazioni per gli
abitanti della città riconosciute come borghi elettorali.
Il principio così espresso è molto più pratico e prosastico di quello dei livellatori.
Nella sua versione più apertamente classista esso arriva (come dice lo stesso
Ireton) a parificare i poveri e i nullatenenti a degli stranieri: "Non saprei dire
perché un forestiero che venga tra noi... non potrebbe rivendicare ugualmente lo
stesso diritto di qualsiasi altro". In una versione più sofisticata il medesimo
principio viene a significare che solo chi ha dei beni da difendere può poggiare su
qualcosa di certo le sue aspirazioni alla libertà; gli altri, i nullatenenti, sono solo
una massa inerte che potrebbe essere facilmente strumentalizzata o che potrebbe
utilizzare il diritto di voto per diventare una maggioranza legale e decretare la
fine della proprietà privata e impadronirsi dei beni altrui.
Ma Ireton si affrettava a precisare che gli uomini nati in Inghilterra possiedono
ugualmente alcuni diritti innati, solo che questi non hanno niente a che fare con la
condotta del governo e il voto politico, ma riguardano piuttosto "il giusto diritto
di non essere allontanati dall'Inghilterra, di non vedersi negare l'aria o la residenza
e il libero uso delle strade e di altre cose". "La cosa principale su cui insisto,
concludeva Ireton, è che vorrei si avesse riguardo alla proprietà. Spero che non
arriveremo a litigare per la vittoria, ma che ciascuno rifletta se egli non intende
raggiungerla per abolire ogni proprietà". Di fronte a questa argomentazione, a suo
43
modo sintetica, Rainborough faceva marcia indietro. Era solo la tirannide dei
ricchi sui poveri che voleva veder abolita e non la proprietà: "Per mio conto sono
contrario a ogni idea d'anarchia e, quanto a voi, desidererei non faceste credere a
tutti che noi invece siamo favorevoli ad essa". Con questa ammissione
Rainborough si trovava ancor più esposto alla forza delle tesi di Ireton che poteva
replicargli: "Se si ammette che, siccome per legge naturale noi siamo liberi, siamo
anche uguali e per conseguenza ogni uomo deve avere il voto, allora mostratemi
per quale ragione io non possa, in base allo stesso diritto, togliervi i vostri possessi".
La delusione della gran massa dei soldati veniva ben espressa dal loro
rappresentante di nome Sexby: "Ci siamo impegnati in questo paese e abbiamo
rischiato la vita solo per recuperare i nostri diritti innati e i nostri privilegi di
inglesi mentre secondo gli argomenti sostenuti ora non ne avremmo alcuno...
Sembra ora che, se un uomo non ha una proprietà fissa nel paese, non ha alcun
diritto in esso. Mi meraviglio che ci siamo tanto ingannati. Se non avevamo alcun
diritto, non siamo stati che dei mercenari... Quando gli uomini arriveranno a capire
queste cose, non si lasceranno defraudare di ciò per cui si sono battuti".
Espressa con minor eleganza dialettica, la tesi di Sexby non era meno stringente:
come è possibile che ad un uomo che non ha il diritto di voto si chieda di
combattere per la sua patria? Solo un mercenario combatte per una libertà che
non lo riguarda. Il dibattito teorico correva il rischio di diventare uno scontro
aperto. La fuga dal re (1'11 novembre) e la ripresa della guerra lo rinviarono di
IL DIBATTITO DI ____________________________
A - CROMWELL – IRETON
B - LIVELLATORI
Tipo di suffragio
________________________________
________________________________
Motivazione
____________________________________
__________________________________
____________________________________
__________________________________
___________________________________
___________________________________
___________________________________
___________________________________
Diritti dei cittadini
Valore comune
____________________________________________________
Posizione politica prefigurata
____________________________________
___________________________________
Tipo di uguaglianza richiesta
____________________________________
___________________________________
C - GLI ______________________________
Obiettivo
____________________________________
Posizione politica prefigurata
__________________________________
Tipo di uguaglianza richiesta
____________________________________
44
qualche mese.
Nel novembre 1647 un fatto nuovo pose fine a ogni discussione: Carlo I era fuggito e
questa volta era riuscito a farsi accogliere da re in Scozia, portando dalla sua parte gli
elementi presbiteriani più moderati. Iniziava una seconda fase della guer ra
civile, che durò fino al settembre 1648, concludendosi di nuovo con la cattura del
re.
Carlo fu sottoposto a processo e condannato a morte per alto tradimento: il 30
gennaio 1649 per la prima volta nell’Europa moderna una rivoluzione ottenne la
testa di un re. Nelle settimane successive furono rapidamente compiute tutte le
riforme necessarie per arrivare alla repubblica (come l'abolizione della Camera
dei lord) che venne proclamata il 13 maggio 1649 e in cui Cromwell e suoi
programmi ebbero un ruolo centrale.
L'opposizione dei livellatori e del loro leader John Lilburne, che avevano presentato
ancora il loro programma democratico, venne domata facilmente da Cromwell; in
effetti i livellatori non intendevano colpire la proprietà privata e quando nell'aprile
1649 comparve un gruppo con idee ancora più radicali il loro programma perse di
consistenza. Questi ultimi venuti si facevano chiamare "zappatori" (diggers) ed
erano comparsi sulla scena dissodando delle terre comuni incolte. Il loro capo
Gerard Winstanley esprimeva idee comuniste sostenendo l’abolizione della proprietà
privata della terra, ma i contadini poveri che lo seguivano volevano solo tornare al
regime delle terre comuni che l’agronomia borghese, con le recinzioni e la
proprietà privata, si stava apprestando ad abbattere.
S e l a Rivoluzione inglese può essere letta come la prima manifestazione delle forme
ancora attuali dello scontro politico fra opposte concezioni del potere e della società,
tuttavia, non bisogna dimenticare che essa vide, nel contempo, anche un aspro
conflitto di fedi e di posizioni religiose. Anzi, non è esagerato affermare che la
Rivoluzione inglese fu anche una guerra di religione, né più né meno della lunga
catena di scontri verificatisi nella Francia del Cinquecento o della guerra dei
Trent'anni. Rispetto a questi due conflitti, l'unica differenza consiste nel fatto che,
in Inghilterra, lo scontro più aspro non si verificò tra cattolici e riformati, bensì ebbe
luogo fra contendenti che appartenevano tutti al campo protestante
(anglicani, favorevoli alla presenza di una struttura religiosa gerarchica
strettamente dipendente dal re, e puritani di ispirazione calvinista che rivendicavano
il diritto della comunità di eleggere il proprio parroco).
La fuga di _________________ e la nuova
______________________________
La vittoria dell’ _____________________
e di _____________
GLI ______________________________
rivoluzione e _____________________
LA SECONDA RIVOLUZIONE INGLESE E LE
NUOVE FORME DELLO STATO
Nel settembre del 1658 Cromwell morì e di fronte al fatto che i gruppi più
radicali presenti nell'esercito sembravano riprendere nuovamente spazi, le
classi sociali6 che avevano già ottenuto ciò che desideravano dalla rivoluzione
prepararono la restaurazione monarchica accordandosi con Carlo II, figlio di
Il ritorno della _______________________
Carlo I, il re condannato a morte.
Si chiariva però che la restaurazione avveniva sulla base di un sostanziale e la________________________________
equilibrio di poteri fra il re e il parlamento. Infatti, il parlamento ottenne da Carlo
II l'impegno, sancito con la Dichiarazione di Breda, a riconoscere le principali
conquiste rivoluzionarie, a governare in accordo con il parlamento, a garantire la
libertà religiosa. Il 29 maggio 1660, infine, Carlo Il fece un ingresso trionfale a
Londra, senza che questo atto significasse l'inizio di una controrivoluzione,
visto che il suo richiamo era stato voluto anche da chi riteneva
sufficientemente solide le conquiste della rivoluzione tanto da preferire
rischiare poco con un nuovo Stuart che molto con i repubblicani più accesi e
i fautori del suffragio universale.
6
La gentry di campagna che aveva vinto sulle tradizioni agricole comunitarie con le recinzioni dei
terreni, imponendo la proprietà privata, individualista, fondata sul lavoro salariato e orientata al mercato e al
profitto, diventando il modello della conduzione rurale che avrebbe visto il definitivo affermarsi del capitalismo
produttivo e i grandi mercanti, che con i loro traffici commerciali si preparavano a controllare i mercati mondiali.
45
Le aspettative andarono però presto deluse: Carlo II (1660-1685), pur senza violare
apertamente l'impegno al rispetto delle prerogative del parlamento, si avviò a
restaurare l'assolutismo e si avvicinò pericolosamente alla Francia, nazione
cattolica e assolutista. Il pericolo di una involuzione politica e religiosa si aggravò
quando, alla morte di Carlo II, salì al trono il fratello, cattolico, Giacomo II (16851688) che avrebbe potuto assicurare una successione cattolica al regno.
Ora, di fronte al pericolo di una restaurazione cattolica, le forze politiche e le loro
rappresentanze parlamentari misero da parte i contrasti e si allearono per porre fine
al regno di Giacomo II: i deputati dei due opposti schieramenti (che si erano
formati sul finire degli anni settanta e che rappresentavano le posizioni più
moderate presenti durante il periodo rivoluzionario), dei whigs - espressione della
gentry di campagna e degli affaristi della City, ostili all'anglicanesimo e fautori della
libertà religiosa, nonchè della responsabilità del governo nei confronti del parlamento
e non del re - e dei tories - grandi proprietari sostenitori della Chiesa anglicana e
difensori della tradizione monarchica -, accantonarono i loro contrasti e nel 1688,
tre anni dopo l'ascesa al trono di Giacomo II, offrirono la corona a un nobile
olandese Guglielmo d'Orange e alla moglie Maria Stuart, figlia di religione
anglicana dello stesso Giacomo.
Questi sbarcarono nel novembre 1688 in Inghilterra, con un esercito di dodicimila
uomini, e, senza incontrare alcuna resistenza, marciarono verso Londra dove il
parlamento, constatata la fuga del re, dichiarò il trono d'Inghilterra vacante.
Guglielmo e Maria accolsero l'offerta della corona e giurarono fedeltà alla
Dichiarazione dei diritti (Bill of rights, febbraio 1689) nella quale sono
I NUOVI
SCHIERAMENTI
Il tentativo di ______________________
__________________ di ______________
e di _______________________________
il pericolo della restaurazione __________
I nuovi ____________________________
_____________________ (vedi schema)
L’offerta della corona a ______________
__________________________________
Il giuramento di fedeltà alla ___________
__________________________________
_______________________:
1 - ____________________:
- gentry + _________________________________________ Forze _____________________________________________
- _____________________________ + parlamento = potere _____________________ e controllo _____________________
2 _____________________:
- ______________________________________________ conservatori
- ______________________________ + ______________________________________________________________________
solennemente riaffermate le prerogative dei Comuni e indicati i limiti al potere del
sovrano.
Negli anni immediatamente successivi Guglielmo e Maria, d’intesa con il parlamento,
rafforzarono le libertà dei cittadini inglesi, firmando importanti provvedimenti che
riconoscevano la libertà religiosa ai dissenzienti protestanti (1689), fissavano la
durata triennale dei Comuni (1694), eliminavano i vincoli alla libertà di stampa
(1695), escludevano i discendenti di Giacomo Il dalla successione al trono (1701).
La rivoluzione del 1688 - definita «gloriosa» perché incruenta - poneva definitivamente fine ai tentativi assolutistici della Corona e consolidava le tradizionali libertà
dei cittadini inglesi, contribuendo a fare del Regno britannico l'ideale di Stato
liberale e tollerante che intellettuali e politici degli altri Paesi europei celebreranno
e proporranno a lungo come modello da imitare.
I fondamenti teorici della gloriosa rivoluzione mantenevano comunque ben
evidenti tre principi: il primo segnava la fine della sovranità assoluta del
monarca e introduceva l'idea di patto o contratto fra il re e il popolo,
costituito dal Bill of Rights. Gli altri due erano inseriti nella stessa
dichiarazione. Da un lato vi era un complesso di procedure istituzionali che
facevano del Bill un elemento chiave della costituzione inglese: l'attività legislativa spetta congiuntamente al re e al parlamento; solo quest'ultimo ha
competenza a stabilire qualunque genere di imposte e a costituire un esercito in
Il rafforzamento delle
A - ______________________________
_________________, _________________
B - _______________________________
durata _______________ del parlamento
46
tempo di guerra. Era poi già acquisito che il governo dovesse avere la fiducia
del parlamento e che il re non potesse sciogliere arbitrariamente le Camere: si
capisce bene come per questa strada il sistema delle maggioranze parlamentari e
dei due partiti fosse destinato a rafforzarsi e a diventare un altro elemento
istituzionale.
D'altro lato vi era il complesso delle garanzie alla libertà individuale, da quella
religiosa a quella di parola; altri documenti costituzionali sanciranno in quegli
anni la libertà di stampa e quella personale da procedure poliziesche arbitrarie
(il cosiddetto habeas corpus). Meccanismi costituzionali e libertà hanno evidentemente molteplici legami fra loro, basti pensare all'inammissibilità di un esercito in
tempo di pace. Ma tutto l'insieme della costituzione inglese può essere vagliato
anche da un diverso punto di vista: legge elettorale, competenze finanziarie
del parlamento e libertà hanno tutte la funzione di tutelare la proprietà privata
I PRINCIPI FONDATIVI DEL NUOVO STATO: LA MONARCHIA ________________________________
1 – fondato su _________________________________________________ (______________________________________________)
2 – funzionante sulla base di procedure ___________________ certe:
- funzioni parlamento: _________________________________________________ (insieme al _______)
__________________________________________________________________
___________________________________________________________________
- ______________________________________________________________________________________________________
- ______________________________________________________________________________________________________
- legge elettorale: ___________________________: non elettiva
Camera dei comuni: - ___________________________________________________________________________
- ___________________________________________________________________________
3 – riconosce ______________________________
a - ________________________________________________________________________________________________________
b - ________________________________________________________________________________________________________
alla quale viene affidato un ruolo centrale in tutto il sistema. Sovranità condivisa
fra re, lord e comuni, parlamentarismo, libertà e proprietà: ecco il solido reticolo
programmatico della rivoluzione del 1688, più attenta ai risultati pratici che all'assoluto rigore teorico, sufficientemente idealista ma non tanto da dimenticarsi degli
interessi più concreti e materiali.
Bisogna aggiungere che prima della "gloriosa" rivoluzione alcuni whigs avevano
espresso molte critiche fondate sulla legge elettorale, ma a cose fatte essa non
venne modificata e mantenne tutti i suoi elementi di assurdità fino al 1832. Accanto alla Camera alta, con i lord e i vescovi anglicani, il parlamento aveva
una Camera dei comuni eletta da un elettorato selezionato in base al reddito e
che non arrivava alle 250.000 persone. Che gli elettori dovessero essere dei
proprietari economicamente indipendenti era considerato dai whigs un elemento
di sicurezza per il sistema politico, che giocava a favore della libertà: solo chi si
trovava in questa situazione di indipendenza poteva partecipare con coscienza e
libertà di scelta alla vita politica. Inoltre, come abbiamo già detto, il peso delle
diverse circoscrizione appariva senza nessuna logica e proporzione dal
momento che Londra e le altre città più importanti pesavano esattamente come
una circoscrizione composta di poche case e sulla quale il lord locale aveva
un'influenza determinante.
47
2.2 –IL CASO AMERICANO
3.1 Le forme della colonizzazione del continente nordamericano
3.2 La rivoluzione americana
3.3 La costituzione americana
IL CASO AMERICANO
LE FORME DELLA COLONIZZAZIONE DEL
CONTINENTE NORDAMERICANO
Circa un secolo dopo la conquista militare che impone il dominio spagnolo e portoghese sui territori e sulle popolazioni dell'America centrale e meridiona1e,
prende avvio il lento processo di colonizzazione delle regioni dell'America
settentrionale. Ad alimentare questo flusso migratorio non sono però i sovrani
iberici con i loro eserciti, ma privati cittadini di nazionalità olandese e inglese - per
1o piú mercanti e membri di compagnie commerciali, dissidenti religiosi,
aristocratici - che sbarcano sulle coste atlantiche in piccoli gruppi, si insediano
creando villaggi e città, avviano attività produttive e commerci con le popolazioni
locali.
A differenza degli spagnoli che vedono nell'emigrazione in America l'occasione
per arricchirsi accumulando bottini e sfruttando miniere e piantagioni, gli europei
che si recano nell'America settentrionale nel corso del secolo XVII sono animati da
spirito imprenditoriale e commerciale e, spesso, aspirano a stabilirsi nel Nuovo
Mondo per dare vita a comunità improntate ai valori della religione puritana.
Mentre dunque nell'America Latina si creano grandi vicereami che riproducono la
società monarchica e aristocratica della penisola iberica, fondati sullo sfruttamento
delle popolazioni locali (indios, neri, meticci) da parte dell'élite spagnola e dei loro
discendenti (i creoli), nelle colonie inglesi del Nord America si forma una società
per molti aspetti diversa da quella britannica: i colonizzatori appartengono spesso a
gruppi sociali e religiosi non integrati nella società inglese che guardano
all'America come a una terra di libertà, dove dare vita a quelle comunità civili e
religiose che non hanno possibilità di creare in Inghilterra.
In America essi sperimentano così forme di governo alternative e spesso opposte a
quella monarchica e centralistica inglese: avvalendosi del diritto di autogoverno
loro riconosciuto dalle carte di concessione regia, i coloni eleggono assemblee
legislative, creano consigli rappresentativi, scelgono funzionari propri. A orientarli
verso queste forme di democrazia è l'ideale puritano che ispira il sentimento di
appartenenza a una comunità di eletti: ciascuno collabora alla realizzazione del
autogoverno comune, contribuendo con il proprio onesto lavoro e la proprie
capacità al sogno di una vita pacifica e ordinata. A temperare l'autonomia delle
colonie è un governatore, nominato dal re o dal concessionario del diritto di
colonizzare la regione, il quale può porre il veto sulle deliberazioni delle assemblee
legislative dei coloni.
L'assenza di un'aristocrazia dotata di poteri e privilegi e l'abbondanza di terre e risorse da sfruttare favoriscono il crearsi di una società che non conosce le enormi
sperequazioni presenti in Inghilterra: i coloni sono spesso proprietari delle loro
terre e quando non lo sono non conoscono i gravosi canoni in natura e le prestazioni d'opera che i contadini europei devono ai loro signori; sino a quando non si
svilupperanno le grandi piantagioni di tabacco, cotone e canna da zucchero, nelle
quali verranno impiegati braccianti e schiavi neri dell'Africa, i coloniali mostrano
una omogeneità sociale sconosciuta all'Europa.
I territori del Nord America che i coloni inglesi vanno occupando non sono di - La distruzione delle ____________________
sabitati: per prendere possesso delle baie e delle grandi pianure americane e
fondarvi i primi insediamenti coloniali, gli inglesi devono scontrarsi con le tribú
locali di indiani - presto denominati pellerossa per le pitture in ocra rossa che
48
LE FORME DELLA COLONIZZAZIONE DEL CONTINENTE AMERICANO
Nord America
Sud America
___________________
______________________:
Stato: _____________________
___________________
a ___________________________________
b ___________________________________
c ____________________________________
Aspirazioni
a _____________________________________
__________________________:
b ____________________________________
a _____________________________________
b _____________________________________
___________________
___________________
Società diversa da _______________
_______________________________
1 ____________________________________
1- _____________________________________
2 ____________________________________
2 ______________________________________
perché:
a _______________________________
b _______________________________
___________________
___________________
_______________________________________________________________________
recano sulla pelle - spingendole con le armi verso l'interno del continente. Lo
scontro militare è però, almeno in un primo momento, assai meno distruttivo dell'impatto culturale: a contatto con la civiltà europea, con la sua economia di
mercato e la sua tecnologia, le tribú di indiani assorbono infatti progressivamente
costumi e aspirazioni che minano rapidamente le basi della loro sopravvivenza.
Sino all'arrivo degli europei essi erano riusciti a mantenere il necessario equilibrio
ecologico con l'ambiente: il loro rapporto con la natura escludeva ogni
sfruttamento sistematico e intensivo; limitavano la caccia dei bisonti e della
selvaggina per assicurarne la riproduzione e garantirsi una costante provvista di
carni, ossa, pelli; pianificavano i disboscamenti per allargare il pascolo senza
privarsi delle risorse delle foreste; sfruttavano i territori sino all'esaurimento e poi
si spostavano verso territori non ancora coltivati.
Quando vengono a contatto con i primi coloni - che in cambio di pellicce, pelli,
legname e tabacco offrono armi, attrezzi, cavalli, alcool - gli indiani abbandonano
l'economia di sussistenza che avevano praticato fino ad allora e si danno a uno
sconsiderato massacro di mandrie, a un'indiscriminata opera di disboscamento. La
penetrazione commerciale inglese mette così rapidamente in crisi l'economia
indiana, basata non sull'accumulazione e sullo scambio, ma tesa all'uso diretto e
comunitario delle risorse: intere tribù, coinvolte nella nuova logica del commercio e
del profitto imposta dall'economia di mercato, si combattono per assumere il
controllo dei nuovi traffici; gli antichi costumi e culti lasciano posto alle nuove
1 lo scontro _________________________
2 la distruzione dell’economia ___________
_________________ e _________________
3 la distruzione _______________________
49
abitudini, tra cui spicca il consumo di alcolici, assunti forse per sfuggire alla crisi di
identità che accompagna la distruzione della loro civiltà; le malattie importate dagli 3 la distruzione _______________________
europei, nei cui confronti gli indiani non hanno difese immunitarie, si aggiungono
agli effetti dello squilibrio ecologico, dell'abuso di alcol, della penetrazione
militare, falcidiando le popolazioni pellerosse.
Come gli spagnoli due secoli prima, anche gli inglesi si affermano così sulle
popolazioni americane, distruggendone la civiltà e imponendo la propria: l'attuale
società angloamericana (non meno di quella latinoamericana) si costruisce sulle
tradizioni europee, e semmai in parte su quelle importate dai neri d'Africa, ma non
conserva alcuna traccia di quelle delle originarie popolazioni indiane d'America.
Il lento e continuo procedere dei coloni verso l'interno costringerà le popolazioni
4 - _________________________________
indiane ad arretrare. Le prime notizie di battaglie fra indiani e coloni risalgono
ai primi del Settecento, ma è nel corso del secolo successivo che gli scontri
divengono sistematici. Il primo terreno di scontro sono le regioni sud-orientali Florida e Georgia - dove le tribù Cherokee e Seminole sono costrette a ritirarsi. Da
allora la penetrazione dei pionieri è proseguita massicciamente e il destino degli
indiani è stato quella della reclusione in riserve.
LA RIVOLUZIONE AMERICANA
Formatesi in tempi e modi differenti, abitate da popoli diversi per origine nazionale
e fede religiosa, le colonie inglesi vanno sviluppando generi e forme di produzione
differenti: in quelle settentrionali sorgono villaggi rurali ispirati all'ideale di vita
puritano, aziende agricole a conduzione familiare dove si pratica la cerealicoltura
e l'allevamento, città che divengono ben presto centri di produzione e
importanti empori commerciali; nelle colonie del Sud, popolate per iniziativa di
aristocratici e della Corona, si sviluppano piantagioni di tabacco, riso e più tardi
cotone, lavorate da schiavi importati dall'Africa e controllate da un'élite di
grandi proprietari.
I rapporti commerciali delle colonie con la madrepatria sono assai intensi: il legname
della Nuova Inghilterra, il ferro della Pennsylvania, la canapa della Georgia, il
tabacco della Virginia, del Maryland, della Carolina del Nord lasciano i porti
americani alla volta di quelli inglesi dove vengono lavorati e smerciati per poi
essere esportati nel resto d'Europa e in America.
Imponendo alle colonie la politica mercantilistica con cui difende e privilegia la propria
economia, la Corona inglese subordina infatti le attività e i traffici coloniali ai propri:
impone pesanti restrizioni ai commerci, proibendo ai produttori e ai mercanti americani di esportare se non in Inghilterra; concede a compagnie inglesi privilegi
ed esclusive sul commercio di prodotti coloniali, come le pellicce; vieta il
commercio con le colonie francesi e spagnole d'America, imponendosi come
unica intermediaria nei traffici con quei Paesi; importa a basso costo dalle colonie
materie prime che, lavorate in Inghilterra, sono poi rivendute ad alto prezzo agli
stessi americani.
Questa politica che danneggia l'economia delle colonie e compromette
l'affermazione dei ceti imprenditoriali e commerciali americani provoca
crescenti manifestazioni di scontento nei coloni che ora aggirano le proibizioni
alimentando traffici di contrabbando, ora reclamano con veemenza una tutela dei loro
interessi.
L'opposizione alla politica mercantilistica inglese si accentua quando,
all'indomani della guerra dei Sette anni (nella quale, tra il 1756 e il 1763, i
coloni inglesi combattono contro i coloni francesi), il Parlamento britannico vara
alcuni provvedimenti che riducono l'autonomia politica delle colonie, inaspriscono le
restrizioni economiche e appesantiscono la pressione fiscale. Privi di una
rappresentanza parlamentare che consenta di far valere i loro diritti, i coloni
americani sono costretti a subire i provvedimenti che le Camere londinesi
prendono a vantaggio dei sudditi inglesi e a loro danno; inefficaci restano i
richiami dei coloni al principio costituzionale «nessuna tassa senza rappresentanza»,
L’economia _________________________
Lo scontro __________________________
Anni ________________
La riduzione _________________________
L’aumento __________________________
50
con il quale oppongono al governo britannico il loro rifiuto di obbedire a
disposizioni che provengono da un parlamento nel quale non sono
rappresentati. Nel 1763 la «Legge sul confine» (Line Act) vieta l'estensione
della frontiera oltre la catena dei monti Appalachi, impedendo ai coloni di espandere i
loro insediamenti; nel 1764 la «Legge sullo zucchero» (Sugar Act),
riprendendo precedenti Atti di navigazione, riafferma il tassativo divieto ai
coloni di importare zucchero dalle Antille e, più in generale, da Paesi che non siano
l'Inghilterra; nel 1765 la «Legge sul bollo» (Stamp Act) introduce a carico dei
coloni tributi su un gran numero di atti giuridici e notarili, oltre che sulle
pubblicazioni. Nel 1767, dopo che una violenta campagna di stampa e un ampio
movimento di opinione pubblica hanno indotto il governo a revocare lo Stamp
Act, una nuova legge impone una tassa su molte delle merci importate dai coloni
americani. Il provvedimento, che grava direttamente sugli esportatori inglesi, ma
viene da essi scaricato sui coloni con una maggiorazione dei prezzi, riaccende le
reazioni di protesta degli americani che boicottano le merci d'importazione
facendone crollare le vendite e si fanno sempre più consapevoli dell'insanabile
contrasto di interessi con la madrepatria.
Lo scontro, momentaneamente sopito, si riaccende nel 1773 quando il Parlamento
inglese ritira i dazi da poco introdotti, con l'eccezione di quello sul tè: un gruppo di
coloni esasperati si introduce allora su di una nave della Compagnia delle Indie
orientali attraccata nel porto di Boston e riversa in mare l'intero carico di tè (7
dicembre 1773). La ripresa del boicottaggio delle merci d'importazione e la dura
reazione del governo inglese avviano una spirale di violenze e ritorsioni e
accendono un vivace dibattito politico sull'indipendenza dalla madrepatria. Nel
corso del 1774 si tengono ovunque Convenzioni provinciali che esautorano le
autorità britanniche; nel settembre il primo Congresso dei rappresentanti delle
colonie, riunito a Filadelfia, ribadisce il rifiuto di ogni provvedimento del
Parlamento inglese in violazione del diritto di rappresentanza dei coloni. Nel 1776,
un secondo Congresso pone all'ordine del giorno il tema dell'indipendenza.
La questione posta al centro del dibattito tra i rappresentanti riuniti a Filadelfia è la
revisione dei rapporti con la madrepatria: inizialmente la maggior parte dei coloni
non intende spingere il contrasto in direzione dell'indipendenza e preme per un
ampliamento delle autonomie e delle libertà delle colonie. Di fronte all'intransigenza
della corona, essi però si rendono presto conto dell'impossibilità di ogni
compromesso e maturano la decisione di rendere le colonie indipendenti dal governo
britannico. Le assemblee rappresentative - denominate Convenzioni - che nel
frattempo vengono convocate in tutti gli Stati optano per la secessione e, una dopo
l'altra, si proclamano indipendenti dall'Inghilterra.
Una solenne Dichiarazione, approvata il 4 luglio 1776 da dodici Stati (il rappresentante dello Stato di New York si astiene), offre all'opinione pubblica mondiale
una giustificazione della risoluzione presa dagli americani: richiamandosi al diritto di ogni uomo «alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità» che il governo
inglese di Giorgio III non riconosce ai suoi sudditi d'America, i coloni, consapevoli
di aver esperito ogni tentativo per vedere pacificamente tutelati i loro diritti,
proclamano la loro indipendenza. Inevitabile la reazione militare, decisa dal
Parlamento inglese che dà inizio alla guerra.
Mentre il conflitto militare si allarga e l'intervento offerto a sostegno dei coloni
dalla Francia (1778), dalla Spagna (1779) e dall'Olanda (1780) apre nuovi fronti
anche nel continente europeo, l'esercito americano, comandato da George
Washington (1732-1799), un ricco possidente della Virginia che si era distinto
nella guerra dei Sette anni, tiene testa al più numeroso e meglio armato esercito
inglese: riporta una iniziale vittoria a Saratoga (1777), subisce le dure rappresaglie degli inglesi che non esitano a compiere efferati massacri di coloni, consegue una
decisiva vittoria a Yorktown (1781).
Dopo un altro anno di conflitto, nell'autunno del 1782, il governo inglese avvia
le trattative di pace che si concludono con il trattato di Versailles, stipulato nel
Il boicottaggio _______________________
Anni ________________________
L’elezioni ___________________________
Il I Congresso ________________________
_____________________________
Il II Congresso:
dall’______________________________
alla _______________________________
La _________________________________
Il __________________________________
La pace di _______________________ e il
riconoscimento ______________________
51
1783. In seguito a questo trattato l'Inghilterra riconosce l'indipendenza delle
tredici colonie americane, concede un'ulteriore area di colonizzazione verso
ovest, rinuncia ai domini del Senegal e delle Antille (ceduti alla Francia) e della
Florida e di Minorca (consegnate alla Spagna).
Una volta concluso il conflitto e ottenuta l'indipendenza, gli Stati americani si
diedero una costituzione che definì l'architettura della nuova compagine statale.
Durante la guerra d'indipendenza era stato sufficiente, per coordinare le attività delle
colonie, un Congresso comune: alle colonie era stata lasciata ampia autonomia di governo e ciascuna si era data una propria carta costituzionale. Gli Articoli della Confederazione, una prima costituzione entrata in vigore nel 1781, dopo l'approvazione
delle assemblee degli Stati, avevano assegnato al Congresso le sole materie della
politica estera e della difesa, lasciando ai singoli Stati sovrani tutti gli altri poteri.
La crisi economica che colpì gli Stati Uniti non appena fu ristabilita la pace pose
rapidamente il problema di un profondo rimaneggiamento dell'assetto
costituzionale: diversamente le tensioni sociali avrebbero distrutto la
confederazione e comunque i singoli stati sarebbero caduti sotto il vassallaggio
economico e politico di qualche potenza straniera.
Il primo impulso alla rifondazione degli Stati Uniti venne dagli ambienti
economicamente più progrediti del centro nord, che avrebbero desiderato dare
alle loro industrie nascenti il supporto di un mercato nazionale unificato. Questi
si dichiaravano apertamente a favore di un governo centralizzato e di una banca
centrale capace di eliminare l'anarchia monetaria. Il newyorkese Alexander
Hamilton (1755-1804), che guidava il partito federalista, si fece portavoce di
quest’esigenza fin dall’inizio degli anni ottanta, ma la svolta decisiva avvenne
solo quando anche i rappresentanti della classe politica del sud si convertirono al
punto di vista riformista. La ribellione di alcuni ex combattenti della guerra di
liberazione nel Massachusetts (1786-87) affrettò i tempi del dibattito e convinse
anche i proprietari del sud della necessità di un governo centrale.
A questo scopo nel 1787 venne convocata a Filadelfia una Convenzione che
approvò la nuova costituzione federale degli Stati Uniti d'America.
La portata storica della rivoluzione americana è legata proprio all’attività
costituente che diede vita al nuovo stato, essa, infatti, con le rivoluzioni inglesi del
secolo precedente, costituisce un momento fondamentale del processo che porta al
superamento dello stato assoluto e alla formazione dello stato contemporaneo.
Le due rivoluzioni inglesi, e la forma di stato affermatasi in seguito ad esse, hanno
contribuito ad affermare due principi che contraddistinguono tuttora lo stato e i
rapporto stato-cittadino: innanzitutto lo stato deve essere in grado di rappresentare i
cittadini o almeno parte di essi. Il luogo in cui si concretizza questo principio è il
Parlamento, dove si ritrovano i rappresentanti dei cittadini. Inoltre, nei rapporti fra
cittadino e stato lo stato si impegna a difendere le libertà personali, tra le quali
assume una particolare rilevanza quello della proprietà privata.
La Rivoluzione Americana ha contribuito ad affermare altri due principi che
caratterizzano lo stato contemporaneo: lo stato deve essere costituzionale, ossia
avere una legge fondamentale di riferimento e, inoltre, all’interno dello stato i
poteri devono essere divisi.
Una costituzione è l'insieme delle norme fondamentali che stabiliscono le modalità
di funzionamento delle istituzioni che detengono la sovranità statale. Con i due
documenti del 1781 e del 1787 gli Stati Uniti aprirono l'era delle costituzioni scritte,
ma non si può dire che uno stato che non possiede un testo scritto e unitario sia privo
di costituzione. Anche in uno stato assolutista come la Francia non si poteva
affermare che la sovranità si identificasse con la volontà della persona del re. Tanto
meno si può dire che la costituzione non scritta della Francia avesse per oggetto
solo i poteri del monarca. Infatti i giuristi e la nobiltà di toga consideravano come
parte integrante dell'ordinamento statale anche i parlamenti, a cominciare da
LA COSTITUZIONE AMERICANA
L’attività _____________________________
La Costituzione del ____________
l’autonomia _______________________
La Costituzione del ___________________
il governo __________________________
52
quello di Parigi, con i loro poteri di registrazione degli atti del re. Quando, nel
1787-88, il paese si avviò alla sua crisi istituzionale, ci si ricordò che anche gli Stati
generali, che non venivano convocati dal 1614, erano una componente essenziale
dell'assetto costituzionale, anche in mancanza di un documento scritto.
In Inghilterra la costituzione era data da un insieme piuttosto complesso di testi scritti
e pratiche consuetudinarie, che includeva l'antica Magna Charta (1215) o il più
recente Bill of Rights del 1689, ma anche dalle regole non scritte che stabilivano le
competenze del parlamento e i rapporti fra esso e il governo del re.
Ciò non significa che non vi siano differenze sostanziali fra una costituzione non
scritta e una scritta. In entrambi i casi è certamente implicita una distinzione più o
meno netta fra le leggi ordinarie, che possono essere sempre mutate da una nuova
legge, e l'ordinamento statale supremo; ma mentre nel primo caso la sacralità è data
da un'antichità di lunghissima data, nel secondo si deve fare ricorso a quel diverso
tipo di legittimazione che è la sovranità popolare. L'Inghilterra moderna, nata dal
compromesso politico del 1688, è fondata allo stesso tempo su entrambi i principi;
ma negli stati americani non c'era nessuna monarchia e aristocrazia di sangue con cui
dover fare i conti. Questa situazione rispecchiava perfettamente il principio giusnaturalistico, presente tanto in Locke che in Rousseau, che presume un patto sociale
all'origine di qualsiasi istituzione statale.
Un'assemblea costituente, che deriva i suoi poteri esclusivamente dal popolo, viene
delegata a stipulare a suo nome il patto fondamentale che sarà trasferito nel
documento scritto; inoltre i costituenti, essendo liberi per definizione da qualsiasi
obbligo verso precedenti tradizioni, potranno ispirare le loro scelte alla retta ragione e costruire un ordinamento statale che esprima totalmente i grandi
IL CONTRIBUTO DELLE RIVOLUZIONI INGLESE E AMERICANA ALLA FORMAZIONE DELLO STATO MODERNO
- Rivoluzioni _________________:
1 - _______________________________________________________________________________________________________
2 - _______________________________________________________________________________________________________
- Rivoluzione _______________:
1 - _______________________________________________________________________________________________________
2 - _______________________________________________________________________________________________________
- Costituzione:
contenuti: 1 - _______________________________________________________________________________________________
2 - ________________________________________________________________________________________________
Caratteristiche:
- ________________________________________________
- ________________________________________________
- _________________________________________________
- Divisione ____________________________:
Parlamento = ___________________________________ Presidente = _________________________________
Parlamento non può ______________________________ Presidente non può ____________________________
53
principi, quali quelli indicati da Thomas Jefferson (1743-1826)7, l'eguaglianza e il diritto alla libertà e alla ricerca della felicità. Realizzazione dell'utopia razionale e
ingegneria sociale cosciente sono perciò alla base del movimento costituzionalista
moderno iniziato con l'assemblea di Filadelfia.
La costituzione del 1787 accolse solo in parte l'esperienza del sistema parlamentare
inglese e si ispirò piuttosto alla dottrina di Montesquieu sulla divisione dei poteri: un
congresso formato da due Camere avrebbe avuto il potere legislativo, mentre quello
esecutivo doveva toccare a un presidente eletto da un collegio di grandi elettori
appositamente costituito e a sua volta eletto a scrutinio popolare. La divisione dei
poteri veniva attuata escludendo l'ipotesi di uno scioglimento anticipato delle
Camere da parte del presidente ed escludendo, ugualmente, che il presidente potesse
essere rovesciato da un voto di sfiducia delle Camere. Infatti entrambi i poteri
derivavano dal popolo e la loro durata era rigidamente stabilita alla costituzione.
Due anni dopo l'elezione del primo presidente la costituzione fu completa con l'aggiunta
di dieci emendamenti, che, andando incontro alla richiesta degli stati contrari a un
eccesso di accentramento federale, garantivano il complesso dei diritti di libertà
dell'individuo (in fatto di religione, libertà personale e stampa). Il numero dei
membri del primo ramo del congresso, la Camera dei rappresentanti, doveva
essere distribuito fra i diversi stati in rapporto all'entità della loro popolazione. Gli
schiavi neri erano esclusi dal diritto di voto, ma gli stati schiavisti avrebbero voluto
che essi entrassero nel computo della popolazione (più di un quarto degli abitanti
della Virginia erano schiavi); infine fu raggiunto un compromesso che consisteva
nel considerare cinque schiavi come pari a tre cittadini. II vero problema da
risolvere era però quello di un ragionevole equilibrio fra il potere dello stato federale e dei singoli stati, visto che l'ipotesi di uno stato centralizzato era considerata
come un passo pericoloso nella direzione dell'assolutismo. La costituzione
assicurava allo stato federale i pieni poteri in materia di commercio estero e di
circolazione monetaria e proibiva espressamente ai singoli stati di emettere titoli di
credito o cartamoneta. La tutela dei diritti degli stati, e in particolare di quelli più
piccoli, era assicurata con l'istituzione di un sistema bicamerale completamente
diverso da quello inglese: mentre la distribuzione dei posti nella Camera dei
rappresentanti sarebbe stata proporzionale al peso demografico degli stati, in senato
ciascuno di essi avrebbe avuto due rappresentanti e si sarebbe ristabilita
l'uguaglianza fra gli stati, resa ancora più significativa per le importanti funzioni di
controllo nella politica estera che erano attribuite al secondo ramo del congresso.
Le libertà
____________________________
La legge ______________________:
il voto
______________________________
_
Il potere
_____________________________
Equilibri tra ___________________ e
le due
_____________________________
7
Thomas Jefferson, diede un contributo essenziale alla stesura della Dichiarazione d’indipendenza, approvata il
4 luglio 1776, in cui vi è il richiamano al diritto di ogni uomo «alla vita, alla libertà e alla ricerca della
felicità». Con Alexander Hamilton e George Washington è considerato uno dei padri fondatori dello stato
americano di cui è stato, come Washington presidente.
54
3 - I rapporti internazionali nel XVI e XVIII secolo
In età medioevale la politica internazionale, come quella interna, era dominata dalle
grandi famiglie della nobiltà feudale, anche i contrasti internazionali assumevano
quindi la forma di contrasti interni alla nobiltà, come avvenne, ad esempio, nel caso
della Guerra dei Cent’anni tra il re francese e il re inglese che era suo vassallo.
Il rafforzamento delle strutture statali attorno alle case regnanti in età moderna
trasformò i conflitti in conflitti tra nazioni. A loro volta i conflitti internazionali
hanno contribuito alla formazione degli stati nazionali, in quanto non solo i conflitti
hanno avuto un ruolo determinante nella definizione dei confini nazionali, ma anche
perché, richiedendo le guerre ingenti risorse economiche, hanno stimolato la
formazione dell’apparato burocratico statale per la gestione di tali risorse; inoltre lo
stato di guerra, nella misura in cui richiede decisioni pronte e attuabili su tutto il
territorio, ha finito per rafforzare gli apparati governativi che tali decisioni sono
chiamati a prendere; infine perché in uno stato di guerra l’identificazione tra
cittadino e stato è favorita dalla presenza di un nemico comune.
Nella prima metà del Seicento i conflitti internazionali assunsero la forma di
conflitti religiosi tra cattolici e protestanti, avendo spesso come epicentro l’attuale
Germania, proprio perché lì erano più laceranti le divisioni religiose e inoltre perchè
non vi era una struttura statale a livello nazionale.
Il maggiore conflitto del Seicento fu , infatti, la Guerra dei Trent’anni (1618-48) che
ebbe come teatro principalmente l’area tedesca e che assunse la forma di conflitto
tra protestanti e cattolici, ma che in realtà, come sempre nelle guerre tra nazioni,
aveva tra i suoi obiettivi l’assunzione dell’egemonia politica, economica e militare
sul continente; in particolare vi era la volontà, da parte di Francia e Inghilterra, di
controllare il commercio dei cereali provenienti dai Paesi Baltici e dell’Est, prima
controllato dalle città tedesche.
Nella seconda metà del ‘600 i principali conflitti ruotarono attorno alle guerre del re
sole, Luigi XIV, nel cui regno (1670-1714) ci furono almeno altri trent’anni di
guerra, dettate soprattutto dalla volontà dello stato francese di approfittare della
debolezza della Spagna per imporre la propria egemonia sul continente.
Nel delineare un quadro delle conseguenze complessive avuto dalle guerre
seicentesche possiamo evidenziare innanzitutto la trasformazione della Spagna da
stato egemone a stato marginale. Durante il ‘500 la Spagna era stata, grazie all’oro
proveniente dall’America del sud, la maggiore potenza militare; queste risorse non
furono però investite nelle manifatture o nell’agricoltura, per cui l’esaurimento delle
miniere americane si tradusse in un impoverimento della Spagna e nella sua
marginalizzazione politica e militare. L’indebolimento della Spagna è reso evidente
dalla conquista dell’indipendenza da parte dei Paesi Bassi e dalla perdita del
controllo sull’Italia. All’egemonia continentale della Spagna si sostituì così quella
della Francia di Luigi XIV che in questo periodo costituisce non solo la maggior
potenza militare, ma anche il modello istituzionale per la maggior parte degli stati
europei.
Inoltre gli Asburgo d’Austria, venendo definitivamente estromessi dal controllo degli
stati tedeschi pur conservando il titolo di imperatore, finirono per rivolgere il loro
espansionismo verso l’Italia e i paesi balcanici, avviando la costruzione dell’Impero
Austro-Ungarico, che sarà uno dei protagonisti della politica continentale sino alla
Prima Guerra Mondiale.
Infine, i conflitti seicenteschi segnarono un allargamento dell’Europa, intessa come
entità politica, economica, culturale. Nel primo Medioevo la civiltà europea era
localizzata tra Italia, Francia e Inghilterra, la ripresa dopo il Mille coincise con la
cacciata degli arabi dalla Spagna e con la conseguente estensione della civiltà
europea alla penisola iberica. L’espansione europea avvenne poi verso est con la
progressiva cristianizzazione dell’area tedesca. Nel Seicento, divenendo protagoniste
delle guerre europee, si inserirono nell’area europea nuove entità statali, quali la
RAPPORTI INTERNAZIONALI NEL XVI
E XVIII SECOLO
Conflitti internazionali e _______________
___________________________________
1 __________________________________
2 __________________________________
___________________________________
3 __________________________________
___________________________________
4 __________________________________
55
Danimarca e la Svezia. L’europeizzazione di queste nuove realtà statali è
sottolineata anche dal fatto esse tendevano ad assumere la forma della monarchia
assoluta.
Nel Settecento i principali conflitti non avvennero più, come nei due secoli
precedenti, tra Francia e Spagna, ma tra Francia e Inghilterra e furono
sostanzialmente causati da due motivi: la volontà di assumere il controllo
Gli effetti della presenza dell’esercito sabaudo a Savigliano nell’inverno 1645-46
In quel mentre Savigliano patì nuova e lagrimevole carestia (1644), dovette
mantenere di continuo guarnigioni prepotenti e gravosi quartieri d'inverno del
reggimento guardie di M. R., comandato dal signor di Senantes e dal colonnello
Monti, i quali minacciavano più volte spese, esecuzioni ed eccessi; subì levate
cospicue di grano e sostenne infinite molestie. Al 27 gennaio 1645 il presidio era
solo di 284 piazze effettive, che dì per dì costavano alla Città lire 150, ma sua
maestà fe' dire dal presidente Filippa al novello conte Giulio Cesare Viancino che
intendeva aumentarle. II Consiglio ne la supplicò della esenzione « perchè avrebbe
levata l'esistenza ai particolari che alloggiano » e che volesse anzi alleviarli delle
prime perchè « in difetto di tal discarico la Città » dice desso « non è che per
soccombere e dar l'ultimo crollo». Tant'è che lasso ed esasperato ognuno dalla
fame, dalla miseria e dagl'insopportabili balzelli, nei primi giorni di febbraio 1645,
al vedersi chiedere una tassa municipale sulle arti e mestieri, i colpiti da questa si
sollevarono tumultuosamente, insultarono con vituperi il presidente D. Ottavio
Ruffino come sindaco, nonchè il maggiore del colonnello Monti e l'alfiere della
compagnia del capitano Marazzano perchè la riscuotevano. Ricorse il Municipio al
Senato e sottomise i rivoltosi ad una soddisfazione verso le oltraggiate autorità …
In quel medesimo tempo il colonnello di Senantes porse giudiziale dimanda alla
Città dello sborso di lire 10 500, che diceva doversegli sino a quel dì. Il Consiglio
unanime delibera che riuscendo impossibile sodisfarlo perché « attesa l'estremità
dei tempi non trova denaro, ordina che se gli offrano in paga grani, gioie, cavalli o
cascine, eziandio feudali, ed altri effetti, che bastino, eleggendo per trattare la cosa
il conte Alessandro Ferrero e Francesco Oggero rettori, il conte D. Melchior
Beggiami, il conte Giulio Cesare Viancini e Giandomenico Trucchi. Chiesero essi
una dilazione per provvedersi, ma levossi invece il colonnello Monti a far
esecuzioni arbitrarie e forzose a danno degli agricoltori. Per aggiustare la cosa col
Monti impose il Municipio un diritto di macina ad un soldo l'emina .
Savigliano – Palazzo Taffini d’Acceglio.
Affreschi del salone d’onore realizzati da G. A.
Molineri (1640 circa) raffiguranti le battaglie
vinte da Vittorio Amedeo I tra il 1617 e il 1637.
Savigliano fortificata - Incisione 1675
da C. Turletti “Storia di Savigliano”, 1879
dell’Europa e le rivalità commerciale, perché entrambe volevano sostituire la Spagna
come potenza coloniale. A questa rivalità commerciale sono legate due nuove
caratteristiche dei conflitti internazionali: la tendenza a minimizzare le motivazioni
religiose dei conflitti che si rivelano di natura economica, nonché per la prima volta i
conflitti europei coinvolsero altri continenti (America in particolare).
Per quanto riguarda le conseguenze complessive dei conflitti settecenteschi possiamo
ricordare che l’Inghilterra, che nel ‘600, era rimasta al di fuori dei conflitti
internazionali anche perché coinvolta in conflitti interni (le due rivoluzioni inglesi),
acquistò una posizione egemone a livello mondiale, fondata sulla sua flotta navale;
vi fu la comparsa di nuovi protagonisti tra cui la Prussia, che iniziò a imporre la sua
egemonia sull’area tedesca che la porterà, nell’Ottocento, a guidare il processo di
unificazione nazionale, e la Russia, che iniziava a giocare un ruolo rilevante sulla
scena europea; infine proseguiva il processo di balcanizzazione dell’Austria,
costretta ad abbandonare l’Italia meridionale e quindi ad espandersi maggiormente
verso est, favorendo in questo modo l’entrata nell’orbita della civiltà europea
dell’intero continente geografico.
Tra le guerre del Sei-settecento ebbero particolare rilevanza per l’Italia la cosiddetta
guerra di successione spagnola (1702-1713), le cui conseguenze furono la
sostituzione del dominio spagnolo con quello austriaco (il Meridione, il lombardo-
56
veneto e la Sardegna) e l’annessione al Ducato di Savoia del Monferrato e della
Sicilia (i Savoia e gli Asburgo d’Austria si scambiarono la Sicilia e la Sardegna nel
1718), nonché la guerra di successione polacca (1733-38), in seguito alla quale
l’Austria cedette il regno di Napoli e la Sicilia a Carlo di Borbone- Spagna.
Se volgiamo la nostra attenzione alle forme assunte dalla guerra tra Sei-settecento
possiamo innanzitutto osservare che la guerra costituì una vera e propria attività
I RAPPORTI INTERNAZIONALI NEL XVI E XVIII SECOLO
Età feudale: scontra tra _________________________________
 Età moderna: scontro tra ___________________
XVI- XVII:
forma dei conflitti: _________________________________________________________________________________
protagonisti: ______________________________________________________________________________________
conseguenze: 1- ___________________________________________________________________________________
2- ___________________________________________________________________________________
3- ___________________________________________________________________________________
4- ___________________________________________________________________________________
XVIII:
nuove caratteristiche conflitti: 1 - _____________________________________________________________________
2 - _____________________________________________________________________
conseguenze: 1- ___________________________________________________________________________________
2- __________________________________________________________________________________
3- ___________________________________________________________________________________
Le forme della guerra in età moderna:
1 -_______________________________________________________________________________________________
2-________________________________________________________________________________________________
3 -_______________________________________________________________________________________________
4 - _______________________________________________________________________________________________
economica per i privati, infatti i comandanti degli eserciti, spesso nobili, investivano i loro
capitali per organizzare un esercito di mercenari che mettevano poi al servizio dei re.
La guerra assumeva sempre più la forma della guerra di inseguimento, in quanto
gli eserciti si spostavano da un luogo ad un altro, attraversando l’Europa da nord a sud e
viceversa, accettando raramente battaglie campali. In questo tipo di guerre le conseguenze
per i civili erano terribili: nel loro continuo spostarsi gli eserciti, oltre a perpetuare violenze,
facevano razzie delle risorse impoverendo le popolazione e spesso la loro mobilità era
occasione di diffusione di epidemie. Anche per questi motivi la maggior parte dei conflitti
internazionali dell’epoca finiva più che per la rilevanza delle vittorie militari per l‘esaurirsi
delle risorse dei contendenti.
Nel Settecento iniziò anche per gli eserciti un processo di inquadramento, che prevedeva
l’imposizione di una maggiore disciplina; apparvero così i primi eserciti basati sulla
coscrizione, ovvero sull’obbligo dei cittadini di esercitare il servizio militare per un certo
periodo. Queste nuove forme di esercito comparvero in Svezia e Prussia, ma il loro sviluppo
fu alquanto limitato, sia dall’alto costo, sia, soprattutto, dall’impossibilità di dar vita alla
complessa organizzazione necessaria.
57
4 – L’OLANDA E L’INIZIO DEL CONTROLLO EUROPEO SULLE
RISORSE DEL MONDO
4.1 La nascita della repubblica olandese e la guerra con la Spagna
4.2 Il dominio commerciale e le nuove forme del colonialismo
4.3 Lo scontro con l’Inghilterra e l’inizio della decadenza
L’affermazione del dominio asburgico spagnolo ad opere delle vicende ereditarie
che portarono alla costituzione dell’impero di Carlo V comportarono l'unificazione
dei Paesi Bassi che comprendevano le province meridionali (Anversa, Bruges,
Gand, ovvero l’attuale Belgio), che nel Cinquecento rappresentavano sicuramente
il motore dello sviluppo economico europeo, e le province settentrionali (l’attuale
Olanda) che nel XVI secolo erano un po' meno popolate e contavano indici assai
inferiori di sviluppo urbano, manifatturiero e commerciale.
Sotto Filippo II si avviò nel corso del Cinquecento una dura opera di repressione
contro quanti aderivano alla Chiesa riformata; la resistenza all’opera di Filippo II
diede l’avvio a quella che passerà alla storia come guerra degli Ottant'anni (1568-1648),
spesso interrotta da tregue e accordi, che già nel corso degli anni settanta portò alla
scissione tra le province del Sud e quelle del Nord. Gli estremismi dei calvinisti e le
continue rivolte impaurirono i nobili cattolici delle province vallone (Sud) tanto da
convincerli, nel 1579, a costituire l'unione di Arras. La risposta delle province
settentrionali fu immediata, e, nello stesso anno, Olanda, Zelanda, Utrecht, Frisia,
Gheldria, Overijssel e Groninga, costituirono l'unione di Utrecht. Dalla rivendicazione
del semplice diritto alle proprie tradizionali libertà, si passò alla richiesta
d'indipendenza dalla corona spagnola; e la frattura si fece irreparabile. I Paesi Bassi si
divisero in modo netto: le province del Nord, nel 1581, si dichiarano indipendenti e
proclamano la decadenza del re di Spagna, dando poi vita, nel 1588, alla
Repubblica delle Province Unite, mentre i Paesi Bassi meridionali rientrano nei
ranghi rimanendo sotto il dominio degli spagnoli fino al 17128.
All'inizio della rivolta antispagnola, nel 1566, il meridione di Anversa e di Bruges
era certamente più borghese e più calvinista dell'Olanda e della Zelanda. A
quella data Amsterdam aveva forse 20.000 abitanti ed era uno dei tanti porti
minori dei Paesi Bassi, dove attraccavano le navi provenienti dal Baltico, cariche di
grano polacco o di legname e ferro svedese. Ma di fronte alla violenta repressione delle
truppe spagnole, decine di migliaia di calvinisti, appartenenti a tutti i gruppi
sociali, erano fuggiti verso il nord, portandosi dietro le loro abilità
commerciali e industriali insieme al rigorismo della loro religione e alla certezza di
essere nel numero dei predestinati. Gli stessi mercanti e finanzieri stranieri avevano
lasciato Anversa per Amsterdam e già verso il 1620 quest'ultima era arrivata a più
di 100.000 abitanti, divenuti 180.000 a fine Seicento. Questa rapida crescita di
Amsterdam avvenne nonostante le numerose epidemie di peste del periodo
1617-65.
In larga misura l'Olanda si limitò a ereditare le funzioni economiche da secoli
tenute dai Paesi Bassi meridionali. Prendiamo il caso della produzione di tessuti di
lana: dopo la riconquista spagnola, la città tessile fiamminga di Hondschoote non
riuscì più a ritrovare il livello delle 40000 pezze annue raggiunto verso il 1560 e
dopo il 1630 cadde velocemente al di sotto delle 100.00. Per contro la città olandese
di Leida si riprese subito dalle conseguenze della guerra e già verso il 1580 aveva
ripreso i livelli del 1566, raddoppiando poi (da 50.000 a 100.000 pezze annue) il
proprio volume produttivo nel periodo 1590-1630 e toccando nel 1664 il proprio
8
Nel 1712, in seguito alla guerra di successione spagnola, il Belgio passò sotto il dominio degli Asburgo
d’Austria a cui vennero tolti dal Congresso di Vienna (1815) per essere uniti all’Olanda, da cui, una volta
divenuta una della prime zone industriali dell’Europa continentale, ottenne l’indipendenza nel 1830.
58
record con oltre 140.000 pezze. Lo stesso si può dire per il ruolo di grande centro di
ridistribuzione europea dei prodotti del grande commercio internazionale:
Amsterdam sostituì in pieno Anversa come grande emporio dei prodotti del Baltico o
del Mediterraneo, delle spezie del lontano Oriente o dei tessuti olandesi e inglesi.
Già intorno al 1620 il peso economico di Amsterdam e dell'Olanda era assai
superiore a quello che avevano sessant'anni prima Anversa e i Paesi Bassi
meridionali. Più ancora che allargare la dimensione dell'economia produttiva e
commerciale, gli olandesi erano riusciti a imporsi sostituendosi a diverse vecchie
potenze mercantili che apparivano ora in declino, ampliando sempre più questa
politica dopo il 1620. Nel Baltico la decadenza delle città tedesche era una realtà
consolidata ormai da generazioni: le piccole repubbliche tedesche avevano dovuto
cedere i loro privilegi economici e le loro autonomie politiche di fronte alla forza
crescente degli stati svedese e polacco-lituano. Dal 1580 al 1620 le navi
olandesi erano passate dal 60 all'80 per cento del totale di quelle che traversavano
annualmente il mar del Nord.
Ma i mercanti olandesi portavano i prodotti baltici anche in Belgio, in Inghilterra e
più lontano, fino a Lisbona e Siviglia; di più, essi entrarono prima del 1600 nello
stesso Mediterraneo, facendo concorrenza ai veneziani nei rapporti commerciali con
l'Impero ottomano.
Il caso più clamoroso di sostituzione degli olandesi fu però la loro espansione
commerciale nell'oceano Indiano a danno dei portoghesi, dove in realtà gli olandesi
non si limitarono a sostituire i lusitani dando vita, come diremo, a nuove forme di
colonialismo destinate a caratterizzarne lo sviluppo.
L'esperienza di navigazione degli olandesi era ancora limitata, verso il 1590, al
Baltico e al mare del Nord, dove essi partecipavano alla pesca delle aringhe, che
venivano poi salate, chiuse in barili e rivendute ovunque in Europa; più di rado gli
olandesi si spingevano in Atlantico per pescare il merluzzo. Proprio in quegli anni
essi cominciarono a padroneggiare la rotta per il Mediterraneo e nel 1595
tenteranno l'impresa maggiore, portando una loro flotta fino a Giava e procurandosi
un gran carico di pepe e spezie senza bisogno di rivolgersi a Lisbona. Le successive
flotte partite dal 1598 al 1602 dettero tutte ottimi risultati commerciali, ma
soprattutto riuscirono a trovare una nuova rotta verso Giava senza far scalo nelle
basi portoghesi in Africa orientale.
Nel 1602 i mercanti olandesi impegnati in questi primi viaggi nell'oceano Indiano
fecero riconoscere ufficialmente dagli stati generali, l'organo assembleare che
coordinava il governo delle sette Province Unite, il loro monopolio dei commerci con
quel mare e crearono la Compagnia riunita delle Indie orientali. Non era il primo caso
europeo di compagnia commerciale monopolistica, con un capitale sociale in azioni liberamente negoziabili. La novità stava piuttosto nell'enormità del capitale sociale
iniziale, quasi sei milioni e mezzo di fiorini, messo a disposizione per il 50 per
cento dai mercanti di Amsterdam. Chi acquistava azioni della Compagnia partecipava ormai non soltanto ai rischi e ai profitti delle sue attività economiche, ma a una
vera e propria guerra commerciale contro le posizioni portoghesi, non meno dura di
quella che un secolo prima i portoghesi stessi avevano condotto contro i mercanti
arabi. Il Portogallo, sotto la stessa corona di Spagna, era formalmente in guerra con
l'Olanda, ma l'aggressività olandese contro i portoghesi durò oltre la pace
provvisoria del 1609 e giunse infine, verso il 1665, ad annientare quasi per intero
l'impero commerciale dei concorrenti lusitani.
La presenza portoghese, in effetti, non aveva provocato particolari
sconvolgimenti in Indonesia, e meno ancora in India, e la storia di questi paesi
aveva continuato a procedere secondo leggi e tradizioni interne piuttosto che sotto
l'ancora debole influenza europea. Anche dal punto di vista commerciale i portoghesi
avevano dovuto rinunciare alla pretesa di monopolizzare l'intero traffico delle spezie
e, al momento dell'arrivo degli olandesi, essi erano solo uno degli elementi di un
sistema molto complesso nel quale agivano con peso assai maggiore mercanti cinesi,
arabi al servizio degli ottomani, malesi, indiani e, infine, musulmani e indù
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dell'Indonesia.
Gli olandesi si inserirono con estrema brutalità in questo sistema commerciale che
l'evoluzione dei regimi politici indonesiani rendeva abbastanza instabile. La
Compagnia riunita, agendo come un vero e proprio stato, dichiarò guerre e stipulò
trattati, alleandosi di volta in volta secondo le necessità con i principi di Giava o di
Sumatra e combattendo con uguale violenza i propri concorrenti per strappare il
monopolio del commercio del pepe e delle spezie, e per controllare anche
territorialmente le Molucche; così, oltre che i portoghesi, essi combatterono i
mercanti cinesi. L'oceano Indiano si era del resto aperto ad altre presenze europee,
gli inglesi prima di tutti e in minor misura i danesi e i francesi. La guerra per il
dominio delle Molucche durò più di vent'anni. I concorrenti europei e di ogni altra
razza furono eliminati senza esitare, per raggiungere lo scopo, a ricorrere ai mezzi più
drastici.
I portoghesi si erano sempre comportati come mercanti, acquistando e vendendo le
spezie; gli olandesi volevano anche controllare la produzione e, per costringere gli
abitanti delle Molucche a coltivare esclusivamente noce moscata e chiodi di
garofano, distrussero le loro colture alimentari, procedendo poi con massacri,
deportazioni e riduzioni in schiavitù di fronte ai prevedibili tentativi di ribellione.
La presenza commerciale degli olandesi nell'oceano Indiano si rivelò subito molto
più complessa di quella portoghese. La Compagnia olandese, infatti, non si limitava
a portare ad Amsterdam e in Europa i prodotti dell'Estremo Oriente, ma si accaparrò,
scavalcando i concorrenti asiatici, anche una parte consistente dei traffici interni
all'Asia sudorientale, scambiando, per esempio, le spezie di Giava e di Sumatra con
i tessuti di cotone e di seta indiani o con le porcellane cinesi; i profitti così ottenuti
riducevano di molto la necessità di importare metalli preziosi dall'Europa per saldare
i pagamenti.
Quanto al commercio con l'Europa, le cifre in nostro possesso ci fanno constatare
facilmente che fra il 1600 e il 1640 il ruolo dei portoghesi venne annientato: gli arrivi
di pepe olandese ad Amsterdam passarono dalle 1.000-1.200 t intorno al 1620 alle
2.500-3.000 nel 1640-50.
Ciò che va sottolineato è che a metà Seicento non esisteva più un ramo mediterraneo
del commercio delle spezie, con il suo centro a Venezia. L'apertura della rotta
olandese verso l'Indonesia aveva avuto conseguenze rivoluzionarie: i traffici arabi
verso il golfo Persico e il mar Rosso erano praticamente scomparsi e i veneziani, che
non trovavano più pepe da acquistare ad Alessandria e nei porti di Siria, avevano dovuto cominciare a rivolgersi ad Amsterdam. Era questo un evidente segno della perdita
di importanza del commercio nel bacino del Mediterraneo a favore della
atlantizzazione dell’economia mondiale.
Per completare il quadro della potenza commerciale olandese dobbiamo tenere
conto ancora di un settore geografico, quello americano. Nel 1609 Henry Hudson,
un navigatore inglese al servizio della Compagnia olandese delle Indie orientali,
costeggiò l'America settentrionale dal 37˚ al 41˚ di latitudine nord, alla ricerca del
passaggio a nordovest. Venivano così gettate le prime basi della colonia olandese di
Nuova Amsterdam, destinata a durare fino al 1664, anno in cui venne ceduta
all'Inghilterra, che la ribattezzò New York..
Ma le zone di maggiore interesse nell'oceano Atlantico si trovavano più a sud,
nell'America spagnola. Nel 1621 fu creata in Olanda una seconda Compagnia,
quella delle Indie occidentali. Per diversi anni essa si limitò a compiere atti di
pirateria contro le flotte spagnole, arrivando nel 1628 a catturare l'intero convoglio
diretto a Siviglia, che portava un carico di 80 tonnellate d'argento. Due anni più tardi
gli olandesi misero piede in Brasile, togliendo Recife ai portoghesi. Questo nuovo
conflitto per il Brasile era in realtà un conflitto per le sue piantagioni di zucchero,
la cui espansione era limitata solo dalla difficoltà di trasportare sul luogo un numero
sufficiente di schiavi negri. Il Brasile olandese durò solo fino al 1654, quando Recife
tornò in mano al Portogallo; ma l'affare dello zucchero non si chiuse lì. La
Compagnia delle Indie occidentali abbandonò la guerra per il commercio e cominciò
60
a rifornire i coltivatori portoghesi di schiavi negri, anche perché intanto le imprese di
Amsterdam si accorgevano che si traevano più elevati profitti dalla raffinazione
dello zucchero che dalla sua coltivazione. La tratta degli schiavi rimase comunque
uno degli “affari” principali dei mercanti olandesi integrato in un circuito economico
internazionale che consisteva nell’esportazione di manufatti dall’Europa all’Africa,
dove sulla costa della Guinea avveniva l’acquisto o la cattura degli schiavi da
trasportare in America per averne in cambio minerali o i prodotti delle piantagioni da
portare in Europa.
II ruolo degli olandesi non si esaurì quindi nella loro capacità di sostituirsi ai
vecchi domini declinanti in quanto essi da un lato gestirono il traffico degli
schiavi, come appena detto, consentendo le nuove forme di sfruttamento (le
piantagioni che andavano sostituendo la ricerca dell’oro e dell’argento) del
Nuovo mondo, mentre dall’altro non si limitarono a controllare i flussi
commerciali da e per l’Europa, ma seppero inserirsi, fino a diventarne il perno
essenziale, nei traffici commerciali interni all’Asia, finendo per controllarne le
attività economiche anche là dove non erano riusciti, come nelle isole
Molucche, a subordinarle completamente all’economia europea (vedi anche
cap. seguente).
Il planisfero mostra la dislocazione dei possedimenti e
delle rotte commerciali olandesi.
La linea continua rappresenta le rotte commerciali, mentre
il tratteggio i percorsi dei più celebri viaggi di
esplorazione nell’emisfero boreale, oltre il Circolo Polare
Artico e nell’emisfero australe
Oltre a questi importanti mutamenti che contribuirono ad aumentare il
controllo europee sulle risorse mondiali, nell’azione dei mercanti olandesi sono
presenti anche altri elementi di novità. A volte si tratta di un semplice allargamento
di mercati già esistenti, come è il caso del pepe e delle spezie, al cui uso furono
conquistate l'Europa centrorientale e la Russia. A volte il salto quantitativo ha
un significato ancora più netto: è il caso dello zucchero, che esce dai centri di
raffinazione olandesi e diventa un elemento abituale dell'alimentazione europea.
Pensiamo ancora alla banca di Amsterdam, creata nel 1609. II ruolo della banca
pubblica9 era quello di intervenire al servizio dello Stato, salvandolo dai rapporti difficili con i banchieri privati (ricordiamo la finanza spagnola, completamente
asservita agli affari dei genovesi); in secondo luogo la banca pubblica doveva
custodire il denaro dei suoi i depositanti privati, sottraendolo ai rischi delle troppo
disinvolte speculazioni.
9
Nelle sue funzioni di banca pubblica la banca di Amsterdam era stata preceduta dall'esperienza delle
città italiane: il Banco di Rialto di Venezia, creato nel 1587, e il Banco di San Giorgio di Genova, le cui
più lontane origini risalivano al 1404. Alla fine del secolo, nel 1694, si costituì poi la Banca d'Inghilterra.
Le banche pubbliche svolgevano in gran parte le stesse funzioni delle banche private, ma avevano
soprattutto il compito di gestire il debito pubblico e fornire credito agli Stati. Fu combinando questi
diversi servizi che le banche pubbliche finirono per assumersi anche le funzioni di emissione di moneta
fiduciaria convertibile a vista e di regolazione dell'intero sistema bancario
61
La banca di Amsterdam compiva così tutte le operazioni di compensazione di debiti
e crediti sui conti dei propri clienti, fornendo a costoro delle cedole di deposito che
potevano circolare tranquillamente come cartamoneta, perché erano convertibili a
vista in moneta metallica. Questa moneta di banco, inoltre, era sottratta alle
fluttuazioni dovute alle mutazioni monetarie: l'unità di conto della moneta di banco
aveva una parità metallica (cioè un rapporto di cambio con l'oro e con l'argento)
assolutamente stabile e dava ai mercanti uno strumento finanziario internazionale
stabile e certo. In altri settori l'innovazione che parte dagli olandesi è netta.
Abbiamo già visto in che modo essi penetrarono nel commercio interasiatico; si
può ora aggiungere che essi introdussero in Europa con le loro importazioni
dall'Estremo Oriente alcuni prodotti destinati a mutare le abitudini di consumo,
come i tessuti di cotone indiani stampati a più colori o l'indaco, una sostanza
colorante vegetale che si aggiunse a quelle già in uso nelle industrie tessili.
I successi raggiunti da un piccolo paese come l'Olanda, con meno di due milioni di
abitanti a metà Seicento, hanno bisogno in qualche modo di essere spiegati. Da un
lato vi è sicuramente la capacità di inserirsi, con la forza e con le irruenti certezze
dello spirito calvinista, entro le strutture del commercio a lunga distanza i cui
vecchi dominatori - tedeschi, portoghesi, spagnoli, italiani - erano nettamente in
declino. Accanto al riequilibrio fra le nuove forze e le vecchie debolezze che si
venivano rivelando c'è però da tenere conto di un insieme di fattori istituzionali e
sociali interni alla repubblica calvinista.
Lo storico francese Fernand Braudel ha notato una volta che l'emergere dei grandi
stati nazionali fra Quattrocento e Cinquecento ha provocato rapidamente la fine
delle piccole repubbliche di origine medievale; ma non appena il "lungo XVI
secolo" si era avviato verso le difficoltà della successiva crisi secolare, la
dimensione territoriale e umana della grande monarchia e del grande impero aveva
rivelato la sua fragilità: vincere le distanze e le guerre, creare l'uniformità
amministrativa di un territorio troppo grande comportava costi schiaccianti; perfino
riscuotere le imposte era eccessivamente costoso.
E ciò risultava tanto più vero quanto maggiore era, come nel blocco ispanoportoghese, il peso delle aristocrazie incapaci di produrre e dedite al consumo
vistoso. La piccola Olanda non correva il rischio di essere schiacciata dal peso
dell'organizzazione imperiale.
Inoltre essa era scopertamente una repubblica di mercanti, nella quale il diritto a
governare derivava dal successo negli affari e non dai titoli di nobiltà. In questo
senso l'ascesa dell'Olanda è anche un fatto di uomini, oltre che di felice collocazione
nella congiuntura geografica e storica. La repubblica olandese era governata con
gli stessi criteri con cui si amministra una compagnia commerciale che mette
al primo posto i profitti; il suo sistema di istruzione badava a produrre uomini
dotati di tutte le competenze pratiche necessarie, nel commercio, nella
finanza, nella contabilità, secondo una cultura merceologica e tecnica che poteva
apparire rudemente arida, ma che aveva ormai rotto con le illusioni che
impregnavano le menti delle nobiltà neofeudali iberiche. Mentre nell'Europa
barocca e controriformista i latifondi degli aristocratici venivano degradati dallo
sfruttamento estensivo, gli esperti olandesi di agronomia accumulavano
conoscenze in fatto di rotazione delle colture, allevamento razionale, costruzione
di canali e creazione di polder.
Le prime difficoltà per l'Olanda furono rappresentate dalla politica
espansionistica dell'Inghilterra, inaugurata da Cromwell con il Navigation Act
del 1651. Quel trattato, che stabiliva il monopolio inglese nel commercio
nordamericano, metteva in chiaro l'intenzione aggressiva dell'Isola britannica. Si
contrapponeva infatti il principio della supremazia e del monopolio a quello del
libero commercio e della concorrenza. La guerra che ne seguì (1652-1654)
arrise agli inglesi, ma non scalfì per il momento le posizioni consolidate delle
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Province Unite. Ciò avvenne solo più tardi, allorché, a partire dal 1667, la Francia
di Luigi XIV ribaltò la tradizionale alleanza antispagnola con l'Olanda per avvicinarsi all'Inghilterra di Carlo II e portare un duro attacco alla piccola «repubblica
dei mercanti». Da quel momento sarebbe cominciato anche il suo
ridimensionamento.
Occorre infine ricordare che oltre alle peculiarità ricordate sotto il profilo
economico, a fare delle Province unite un unicum in Europa era anche la sua
situazione dal punto di vista confessionale. In un'Europa caratterizzata
dall’intolleranza e dalle guerre di religione, l’Olanda a causa di un atteggiamento
moderato e generalmente tollerante dei gruppi dirigenti e del clero calvinista nei
confronti delle diverse confessioni religiose, che si espresse nell’assenza di una
Chiesa di Stato, e di una buona dose di opportunismo politico, che spingeva a
evitare i contrasti per mantenere la pace sociale, si trasformò in un polo di attrazione
per tutti i perseguitati d'Europa. Anche per questo motivo l’Olanda del Seicento
costituì per molti versi anche il polo culturale più significativo dell’Europa.
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5- LE ORIGINI DEL SOTTOSVILUPPO IN ASIA
5.1 I rapporti economici fra Europa e Asia fino al Settecento
5.2 I nuovi rapporti economici
Fino all'arrivo degli olandesi, la presenza europea in Asia si era limitata alla
creazione di basi commerciali. Il dominio territoriale olandese a Ceylon e a
Giava restò un'eccezione, ma la crisi politica dell'India fece aprire una fase del
tutto nuova. Dopo aver sconfitto i rivali francesi, la Compagnia inglese delle
Indie orientali creò nel Bengala, a partire dal 1757-65, le premesse del futuro
Impero britannico in India.
Difficilmente l'India poteva essere considerata sottosviluppata nel senso attuale
della parola all'inizio del XVIII secolo; il sottosviluppo, cioè il distacco dalle
società più evolute, si manifestò nel corso del secolo successivo ed è andato
sempre più crescendo, nonostante l'azione di modernizzazione intrapresa dal
governo inglese.
E così viene da domandarsi se non sia la stessa conquista ad essere in qualche
modo essa stessa responsabile del futuro sottosviluppo.
Per comprendere questo fenomeno occorre riesaminare i rapporti commerciali fra
l'Europa e l'intera Asia sin dal XVI secolo. Constateremo allora che per lungo
tempo l'Asia poté sembrare vincente nei suoi rapporti di scambio con l'Occidente
europeo: i mercanti portoghesi e olandesi avevano ben poco da offrire
all'India, a Giava o alla Cina in cambio dei prodotti orientali che essi andavano ad acquistare, mentre il più importante prodotto industriale europeo, i
tessuti di lana, aveva scarse possibilità di competere di fronte ai tessuti degli
imperi asiatici, specialmente quelli di seta cinese e di cotone indiano. L'Europa
poteva in parte pagare i suoi acquisti con materie prime, come lo stagno, ma
per lo più doveva pagare in metalli preziosi, l'oro e più ancora l'argento. E
difficile non rimanere colpiti dal fatto che il 35-40 per cento dei metalli
preziosi estratti in Messico e in Perù nel corso del XVII secolo finirono in
Estremo Oriente solo per pagare il pepe e le spezie. Le strutture commerciali
dell'economia mondiale erano allora già abbastanza solide da collegare il duro
lavoro degli indios, soggetti ai servizi forzati nelle miniere americane, alla
produzione indiana e indonesiana di pepe; dal punto di vista delle teorie economiche mercantiliste è evidente che il bilancio di chi vinceva e di chi perdeva era a
sfavore degli europei.
Fra il Seicento e il Settecento la gamma dei prodotti asiatici importati dall'Europa
si diversificò, con l'aggiunta delle cotonate indiane, del tè e degli altri beni
provenienti dalla Cina. E difficile parlare di un'India sottosviluppata al principio
del Settecento, quando si pensa che la sua capacità produttiva in fatto di tessuti di
cotone era nell'ordine di qualche milione di pezze l'anno e che questi tessuti erano
poi esportati in Cina, in Indonesia e in Europa. Né vi era a questa data una
differenza sostanziale fra l'apparato produttivo europeo e quello indiano,
entrambi largamente fondati sul lavoro artigianale a domicilio dei contadini,
compiuto su attrezzi preindustriali. Secondo alcune elaborazioni, considerando i
migliori dati disponibili sulla produzione manifatturiera dei diversi paesi, ancora
nel 1750 quelli che costituiranno in futuro il "terzo mondo" rappresentavano il 73
per cento della produzione mondiale, contro il 27 per cento dell'Europa e del
complesso dei futuri paesi "sviluppati". Questa quota era scesa al 67,7 e al 60,5 per
cento nel 1800 e nel 1830, ma sarà solo nel 1860 che scenderà ulteriormente al
36,6 per cento, in seguito all'azione combinata di tre diversi fattori: l'eccezionale
sviluppo dell'Occidente industrializzato, che comunque produsse un arretramento
relativo della Cina e dell'India (che da sole pesavano per poco meno dei
quattro quinti del "terzo mondo"); l'effettiva deindustrializzazione del "terzo
mondo" (non solo in valore relativo, ma in valore assoluto), indotta dalla capacità
di esportare a bassi prezzi raggiunta dai paesi nei quali si era affermata la ri-
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voluzione industriale; infine l'effettiva crisi interna dei due maggiori paesi
asiatici (si tenga presente che per la Cina l'influenza disgregatrice delle economie occidentali divenne significativa solo durante i primi decenni del XIX
secolo).
Già al principio del Settecento si era tuttavia verificato un fatto nuovo di enorme
importanza. Gli europei erano stati per lungo tempo dei mercanti puri che
acquistavano un bene senza controllarne il modo di produzione.
La prima eccezione di rilievo era stata quella degli olandesi che, per
controllare la produzione delle spezie nelle Molucche, erano ricorsi a una
pratica antica la riduzione in schiavitù della popolazione. Più tardi gli stessi
olandesi avevano imposto a Giava il pagamento di un tributo in caffè o in
zucchero, ma anche in questo caso l'elemento della costrizione extraeconomica
aveva avuto il peso maggiore.
In India le cose erano andate diversamente: gli europei avevano conquistato un
largo monopolio delle esportazioni, prima del pepe e poi delle stoffe di cotone, non
solo verso l'Europa ma anche nella direzione degli altri paesi asiatici. L’industria
tessile indiana si era così trovata sempre più subordinata a una domanda estera
incontrollabile; i mercanti europei potevano lasciare a quelli indiani il compito di
sorvegliare i produttori e tenere invece per sé il dominio degli sbocchi ultimi delle
esportazioni di tessuto. I capitali e i cervelli del mercato mondiale delle cotonate
indiane si trovavano ad Amsterdam e, soprattutto, a Londra e non nell'oceano
Indiano; il rapporto dell'apparato produttivo indiano con il mercato passava solo
attraverso le compagnie europee e l'industria tessile indiana si veniva sviluppando
in maniera estroversa, legata a mercati lontani, senza avere la possibilità di
influire sull'evoluzione del mercato interno che, invece, aveva un'importanza così
decisiva per la modernizzazione di un paese come la Gran Bretagna, ormai
prossimo alla rivoluzione industriale. Le industrie tessili indiane si svilupparono
soprattutto nelle sue regioni periferiche, vicino ai nodi commerciali marittimi,
mentre l'India stessa diventava un'economia periferica, dipendente dal lontano
centro inglese. Il tentativo del nababbo del Bengala di cacciare gli inglesi era nel
1756 già anacronistico e i legami economici fra i mercanti indiani e il centro
inglese del sistema economico mondiale furono più forti della violenza extraeconomica. Il Bengala era stato conquistato, in un senso moderno della parola, dalla
potenza delle forze del mercato capitalistico prima ancora che iniziasse il
dominio territoriale della Compagnia delle Indie. La stessa Cina avrebbe seguito
la medesima strada con una sfasatura di un po' meno di un secolo, certamente
provocata dal maggiore controllo che il governo imperiale esercitava sul commercio estero. Il Giappone, questa continua eccezione del mondo asiatico, protetto
dalla sua chiusura ermetica al mercato mondiale, evitò di diventare una periferia
economica dell'Europa.
E comunque opportuno ricordare, per concludere, che ciò che abbiamo detto
fin qui dell'India costituisce solo il primo atto della storia del suo sottosviluppo:
il secondo atto inizierà in sordina alla fine del Settecento, quando le fabbriche
inglesi di cotone saranno in grado di esportare in India i loro tessuti che la
rivoluzione industriale consentirà di produrre a prezzi sempre più bassi.
L'industria tessile indiana ne uscirà alla lunga distrutta e la potenza delle leggi
del mercato segnerà definitivamente la fine delle forme tradizionali della conquista
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